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Articolo 489 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/10/2024]

Uso di atto falso

Dispositivo dell'art. 489 Codice Penale

Chiunque, senza essere concorso [110] nella falsità, fa uso(1) di un atto falso soggiace alle pene stabilite negli articoli precedenti, ridotte di un terzo [493bis].

[Qualora si tratti di scritture private(2), chi commette il fatto è punibile soltanto se ha agito al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio(3) o di recare ad altri un danno [491].](4)

Note

(1) Il riferimento è all'uso conforme alla funzione giuridica tipica del documento falsificato, quindi consiste in qualsiasi condotta, a patto che questa avvenga in un contesto idoneo, ad esempio in giudizio.
(2) Il concetto di scrittura privata è qui inteso in senso ampio, ovvero comprensivo di tutti gli atti che sono potenzialmente produttivi di effetti giuridici.
(3) La disposizione in esame non si riferisce esclusivamente al vantaggio patrimoniale, quindi può consistere in qualsiasi utilità anche di natura morale e temporanea.
(4) Comma abrogato dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7.

Ratio Legis

L'intenzione del legislatore è quella di punire la protrazione dei reati di falso, anche in mancanza di concorso nel reato.

Spiegazione dell'art. 489 Codice Penale

I delitti di falsità in atti sono caratterizzati, nonostante qualche opinione dissenziente, da una natura plurioffensiva.

Essi, infatti, in via immediata e diretta tutelano il bene giuridico della fede pubblica, da individuarsi nella fiducia che la collettività ripone nella verità e genuinità di determinati documenti e nella speditezza e certezza della loro circolazione, mentre, in via medita ed indiretta, viene altresì tutelato l'interesse specifico che il documento genuino, quanto alla provenienza, e veridico nel suo contenuto, garantisce.

L'importanza del bene giuridico tutelato ha fatto propendere il legislatore per la punibilità anche di chi non sia concorso nella produzione falsa di un atto, ma che tuttavia ne faccia uso, protraendo le conseguenze negative dell'originale falsificazione.

Difatti, colui che abbia fatto uso dell'atto da lui stesso falsificato, risponde del delitto di cui all'articolo 485.

La norma opera una distinzione, a seconda che si faccia utilizzo di un atto pubblico o di una scrittura privata.

Così, mentre per l'atto pubblico è sufficiente il mero utilizzo caratterizzato dal dolo generico, per la scrittura privata è invece necessario il dolo specifico di procurare a sé o al altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, anche non patrimoniale.

Massime relative all'art. 489 Codice Penale

Cass. pen. n. 836/2020

Integra il reato di uso di atto falso la condotta di colui che espone sulla propria autovettura la riproduzione fotostatica di un "permesso di parcheggio riservato ad invalidi" interamente contraffatto, ove tale documento abbia l'apparenza e sia utilizzato come l'originale.

Cass. pen. n. 30740/2019

In tema di reati contro la fede pubblica, la nozione di uso di atto falso comprende qualsiasi modo di avvalersi del falso documento per uno scopo conforme alla natura dell'atto, con la conseguenza che ad integrare il reato è sufficiente la semplice esibizione del documento falso, quale che sia il significato che il soggetto intenda attribuire all'atto in esso contenuto. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva ritenuto integrato il reato di cui all'art. 489 cod. pen. dalla condotta del conducente di un autoveicolo che, nel corso di un controllo di polizia, aveva esibito un permesso internazionale di guida, risultato contraffatto, ritenendo l'irrilevanza dell'inidoneità di tale permesso a provare, in assenza di patente straniera, il possesso dell'abilitazione a guidare, e l'idoneità ad ingannare la fede pubblica, trattandosi di un certificato dotato di un proprio contenuto giuridico e probatorio, sia intrinseco, ai fini della dimostrazione dell'esistenza di quanto in esso certificato, sia estrinseco, avendo potenziale rilievo autorizzatorio se abbinato ad un altro atto).

Cass. pen. n. 10336/2019

La clausola di sussidiarietà prevista dall'art. 489 cod. pen. (uso di atto falso) non si applica quando l'agente non abbia concorso nella falsità (nella specie contraffazione della patente di guida integrante il reato di cui agli artt. 477 e 482 c.p.) ovvero non si tratti di concorso punibile, sicché sussiste il reato di uso di atto falso quando la falsificazione non è punibile per intervenuta prescrizione e l'agente abbia fatto uso dell'atto.

Cass. pen. n. 4951/2017

L'uso di scrittura privata falsa non è più previsto dalla legge come reato a seguito dell'abrogazione dell'art. 491, comma secondo, cod. pen. da parte del D.Lgs. n. 7 del 2016, né detta condotta può integrare il reato di cui all'art. 491, comma primo, cod. pen. in quanto le scritture private non possono essere ricondotte al concetto di "atto falso" il cui uso è punito da tale disposizione sia per l'espressa eliminazione della norma che le riguardava, sia per l'abrogazione del reato di falso in scrittura privata di cui all'art. 485 cod. pen., che costituiva il parametro sanzionatorio di riferimento, sia perché per la punibilità dell'uso di scrittura privata falsa, a differenza della fattispecie di cui al primo comma della medesima disposizione, era richiesta la sussistenza del dolo specifico.

Cass. pen. n. 51414/2013

Integra il delitto di uso di atto falso, la condotta del soggetto che esibisce alla polizia, durante un controllo, un falso libretto di circolazione e una falsa procura speciale.

Cass. pen. n. 22578/2010

Non integra il reato di uso di atto falso (art. 489 c.p.), l'esposizione sulla propria auto della fotocopia di un permesso di parcheggio riservato agli invalidi, qualora si tratti di fotocopia, come nella specie, realizzata in bianco e nero, che, in quanto tale non può simulare l'originale, palesando chiaramente la sua natura di riproduzione fotostatica, posto che, in tal caso, non sussiste il dolo generico che caratterizza il reato in questione.

Cass. pen. n. 27915/2009

Integra il reato di uso di atto falso (art. 489 c.p.) la condotta di colui che esponga nel cruscotto dell'auto, posteggiata in zona contrassegnata dall'obbligo di pagamento della sosta, una riproduzione fotostatica di contrassegno con autorizzazione al parcheggio di autoveicoli di proprietà di invalidi, in quanto, in tal caso, sussiste un'attività di contraffazione, intesa come imitazione fraudolenta di un documento, nella specie autorizzativo, individuato da specifiche caratteristiche formali, in modo da fare apparire la riproduzione come originale del quale ripete le caratteristiche.

Cass. pen. n. 42093/2008

I diplomi di laurea rilasciati da Università straniere non acquistano valore di titoli legali nello Stato, se non a seguito di un'apposita procedura di "exequatur". Ne consegue che non è vietato l'uso in sé di essi, anche se ideologicamente falsi, ma solo quello finalizzato ad ottenerne il riconoscimento in Italia come titoli legali. (Fattispecie relativa a sequestro di diplomi di laurea conseguiti da giovani italiani all'estero attraverso false dichiarazioni di frequenza di corsi di laurea, in relazione ai quali la Corte ha escluso la configurabilità di un diritto alla restituzione in capo ad essi, incompatibile con l'affermata loro estraneità al reato).

Cass. pen. n. 6520/2007

Integra il reato di uso di atto pubblico falsificato dal privato (artt. 476, 482, 489 c.p.), la condotta di colui che presenta all'ufficio stranieri della Questura una ricevuta di vaglia postale telegrafico internazionale alterata nelle generalità del mittente, in quanto rientra nella nozione di atto pubblico, ancorché non fidefaciente, il modello 1/a in cui l'ufficiale postale, che accetta il vaglia ordinario, trascrive le generalità del mittente e del destinatario, il luogo di destinazione e l'importo del vaglia, considerato che tale operazione (ricevimento del vaglia) appartiene alla sfera di attività direttamente compiuta dal pubblico ufficiale e caduta sotto la sua percezione. Né rileva, ai fini della configurabilità del reato in questione, il fatto che l'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni, già trasformata in ente pubblico economico (Ente poste italiane), con D.L. 1 dicembre 1993, n. 487, conv. in legge 29 gennaio 1994, n. 71, sia stata successivamente trasformata in società per azioni a far data dal 28 febbraio 1998 per effetto della delibera CIPE del 18 dicembre 1997.

Cass. pen. n. 40650/2006

Integra il delitto di uso di atto falso (489 c.p.), la condotta del cittadino straniero che esibisca agli organi di polizia, in occasione di controlli effettuati in Italia, il passaporto falsificato nella data di scadenza e nel codice di sicurezza, considerato che egli — ancorché non punibile, in difetto della condizione di procedibilità costituita dalla richiesta ministeriale, ex art. 10 c.p., per il delitto di cui all'art. 482 (falso materiale del privato in certificazione amministrativa commesso all'estero) — ha, tuttavia, fatto uso di un atto falso che costituisce una progressione criminosa delle condotte di falsificazione, punibile autonomamente solo se commesso da chi non abbia partecipato all'“editio falsi» o, comunque, per tale fatto non sia punibile, come nella specie in virtù del succitato art. 10 c.p., sicché nessun rilievo svolge, a tali fini, la circostanza che al contraffattore venga contestata solo la contraffazione, anche quando abbia fatto uso del documento contraffatto.

Cass. pen. n. 10391/2006

Integra il reato di uso di atto falso (art. 489 c.p.), la condotta del soggetto che espone sull'auto — parcheggiata in zona a traffico limitato, consentita solo ai titolari di validi permessi — la falsa copia del permesso di parcheggio per invalidi, considerato che la riproduzione fotostatica di un documento originale integra il reato di falsità materiale quando si presenta non come tale ma con l'apparenza di un documento originale atto a trarre in inganno.

Cass. pen. n. 65/2006

In materia di falso, il concorso nel reato, che esclude la punibilità della diversa ipotesi criminosa prevista dall'art. 489 c.p. (uso di atto falso), deve configurarsi in termini di concreta punibilità. Ne consegue che, se la falsificazione è stata commessa all'estero e non vi sia la richiesta del Ministro della giustizia ex art. 10 c.p., il soggetto che abbia prodotto o concorso a produrre l'atto falso risponde, ricorrendone le condizioni, del reato di uso dello stesso, ai sensi dell'art. 489 c.p. (Fattispecie relativa alla contraffazione dei dati anagrafici su un passaporto di Paese straniero e su un visto di ingresso in Italia, esibiti alla frontiera).

Cass. pen. n. 43341/2005

Ai fini dell'integrazione del reato di uso di atto falso (art. 489 c.p.), è necessario che l'agente non abbia concorso nella falsità o che non si tratti di concorso punibile; ne deriva che sussiste il reato in questione quando la falsificazione non è punibile perché commessa all'estero, in difetto della condizione di procedibilità rappresentata dalla richiesta del Ministro della Giustizia ex art. 10 c.p., e l'agente abbia fatto uso dell'atto nello Stato. (Fattispecie nella quale un soggetto straniero aveva esibito un passaporto contraffatto, all'ingresso nello Stato. La Corte ha annullato con rinvio la sentenza con la quale il giudice aveva affermato, sulla base di presunzioni, che la falsificazione fosse avvenuta all'estero su istigazione dell'imputato, chiedendo la prova certa del fatto, quale condizione per escluderne la rilevanza dai sensi dell'art. 489 c.p.).

Cass. pen. n. 42649/2004

Nell'ipotesi in cui taluno faccia uso di un documento falsificato recante un'impronta contraffatta è configurabile solo il reato di cui all'art. 489 c.p. e non anche, in concorso, quello di cui all'art. 469 c.p., giacché tale ultima disposizione, là dove prevede come punibile la condotta di chi fa uso della cosa recante l'impronta contraffatta, definisce una condotta del tutto sovrapponibile a quella prevista dall'altra disposizione.

Risponde a norma dell'art. 489 c.p., per l'uso del documento contraffatto, l'autore della contraffazione che non risulti punibile a seguito di estinzione del reato.

Cass. pen. n. 25881/2004

Integra il reato di uso di atto falso (art. 489 c.p.) l'utilizzo, mediante presentazione ai funzionari del competente dipartimento trasporti, di documenti stranieri contraffatti per ottenere l'immatricolazione in Italia di veicoli i cui dati di iscrizione erano falsi. (Nella fattispecie, venivano immatricolati come «veicoli» dei fuoristrada, senza il rispetto dell'originaria qualifica di «autocarri» e, come tali, inidonei alla circolazione stradale in Italia e non suscettibili di rilascio delle targhe e di iscrizione del veicolo al P.R.A. ed era ritenuto, pertanto, legittimo il sequestro di tutti i relativi documenti di circolazione, quale corpo di reato).

Cass. pen. n. 21651/2004

Ai fini dell'integrazione del reato di uso di atto falso (art. 489 c.p.), è necessario che l'agente non abbia concorso nella falsità o che non si tratti di concorso punibile; ne deriva che sussiste il reato in questione quando la falsificazione non è punibile perché commessa all'estero, in difetto della condizione di procedibilità rappresentata dalla richiesta del Ministro della Giustizia ex art. 10 c.p., e l'agente abbia fatto uso dell'atto nello Stato.

Cass. pen. n. 26173/2003

Ai fini dell'individuazione della condotta di uso, rilevante per la configurazione del reato di cui agli artt. 489 e 485 c.p., assume rilievo la funzione rappresentativa del documento usato e non già quella dell'atto documentato. Ne consegue che l'uso del documento è penalmente rilevante quando il soggetto disponga materialmente del documento, e dunque dell'oggetto rappresentativo, quale che sia il significato che intenda attribuire all'atto in esso contenuto. (Nel caso di specie, la S.C. ha escluso che, ai fini del reato in questione, costituisca condotta penalmente rilevante il mero comportamento processuale di chi, convenuto in un giudizio civile per l'esecuzione specifica di un preliminare di vendita contraffatto, si difenda nel merito, proponendo anche domanda riconvenzionale per chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento dell'attore).

Cass. pen. n. 21231/2001

Nel delitto di uso di atto falso, la nozione di uso comprende qualsiasi modalità di avvalersi del falso documento per uno scopo conforme alla natura — quantomeno apparente — dell'atto; ne consegue che, ad integrare il reato, basta la semplice esibizione del documento falso. (Fattispecie relativa alla esibizione di una falsa patente rilasciata da uno stato extraeuropeo e non abilitante alla guida di veicoli in Italia).

Cass. pen. n. 12640/2001

Nel delitto di uso di atto falso, la nozione di uso comprende qualsiasi modo di avvalersi del falso documento per uno scopo conforme alla natura dell'atto; ad integrare il reato basta, pertanto, la semplice esibizione del documento falso. (In applicazione di tale principio la Corte ha escluso la sussistenza del reato in un'ipotesi in cui non risultava provato che dell'atto falso l'imputato avesse fatto uso, neppure mediante esibizione).

Cass. pen. n. 3363/1999

In materia di falsità in atti, il delitto previsto dall'art. 489 c.p. (uso di documento falsificato, senza concorso nella falsificazione) tutela l'interesse dell'autore apparente del documento, comunque leso dalla sua utilizzazione, che ne rende riferibili a lui gli effetti giuridici; se, pertanto dall'uso della cambiale falsificata può derivare pregiudizio all'interesse di un soggetto diverso dal titolare della firma di girata falsificata (sicché anche a costui può riconoscersi il diritto di querela), non viene meno tuttavia l'analogo diritto dell'apparente girante.

Cass. pen. n. 1290/1983

Il primo uso dell'atto da parte di chi lo abbia falsificato o di chi sia concorso con l'autore nella falsificazione costituisce il reato di cui all'art. 485 c.p. e non già la minore ipotesi di cui all'art. 489 c.p., la quale può configurarsi solo nel caso di uso successivo alla consumazione del delitto, che richiede la falsificazione del documento e un primo atto d'uso.

Cass. pen. n. 1978/1982

Colui che — pur non avendo materialmente falsificato un titolo di credito — abbia per primo fatto uso del medesimo, d'intesa con l'autore materiale della falsificazione od essendo comunque consapevole della falsità, deve rispondere del reato previsto dall'art. 491 c.p. (in relazione agli artt. 476, 482 e 485 stesso codice) e non già di quello previsto dall'art. 489 c.p., il quale presuppone la già avvenuta consumazione del delitto di falsità in atti.

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Consulenze legali
relative all'articolo 489 Codice Penale

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Claudio B. chiede
giovedì 06/07/2017 - Piemonte
“Mi riferisco al prossimo processo ai danni di Fabrice Dugerdil (Savoya - Francia ) che però potrebbe interessare anche l'Italia. Chiedo se esiste uguale legislazione in Italia. In pratica Fabrice Dugerdil ( basta cercare in rete) è un indipendentista della Savoya Francese che insieme ad indipendentisti di Nizza e del Piemonte progettano uno stato transalpino ( esistito storicamente per 600 anni ) : "Gli Stati Di Savoia: Piemonte, Savoya, Contea di Nizza, Valle d'Aosta". Il Sig. Dugerdil contro il centralismo francese ha creato di sana pianta carte di identità per nulla confondibili con i documenti ufficiali francesi, e targhe auto emesse dall'ipotetico stato di Savoya. La legislazione francese lo ha portato a processo penale in quanto egli si è rifiutato di pagare la sanziona amministrativa: Est puni d'un an d'emprisionnement et de 150000 euro d'ammente le fait d'etablir une attestation ou certificat faisand état de fait meteriallemente inesacts.... Le peines sont portées à trois ans d'emprisonnement et à 45000 euro d'amende lorsque l'infraction est commise en vue de porter préjudice au Trésor Public ou au patrimonie d'autri." In Italia è punito chi crea un documento falso ovvero chi crea un facsimile uguale e non distinguibile dal documento ufficiale. Ma non esiste a mio parere un reato per chi emette una carta di identità che non trova pari documento ufficiale. Se ad esempio si dovesse stampare una carta di Identità, assolutamente diversa dalla italiana e ben distinguibile, ma con emissione da parte dello "Stato di Savoya" o "Repubblica del Piemonte" ecc. ecc. Esiste un reato penale o sanzione amministrativa che potrebbe prevedere questo caso ? Un documento giuridicamente inesistente secondo me non può essere considerato falso in quanto non esiste quello ufficiale.”
Consulenza legale i 15/07/2017
Il falso può essere materiale o ideologico.

Il primo si verifica quando un documento è stato oggetto di:
— contraffazione: il documento è stato posto in essere da persona diversa da quella che appare esserne l'autore;
— alterazione: al documento, redatto da chi ne appare autore, sono state apportate, posteriormente alla sua redazione, modifiche di qualsiasi genere da parte di altro soggetto non legittimato.

Il falso materiale, escludendo la genuinità del documento, può dunque riguardare in alternativa l'autore, la data, il luogo di formazione o il contenuto.

Il falso ideologico sussiste quando il documento, non contraffatto né alterato, contiene dichiarazioni non corrispondenti al vero: nel falso ideologico dunque, è lo stesso autore del documento ad attestare fatti non rispondenti al vero (es.: attestazione di una data non vera).

La dottrina più recente ha proposto un diverso criterio distintivo, configurando il falso materiale nel caso in cui il documento sia stato emesso da soggetto non legittimato, ed il falso ideologico nel caso in cui sia stato emesso da soggetto legittimato, che tuttavia abbia disatteso l'obbligo di attestare cose conformi il vero.

Ai fini della punibilità:
— le falsità materiali, se giuridicamente rilevanti, sono sempre punibili;
— le falsità ideologiche sono punibili se giuridicamente rilevanti e cioè se l'autore del falso ha disatteso l'obbligo giuridico di attestare il vero.

Il cd. falso innocuo. Come è noto, si parla di falso innocuo (o inutile o superfluo) quando la condotta, pur incidendo sul significato letterale di un atto (falso ideologico) o di un documento (falso materiale), non incide sul suo significato di comunicazione, così come esso si manifesta nel contesto, anche normativo, della formazione e dell'uso, effettivo o potenziale, dell'oggetto.

In tal caso la punibilità del falso è esclusa per inidoneità dell'azione tutte le volte che l'alterazione appaia del tutto irrilevante ai fini dell'interpretazione dell'atto, perché non ne modifica il senso oppure si riveli in concreto inidonea a ledere l'interesse tutelato dalla genuinità del documento, cioè non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico.

Circa tale aspetto la Giurisprudenza di merito ha osservato che: “la grossolanità della contraffazione integra ipotesi di reato impossibile solo allorché il falso sia "ictu oculi" riconoscibile da qualsiasi persona di comune discernimento ed avvedutezza, dovendosi escludere possa attribuirsi tale qualità alla falsità del bollino attestante l'avvenuta revisione del veicolo accertata dai carabinieri a seguito di una complessa indagine posto che questi ultimi sono soggetti particolarmente qualificati in grado di operare un'accurata ed esperta osservazione dello stesso” (Corte di Appello di Catanzaro del 7 gennaio 201).

Nel falso grossolano, quindi, l'ago della bilancia dell'applicazione giurisprudenziale sembra spesso oscillare, soprattutto ove la falsità si scontra con altri beni giuridici tutelati da diverse norme incriminatrici: «integra il delitto di cui all'art. 474 c.p. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto; né, a tal fine, ha rilievo la configurabilità della cosiddetta contraffazione grossolana, considerato che l'art. 474 c.p. tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell'acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell'ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell'inganno e nemmeno ricorre l'ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno» (Cassazione penale, sez. II, 4 maggio 2012, n. 20944).

In ogni caso si riportano alcune fra le pronunce utili da menzionare con riferimento alla questione valutata: «In tema di falsità materiale in atti pubblici commessa dal privato, integra la fattispecie in esame l'apposizione su una vettura di un permesso per invalidi riprodotto in copia fotostatica, ben realizzato tanto da avere l'apparenza di un originale ed utilizzato come tale dal soggetto agente; un atto così confezionato non costituisce falso grossolano ed è assolutamente idoneo ad ingannare, visto che solo un'attenta e ravvicinata visione e la sottoposizione all'ologramma antifalsificazione, consentono di accertarne la falsità» (Trib. Terni 7 ottobre 2011 n. 616); «integra falsità materiale commessa dal privato in atto pubblico, la falsificazione della patente di guida con l'apposizione della propria fotografia (nel caso di specie la Corte d'Appello di Roma ha escluso che potesse trattarsi di un falso grossolano poiché per accertare la falsità sono stati necessari accertamenti relativi all'assenza dell'ologramma sulla patente di guida che invece risultava essere presente nelle patenti di guida della Romania)» (Corte d’Appello di Roma 20 dicembre 2010, n. 8235); «in tema di falsità in scrittura privata non può parlarsi di falso grossolano se l'uso del documento falso ha sorpreso la buona fede del destinatario. La riproduzione fotostatica di documenti originali integra il reato di falso, presentandosi la riproduzione con l'apparenza di un documento originale idoneo a trarre in inganno i terzi di buona fede (nel caso di specie, venivano creati circa 5.000 buoni mensa falsi, poiché frutto di riproduzione fotostatica, successivamente posti in liquidazione unitamente a quelli genuini al fine di richiedere il pagamento all'amministrazione comunale)» (App. Catanzaro 7 ottobre 2008); «non integra il reato di possesso e fabbricazione di documenti d'identificazione falsi (art. 497 bis cod. pen.) — ma l'ipotesi del falso grossolano, non punibile, ex art. 49 cod. pen., per inidoneità dell'azione a conseguire lo scopo antigiuridico — il possesso di un documento d'identità privo di qualsiasi validità, non risultando l'ente emittente né il timbro ufficiale, né simboli di riconoscimento e non essendo, pertanto, riferibile all'autorità» (Cassazione penale, sez. V, 2 luglio 2008, n. 41155); «in tema di falso grossolano, ai fini dell'esclusione della punibilità per inidoneità dell'azione ai sensi dell'art. 49 c.p., occorre che appaia in maniera evidente la falsificazione dell'atto e non solo la sua modificazione grafica. Pertanto, le abrasioni e le scritturazioni sovrapposte a precedenti annotazioni non possono considerarsi, di per sé e senz'altro, un indice di falsità talmente evidente da impedire la stessa eventualità di un inganno alla pubblica fede, giacché esse possono essere o apparire una correzione irregolare, ma non delittuosa, di un errore materiale compiuto durante la formazione del documento alterato dal suo stesso autore» (Cassazione penale, sez. V, 13 giugno 2013, n. 32769).

Questa rassegna di massime, hanno un comune denominatore, ovvero la presenza di indagini necessarie ad accertare la falsità del documento.

L’atto falso deve contenere una “immutatio veri” ovvero un’alterazione della verità e quindi deve avere come riferimento un atto, anche potenzialmente esistente.

Il documento di identità rilasciato da una sedicente autorità priva di sovranità nazionale non appare in grado di integrare i requisiti del delitto di cui all’art. [[497bis]] del c.p. che punisce il possesso o la fabbricazione di documenti di identità falsi.

Nel caso di specie, quindi, se il documento di identità raffigura l’effige, il timbro e/o il sigillo di uno stato/autorità palesemente inesistente o di fantasia si ritiene che non vi sia una condotta penalmente rilevante in quanto manca l’idoneità ad un indurre in errore.

L’unica ipotesi dubbia potrebbe essere quella di un documento di identità che rechi dei sigilli, dei timbri di uno stato straniero (inesistente) che renda necessari accertamenti per stabilirne l’esistenza.

Angelo V. chiede
domenica 03/04/2016 - Sicilia
“Nel 1987 muore il signor X che per testamento olografo lascia la farmacia al figlio A e alla figlia B terreni ed altro; il figlio svolgeva un'attività incompatibile con la attività di farmacista; A e B decidono di invertire il testamento olografo; quello falso fu pubblicato dal notaio dalla figlia B; fino al 2014 i proventi della farmacia furono divisi in parti uguali; nel 2014 la signora B trasferisce la farmacia ad un figlio di A (y); un altro figlio di A (z)inizia un contenzioso di lavoro nei confronti di B in quanto aveva prestato servizio nella farmacia come socio familiare; B minaccia di fare uscire il vero testamento:cosa va incontro A?”
Consulenza legale i 18/04/2016
Il quesito non è molto chiaro nella sua formulazione, laddove parla di “inversione” del testamento. Parrebbe corretto intendere, tuttavia, da quanto è scritto di seguito, che i due fratelli abbiano deciso di far pubblicare un testamento olografo falso avente un contenuto analogo a quello originale ma con le disposizioni testamentarie “invertite” sotto il profilo dei soggetti beneficiari (la farmacia a B e gli altri beni ad A). Ciò, evidentemente, occultando il vero testamento.

In questa fattispecie le condotte poste in essere dai soggetti coinvolti A e B rilevano sotto un duplice profilo, sia civile che penale:

1) Sotto il profilo civilistico, mentre fino a pochi mesi fa esisteva un contrasto in giurisprudenza su quale fosse l’azione più opportuna e più corretta da esperire per far valere la falsità del testamento olografo (se, cioè, “querela di falso” oppure “disconoscimento di scrittura privata”, entrambi due sub-procedimenti che si inseriscono, come una sorta di parentesi, all’interno del processo ordinario), nel 2015 è intervenuta finalmente la Cassazione a Sezioni Unite a comporre il contrasto con la sentenza numero 12307/2015, nella quale è scritto che “la parte che contesti l'autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e l'onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo, grava sulla parte stessa.”; in buona sostanza, il principio enunciato dalla Corte significa che chi voglia dimostrare che il testamento è falso dovrà promuovere un’azione davanti al Giudice civile, chiedendo che venga, appunto, accertato che quel documento non è stato, in realtà, redatto dalla persona che appare essere il testatore.
2) Sotto il profilo penale, va preliminarmente ricordato come da pochissimo (D.Lgs n. 7 del 15/1/2016) il legislatore abbia provveduto a depenalizzare la fattispecie alla quale inizialmente poteva e doveva essere ricondotta l’ipotesi del testamento falso, ovvero l’art. 485 c.p., “falsità in scrittura privata”, reato che oggi non esiste più. Ciò significa che tutte le condotte che in precedenza rientravano all’interno di questa norma, ora vanno “sanzionate” sul piano esclusivamente civile, attraverso il procedimento sopra illustrato.
Attenzione, però, perché il legislatore ha ritenuto che le ipotesi di redazione ed uso di testamento olografo falso, così come di occultamento di testamento olografo genuino, rimangono particolarmente gravi, tanto che le relative fattispecie di reato sono tuttora esistenti nel codice penale e sanzionate in maniera piuttosto grave.
Esaminandole più in particolare, vengono in rilievo:

- in primo luogo l’art. 489 c.p., rubricato (ovvero intitolato) “uso di atto falso”, secondo il quale: “chiunque, senza essere concorso (110) nella falsità, fa uso di un atto falso soggiace alle pene stabilite negli articoli precedenti, ridotte di un terzo (493bis)”;
- in seconda battuta l’art. 490 c.p., il quale è rubricato “soppressione, distruzione e occultamento di atti veri” che prevede “chiunque, in tutto o in parte, distrugge, sopprime od occulta un atto pubblico vero, o, al fine di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, distrugge, sopprime od occulta un testamento olografo, una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore veri, soggiace rispettivamente alle pene stabilite negli articoli 476, 477 e 482, secondo le distinzioni in essi contenute”;
- ancora l’art. 491 c.p., rubricata “falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito” il quale quale stabilisce “Se alcuna delle falsità prevedute dagli articoli precedenti riguarda un testamento olografo, ovvero una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore, e il fatto è commesso al fine di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, si applicano le pene rispettivamente stabilite nella prima parte dell'articolo 476 e nell’articolo 482. Nel caso di contraffazione o alterazione degli atti di cui al primo comma, chi ne fa uso, senza essere concorso nella falsità, soggiace alla pena stabilita nell'articolo 489 per l'uso di atto pubblico falso.”;
- infine, l’art. 493 bis c.p., “casi di perseguibilità a querela”, stabilisce che “delitti previsti dagli articoli 490 e 491, quando concernono una cambiale o un titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore, sono punibili a querela della persona offesa. Si procede d'ufficio, se i fatti previsti dagli articoli di cui al precedente comma riguardano un testamento olografo.”

Alla luce delle considerazioni che precedono, pertanto, relativamente alla fattispecie concreta in esame, va detto che se è vero che la signora A può certamente “denunciare” in sede civile quanto avvenuto anni addietro, è altresì vero che un’azione di questo tipo andrebbe anche a suo sfavore, per i rischi che correrebbe sotto il profilo penale: quest’ultima, infatti, ha certamente concorso con B nella commissione di una serie di reati (sopra elencati nel dettaglio), per i quali verrebbe personalmente punita, secondo la regola del concorso (art. 110 c.p.: “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita (…)”). Trattandosi di reati perseguibili d’ufficio (e non a querela della persona offesa), ed essendo il Giudice un pubblico ufficiale, quest’ultimo potrebbe – in corso di causa civile – fare una segnalazione al Pubblico Ministero.
Chiarisce a tal proposito la Suprema Corte in un’altra recente sentenza (n. 50355 del 4 novembre-2 dicembre 2014): che “una cosa è la nullità o la annullabilità civilisticamente intese (che vanno eventualmente accertate nella deputata sede processuale), altra cosa è la falsità come rilevante in diritto penale. (…)”.

In definitiva, B rischia un’azione civile per l’accertamento della non genuinità del testamento olografo a suo tempo pubblicato, ma al contempo (in corso di causa oppure indipendentemente da questa) una denuncia penale per la commissione di diversi reati, per i quali, tuttavia, concorrerebbe con la sorella A.