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Articolo 495 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/10/2024]

Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri

Dispositivo dell'art. 495 Codice Penale

(1)Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona(2) è punito con la reclusione da uno a sei anni(3).

La reclusione non è inferiore a due anni:

  1. 1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile [483 2, 567 2; 449];
  2. 2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa all’autorità giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale [c.p.p. 603] una decisione penale viene iscritta sotto falso nome.

Note

(1) L'articolo è stato così modificato dal D.L. 23 maggio 2008, n. 92, poi convertito in l. 24 luglio 2008, n. 125 che ha eliminato il riferimento all'atto pubblico, in quanto la formulazione originaria della disposizione in esame sembrava ricalcare fedelmente quanto disposto nell'art. 483.
(2) Le false dichiarazioni o attestazioni devono riguardare l'identità, lo stato o le qualità personali, alle quali, a differenza di quanto previsto ex art. 494, non sono direttamente ricollegabili degli effetti giuridici, potendo questi essere anche solo potenziali.
(3) La Corte Costituzionale, con sentenza 6 aprile 2023, n. 111 (in G.U. 07/06/2023 n. 23), ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 495, primo comma, del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato che, richiesti di fornire le informazioni indicate nell'art. 21 norme att. cod. proc. pen. senza che siano stati loro previamente formulati gli avvertimenti di cui all'art. 64, comma 3, cod. proc. pen., abbiano reso false dichiarazioni".

Ratio Legis

Tradizionalmente si considera che il legislatore abbia qui voluto tutelare la fede pubblica contro quei comportamenti che alterano gli elementi identificativi di una persona o le sue qualità personali.

Spiegazione dell'art. 495 Codice Penale

La norma in esame configura un'ipotesi di reato plurioffensivo, dato che oggetto di tutela non è solamente la pubblica fede, bensì, anche la pubblica amministrazione.

La condotta consiste essenzialmente nel dichiarare o attestare, in forma scritta o orale, una falsità in ordine all'identità, stato o altre qualità della persona al pubblico ufficiale.

In seguito alla novella legislativa del 2008, non è più necessario che la fala attestazione o dichiarazione avvenga i un atto pubblico.

Per quanto concerne la falsa attestazione della “altre qualità”, a differenza dell'articolo precedente (494) non è richiesto che la legge attribuisca particolari effetti giuridici a tali qualità, essendo dunque sufficiente una semplice potenzialità di attribuzione di effetti giuridici. Dunque, è indifferente che la falsa dichiarazione abbia rilevanza giuridica all'interno della dichiarazione e sono irrilevanti i motivi per cui la si è fatta.

Da qui si desume la natura di reato di pericolo, per cui non è necessario che la condotta produca un evento di vantaggio per l'autore della falsità.

Inoltre, trattasi di reato istantaneo, che si consuma nel momento in cui l'agente rende la falsa dichiarazione. Di conseguenza, nel caso di più dichiarazioni false, l'agente commette tante violazioni della norma quante sono le false dichiarazioni, eventualmente riunite dal vincolo della continuazione ex articolo 81.

Per quanto concerne l'elemento soggettivo, viene richiesto il dolo generico, ovvero la volontà di alterare una qualità della propria persona, unitamente alla rappresentazione che la dichiarazione viene resa ad un pubblico ufficiale.

La norma prevede inoltre l'applicazione di due circostanze aggravanti specifiche, qualora la falsa dichiarazione involga atti dello stato civile (come nel caso di falsa identità attestata sull'atto originale di matrimonio) e qualora involga dichiarazioni resa all'autorità giudiziaria da persona imputata o indagata ovvero se, per effetto della dichiarazione, una decisione penale venga iscritta sul casellario giudiziale sotto falso nome.

Massime relative all'art. 495 Codice Penale

Cass. pen. n. 49444/2022

Ai fini della configurabilità del reato di falsa attestazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, la presentazione del passaporto all'autorità preposta al controllo equivale a declinare le proprie generalità in conformità alle indicazioni contenute nel predetto documento di identificazione.

Cass. pen. n. 26440/2022

Integra il delitto di falsa attestazione a pubblico ufficiale su qualità personali la condotta dell'indagato che, interrogato dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero, alla richiesta di indicare i propri precedenti penali, pur potendo legittimamente rifiutarsi di rispondere alla domanda, dichiari il falso.

Cass. pen. n. 4264/2021

Integra il delitto di cui all'art. 495 cod. pen. la condotta dell'indagato che, in sede di dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria, fornisca false generalità, non potendo trovare applicazione la scriminante dell'esercizio di una facoltà legittima perchè, pur essendo l'indagato titolare del diritto al silenzio e della facoltà di mentire, egli ha comunque l'obbligo di fornire le proprie generalità secondo verità.

Cass. pen. n. 2676/2021

Nel delitto di falsa attestazione inerente ad una qualità personale del dichiarante non si richiede il dolo specifico, non essendo rilevante il fine perseguito dall'autore della falsità, ma è sufficiente la coscienza e volontà della condotta delittuosa, consumandosi il reato nel momento in cui la dichiarazione perviene al pubblico ufficiale, indipendentemente dalla sua riproduzione in un atto pubblico. (Fattispecie in cui la S.C. ha escluso che la successiva dichiarazione veritiera resa dall'imputato valga ad escludere l'integrazione del reato).

Cass. pen. n. 696/2021

In tema di falsa attestazione a un pubblico ufficiale sulla propria identità, la dichiarazione con cui si rendono false generalità costituisce corpo di reato che, in quanto tale, deve essere sottoposta a sequestro e acquisita agli atti del procedimento anche ai fini della prova degli elementi costitutivi del reato stesso, non trovando applicazione il divieto di utilizzabilità di cui all'art. 63 cod. proc. pen.

Cass. pen. n. 23681/2021

In tema di reati di falso, è configurabile il concorso tra il delitto di false dichiarazioni ad un pubblico ufficiale sulla identità propria o altrui, di cui all'art. 495 cod. pen., con quello di falso ideologico per induzione del pubblico ufficiale al rilascio di un certificato amministrativo (artt. 48, 480 cod. pen.), ove la dichiarazione non veridica del privato concerna i medesimi fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità.

Cass. pen. n. 13751/2021

Il reato di alterazione di stato di cui all'art. 567, comma secondo, cod. pen. è integrato quando le false dichiarazioni incidenti sullo stato civile di una persona sono rese al momento della formazione dell'atto di nascita, mentre, se intervengano successivamente, è configurabile la meno grave fattispecie di falsa dichiarazione in atto dello stato civile, prevista dall'art. 495, comma secondo, n. 1 cod. pen. (In motivazione, la Corte ha precisato che l'elemento di discrimine tra le due ipotesi delittuose va ravvisato nel fatto che solo la falsità espressa al momento della dichiarazione di nascita è idonea a determinare la perdita del vero stato civile del neonato, mentre, quella intervenuta successivamente, altera, "ex post", lo status correttamente acquisito in precedenza).

Cass. pen. n. 18680/2021

Integra il reato di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulle proprie qualità personali la condotta di colui che, gravato da una condanna a pena detentiva superiore a tre anni, attesti falsamente, in sede di autocertificazione preordinata all'ammissione agli esami per il conseguimento della patente nautica, di essere in possesso dei richiesti requisiti morali.

Cass. pen. n. 8246/2021

Configura il delitto di calunnia l'indicazione, nel momento di acquisizione della notizia di reato e da parte del suo autore, delle generalità di altra persona effettivamente esistente, sempreché la reale identità fisica del reo non sia contestualmente ed insuperabilmente acquisita al procedimento attraverso altre modalità. (In motivazione la Corte ha precisato che, invece, ricorre il delitto di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sulla propria identità, di cui all'art. 495, comma terzo, n. 2 cod. pen., qualora la falsità dei dati anagrafici fornita dall'indagato sia immediatamente rilevabile, escludendo anche in astratto il pericolo dell'avvio di indagini o di istaurazione di un procedimento penale nei confronti della persona effettivamente esistente).

Cass. pen. n. 23556/2020

Integra il reato di falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri la condotta di colui che rende molteplici dichiarazioni, tutte fra loro diverse, in merito alle proprie generalità non rilevando, a tal fine, il fatto che non sia stato possibile accertare le vere generalità del soggetto e che questi, in una sola delle molteplici occasioni, possa, eventualmente, avere detto il vero. (Rigetta, CORTE APPELLO FIRENZE, 08/04/2019)

Cass. pen. n. 5723/2020

In riferimento alla fattispecie aggravata di cui all'art. 495, comma secondo, n. 2, cod. pen., l'attenuante del ravvedimento attivo, di cui all'art. 62, n. 6, cod. pen., non può essere applicata nell'ipotesi in cui le mendaci dichiarazioni circa la propria identità personale siano state trasfuse in una sentenza di condanna pronunziata nei confronti del soggetto del quale siano state declinate falsamente le generalità in quanto le condotte riparatorie, eventualmente poste in essere dall'autore del reato, non sarebbero idonee concretamente ad elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.

Cass. pen. n. 44111/2019

Integra il delitto di cui all'art. 495 cod. pen. (falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale sull'identità o su qualità personali proprie o di altri) la condotta del privato che attesti falsamente, al fine di essere ammesso a colloquio con un soggetto detenuto, di essere legato allo stesso da un rapporto di convivenza, vertendo tale dichiarazione sull'accertamento dei connotati della persona, integrativi o sostitutivi della identità o dello status del dichiarante, ovvero di situazioni di fatto cui l'ordinamento collega effetti giuridici, quali presupposti o condizioni di legittimazione nei rapporti intersoggettivi.

Cass. pen. n. 19695/2019

Nella nozione di qualità personali, cui fa riferimento l'art. 495, comma primo, cod. pen., rientrano gli attributi ed i modi di essere che servono ad integrare l'individualità di un soggetto e, cioè, sia le qualità primarie, concernenti l'identità e lo stato civile delle persone, sia le altre qualità che pure contribuiscono ad identificare le persone, quali la professione, la dignità, il grado accademico, l'ufficio pubblico ricoperto, una precedente condanna e simili. (Fattispecie in cui la falsa informazione di ricoprire il titolo di alto ufficiale dell'esercito è stata ritenuta rientrare nelle qualità secondarie).

Cass. pen. n. 4054/2019

La condotta del privato che attesti falsamente al pubblico ufficiale l'identità del coniuge nell'atto di matrimonio, vertendo sull'accertamento delle qualità personali del dichiarante (l'identità della sposa), integra il delitto di cui all'art. 495, comma secondo, n. 1) cod. pen., con esclusione sia di quello previsto dall'art. 483 cod. pen., che ricorre quando la falsa attestazione abbia ad oggetto "fatti", sia di quello previsto dall'art. 496 cod. pen., configurabile solo in via residuale quando la falsità non abbia alcuna attinenza, neppure indiretta, con la formazione dell'atto pubblico.

Cass. pen. n. 25649/2018

Integra il delitto di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale di cui all'art. 495 cod. pen. la condotta di colui che declini generalità false al "controllore" di un'azienda di trasporto urbano, in quanto le dichiarazioni del privato sono destinate ad incidere direttamente sulla formazione dell'atto pubblico costituito dal verbale di accertamento dell'infrazione. (In motivazione, la Corte ha precisato che il "controllore" riveste la qualità di pubblico ufficiale in ragione dell'attribuzione di poteri autoritativi e certificativi individuati nelle funzioni di accertamento dell'infrazione, di identificazione personale dell'autore della violazione e di redazione del relativo verbale di accertamento, attribuiti dalle norme di legge, regionale e nazionale).

Cass. pen. n. 36904/2017

In tema di reati contro la fede pubblica, costituiscono generalità ufficiali di identificazione, da parte dell'ordinamento italiano, quella che il soggetto extra-comunitario dichiara all'atto della richiesta di asilo politico, in relazione alle quali gli sia stato rilasciato un permesso di soggiorno per motivi umanitari, con la conseguenza che successive, diverse declinazioni delle proprie generalità integrano il reato di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità.

Cass. pen. n. 29874/2017

Integra il reato di falsa attestazione o dichiarazione a un P.U. sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (art. 495 cod. pen.) la condotta di colui che rende molteplici dichiarazioni, tutte fra loro diverse, in ordine alle proprie generalità, non rilevando, a tal fine, il fatto che non sia stato possibile accertare le vere generalità del dichiarante e che questi, in una sola delle molteplici occasioni, possa, eventualmente, avere detto il vero.

Cass. pen. n. 3832/2017

Non sussiste il reato di cui agli artt. 48 e 479 cod. pen. nel caso del conservatore dei registri immobiliari che proceda alla trascrizione del certificato di successione, formato dall'Agenzia delle Entrate, fondato su di una falsa dichiarazione di successione dell'imputato, poiché in detta ipotesi il pubblico ufficiale non compie alcuna autonoma attestazione in merito alla veridicità del contenuto della dichiarazione di successione, ma si limita ad annotare un atto pubblico redatto da altro pubblico ufficiale.

Cass. pen. n. 36834/2016

Integra il reato di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (art. 495 cod. pen.), nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, la condotta di chi dichiari un falso nome nel corso di una perquisizione, essendo tale dichiarazione destinata ad essere trasfusa in un atto pubblico.

Cass. pen. n. 7712/2015

Integra il reato di falsa attestazione o dichiarazione a un P.U. sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (art. 495 cod. pen.) la condotta di colui che rende molteplici dichiarazioni, tutte fra loro diverse, in ordine alle proprie generalità, non rilevando, a tal fine, il fatto che non sia stato possibile accertare le vere generalità del dichiarante e che questi, in una sola delle molteplici occasioni, possa, eventualmente, avere detto il vero.

Cass. pen. n. 7286/2015

Integra il reato di cui all'art. 495 cod. pen., la condotta di colui che, privo di documenti di identificazione, fornisca ai carabinieri, nel corso di un controllo stradale, false dichiarazioni sulla propria identità, considerato che dette dichiarazioni - in assenza di altri mezzi di identificazione - rivestono carattere di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali, e, quindi, ove mendaci, ad integrare la falsa attestazione che costituisce l'elemento distintivo del reato di cui all'art. 495 cod. pen., nel testo modificato dalla legge n. 125 del 2008, rispetto all'ipotesi di reato di cui all'art. 496 cod. pen.

Cass. pen. n. 5622/2015

Integra il reato di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale di cui all'art. 495 cod. pen., la condotta di chi fornisce false generalità alla polizia ferroviaria all'atto della redazione di un verbale di identificazione, in quanto tali dichiarazioni diventano parte integrante del predetto verbale che costituisce atto pubblico.

Cass. pen. n. 30192/2013

In tema di falsità personali, la nozione di "altra qualità della propria o altrui persona", cui si riferisce la norma dell'art. 495 cod. pen., comprende soltanto le indicazioni che concorrono a stabilire le condizioni della persona, ad individuare il soggetto e a consentire la sua identificazione. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto che la falsa affermazione di essere proprietario di un immobile non integra la condotta del delitto previsto dall'art. 495 cod. pen.).

Cass. pen. n. 44230/2012

Il reato di falsa attestazione di qualità personali (art. 495 c.p.) resta assorbito nella ipotesi delittuosa di indebita percezione di erogazioni pubbliche in danno dello Stato quando esso integri un elemento essenziale per la configurazione di quest'ultima e ne costituisca la modalità tipica di consumazione. (Fattispecie in cui l'imputato straniero aveva presentato falsa dichiarazione sostitutiva di certificazione in cui attestava l'inesistente possesso della cittadinanza italiana al fine di ottenere l'erogazione del contributo assistenziale del " bonus bebè").

Cass. pen. n. 10938/2011

In tema di false attestazioni di generalità, una volta che l'indicazione di generalità false risulti accertata quanto meno per taluna delle occasioni oggetto di contestazione, l'incertezza sul "tempus commissi delicti" rileva solo ai fini della prescrizione del reato.

Cass. pen. n. 3042/2011

Integra il reato di cui all'art. 495 cod. pen., la condotta di colui che, privo di documenti di identificazione, fornisca ai carabinieri, nel corso di un controllo stradale, false dichiarazioni sulla propria identità, considerato che dette dichiarazioni - in assenza di altri mezzi di identificazione - rivestono carattere di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali, e, quindi, ove false, ad integrare la falsa attestazione che costituisce l'elemento distintivo del reato di cui all'art. 495, nel testo modificato dalla legge n. 125 del 2008, rispetto all'ipotesi di reato di cui all'art. 496 cod. pen..

Cass. pen. n. 34894/2010

Integra il reato di falsa attestazione o dichiarazione a un P.U. sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (art. 495 c.p.) la condotta di colui che renda molteplici dichiarazioni, tutte fra loro diverse, in merito alle proprie generalità; né rileva, a tal fine, il fatto che non sia stato possibile accertare le vere generalità del soggetto e che questi, in una sola delle molteplici occasioni, possa, eventualmente, avere detto il vero.

Cass. pen. n. 22603/2010

Integra il delitto previsto dall'art. 495 c.p. la presentazione di dichiarazione sostitutiva di certificazione antimafia ai sensi dell'art. 46 D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 attestante falsamente l'insussistenza in capo al dichiarante di cause di divieto, di decadenza o di sospensione relative alle iscrizioni indicate nell'art. 10, L. 31 maggio 1965 n. 575.

Cass. pen. n. 35447/2009

Integra il reato di cui all'art. 496 c.p. (false dichiarazioni sull'identità o su qualità personali proprie o di altri) - e non quello di cui all'art. 495 c.p. (falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri) - la condotta di colui che dichiari falsamente, in sede di dichiarazione sostitutiva di atto notorio, presentata al fine di conseguire il passaporto, di non avere precedenti penali, in quanto, in tal caso, la dichiarazione del privato, ancorché preordinata ad ottenere una autorizzazione amministrativa, non è destinata ad incidere, direttamente o indirettamente, anche sulla formazione di un atto pubblico.

Cass. pen. n. 4420/2008

La mancata indicazione, nell'apposito modulo di richiesta del passaporto, dell'esistenza di precedenti penali dà luogo alla configurabilità del reato di cui all'art. 495, ultimo comma, c.p., trattandosi di implicita, falsa attestazione inerente ad una qualità personale del dichiarante, con esclusione, quindi, tanto del reato di cui all'art. 483 c.p. (poiché la falsa attestazione non ha per oggetto «fatti»), quanto di quello di cui all'art. 496 c.p., configurabile solo in via residuale quando la falsità non abbia alcuna attinenza, né diretta né indiretta, con la formazione di un atto pubblico, inteso in senso lato.

Cass. pen. n. 4415/2008

È configurabile il reato di cui all'art. 405 c.p. e non l'illecito, attualmente depenalizzato, previsto dall'art. 25 della legge 21 novembre 1967 n. 1185, nel caso di falsa attestazione circa l'assenza di precedenti penali contenuta nell'autocertificazione prodotta a corredo della richiesta di rinnovo del passaporto.

Cass. pen. n. 43718/2007

Integra il reato di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale, previsto dall'art. 495 c.p., e non il reato di false dichiarazioni sulla propria identità, di cui all'art. 496 c.p., la condotta di chi fornisce false generalità alla polizia giudiziaria all'atto della redazione di un verbale di identificazione, in quanto tali dichiarazioni diventano parte integrante del predetto verbale e del cartellino fotosegnaletico.

Cass. pen. n. 24572/2005

Non risponde del reato di calunnia, ma esclusivamente del reato previsto dall'art. 495 comma terzo n. 2 c.p., il soggetto che nell'ambito di un procedimento penale a suo carico dichiari all'autorità giudiziaria false generalità, corrispondenti a quelle di una persona effettivamente esistente.

Cass. pen. n. 12447/2005

Integra il reato di cui all'art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico e non il diverso reato di cui all'art. 479 c.p.) la condotta consistita in una dichiarazione di vendita, al pubblico registro automobilistico, con indicazioni non veritiere in ordine all'acquirente, in quanto detta condotta si traduce nell'attestare falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità.

Cass. pen. n. 24699/2004

È configurabile il reato di cui all'art. 495 c.p. nella condotta di chi, in sede di formazione di un atto pubblico di compravendita immobiliare, attesti falsamente al notaio rogante di essere coniugato in regime di separazione dei beni, nulla rilevando, sotto il profilo psicologico, l'eventuale errore dell'agente circa la disciplina civilistica di riferimento, trattandosi di errore di diritto da considerare incidente su di un elemento normativo della fattispecie penale.

Cass. pen. n. 18898/2004

L'esercizio abusivo della professione legale non implica necessariamente la spendita, al cospetto del giudice o di altro pubblico ufficiale, della qualità indebitamente assunta, per cui il reato si perfeziona per il solo fatto che l'agente curi pratiche legali dei clienti e predisponga ricorsi, anche senza comparire in udienza qualificandosi come avvocato. Ne deriva che quando quest'ultima condotta si accompagni alla prima, viene leso anche il bene giuridico della fede pubblica tutelato dall'art. 495 c.p., e si configura il concorso di tale reato con quello di cui all'art. 348.

Cass. pen. n. 30809/2003

In tema di falsa dichiarazione o attestazione circa l'identità o qualità propria della persona, destinata ad essere riportata in un atto pubblico, va esclusa la sussistenza del reato di cui all'art. 495 c.p., nei suoi profili materiali, quando il mendacio riguardi una qualità della persona del tutto ininfluente rispetto alle finalità per le quali l'atto pubblico deve essere redatto, di talché non rileva la falsa giustificazione fornita per motivare l'esercizio di una facoltà che la legge riconosce indiscriminatamente all'interessato. (Fattispecie nella quale l'agente, nell'esercitare la facoltà di non sottoscrivere un processo verbale relativo alla contestazione di violazioni del codice della strada, aveva dichiarato ai militari procedenti di «non essere in grado di apporre la firma» sull'atto).

Cass. pen. n. 10123/2002

In tema di falsità personale, deve ritenersi punibile ai sensi dell'art. 495 c.p. (falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale sull'identità o su qualità personali proprie o di altri) e non dell'art. 374 bis c.p. (false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria), la condotta di chi allo scopo di essere ammesso a colloquio con un detenuto, dichiari falsamente di essere legato a quest'ultimo da un rapporto di convivenza. (La Corte nell'affermare il principio, ha precisato che la tutela penale della fede pubblica deve intendersi estesa, oltre che ai connotati della persona che valgono in ogni caso ad integrare la sua identità o il suo status, anche ad ogni altro aspetto cui una determinata norma colleghi effetti giuridici).

Cass. pen. n. 37868/2001

I cartellini segnaletici — redatti dagli organi di polizia nel corso dell'attività destinata a raccogliere le generalità degli stranieri sottoposti al loro controllo — costituiscono atti pubblici in quanto formati nell'esercizio di un potere autoritativo conferito dalla legge. Ne consegue che le dichiarazioni mendaci rese al pubblico ufficiale integrano gli estremi del reato di cui all'art. 495 c.p.

Cass. pen. n. 1074/2000

In tema di prova, un fatto costituente reato non può ritenersi insussistente, allorquando, benché sia incerta la data della sua commissione, ne sia però sicura ed indiscussa la perpetrazione. Invero il “tempus commissi delicti”, una volta che sia certa la consumazione del reato, può rilevare solo ai fini della prescrizione dello stesso. (Nella fattispecie, la Cassazione, su ricorso del P.M., ha annullato con rinvio la sentenza del giudice di merito, che, in tema di false attestazioni di generalità, avendo l'imputato, in due diverse occasioni, declinato differenti generalità, lo aveva assolto con la formula della insussistenza del fatto, sul rilievo che, rimaste ignote le sue reali generalità, non era possibile stabilire quando e se ne avesse fornito di false. La Corte, nell'enunciare il principio di cui sopra, ha osservato che, indubbiamente, l'imputato, almeno una volta, aveva fornito false generalità).

Cass. pen. n. 2847/1999

Non sono configurabili i reati di cui agli artt. 495 e 498 c.p. nei confronti di soggetto il quale, qualificandosi come «Rev. sac.» in una richiesta di rilascio di passaporto, ed allegando a tale richiesta una propria fotografia in clergyman, abbia omesso di specificare la propria appartenenza alla chiesa denominata «Syro-Antiochena», volta che non risulti dimostrata, da parte dell'accusa, né la oggettiva inesistenza di una tale confessione religiosa (nulla rilevando che quest'ultima non figuri fra quelle i cui rapporti con lo Stato sono regolati con legge, ai sensi dell'art. 8, comma terzo, Cost.), né la non appartenenza del richiedente alla detta confessione, in qualità di «ecclesiastico» (posta la riconoscibilità di tale qualità a chi faccia parte del clero di una qualsiasi chiesa, anche se diversa dalla cattolica) e neppure l'assenza, fra i sacerdoti della confessione medesima, dell'uso del clergyman.

Cass. pen. n. 11885/1998

Secondo quanto prevede l'art. 4 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, l'ufficiale d'anagrafe deve ordinare «gli accertamenti necessari ad appurare la verità dei fatti denunciati dagli interessati, relativi alle loro posizioni anagrafiche». Ne consegue che gli interessati hanno un obbligo di veridicità nelle proprie dichiarazioni anagrafiche e che integra gli estremi del reato previsto dall'art. 495 c.p. ogni falsa dichiarazione relativa all'effettivo luogo di residenza.

Cass. pen. n. 4426/1998

Nella nozione di qualità personali, cui fa riferimento l'art. 495, primo comma, c.p., rientrano gli attributi ed i modi di essere che servono ad integrare l'individualità di un soggetto, e cioè sia le qualità primarie, quali sono quelle concernenti l'identità e lo stato civile delle persone, sia le altre qualità che pure contribuiscono ad identificare le persone, quali la professione, la dignità, il grado accademico, l'ufficio pubblico ricoperto, una precedente condanna e simili. Tra le indicazioni che concorrono a stabilire le condizioni della persona, individuandola nella comunità sociale, rientra la qualità di allevatore di ovini che un soggetto si attribuisca, contrariamente al vero, in una dichiarazione rilasciata ad un funzionario incaricato dal sindaco.

Perché si realizzi la condotta delittuosa prevista dall'art. 495, primo comma, c.p., occorre che il soggetto agente si attribuisca espressamente in una dichiarazione rilasciata al pubblico ufficiale, una qualità di cui non è in possesso. Nella nozione di qualità personali rientrano quegli attributi e modi di essere che servono ad integrare l'individualità di un soggetto. In proposito si distingue tra qualità primarie, quali sono quelle concernenti l'identità e lo stato civile delle persone, ed altre qualità, che pure contribuiscono ad identificare le persone, quali la professione, la dignità, il grado accademico, l'ufficio pubblico ricoperto, una precedente condanna e simili. (Nella fattispecie, la Suprema Corte ha ravvisato il reato di falsa dichiarazione a pubblico ufficiale su qualità personali nella condotta dell'imputato attribuitosi falsamente la qualità di allevatore di ovini).

Cass. pen. n. 8909/1998

Oggetto della tutela del reato di falsità personale, di cui all'art. 495 c.p., è un contrassegno personale della persona fisica e non anche delle persone giuridiche che abbiano a qualificarsi nei confronti della pubblica amministrazione. Le false attestazioni sulle persone giuridiche, quali falsità ideologiche, vanno inquadrate nella fattispecie astratta dell'art. 483 c.p.

Cass. pen. n. 7515/1998

Il reato di falsa dichiarazione a un pubblico ufficiale sulle proprie qualità personali, destinata a essere riprodotta in un atto pubblico, di cui all'art. 495, secondo comma, c.p., si consuma nel momento in cui le false dichiarazioni vengono rese, indipendentemente dalle circostanze che il pubblico ufficiale possa accertare o meno la qualità personale del dichiarante, ovvero che il pubblico ufficiale — constatata la falsità delle dichiarazioni — non le inserisca nell'atto o le inserisca con la menzione delle opportune verifiche.

Integra gli estremi del reato di falsa dichiarazione sulle proprie qualità, destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico, di cui all'art. 495, comma secondo c.p., e non quella di sostituzione di persona di cui all'art. 494 c.p., il comportamento del privato che, al fine di evitare le conseguenze di un incidente stradale nel quale era rimasto coinvolto e l'elevazione di verbali di contravvenzione a suo carico, dichiari al vigile urbano che stava eseguendo gli accertamenti del caso, qualità proprie del tutto insussistenti, perché, considerati i compiti che il pubblico ufficiale stava svolgendo, le affermazioni fatte erano destinate ad essere riportate nei redigenti verbali di contravvenzione. (Nella specie, l'imputato aveva falsamente dichiarato di essere ufficiale della guardia di finanza).

Cass. pen. n. 389/1998

In tema di false dichiarazioni a pubblico ufficiale (art. 495 c.p.) è affetta da vizio logico di motivazione la sentenza che escluda l'elemento psicologico del reato per ignoranza da parte dell'imputato di una precedente sentenza dichiarativa di fallimento a suo carico, sulla base del suo allontanamento dal luogo di residenza e degli incarichi ricoperti in altre società, dal momento che ai sensi dell'art. 17 l. fall. la sentenza dichiarativa di fallimento viene resa pubblica mediante affissione e pertanto si presume conosciuta dall'imprenditore. (Fattispecie in cui l'imputato nell'assumere la carica di amministratore unico di s.r.l. aveva falsamente dichiarato a pubblico ufficiale che non esistevano a suo carico cause di ineleggibilità o incompatibilità).

Cass. pen. n. 11808/1997

La differenza tra le ipotesi di reato previste dagli artt. 495 e 496 c.p. consiste nel fatto che nel primo caso le false dichiarazioni - in ordine ad identità o qualità della persona - devono essere rese al Pubblico Ufficiale in un atto pubblico (art. 495, primo comma c.p.) o destinate ad essere riprodotte in esso (art. 495 secondo comma c.p.), mentre nel secondo le false dichiarazioni, sempre rese a Pubblico Ufficiale non hanno alcuna attinenza - né diretta né indiretta - con la formazione di atto pubblico. Il verbale di arresto costituisce un atto pubblico, in quanto destinato a costituire la prova di attività rientrante nella pubblica funzione dell'Ufficiale di Polizia giudiziaria che la svolge.

Cass. pen. n. 9938/1994

In tema di falso, la differenza fra il reato previsto dall'art. 567, comma 2, c.p. e quello di cui all'art. 495 c.p. va ravvisata nel fatto che quest'ultima norma punisce l'immutazione del vero in se stessa, mentre quella di cui all'art. 567 cpv. punisce l'immutazione del vero in quanto da essa derivi la perdita del vero stato civile del neonato: i due reati hanno in comune l'elemento del falso ideologico documentale, mentre il reato di cui all'art. 567 ha in più l'elemento dell'alterazione di stato, atteggiandosi come reato complesso.

Cass. pen. n. 8996/1994

Le previsioni di cui all'art. 479 c.p. (falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, con riferimento cioè a false attestazioni compiute nell'esercizio delle sue competenze e delle sue funzioni) sono nettamente distinte da quelle degli artt. 483 e 495 c.p. relativi rispettivamente alle falsità ideologiche commesse dal privato in atti pubblici ed alle false attestazioni o dichiarazioni del privato al pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie od altrui. La prima fattispecie si differenzia dai reati previsti dagli artt. 483 e 495 c.p. con riguardo alla provenienza della falsa attestazione, ricorrendo la falsità ideologica prevista dall'art. 479 c.p. soltanto in relazione a ciò che attesta nel documento, per propria scienza, il pubblico ufficiale che ne è l'autore. Invece, i reati di cui agli artt. 483 e 495 ricorrono in riferimento alle false dichiarazioni dei soggetti privati, asseverate per il tramite dell'atto redatto dal pubblico ufficiale: il falso di cui all'art. 483 quando si tratta in generale di fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità; quello di cui all'art. 495, quando si tratta di dichiarazioni inerenti all'identità, allo stato od ad altra qualità della propria o dell'altrui persona.

Nel caso di riconoscimento di un figlio naturale, effettuato ex art. 254 c.c., in atto pubblico, funzione del pubblico ufficiale è unicamente quella di attestare il compimento della dichiarazione, ma non anche la veridicità della medesima, poiché nessuna norma di legge attribuisce tale compito al pubblico ufficiale. Ne consegue che né il pubblico ufficiale che riceve la dichiarazione né il privato che la compie possono rispondere del reato di cui all'art. 479 c.p., mancando in relazione a detta dichiarazione un'attestazione della sua intrinseca veridicità da parte del pubblico ufficiale. Commette, invece, il reato di cui all'art. 495 c.p. colui che dichiara falsamente al pubblico ufficiale la propria qualità di padre e l'altrui qualità di figlio, in relazione al riconoscimento di paternità compiuto.

Cass. pen. n. 6318/1994

La differenza tra il reato di falsa dichiarazione sull'identità (art. 495 c.p.) e quello di alterazione di stato (art. 567 cpv. c.p.) consiste in ciò che la prima norma punisce l'immutazione del vero in se stessa, mentre la seconda punisce l'immutazione del vero in quanto da essa derivi la perdita del vero stato civile del neonato. I due reati hanno in comune l'elemento del falso ideologico documentale, ma quello più gravemente sanzionato ha in più l'elemento dell'alterazione di stato, atteggiandosi come reato complesso. Ne consegue che solo la falsità che non incida sul rapporto di procreazione e non cagioni l'alterazione dello status del neonato può integrare il reato, di cui all'art. 495 c.p.

Cass. pen. n. 2379/1994

In virtù dell'art. 60 c.p.p. la qualità di imputato si assume nel momento in cui a taluno viene attribuito un reato nella richiesta di rinvio a giudizio o in altri atti tassativamente indicati da tale norma. Pertanto, la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini preliminari non è qualificabile come «imputato» e, nell'ipotesi di false dichiarazioni sulle proprie qualità personali rese all'autorità giudiziaria, risponde del delitto di cui all'art. 495, comma 1, c.p., e non già di quello, più grave, delineato dal comma 3, n. 2, della suddetta norma. (Fattispecie relativa a false dichiarazioni sulle qualità personali compiute da un indagato al P.M.).

Cass. pen. n. 4639/1993

Le «altre qualità proprie o dell'altrui persona», cui fa riferimento l'art. 495 c.p., sono soltanto quelle che servono a completare lo stato e l'identità della persona ai fini della sua identificazione. Restano, perciò, fuori della tutela penale le richieste dell'autorità su condizioni personali del soggetto non giustificate da esigenze di identificazione, ma rivolte ad altro fine, quale quello di acquisire elementi di accusa a carico dell'indagato. (Fattispecie nella quale la Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, resa ex art. 444 c.p.p., considerando che non integra la materialità del delitto di cui all'art. 495 c.p. la falsa negazione di un rapporto di convivenza).

Cass. pen. n. 11488/1990

Le mendaci dichiarazioni sulle qualità proprie configurano l'ipotesi prevista dall'art. 496 c.p. ogni qual volta il mendacio non abbia alcuna attinenza, né diretta né indiretta, con la formazione di un pubblico atto. Se le dichiarazioni siano invece destinate ad essere riprodotte in un atto pubblico o vengano ad integrarne il contenuto o siano comunque rilevanti ai fini della formazione di esso, si realizza allora l'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 495 c.p. (Fattispecie relativa ad una mendace dichiarazione sul possesso del titolo di studio contenuta in una domanda rivolta dall'imputato al provveditore agli studi per l'inclusione nelle graduatorie provinciali dei bidelli; la Cassazione, nell'affermare il principio di cui in massima ha ritenuto esatto l'assunto dei giudici di appello che avevano ritenuto che il fatto integrava il reato di cui all'art. 495 c.p. sul rilievo che la dichiarazione mendace aveva influito sulla formazione della graduatoria con conseguente assunzione dell'imputato come bidello).

Cass. pen. n. 7232/1990

Nel reato di falsa dichiarazione a pubblico ufficiale di qualità personali proprie in relazione ai precedenti penali (art. 495, comma primo e terzo, n. 2, c.p.), il dolo consiste nella coscienza e volontà di alterare una qualità della propria persona (stato di incensuratezza) in una dichiarazione resa ad un pubblico ufficiale in un atto pubblico o destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico.

Cass. pen. n. 4531/1988

In caso di falsa dichiarazione o attestazione sull'identità o su qualità proprie o di altri, fatta a un pubblico ufficiale in un atto pubblico o destinata ad essere riprodotta in atto pubblico, per la concessione della diminuzione di pena prevista a favore di chi ha dichiarato il falso al fine di farsi rilasciare certificati o autorizzazioni amministrative sotto falso nome è sufficiente che l'agente abbia operato con l'intenzione di ottenere la falsa certificazione o autorizzazione, essendo irrilevante la natura dell'atto in cui sono contenute o trascritte le false dichiarazioni o attestazioni. (Nella fattispecie l'agente aveva dichiarato false generalità in sede di richiesta e sottoscrizione di tessera postale e conseguentemente il pubblico ufficiale addetto al rilascio della tessera aveva redatto un verbale di emissione della tessera, atto pubblico, falso. La Corte di cassazione ha ritenuto che potesse essere concessa la diminuzione di pena di cui all'art. 495 ultimo comma, c.p., affermando il principio in massima).

Cass. pen. n. 8152/1987

In tema di reati contro la pubblica fede, poiché il delitto di sostituzione di persona ex art. 494 c.p. ha carattere sussidiario, allorquando l'induzione in errore, al fine di vantaggio o di danno, è commessa mediante l'attribuzione di un falso nome, in una dichiarazione resa ad un pubblico ufficiale in un atto pubblico ovvero all'autorità giudiziaria, è configurabile soltanto il più grave reato previsto dall'art. 495 c.p. (falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri), restando assorbito quello sussidiario di sostituzione di persona.

Cass. pen. n. 4726/1986

L'art. 7 del D.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, nel regolare gli adempimenti dei concorrenti e della commissione al termine delle prove scritte nei concorsi per l'assunzione agli impieghi dello Stato, dispone tra l'altro che il candidato, dopo aver scritto il proprio nome e cognome, la data ed il luogo di nascita nel cartoncino, lo deve chiudere in una busta piccola, compiendo altre operazioni e consegnandolo al presidente della commissione o del comitato di vigilanza, od a chi ne fa le veci. È inoltre stabilito, in questo articolo, che il riconoscimento dei candidati deve essere fatto dopo che tutti i lavori siano stati esaminati e giudicati. Queste disposizioni regolamentari significano che la dichiarazione sull'identità della propria persona, scritta sul cartoncino, è destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico; sicché il partecipante al concorso che si attribuisca l'identità di altro partecipante commette il reato di cui all'art. 495 c.p.

Nell'ipotesi in cui la presentazione di un elaborato come proprio in un concorso per l'assunzione agli impieghi dello Stato è realizzata attraverso una falsa dichiarazione sull'identità della propria persona ad un pubblico ufficiale, il reato previsto dalla L. 19 aprile 1925, n. 475 concorre con quello di cui all'art. 495 c.p. essendo inapplicabile il principio di specialità. Infatti il concorso apparente presuppone un medesimo fatto, che è l'imprescindibile termine di paragone delle norme confliggenti. Nel caso, sono diversi i fatti costitutivi delle due ipotesi delittuose; il collegamento strumentale che le unisce non legittima l'assorbimento dell'una nell'altra, imponendo invece l'aggravamento della pena ai sensi dell'art. 61, n. 2 c.p.

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Consulenze legali
relative all'articolo 495 Codice Penale

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G. P. chiede
domenica 27/10/2024
“Il ragazzo ha svolto servizio volontario per 1 anno 4 mesi e 3 giorni (491 giorni) comprensivo di un periodo di convalescenza per malattia e poi congedato per perdita dei requisiti di idoneità fisica.
Successivamente nel 2024 nella domanda di concorso presentata in polizia si è indicato tale periodo di 1 anno 4 mesi e 3 giorni come elevazione del limite di età oltre il 26esimo anno di età. Alla data di domanda il ragazzo aveva 26 e 4 mesi.
L’estratto matricolare caratteristico di servizio ha riportato il periodo dei 491 giorni di servizio(sett2019-genn2021) ed in un riquadro ha invece indicato servizio effettivamente prestato 415 cioè 1 anno 1mese e 20 giorni.
Ai fini del bando di concorso non si deve superare 26 anni e tale limite è elevato in relazione all’effettivo servizio militare
Penso che l’errore sia stato quello di indicare come periodo di servizio 1 anno 4 mesi e 3 giorni e non invece 1 anno 1 mesi e 20 giorni (cioè 415 giorni). Durante il militare ha fatto 74 giorni di malattia per convalescenza. Anche mettendo in domanda il dato di 1 anno 1 mese e 20 giorni (cioè 415 giorni) si sarebbe mantenuto il diritto a partecipare al concorso in quanto si eleva il limite di età di oltre un anno per partecipare al concorso. Mentre bastavano 4 mesi (26 anni e 4 mesi alla data di domanda).
Domanda:
1) Cosa comporta tale errore;
2) Il periodo di convalescenza non viene considerato come servizio effettivo?
Molto probabilmente il ragazzo, mio familiare, non parteciperà al concorso. I controlli delle domande sono preventivi o successivi alla prova scritta? . il bando parla che i controlli possono essere fatti a campione ed il resto sui vincitori.”
Consulenza legale i 08/11/2024
L'art. 495 c.p. prevede che "Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona, è punito con la reclusione da uno a sei anni”. Inoltre, la reclusione non può essere inferiore a due anni nei casi in cui la falsità riguarda lo stato civile o l’identità e le qualità personali.
Questa norma evidenzia la gravità della falsificazione di dati nelle dichiarazioni ufficiali, come quelle rese in una domanda di concorso pubblico.

Tuttavia, l'art. 495 c.p. si applica principalmente a dichiarazioni false che alterano elementi essenziali come l'identità o lo stato civile, o che producono un vantaggio ingiusto. Nel caso di specie, si potrebbe sostenere che l'errore commesso non rientri nella fattispecie prevista dall'art. 495 c.p., in quanto non si tratta di una falsificazione intenzionale per ottenere un vantaggio, ma di un errore materiale.

L'errore commesso nella compilazione della domanda di concorso sembra rientrare nella categoria degli errori materiali compiuti in buona fede.

Considerando la giurisprudenza recente, un errore del genere, che non apporta alcun vantaggio al candidato, potrebbe essere considerato scusabile. La giurisprudenza tende a distinguere tra le dichiarazioni mendaci che incidono sui requisiti fondamentali di partecipazione e quelle che influiscono solo sui titoli di merito.

Nel caso di cui alla sentenza del Tribunale di Brindisi, Sezione Lavoro, n. 2502 del 13 novembre 2019, una candidata aveva erroneamente indicato nella domanda di partecipazione a un concorso pubblico per soli titoli un numero di ore di lavoro superiore a quello effettivo, errore che aveva comportato l'esclusione dal concorso. Il Tribunale di Brindisi ha stabilito che, essendo l'errore in buona fede e non riguardando i requisiti di partecipazione ma solo i titoli di merito, non vi era motivo di escludere la candidata dalla graduatoria. Il giudice ha distinto tra dichiarazioni mendaci che incidono sui requisiti di partecipazione (che giustificano l'esclusione) e quelle che riguardano solo i titoli di merito (che comportano solo la rettifica del punteggio).

Per completezza, si fa presente che con la Sentenza Sez. V, n. 1723 del 21 febbraio 2024, il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo l'annullamento in autotutela della nomina di un vincitore di concorso per aver omesso di dichiarare una condanna penale nella domanda di partecipazione. L'omissione è stata considerata una violazione sostanziale del bando, che richiedeva la completa trasparenza riguardo a precedenti penali, pena l'esclusione. Il Consiglio ha sottolineato che l'adempimento di obblighi dichiarativi è fondamentale per la correttezza delle procedure concorsuali.

Questa sentenza dimostra come la giurisprudenza sia rigorosa quando si tratti di dichiarazioni che riguardano requisiti fondamentali di partecipazione.

Questo potrebbe essere un problema nel caso di specie, in quanto l’errore riguarda proprio un requisito di partecipazione al concorso.

Se, infatti, come requisito fondamentale di partecipazione è richiesto un determinato numero di giorni di servizio, l’indicazione erronea, seppure in buona fede e nonostante i giorni effettivamente prestati superino la soglia indicata dal concorso, potrebbe essere considerato passibile di esclusione.

Tuttavia, la giurisprudenza ha più volte ribadito che la verifica dei requisiti deve essere condotta con attenzione, tenendo conto delle circostanze specifiche. In particolare, la buona fede del candidato potrebbe essere rilevante ai fini della valutazione dell'ammissibilità.

Data la mancanza di dolo e il rispetto sostanziale dei requisiti, l'errore in questione potrebbe non integrare una violazione penalmente rilevante.

Neppure l'errore nella dichiarazione del periodo di servizio dovrebbe comportare l'esclusione dal concorso, poiché il candidato ha comunque soddisfatto il requisito dei 12 mesi di servizio effettivo.

L’errore potrebbe essere considerato un semplice errore materiale compiuto in buona fede, in quanto non ha apportato alcun vantaggio al candidato.

Dalle Istruzioni sui documenti caratteristici del personale delle Forze Armate e dell’Arma dei Carabinieri divulgate dal Ministero della Difesa, si evince che per quanto riguarda la licenza straordinaria di convalescenza, la stessa non concorre alla maturazione dei periodi minimi per la formazione della scheda valutativa o del rapporto informativo. Per questo viene riportato nello statino dei periodi non computabili.

Da tali regolamenti si evince pertanto che il periodo di licenza straordinaria di convalescenza non possa essere computato come servizio effettivamente prestato, nonostante venga solitamente retribuita e concorra ai fini previdenziali.

Peraltro, nelle FAQ del Ministero della Difesa si legge “La formula utilizzata nella norma contrattuale, di “servizio attivo” anziché “servizio effettivamente prestato”, consente di ritenere computabili nello stesso anche le frazioni di periodo lavorativo non coincidenti con il servizio effettivo ma ugualmente retribuite. Circa la formula “servizio attivo”, si ritiene che possano essere ricondotte a "servizio attivo" pressoché tutte le assenze non riconducibili a malattia e/o ad aspettativa, retribuite e che siano computate a tutti gli effetti nell'anzianità di servizio. Dunque, nella nozione di “servizio attivo” possono rientrare le ferie, i cosiddetti “recuperi delle festività soppresse” (L. n. 937 del 1977), i giorni di assenza per terapia salvavita, i permessi sindacali retribuiti (quindi anche i permessi retribuiti per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza), il distacco sindacale, l’interdizione dal lavoro, i congedi di maternità e paternità, i riposi giornalieri (quindi anche i permessi giornalieri) previsti dal D.Lgs. 26/03/2001, n. 151, i permessi ex legge n. 104/1992. Non appare invece riconducibile a “servizio attivo” il congedo di cui all’art. 42, 5° comma, D.Lgs. 151/2001 (che non è retribuito, ma dà titolo soltanto a una indennità assistenziale). La malattia non può essere considerata “servizio attivo” (v. ARAN, orientamento applicativo RAL 1157).

Alla luce di tali orientamenti, sembrerebbe corretta l’esclusione della convalescenza dal computo del periodo effettivamente prestato.


G. P. chiede
mercoledì 31/07/2024
“Nella domanda di concorso Carabinieri invece di indicare, come giudizio del servizio reso, quale volontario Militare, eccezionale si è invece indicato superiore alla media.
Nell'estratto di servizio è indicato eccezionale.
Questo errore nella compilazione della domanda di concorso mi costa 1,5 punti.
infatti con eccezionale il punteggio è 3, con superiore alla media è ridotto a 1,50.
Non avendo alcun vantaggio da ciò, ma solo una valutazione inferiore, dovrei comunque far rettificare la data sulla domanda ormai scaduta; si è nelle fasi successive del concorso.”
Consulenza legale i 30/08/2024
L'art. 495 c.p. prevede che "Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona, è punito con la reclusione da uno a sei anni”. Inoltre, la reclusione non può essere inferiore a due anni nei casi in cui la falsità riguarda lo stato civile o l’identità e le qualità personali.
Questa norma evidenzia la gravità della falsificazione di dati nelle dichiarazioni ufficiali, come quelle rese in una domanda di concorso pubblico.

Tuttavia, l'art. 495 c.p. si applica principalmente a dichiarazioni false che alterano elementi essenziali come l'identità o lo stato civile, o che producono un vantaggio ingiusto. Nel caso di specie, si potrebbe sostenere che l'errore commesso non rientri nella fattispecie prevista dall'art. 495 c.p., in quanto non si tratta di una falsificazione intenzionale per ottenere un vantaggio, ma di un errore materiale che ha anche penalizzato nel calcolo del punteggio.

Inoltre, secondo il bando di concorso trasmesso : “Con la presentazione della domanda di partecipazione al concorso, il candidato, ai sensi dell’articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, si assume le responsabilità penali circa eventuali dichiarazioni mendaci. In caso di dichiarazioni mendaci rese dal candidato, seguirà:
- ai sensi dell’articolo 76, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, la segnalazione alla competente Procura della Repubblica per le valutazioni di competenza;
- l’esclusione dal concorso o, se vincitore dal corso, la revoca della nomina a Carabiniere.”
Stando a quanto previsto dal bando, le dichiarazioni mendaci dovrebbero portare all’esclusione dal concorso.

Tuttavia, l'errore commesso nella compilazione della domanda di concorso, in particolare dove è stato indicato "superiore alla media" invece di "eccezionale" come giudizio del servizio reso, sembra rientrare nella categoria degli errori materiali compiuti in buona fede.

Considerando la giurisprudenza recente, un errore del genere, che non apporta alcun vantaggio al candidato ma anzi penalizza la sua posizione, potrebbe essere considerato scusabile. La giurisprudenza tende a distinguere tra le dichiarazioni mendaci che incidono sui requisiti fondamentali di partecipazione e quelle che influiscono solo sui titoli di merito. Il caso di specie, infatti, riguarda un errore che ha portato a una valutazione inferiore del tuo punteggio, non a un vantaggio illegittimo.

Perciò, è possibile sostenere che l'errore, essendo privo di dolo e avendo un effetto negativo sulla tua candidatura, dovrebbe essere rettificato, anche se la domanda di concorso è ormai scaduta. Si potrebbe argomentare che, data la buona fede e l'assenza di un vantaggio ingiusto, l'amministrazione potrebbe essere disposta a considerare una rettifica del punteggio per riflettere il giudizio corretto ("eccezionale").

Nel caso di cui alla sentenza del Tribunale di Brindisi, Sezione Lavoro, n. 2502 del 13 novembre 2019, una candidata aveva erroneamente indicato nella domanda di partecipazione a un concorso pubblico per soli titoli un numero di ore di lavoro superiore a quello effettivo, errore che aveva comportato l'esclusione dal concorso. Il Tribunale di Brindisi ha stabilito che, essendo l'errore in buona fede e non riguardando i requisiti di partecipazione ma solo i titoli di merito, non vi era motivo di escludere la candidata dalla graduatoria. Il giudice ha distinto tra dichiarazioni mendaci che incidono sui requisiti di partecipazione (che giustificano l'esclusione) e quelle che riguardano solo i titoli di merito (che comportano solo la rettifica del punteggio).

Per completezza, si fa presente che con la Sentenza Sez. V, n. 1723 del 21 febbraio 2024, il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo l'annullamento in autotutela della nomina di un vincitore di concorso per aver omesso di dichiarare una condanna penale nella domanda di partecipazione. L'omissione è stata considerata una violazione sostanziale del bando, che richiedeva la completa trasparenza riguardo a precedenti penali, pena l'esclusione. Il Consiglio ha sottolineato che l'adempimento di obblighi dichiarativi è fondamentale per la correttezza delle procedure concorsuali.

Questa sentenza illustra come la giurisprudenza sia rigorosa quando si tratti di dichiarazioni che riguardano requisiti fondamentali di partecipazione.

Nel caso di cui al presente parere, l’errore circa la valutazione di servizio reso riguarda il punteggio assegnato in base a un giudizio di merito e non un requisito fondamentale di partecipazione. Analogamente alla decisione del Tribunale di Brindisi, si può sostenere che la dichiarazione errata dovrebbe essere considerata un errore scusabile e non doloso, e che la correzione del punteggio sia giustificata.

Un po’ più complessa è la questione relativa al computo del periodo di servizio reso: in questo caso l’errore riguarda un requisito di partecipazione al concorso.

Tuttavia, anche considerando l'errore nella dichiarazione, il periodo di servizio effettivo soddisfa comunque questo requisito. La giurisprudenza ha più volte ribadito che la verifica dei requisiti deve essere condotta con attenzione, tenendo conto delle circostanze specifiche. Inoltre, la buona fede del candidato, dimostrata dal fatto che l'errore è derivato dalla disponibilità tardiva dell'estratto di servizio, potrebbe essere rilevante ai fini della valutazione dell'ammissibilità.

Data la mancanza di dolo e il rispetto sostanziale dei requisiti, l'errore in questione potrebbe non integrare una violazione penalmente rilevante.

Neppure l'errore nella dichiarazione del periodo di servizio dovrebbe comportare l'esclusione dal concorso, poiché il candidato ha comunque soddisfatto il requisito dei 12 mesi di servizio effettivo. Si potrebbe quindi richiedere una rettifica della domanda per riflettere correttamente il periodo di servizio.

Entrambi gli errori commessi nella compilazione della domanda potrebbero, quindi, essere considerati come errori materiali compiuti in buona fede, che non hanno apportato alcun vantaggio al candidato. In particolare, considerando la giurisprudenza favorevole e la natura degli errori, è probabile che l'amministrazione possa accettare la richiesta di rettifica e correggere il punteggio e la dichiarazione del periodo di servizio senza pregiudicare la partecipazione al concorso.


Alessandro T. chiede
domenica 15/03/2020 - Piemonte
“Buongiorno in merito al decreto relativo alle limitazioni di spostamento causate dal coronavirus, ho un quesito da sottoporre circa il mio domicilio che in questo caso non coincide più con la mia residenza.
Prima dell'emergenza ero residente presso un comune della provincia di Novara, insieme a mia madre una persona di settant'anni in terapia per un cancro, quindi persona a rischio da un punto di vista sanitario. Al fine di evitare pericolosi contagi, sopratutto da parte mia nei suoi confronti (sono sano, ma non vi sono certezze), sono andato a vivere da solo, temporaneamente in altro comune in altra provincia (Verbania), all'interno di una roulotte parcheggiata all'interno di un capannone coperto, gentilmente concessomi da un amico. Le bollette sono intestate al mio amico a cui pago solamente i consumi (non ho contratto di locazione, anche perché non pago nulla per il capannone), ma la roulotte è mia. Ora vivo qui, ma solo temporaneamente fino alla fine dell'emergenza Coronavirus.
Se fossi fermato dalla Pubblica Autorità, non potrei dichiarare che dimoro nella residenza in provincia di Novara, vista la distanza sarei sanzionabile; posso invece dichiarare che il mio domicilio é diverso dalla residenza, e che mi sono temporaneamente stabilito in provincia di Verbania (nella roulotte) ?
Rischio sanzioni o posso regolarizzare la mia situazione ?
Devo per forza fare una dichiarazione tramite atto di notorietà ? Se sì a chi ?”
Consulenza legale i 19/03/2020
Per rispondere al quesito, va fatta innanzi tutto una precisazione.

I decreti del Presidente del Consiglio emessi in data 8 e 9 marzo 2020 non utilizzano le locuzioni “residenza” e “domicilio” come tecnicamente sono intesi tali luoghi secondo i dettami civilistici.
Una lettura “di sostanza” dei medesimi impone di concludere che, prescindendo dal luogo di residenza o domicilio, la prescrizione ivi contenuta intima ciascun cittadino a non allontanarsi – se non per comprovate ragioni, necessità o salute – dal luogo dove abitualmente svolge quotidianamente la propria vita.

Nel caso di specie, dunque, vi sarebbero tutte le ragioni per dichiarare che il luogo di “domicilio” attuale è sito in Verbania e che il mutamento dello stesso è dovuto ad un trasferimento da quello precedente al fine di tutelare la salute del convivente, per il quale potrebbe essere fatale un contagio da COVID – 19.

Non occorre alcuna regolarizzazione e alcun atto notorio.

Piuttosto, sarebbe utile avere sempre a disposizione la documentazione clinica attestante il precario stato di salute del convivente ammalato che, di certo, potrebbe confermare la necessità del trasferimento e, di fatto, corroborare la veridicità del mutamento del luogo di “domicilio”.

Vero è che, in tal modo, non si darebbe comunque prova del mutamento del predetto domicilio, ma è altrettanto denegata l’ipotesi che gli agenti delle Forze dell’Ordine possano procedere ad una denuncia a piede libero ritenendo poco credibile che il soggetto accertato non abbia dichiarato il vero sul luogo dove giornalmente vive.

Si consiglia, in ogni caso e data la scarsa “comprovabilità” del mutamento di domicilio, di spostarsi solo per lo stretto indispensabile atteso che, in presenza di uno spostamento ingiustificato, gli agenti accertatori sarebbero molto più invogliati a dubitare della versione offerta dal soggetto accertato e, dunque, a procedere con una denuncia per i reati di cui agli artt. 650 e 495 del codice penale.

Anonimo chiede
martedì 26/02/2019 - Liguria
“Buongiorno,io e mia moglie ci siamo sposati 25 anni fa in italia.Abbiamo divorziato all'estero dopo 10 anni continuando pero' a vivere insieme e non abbiamo mai trascritto il divorzio in Comune. 10 anni fa e' nato un nostro bambino e risultando ancora sposati l'abbiamo dichiarato in ospedale come nostro figlio di genitori sposati e cosi è stato anche in comune.Vorrei sapere se abbiamo contravvenuto all'art.495 c.p. oppure al piu' grave art. 567.Tenendo conto che nostro figlio ora ha 10 anni vorrei sapere la prescrizione dell'art. che ci riguarderebbe,e nel caso trascrivessimo ora il divorzio a cosa andremo incontro??”
Consulenza legale i 04/03/2019
Partendo dal presupposto che la sopra emarginata condotta integri il reato di cui all’art. 495 del codice penale, di seguito si analizzano i termini di prescrizione della fattispecie in questione (termini che sono fissati dalla disciplina del codice penale e non certo dalla giurisprudenza: a tal riguardo ci limitiamo a rilevare che la menzionata sentenza affronta soltanto in via incidentale il tema della prescrizione, mera conseguenza dell’inquadramento della condotta costituente reato nel reato di cui all’art. 495 e non in quello di cui all’art. 494 ).

L’articolo art. 157 del c.p. stabilisce che il tempo necessario ai fini della prescrizione è uguale al massimo della pena edittale per lo stesso prevista.

Ciò a meno che non vi siano degli atti, tecnicamente detti “sospensivi” o “interruttivi”, che, di fatto, dilatano leggermente il termine di prescrizione: in sostanza, in caso di sospensione della prescrizione, per calcolare il termine andranno via via aumentati i periodi di sospensione a quelli già decorsi. Se invece è intervenuta l’interruzione della prescrizione, il termine comincerà a decorrere ex novo dal momento di verificazione dell’atto interruttivo.

In ogni caso, come afferma l’art. 161 del codice penale, in nessun caso gli atti interruttivi e sospensivi possono protrarre il termine di prescrizione per più di un quarto del tempo necessario affinché il reato si prescriva.

I termini di prescrizione di cui all’art. 157 sono definiti intermedi mentre quelli di cui all’art. 161 sono detti massimi.

Orbene, nel caso di specie, ai sensi dell’art. 157 del codice penale, il termine di prescrizione sarebbe di 6 anni e, dunque, il reato sarebbe abbondantemente prescritto.

Lo stesso dicasi in caso di eventi interruttivi e/o sospensivi (che pare non vi siano nel caso di specie visto che non sembra sia mai nato un procedimento penale per la vicenda) atteso che il termine di prescrizione sarebbe di 7 anni e mezzo.

Filippo G. chiede
giovedì 01/03/2018 - Sicilia
“A maggio 2014 sono deceduti entrambi i miei genitori, entrambi erano pensionati INPS. Gli eredi siamo io ed i miei tre fratelli. A luglio 2016 ho presentato all'INPS domanda per la riscossione della mia quota di 1/4 dei ratei di pensione non riscossi dei miei genitori. A novembre 2017 ho chiesto all'INPS notizie su tale mia istanza.
L'INPS mi ha risposto che i ratei di pensione non riscossi sono stati pagati ai miei tre fratelli che hanno fatto domanda prima di me, senza indicarmi tra gli aventi diritto, in pratica hanno fatto la domanda dichiarando che gli eredi erano solo loro tre ed hanno ritirato l'intera somma.
La mia domanda ora è questa:

Il reato di "dichiarazione mendace", in questo caso è un reato perseguibile d'ufficio o a querela di parte?
Se fosse perseguibile d'ufficio, sono applicabili in questo caso, per i funzionari INPS, gli articoli 361 c.p.p. e l'art. 361 c.p.
Nel caso il reato fosse perseguibile solo su querela di parte, posso fare querela ora senza sapere in effetti chi dei miei tre fratelli ha presentato la domanda "mendace", e chi invece ha solo colto i frutti di tale domanda, magari senza colpa?
Ho fatto all'INPS richiesta di avere copia delle domande presentate dai miei fratelli e del provvedimento con il quale l'INPS ha autorizzato i pagamenti, citando gli art. 22 e 24 - comma 7, della legge 241 del 1990, ma in caso di mancata risposta dovrei fare ricorso al tar e certamente i tempi si allungherebbero. Esiste un modo più rapido per farmi dare tali documenti dall'INPS.
A seguito di tale istanza, l'INPS mi ha risposto che si sono attivati per il recupero delle somme indebitamente erogate, e che quando le avranno recuperate provvederanno a versarmele. Io, conoscendo i miei fratelli dubito che ciò accada e che la cosa sia solo una perdita di tempo, quindi vorrei in qualche modo continuare a pressare l'INPS.

Tutto ciò, non per le esigue somme in gioco, ma perché questo è solo l'ennesimo sopruso che subisco dai miei fratelli a seguito della vicenda ereditaria.

Grazie”
Consulenza legale i 09/03/2018
Rispondiamo ai quesiti singolarmente per essere il più chiari possibile.
Se per “dichiarazione mendace” intende una delle fattispecie previste e punite dagli artt. 495 e seguenti del codice penale (sebbene derubricate in modo differente), la risposta è che si tratta di reati procedibili d’ufficio, essendo particolarmente pericolosi e insidiosi sia per il singolo che per lo Stato.
Rispetto al quesito riguardante gli artt. 361 c.p.p. e c.p., va detto quanto segue.
L’art. 361 c.p. è in astratto applicabile. Ciò sia perché il reato è, appunto, procedibile d’ufficio, sia per il fatto che è da tempo che la giurisprudenza ritiene il funzionario INPS un Pubblico Ufficiale. Nel caso di specie, tuttavia, non è detto che il funzionario abbia avuto gli strumenti per “accorgersi” del reato commesso dai Suoi fratelli nel momento in cui questi hanno proceduto a presentare la domanda all’INPS. Obbligo che, invece, è sicuramente nato nel momento in cui i funzionari INPS hanno da Lei appreso l’inganno perpetrato dai Suoi fratelli.
L’art. 361 disciplina invece un mezzo di ricerca della prova adottabile dal Pubblico Ministero in qualsiasi circostanza e, dunque, anche nel caso di specie. Va comunque detto che, a livello statistico, è uno strumento d’indagine molto poco utilizzato, e, dunque, farei poco affidamento sulla sua esecuzione.
Quanto invece alla querela:
  • Se il reato è perseguibile a querela, questa può essere proposta entro 3 mesi dalla conoscenza del fatto;
  • Se il reato è perseguibile d’ufficio, la querela (che in realtà si chiamerebbe denuncia-querela) può essere proposta anche una volta decorsi i 3 mesi di cui sopra.
In entrambi i casi, comunque, Lei può sicuramente procedere pur senza conoscere chi dei suoi fratelli ha presentato la dichiarazione mendace e chi, invece, ne ha solo approfittato.
In tal caso, onde evitare controquerele per calunnia, basterà assicurarsi di usare il condizionale nella redazione dell’atto e segnalare alla Procura che Lei non è effettivamente a conoscenza di chi, per primo, abbia ideato il progetto criminoso e, dunque, dopo una ricostruzione in fatto più accurata possibile, procedere a denunciare contro ignoti: a quel punto sarà il Pubblico Ministero, dopo le sue indagini, a esercitare l’azione penale contro chi ritiene sia effettivamente il colpevole del reato.
Riguardo alla documentazione, non v’è un modo più rapido.
Tenga comunque conto che, se quello che Le interessa è la “giustizia”, dovrebbe seriamente pensare di procedere penalmente.
In tal modo non solo vedrebbe la documentazione falsa depositata (che sarebbe trasmessa con maggiore solerzia dall’INPS al Pubblico Ministero) ma avrebbe anche la possibilità di costituirsi parte civile nel procedimento penale e di ottenere il risarcimento dei danni morali e materiali patiti e patendi.

Mario chiede
mercoledì 06/04/2016 - Calabria
“Sono stato chiamato dal pm per un interrogatorio. Al momento della mia identificazione mi verrà chiesto il titolo di studio? Se dico di essere laureato ed invece sono solo diplomato a che tipo di conseguenze andrei incontro? Il titolo di studio rientra nella disciplina dell'art 66 cpp o in quello dell'art 21 disp attuative?”
Consulenza legale i 12/04/2016
Nel condurre l'interrogatorio dell'imputato, egli viene invitato a indicare le proprie generalità (art. 66 c.p.p.). Non vi è una norma che imponga specificamente di chiedere e quindi verbalizzare il titolo di studio dell'interrogato, tuttavia è prassi comune che lo stesso dichiari quale sia il titolo di studio più alto in suo possesso (diploma, laurea, ...).
Pertanto, è del tutto probabile che nel caso di specie il Pubblico Ministero chieda anche il titolo di studio.

La condotta dell'imputato che, sottoposto ad interrogatorio, menta sul proprio titolo di studio, è astrattamente riconducibile al reato di cui all’articolo 495 del codice penale, che così recita:

Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.
La reclusione non è inferiore a due anni:
1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile;
2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa all’autorità giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome.


La fattispecie è volta a tutelare la pubblica fede che può essere lesa attraverso condotte idonee ad alterare il contrassegno personale della persona fisica propria o altrui. E’ un reato di pericolo essendo sufficiente la lesione in senso giuridico del bene.
Si tratta di un reato comune in quanto può essere commesso da chiunque, ma è prevista un'aggravante proprio per il caso in cui la falsa dichiarazione provenga da un imputato o indagato sottoposto ad interrogatorio.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, "Integra il delitto di cui all'art. 495 c.p. la falsa attestazione dell'indagato alla polizia giudiziaria - delegata dal p.m. all'interrogatorio del predetto - in ordine ai propri precedenti penali; né ha rilievo, a tal fine, la circostanza che l'art. 66 comma 1 c.p.p. limiti l'obbligo di rispondere del soggetto interrogato alla dichiarazione delle generalità e di quelle strettamente finalizzate alla sua identificazione, con esclusione, pertanto, della dichiarazione relativa ai precedenti penali, prevista dall'art. 21 disp. att. c.p.p., alla quale si può ben rifiutare di rispondere senza incorrere in responsabilità penale; tuttavia, qualora si risponda a tale domanda in modo contrario al vero ricorrono gli estremi del reato di cui all'art. 495 c.p." (Cassazione penale, Sez. V, 6 marzo 2007, n. 18677).

La giurisprudenza di merito interpreta la norma attribuendo natura di qualità personale ad ogni attributo che, distinguendo l'individuo, risulti avere interesse per l'autorità interrogante. Si pensi, ad esempio, la rilevanza che il titolo di studio riveste rispetto al caso dell'imputato che sia accusato di aver esercitato abusivamente una professione che presuppone il conseguimento di una certa laurea.

Sulla nozione di "qualità personali" di cui all'art. 495 c.p., secondo la dottrina (cfr. Glorioso) rientrano in tale nozione "gli attributi ed i modi di essere che servono ad integrare l'individualità di un soggetto, e cioè sia le qualità primarie, quali sono quelle concernenti l'identità e lo stato civile delle persone, sia le altre qualità che pure contribuiscono ad identificare le persone, quali la professione, la dignità, il grado accademico, l'ufficio pubblico ricoperto, una precedente condanna e simili".

Si ritiene, quindi, che dare una falsa informazione circa il proprio titolo di studio possa configurare il reato di falso di cui all'art.495 c.p.

Marina chiede
giovedì 10/06/2010
“Non sarebbe corretto più corretto scrivere quanto segue "Chiunque dichiari o attesti falsamente l'identità..." invece di: "Chiunque dichiara o attesta falsamente l'identità..." ? Ossia usare il congiuntivo al posto dell'indicativo.”

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