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Articolo 123 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Simulazione

Dispositivo dell'art. 123 Codice Civile

Il matrimonio può essere impugnato da ciascuno dei coniugi quando gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso discendenti [143](1).

L'azione non può essere proposta decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio ovvero nel caso in cui i contraenti abbiano convissuto come coniugi(2) successivamente alla celebrazione medesima [119, 120, 122, 2964].

Note

(1) La simulazione del matrimonio deve avere come oggetto gli obblighi e (il mancato esercizio de)i diritti discendenti dallo stesso. L'accordo simulatorio impugnabile dovrà aver escluso dalla vita matrimoniale gli obblighi cd. accessori, come l'obbligo di fedeltà discendente dall'art. 143 del c.c., mentre l'impugnazione sarebbe preclusa nel caso di esclusione accordata dei cd. obblighi essenziali (quale, secondo la giurisprudenza, la coabitazione).
(2) La sanatoria prevista nel co. 2 consiste nella creazione del cd. consorzio coniugale atto a configurare la comunione materiale e spirituale, e quindi una figura ben diversa da quella delineata agli artt. 119, 120 e 122. Ove si sia costituita tale comunione, non potrà dichiararsi la simulazione del matrimonio, sebbene possa comunque delibarsi la sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità (che risponde ad altri principi e poggia su diversi presupposti).

Ratio Legis

Con tale norma il legislatore conferisce alle parti il potere di impugnare un accordo matrimoniale simulato, onde rimuoverne l'apparenza creata (si tratta di una ulteriore espressione del principio della certezza del diritto). La natura è quella di azione di nullità, pur se controversa e avente caratteri simili all'azione di annullabilità (es. la decadenza dall'azione).

Brocardi

Simulatae nuptiae nullius momenti sunt

Spiegazione dell'art. 123 Codice Civile

Fonti della norma

Questo articolo e identico al corrispondente art.719 del vecchio codice ed e disposizione di semplice rinvio alle leggi speciali.

Fra queste la più importante, fino a quando non sarà entrato in vigore il nuovo « Codice della navigazione », e Codice per la marina mercantile del 24 ottobre 1877, quale all'art. 135 dispone che « chiunque avrà accolto o ricuperato oggetti provenienti da naufragio o da altro sinistro di mare, dovrà farne immediatamente la consegna all'autorità marittima o consolare o in mancanza di queste all'autorità locale o alla persona che dirige le operazioni di recupero. Egli avrà soltanto diritto al rimborso delle spese e a una mercede per le fatiche del recupero ». Con R. D. Legge del 2 ottobre 1919 n. 2090 è stabilita la presunzione che gli oggetti raccolti e recuperati durante la guerra in mare o lungo il litorale del Regno e delle Colonie si presumono provenienti da sinistro di mare.

Gli art. 135 seguenti del citato codice di marina mercantile provvedono circa le merci, attrezzi, vestiti, valori e altri oggetti d'ignota provenienza trovati nel litorale dello Stato, o in mare, imponendone la denuncia all'autorità marittima a meno che il loro valore sia inferiore a cinque lire.

All'inventore è attribuito un premio ma la proprietà della cosa recuperata spetta allo Stato. Nelle sezioni seconda, terza e quarta del capo XXI (Dei naufragi e dei recuperi) del Regolamento 20 novembre 1879 n. 5166 per l'esecuzione del T.U. del codice per la marina mercantile, successivamente e ripetutamente modificato, e particolarmente disciplinata tutta la materia anche per la parte amministrativa.


Disciplina dei relitti nel nuovo codice della navigazione

Il nuovo Codice della navigazione pubblicato il 31 gennaio 1941, entrato in vigore il 21 aprile 1942, regola il ritrovamento dei relitti negli art. 487 a 490. Esso originariamente fissava in lire cinquanta il valore al di sotto del quale non si è obbligati a fare la denunzia degli oggetti ritrovati all'autorità marittima e la consegna al proprietario, se conosciuto, o all'autorità marittima medesima, e concede al ritrovatore, oltre il rimborso delle spese, un premio pari alla terza parte del valore delle cose ritrovate se il ritrovamento e avvenuto in mare, ovvero alla decima parte fino alle diecimila lire di valore e alla ventesima per il soprappiù, se il ritrova-mento e avvenuto in località del demanio marittimo.

I cetacei arenati sul litorale appartengono allo Stato, al quale sono pure devoluti gli oggetti di interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, nonché le armi, le munizioni e gli apparecchi militari, quando il proprietario non curi di ritirarli ovvero non si presenti tempestivamente — e cioè, a norma dell'art. 485, — entro due anni dal deposito della cosa presso l'autorità marittima.

Quanto « alle piante e alle erbe che crescono lungo le rive del mare » indicate nell'art. 932 di questo codice, non vi è dubbio che esse facciano parte del demanio marittimo e come tali sono considerate con la parola « alghe » dall'art. 51 del codice della navigazione, il quale dispone che la loro estrazione e raccolta, al pari di quelle di arena e di ghiaia, sia subordinata alla concessione del capo del compartimento.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

100 Nell'art. 123 del c.c. non si è creduto di stabilire un termine di due anni per l'annullamento del matrimonio per impotenza, come era stato suggerito. Una norma siffatta, senza precedenti neanche nelle legislazioni straniere, sarebbe, oltre che ingiustificata, pericolosa, in quanto indurrebbe i coniugi a impugnare il matrimonio entro due anni per evitare la decadenza; mentre, non essendo fissato un termine, in molti casi tale impugnativa non verrà più promossa per circostanze sopravvenute e particolarmente per i legami affettivi che la vita comune fa sorgere tra i coniugi. Il secondo comma dell'articolo si occupa della impotentia generandi. Il progetto definitivo cominciava con l'escludere che l'impotenza di generare potesse essere proposta come causa di nullità del matrimonio, ma poi consentiva l'impugnativa del matrimonio da parte di uno dei coniugi se l'altro mancasse di organi necessari per la generazione. E' stato proposto di sostituire al criterio della "mancanza di organi necessari per la generazione "quello della esistenza di "organi costituzionalmente incapaci alla generazione". Ma tale proposta in realtà trasformerebbe il contenuto della disposizione; e, mentre da un lato estenderebbe notevolmente la possibilità di annullamenti matrimoniali attraverso indagini non sempre facili né sicure circa la incapacità funzionale, escluderebbe, dall'altro, senza giustificazione, casi più gravi come quello di mancanza completa di organi necessari alla generazione, quando non fosse costituzionale ma acquisita anteriormente al matrimonio. Si pensi per esempio all'estirpazione dell'utero e delle ovaie. E' sembrato quindi preferibile mantenere la disposizione entro gli stessi limiti del progetto definitivo. L'accertamento facile e sicuro del caso contemplato esclude incertezze e pericoli di abusi. Ma pure lasciandosi immutata la sostanza della disposizione, si è ritenuto opportuno modificarne la formulazione per eliminare quella certa contraddizione che vi era tra la dichiarazione che l'impotenza di generare non è causa di nullità del matrimonio e l'ammettere l'impugnazione del matrimonio in una ipotesi che costituisce un caso d'impotenza di generare. E' sembrato che il pensiero dovesse esprimersi più nettamente, senza tentennamenti, col dichiarare che l'impotenza di generare può essere proposta come causa di nullità del matrimonio nel solo caso che uno dei coniugi manchi di organi necessari per la generazione. Limitata a questo solo caso, l'ammissione della impotenza di generare non può destare quelle preoccupazioni che si manifestarono in maniera molto vasta allorché da taluni si auspicava di contemplare l'impotenza di generare come causa generale di nullità matrimoniale. Né si può dire che venga a crearsi un profondo divario con la legislazione canonica, da cui è retta la maggioranza dei matrimoni in Italia, perché il caso preso in considerazione è quello sul quale anche fra i canonisti vi è una copiosa letteratura. E' opportuno in ogni modo precisare che la disposizione dettata circa l'impotenza di generare, di cui si occupa il secondo comma dell'art. 123, non intende limitare in alcun modo il campo di applicazione del primo comma dell'articolo medesimo che riflette l'impotentia coeundi. La nozione di questa rimane quindi immutata nella sua piena estensione, quale è stata sempre tradizionalmente intesa dalla nostra dottrina civilistica, la quale in questa parte è modellata su quella canonica. Di conseguenza tutte le volte che la mancanza di organi necessari per la generazione importa impotentia coeundi, l'annullamento del matrimonio sarà regolato dalla disposizione del primo comma dell'art. 123, senza le condizioni e limitazioni stabilite nel secondo comma. Le disposizioni dettate in questo ultimo comma trovano quindi praticamente applicazione, quando la mancanza di organi necessari alla generazione sia tale da non produrre, a stretto rigore, l'impotentia coeundi, come può avvenire per es. quando una donna o per costituzione o per operazioni subite sia priva del tutto degli organi necessari alla generazione.

Massime relative all'art. 123 Codice Civile

Cass. civ. n. 16221/2015

È manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale, per contrarietà all'art. 2 Cost., dell'art. 123 c.c. nella parte in cui stabilisce che il matrimonio simulato non può essere impugnato decorso un anno dalla celebrazione indipendentemente dalla mancata convivenza tra i coniugi, posto che non viene in considerazione il diritto di formare una nuova famiglia (avuto riguardo all'eventualità di contrarre nuove nozze), quanto la possibilità, di segno opposto, di rescindere il vincolo già contratto.

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