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Articolo 873 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Distanze nelle costruzioni

Dispositivo dell'art. 873 Codice Civile

Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute(1) a distanza non minore di tre metri(2). Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore [878].

Note

(1) La disposizione in oggetto definisce quale deve essere la distanza minima fra costruzioni, ed usa il parametro della prevenzione temporale, secondo il quale chi, nella qualità di proprietario, costruisce per primo, sceglie la distanza che il suo vicino dovrà rispettare. Se egli costruisce, infatti, sul confine, l'altro soggetto potrà costruire in aderenza, oppure alla minima distanza legale; se costruisce, invece, ad una distanza dal confine pari o superiore alla metà di quella imposta dal codice, al vicino sarà consentito costruire ad un metro e mezzo dal confine, o ad una distanza inferiore che permetta di rispettare il criterio dei tre metri; se, ancora, il proprietario che costruisce per primo mantiene una distanza dal confine inferiore alla metà di quella stabilita dal codice, all'altro soggetto sarà permesso spostare la sua costruzione sino a quella del vicino, con la conseguente possibilità di applicare l'art. 875.
(2) Salva l'ipotesi che la costruzione non abbia sporgenze, il criterio da adottare per calcolare la distanza è quello di misurarla dal suolo.

Ratio Legis

La finalità delle disposizioni positivizzate dal legislatore in materia di distanze è la tutela dell'interesse pubblico all'igiene, al decoro e alla sicurezza per gli edifici adibiti ad uso abitativo.
E' necessario puntualizzare, inoltre, che gli articoli del codice civile, deputati a definire i criteri da adottare allo scopo di definire le distanze fra costruzioni, si applicano solo qualora esse non siano adiacenti.
Ciò con la dovuta precisazione che nelle zone sismiche il distacco minimo tra gli edifici deve essere pari a 6 metri.

Brocardi

Ambitus aedium

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 873 Codice Civile

Cass. civ. n. 24844/2022

In materia di distanze nelle costruzioni, qualora subentri una disposizione derogatoria o si verifichi una situazione favorevole al costruttore, si consolida - salvi gli effetti di un eventuale giudicato sull'illegittimità della costruzione - il diritto di quest'ultimo a mantenere l'opera alla distanza inferiore se, a quel tempo, la stessa sia già ultimata, fermo restando, peraltro, il diritto del vicino al risarcimento del danno subìto nel periodo tra l'edificazione e la nuova disposizione normativa o situazione di fatto legittimante.(Fattispecie relativa ad un edificio originariamente sorto in violazione della normativa sulle distanze, prospiciente una strada privata di cui era stato successivamente accertato l'asservimento all'uso pubblico che incideva sul computo delle distanze in maniera favorevole per il costruttore.)

Cass. civ. n. 3241/2022

In tema di distanze, sia le norme tecniche di attuazione dei piani regolatori generali, sia i regolamenti edilizi comunali hanno valenza integrativa dell'art. 873 c.c. e natura regolamentare o di atti amministrativi generali, sicché sono subordinati solamente alle norme di rango primario in esecuzione delle quali sono stati emanati. Ne consegue che la prevalenza delle diverse prescrizioni è, in materia, affidata essenzialmente ad un criterio di successione temporale delle norme locali.

Cass. civ. n. 38033/2021

Il principio secondo cui, in tema di distanze nelle costruzioni, il proprietario di una di esse non può dolersi della realizzazione da parte del proprietario dell'altro di un muro sul confine, al di sopra del fabbricato, trova applicazione solo quando i due fabbricati sono in aderenza, laddove, al contrario, con riguardo a costruzioni su fondi finitimi non aderenti, trova applicazione l'art. 873 c.c.

Cass. civ. n. 40984/2021

I regolamenti edilizi previsti dall'art. 873 c.c. in materia di distanze tra costruzioni contengono norme di immediata applicazione, salvo il limite, nel caso di norme più restrittive, dei cosiddetti "diritti quesiti" (per cui la disciplina più restrittiva non si applica alle costruzioni che, alla data dell'entrata in vigore della normativa, possano considerarsi "già sorte"), e, nel caso di norme più favorevoli, dell'eventuale giudicato formatosi sulla legittimità o meno della costruzione. Ne consegue l'inammissibilità dell'ordine di demolizione di costruzioni che, illegittime secondo le norme vigenti al momento della loro realizzazione, tali non siano più alla stregua delle norme vigenti al momento della decisione, salvo, ove ne ricorrano le condizioni, il diritto al risarcimento dei danni prodottisi "medio tempore", ossia di quelli conseguenti alla illegittimità della costruzione nel periodo compreso tra la sua costruzione e l'avvento della nuova disciplina.

Cass. civ. n. 25495/2021

Ove sia realizzata una costruzione in violazione delle distanze ex art. 873 c.c., il giudice deve ordinarne la riduzione in pristino, mediante la demolizione delle parti che superano tali limiti, non potendo limitarsi a disporre l'esecuzione di accorgimenti idonei ad impedire l'esercizio della veduta sul fondo altrui, consistenti in opere che rendano impossibili il "prospicere" e l'"inspicere in alienum"; l'azione in tema di distanze tra costruzioni, infatti, diversamente da quella concernente l'apertura di vedute - che tutela gli interessi esclusivamente privati del proprietario del bene dall'indiscrezione del vicino, impedendo di affacciarsi e di guardare nella proprietà del primo - è volta ad evitare il formarsi di intercapedini tra fabbricati, potenzialmente dannose per gli interessi generali all'igiene, al decoro e alla sicurezza degli abitanti.

Cass. civ. n. 24940/2021

Le convenzioni tra privati, con le quali si stabiliscono reciproche limitazioni o vantaggi a favore e a carico delle rispettive proprietà individuali, specie in ordine alle modalità di edificabilità, restringono o ampliano definitivamente i poteri connessi alla proprietà attribuendo a ciascun fondo un corrispondente vantaggio e onere che ad esso inerisce come "qualitas fundi", ossia con caratteristiche di realità inquadrabili nello schema delle servitù. Nell'ipotesi, pertanto, di inosservanza della convenzione limitativa dell'edificabilità, il proprietario del fondo dominante può agire nei confronti del proprietario del fondo servente con azione di natura reale per chiedere ed ottenere la demolizione dell'opera abusiva, non diversamente dal proprietario danneggiato dalla violazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni ex artt. 872 e 873 c.c.. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito secondo la quale l'inosservanza del regolamento consortile cui erano vincolate le parti del giudizio, recante limitazioni alle modalità di edificazione, consentiva al proprietario del fondo dominante di agire nei confronti di quello del fondo servente con un'azione di natura reale per ottenere la demolizione dell'opera abusiva ex art. 1079 c.c.). (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 14/03/2017)

Cass. civ. n. 13624/2021

Le norme degli strumenti urbanistici che prescrivono le distanze nelle costruzioni o come spazio tra le medesime o come distacco dal confine o in rapporto con l'altezza delle stesse, ancorché inserite in un contesto normativo volto a tutelare il paesaggio o a regolare l'assetto del territorio, conservano il carattere integrativo delle norme del codice civile, perché tendono a disciplinare i rapporti di vicinato e ad assicurare in modo equo l'utilizzazione edilizia dei suoli privati e, pertanto, la loro violazione consente al privato di ottenere la riduzione in pristino. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BARI, 29/12/2015).

Cass. civ. n. 3684/2021

Al fine di mantenere una costruzione a distanza minore di quella prescritta dalla legge, non è sufficiente un'"autorizzazione" scritta unilaterale del proprietario del fondo vicino, che acconsenta alla corrispondente servitù, essendo, al contrario, necessario un contratto che, pur senza ricorrere a formule sacramentali, dia luogo alla costituzione di una servitù prediale, ex art. 1058 c.c., esplicitando, in una dichiarazione scritta, i termini precisi del rapporto reale tra vicini, nel senso che l'accordo, risolvendosi in una menomazione di carattere reale per l'immobile che alla distanza legale avrebbe diritto, a vantaggio del fondo contiguo che ne trae il corrispondente beneficio, faccia venir meno il limite legale per il proprietario del fondo dominante, che così acquista la facoltà di invadere la sfera esclusiva del fondo servente. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 16/06/2015).

Cass. civ. n. 29644/2020

Le norme sulle distanze tra le costruzioni, integrative di quelle contenute nel codice civile, devono essere applicate indipendentemente dalla destinazione dello spazio intermedio che ne risulti e non trovano deroga con riguardo alle prescrizioni sulle dimensioni dei cortili, le quali, siccome rivolte alla disciplina dei rapporti planovolumetrici tra le costruzioni e gli spazi liberi adiacenti, prescindendo dall'appartenenza di essi ad un unico o a più proprietari, non costituiscono norme integrative di quelle codicistiche in materia di distanze tra costruzioni (che si riferiscono alle costruzioni su fondi finitimi) e non possono escludere l'applicazione delle norme specificatamente dirette alla disciplina di tali distanze. (Rigetta, CORTE D'APPELLO BARI, 12/11/2015).

Cass. civ. n. 28612/2020

Nell'ambito delle opere edilizie - anche alla luce dei criteri di cui all'art. 31, comma 1, lettera d), della legge n. 457 del 1978 (oggi art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001) -, è ravvisabile una "ricostruzione", quando l'opera di modifica dell'edificio preesistente si traduce non soltanto nell'esatto ripristino della costruzione precedente, ma anche nella riduzione della volumetria rispetto alle originarie dimensioni dell'edificio; è ravvisabile, viceversa, una "nuova costruzione", quando l'opera di modifica si traduce non soltanto nella realizzazione "ex novo" di un fabbricato, ma anche in qualsiasi modificazione della volumetria dell'edificio preesistente che ne comporti un aumento della volumetria, con la conseguenza che solo all'ipotesi di "nuova costruzione" è applicabile la disciplina in tema di distanze ai sensi dell'art. 873 c.c. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha qualificato come "ricostruzione" un manufatto - nella specie una tettoia-veranda - che presentava, rispetto a quello preesistente, un decremento della superficie, tanto da determinare un aumento del distacco dal confine di 40 cm). (Cassa e dichiara giurisdizione, CORTE D'APPELLO ROMA, 17/06/2015).

Cass. civ. n. 27586/2020

In tema di distanze legali, la disciplina meno restrittiva, la cui sopravvenienza può legittimare la costruzione originariamente illecita, non può consistere in una semplice delibera del consiglio comunale, atteso che questa non è idonea, di per sé, a modificare la disciplina urbanistica, atteso che questa non è idonea, di per sé, a modificare la disciplina urbanistica, costituendo solo il primo atto di un complesso "iter" amministrativo che si conclude soltanto con l'approvazione regionale della variante del piano regolatore generale. (Dichiara inammissibile, CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA, 03/07/2018).

Cass. civ. n. 22589/2020

In tema di distanze fra le costruzioni, le prescrizioni del piano regolatore, atto complesso risultante dal concorso della volontà del Comune e della Regione, acquistano efficacia di norme giuridiche integrative del codice civile solo con l'approvazione del piano medesimo da parte dell'autorità regionale. Qualora uno dei due atti che costituiscono l'atto complesso sia annullato a seguito di ricorso giurisdizionale, il piano regolatore decade con effetto retroattivo e non ha alcuna idoneità a regolare i rapporti in materia di distanze legali, fino a quando non intervenga una sua nuova approvazione e salva l'applicazione delle misure di salvaguardia. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO REGGIO CALABRIA, 09/06/2015).

Cass. civ. n. 18499/2020

In materia di controversie tra privati proprietari relative alla violazione delle distanze legali tra le costruzioni, il permesso di costruire in deroga, di cui all'art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, deve necessariamente precedere la realizzazione dell'intervento edilizio e non può indirettamente comportare quale effetto la sanatoria dell'eventuale illecito, tenuto conto del carattere eccezionale del potere derogatorio che deve, pertanto, essere inteso in termini restrittivi, nonché della necessità di proteggere l'affidamento del privato. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CAGLIARI, 11/11/2015).

Cass. civ. n. 2661/2020

Le prescrizioni dei piani regolatori generali e degli annessi regolamenti comunali edilizi che disciplinano le distanze nelle costruzioni, anche con riguardo ai confini, sono integrative del codice civile ed hanno, pertanto, valore di norme giuridiche (anche se di natura secondaria), sicché spetta al giudice, in virtù del principio "iura novit curia", acquisirne conoscenza d'ufficio, quando la violazione di queste sia dedotta dalla parte. (Rigetta, CORTE D'APPELLO SEZ.DIST. DI TARANTO, 13/04/2015).

Cass. civ. n. 5607/2019

In tema di calcolo delle distanze legali, non deve tenersi conto delle fondamenta del fabbricato poiché, per definizione, totalmente interrate e, perciò, irrilevanti. (Rigetta, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 08/08/2014).

Cass. civ. n. 5605/2019

Le norme relative alle distanze tra costruzioni previste dall'art. 873 c.c. e dai regolamenti locali devono essere tenute distinte dalle regole di edilizia contenute in leggi speciali e nei regolamenti comunali (artt. 871 e 872 c.c.) poiché, in caso di loro violazione, esclusivamente le prime, che incidono sui rapporti di vicinato, consentono al privato l'esercizio delle azioni di riduzione in pristino e di risarcimento del danno, mentre le seconde, essendo dirette al soddisfacimento di interessi di ordine generale, ne limitano la tutela alla sola azione risarcitoria. Pertanto, da un lato, la regolarità urbanistica del fabbricato non rileva ai fini della proposizione dell'azione ripristinatoria atteso che, in ipotesi di mancato rispetto delle distanze, il provvedimento autorizzatorio può essere disapplicato dal giudice ordinario, previo accertamento incidentale della sua illegittimità, dall'altro, se le distanze sono state osservate, il vicino non ha diritto di chiedere la riduzione in pristino anche se l'immobile è abusivo. (Rigetta, CORTE D'APPELLO SALERNO, 28/11/2013).

Cass. civ. n. 30708/2018

In tema di distanze legali tra edifici, costituisce volume tecnico, non computabile nella volumetria della costruzione, solo l'opera edilizia priva di autonomia funzionale, anche potenziale, perché destinata a contenere impianti serventi di un edificio principale, per esigenze tecnico funzionali dell'abitazione, che non possono essere ubicati nello stesso (come quelli connessi alla condotta idrica e termica). Pertanto, non rientra in tale nozione il vano scale, il quale è parte integrante del fabbricato, ossia corpo di fabbrica.

Cass. civ. n. 27638/2018

In tema di distanze tra costruzioni, la deroga alla disciplina stabilita dalla normativa statale realizzata dagli strumenti urbanistici regionali deve ritenersi legittima quando faccia riferimento ad una pluralità di fabbricati ("gruppi di edifici") che siano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche che evidenzino una capacità progettuale tale da definire i rapporti spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni, considerate come fossero un edificio unitario, e siano finalizzate a conformare un assetto complessivo di determinate zone, poiché la legittimità di tale deroga è strettamente connessa al governo del territorio e non, invece, ai rapporti fra edifici confinanti isolatamente intesi.

Cass. civ. n. 26886/2018

In materia di rispetto delle distanze, lo "ius superveniens" che contenga prescrizioni più restrittive incontra la limitazione dei diritti quesiti e non trova applicazione con riferimento alle costruzioni che, al momento della sua entrata in vigore, possono considerarsi già sorte, in ragione dell'avvenuta realizzazione delle strutture organiche, costituenti punti di riferimento essenziali per la misurazione delle distanze. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata in cui il giudice di merito aveva ritenuto che solo la posa del solaio di copertura consentisse di ritenere eseguita la costruzione e impedisse, perciò, l'applicazione delle norme sopravvenute, affermando che, a tal fine, fosse sufficiente l'avvenuta edificazione delle mura perimetrali, le quali consentono di verificare il rispetto delle distanze).

Cass. civ. n. 26783/2018

Quando due edifici su fondi finitimi si trovano a distanza inferiore a quella legale, quello dei due frontisti che per primo sopraelevi, ove non provi il diritto a ottenere l'arretramento del fabbricato dell'altro, deve osservare nella sopraelevazione la distanza legale (art. 873 c.c.), arretrandosi sul proprio edificio quanto necessario per rispettarla, essendo irrilevante che la sopraelevazione risulti ad altezza maggiore dell'edificio vicino.

Cass. civ. n. 26518/2018

La condizioni di legittimità delle deroghe alla disciplina statale delle distanze fra costruzioni nei rapporti tra privati introdotte dalle Regioni nell'ambito della propria competenza legislativa concorrente - da individuarsi nell'inserimento della prescrizione derogatoria in strumenti urbanistici e nella funzionalità della stessa rispetto alla conformazione dell'assetto urbanistico, complessivo ed unitario, di determinate zone del territorio - operano anche per i regolamenti attuativi della legge regionale, i quali solo entro tali limiti possono dettare una disciplina direttamente incidente sulla materia delle distanze in deroga a quanto previsto dagli artt. 873 e ss. c.c. e dal d.m. n. 1444/1968. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che dovesse essere disapplicata la disposizione di cui all'art. 24, lett. a), del regolamento n. 9 del 2008 di attuazione della legge regionale dell'Umbria n. 1 del 2004 che, al di fuori di uno strumento urbanistico, aveva disposto che non fossero previste distanze minime dai confini per la realizzazione dei muri di contenimento).

Cass. civ. n. 24206/2018

Le disposizioni in materia edilizia, nell'ipotesi di successione di norme nel tempo, sono di immediata applicazione poiché i piani regolatori, come i regolamenti edilizi comunali, essendo essenzialmente diretti alla tutela dell'interesse generale nel campo urbanistico, prescindono dall'interesse del privato. Ne deriva che se, dopo la concessione della licenza edilizia, sopravviene una diversa regolamentazione sulle distanze fra edifici, le costruzioni devono adeguarsi alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione, a nulla rilevando la legittimità della precedente autorizzazione a costruire, mentre, qualora l'esercizio dello "ius aedificandi" abbia già avuto inizio e concreta attuazione alla data di entrata in vigore della normativa sopravvenuta, ha rilievo l'epoca dell'inizio dell'opera e, quindi, la disposizione edilizia che stabilisce distanze maggiori, sopraggiunta nel corso della costruzione anteriormente iniziata, è inapplicabile, non potendo avere efficacia retroattiva ed incidere su situazioni pregresse, neppure ove l'esecuzione dei lavori si sia protratta oltre il termine previsto dalla suddetta licenza edilizia.

Cass. civ. n. 24076/2018

La distanza minima di dieci metri tra le costruzioni stabilita dall'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 deve osservarsi in modo assoluto, essendo "ratio" della norma non la tutela della riservatezza, bensì quella della salubrità e sicurezza. Detta norma va, pertanto, applicata indipendentemente dall'altezza degli edifici antistanti e dall'andamento parallelo delle loro pareti, purché sussista almeno un segmento di esse tale che l'avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento.

Cass. civ. n. 23856/2018

In tema di distanze legali, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa.

Cass. civ. n. 22374/2018

Poiché le norme urbanistiche acquistano efficacia vincolante non alla data della loro adozione da parte dei competenti enti pubblici territoriali, ma solo quando, compiuto l'iter previsto dalla legge, vengano approvate dall'organo a ciò preposto, prima di tale approvazione, le disposizioni in esse contenute, essendo prive dell'efficacia propria delle norme giuridiche, non valgono a integrare sostitutivamente la disposizione fondamentale dettata dall'art. 873 c.c. in tema di rapporti di vicinato, con la conseguenza che, fino a detta approvazione conclusiva, tali rapporti restano regolati dalle precedenti norme locali tuttora in vigore o, in mancanza, dal codice civile o da leggi speciali, non rilevando l'obbligatoria applicazione delle misure di salvaguardia di cui agli artt. 1 della l. n. 1902 del 1952 e 3 della l. n. 675 del 1967 (che ha integrato l'art. 10 della l. n. 1150 del 1942), atteso che tali misure sono rivolte ai Sindaci ed ai Prefetti per fini di interesse pubblico e non interferiscono, quindi, sulla disciplina dei rapporti privati.

Cass. pen. n. 18588/2018

Il regime delle distanze fra costruzioni nei rapporti tra privati appartiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, cui le Regioni possono derogare solo con previsioni più rigorose, funzionali all'assetto urbanistico del territorio.

Cass. civ. n. 15041/2018

Nell'ambito delle opere edilizie - anche alla luce dei criteri di cui all'art. 31, comma 1, lettera d), della legge n. 457 del 1978 (oggi art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001) - la semplice "ristrutturazione" si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, mentre è ravvisabile la "ricostruzione" allorché dell'edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l'intervento si traduca nell'esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell'edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria. In presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di "nuova costruzione", come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima. (Nella specie, la S.C. ha qualificato come nuova costruzione un edificio che presentava, rispetto a quello preesistente, un lieve incremento della superficie ed un possibile modesto aumento del volume).

Cass. civ. n. 12134/2018

In materia di distanze tra costruzioni, la pur consentita deroga convenzionale al diritto di prevenzione non può validamente attuarsi mediante espressa o implicita disapplicazione delle distanze prescritte dai regolamenti locali, al riguardo imprescindibilmente vincolanti, onde colui che rinuncia alla facoltà di fabbricare in appoggio o in aderenza ad una preesistente costruzione resta per ciò stesso obbligato ad arretrare il proprio fabbricato sino alle anzidette distanze.

Cass. civ. n. 11320/2018

Le disposizioni dei piani regolatori che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni tra loro o dai confini dei fondi appartengono alla categoria delle norme integrative del codice civile che, se violate, conferiscono al vicino la facoltà di ottenere la riduzione in pristino. Ne consegue che, qualora lo strumento urbanistico locale, successivamente intervenuto, abbia sancito l'obbligo inderogabile di osservare una determinata distanza dal confine ovvero tra le costruzioni, tale nuova disciplina vincola il preveniente che rimane tenuto, se vuole sopraelevare, alla osservanza della diversa distanza stabilita, senza alcuna facoltà di allineamento (in verticale) alla originaria preesistente costruzione, a meno che la normativa regolamentare non preveda una espressa eccezione in proposito.

Cass. civ. n. 11287/2018

In tema di condominio degli edifici, la disciplina sulle distanze legali delle vedute non si applica alle opere eseguite in epoca anteriore alla costituzione del condominio, atteso che, in tal caso, l'intero edificio, formando oggetto di un unico diritto dominicale, può essere nel suo assetto liberamente precostituito o modificato dal proprietario anche in vista delle future vendite dei singoli piani o porzioni di piano, operazioni che determinano, da un lato, il trasferimento della proprietà sulle parti comuni (art. 1117 c.c.) e l'insorgere del condominio, e, dall'altro lato, la costituzione, in deroga (od in contrasto) al regime legale delle distanze, di vere e proprie servitù a vantaggio e a carico delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli acquirenti, secondo lo schema della servitù per destinazione del padre di famiglia.

Cass. civ. n. 6766/2018

In tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione di sostegno e contenimento, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento, dovendosi escludere la qualifica di costruzione anche se una faccia non si presenti come isolata e l'altezza possa superare i tre metri, qualora tale sia l'altezza del terrapieno o della scarpata.

Cass. civ. n. 5017/2018

È illegittima una previsione regolamentare che imponga il rispetto di una distanza minima di dieci metri tra pareti soltanto per i tratti dotati di finestre, con esonero di quelli ciechi; l'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 detta, infatti, disposizioni inderogabili da parte dei regolamenti locali in tema di limiti di densità, altezza, e distanza fra i fabbricati, destinate a disciplinare le distanze tra costruzioni e non tra queste e le vedute.

Cass. civ. n. 5016/2018

In materia di distanze legali, le norme di cui all'art. 873 c.c., dettate a tutela di reciproci diritti soggettivi dei singoli, volte unicamente ad evitare la creazione di intercapedini antigieniche e pericolose, sono derogabili mediante convenzione tra privati; viceversa, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e negli strumenti urbanistici locali non tollerano deroghe convenzionali, in quanto dettate a tutela dell'interesse generale ad un prefigurato modello urbanistico.

Cass. civ. n. 4657/2018

Le deroghe alle distanze tra costruzioni, applicabili - solo se espressamente previste dagli strumenti urbanistici - ai manufatti di natura accessoria e pertinenziale, non trovano applicazione ove l'unità strutturale della costruzione "secondaria" con quella "principale" impedisca di considerare la prima, indipendentemente dall'uso cui è destinata, come costruzione a sé stante, dotata di sue autonome dimensioni e caratteristiche e, pertanto, di qualificarla come accessoria alla seconda, essendo entrambe parti integranti di un unico intero fabbricato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso la possibilità di configurare come accessorio, onde applicare la deroga alle disciplina sulle distante prevista dall'art. 7 delle norme tecniche di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Codroipo, un vano realizzato in ampliamento di un preesistente fabbricato).

Cass. civ. n. 3739/2018

I limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati previsti dall'art. 9, comma 2, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, (emanato su delega dell'art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 - c.d. legge urbanistica, aggiunto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765) che prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica, trovano applicazione anche con riferimento alle nuove costruzioni, quali devono considerarsi le sopraelevazioni effettuate nei centri storici ove, vigendo il generale divieto di nuove edificazioni, è previsto solo che le distanze tra gli edifici interessati da interventi di ristrutturazione e di risanamento conservativo non possano essere inferiori a quelle intercorrenti tra i preesistenti volumi edificati.

Cass. civ. n. 1616/2018

In tema di distanze tra costruzioni, l’art. 9, comma 1, del d.m. n. 1444 del 1968 – traendo la sua forza cogente dai commi 8 e 9 dell’art. 41 quinquies L. n. 1150 del 1942 e prescrivendo, per la zona A, quanto alle operazioni di risanamento conservativo ed alle eventuali ristrutturazioni, che le distanze tra gli edifici non possano essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti –, rappresenta una disciplina integrativa dell’art. 873 c.c. immediatamente idonea ad incidere sui rapporti interprivatistici, sicché, sia in caso di adozione di strumenti urbanistici contrastanti con l’art. 9 citato, sia in presenza di disposizioni di divieto assoluto di costruire, sussiste l’obbligo per il giudice di merito di dare attuazione alla disposizione integrativa dell’art. 873, mediante condanna all’arretramento di quanto successivamente edificato oltre i limiti, ove il costruttore sia stato proprietario di un preesistente volume edilizio, o all’integrale eliminazione della nuova edificazione, qualora invece non sussista alcun preesistente volume.

Cass. civ. n. 30528/2017

La regolamentazione generale sulle distanze è applicabile anche tra i condomini di un edificio condominiale soltanto se compatibile con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, dovendo prevalere in caso di contrasto la norma speciale in tema di condominio in ragione della sua specialità. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all'art. 1102 c.c. deve ritenersi legittima l'opera realizzata senza osservare le norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue sempre che venga rispettata la struttura dell'edificio condominiale.

Cass. civ. n. 29732/2017

Lo strumento urbanistico comunale che individui le zone territoriali omogenee di cui all'articolo 2 del d. m. n. 1444 del 1968 deve osservare le prescrizioni in materia di distanze minime tra fabbricati previste, per ciascuna di dette zone, dall'articolo 9, comma 1, del medesimo decreto ministeriale, trattandosi di disposizione di immediata ed inderogabile efficacia precettiva. Ne consegue che, qualora nel regolamento comunale non sia stabilita alcuna distanza tra fabbricati relativamente ad una o più zone territoriali omogenee, o ne sia prevista una inferiore a quella minima prevista nel citato d.m., la disciplina dettata dal citato articolo 9 sostituirà "ipso iure" quella difforme contenuta in origine in tale regolamento, divenendone automaticamente parte integrante e da subito operante senza che possano, invece, trovare applicazione gli articoli 873 c.c. e 17, comma 1, della l. n. 765 del 1967.

Cass. civ. n. 23986/2017

In tema di distanze nelle costruzioni, non vi sono ragioni per negare la possibilità di costruire un manufatto in aderenza ad un fabbricato realizzato dal vicino sul confine, per il solo fatto che tale manufatto costituisca addizione di un fabbricato preesistente - non importa se realizzato prima o dopo quello del vicino - purché la situazione lo consenta e la soluzione originaria sia legittima.

Cass. civ. n. 4190/2017

In virtù della "ratio" dell'art. 873 c.c., volto ad evitare la formazione di intercapedini dannose, nella nozione di "costruzione", rispetto alle quali il secondo costruttore può edificare in aderenza o a distanza legale, rientra ogni opera edilizia che, oltre a presentare carattere di consistenza e stabilità, emerga in modo sensibile al di sopra del livello del suolo, sicché la mancanza di destinazione o di utilità economica di un manufatto (nella specie: rudere di un fabbricato) non esonera dall'osservanza, rispetto ad esso, della distanza suddetta.

Cass. civ. n. 23136/2016

In tema di distanze tra edifici, ove le costruzioni non siano incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione, la disciplina sulle relative distanze non è recata dall'ultimo comma dell'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che consente ai comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale, bensì dal comma 1 dello stesso art. 9, quale disposizione di immediata ed inderogabile efficacia precettiva.

Cass. civ. n. 15458/2016

In tema di distanze tra fabbricati, nel regolamento locale che non preveda distanza alcuna o che preveda distanze inferiori a quelle minime prescritte per zone territoriali omogenee dall'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 questa inderogabile disciplina si inserisce automaticamente, con immediata operatività nei rapporti tra privati, in virtù della natura integrativa del regolamento rispetto all'art. 873 c.c..

Cass. civ. n. 10872/2016

In tema di limiti legali della proprietà, qualora la concreta determinazione della distanza tra costruzioni sia riferita all'altezza dei fabbricati, il relativo computo concerne l'intera estensione, in elevazione, della costruzione, sì da ricomprendere ogni parte che concorra a realizzare un maggior volume concretamente abitabile ed una conseguente compressione di quei beni (luminosità, salubrità, igiene) che le norme dei regolamenti edilizi intendono tutelare, restando sottratte all'osservanza di tale distanza le sole parti aventi natura ornamentale ovvero meramente funzionale rispetto alla struttura dell'immobile.

Cass. civ. n. 9649/2016

In tema di limitazioni legali alla proprietà, l'art. 873 c.c., la cui finalità consiste nell'evitare intercapedini dannose, si applica solo all'ipotesi di fabbricati che, sorgendo da bande opposte rispetto alla linea di confine, si fronteggiano, anche solo in minima parte, onde la distanza tra gli stessi va misurata in modo lineare e non, come invece previsto in materia di vedute, in modo radiale.

Cass. civ. n. 9646/2016

In tema di rispetto delle distanze legali tra costruzioni, la sopraelevazione di un edificio preesistente, determinando un incremento della volumetria del fabbricato, va qualificata come nuova costruzione, sicché deve rispettare la normativa sulle distanze vigente al momento della sua realizzazione, non potendosi automaticamente giovare del diritto di prevenzione caratterizzante la costruzione originaria, che si esaurisce con il completamento, strutturale e funzionale, di quest'ultima.

Cass. civ. n. 859/2016

Le strutture accessorie di un fabbricato, non meramente decorative ma dotate di dimensioni consistenti e stabilmente incorporate al resto dell'immobile (nella specie, pianerottoli di prolungamento dei balconi e "setti" in cemento armato), costituiscono con questo una costruzione unitaria, ampliandone la superficie o la funzionalità e vanno computate ai fini delle distanze fissate dall'art. 873 c.c. o dalle norme regolamentari integrative, specie ove queste ultime non prevedano espressamente un diverso regime giuridico per le costruzioni accessorie.

Cass. civ. n. 106/2016

Al fine di verificare se siano rispettati i vincoli di altezza fissati dai regolamenti edilizi, quando l'entità del distacco tra fabbricati sia stabilita in rapporto all'altezza delle costruzioni che si fronteggiano, l'altezza da prendere in considerazione, è quella dei prospetti che delimitano il distacco e deve essere misurata avendo riguardo al livello del suolo alla base dei prospetti medesimi, dovendosi, in caso di fabbricati con prospetti su più fronti a quote diverse, aver riguardo, in particolare, all'altezza di ciascun prospetto, misurata dal piano del marciapiede o, in mancanza, del piano di calpestio, coincidente con piano del distacco, con la precisazione che se il distacco è formato da una strada, occorre prendere come base il piano del marciapiede in senso proprio, mentre in assenza di marciapiede va fatto riferimento alla quota di mezzeria della strada costruita o costruenda, o, infine, se la strada non è prevista, alla quota di mezzeria del distacco.

Cass. civ. n. 26123/2015

Qualora lo strumento urbanistico vieti ogni attività costruttiva in una determinata zona e per essa non dia quindi alcuna prescrizione sulle distanze tra costruzioni, i rapporti di vicinato non sono disciplinati dall'art. 873 c.c., ma dall'art. 41 quinquies della l. n. 1150 del 1942, introdotto dall'art. 17 della l. n. 765 del 1967, per il quale, nelle nuove edificazioni a scopo residenziale, "la distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore all'altezza di ciascun fronte dell'edificio da costruire".

Cass. civ. n. 17602/2015

L'azione reale volta al rispetto della distanza legale tra le costruzioni deve essere proposta nei confronti dell'attuale proprietario della costruzione illegittima, atteso che solo costui può essere destinatario dell'ordine di demolizione che tale azione tende a conseguire, a nulla rilevando che la costruzione sia stata iniziata o eseguita da un precedente proprietario, nei cui confronti non potrebbe comunque essere ordinata la demolizione, né potendo, tale circostanza, incidere sulla "causa petendi" dell'azione proposta, che è costituita dall'appartenenza all'attuale proprietario del fabbricato posto a distanza illegale a prescindere dalla concreta individuazione dell'autore materiale delle opere realizzate.

Cass. civ. n. 8935/2015

Qualora sia accertata la violazione delle distanze tra costruzioni, è preclusa al giudice ogni indagine sull'idoneità dell'intercapedine ad arrecare il pregiudizio per l'igiene e la salubrità dell'ambiente che le norme sulle distanze intendono impedire, in quanto la legge, imponendo l'osservanza di determinate distanze, ha ritenuto che soltanto queste valgano presuntivamente a soddisfare le esigenze di sicurezza ed igiene.

Cass. civ. n. 27558/2014

I regolamenti edilizi emanati anteriormente all'entrata in vigore della legge 17 agosto 1942, n. 1150, restano in vigore in quanto non siano in contrasto con le norme della legge stessa, anche se non siano uniformati alle sue disposizioni.

Il d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 (emanato in esecuzione della norma sussidiaria dell'art. 41 quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, introdotto dalla legge 6 agosto 1967, n. 765), che all'art. 9 prescrive la distanza minima inderogabile di metri dieci tra pareti finestrate o pareti di edifici antistanti, impone determinati limiti edilizi ai comuni nella formazione o nella revisione degli strumenti urbanistici, ma non è immediatamente operante nei rapporti tra privati. Ne consegue che l'eventuale previsione, negli strumenti urbanistici locali, di distanze inferiori a quelle prescritte dall'art 9 del d.m. citato sono illegittime e vanno disapplicate e sostituite "ex lege" con quelle di detta normativa statuale, mentre queste ultime non sono immediatamente applicabili nei rapporti tra privati finché non siano state inserite negli stessi strumenti adottati o modificati, a differenza delle prescrizioni del primo comma dell'art. 17 legge n. 765 del 1967, che sono immediatamente applicabili nei comuni sprovvisti di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione.

Cass. civ. n. 20107/2014

In tema di distanze legali, le norme degli strumenti urbanistici integrano la disciplina dettata dal codice civile nelle materie regolate dagli artt. 873 e ss. cod. civ., ove tendano ad armonizzare l'interesse pubblico ad un ordinato assetto urbanistico del territorio con l'interesse privato relativo ai rapporti intersoggettivi di vicinato sicché vanno incluse in tale novero le disposizioni del piano regolatore generale dell'ente territoriale che stabiliscano la distanza minima delle costruzioni dal confine del fondo e non tra contrapposti edifici. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che condannava il convenuto ad arretrare il proprio edificio dal fabbricato attoreo, sino al rispetto della distanza prevista quale minima dal confine dal piano regolatore generale del Comune).

Cass. civ. n. 9679/2014

In tema di distanze legali, la veranda che chiude uno spazio aperto, ma resta allineata al profilo del fabbricato, pur determinando un ampliamento del volume delle superfici chiuse, non proietta in avanti l'edificio e, quindi, non ne riduce la distanza dal confine.

Cass. civ. n. 7512/2014

La costruzione sorgente in una zona omogenea del territorio comunale per la quale siano previste determinate distanze dai confini o dalle costruzioni dei lotti vicini deve rispettare tali distanze anche se il lotto finitimo, o la costruzione posta su di esso, si trovi in altra zona, ove vigono standard diversi.

Cass. civ. n. 20994/2013

In tema di distanze legali, la disciplina meno restrittiva, la cui sopravvenienza può legittimare la costruzione originariamente illecita, non può consistere in una semplice delibera del consiglio comunale, atteso che questa non è idonea, di per sé, a modificare la disciplina urbanistica, costituendo solo il primo atto di un complesso "iter" amministrativo che si conclude soltanto con l'approvazione regionale della variante del piano regolatore generale.

Cass. civ. n. 20850/2013

La deroga alla disciplina delle distanze, consentita dall'art. 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122, vale per le autorimesse di nuova costruzione (e non per la sopraelevazione di autorimesse già esistenti), anche se realizzate, anziché nel sottosuolo dell'edificio o nei locali a piano terreno, in un'area pertinenziale dell'immobile, purché esse siano, in tal ultimo caso, interamente sotterranee, essendo la norma diretta a contemperare il favore per la realizzazione di nuovi parcheggi con la necessità di salvaguardare l'aspetto esteriore e visibile del territorio.

In tema di distanze tra costruzioni, l'art. 873 c.c. trova applicazione anche quando, a causa del dislivello tra i fondi, la costruzione edificata nell'area meno elevata non raggiunga il livello di quella superiore, in quanto la necessità del rispetto delle distanze legali non viene meno in assenza del pericolo del formarsi d'intercapedini dannose.

Cass. civ. n. 20713/2013

In tema di distanze legali, la norma contenuta nell'art. 41 quinquies, lett. c), della legge 17 agosto 1942, n. 1150, introdotto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, secondo la quale, nelle nuove edificazioni a scopo residenziale, "la distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore all'altezza di ciascun fronte dell'edificio da costruire", va osservata non solo nei casi in cui i Comuni siano sprovvisti di strumento urbanistico, ma anche quando negli stessi o nei regolamenti edilizi manchino norme specifiche che provvedano direttamente in materia di distanze.

Cass. civ. n. 19650/2013

In tema di distanze nelle costruzioni, la sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma di legge in base alla quale è stata rilasciata la concessione edilizia ed eseguita l'opera spiega tutta la sua efficacia nel giudizio di cassazione sulla violazione delle distanze, anche se la concessione edilizia non sia stata impugnata innanzi al giudice amministrativo, atteso che essa è rilasciata con salvezza dei diritti dei terzi e che, pendente il giudizio di cassazione, sulla dedotta lesione del diritto soggettivo all'osservanza delle distanze non può dirsi costituito il giudicato.

Cass. civ. n. 18119/2013

In materia di distanze nelle costruzioni, qualora subentri una disposizione derogatoria favorevole al costruttore, si consolida - salvi gli effetti di un eventuale giudicato sull'illegittimità della costruzione -il diritto di quest'ultimo a mantenere l'opera alla distanza inferiore, se, a quel tempo, la stessa sia già ultimata, restando irrilevanti le vicende normative successive, fermo, peraltro, il diritto del vicino al risarcimento del danno subito nel periodo tra l'edificazione e l'entrata in vigore del disposto normativo legittimante.

Al fine di verificare il rispetto della distanza legale nelle costruzioni, qualora una di esse sia provvista di porticato aperto, con pilastri allineati al muro di facciata, deve tenersi conto anche del porticato, secondo la regola del "vuoto per pieno", in quanto, anche nel caso in cui tra i pilastri del porticato non siano realizzate pareti esterne di collegamento, la fabbrica possiede i requisiti di consistenza, solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo che ne fanno una costruzione, soggetta alla disciplina sulle distanze.

Cass. civ. n. 11388/2013

In tema di distanze legali, rientrano nel concetto di "costruzione", agli effetti dell'art. 873 cod. civ., il terrapieno ed i locali in esso ricompresi, avendo il medesimo terrapieno la funzione essenziale di stabilizzare il piano di campagna posto a quote differenti dal fondo confinante, mediante un manufatto eretto a chiusura statica del terreno, e potendo, tuttavia, egualmente qualificarsi il riporto di terra volto a sopraelevare il piano di campagna allo scopo di coprire degli insediamenti edilizi, senza che risulti di impedimento alla ravvisata equiparazione del terrapieno alla "costruzione" la sopravvenuta separazione del muro di contenimento dal retrostante accumulo di terreno, in quanto tale muro è soltanto diretto ad eliminare la pericolosità del riporto, allorché non sia stata rispettata la distanza solonica di cui all'art. 891 cod. civ.

Cass. civ. n. 3968/2013

Quando due fondi siano separati da una striscia di terreno intermedia, inedificata o inedificabile, che abbia una larghezza inferiore al distacco dal confine prescritto per le costruzioni, ciascuno dei proprietari deve costruire sul proprio fondo ad una distanza, rispetto al confine con il terreno di proprietà aliena, che non sia inferiore alla metà della differenza che residua sottraendo dal distacco imposto dalla normativa edilizia la misura dello spazio occupato dalla striscia di terreno interposta, quest'ultima risultando così "neutralizzata" nel computo della distanza minima.

Cass. civ. n. 23189/2012

In tema di distanze legali tra fabbricati, l'art. 873 c.c., nello stabilire per le costruzioni su fondi finitimi la distanza minima di tre metri dal confine o quella maggiore fissata dai regolamenti locali, va interpretato, in relazione all'interesse tutelato dalla norma, nel senso che la nozione di "costruzione" comprende qualsiasi manufatto avente caratteristiche di consistenza e stabilità, o che emerga in modo sensibile dal suolo e che, per la sua consistenza, abbia l'idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà. (Nella specie, è stata considerata "costruzione" una rampa aerea, con uno scivolo carraio, pur fungendo gli stessi solo da copertura a un edificio sottostante posto a quota inferiore rispetto all'altro fondo, in quanto eccedenti la pura necessità di contenere il terreno più elevato, e perciò espressione di un'opzione ulteriore di tipo architettonico).

Cass. civ. n. 7183/2012

In tema di distanze nelle costruzioni, quando due fabbricati sono in aderenza, il proprietario di uno di essi non può dolersi della costruzione da parte del proprietario dell'altro di un muro sul confine, al di sopra del fabbricato, tenuto conto che l'art. 873 c.c. trova applicazione soltanto con riguardo a costruzioni su fondi finitimi non aderenti, essendo, pertanto, in tali casi legittima la sopraelevazione effettuata in aderenza sopra la verticale della costruzione preesistente.

Cass. civ. n. 22081/2011

Le norme sulle distanze tra le costruzioni, integrative di quelle contenute nel codice civile, devono essere applicate indipendentemente dalla destinazione dello spazio intermedio che ne risulti e non trovano deroga con riguardo alle prescrizioni sulle dimensioni dei cortili le quali, siccome rivolte alla disciplina dei rapporti planovolumetrici tra le costruzioni e gli spazi liberi adiacenti, prescindendo dall'appartenenza di essi ad un unico od a più proprietari, non costituiscono norme integrative di quelle codicistiche in materia di distanze tra costruzioni (che si riferiscono alle costruzioni su fondi finitimi) e, pertanto, non possono escludere l'applicazione delle norme specificatamente dirette alla disciplina di tali distanze.

Cass. civ. n. 15972/2011

Ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli artt. 873 e seguenti c.c. e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in forza di motivazione inadeguata, aveva escluso di poter ravvisare gli estremi della costruzione nell'opera di rialzamento del terreno, pur riferendo della realizzazione, su tale rialzamento, di un lastricato e di un muro di contenimento).

Cass. civ. n. 14953/2011

In tema di distanze tra costruzioni, l'art. 9, secondo comma, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, essendo stato emanato su delega dell'art. 41 quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. legge urbanistica), aggiunto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica. Ne consegue che l'art. 52 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Viareggio - che impone il rispetto della distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate soltanto per i tratti dotati di finestre, con esonero di quelli ciechi - è in contrasto con le previsioni del citato art. 9 e deve, pertanto, essere disapplicato.

Cass. civ. n. 4277/2011

Ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli artt. 873 e seguenti c.c. e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, deve ritenersi "costruzione" qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione. Ne consegue che gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell'immobile, così da ampliarne la superficie o la funzionalità economica, costituiscono con l'immobile una costruzione unitaria, sicché le distanze devono essere calcolate non dalla parete dell'edificio maggiore, ma da quella più prossima alla proprietà antagonista. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva omesso di considerare, ai fini delle distanze, un corpo accessorio costituito dai servizi igienici).

Cass. civ. n. 17242/2010

In tema di distanze legali fra edifici, mentre rientrano nella categoria degli sporti, non computabili ai fini delle distanze, soltanto quegli elementi con funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria (come le mensole, le lesene, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili), costituiscono, invece, corpi di fabbrica, computabili ai predetti fini, le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto violata la distanza legale tra edifici prescritta in cinque metri dal confine, dal regolamento edilizio applicabile in giudizio, per la presenza di balconi aggettanti sovrastati da archi murari solidali con il fabbricato che per la loro profondità ed ampiezza determinavano un ampliamento della superficie e del volume).

Cass. civ. n. 12424/2010

In tema di distanze tra edifici, ove le costruzioni non siano incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione, la disciplina sulle relative distanze non è recata dall'ultimo comma dell'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che consente ai comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale, bensì dal comma 1 dello stesso art. 9, quale disposizione di immediata ed inderogabile efficacia precettiva.

Cass. civ. n. 56/2010

In tema di distanze nelle costruzioni, stante la sostanziale identità tra piano regolatore e programma di fabbricazione, già affermata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 23 del 1978, anche nei comuni dotati di regolamento edilizio con annesso programma di fabbricazione è legittimo adottare, in attuazione di quest'ultimo, strumenti più dettagliati volti a disciplinare l'attività urbanistico-edilizia in particolari zone del territorio comunale, secondo uniformi criteri planovolumetrici, organici e funzionali, adeguati alla specificità di singoli settori urbani. In tali casi, siffatti strumenti attuativi possono legittimamente derogare alle prescrizioni generali sulle distanze contenute nell'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 (nella specie, quella sulla distanza di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti).

Cass. civ. n. 23492/2009

Le norme sulle distanze legali nelle costruzioni non trovano applicazione in caso di realizzazione di una copertura su area cortilizia condominiale, incorporante preesistenti parti comuni del fabbricato, giacché trattandosi di innovazione additiva di beni comuni, la disciplina applicabile è quella dettata in materia di comunione e condominio dagli artt. 1102 e 1120 c.c.

Cass. civ. n. 21059/2009

La sopraelevazione, anche se di ridotte dimensioni, comporta sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro e va, pertanto, considerata a tutti gli effetti, e, quindi, anche per la disciplina delle distanze, come nuova costruzione.

Cass. civ. n. 3036/2009

In materia di rispetto delle distanze legali delle costruzioni rispetto al confine, la nozione di fondi finitimi è diversa da quella di fondi meramente "vicini", dovendo per fondi finitimi intendersi quelli che hanno in comune, in tutto o in parte, la linea di confine, ossia quelli le cui linee di confine, a prescindere dall'essere o meno parallele, se fatte avanzare idealmente l'una verso l'altra, vengono ad incontrarsi almeno per un segmento; ne consegue che non possono essere invocate le norme sul rispetto delle distanze ove i fondi abbiano in comune soltanto uno spigolo o i cui spigoli si fronteggino pur rimanendo distanti.

Cass. civ. n. 3031/2009

In tema di distanze nelle costruzioni, ai sensi dell'articolo 873 c.c., le norme che impongono l'osservanza delle distanze dai confini prescindono dall'avvenuta edificazione e dalla futura edificabilità del fondo limitrofo.

Cass. civ. n. 1073/2009

In tema di distanze legali, sono da ritenere integrative delle norme del codice civile solo le disposizioni dei regolamenti edilizi locali relative alla determinazione della distanza tra i fabbricati in rapporto all'altezza e che regolino con qualsiasi criterio o modalità la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni, mentre le norme che, avendo come scopo principale la tutela d'interessi generali urbanistici, disciplinano solo l'altezza in sé degli edifici, senza nessun rapporto con le distanze intercorrenti tra gli stessi, tutelano, nell'ambito degli interessi privati, esclusivamente il valore economico della proprietà dei vicini; ne consegue che, mentre nel primo caso sussiste, in favore del danneggiato, il diritto alla riduzione in pristino, nel secondo è ammessa la sola tutela risarcitoria.

Cass. civ. n. 25191/2008

In tema di limitazioni legali alla proprietà, la sporgenza di un tetto piovente, di modesta entità, non è qualificabile come nuova costruzione e conseguentemente non è soggetta alla disciplina normativa relativa al rispetto delle distanze legali.

Cass. civ. n. 19486/2008

In tema di distanze tra costruzioni, l'art. 873 cod. civ trova applicazione anche quando, a causa del dislivello tra i fondi, la costruzione edificata nell'area meno elevata non raggiunga il livello di quello superiore, in quanto il rispetto delle distanze legali non viene meno in assenza del pericolo del formarsi d'intercapedini dannose.

Cass. civ. n. 25393/2007

In tema di distanze nelle costruzioni, ai sensi dell'articolo 873 c.c., è irrilevante l'esistenza di un dislivello tra i fondi confinanti ai fini del calcolo delle distanze delle costruzioni dal confine.

Cass. civ. n. 22896/2007

Ai fini delle distanze nelle costruzioni sui fondi finitimi, è irrilevante la natura agricola del terreno del confinante, dal momento che, a tali fini, nelle norme di regolamento, come in quelle codicistiche, non si fa distinzione tra suolo edificatorio e suolo non edificabile.

Cass. civ. n. 18272/2007

Il titolare del diritto di sopraelevazione di una terrazza posta a confine con la porzione immobiliare sottostante e di proprietà altrui può esercitare il suo diritto, senza dover arretrare rispetto alla linea di confine, se la nuova costruzione prosegua in altezza, allineata, in verticale, a quella preesistente.

Cass. civ. n. 20786/2006

In materia di distanze legali tra edifici, la modificazione del tetto di un fabbricato integra sopraelevazione e, come tale, una nuova costruzione soltanto se essa produce un aumento della superficie esterna e della volumetria dei piani sottostanti, così incidendo sulla struttura e sul modo di essere della copertura; spetta al giudice di merito di volta in volta verificare, in concreto, se l'opera eseguita abbia le anzidette caratteristiche ovvero se, in ipotesi, avendo carattere ornamentale e funzioni meramente accessorie rispetto al fabbricato, vada esclusa dal calcolo delle distanze legali.

Cass. civ. n. 17089/2006

In tema di distanze tra costruzioni su fondi finitimi, ai sensi dell'articolo 873 c.c., con riferimento alla determinazione del relativo calcolo, poiché il balcone, estendendo in superficie il volume edificatorio, costituisce corpo di fabbrica, e poiché l'articolo 9 del D.M. 2 aprile 1968 - applicabile alla fattispecie, disciplinata dalla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, come modificata dalla legge 6 agosto 1967 n. 765 - stabilisce la distanza minima di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti antistanti, un regolamento edilizio che stabilisca un criterio di misurazione della distanza tra edifici che non tenga conto dell'estensione del balcone, è contra legem in quanto, sottraendo dal calcolo della distanza l'estensione del balcone, viene a determinare una distanza tra fabbricati inferiore a mt. 10, violando il distacco voluto dalla c.d. legge ponte (legge 6 agosto 1967 n. 765, che, con l'articolo 17, ha aggiunto alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150 l'articolo 41 quinquies, il cui comma non fa rinvio al D.M. 2 aprile 1968, che all'articolo 9, numero 2, ha prescritto il predetto limite di mt. 10).

Cass. civ. n. 12964/2006

In tema di limiti legali della proprietà, qualora la concreta determinazione della distanza tra costruzioni sia riferita all'altezza dei fabbricati, il relativo computo comporta il riferimento all'intera estensione in elevazione della costruzione, sì da comprendere, in essa, ogni parte che concorra a realizzare un maggior volume concretamente abitabile ed una conseguente compressione di quei beni (luminosità, salubrità, igiene) che le norme dei regolamenti edilizi intendono tutelare, potendo legittimamente restare escluse da tale calcolo quelle sole parti aventi natura ornamentale o meramente funzionale rispetto alle struttura dell'immobile (quale il sottotetto non abitabile quando la sua formazione derivi dalle particolari modalità costruttive del tetto).

Cass. civ. n. 12741/2006

Poiché l'art. 136 T.U. 6 giugno 2001 n. 380, nell'abrogare (con effetto ex nunc ) l'art. 17 primo comma lett. c ) delle legge n. 765 del 1967, ha lasciato in vigore i commi 6, 8, 9, dell'art. 41 quinquies della legge n. 1150 del 1942, gli strumenti urbanistici locali devono osservare la prescrizione di cui all'art. 9 del D.M. n. 1444/1968, che prevede la distanza minima inderogabile di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti; pertanto, nel caso di norme contrastanti, il giudice è tenuto ad applicare la disposizione di cui al citato art. 9, in quanto automaticamente inserita nello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima.

Cass. civ. n. 7275/2006

Al fine di stabilire se una norma contenuta nello strumento urbanistico locale sia integrativa della disciplina prevista dal c.c. in materia di distanze tra costruzioni, dando così luogo al diritto di ottenere, ai sensi dell'art. 872, secondo comma, c.c., oltre il risarcimento del danno, anche la riduzione in pristino, non è necessario che essa contenga una diretta previsione in tal senso, essendo sufficiente che essa regoli, con qualsiasi criterio o modalità (quali la previsione di spazi liberi o il rapporto tra altezza e distanza tra edifici), la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni.

Cass. civ. n. 6058/2006

In virtù dell'assimilabilità al piano regolatore generale operata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 23 del 20 marzo 1978 il programma di fabbricazione, avendo natura di atto normativo regolatore a carattere generale e, quindi, cogente, anche nei confronti della P.A., è integrativo del regolamento edilizio; pertanto, quando le distanze legali sono calcolate con riferimento all'altezza dei fabbricati, trovano applicazione i criteri relativi alla misurazione dettati dal piano di fabbricazione, e ciò anche nell'ipotesi di edifici frontistanti separati da cortile comune, atteso che le norme sulle distanze, avendo la finalità di evitare — per esigenze di igiene e di ordine generale — la formazioni di intercapedini insalubri fra edifici, sono inderogabili.

Quando, al fine di stabilire le distanze legali tra costruzioni sporgenti dal suolo, i regolamenti edilizi dettano i criteri per la misurazione delle altezze dei fabbricati frontistanti, queste devono essere determinate con riferimento al piano di posa, che è quello dell'originario piano di campagna e non la quota di terreno sistemato.

Cass. civ. n. 5878/2006

In tema di distanze nelle costruzioni, l'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, che regola le distanze tra le pareti che si fronteggiano degli edifici antistanti, ha la limitata finalità di evitare che tra gli edifici frontistanti si formino intercapedini nocive per coloro che vi soggiornano e pertanto non assorbe o esaurisce l'interesse dei comuni a tutelare anche l'assetto urbanistico delle zone del territorio e la densità in queste degli edifici in relazione all'ambiente. Di conseguenza, l'obbligo imposto dall'art.17 della legge 6 agosto 1967 n. 765 di adeguare alle sue disposizioni gli strumenti urbanistici, non impedisce ai comuni, nella formazione dei piani regolatori generali e dei regolamenti edilizi locali, in virtù dell'autonomia ad essi riconosciuta dall'art. 128 della Costituzione ed in base all'art. 33 della legge 17 agosto 1942 n. 1150 ed agli artt. 871 e 872 c.c. di dettare ulteriori regole che, con la stessa efficacia delle fonti primarie del diritto, rendano più gravosa l'attività costruttiva e, in particolare, di prescrivere un distacco, fra gli edifici che si fronteggino, maggiore di quello minimo fissato nell'art. 873 c.c. (Omissis ).

Cass. civ. n. 213/2006

In tema di distanze legali fra costruzioni,le previsioni al riguardo dettate da un piano regolatore generale e dalle norme tecniche di attuazione dello stesso, essendo volte a disciplinare l'attività della P.A. per un migliore assetto dell'agglomerato urbano ed i rapporti di vicinato tra privati in modo equo, sono fonti normative che integrano quelle di cui all'art. 873 c.c., facendo sorgere a favore del vicino danneggiato dalla nuova costruzione il diritto di chiedere la riduzione in pristino ex art. 872 c.c.

Cass. civ. n. 145/2006

Qualora il piano regolatore generale di un Comune abbia rimesso al piano particolareggiato di zona determinate prescrizioni urbanistiche, quelle dettate in materia di distanze fra costruzioni o dal confine sono da considerare norme regolamentari e, come tali, integrative dell'art. 873 c.c.; pertanto, ha natura regolamentare ed integrativa delle disposizioni del codice civile l'art. 6 del piano di edilizia economico popolare del Comune di Cava dei Tirreni (avente, ai sensi della legge n. 1150 del 1942, valore di piano particolareggiato di esecuzione ex art. 9 legge n. 167 del 1962) laddove stabilisce in mt. 5,00 «le distanze dalle strade e i distacchi dai confini per gli edifici che verranno costruiti in tutti i comprensori di edilizia popolare, d'eccezione dei comprensori di S. Pietro, Badia e Passiano, ove la distanza è fissata in mt. 7» .

Cass. civ. n. 27418/2005

Al fine di verificare il rispetto della distanza legale nelle costruzioni, nel caso in cui una di esse sia provvista di porticato aperto, con pilastri allineati al muro di facciata, deve tenersi conto anche del porticato, secondo la regola del vuoto per pieno, con l'effetto che la distanza, al pari del volume e della superficie del fabbricato, resta immutata qualora il porticato venga successivamente chiuso con pareti esterne allineate alla facciata.

Cass. civ. n. 19530/2005

La nozione di costruzione, agli effetti dell'art. 873 c.c., è unica e non può subire deroghe, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, da parte delle norme secondarie, in quanto il rinvio contenuto nella seconda parte del suddetto articolo ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una «distanza maggiore» (in applicazione di questo principio, è stata cassata la sentenza del giudice di merito che, sulla base di una disposizione del regolamento edilizio comunale, aveva negato la qualità di costruzione ad un determinato manufatto).

Cass. civ. n. 19350/2005

Mentre ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali stabilite dall'art. 873 c.c. e dalle disposizioni dei regolamenti locali da esso richiamate, deve farsi riferimento alle costruzioni che, essendo erette sopra il suolo, ne sporgano stabilmente (essendo escluse dal rispetto delle distanze legali soltanto i manufatti completamente interrati), viceversa ai fini del rispetto delle norme contenute nei regolamenti edilizi, che stabiliscono le distanze tra le costruzioni e di esse dal confine, essendo esse volte non solo ad evitare la formazione di intercapedini nocive fra edifici frontistanti ma anche a tutelare l'assetto urbanistico di una data zona e la densità degli edifici in relazione all'ambiente (finalità, quest'ultima, che viene realizzata dalle norme regolamentari stabilendo una distanza tra le costruzioni superiore a quella prevista dal citato art. 873 c.c.), di modo che ciò che rileva è la distanza in sé delle costruzioni a prescindere dal loro fronteggiarsi o meno e dal dislivello dei fondi su cui insistono ripartire la fattispecie.

Cass. civ. n. 16094/2005

Gli artt. 871 e 872 c.c. distinguono, nell'ambito delle leggi speciali e dei regolamenti edilizi, le norme integrative delle disposizioni del codice civile sui rapporti di vicinato dalle norme che, prive di portata integrativa o modificativa e se pure dirette incidentalmente ad assicurare una migliore coesistenza ed una più razionale utilizzazione delle proprietà private, tendono principalmente a soddisfare interessi di ordine generale, come quelli inerenti alle esigenze igieniche, al godimento della proprietà ed alla tutela dell'estetica edilizia. A tale distinzione corrisponde, in caso di violazione della norma, una diversa tutela del privato, assicurata, per le norme del secondo tipo, soltanto dall'azione di risarcimento del danno, a parte il potere della P.A. di imporne l'osservanza coattiva, e, per quelle del primo tipo, anche dall'azione reale per l'eliminazione dello stato di fatto creato dalla violazione edilizia.

Cass. civ. n. 15247/2005

In tema di distanze tra costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani di recupero formati ai sensi dell'art. 28 della legge n. 457 del 1978 per la rimozione dello stato di degrado del patrimonio edilizio comunale sono soggette all'osservanza delle disposizioni del piano regolatore generale quali norme di grado superiore, sicché, in caso di interventi edilizi previsti dal detto piano di recupero, non è ammissibile la deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali in tema di distanze tra costruzioni; d'altra parte, la esistenza di una autorizzazione da parte del Comune alla edificazione, facendo salvi i diritti dei terzi, è priva di rilevanza nei rapporti tra privati, i quali, ove lesi dalla costruzione realizzata senza il rispetto delle disposizioni sulle distanze, conservano il diritto ad ottenere la riduzione in pristino.

Cass. civ. n. 6401/2005

Le norme dei regolamenti locali, che prescrivono in modo assoluto il distacco minimo delle costruzioni dal confine, hanno natura integrativa delle disposizioni dettate dall'art. 873 c.c. in materia di distanze legali tra proprietà finitime, avendo la finalità non solo di disciplinare i rapporti di vicinato fra privati ma anche quello di promuovere un ordinato assetto urbanistico.

Cass. civ. n. 1556/2005

In tema di distanze legali fra edifici, mentre non sono a tal fine computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria di limitata entità, come la mensole, le lesene, i cornicioni, le grondaie e simili, rientrano nel concetto civilistico di «costruzione» le parti dell'edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati. (Cosiddetto «aggettanti») che, seppure non corrispondono a volumi abitativi coperti sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato. D'altra parte, agli effetti di cui all'art. 873 c.c., la nozione di costruzione, che è stabilita dalla legge statale, deve essere unica e non può essere derogata , sia pure al limitato fine del computo delle distanze, dalla normativa secondaria, giacché il rinvio contenuto nella seconda parte dell'art. 873 c.c. è limitato alla sola facoltà per i regolamenti locali di stabilire una distanza maggiore (tra edifici o dal confine) rispetto a quella codicistica. (Nella specie, la Corte, nel confermare la sentenza impugnata, ha qualificato come costruzione la realizzazione, in aggiunta al preesistente edificio, di un corpo di fabbrica sporgente costituito da una soletta in cemento armato della larghezza di mt. 1,60, contornata da parapetto alto mt. 1,50 edificato con colonnine prefabbricate in cemento armato).

Cass. civ. n. 22895/2004

La sopraelevazione (per tale intendendosi qualsiasi costruzione che si eleva al di sopra della linea di gronda di un preesistente fabbricato), poiché comporta sempre un aumento della volumetria preesistente, deve rispettare le distanze legali tra costruzioni stabilite dalla normativa vigente al momento della realizzazione della stessa, ancorché tale nuovo corpo di fabbrica sia «rientrato» rispetto ad un muro di appoggio la cui distanza sia da considerare legale avuto riguardo alla normativa — più favorevole — dell'epoca della sua costruzione.

Cass. civ. n. 12127/2004

Superato il divario tra programma di fabbricazione e piano regolatore generale per effetto della sentenza della Corte Costituzionale del 20 marzo 1978 n. 23, al primo, fin quando non è approvato il secondo dall'organo di controllo dell'ente territoriale che lo ha adottato, va riconosciuta la funzione di strumento di sistemazione urbanistica tipico e normale del territorio comunale, anche per le eventuali varianti apportate com'è desumibile dall'art. 25 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 che prevede l'approvazione degli strumenti attuativi in variante degli strumenti urbanistici generali con conseguente legittimità dei vincoli con esso imposti alla proprietà privata anche in tema di distanze tra costruzioni, costituendo detto programma, a decorrere dalla sua pubblicazione o da quella della variante ad esso mediante affissione nell'albo pretorio, parte integrante dei regolamenti edilizi locali, mentre, fino a tale data, i rapporti di vicinato sono disciplinati dalle precedenti norme locali, o dall'art. 873 c.c., o dalle leggi speciali, non rilevando l'obbligatoria applicazione delle misure di salvaguardia di cui agli artt. della legge 3 novembre 1952, n. 1902 e 3 della legge 6 agosto 1967, n. 675, integrativa dell'art. 10 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, perché la normativa ivi contenuta è destinata a Sindaci e Prefetti per fini di interesse pubblico e non interferisce sulla disciplina dei rapporti privati.

Cass. civ. n. 7044/2004

In tema di condominio le norme sulle distanze, rivolte fondamentalmente a regolare con carattere di reciprocità i rapporti fra proprietà individuali, contigue e separate, sono applicabili anche tra condomini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l'applicazione di quest'ultime non sia in contrasto con le prime; nell'ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l'inapplicabilità della disciplina generale sulla proprietà, quando i diritti o le facoltà da questa previsti siano compressi o limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal condomino secondo i parametri previsti dall'art. 1102 c.c. (applicabile al condominio per il richiamo di cui all'art. 1139 c.c.), atteso che, in considerazione del rapporto strumentale fra l'uso del bene comune e la proprietà esclusiva, non sembra ragionevole individuare, nell'utilizzazione delle parti comuni, limiti o condizioni estranei alla regolamentazione e al contemperamento degli interessi in tema di comunione. (La sentenza impugnata aveva annullato la delibera condominiale con cui alcuni condomini erano stati autorizzati a trasformare in balcone le finestre dei rispettivi appartamenti senza osservare le distanze legali rispetto ai preesistenti balconi delle proprietà sottostanti. La Corte, nel cassare la decisione di appello, ha ritenuto legittima l'esecuzione delle opere, avvenuta nell'ambito delle facoltà consentite dall'art. 1102 c.c. nell'uso dei beni comuni (la facciata dell'edificio), atteso che la realizzazione del balcone non aveva provocato alcuna diminuzione di aria e di luce alla veduta esercitata dal condomino sottostante).

Cass. civ. n. 17339/2003

L'obbligo di rispettare le distanze legali — previste per le costruzioni legittime dagli strumenti urbanistici non soltanto a tutela dei proprietari frontisti ma anche per finalità di pubblico interesse — deve essere rispettato a maggior ragione nel caso di costruzioni abusive, anche se sia intervenuta la relativa sanatoria amministrativa, i cui effetti sono limitati al campo pubblicistico e non pregiudicano i diritti dei terzi. Ne consegue che anche colui il quale abbia costruito abusivamente possa pretendere che l'altro fabbricato, pure eseguito illegittimamente, sia ridotto a distanza legale o, se del caso, abbattuto.

Cass. civ. n. 7525/2002

In tema di distanze tra costruzioni, la distanza da osservare, per il proprietario che intenda costruire su di un fondo diviso da quello limitrofo da un'area inedificabile (appartenente ad un terzo, ovvero comune ai proprietari dei due fondi vicini non contigui) di larghezza minore della distanza minima da osservare tra fabbricati, deve essere calcolata da una linea ideale di confine equidistante dai due fondi (situata, pertanto, sulla mezzeria dell'area intermedia) tutte le volte in cui la distanza stessa, prescritta dallo strumento urbanistico locale, debba osservarsi tra fabbricati. Tale principio non è, per converso, applicabile qualora il distacco minimo assoluto sia, invece, imposto tra la nuova opera ed il confine, poiché, in tal caso, il distacco stesso si identifica sempre con la linea di separazione tra l'area intermedia ed il terreno del costruttore, non sussistendo le ragioni di equilibrio che giustifichino il ricorso al suddetto criterio, e dovendo anche il proprietario del fondo vicino, che decida di edificare successivamente, rispettare la medesima distanza dal confine con detta area.

Cass. civ. n. 3564/2002

In caso di caducazione del vincolo di inedificabilità (nella specie, verde pubblico), cui una determinata zona del territorio comunale sia stata assoggettata dal P.R.G., tale zona va assimilata a quelle prive di disciplina urbanistica, con la conseguenza che la facoltà di realizzare costruzioni è soggetta all'osservanza della distanza prescritta dall'art. 17 legge n. 765 del 1967 e, in caso d'inapplicabilità di tale norma per non essere stato adottato un provvedimento integrativo del P.R.G. (quarto comma art. cit.), all'osservanza della distanza prescritta dall'art. 873 c.c., con conseguente applicabilità, nell'una o nell'altra ipotesi, dell'art. 876 c.c. in tema di costruzioni in aderenza. Peraltro, anche la costruzione realizzata in zona soggetta a vincolo di inedificabilità deve osservare le norme in materia di distanza previste dalla legislazione speciale o, in via residuale, dal codice civile, poiché la tutela ripristinatoria prevista da tali norme non può venire meno per il fatto che lo strumento urbanistico, vietando nella zona ogni costruzione, non contenga prescrizioni sulle distanze, né, tanto meno, per il fatto che la P.A. ometta o ritardi di sanzionare con provvedimenti a carattere reale la violazione del vincolo di inedificabilità.

Cass. civ. n. 13170/2001

Il principio dell'inoperatività, nel condominio, della normativa sulle distanze legali, se può valere con riferimento alle opere eseguite sulle parti comuni e sempre che si tratti di uso normale di queste ultime, non si estende invece ai rapporti fra singoli condomini.

Cass. civ. n. 7384/2001

Le norme degli strumenti urbanistici che prescrivono le distanze nelle costruzioni, o come spazio tra le medesime, o come distacco dal confine, o in rapporto con l'altezza delle stesse, ancorché inserite in un contesto normativo volto a tutelare il paesaggio o a regolare l'assetto del territorio, conservano il carattere integrativo delle norme del codice civile perché tendono a disciplinare i rapporti di vicinato e ad assicurare in modo equo l'utilizzazione edilizia dei suoli privati, e pertanto la loro violazione consente al privato di ottenere la riduzione in pristino.

Cass. civ. n. 4962/2001

Gli articoli 873, 875 e 877 c.c. non vietano di costruire con sporgenze e rientranze rispetto alla linea di confine sicché il proprietario che ne abbia diritto può regolare a suo arbitrio l'ubicazione dei suoi muri verso il confine dando alla propria costruzione l'andamento planimetrico di una linea spezzata.

Cass. civ. n. 2757/2001

Le disposizioni dei piani regolatori contenenti divieti di edificazione non hanno funzione integrativa della norma di cui all'art. 873 c.c. in tema di distanze tra costruzioni, essendo dettate, esclusivamente per interessi pubblici, allo scopo di conservare la destinazione urbanistica di una determinata parte del territorio, con la conseguenza che la loro violazione consente al proprietario del fondo finitimo la sola azione risarcitoria e non anche quella per la riduzione in pristino.

Cass. civ. n. 8691/2000

Ai fini dell'osservanza delle distanze legali di cui all'art. 873 c.c. e alle norme integrative dei regolamenti locali, deve intendersi «costruzione» qualsiasi opera che pur difettando di una propria individualità abbia tuttavia i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo a nulla rilevando che tale collegamento al suolo avvenga mediante mezzi meccanici i quali consentano mediante procedimenti o manovre o procedimenti inversi una nuova mobilizzazione e l'asportazione del manufatto.

Cass. civ. n. 1437/1999

Costituisce costruzione anche un manufatto privo di pareti ma realizzante una determinata volumetria, e pertanto la misura delle distanze legali per verificare se il relativo obbligo è stato rispettato deve esser effettuata assumendo come punto di riferimento la linea esterna della parete ideale posta a chiusura dello spazio esistente tra le strutture portanti più avanzate del manufatto stesso.

Cass. civ. n. 12013/1998

Le distanze che i regolamenti locali sono abilitati a stabilire in deroga a quelle legali (purché in misura maggiore) possono legittimamente essere fissate mediante la determinazione di un distacco minimo non direttamente fra le costruzioni, secondo il criterio adottato negli artt. 873 e seguenti c.c., bensì rispetto al confine, senza che con ciò venga meno il carattere integrativo della disciplina codicistica che comporta ai sensi dell'art. 872 c.c. il diritto del vicino di reagire alla violazione chiedendo oltre il risarcimento dei danni anche la riduzione in pristino.

Cass. civ. n. 11280/1998

Il divieto di costruire in aderenza o sul confine, stabilito da un regolamento comunale, opera anche se la costruzione non supera in altezza il dislivello tra il fondo su cui insiste e quello a confine perché non soltanto le esigenze di tutelare l'assetto urbanistico e l'ambiente non vengono meno per l'esistenza di una scarpata tra un fondo e l'altro, ma permane anche la necessità di evitare intercapedini dannose da accertare in concreto come nel caso in cui, per la forte pendenza, essa si avvicina al limite del profilo verticale dell'edificio.

Cass. civ. n. 10850/1998

L'obbligo di rispettare una determinata distanza dal confine, imposta dal piano regolatore per i manufatti destinati allo svago e allo sport in una zona destinata a verde pubblico — quali ad esempio chioschi, bar, impianti sportivi — sussiste anche per la costruzione ad uso residenziale privato, perché a maggior ragione la costruzione assolutamente illegittima e abusiva deve rispettare le finalità pubbliche sottese alla norma regolamentare de qua, con conseguente diritto del vicino, pur se anch'esso costruttore abusivo, di ottenerne la demolizione.

Cass. civ. n. 3978/1998

L'obbligo del rispetto delle distanze tra costruzioni deve osservarsi anche quando queste si trovino su fondi separati da un'area appartenente ad un terzo, purché inedificata. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata la quale aveva escluso l'applicabilità della norma sulle distanze avendo accertato che il terreno interposto del terzo era edificato, in quanto su di esso insisteva non un rudere — come sosteneva il ricorrente — ma un fabbricato anche se inagibile).

Cass. civ. n. 3433/1998

Le norme tecniche di attuazione di un piano regolatore — che non è onere della parte provare, ma obbligo del giudice conoscere, come gli atti normativi in genere — se sono dettate per la conservazione e il risanamento conservativo di un centro urbano — nella specie centro storico di Roma, zona A, vietando tra l'altro di incrementare i volumi e le superfici nette degli edifici esistenti — non sono integrative delle disposizioni regolamentari del codice civile in materia di distanze tra edifici e non conferiscono perciò il diritto al vicino di ottenere l'addebitamento delle costruzioni in violazione, bensì hanno lo scopo principale di tutelare interessi urbanistici generali, quali la limitazione del volume, dell'altezza, della densità degli edifici, per la conservazione dell'ambiente e dell'assetto urbanistico.

Cass. civ. n. 2975/1998

Quando le norme sulle distanze, devono osservarsi rispetto ad un'altra costruzione realizzata non secondo una linea retta ma secondo una linea spezzata non è giuridicamente configurabile una distanza media rispetto alle rientranze e sporgenze della costruzione di riferimento, come effetto della compensazione tra distanze minime e massime dalla stessa. (Fattispecie relativa alla norma di cui al programma di fabbricazione del comune di Loro Piano la quale prescrive fra le costruzioni un distacco minimo di metri 10 e centimetri 40).

Cass. civ. n. 1383/1998

Le norme dei regolamenti comunali edilizi concernenti i cortili interni, volte non a determinarne l'ampiezza minima ai fini della tutela dell'interesse pubblico inerente alle esigenze igieniche, ma a disciplinare la distanza delle costruzioni su fondi finitimi, appartenenti a diversi proprietari, devono considerarsi a tutti gli effetti norme integrative del codice civile, sicché la loro violazione dà luogo non solo al risarcimento dei danni, ma anche alla riduzione in pristino.

Cass. civ. n. 10558/1997

Nell'ambito delle norme dei piani regolatori (ed in generale dei regolamenti locali) il carattere di norma integrativa rispetto alla disciplina dettata dal codice civile resta individuato dallo scopo della norma regolamentare, con la conseguenza che la stessa è integrativa se è dettata nelle materie disciplinate dagli artt. 873 ss. c.c. e tende a completare, nel pubblico interesse di un ordinato assetto urbanistico, la disciplina dei rapporti intersoggettivi di vicinato, mentre non è integrativa se ha come scopo principale la tutela di interessi generali o urbanistici, quali tra l'altro, le limitazioni del volume degli edifici.

Cass. civ. n. 11259/1996

Le norme dei regolamenti comunali che disciplinano solo l'altezza in sé degli edifici, a differenza di quelle che invece impongono l'altezza dei fabbricati in rapporto alla distanza intercorrente tra gli stessi, tutelano, oltre che l'interesse pubblico di ordine igienico ed estetico, esclusivamente il valore economico della proprietà dei vicini, per il che comportano, in caso di loro violazione, il solo risarcimento dei danni.

Cass. civ. n. 10064/1996

La distanza legale tra i fabbricati, ai sensi dell'art. 873 c.c. e degli strumenti urbanistici locali richiamati da tale articolo, deve essere computata dai punti di massima sporgenza.

Cass. civ. n. 7365/1996

Il principio secondo il quale il proprietario che abbia eseguito una costruzione in violazione delle norme che disciplinano il diritto ad edificare, pur essendo esposto alle relative sanzioni previste dalla legge, non rimane sprovvisto della tutela apprestata dall'ordinamento a favore della proprietà, nel caso di violazione delle stesse norme ad opera di terzi, è applicabile — oltre al caso in cui dall'altrui violazione sia derivata una diminuzione della visuale, di panorama, di amenità o di soleggiamento della costruzione — anche all'ipotesi in cui nei confronti del convenuto sia stato chiesto l'arretramento della costruzione effettuata in violazione delle norme sulle distanze da parte dell'attore, il quale pure tali norme abbia violato. In tale ipotesi, il convenuto non può limitarsi ad eccepire la violazione commessa dall'attore, ma deve, per rendere legittima la propria situazione, chiedere ed ottenere l'arretramento della precedente costruzione dell'attore.

Cass. civ. n. 5378/1996

Le disposizioni degli strumenti urbanistici locali che disciplinano l'altezza dei fabbricati rispetto alla larghezza delle strade che essi fiancheggiano devono intendersi, di massima, dettate a tutela di interessi diversi da quelli attinenti alla materia dei rapporti di vicinato e pertanto mentre non possono essere considerate integrative del codice civile agli effetti dell'art. 872 comma 2 dello stesso codice esulano comunque, per il testuale disposto dell'art. 879, comma 2, c.c. dall'ambito delle norme in materia di costruzioni suscettibili di dar luogo a tutela ripristinatoria.

Cass. civ. n. 3682/1996

Ai sensi dell'art. 4 della legge 1 giugno 1971 n. 221, le limitazioni urbanistiche dettate dai primi tre commi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967 n. 765 sono rese inapplicabili, per i comuni non inclusi negli appositi elenchi approvati dal Ministero dei lavori pubblici di concerto con il Ministero dell'interno, solo nel periodo compreso tra la presentazione dello strumento urbanistico alla autorità competente e la approvazione o la restituzione, senza approvazione, per la sua rielaborazione. Pertanto, nel caso di restituzione del progetto di strumento urbanistico senza approvazione, le predette limitazioni (che, per distanze delle costruzioni sono in concreto specificate dal D.M. 2 aprile 1968), essendo integrative dell'art. 873 c.c., riprendono vigore fino alla data in cui il progetto non sia ripresentato con la conseguenza che la loro violazione attribuisce al proprietario del fondo contiguo un vero e proprio diritto soggettivo alla riduzione in pristino azionabile dinnanzi al giudice ordinario.

Cass. civ. n. 12582/1995

Il rinvio dell'art. 873 c.c. alle norme dei regolamenti edilizi comunali attiene esclusivamente alle distanze fra le costruzioni e si estende a tutta la disciplina predisposta nella materia da quelle fonti, sia che la distanza venga stabilita in misura diversa da quella del codice, ossia superiore a tre metri, sia che vengano stabilite particolari modalità di misurazione della distanza stessa, con riferimento a determinati punti tra i quali il distacco stesso deve essere effettuato. Il rinvio non si estende, invece, alla nozione di costruzione di cui al primo comma, la cui portata afferente alla volumetria degli edifici comprendente la sopraelevazione è fissata dai principi dell'ordinamento giuridico generale.

Cass. civ. n. 7752/1995

Negli edifici condominiali l'utilizzazione delle parti comuni con impianto a servizio esclusivo di un appartamento esige non solo il rispetto delle regole dettate dall'art. 1102 c.c., comportanti il divieto di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, ma anche l'osservanza delle norme del codice in tema di distanze; onde evitare la violazione del diritto degli altri condomini sulle porzioni immobiliari di loro esclusiva proprietà. Tale disciplina, tuttavia, non opera nell'ipotesi dell'installazione di impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di una reale abitabilità dell'appartamento, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l'evoluzione delle esigenze generali di igiene, salvo l'apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unità immobiliari altrui.

Cass. civ. n. 4195/1995

In tema di distanze tra edifici, rientrano nella categoria tecnico-giuridica dei semplici sporti, non computabili ai fini delle distanze, soltanto quegli elementi che, come le mensole, le lesene, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili, hanno funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria, mentre attingono le caratteristiche del corpo di fabbrica, costituente per sua natura parte integrante dell'edificio, le sporgenze di particolari proporzioni atte ad estendere ed ampliare l'edificio stesso in superficie e volume.

Cass. civ. n. 1673/1995

Quando due fabbricati sono in aderenza, il proprietario di uno di essi non può validamente dolersi della costruzione da parte del proprietario dell'altro di un muro sul confine, al di sopra del fabbricato (nella specie sul lastrico solare, in occasione della sostituzione del medesimo alla preesistente copertura a tetto), invocando l'art. 873 c.c., che riguarda distanze tra costruzioni su fondi finitimi non aderenti, ovvero la disposizione di un piano regolatore volta a inibire sopra il lastrico solare «costruzioni o impianti che non siano indicati chiaramente nel progetto nei limiti strettamente necessari per la funzionalità delle scale, degli ascensori o dei montacarichi», il cui scopo è quello della tutela del volume e dell'altezza degli edifici, in funzione di generali interessi urbanistici, e non quella di armonizzare tali interessi con i rapporti di vicinato.

Cass. civ. n. 724/1995

Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative all'uso delle cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè nel caso in cui l'applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime e delle une e delle altre sia possibile una complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme relative all'uso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime (nella specie, si trattava della installazione, in appoggio al muro condominiale, ed in prossimità della finestra di un condomino, della canna fumaria della centrale termica condominiale).

Cass. civ. n. 10500/1994

L'obbligo di rispettare le distanze legali tra le costruzioni prescinde dalla dimostrazione, da parte del titolare del diritto dominicale leso, della sussistenza di un concreto pregiudizio della sua posizione giuridica, in quanto il legislatore (in relazione anche ad esigenze di sicurezza ed igiene) ha compiuto un'astratta e generale valutazione dell'illegittimità della violazione delle distanze stesse. Né può porsi un problema di interesse ad agire, questo essendo connaturato alla prospettazione, da parte del soggetto legittimato, di una lesione o sottoposizione a pericolo o discussione di un diritto.

Cass. civ. n. 9871/1994

In tema di distanze legali, al fine di escludere l'applicabilità delle limitazioni previste dall'art. 17 della c.d. «legge ponte» del 6 agosto 1967, n. 765, è necessario che il regolamento edilizio provveda direttamente sulle distanze, in quanto solo in tal caso viene meno l'esigenza dell'indicata norma suppletiva, la cui finalità è d'impedire che, in mancanza di regole urbanistiche, l'attività costruttiva si svolga senza rispetto del decoro edilizio, dell'igiene e della salubrità indispensabili per l'ordinato sviluppo del territorio. Pertanto, qualora il regolamento edilizio sia privo di disposizioni sulle distanze legali, devono applicarsi quelle previste dall'art. 17 della legge citata, non già la disciplina dell'art. 873 c.c.

Cass. civ. n. 6111/1994

Qualora la distanza da osservarsi nelle costruzioni a norma dei regolamenti locali consista in un determinato distacco dal confine e lo scopo perseguito da tali regolamenti non sia quello di evitare le intercapedini, è irrilevante ai fini della concreta sussistenza dell'obbligo di osservare tale distanza accertare se, al di là del confine medesimo, sussista o meno un'altra costruzione e, nel caso positivo, stabilire se le due costruzioni si fronteggino o meno.

Cass. civ. n. 12419/1993

Quando una costruzione sia stata realizzata non già lungo una linea retta, ma lungo una linea spezzata, ora coincidente con il confine, ora no, il vicino deve rispettare le distanze imposte dalla legge computate dalle sporgenze e rientranze dell'altrui fabbricato; e, quando tali distanze siano state osservate, non sono configurabili nuove intercapedini vietate e sussiste l'interesse del proprietario che abbia costruito per primo acché i distacchi siano mantenuti da ciascun punto del suo edificio.

Cass. civ. n. 7048/1993

In relazione allo scopo delle limitazioni poste dall'art. 873 c.c., e dalle norme legislative o regolamentari che lo integrano, che è quello di evitare intercapedini dannose, le distanze tra edifici non si misurano in modo radiale, come avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare.

Cass. civ. n. 7067/1992

Ai fini dell'osservanza delle distanze di cui all'art. 873 c.c., la nozione di costruzione comprende qualunque opera non completamente interrata avente i requisiti della solidità e della immobilizzazione rispetto al suolo. (Nella specie, un chiosco annesso all'impianto di distribuzione di carburante).

Cass. civ. n. 2703/1992

Nel calcolo delle distanze fra costruzioni non deve tenersi conto di quegli sporti che non siano idonei a determinare intercapedini dannose o pericolose, consistendo in sporgenze di limitata entità con funzione meramente decorativa o di rifinitura, mentre vengono in considerazione le sporgenze costituenti per il loro carattere strutturale e funzionale veri e propri aggetti implicanti perciò un ampliamento dell'edificio in superficie e volume, come appunto i balconi formati da solette aggettanti anche se scoperti di apprezzabile profondità, ampiezza e consistenza e sviluppate lungo il fronte di tutto o di parte dell'edificio.

Cass. civ. n. 10615/1990

Nel calcolo della distanza minima fra le costruzioni stabilita dall'art. 873 c.c. o da norme regolamentari integrative il locus a quo coincide con la proiezione al suolo sul piano ideale su cui viene a giacere la linea di confine della parte più sporgente della costruzione. Conseguentemente vengono in considerazione tutti gli elementi costruttivi aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione rispetto al suolo anche se accessorie e qualunque sia la loro funzione, a meno che esse – come nel caso di oggetti di modeste dimensioni ed aventi funzione meramente decorativa e di rifinitura – non si debbano considerare di entità trascurabile rispetto all'interesse tutelato dalla norma considerato nel suo triplice aspetto della tutela della sicurezza, della salubrità e dell'igiene.

Cass. civ. n. 7747/1990

Per il disposto degli artt. 872 e 873 c.c., le diverse e più gravose limitazioni dettate in materia di distanze tra le costruzioni dai regolamenti locali devono considerarsi integrative di quelle stabilite dal codice civile anche quando, per la particolare disciplina disposta da quelle norme, non si possa configurare il diritto di prevenzione, come nel caso in cui le distanze fra le costruzioni siano stabilite attraverso la formazione di distacchi da realizzare mediante il divieto posto a carico delle proprietà contigue di costruire ad una certa distanza dal confine con criteri rigidi e senza la possibilità di alternative e conseguente impossibilità di costruire sul confine o in aderenza.

Cass. civ. n. 6351/1990

La disciplina delle distanze nelle costruzioni del codice civile impone al legislatore locale di non stabilire in ogni caso distanze inferiori ai tre metri, salva restando la facoltà per i regolamenti locali, purché sia rispettato l'anzidetto limite, di prevedere punti di riferimento per il computo delle distanze diversi da quelli stabiliti dal codice civile. (Nella specie, la Corte Suprema in base all'enunciato principio ha confermato la decisione dei giudici del merito che avevano interpretato l'art. 22 del regolamento edilizio di Marigliano nel senso che la distanza con esso prescritta andava misurata dalle pareti e dalle sporgenze soltanto se chiuse, senza tenere conto dei balconi).

Cass. civ. n. 2463/1990

Il rispetto della distanza nelle costruzioni deve essere osservato anche quando il terreno interposto tra le stesse non appartenga ad alcuno dei proprietari di esse, ma sia loro comune ovvero anche di proprietà di terzi, atteso che la finalità della norma di cui all'art. 873 c.c. - che è quella di evitare che tra le costruzioni si creino intercapedini antigieniche, dannose e pericolose per le parti interessate, con riflessi sull'interesse della generalità degli abitanti della zona - non ha motivo di essere disattesa nel caso in cui l'intercapedine sia costituita da un terreno appartenente a terzi, senza che alla locuzione «fondi finitimi» di cui al citato art. 873 possa attribuirsi l'esclusivo significato di «fondi confinanti o contigui», dovendosi includere nella stessa anche quello di «fondi vicini».

Cass. civ. n. 797/1989

Le norme sulle distanze tra le costruzioni, integrative di quelle contenute nel codice civile, devono essere applicate indipendentemente dalla destinazione dello spazio intermedio che ne risulti e non trovano deroga con riguardo alle prescrizioni sulle dimensioni dei cortili le quali, siccome rivolte alla disciplina dei rapporti planovolumetrici tra le costruzioni e gli spazi liberi adiacenti prescindendo dalla appartenenza di essi ad un unico od a più proprietari, non costituiscono norme integrative di quelle codicistiche in materia di distanze tra costruzioni (che si riferiscono alle costruzioni su fondi finitimi) e, pertanto, non possono escludere l'applicazione delle norme specificamente dirette alla disciplina di tali distanze.

Cass. civ. n. 3497/1987

La disposizione dettata dall'art. 873 c.c. in materia di distanze trova applicazione anche quando il terreno interposto tra le costruzioni sia di comune proprietà delle parti, dovendo ritenersi che la norma anzidetta, con l'espressione «costruzioni su fondi finitimi», abbia inteso riferirsi, non solo agli edifici siti su terreni confinanti, ma anche a quelli eretti su aree vicine, seppure non contigue.

Cass. civ. n. 4138/1985

Nel calcolo della distanza minima fra costruzioni, posta dall'art. 873 c.c. o da norme regolamentari di esso integrative, deve tenersi conto anche delle strutture accessorie di un fabbricato (nella specie, scala esterna in muratura), qualora queste, presentando connotati di consistenza e stabilità, abbiano natura di opera edilizia. Pertanto, la violazione delle suddette norme, ed il conseguente diritto del proprietario confinante di ottenere il ripristino della situazione precedente, devono essere ravvisati anche nel caso di realizzazione delle indicate strutture accessorie ad una distanza inferiore a quella minima prescritta, restando pure in questa ipotesi irrilevante ogni indagine sulla concreta pericolosità o dannosità dell'intercapedine (da presumersi alla stregua dell'accertamento della violazione medesima).

Cass. civ. n. 3727/1985

L'art. 873 c.c., il quale stabilisce un distacco minimo tra «costruzioni», e quindi implicitamente presume che una distanza inferiore sia insufficiente ad assicurare le esigenze di aerazione, luminosità ed igiene (sottraendo così al giudice ogni possibilità di diversa valutazione sul concreto verificarsi del relativo pregiudizio), trova applicazione non soltanto nei riguardi degli edifici, o comunque delle strutture realizzate con muri di cemento o laterizi, ma nei confronti di ogni manufatto, che emerga in modo sensibile al di sopra del livello del suolo, con caratteristiche di consistenza, stabilità e compattezza, e, pertanto, anche nei confronti di manufatti costituiti da altri materiali (nella specie, pensilina costruita su un terrazzo con materiali metallici), ove presentino i suddetti connotati, e siano conseguentemente idonei a creare intercapedini, impedendo il passaggio di aria e luce.

Cass. civ. n. 4019/1983

La disciplina delle distanze fra costruzioni su fondi finitimi si applica anche alle sopraelevazioni di edifici preesistenti, onde il proprietario che sopraelevi deve sempre rispettare la distanza prescritta dal codice civile e dai regolamenti edilizi, ricorrendo pure in tal caso la finalità delle norme legislative e regolamentari di creare, fissando le distanze tra costruzioni, una necessaria zona di rispetto e così evitare possibili intercapedini dannose, sia per ragioni di igiene che di sicurezza pubblica e privata.

Cass. civ. n. 3480/1978

Le norme in tema di distanze fra edifici, non si applicano quando, facendo avanzare idealmente una facciata in linea retta verso il fabbricato vicino, le due facciate non si incontrano nemmeno in un punto. L'esistenza di una striscia di proprietà aliena posta fra due fondi finitimi, ma non contigui, non impedisce l'applicazione delle norme sulle distanze del codice civile (art. 873 c.c.) e l'applicabilità delle prevenzione a favore del primo costruttore, ma obbliga quest'ultimo a costruire a distanza tale dalla metà di tale striscia in modo da evitare che sul vicino che, proprio per l'esistenza di tale striscia non può edificare in appoggio od in aderenza, cada l'onere di un distacco superiore alla metà di quella totale. Da ciò consegue che l'obbligo previsto da una norma regolamentare, integrativa delle norme del codice civile sulle distanze, di costruire al confine ovvero ad una data distanza dal confine si applica anche se fra i fondi interessati esiste una striscia di proprietà aliena di larghezza inferiore alla distanza prescritta dal confine.

Cass. civ. n. 5025/1977

Le limitazioni all'applicazione delle norme sulle distanze negli edifici in regime di condominio, anche nei rapporti tra le proprietà individuali, non trovano giustificazione nel fatto che la normativa del condominio e della comunione costituisca una sistema chiuso ed escludente altri limiti per i diritti dei singoli, bensì hanno origine nell'esistenza di una serie di servitù reciproche tra gli appartamenti componenti il condominio, le quali servitù sono costituite per destinazione del padre di famiglia nel caso del costruttore dell'edificio, che successivamente proceda alla sua vendita frazionata, ovvero per convenzione tra gli aventi diritto. Pertanto, nella realizzazione di innovazioni su parti comuni dell'edificio — anche se effettuate dal condominio e non da un singolo condomino — è fatto obbligo di rispettare le norme sulle distanze legali nei confronti della parte di edificio di proprietà esclusiva di un condomino, salva l'espressa autorizzazione di questo, avente il valore della costituzione pattizia di una nuova servitù.

Cass. civ. n. 2286/1975

Nel caso in cui due stabili si trovino, in fatto, ad esistere a distanza non regolamentare sulla base della costituzione di una servitù reciproca a carico dei rispettivi proprietari, il frontista che sopraeleva per primo deve osservare, nella sopraelevazione, la distanza legale, arretrando, sul proprio preesistente edificio, di quanto è necessario per rispettare la distanza medesima, a nulla rilevando che la sopraelevazione risulti più alta dell'edificio vicino.

Cass. civ. n. 655/1975

Il regime delle distanze fra le costruzioni prescinde dalla contingente differenza di altezza fra di esse, dovendosi le intercapedini dannose o pericolose impedire anche in previsione della futura sopraelevabilità dell'edificio a livello più basso.

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Consulenze legali
relative all'articolo 873 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. D. P. chiede
mercoledì 10/07/2024
“Buongiorno, sono proprietario di una villetta a schiera. Le sei villette sono affiancate in linea orizzontale, le ultime tre sono leggermente arretrate. Ho sottoposto al comune un progetto per costruire una scala esterna in muratura che, nell’ultimo tratto termina con tre scalini sul tetto del mio garage, accedendo direttamente al balcone del primo piano. Tengo a precisare che la scala è posizionata tutta nella mia proprietà e, non toglie la benché minima visuale a nessuno, tantomeno alle villette rientranti. La citata “nuova veduta”, da parte dell’ufficio tecnico comunale, mi costringe a chiedere il nulla osta a tutti i comproprietari della nostra stradina. In realtà Il manufatto è a solo scopo accessorio ed in tal caso potrebbe subentrare l’elemento intenzionale che non è quello di una “nuova veduta “, ma un servizio per l’accesso a una porzione della mia villetta a schiera. Devo necessariamente chiedere il nulla osta a tutti , nessuno escluso comproprietario della stradina?
Allego planimetrie e foto.
In attesa di riscontro
Ringrazio

Consulenza legale i 16/07/2024
Con ogni probabilità, l’autorità Comunale al fine di poter rilasciare il permesso di costruire la scala esterna richiede che i comproprietari della stradina diano l’autorizzazione a costruire in deroga alle distanze legali previste dal codice civile. Ai fini della sua validità tale autorizzazione dovrà essere data necessariamente da tutti i comproprietari, nessuno escluso, e formalizzata per mezzo di atto notarile, vuoi atto pubblico o scrittura privata autenticata nelle firme, che dovrà poi essere trascritto nei Registri Immobiliari. Indipendentemente dalla circostanza che l’opera che ci si prefigge di costruire vada o meno a ledere il diritto di veduta altrui, questo documento è richiesto dalla autorità comunale come condizione per il rilascio del titolo edilizio richiesto: pertanto, deve essere ottenuto se si vuole procedere con l’inizio dei lavori. Purtroppo, gli altri condomini sono liberi di concedere tale autorizzazione o di negarla: l’ordinamento non prevede infatti degli strumenti per aggirare il consenso dei comproprietari recalcitranti.


S. B. chiede
domenica 17/03/2024
“Buongiorno,
scrivo per avere un chiarimento in merito ad un progetto da realizzare in una mia proprietà dove attualmente è collocato un rudere, sul quale dovrà essere effettuata una demolizione e ricostruzione di un fabbricato.
La mia proprietà può essere interpretata con un rettangolo di circa 25,80 per 11,68, l'equivalente della proprietà adiacente per la quale chiedo la vs. consulenza.
Il fabbricato adiacente è costruito in aderenza per tutto il perimetro eccetto che per un tratto al centro la cui distanza espressa in lunghezza è di 5,83 metri, con un ritiro dalla mia proprietà di circa 3 metri (formando così un rettangolo) adibito a pozzo luce, dove vi sono poste a tale distanza 3 finestre (probabilmente adibiti ai servizi) il tutto è perimetrato da un muro alto circa 2 metri concatenato nel fabbricato stesso.
Vorrei sapere onde evitare problemi con il vicino, con il quale non siamo in ottimi rapporti, a quale distanza minima posso costruire dal loro perimetro lungo il pozzo luce onde evitare di perdere troppi m2 durante la nuova costruzione ed evitare contestazioni.
Lo chiedo in quanto ho due pareri diversi da due ingegneri. Uno sostiene che per il nuovo fabbricato sono necessari dal pozzo luce circa 3,20 metri, l'altro sostiene che devo distanziarmi a 10 metri dalla parete finestrata posta al pozzo luce, dunque 7 metri dal muro alto 2 metri, concatenato nell'edificio confinante, chiarendo che il fabricato è situato nel Comune di XXX zona non paesagistica.”
Consulenza legale i 29/03/2024
La materia delle distanze tra costruzioni e dai confini, particolarmente quando si tratta di pareti finestrate, è abbastanza scivolosa, in quanto si intersecano vari livelli di legislazione e di interpretazione giurisprudenziale (tanto vero che i due tecnici interpellati hanno espresso opinioni diverse.
Pertanto, nel presente parere si cercheranno di indicare alcuni principi generali della materia, assumendo che l’immobile non si trovi nel centro storico e ricordando che comunque è indispensabile interpellare gli uffici comunali, che possono dare le linee interpretative concrete per risolvere la questione.
Inoltre, nel regolamento edilizio non sembrano esservi disposizioni che impongono una certa distanza dai confini, con la conseguenza che si dovrebbe applicare il principio di prevenzione, secondo cui chi costruisce per primo “costringe” il vicino a realizzare la propria costruzione arretrandola fino a rispettare la distanza minima prevista dalla legge.
In ogni caso, merito alle distanze tra pareti finestrate e alla relativa misurazione, la giurisprudenza ha chiarito che:
- la distanza inderogabile di 10 m è applicabile anche nel caso in cui una sola delle due pareti fronteggianti sia finestrata e indipendentemente dalla circostanza che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell'edificio preesistente, o che si trovi alla medesima altezza o ad altezza diversa rispetto all'altro, dovendosi la distanza calcolare con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate, non soltanto a quella principale, sicché la norma trova applicazione anche tra immobili di altezza differente (T.A.R. Milano, Sez. II, 23 aprile 2021 n. 1037);
- le distanze tra fabbricati non si misurano in modo radiale, come invece avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare tracciando linee perpendicolari tra gli edifici (Consiglio di Stato, sez. II, 10 luglio 2020, n. 4465);
- la distanza va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela (T.A.R. Brescia, sez. II, 06 aprile 2021, n. 319);
- il computo del limite di 10 metri lineari tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, deve tener conto di un eventuale balcone aggettante solo nel caso in cui una norma di piano lo preveda (T.A.R. Milano, sez. II, 09 marzo 2018, n. 684; T.A.R. Firenze, sez. III, 09 giugno 2011, n. 993).
Nel caso di specie, si osserva che le finestre del vicino si trovano in una sorta di “rientranza” del fronte dell’edificio del vicino, che forma un piccolo cavedio, e dunque il fronte dell’edificio confinante non è uniforme e che è presente una terrazza con parapetto in un piano sovrastante.
Pertanto, è necessario innanzitutto verificare le previsioni di piano per capire se il balcone possa rilevare o meno nelle misurazioni delle distanze, perché potrebbe essere un elemento a favore del vicino.
Inoltre, fermo restando che è necessario svolgere approfondimenti con l’ufficio tecnico comunale, sembra che, sulla base dell’orientamento molto restrittivo seguito dalla giurisprudenza, sembra che la soluzione meno rischiosa e più rispondente a tale interpretazione sia quella che prevede di lasciare la distanza maggiore e che consenta di raggiungere il limite minimo di legge.
Quanto alla lettera sottoscritta dai vicini che riporta il divieto di aprire luci o vedute lungo tutto il confine, bisognerebbe capire quando è stata sottoscritta e se si riferisca a nuove aperture, facendo salve quelle già esistenti, oppure se le finestre aperte sul cavedio siano state realizzate in violazione di tale impegno.
Nel secondo caso, si potrebbe chiedere che le finestre vengano chiuse, ma con le informazioni attualmente in possesso dello scrivente non è chiaro se ciò possa avere qualche riflesso sullo sfruttamento della capacità edificatoria del lotto di proprietà.


F. P. chiede
lunedì 13/11/2023
“Sono un cliente.
Il mio vicino è proprietario di un terreno agricolo (peraltro incolto). Poichè è palesemente un personaggio invadente, (ha litigato con tutti i confinanti e non solo) scorretto, minaccioso, ottimo fotografo infatti spia tutto, sul confine e esclusivamente sulla mia proprietà circa cinque anni fa ho realizzato a mie spese un muro di confine (altezza 2,20 circa) al fine di riacquistare la mia privacy. Premetto che a circa quattro metri insiste la mia abitazione preesistente al momento che acquistai il terreno, anno 2014. Il muro di confine è stato da lui tacitamente accettato tanto è vero che ha intonacato il suo versante.
Tra la mia abitazione e detto muro di confine, senza superarlo, ho realizzato 2 anni fa, una tettoia che successivamente ho chiuso ai lati, praticamente è venuta fuori una camera. Il vicino si sta agitando e sicuramente procederà legalmente nei miei confronti. Al di là del fatto che il tutto è stato realizzato abusivamente (senza permessi) e me ne assumo la piena responsabilità verso le Autorità, cosa preventivamente posso fare per tutelarmi dalle richieste del vicino: richiesta danni peraltro inesistenti, ed evitare la probabile demolizione. Ripeto la tettoia di copertura è in legno in forma stabile, le travi sono incassate nel muro arretrato intercapedine a 50 cent. del muro di confine (sempre di mia proprietà e quindi non comune). L'acqua piovana non tracima poichè raccolta da una gronda.”
Consulenza legale i 27/11/2023
Le pretese che il vicino può avanzare attengono non tanto all’utilizzo che di quel muro si sta facendo (sembra di capire, leggendo il quesito, che le travi della tettoia in legno sono incassate per circa 50 cm. in detto muro), quanto piuttosto al rispetto delle distanze che la legge prescrive per costruzioni su fondi finitimi.
Norma di cui va fatta applicazione in questo caso è l’art. 873 c.c., rubricato proprio “Distanze nelle costruzioni”, in forza del quale il legislatore ha inteso fissare la regola generale secondo cui le costruzioni su fondi finitimi devono essere tenute a distanza non inferiore a metri tre, fatte salve eventuali distanze maggiori stabilite dai regolamenti locali.
La ratio di tale norma va individuata, oltre che nella necessità di impedire strette ed insalubri intercapedini tra gli edifici privati, anche in finalità di natura prettamente urbanistica, quali sono il razionale assetto degli agglomerati urbani e l’equilibrata composizione spaziale della città.

Per quanto concerne il concetto di “costruzione”, si preferisce la tesi che accetta una interpretazione estensiva di tale termine, qualificando come tale ogni opera edilizia, stabilmente infissa al suolo, con o senza l’impiego di malta cementizia, sempre che, attraverso il sistema di collegamento, si abbia l’incorporazione delle opere al suolo e la loro immobilizzazione rispetto al suolo stesso.
Nella nozione di costruzione, dunque, devono farsi rientrare non solo le opere in muratura, ma anche quelle in legno o altro materiale (così Cass. n. 12203/2022; Cass. n. 2228/2001; Cass. n. 12489/1995).
Proprio in ragione della preferenza per tale tesi estensiva, la Cassazione ha qualificato come costruzione un chiosco annesso all'impianto di distribuzione di carburante ( Cass. n. 7067/1992), e perfino alcuni cassoni-containers fissati al suolo non mediante malta cementizia ma tramite mezzi meccanici e, in quanto tali, suscettibili di essere facilmente rimossi e spostati ( Cass. n. 12001/1992).

Con riferimento, invece, al calcolo delle distanze, sempre la giurisprudenza ha sostenuto l’irrilevanza della natura agricola del terreno del confinante, argomentando dal fatto che sia nelle norme codicistiche che in quelle regolamentari non si fa alcuna distinzione tra suolo edificatorio e suolo non edificabile (così Cass. 22896/2007).

In considerazione di quanto sopra riportato, pertanto, deve ammettersi che il vicino, seppure per sua natura litigioso, in questo caso può vantare valide e fondate ragioni per pretendere non tanto il risarcimento del danno (in quanto, almeno per il momento, non si intravvede alcun danno), quanto piuttosto la demolizione di quella costruzione per mancato rispetto delle distanze fissate per legge.
Si conferma, invece, che nessuna rilevanza può assumere nei rapporti tra privati la mancanza di concessione edilizia, in quanto, in tema di distanze tra costruzioni, l’esistenza o meno di un’autorizzazione da parte del Comune è del tutto priva di rilevanza, conservando in ogni caso i privati, ove lesi dalla costruzione realizzata senza il rispetto della distanza legale, il diritto ad ottenere la riduzione in pristino.

E. C. chiede
domenica 05/11/2023
“Buonasera, sono proprietaria di una casa con ingresso indipendente al piano terra e scala comune per accesso ai piani superiori. All''acquisto, la casa era già accatastata come unità indivisa. Sulla facciata su strada si aprono soltanto le finestre dei miei 3 piani, (terra, primo e secondo). Dal portone comune accede una famiglia che abita un primo e secondo piano, mentre al piano terra abita il figlio con ingresso indipendente. La famiglia, in epoca anteriore al mio acquisto ha costruito una panchina in muratura al livello suolo, 30 cm circa di fronte al muro della mia facciata, a 20 cm circa a sin del mio ingresso. Sulla panchina la famiglia tiene un grosso vaso e sull'altra metà io ho un mio vaso con pianta. Sono stata ripetutamente minacciata verbalmente di lesioni fisiche dal marito che mi vieta di mettere il mio vaso da fiori. Lui tiene anche vasi su uno spazio a sinistra del portone comune e di fronte, su una balaustra comunale. A parte difendermi dalla minaccia di lesioni, qual è il razionale della gestione di questa situazione? Aveva il diritto di costruire la panchina? Può impedirmi di mettere un vaso mio? Può tenere il vaso a sinistra del portone?”
Consulenza legale i 14/11/2023
Visto che la panchina e i vasi sono stati installati su terreno comunale, come da Lei precisato con Sua ultima comunicazione, è molto probabile che la presenza di tali opere violi i regolamenti vigenti in materia nel suo comune di residenza. Si consiglia quindi di rivolgersi all’ufficio comunale competente per avere informazioni più specifiche. D’altro canto anche la stesso art 873 del c.c., il quale disciplina la distanza nelle costruzioni tra fondi finitimi, fa rinvio alle normative e ai regolamenti vigenti nei singoli comuni.

Se, al contrario, i vasi da fiori sono stati installati su spazi comuni del complesso condominiale, la loro installazione pare assolutamente legittima rispettando pienamente i parametri previsti dall’art.1102 del c.c. L’installazione dei vasi da fiori infatti costituirebbe semplicemente un uso più intenso del bene comune, pacificamente ammesso da giurisprudenza unanime.

F. R. chiede
domenica 16/04/2023
“Il mio vicino ha ampliato al piano terra (su suolo originariamente adibito a giardino) la sua abitazione, per un’altezza di circa 3 metri.
Il lastrico solare della costruzione raggiunge l’altezza del mio giardino confinante, il cui terreno è sostenuto da un muro di contenimento (costruito sul mio terreno e ovviamente a mie spese) che è alto circa 3 metri, la cui base è quindi posta alla stessa quota del terreno della costruzione (in origine giardino).
Posto che:
a) la costruzione è distante all’incirca 3 metri dal mio muro di contenimento;
b) il regolamento edilizio prescrive per la zona (H) una distanza legale di almeno 10 metri dal confine;
c) non sembrano riscontrabili nella fattispecie le finalità dell’art. 873 c.c. (distanza nelle costruzioni) poste a tutela dell'interesse pubblico all'igiene, al decoro e alla sicurezza per gli edifici adibiti ad uso abitativo;
desidero sapere se la costruzione descritta rispetta - o meno - la distanza legale.”
Consulenza legale i 21/04/2023
L’ampliamento della costruzione lamentata dal vicino, costituisce una nuova costruzione ai sensi dell’art. 873 c.c.
La giurisprudenza, infatti, ha stabilito che qualsiasi modificazione della volumetria di un edificio, compreso l’aumento della sagoma dell’ingombro o qualsiasi sopraelevazione, si considera una nuova costruzione (Cass. civ. n. 20428/2022, Cass. civ. n. 21059/2009).

In ambito di distanza delle costruzioni, il Codice civile prescrive che la distanza debba essere di minimo tre metri ma ammette che i regolamenti locali possano prevedere distanze maggiori.
In caso di violazione, quindi, è prevista all’art. 872 del c.c. la facoltà per il vicino di intraprendere un’azione di riduzione in pristino oltre che la richiesta di risarcimento del danno.

È controverso in giurisprudenza se il danno debba o meno essere provato.
Secondo un primo orientamento il diritto al risarcimento richiede l’accertamento del nesso tra la violazione e l’effettivo pregiudizio subito ( Cass. civ. n. 7909/2001, Cass. civ. n. 20608/2009).
Secondo un altro orientamento invece il danno è in re ipsa per cui non grava sul danneggiato l’onere della sussistenza e dell’entità del danno che costituisce una praesumptio iuris tantum, salva la possibilità per il danneggiante di dimostrare che per le condizioni particolari dei luoghi il danno debba essere escluso (Cass. civ. n. 25082/2020; Cass. civ. n. 11196/2010).

Nel caso di specie sembra che la nuova costruzione sia posta a circa 3 metri di distanza dal muro di contenimento del giardino del vicino, quindi a distanza legale secondo il Codice civile, ma a meno dei 10 metri stabiliti dal regolamento edilizio vigente.

È però dubbio se il muro di contenimento del fondo del vicino che lamenta un danno per la nuova costruzione, vada inteso come una costruzione ai sensi dell’art. 873 c.c.

Sembra che il muro abbia un’altezza intorno ai 3 metri anche se non è specificato con esattezza.

Se il muro di cinta avesse un’altezza inferiore ai 3 metri, ai sensi dell’art. 878 del c.c. non andrebbe considerato nel computo della distanza indicata dall’art. 873 c.c.
In questo caso, quindi, non dovrebbero essere rispettate le distanze previste dal Codice o dai regolamenti edilizi e la nuova costruzione del vicino sarebbe legittima.

La giurisprudenza ha però distinto la fattispecie in cui il muro di contenimento costituisce un terrapieno creato artificialmente, da quella in cui ha la funzione di contenere il naturale declivio di un terreno posto a dislivello rispetto a quello del vicino.
Solo nella prima ipotesi il muro di cinta deve essere considerato come una costruzione (Cass civ. n. 9998/2003, Cass civ. n. 8144/2001).
Ne consegue che qualsiasi edificio costruito a una distanza inferiore rispetto a quella legale, dovrà essere abbattuto.

Si segnala però una recente pronuncia giurisprudenziale che così afferma: “L'esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni, prevista dall'art. 878 c.c., si applica sia ai muri di cinta, qualificati dalla destinazione alla recinzione di una determinata proprietà, dall'altezza non superiore a tre metri, dall'emersione dal suolo nonché dall'isolamento di entrambe le facce da altre costruzioni, sia ai manufatti che, pur carenti di alcuni di tali requisiti, siano comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo” (Cass. civ. n. 26713/2020).
Se al muro che sostiene il giardino fosse riconosciuta l’utilità di demarcazione del confine e di recinzione del fondo, si applicherebbe l’art. 878 c.c. che esclude l’applicabilità dell’art. 873 c.c. per le distanze tra le costruzioni.

Si consiglia quindi di interpellare un tecnico che possa fare un’analisi dello stato dei luoghi alla luce di quanto sin qui detto in modo da valutare quale norma sia applicabile e quindi la legittimità di una eventuale azione di riduzione in pristino ai sensi dell’art. 872 c.c.

Giuseppe M. chiede
venerdì 03/03/2023 - Calabria
“Salve !
Nel 1981, nel Comune di XXX, provincia di YYY, ho acquistato un lotto di terreno di 1500 mq con indice di fabbricabilità 0,4 mc. per mq. e distanza di cinque metri dal confine dei vicini. Per questo potevo fare un fabbricato con un volume di 600 mc con un'area coperta di metri 10x20. Ora, volendo alienarlo, ho scoperto che nel 1993 è stato fatto un piano regolatore (PRG) che, per il mio lotto, prevede - come il vecchio Piano di fabbricazione - l'indice di edificabilità a 0,4 mc. per mq. ma la distanza dal confine è stata aumentata ad 8 metri.
Siccome (si veda foto) il mio lotto ha un lato di 20 metri ed uno di 40, io potrei fare un fabbricato largo 5 metri e lungo circa 26. Ovviamente non sarebbe una villetta ma un serpentello, inaccettabile da chiunque.
La domanda: cosa è possibile fare, trattandosi di una zona turistica con lotti vicini edificati, per far accettare al Comune il ripristino, per il mio lotto, dei cinque metri di distanza di rispetto dai confinanti ?
Grazie”
Consulenza legale i 10/03/2023
Si rileva che le disposizioni dei piani regolatori che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni tra loro o dai confini dei fondi appartengono alla categoria delle norme integrative del codice civile che, se violate, conferiscono al vicino la facoltà di ottenere la riduzione in pristino (ex multis, Cassazione civile, sez. II, 10 maggio 2018, n. 11320).

Inoltre, la giurisprudenza sostiene che sia da escludere che mediante convenzioni fra privati possano porsi deroghe alle norme dei regolamenti comunali in materia di distanze fra costruzioni, in quanto le norme contenute nei piani regolatori e nei regolamenti comunali di edilizia, contrariamente a quelle contenute nel codice civile, essendo dettate essenzialmente a tutela dell'interesse generale, non tollerano deroghe convenzionali che, se concordate, sono invalide anche nei rapporti interni ai proprietari confinanti, salva la possibilità per questi ultimi di accordarsi sulla ripartizione tra i rispettivi fondi dei distacchi minimi da osservarsi (Consiglio di Stato sez. IV, 14 marzo 2013, n. 1524; Corte appello Palermo sez. II, 15 marzo 2016, n. 465 e precedenti ivi richiamati).

Nel caso di specie, dunque, il rimedio sarebbe stato quello di impugnare la disposizione che ha previsto la distanza di otto metri dal confine, ricordando però che il ricorso è soggetto al termine breve di decadenza di sessanta giorni dalla pubblicazione dello strumento urbanistico, che sembra perciò scaduto (è comunque consigliabile verificare in modo puntuale le date di approvazione del piano e/o del regolamento edilizio e le disposizioni in essi previste, posto che sembra poco probabile che nulla sia cambiato da trent’anni a questa parte).

Le uniche alternative che restano a disposizione sono quelle di capire se nella normativa locale sia prevista qualche deroga e in che termini (ad es. per costruzioni in aderenza) e verificare se sia possibile avvalersi di strumenti straordinari di rigenerazione del territorio (come il cosiddetto “Piano casa”), che possono anche prevedere la costruzione in deroga alle distanze disposte dagli enti locali.

G. M. chiede
domenica 12/02/2023 - Marche
“Si tratta di un tessuto edilizio saturo classificabile B ai sensi del MM 1444/68
Ci sono due edifici posti su lotti finitimi, uno esterno ad un piano attuativo, l’altro interno.
Per l'edificio interno il Piano Attuativo consente la sopraelevazione, previa demolizione e ricostruzione, pur non essendoci i 10 metri tra i due edifici; è legittima la previsione del Piano Attuativo che consente questa sopraelevazione?
In altri termini il proprietario dell'edificio esterno al PA può legittimamente opporsi alla sopraelevazione?”
Consulenza legale i 17/02/2023
Le disposizioni relative alle distanze tra edifici previste dall’art. 9, D.M. n. 1444/1968, sono ritenute generalmente inderogabili, con la sola eccezione prevista dall’ultimo comma di tale norma, in cui si legge: “Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”.
Il piano attuativo, quindi, è proprio una delle ipotesi in cui si consente una legittima deroga al D.M. n. 1444/1968, che non è invece ammessa ad esempio per la pianificazione generale e per “semplici” i titoli edilizi (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5863).

Tuttavia, nel caso di specie, bisogna tenere conto del fatto che solo uno degli edifici considerati è interno al piano, mentre il secondo è posto all’esterno, cioè non fa parte del complessivo e unitario assetto che si è voluto imprimere al territorio con l’approvazione del piano stesso.
Per tale particolare evenienza, la giurisprudenza ha chiarito che “l'ipotesi derogatoria contemplata dell'ultimo comma dell'articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 - che consente ai comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale ove le costruzioni siano incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione (sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche) - riguarda soltanto le distanze tra costruzioni insistenti su fondi che siano inclusi tutti in un medesimo piano particolareggiato o per costruzioni entrambe facenti parte della medesima lottizzazione convenzionata” (Cassazione civile, sez. II, 07 novembre 2017, n. 26354, v. anche, in termini, Cassazione civile, SS.UU., 18 febbraio 1997, n.1486).
Sembra, quindi, che il proprietario che abbia subito un pregiudizio abbia basi per opporsi a quanto fatto dal confinante.

T. O. chiede
giovedì 20/10/2022 - Piemonte
“Buongiorno,
Vorrei installare una pergotenda con 3 paletti di supporto appoggiati a terra e un telo retrattile.
Premetto che vivo in centro storico e quindi sono a conoscenza della necessità di dover attendere il parere favorevole della soprintendenza, ma al momento la problematica principale in cui mi sono imbattuto e sulla distanza dal vicino.
La pergotenda non può rispettare la distanza (dal muro perimetrale di casa mia al muro di confine ci sono circa 3 metri) ed aggiungo che questa struttura in alcun modo può intaccare la visuale, limitare aria o altro essendo che la mia abitazione sovrasta di circa 4 metri la proprietà del vicino. Oltretutto la pergotenda andrebbe installata verso il prato del vicino che dista assolutamente lontano dall’abitazione dello stesso (se fosse possibile ho alcune foto che chiariscono meglio).
Mi è stato riferito che l’installazione della pergotenda deve rispettare 3 metri di distanza dalla proprietà del vicino. ho difficoltà a chiarire questi aspetti con il comune poichè dal momento in cui il mio vicino si è rivolto a loro il responsabile tecnico non vuole avere ploblemi e non mi permette di presentar la pratica se non ho l’autorizzazione del vicino.
Vorrei sapere se c’è una legge che definisce le distanze nel caso di installazione di un arredo da giardino leggero, com’è la pergotenda.
Attendo un vostro cortese riscontro”
Consulenza legale i 27/10/2022
Anche una struttura come la pergotenda può essere soggetta al rispetto delle distanze legali di cui all’art. 873 del c.c..
Infatti, secondo la giurisprudenza, "ai fini dell'osservanza delle distanze legali nelle costruzioni, prescritte dall'art. 873 del c.c. e dalle norme di questo integrative, alla nozione di "costruzione" deve essere ricondotto, avuto riguardo alle finalità della disciplina di regolare i rapporti intersoggettivi di vicinato assicurando in modo equo l'utilizzazione dei fondi limitrofi, qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i requisiti della solidità e della immobilizzazione al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad una preesistente fabbrica” (così tra le altre Cass. Civ., Sez. II, 05/01/2000, n. 45).
Inoltre Cass. Civ., Sez. II, 26/06/2000, n. 8691 ha precisato che può aversi "costruzione", ai fini delle norme sulle distanze, anche se "tale collegamento al suolo avvenga mediante mezzi meccanici i quali consentano mediante procedimenti o manovre o procedimenti inversi una nuova mobilizzazione e l'asportazione del manufatto”.
Potrebbe altresì porsi, almeno in astratto, il problema del rispetto dell’eventuale servitù di veduta acquisita dal vicino, ai sensi dell’art. 907 del c.c..
In merito a tale aspetto la giurisprudenza ha affermato che "la violazione del diritto di veduta del proprietario di un'unità immobiliare si determina quando viene realizzata una "fabbrica", a distanza inferiore a quella prevista dalla legge, di qualsiasi materiale e forma, idonea ad ostacolare stabilmente l'esercizio della "inspectio" e della "prospectio" nonché di godere di luce ed aria dalla veduta” (così Cass. Civ., Sez. II, 30/01/2008, n. 2209).
Naturalmente, si tratta di valutazioni da compiersi caso per caso; laddove si arrivi a un giudizio, rientrerà “nell'apprezzamento discrezionale del giudice di merito [...] stabilire se - nell'ambito dei rapporti di vicinato - opere quali tettoie, tendaggi fissi, estensibili o detraibili, con intelaiatura fissata stabilmente al suolo, costituiscano costruzioni, o a queste possano equipararsi, e se impedendo o limitando - per la struttura, dimensione o conformazione - le vedute in appiombo esercitate dal vicino, debbano rispettare la distanza di tre metri prevista dall'art. 907 c.c.” (Cass. Civ., Sez. II, 06/11/2003, n. 16687).
Ad ogni modo, per verificare che la pergotenda da installare rispetti o meno le norme sulle distanze, è inevitabile farsi assistere da un tecnico.
Appare criticabile, semmai, l’atteggiamento del comune, che intende subordinare il rilascio del titolo edilizio (anzi addirittura, stando a quanto viene riferito, lo stesso avvio del procedimento!) all’ottenimento del consenso del vicino: si tratta di una prassi piuttosto diffusa tra le amministrazioni locali, ma che è stata spesso censurata dalla giurisprudenza amministrativa.

M. B. chiede
mercoledì 21/09/2022 - Lazio
“Buongiorno,
ho prolungato il mio tetto in legno tegole e fotovoltaico ricarica auto elettriche facenti copertura per questioni di sicurezza e garage, aperto su 2 lati più finestrato fisso verso il confinante (per questioni di sicurezza e protezione da animali selvatici, visto che l'area confinante è nel totale degrado canne, cespugli e quant'alto, che io a mie spese dal 2019 sto cercando di curare almeno per i 10 mt. vicino al mio confine) che poggia dentro il mio confine e non sul confine, il mio vicino ha un terreno classificato a semina.
Non ho fatto scia o altro, lui mi intima di levarlo per le distanze dal confine (che ricordo è il mio e non in comune, visto che non ha partecipato alle spese x il suo realizzo). La recinzione è sotto i 3 mt., precisamente circa 1,5 metri.
Posso in qualche modo sanare e proteggerlo da questo incomprensibile attacco?
saluti

Consulenza legale i 29/09/2022
Laddove, nel quesito, si parla di “sanare” l’opera che è stata realizzata vi sono due profili da prendere in considerazione: quello amministrativo (nello specifico, urbanistico - edilizio) e quello civilistico, riguardante i rapporti tra privati (nel nostro caso, viene in rilievo la normativa sulle distanze tra costruzioni).
Da un punto di vista amministrativo, dalle foto allegate si evince che l’intervento edilizio sembra avere una certa consistenza, soprattutto considerando che nel quesito si riferisce che è stato realizzato in assenza di titolo abilitativo. Tuttavia, si tratta di questione che non può essere risolta in questa sede, in quanto necessita della consulenza di un tecnico. Si suggerisce comunque di prestarvi particolare attenzione, onde evitare possibili sanzioni, anche di carattere penale.
Dal punto di vista civilistico, occorre innanzitutto fare chiarezza: il confine è la linea di demarcazione tra due fondi e, in quanto tale, non è “di proprietà” dell’uno o dell’altro confinante. Questione diversa è quella della proprietà del muro o della recinzione eventualmente realizzati sul confine. Infatti, gli artt. 874 e ss. c.c. prevedono in diverse ipotesi la possibilità di chiedere la comunione forzosa del muro di confine; in proposito, l’art. 878 del c.c. chiarisce che “il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un'altezza superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall'articolo 873”.
Ora, in materia di distanze tra costruzioni vige il c.d. principio di prevenzione, in base al quale “il confinante, che costruisce per primo, può edificare sia alla distanza minima imposta dalla legge, sia sul confine, sia a distanza inferiore alla metà di quella prescritta per le costruzioni su fondi finitimi” (così tra le altre Cass. Civ., Sez. II, sentenza 08/07/2014, n. 15547): nel nostro caso, sul fondo vicino non esistono costruzioni.
Inoltre, come ha precisato Cass. Civ., Sez. II, 30/08/2017, n. 20529, “in tema di distanze legali, la misura di tre metri indicata nell'articolo 873 c.c. riguarda la distanza tra costruzioni su fondi confinanti e non tra una costruzione ed il confine del fondo”.
Al di là della questione civilistica si ribadisce, comunque, il consiglio di verificare con un tecnico di fiducia il rispetto della normativa urbanistico - edilizia e, in particolare, del regolamento edilizio comunale.

Marisa L. chiede
giovedì 18/08/2022 - Basilicata
“Buongiorno,
ho costruito un muro di sostegno per un terrapieno in aderenza al muro di confine che separa due giardini di proprietà, per portare un piano in forte pendenza rispetto al livello di strada, essendo la mia proprietà in testata e confinante con la strada
Si tratta di vari lotti a u, che hanno tra di loro una distanza di 5 mt tra di loro e dalla strada, all' interno dei quali ci sono costruzioni a schiera, in aderenza tra loro, con rispettivi giardini antistanti, divisi da un muro di confine.
Dalla parte del vicino esiste anche una scala in cemento armato in aderenza al suddetto muro.
I vicini sostengono che debba allontanare la mia costruzione nella fattispecie del muro di contenimento, di 5 metri dal confine come stabilito dal piano di lottizzazione della zona in questione che prevede "distacchi minimi dai confini e dalle strade non inferiori a 5 mt" non specificando però di quali confini di tratti se di proprietà o dei lotti
In pratica il vicino sostiene che le suddette disposizioni trovano applicazione anche ai confini di proprieta degli immobili di un unico comparto e non limitatamente ai confini di lotti differenti. Ora se così fosse le costruzioni in un unico comparto dovrebbero essere alla distanza di 5 metri, così non è, trattandosi di alloggi a schiera costruite in aderenza, mentre queste distanze si vedono rispettare tra i vari lotti differenti.
Anche l'esistenza della scala costruita sul confine non potrebbe trovarsi in aderenza al muro di confine se fosse corretta l' interpretazione del vicino
Qual è l' interpretazione giusta del piano di lottizzazione in questione, quella mia, cioè che le distanze di 5 metri debbano intendersi dai confini dei lotti e non dai confini di proprieta delle costruzioni all' interno del lotto, visto le che le costruzioni sono in aderenza e quindi l'evidenza mostra che le distanze di 5 metri debbano intendersi dai confini dei lotti o l' interpretazione del vicino che dice che debba allontanare la mia costruzione di 5 metri dal suo confine?
Grazie”
Consulenza legale i 04/09/2022
La questione che con il caso di specie si pone si ritiene che non debba trovare soltanto soluzione nelle disposizioni dettate dal piano di lottizzazione della zona, ma anche nella disciplina che il codice civile detta in materia di distanze.
Stando a quanto viene riferito, la proprietà di colui che pone il quesito sembra presentare un dislivello di origine naturale, alla quale il costruttore ha inteso rimediare mediante la creazione di un terrapieno, cioè un riempimento creato dall’opera dell’uomo al di sopra del declivio naturale del terreno.

Ora, costituisce principio pacifico quello secondo cui, ai fini delle distanze, non sono considerati costruzione i manufatti interrati, che non fuoriescono dal livello naturale del terreno, così come non può essere considerato rilevante ai fini delle distanze il muro di cinta, secondo la definizione che ne dà l’art. 878 c.c.
Ciò significa che se il muro di contenimento viene realizzato per rimediare al declivio naturale del terreno, lo stesso non può qualificarsi come costruzione per la parte che non fuoriesce dal livello del terreno, mentre per la parte in sopraelevazione rappresenta muro di cinta fino ad una altezza di metri tre.
Superato il livello naturale del terreno ed i tre metri in sopraelevazione, va configurato come costruzione, ed in quanto tale sarà soggetto al rispetto delle distanze fissate dall’art. 873 c.c. ovvero, alle maggiori distanze stabilite dai regolamenti locali (nel caso di specie dal piano di lottizzazione della zona, ove la distanza di rispetto viene determinata in metri cinque dal confine altrui, a prescindere dalla circostanza che si tratti di proprietà ricadente nel medesimo lotto costruttivo).

In tal senso si è espressa in diverse occasioni la giurisprudenza di legittimità, specificando che “il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e quindi dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone ,o smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo pere creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente” (cfr. Cass. n. 243/1992, Cass. n. 145/2006, Cass. 13.09.2012 n. 15391).

Ebbene, stando a quanto sopra detto, può dirsi che il muro di contenimento realizzato, anche se non completamente interrato, fintanto che adempie alla sola funzione di arginare il terreno vicino non può essere considerato costruzione ai fini del computo delle distanze.
Tuttavia, condizione essenziale per poter far valere tale principio è che si tratti di “declivio naturale” e che il “terrapieno” presente non sia opera dell’uomo.
In caso contrario, infatti, saranno destinate a trovare applicazione le norme sulle distanze, assumendo il muro realizzato, seppure a solo scopo di contenimento, la qualificazione giuridica di costruzione.
Peraltro, non può assumere alcuna valenza giustificativa, al fine di intendersi esonerati dall’obbligo della distanza di metri cinque, la circostanza che dalla parte del vicino sia stata realizzata una scala in cemento armato, in aderenza al muro di confine.
Anche se nulla viene specificato al riguardo, si presume, infatti, che si tratti di scala realizzata dal costruttore originario, in conformità al progetto originario di costruzione, avendo ciò dato luogo alla costituzione di una vera e propria servitù per destinazione del padre di famiglia (servitù consistente appunto nel mantenere quella scala a distanza inferiore a quella stabilita sia dalla legge che dal piano di lottizzazione).

F. M. chiede
giovedì 05/05/2022 - Toscana
“Vorrei sapere se il mio vicino proprietario del terreno attiguo alla mia proprietà può realizzare una strada con passo carraio ad una distanza inferiore a 3 metri dalla mia abitazione, si fa presente che il suddetto possiede già una strada di accesso ai propri terreni che attualmente non utilizza perché data in affitto insieme a porzione del suo fabbricato a soggetto che esercita attività di ristorazione.”
Consulenza legale i 12/05/2022
Nessuna norma del codice civile impone il rispetto di una distanza minima dalla costruzione altrui per realizzare sul proprio fondo ed a servizio dello stesso una strada da percorrere a piedi o con mezzi meccanici.

Le distanze che il codice impone di rispettare sono, invece, quelle relative a costruzioni fra loro, quelle attinenti all’apertura di luci, vedute, prospetti, nonché quelle in materia di servitù prediali (artt. 873 e ss. c.c.).
La giurisprudenza del passato ha spesso affermato che le norme sulle distanze nelle costruzioni avessero come scopo principale quello di evitare la formazioni di intercapedini antigieniche, ritenendo per tale ragione che non potessero qualificarsi come norme integrative del codice civile quelle altre norme contenute in regolamenti comunali ed aventi diversa funzione (estetica, urbanistica, ecc.).
Nel corso degli anni, invece, ci si è resi conto che la distanza fra gli edifici risponde ad esigenze multiple, tutte di eguale importanza anche sul piano costituzionale, quali igiene, sicurezza da accessi, sicurezza da incendi, difesa della privacy, in una parola difesa della qualità della vita.

Ora, come può agevolmente evincersi da una semplice lettura delle norme che il codice civile detta in materia di distanze, non vi è alcuna disposizione che possa invocarsi, neppure in via analogica, per impedire al vicino di realizzare quella stradella a distanza inferiore di tre metri dalla propria abitazione.
Peraltro, anche a voler sostenere, per ipotesi, che la realizzazione di tale stradella ad una distanza minima dalla propria abitazione possa in qualche modo violare l’esigenza di sicurezza dagli accessi di malintenzionati e di privacy in generale, sarebbe fin troppo facile per il confinante opporre che tali esigenze potrebbero essere meglio soddisfatte, in qualsiasi momento e ad iniziativa dello stesso proprietario della costruzione, mediante realizzazione di una recinzione a difesa del proprio fondo.

Infatti, l’esistenza di quella strada non impedisce al proprietario di avvalersi di quanto disposto dall’art. 841 del c.c., ossia di recintare e chiudere il proprio fondo, così non solo tutelando la propria privacy, ma anche riuscendo a meglio difenderlo dall’accesso di terzi non autorizzati.
A tal fine, poi, può invocarsi il disposto di cui all’art. 878 del c.c., norma che, nel qualificare il muro di cinta come quel muro isolato che non supera l’altezza di metri tre, consente di realizzarlo perfino sul confine, non essendo lo stesso considerato neppure ai fini del rispetto delle distanze tra edifici ex art. 873 del c.c..

Pertanto, fatta salva l’ipotesi (per la verità improbabile) che i regolamenti locali del Comune interessato stabiliscano delle regole specifiche al riguardo, non risultando violata alcuna delle norme dettate dal codice civile in materia di distanze né integrando quella stradella la realizzazione di una servitù di passaggio a carico del proprio fondo ed a favore del fondo del vicino, non sussiste alcuna valida ragione giuridica per opporsi alla sua realizzazione.

Infine, va tenuto presente che quella che il vicino intende realizzare è a tutti gli effetti una strada privata, per la cui definizione si può soltanto richiamare quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in materia di strade vicinali.
In particolare, sono state qualificate come tali tutte quelle strade poste al di fuori dei centri abitati che, attraversando plurimi e distinti fondi, consentono il transito e l’accesso ai medesimi. Per quanto concerne il loro regime giuridico, la stessa Suprema Corte ha precisato che si tratta di strade di proprietà privata, costituite mediante il conferimento di aree da parte dei proprietari dei fondi laterali e contigui (ex collatione privatorum agrorum), che ne diventano pertanto comproprietari (così Cass. civ. n. 3130/2013).

Ebbene, anche in questo caso, non sembra possano sussistere dubbi circa la natura privata della stradella in oggetto, il che a sua volta fa escludere che si possa pensare di invocare quanto disposto dagli artt. 16 e ss. del Codice della strada in materia di fasce di rispetto (ossia di distanza minima tra una costruzione ed una sede stradale), trattandosi di norme dettate per il solo caso di strade pubbliche o di strade private ad uso pubblico.

B. I. chiede
giovedì 10/03/2022 - Marche
“Buonasera
sono proprietaria al 50% di un immobile ristrutturato in campagna con divisione tipo "terra-cielo" con altro proprietario confinante.
La due proprietà sono state accatastate regolarmente, e sono divise da recinzione costruita con muretto più rete metallica per un'altezza totale di circa cm 200.
Il vicino di casa nel 2016 ha costruito una tettoia avente un'altezza 260 cm e una distanza dalla recinzione/confine di circa 10 cm chiusa da telo in plastica.
Inoltre preciso che ho una finestra a 85 cm dal confine.
La domanda è: è corretta la distanza della tettoia dal confine?
In attesa di una vs. gentile risposta”
Consulenza legale i 17/03/2022
Nel quesito non viene specificato se la tettoia di cui si parla sia in regola da un punto di vista urbanistico: ora, è vero che si tratta di questione indipendente da quella delle distanze legali tra costruzioni; tuttavia, il carattere abusivo del manufatto comporterebbe l’adozione da parte del Comune di sanzioni ed eventualmente la demolizione dello stesso.
In ogni caso, limitandoci al profilo strettamente civilistico delle distanze, l’art. 873 c.c. fissa in tre metri la distanza minima tra costruzioni su fondi confinanti, “se non sono unite o aderenti”: inoltre viene fatta salva la distanza maggiore eventualmente stabilita dai regolamenti locali.
Riguardo al tipo di manufatto, la giurisprudenza (T.A.R. Calabria Catanzaro, Sez. II, 09/04/2021, n. 752) ha precisato che “ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici di origine codicistica, la nozione di costruzione non può identificarsi con quella di edificio, ma deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell'opera”. Nell’enunciare tale principio i giudici hanno riconosciuto tale carattere, appunto, ad una tettoia. Naturalmente si tratta di valutazione che va compiuta caso per caso.
Si consiglia, pertanto, di approfondire la questione con l’ausilio di un tecnico, onde verificare le caratteristiche dell’opera realizzata, lo stato dei luoghi e la possibilità di agire per il rispetto delle distanze legali.

S.Z. chiede
mercoledì 09/06/2021 - Lombardia
“Buongiorno.

Sono il proprietario di un edificio in Zona A Nuclei di Antica Formazione a XXX, nel PGT è classificato A3* Edifici di Valore tipologico; sarà soggetto ad un intervento di ristrutturazione con opere strutturali e opere di efficientamento energetico.
La ristrutturazione comporterà la realizzazione di un cordolo in cemento armato a livello della copertura con innalzamento della linea di imposta della copertura e quindi del prospetto, inferiore a 30 cm; nel pacchetto della copertura per ragioni di risparmio energetico dovrò aggiungere uno strato di isolante che comporterà l'innalzamento della linea di falda di 15 cm. Ciò non comporterà un aumento di superficie abitabile.
L’edificio è prospicente ad un altro fabbricato. Nel punto più stretto l'edificio dista 2,25 m dal fabbricato del vicino.

Nelle NTA del PGT di XXX l’articolo 53 c.5 riporta: in caso di dimostrata necessità di consolidamento statico delle murature perimetrali, non è considerata modifica altimetrica, ed è quindi ammessa la realizzazione di elementi strutturali (es. cordoli in cemento armato) che comporti un aumento massimo dell’altezza di 30 cm senza ribassamento della muratura esistente.

Il D.M.1444/1968 all’art.9 riporta: le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue: Zone A: per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.

L’art.8.4.3 delle NTC 2018 riporta “Una variazione dell’altezza dell’edificio dovuta alla realizzazione di cordoli sommitali o a variazioni della copertura che non comportino incrementi di superficie abitabile, non è considerato ampliamento”.

L’art.873 del Codice Civile riporta “Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore”.

Per realizzare il cordolo sommitale di dimensioni inferiori a 30 cm, devo essere autorizzato dai vicini o è un mio diritto ed è sufficiente il titolo abilitativo?
Per aggiungere lo strato isolante alla coperture con modifica di massimo 15 cm, devo essere autorizzato dai vicini o è un mio diritto ed è sufficiente il titolo abilitativo?

Grazie per la disponibilità
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 16/06/2021
Nel caso descritto nel quesito, siamo di fronte non ad una nuova costruzione (che imporrebbe il rispetto delle distanze di legge), ma ad una ristrutturazione di un edificio preesistente, che peraltro, come riferito, non comporterebbe neppure una ulteriore riduzione della distanza da uno dei fabbricati vicini (già ora inferiore ai tre metri, che è la distanza minima stabilita dall'art. 873 c.c., il quale a sua volta fa salve le previsioni eventualmente più severe dei regolamenti locali).
Sui rapporti tra ristrutturazione edilizia e distanze legali, la giurisprudenza amministrativa ha di recente precisato che “sono "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza” (Cons. Stato, Sez. IV, sent. 12/10/2017, n. 4728).
Ora, sotto il profilo del rispetto delle distanze, la medesima sentenza opera la seguente distinzione:
- nel caso in cui il manufatto che costituisce il risultato di una ristrutturazione edilizia venga comunque ricostruito con coincidenza di area di sedime e di sagoma, esso - proprio perché "coincidente" per tali profili con il manufatto preesistente - potrà sottrarsi al rispetto delle norme sulle distanze innanzi citate, in quanto sostitutivo di un precedente manufatto che già non rispettava dette distanze (e magari preesisteva anche alla stessa loro previsione normativa) [...].
- invece, nel caso in cui il manufatto venga ricostruito senza il rispetto della sagoma preesistente e dell'area di sedime, come pure consentito dalle norme innanzi indicate, occorrerà comunque il rispetto delle distanze prescritte, proprio perché esso - quanto alla sua collocazione fisica - rappresenta un novum, come tale tenuto a rispettare - indipendentemente dalla sua qualificazione come ristrutturazione edilizia o nuova costruzione - le norme sulle distanze”.
Il caso sottoposto al nostro esame sembra rientrare nella prima delle due ipotesi sopra descritte, anche alla luce delle norme urbanistiche locali, citate nel quesito, riguardanti la realizzazione di cordoli e simili.

Enrico B. chiede
venerdì 19/03/2021 - Toscana
“Salve,

ho un piccolo giardino, circa 4x4 metri che per due lati confina con altri due proprietari, essendo terreno poco drenante e perlopiù in ombra risulta spesso non utilizzabile (causa fango). Volevo sapere se è possibile costruire una pavimentazione in legno alta circa 15cm attaccata ai due confini. La piattaforma sarebbe appoggiata sul terreno senza quindi la necessità di opere murare se non nei soli punti di appoggio delle travi.

Cordiali saluti,
Enrico”
Consulenza legale i 22/03/2021
La sezione sesta del codice civile detta una serie di disposizioni in tema di distanze tra “costruzioni, piantagioni e scavi, e dei muri, fossi e siepi interposti tra i fondi”.
Il pavimento indicato nel quesito, sicuramente non rientra tra nessuno degli interventi di cui sopra, a maggior ragione che la piattaforma non necessita nemmeno di opere murarie.
Quindi, sotto il profilo delle distanze nulla quaestio.

Fermo quanto precede, per mero scrupolo, sarebbe da verificare se tale innalzamento di 15 cm del pavimento possa aumentare la possibilità di affaccio nel fondo del vicino.
Nel quesito non è specificato cosa ci sia sul confine (rete? muro? siepe?). Se innalzando il livello è possibile vedere all’interno del fondo confinante (quando attualmente non lo è), allora ciò potrebbe essere oggetto di contestazione da parte del vicino (nella pratica, risolvibile innalzando altrettanto il manufatto divisorio tra i fondi).
Laddove invece tale innalzamento non comporti alcuna variazione in tal senso, sarebbe pienamente legittimo.

Da ultimo, sarebbe opportuno verificare (ma questo tramite un tecnico quale un geometra/agronomo o simili e comunque non un avvocato) se tale intervento non possa comportare in qualche modo danni in termini di umidità a carico del fondo confinante.

Gabriele B. chiede
venerdì 06/03/2020 - Veneto
“Quesito inerente"ACQUISIZIONE MEDIANTE USUCAPIONE DEL DIRITTO A MANTENERE DISTANZA ILLEGALE DAL CONFINE DI UNA COSTRUZIONE".
Buongiorno.
-nel 1996 un fondo indiviso è stato frazionato da mio cognato geometra e poi acquistato metà da me e metà da lui e moglie.
-nel 1997 sono state costruite serre floricole nella mia parte e nel 1998 un annesso rustico sul fondo confinante dei cognati con fine lavori nel dicembre 1999.
Di tutti e due gli interventi mio cognato era progettista e direttore lavori.
Ciascuno dei due progetti prevedeva una distanza dal confine di mt.3.
I due fabbricati non sono di fronte ma sfalsati.
In data 28/06/2011 la società .... s.a.s. di ...... (mia cognata) e C è divenuta proprietaria assieme ai figli dell' immobile con atto n....notaio etc.etc.
Nel 2012 e anni successivi sono stati presentati progetti di trasformazione del rustico in un country-house, particolare struttura recettiva in zona agricola.
Nell' ambito di tali lavori è stata realizzata nel 2013 una recinzione separatoria in c.a. con rete metallica per dividere le due proprietà.La recinzione è stata posta a mt 3 dalle mie serre, come da progetto.
Mi sono immediatamente reso conto che la distanza delle mie serre è rispettata ma l' immobile della società ......sas è molto più vicino(mt 1,70).
Tale situazione non era prima visibile in quanto lo spazio era aperto e di libero accesso e in pratica in comune e il mancato rispetto delle distanze non era ben manifesto in quanto i due edifici non si fronteggiano. Io comunque non me ne ero mai accorto.
Nel 2017 e nel 2018 ho, prima io e poi tramite professionista, segnalato l' abuso all'ufficio tecnico del comune tramite Pec, richiedendo il loro intervento,non ricevendo però risposta.
Nel 2018 ho incaricato un professionista di tracciare non in contraddittorio con i vicini la linea di confine, che risultata essere coincidente con la recinzione, confermando l' abuso.
Mi sto attivando per richiedere un accertamento preventivo per poi eventualmente procedere con la richiesta di abbattimento.
Dal fine lavori dicembre 1999 ad adesso sono passati più di venti anni.
CHIEDO:
si è compiuto regolarmente il periodo di 20 anni atto ad acquisire il diritto di mantenere la distanza illegale oppure uno dei seguenti fattori ha interrotto il periodo?
1) Acquisizione del fondo nel 2011 dalla società .....sas che è ora proprietaria. Il tempo parte dalla costruzione o dal subentro del nuovo proprietario?
2) Durante la ristrutturazione nella parete che guarda il mio confine è stata aperta una finestra e posta una canna fumaria che parte da terra sino a tetto.Viene considerata variante in grado di sospendere il periodo ventennale?
3 )La recinzione che ha reso evidente l' abuso fa partire da quel momento il conteggio degli anni?
4) La segnalazione al Comune dell' abuso fa sospendere l' usucapione?
5) Nella malaugurata ipotesi che l'usucapione sia valido ho possibilità di rivalermi sul Comune?
Grazie e cordiali saluti.
P.S. Potrei eventualmente inviare un semplice schizzo fatto a mano con funzione di mappa.”
Consulenza legale i 13/03/2020
Le distanze tra le costruzioni sono regolate dalla legge per esigenze multiple, tutte di eguale importanza anche sul piano costituzionale, quali consentire a ciascun proprietario di godere del suo immobile con il minor sacrificio o, se necessario, con pari sacrificio per il vicino, nonché evitare che si creino situazioni insalubri o fonti di discordia.
E’ così previsto che chi edifica deve rispettare i piani regolatori ed i regolamenti comunali (artt. 869-871 c.c.) e che non è consentito violare le norme sulle distanze contenute negli artt. 873-899 c.c. e le norme dei regolamenti che questi articoli richiamano.
In caso di violazione, la parte che la subisce può chiedere la rimessione in pristino ex art. 872 del c.c..

Le distanze fissate dagli artt. 873-899 c.c. sono inderogabili, ma è possibile acquisire per usucapione ventennale la servitù di tenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale.
In una sua vecchia sentenza la Corte di Cassazione (Cass. 1422/1970) afferma che, anche se il potere di far valere le limitazioni della proprietà nei rapporti di vicinato è imprescrittibile, è tuttavia ammissibile la costituzione per usucapione di una servitù il cui contenuto contrasti con una di tali limitazioni (nel caso specifico è stata ritenuta ammissibile la costituzione per usucapione del diritto di tenere una costruzione a distanza inferiore a quella della costruzione del vicino e dal confine prescritta dal regolamento edilizio).

Pertanto, colui il quale vede violare una distanza legale inderogabile in suo danno, può sempre agire civilmente per la sua regolarizzazione, purché non siano trascorsi venti anni a partire dal momento in cui la violazione è stata manifesta, mentre se sono state violate altre disposizioni amministrative, può agire in via amministrativa per l’annullamento di concessioni o licenze o per il risarcimento del danno, fin quando l’azione non si sia prescritta o vi siano stati una sanatoria o un condono edilizio.

Delle distanze tra costruzioni si occupa in particolare l’art. 873 c.c., il quale dispone che la distanza minima tra le costruzioni è di tre metri, salvo distanze maggiori stabilite dai regolamenti comunali.
E’ opportuno precisare che per costruzione si intende qualunque opera, non completamente interrata, avente i requisiti della solidità e della immobilizzazione rispetto al suolo (non si considerano costruzioni una baracca, un chiosco, un box); inoltre, non deve trattarsi necessariamente di un’opera edilizia o in muratura, potendo essa consistere in qualunque manufatto che abbia carattere di stabilità e che, per la sua consistenza, possa dare luogo al formarsi di interstizi dannosi o pericolosi per la sicurezza e l’igiene.

Per evitare la creazione di questi ultimi, chi costruisce in prossimità del confine di un terreno su cui non vi sono già costruzioni, deve costruire (almeno secondo le distanze fissate dal codice civile) a 1,5 metri dal confine, in maniera tale che tra le due costruzioni vi sia complessivamente una distanza pari a metri tre.
La stessa norma aggiunge che, se sull’altro terreno vi è già una costruzione a distanza minore di metri 1,5, chi costruisce deve farlo rispettando il limite dei tre metri dalla precedente costruzione oppure può decidere di costruire in aderenza ad essa, pagando il valore del terreno occupato e, se utilizza il muro esistente, pagando metà del suo valore.
Il proprietario della costruzione a distanza inferiore può scegliere di estenderla fino al confine oppure di demolirla in modo da ripristinare la distanza di mt. 1,5 (così art. 875cc).

Queste le norme di carattere generale previste dal codice civile, ma come lo stesso codice dispone, i regolamenti edilizi locali, sulla base dei quali l’ente amministrativo competente (cioè il Comune) dovrà rilasciare la concessione ad edificare, possono stabilire una distanza superiore a quella di cui all’art. 873 c.c., come sembra essere avvenuto nel caso di specie, considerato che nel quesito si dà atto che ciascuno dei due progetti (quello relativo alle serre floricole e quello relativo al rustico) prevedeva una distanza dal confine pari a metri tre.

La circostanza, poi, che di fatto il confinante abbia realizzato la costruzione a distanza inferiore a quella prevista dal progetto approvato e sulla cui base è stata rilasciata la concessione edilizia, non può purtroppo avere alcuna influenza ai fini del maturarsi del possesso ad usucapionem, in quanto la stessa Corte di Cassazione, con sentenza n. 3979 del 18.02.2013 ha ritenuto ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, considerato che il difetto della concessione edilizia o la difformità da essa esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso necessario per l’usucapione.

In tema di modifiche al fabbricato che non rispetta le distanze, sempre la Cassazione ha affermato che perfino la ricostruzione di un manufatto edilizio che sostituisca, dopo la sua demolizione, un precedente manufatto, senza alcuna modifica della sagoma né in larghezza né in altezza rispetto al confine non integra una nuova costruzione; solo qualora da tale ricostruzione ne conseguano aumenti delle superficie occupate in relazione alla originaria sagoma di ingombro, si può dire di essersi in presenza di un manufatto da ritenersi quale nuova costruzione ed in quanto tale la stessa sarà vincolata al rispetto delle disposizioni in tema di distanze tra costruzioni vigenti al momento della sua realizzazione (così Cass. 1817/2004; Cass. 20820/2004; Cass. 9637/2006; Cass. 15041/2018).

Dopo aver cercato di delineare, anche sulla base degli orientamenti giurisprudenziali, i principi giuridici che regolano questa materia, si cercherà adesso di applicare tali principi al caso di specie e di rispondere alle singole domande poste.
1. L’acquisizione della proprietà in data 28.06.2011 da parte della società ….sas non ha interrotto il termine per il maturarsi dell’usucapione, in quanto trova applicazione l’art. 1146 del c.c., nella parte in cui dispone che il successore a titolo particolare (è tale l’acquirente) può unire al suo possesso quello del suo autore (il venditore) per goderne gli effetti.
Ciò significa che la società ….sas si avvarrà del tempo in cui chi ha realizzato l’immobile ha mantenuto lo stesso a distanza non legale per acquisire la relativa servitù e che, pertanto, il tempo parte dalla costruzione e non dal subentro del nuovo proprietario.

2. la ristrutturazione che ha visto modificare la parete che guarda il confine con apertura di una finestra e realizzazione di una canna fumaria, non vale a sospendere il periodo ventennale, non potendosi in alcun modo qualificare come nuova costruzione, per la quale varrebbero le distanze vigenti al momento in cui viene posta in essere e dalla quale comincerebbe a decorrere un nuovo termine per l’usucapione.

3. non è la recinzione a rendere evidente l’abuso, ma il concretarsi della fattispecie prevista dall’art. 873 c.c., ossia la realizzazione della costruzione.
Si tenga presente che una costruzione si intende iniziata con una qualsiasi muratura di fondazione, e che pertanto è da tale momento che comincia a maturarsi il tempo per l’usucapione.

4. La segnalazione al Comune dell’abuso non può valere a far sospendere l’usucapione, in quanto vanno nettamente distinti gli aspetti pubblicistici della fattispecie da quelli di natura privatistica.
Infatti, la violazione della disciplina urbanistica assume rilevanza solo sotto il profilo pubblicistico, in relazione al quale il decorso del tempo non può valere a consumare il potere sanzionatorio, di cui è titolare l’ente comunale, assumendo l’abuso edilizio natura di illecito permanente (in tal senso si è espresso il TAR Lazio, Sez. I quater, sentenza n. 2606 del 24.03.2011, in applicazione dell’art. 33 D.P.R. 380/2001).

5. Le osservazioni svolte al punto 4 escludono ogni possibilità di rivalersi nei confronti del Comune, in quanto essendo quest’ultimo titolare di un potere sanzionatorio imprescrittibile, nulla esclude che in qualsiasi momento, e soprattutto a seguito della segnalazione ricevuta, si decida ad attivare quel potere e disporre, ove possibile, la riduzione in pristino dello stato dei luoghi.


Giorgio P. chiede
lunedì 29/07/2019 - Lombardia
“Buonasera.
Viene costruito un edificio di fianco al nostro condominio.
Viene improvvisamente cambiato il progetto e lo scivolo carraio di accesso ai box sotterranei viene portato dalla parte opposta a filo del nostro giardino condominiale.
Desidero sapere se lo scivolo in questione ha la distanza legale o se deve osservare la distanza di tre metri dal confine.
Tengo a precisare che i box sono ben 27 o 29 a fronte di soli 5 appartamenti quindi non servono solo le unità abitative, oltretutto sopra la bocca di uscita delle auto vengono realizzate finestre e balconi, non capisco con quale criterio di salubrità.
Desidero inviare foto esplicativa.

Per giustificare il tutto il comune si muove con un esposto contro i miei genitori contestando una rampa di scala e due finestre realizzate dall'impresa costruttrice ben 42 anni fà., intimandone la demolizione entro 90 giorni.
Al momento mi concentrerei sulla prima domanda, desidero in seguito fornirvi documentazione completa per una situazione che necessita di approfondimento.

Distinti saluti.”
Consulenza legale i 05/09/2019
Al fine di dirimere il presente quesito, va preliminarmente rilevato che vi sono tre misure che solitamente vanno rispettate al fine di poter edificare in prossimità di altro edificio:

- tre metri. I fabbricati, se non sono costruiti in aderenza sul confine, devono rispettare l’inderogabile distanza di tre metri l’uno dall’altro. Proprio su questo tema si è espressa di recente la sentenza n. 10318 del 19/05/2016 delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, che stabilisce che il principio di prevenzione temporale è applicabile a chi costruisce per primo, anche se lo strumento urbanistico locale non consente la costruzione in aderenza o non prevede una distanza minima;

- cinque metri. Chi edifica per primo, quindi, impone a chi edifica successivamente la distanza da rispettare. Quest’ultimo potrà, pertanto, decidere se costruire in aderenza o in appoggio, oppure arretrare fino a mantenere la distanza minima stabilita. La maggior parte degli strumenti urbanistici locali, inoltre, stabilisce che la distanza minima di un fabbricato dai confini di proprietà sia almeno di cinque metri;

- dieci metri. Per quanto riguarda le distanze tra edifici antistanti aventi almeno una parete finestrata, l’art. 9 del D.M. 1444/1968 prescrive una distanza minima assoluta di 10 metri.
In tali fattispecie, chi intende edificare a distanza inferiore al limite legale, oppure costituire una servitù sul fondo servente, deve premunirsi depositando presso il Comune il “nulla osta” da parte dei vicini. Il principio è stato confermato anche dal TAR Roma (sent. 9879/2016).

Il T.A.R. Roma, evidenziando come il necessario consenso del confinante trae fondamento dalla previsione di cui all’articolo 11 D.P.R. 380/2001, che al comma 3 dispone che “il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi”, ha infatti statuito che l’Amministrazione competente, non potendo ledere i diritti dei terzi (non destinatari diretti del provvedimento concessorio), deve necessariamente avere la certezza che il confinante sia d’accordo con la limitazione del proprio diritto di proprietà.
Fatte le dovute premesse, occorre tuttavia segnalare che la ratio sottesa a tali regole è essenzialmente quella di non privare i proprietari dell’edificio vicino della veduta esterna, e di conseguenza anche della luce.

Per tali motivi la regolamentazione dei garages è differente.

Come ha infatti efficacemente chiarito il Tar Molise con la sentenza 20/2018 , se un manufatto è pertinenziale e completamente interrato non è soggetto alle norme sulle distanze dal confine e dai fabbricati limitrofi. Il manufatto interrato non crea neanche volumi edilizi, quindi per la sua realizzazione non è richiesto il permesso di costruire perché è sufficiente la Scia.

Al contrario, il manufatto seminterrato crea volume edilizio, quindi per la sua costruzione è necessario non solo il permesso di costruire, ma anche il rispetto delle norme sulle distanze. la misurazione deve rifarsi a dati certi ed oggettivi ricavabili dalla originaria situazione dei luoghi.

Evidentemente il garage e la correlativa rampa di accesso sono stati ritenuti completamente interrati, motivo per il quale non si è valutato come necessario il consenso del vicino confinante, come sopra spiegato.

Venendo ora alla problematica relativa alla pretesa del Comune di demolire la rampa di scale (autonoma), va innanzitutto precisato che la disciplina relativa alle scale degli edifici condominiali è regolata principalmente dall’art. 1117, n. 1, il quale stabilisce che sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo, anche le scale, quali parti dell’edificio necessarie all’uso comune.

Il tema della proprietà delle scale ha creato contenzioso soprattutto in relazione a quei condomini che abitano il piano terra ed hanno un ingresso autonomo. Pur non essendoci unanimità di vedute, si segnala che l'indirizzo giurisprudenziale più recente considera le scale bene di proprietà comune con riferimento anche ai proprietari di negozi o appartamenti al pian terreno con accesso diretto dalla strada, proprio essendo le scale "elementi necessari alla configurazione di un edificio diviso per piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva e mezzo indispensabile per accedere al tetto o alla terrazza di copertura, anche al fine di provvedere alla loro conservazione, tali beni hanno natura di beni comuni ex art. 1117 cod. civ., anche relativamente ai condomini proprietari dei negozi con accesso dalla strada, essendo anch'essi interessati ad usufruire delle scale, e quindi dei pianerottoli, perché interessati alla conservazione (e manutenzione) della copertura dell'edificio della quale anch'essi godono" (Cass. n. 4419/2013; n. 15444/2007).

Preso atto di tale orientamento, si potrebbe dunque affermare che le spese per la demolizione sono a carico del condominio, il quale dunque non potrà far altro che farsi carico dell’attività di demolizione, ripartendo equamente le spese.

Da ultimo, per quanto concerne l’utilità pubblica del provvedimento di demolizione, la domanda è in realtà fuorviante, dato che l’interesse statale sta nel reprimere l’abusivismo in sé, a prescindere da una utilità pubblica.

Difatti, se ipoteticamente ci dovesse essere un’utilità pubblica dietro ogni provvedimento che imponga la demolizione di opere private, ebbene quasi tutti potrebbero edificare senza limiti all’interno del proprio fondo, a patto di non ledere gli interessi altrui. Così evidentemente non è, ed è per questo che il Testo unico edilizia si occupa di reprimere, anche penalmente, gli abusi edilizi. Lo Stato non può infatti consentire un’attività edificatoria sregolata ed arbitraria.

Ad ogni buon conto, la normativa consente di impugnare tale provvedimento, qualora si ritenesse illegittimo ed ingiustificato.

Andrea V. chiede
lunedì 15/04/2019 - Veneto
“Buongiorno. Sto per edificare una nuova abitazione in un terreno edificabile C1.2 in comune di Volpago del Montello (TV). Gentilmente, tenuto conto del D.M. 1444/1968 ex art. 9 e del regolamento comunale (art. 60) che alleghiamo, vi chiedo quale è la distanza minima che devo rispettare con una parete non finestrata del mio edificio, rispetto ad un edificio condonato preesistente posto in una proprietà adiacente. Quest'ultimo è privo di aperture sulla parete che fronteggia la mia proprietà ed è accatastato come magazzino. Grazie.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 18/04/2019
L’art. 873 del codice civile prevede che le costruzioni su fondi confinanti devono essere tenute a distanza non minore di tre metri.
La norma stabilisce anche che nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore.
Come è evidente, il codice civile non distingue tra pareti con finestra e pareti non finestrate.
Poiché però prevede che il regolamento locale possa prevedere distanze maggiori è a quest’ultimo che dobbiamo fare riferimento.
Sul punto, la Cassazione con sentenza n. 11320/2018 ha infatti sottolineato che:“le disposizioni dei piani regolatori che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni tra loro o dai confini dei fondi appartengono alla categoria delle norme integrative del codice civile che, se violate, conferiscono al vicino la facoltà di ottenere la riduzione in pristino.”
Tuttavia, sempre la Suprema Corte, con giurisprudenza costante ha altresì precisato che quanto previsto nel D.M. 1444/1968 prevale su quanto indicato nei regolamenti locali.
Infatti, ad esempio, nella sentenza n. 3739/2018 viene sottolineato che: “I limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati previsti dall'art. 9, comma 2, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, (emanato su delega dell'art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 - c.d. legge urbanistica, aggiunto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765) che prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica, trovano applicazione anche con riferimento alle nuove costruzioni”.

Ciò brevemente premesso, passando allo specifico del caso in esame si osserva quanto segue.

Il quesito riguarda la distanza minima in ipotesi di parete non finestrata rispetto, peraltro, ad altro edificio privo di aperture ed utilizzato come magazzino.
Poiché il punto 3 dell’art. 9 del D.M. 1444 del 1968 relativo alle zone C fa riferimento a pareti finestrate, riteniamo (e senz'altro lo riterrebbe anche il legale del proprietario dell'edificio confinante) occorra tenere presente quanto previsto dall’art. 60 comma 4 del regolamento edilizio da Lei inviato: in questo, in riferimento a pareti antistanti non finestrate, è specificato che è prescritta una distanza minima di 5 metri (quindi superiore a quella prevista dal codice civile).
Questa è dunque la distanza minima da rispettare.

Gerardo T. chiede
giovedì 13/12/2018 - Campania
“Nel caso di un muro di confine di un fondo a dislivello,che presenta altezza diversa sulle due pareti (es. 4 m a valle e 2 m a monte), quale altezza va considerata ai fini del computo delle distanze dagli edifici?”
Consulenza legale i 18/12/2018
Va innanzitutto chiarito se, nel caso di specie, la disciplina sul rispetto delle distanze legali si applichi o meno.

Il quesito, infatti, non chiarisce la funzione del muro in questione, più precisamente non aiuta a capire se esso rientri o meno nel concetto di “muro di cinta” il quale, ai sensi dell’art. 878 c.c., sfugge al computo delle distanze.
La norma citata richiede a tal fine, oltre ad un’altezza non superiore ai tre metri e che le “facce” del muro siano “a vista” (muro isolato), altresì una funzione di delimitazione e difesa del fondo.
Pertanto, per non esser considerato ai fini delle distanze legali, il muro di cinta deve prevalentemente essere destinato alla protezione da possibili invadenze di estranei e quindi alla delimitazione delle proprietà, potendo assolvere solo in via secondaria a diverse funzioni (ad esempio contenimento e sostegno, quando i fondi confinanti si trovano a dislivello).

È proprio per tal motivo che, in tema di muri di cinta tra fondi a dislivello, è necessario verificare, ai fini dell’applicazione della disciplina sulle distanze legali, se il muro, oltre a delimitare il fondo, abbia la funzione di contenimento del naturale declivio del terreno, oppure se abbia lo scopo di contenere un terrapieno creato (con il conseguente dislivello) artificialmente con l’apporto di terra ed altro materiale, potendo, in relazione a tali caratteristiche, esser considerato come costruzione in senso tecnico-giuridico e soggetto quindi alle norme sulle distanze legali appositamente previste dal codice civile e dagli strumenti urbanistici locali.
Non potranno, pertanto, esser considerati muri di cinta – e saranno dunque soggetti al regime delle distanze legali - i manufatti aventi funzione di contenimento di un terrapieno artificiale per stabilizzare il piano di campagna posto a quote differenti dal fondo confinante.

Ciò doverosamente premesso, se la funzione del muro di cui al quesito fosse quella di contenimento sarebbe in effetti corretto chiedersi come si misuri la distanza legale.
Ebbene, è del tutto irrilevante l'esistenza di un dislivello tra i fondi ai fini del calcolo delle distanze delle costruzioni dal confine.

Se il muro si trova esattamente sul confine (linea ideale sul terreno), infatti, sarà da quest’ultimo (e non partendo dalla sommità del muro scendendo poi fino al terreno) che verrà misurata la distanza rispetto ad una costruzione vicina.
E tale linea di partenza iniziale (facciata esterna del muro) sarà evidentemente la stessa sia che la misurazione parta dal lato del muro alto 4 metri sia che parta invece dal lato del muro altro 2 metri.

Esiste, in merito, una sola pronuncia, emessa però dalla Suprema Corte e mai smentita: “In tema di distanze nelle costruzioni, ai sensi dell’articolo 873 cod. civ.,, è irrilevante l'esistenza di un dislivello tra i fondi confinanti ai fini del calcolo delle distanze delle costruzioni dal confine.“ (Cass. civ. Sez. II Sent., 05/12/2007, n. 25393).


Andrea P. chiede
venerdì 07/09/2018 - Trentino-Alto Adige
“Ho realizzato, circa 10 anni fa su mia proprietà a confine un muro alto 80 cm di contenimento terreno.
Essendo alto solo 80 cm non ho mai realizzato il parapetto.
Oggi il vicino sta scavando a confine per realizzare il muro di contenimento a confine su sua proprietà di altezza circa 3,30 m. (Scopo della realizzazione per livellare la quota piano terra del suo terreno).
L'onere di realizzazione del parapetto di protezione alla caduta a chi spetta?”
Consulenza legale i 13/09/2018
Dalla lettura del quesito parrebbe, ad un primo e sommario esame, che il muro costruito per primo rientri nella fattispecie del cosiddetto “muro di cinta” di cui all’art. 878 c.c..
Quest’ultimo presenta le seguenti caratteristiche:
  • è isolato (nel senso che ha le due “facce” libere, distaccate da altre costruzioni);
  • dev’essere di altezza inferiore a 3 metri;
  • dev’essere destinato alla demarcazione della linea di confine ed a separazione e chiusura di proprietà limitrofe.
Il muro con queste caratteristiche, si noti bene, è esentato dall’osservanza della normativa civilistica sulle distanze tra le costruzioni.

Tuttavia, per principio giurisprudenziale ormai consolidato, la funzione di contenimento di un muro, anche se presenti le caratteristiche sopra elencate – determina la disapplicazione immediata della norma (878 c.c.), ovvero quel muro dovrà rispettare le distanze di legge: “In tema di muri di cinta, qualora l'andamento altimetrico di due fondi limitrofi sia stato artificialmente modificato, così da creare tra essi un dislivello che prima non esisteva, il muro di cinta viene ad assolvere, oltre alla funzione sua propria di delimitazione tra le proprietà, anche quella di sostegno e contenimento del terrapieno creato dall'opera dell'uomo; conseguentemente, esso va equiparato ad una costruzione in senso tecnico-giuridico agli effetti delle distanze legali (senza che abbia rilievo chi, tra i proprietari confinanti, abbia in via esclusiva o prevalente realizzato tale intervento) ed è assoggettato al rispetto delle distanze stesse.” (Cass. civ. Sez. II Sent., 03/05/2018, n. 10512)

Pertanto, se il dislivello tra i fondi contigui è naturale ed il muro viene realizzato per contenere il terrapieno naturale, mantenendosi alla medesima altezza di quest’ultimo, tale muro non potrà essere considerato “costruzione” vera e propria ai fini della disciplina sulle distanze legali; al contrario, se il dislivello è artificiale, ovvero è stato creato dall’uomo, allora anche il muro di cinta dovrà mantenere la distanza di legge dal confine (tre metri o quella diversa prevista dai regolamenti comunali).

Nel caso in esame, se il primo muro (il quesito non lo specifica) è stato eretto a contenimento di un terrapieno naturale e la sua altezza coincide esattamente con il terreno, tutto è stato fatto in regola. Diversamente, anche quel primo muro avrebbe dovuto rispettare le distanze legali.

La circostanza è comunque fortunatamente irrilevante, dal momento che in materia vige il principio della prevenzione, ovvero “In tema di distanze legali (…) qualora tali regolamenti” – (edilizi comunali, n.d.r.) – “consentano la predetta facoltà di costruire sul confine (in aderenza o in appoggio), come alternativa all'obbligo di rispettare una determinata distanza da esso, si versa in ipotesi del tutto analoga, sul piano normativo, a quella prevista e disciplinata dagli artt. 873 ss. cod. civ., con la conseguente operatività del principio della prevenzione, in base al quale chi edifica per primo sul fondo contiguo ad altro ha una triplice facoltà alternativa: a) costruire sul confine; b) costruire con distacco dal confine, osservando la distanza minima imposta dal codice civile ovvero quella maggiore distanza stabilita dai regolamenti edilizi locali; c) costruire con distacco dal confine a distanza inferiore alla metà di quella prescritta per le costruzioni su fondi finitimi, salva in tal caso la possibilità per il vicino, che costruisca successivamente, di avanzare la propria fabbrica fino a quella preesistente, pagando la metà del valore del muro del vicino, che diventerà comune, e il valore del suolo occupato per effetto dell'avanzamento della fabbrica.” (Cass. civ. Sez. II, 07/08/2002, n. 11899).

Il principio della “prevenzione”, dunque, consente (a chi lo fa per primo) di costruire il muro anche sul confine, sapendo però che il vicino avrà il diritto di richiederne la comunione forzosa.

In alternativa alla comunione forzosa, il vicino proprietario del fondo contiguo può tuttavia costruire in aderenza, (art. 877 c.c.) – come nel caso di specie – a patto che la sua costruzione non si appoggi a quella preesistente: in buona sostanza, la nuova costruzione dovrà essere pienamente autonomia sotto un profilo statico.
Le spese necessarie alla realizzazione e mezza in sicurezza della parte sopraelevata (quindi anche la spese per un parapetto), trattandosi di bene non comune perché costruita in semplice sopraelevazione del muro di esclusiva proprietà del vicino che sta effettuando i lavori, saranno ad esclusivo carico di quest’ultimo, con esclusione di qualsiasi onere (ma anche diritto) in capo al confinante proprietario del muro più basso.

Andrebbe, in ogni caso, verificato il rispetto dell’altezza del muro da parte del vicino: può essere, infatti, che l’altezza massima da rispettare sia di soli tre metri. A questo proposito, vanno esaminati i regolamenti locali.


Luigi F. chiede
sabato 31/03/2018 - Lazio
“Si tratta di una costruzione eseguita dal Comune di Castel Madama all'esterno del Centro Sociale Anziani quale copertura del campo di bocce esistente. La costruzione consiste nella realizzazione di una tettoia a falda unica che copre completamente l'area esterna del Centro Anziani, la struttura portante è stata realizzata con pilastri e travi in acciaio ed è sostenuta da una fondazione in cemento armato con plinti collegati da cordolo.
La suddetta tettoia risulta in aderenza al fabbricato principale (Centro Anziani) ed è aperta su due lati mentre il quarto lato è in aderenza con altro fabbricato per metri 4,40 e aperto per m 1 circa. Di fronte ad uno dei due lati aperti si trova una parete finestrata di un edificio condominiale e la distanza tra detta parete e i pilastri perimetrali che sostengono la tettoia e di circa m. 5.
Il quesito che voglio porre è il seguente:
può essere realizzata una tettoia i cui pilastri perimetrali si trovano ad una distanza inferiore ai 10 metri da una parete finestrata in contrasto con quanto prevede il DM 1444/68 anche se la realizzazione viene fatta da un comune ?”
Consulenza legale i 05/04/2018
La normativa riguardante la distanza negli edifici, trova la sua giustificazione nella tutela della igiene della collettività e del decoro architettonico, posto che essa mira ad evitare la creazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario.

Una prima regolamentazione della materia si rinviene negli artt. 873 e ss. del c.c., ma la normativa codicistica viene derogata e deve lasciare spazio alla normativa urbanistica sul tema.
Si fa riferimento in primo luogo alle disposizioni nazionali, ed in particolare all’art. 41quinquies della legge del 17.08.1942 n. 1150 (modificato dall’art. 17 L. 6 agosto 1967 n. 765). Tale articolo dispone che:” In tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde, pubblico o a parcheggi. I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l'interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici.” Il decreto a cui l’art. 41 quinquies l. n.1150/1942 fa riferimento è, appunto, il D.M. n. 1444 del 02.04.1968. Esso proprio perché trova la sua fonte in una norma di legge primaria, è da considerarsi la normativa principale a livello nazionale a proposito di standard urbanistici, e, per quello che qui interessa, in merito alle distanze tra fabbricati. L’ art. 9 del D.M. n. 1444/68 dispone, tra le altre cose, che per i nuovi edifici:” … è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.”

E’ importante precisare che la normativa urbanistica, ed in particolare quella che riguarda gli standard urbanistici e la distanza negli edifici, non si limita ad una disciplina esclusivamente nazionale: essa deve necessariamente integrarsi con le disposizioni regolamentari adottate dalle Regioni e dai Comuni.
Essendo la normativa di detti enti locali “ di rango inferiore” rispetto a quella nazionale, ci si è chiesti in giurisprudenza, se i regolamenti locali, vuoi comunali vuoi regionali, possano andare a derogare a quanto dispone l’ art. 9 del D.M. n.1444/68, ed in particolare a proposito del limite dei 10 metri che si è sopra citato.

La giurisprudenza sia amministrativa che della Corte di Cassazione ha dato risposta negativa.
La Corte di Cassazione, Sez. II,14.03.2012 n. 4076, rifacendosi alla giurisprudenza amministrativa sul tema, ha infatti ribadito e precisato tre importanti principi:
1)i Comuni nei loro regolamenti urbanistici non possono disporre distanze inferiori a quelle previste dall’ art 9 del D.M. 1444/68:quindi la normativa locale, per le nuove costruzioni, non può prevedere limiti inferiori ai 10 m.
2)Se i Comuni nei loro regolamenti locali vanno a disattendere la normativa nazionale racchiusa nell’ art. 9 del D.M. 1444/68,le distanze contrastanti con tale norma, devono essere automaticamente sostituite con quelle previste dalle disposizioni nazionali.
3)E’ legittimo il comportamento del Comune, che all’ interno dei suoi regolamenti urbanistici, stabilisca distanze superiori a quelle indicate dalla normativa nazionale, quindi, sempre per le nuove costruzioni, distanze superiori ai 10 metri.

Anche l’organo supremo della Giustizia Amministrativa conferma l’orientamento che si è sopra riassunto. Il Consiglio di Stato, Sez.IV, con sentenza del 12.03.2009 n.1491, ha respinto l’ appello di un Comune che tentava di fare salva la propria normativa locale contrastante con quanto disposto dal D.M. n1444/68 disponendo che:” deve rammentarsi che questo Consesso ha già affermato che l’art. 9 D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, che pone l’inderogabile distanza minima assoluta di 10 metri tra costruzioni, trae dall’art. 41 quinquies L. 17 agosto 1942 n. 1150(modificato dall’art. 17 L. 6 agosto 1967 n. 765) la forza di integrare con efficacia precettiva il regime delle distanze nelle costruzioni, sicché la distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, predeterminata con carattere cogente in via generale ed astratta in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, vincola anche i Comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che ogni previsione regolamentare in contrasto con l’anzidetto limite minimo è illegittima essendo consentita alla Pubblica amministrazione solo la fissazione di distanze superiori.”

In conclusione preme effettuare una precisazione. Il fatto che la costruzione descritta nel quesito parrebbe non rispettare le distanze tra gli edifici previste dal D.M. 1444/68, non significa di per sé che la costruzione possa essere rimossa forzatamente. Si tenga conto infatti, che i provvedimenti della Pubblica Amministrazione che autorizzano interventi edilizi, per poter essere contestati, devono impugnarsi avanti ai Tribunali Amministrativi Regionali, entro termini ridottissimi. Per un parere più completo inoltre sarebbe comunque necessaria una maggiore conoscenza degli strumenti urbanistici adottati dal comune di Castel Madama, e capire in quale zona urbanistica è ricompresa la struttura di cui al quesito.

ALBERTO M. chiede
mercoledì 13/09/2017 - Sicilia
“Buongiorno, il quesito è il seguente:
si veda lo SCHEMA ALLEGATO alla mail che ho inviato al Vostro indirizzo mail.
Un edificio è costituito da due corpi scala, A e B, separati da un giunto tecnico, ed è stato realizzato con unico progetto edilizio nel rispetto delle distanze prescritte dall'art. 32 delle N.A. del vigente strumento urbanistico comunale, che impone di mantenere dai confini del lotto edificabile una distanza non inferiore a 5,00 ml ed una distanza tra gli edifici non inferiore a ml 11,00.
Dopo l’ultimazione dell’edificio il costruttore ha trasferito a terzi le singole unità immobiliari che hanno costituito un condominio.
Il condomino dell'ultimo piano del corpo A, dopo aver acquistato la propria unità, ha chiuso, inglobandoli all'unità stessa, il balcone 1, il balcone 2 e parte della terrazza 3.
Il condomino dell'unità immobiliare confinante (scala B), ritenendo che, anche all'interno di uno stesso fabbricato, le delimitazioni tra le diverse unità immobiliari, una volta che queste siano state trasferite a terzi, vadano considerate al pari dei "confini del lotto edificabile", si è rivolto al Tribunale chiedendo che venga disposta la demolizione delle nuove costruzioni, in quanto, a prescindere dalle autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune, esse sarebbero lesive:
a) sia della distanza prescritta dal citato art. 32 delle N.A. che, integrando le norme del Codice Civile, impone, come detto, di costruire a distanza non inferiore 5,00 ml dai confini del lotto edificabile (tutt'e tre le nuove costruzioni sarebbero quindi, a suo dire, illegittime, perché realizzate a distanza inferiore a 5,00 ml dal muro perimetrale delle unità del corpo di fabbrica B e a meno di 11,00 ml da questo);
b) sia, in subordine, della distanza di cui all'art. 873 cc, che impone di costruire in aderenza o ad una distanza dai fabbricati esistenti non inferiore a 3,00 ml (in questo caso, sarebbe illegittima soltanto la costruzione realizzata sul balcone 2, perché posta a 2,50 ml - quindi a meno di 3,00 ml – dal muro perimetrale della proprietà B, mentre non lo sarebbero quella realizzate sul ballatoio 1 (a 4,20 ml dal detto muro) e quella realizzata sulla terrazza 3 (in aderenza al muro perimetrale).
Mi chiedo se - pur considerando le norme urbanistiche integrative di quelle codicistiche - se anche all'interno di uno stesso fabbricato (le cui le varie porzioni possono trovarsi tra loro (come accade ne caso specifico ai due corpi scala A e B), già fin dall’origine a distanze inferiori a quelle prescritte per le distanze dell'edificio stesso rispetto ai confini del lotto edificabile e rispetto agli altri edifici), i muri perimetrali che separano le diverse unità immobiliari possano considerarsi al pari dei "confini del lotto" cui fanno riferimento le dette norme urbanistiche. Se, quindi, le costruzioni realizzate in ampliamento o in sopraelevazione sulle porzioni del fabbricato esistente (le verande o i casotti realizzati sui balconi e sulle terrazze ovvero la chiusura dei portici, ecc…) debbano rispettare, con riferimento alle pareti delle altre unità immobiliari, soltanto le distanze di cui all'art. 873 e/o anche quelle, integrative, stabilite dai regolamenti comunali con riferimento ai confini del lotto edificabile e agli altri edifici.
Le distanze di cui alle N.A. del PRG, riferendosi ai confini dei lotti edificabili ed agli altri edifici, rispondono infatti ad esigenze di natura urbanistica, di assetto del territorio e di pianificazione territoriale, che nulla mi sembra abbiano a che vedere con la ratio nell’art. 873, che mira alla tutela dell'interesse pubblico all'igiene, al decoro ed alla sicurezza.
Ho effettuato una ricerca giurisprudenziale, ma ho trovato esclusivamente sentenze riferite all'art. 889 cc (distanze delle tubazioni) o a problemi relativi alle vedute che, nel caso in esame, non vengono prese in considerazione.”
Consulenza legale i 20/09/2017
Le distanze fra le costruzioni sono regolate dalle legge per vari motivi: perché ogni proprietario possa godere del suo immobile con il minor sacrificio per il vicino o, se necessario, con pari sacrificio, per evitare che si creino situazioni insalubri o fonti di discordia, ecc.
La legge quindi prevede che chi edifica deve rispettare i piani regolatori e i regolamenti comunali (artt. 869-871 c.c.) e che non è consentito violare le norme sulle distanze contenute negli artt. 873-899 c.c. e le norme dei regolamenti che questi articoli richiamano.

A differenza della giurisprudenza del passato, la quale affermava che le norme sulle distanze nelle costruzioni hanno per scopo principale quello di evitare la formazioni di intercapedini antigieniche, ora ci si è resi conto che la distanza fra gli edifici risponde ad esigenze multiple, tutte di eguale importanza anche sul piano costituzionale (igiene, sicurezza da accessi, sicurezza da incendi, difesa della privacy, in una parola difesa della qualità della vita).

La giurisprudenza della Cassazione, nell’ottica di attenuare a volte gli effetti della normativa sulle distanze per costruzioni e vedute in ambito condominiale, ha dato quasi l'impressione di aver ecceduto nel riconoscere il diritto del singolo ad usare delle parti comuni senza tener conto del diritto prevalente degli altri condomini a non veder peggiorata la propria situazione.

Come è stato giustamente osservato nel testo del quesito, generalmente il contrasto tra normativa sulle distanze e disciplina del condominio si focalizza, principalmente, sul confronto tra l’articolo 907 del codice civile e l’articolo 1102, stesso codice, affermandosi il principio secondo cui “………le norme sulle distanze in materia di vedute, se ed in quanto compatibili con la disciplina della comunione, sono applicabili nei rapporti fra le singole proprietà esclusive di edificio condominiale quand'anche uno dei condomini utilizzi parti comuni dell'immobile nei limiti consentiti dall'art. 1102 c.c….”.
E’ stato, in particolare, precisato che le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative all'uso delle cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè nel caso in cui l'applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime e delle une e delle altre sia possibile una applicazione complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme relative all'uso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime (così Cassazione civile , sez. II, 09 ottobre 1998, n. 9995; Cassazione civile , sez. II, 01 dicembre 2000, n. 15394).

Viene anche precisato, però, che nell’applicazione di tale principio si dovrà pur sempre tenere conto in concreto della struttura dell'edificio, delle caratteristiche dello stato dei luoghi e del particolare contenuto dei diritti e delle facoltà spettanti ai singoli condomini, competendo al giudice di merito verificare, nel singolo caso, se esse siano o meno compatibili con i diritti dei condomini, e dunque se l’art. 1102 c.c. possa derogare alle norme sulle distanze legali (così Cassazione civile , sez. II, 11 novembre 2005, n. 22838).

Ora, è proprio prendendo spunto dai sopra riportati principi giurisprudenziali, seppure riferiti prevalentemente, come si è detto, al caso specifico delle distanze in materia di vedute, che può trarsi il principio di carattere generale secondo cui, dato per presupposto che il condominio non è altro che una particolare forma di comunione, disciplinato come tale dalle norme codicistiche, e fermo l’espresso richiamo di cui all’art. 1139 c.c., deve negarsi in ambito condominiale l’ammissibilità della normativa in tema di servitù o distanze in virtù di varie e complesse considerazioni, prima fra tutte il fondamento della regola generale del “nemini res sua servit”.

Costituisce infatti consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui le norme sulle distanze legali, rivolte fondamentalmente a regolare rapporti fra proprietà contigue e separate, sono applicabili anche nei rapporti tra i condomini di un edificio condominiale quando siano compatibili con l’applicazione delle norme particolari relative alle cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè quando l’applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto prevalgono le norme sulle cose comuni, con conseguente inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che nel condominio degli edifici e nei rapporti fra singolo condomino e condominio sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime (Cass. 6546/2010; 7044/2004; 8978/2003; 15394/2000; 9995/1998; 10704/1994).

Sotto un profilo pratico ciò significa che i comproprietari possono utilizzare i muri comuni (tali sono i muri perimetrali) aprendo ad esempio nuove finestre o varchi e ciò ai sensi dell’art. 1102 c.c., purché ciò avvenga nel rispetto dell’estetica di tutto il complesso immobiliare nel suo insieme, senza creare problemi di statica o di intralcio per gli altri comproprietari (così Cass. N. 360 del 26.01.1995).

Sempre in questo senso risulta estremamente interessante richiamare i principi espressi dalla Corte di Cassazione nella sentenza 14 aprile 2004 n. 7044, a loro volta integralmente ripresi e riportati dalla successiva sentenza della medesima Corte di Cassazione n. 6546/2010.
Secondo Cass. 7044/ 2004 n. 7044, considerato che il condominio degli edifici si caratterizza per la coesistenza di una comunione forzosa e di singole proprietà esclusive, il godimento dei beni, degli impianti e dei servizi comuni dovrà essere visto in funzione del diritto individuale sui singoli piani in cui è diviso il fabbricato; inoltre, poiché i rapporti fra condomini devono ispirarsi a ragioni di solidarietà, si richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, dovendo necessariamente verificarsi, alla stregua delle norme che disciplinano la comunione, che l’uso del bene comune da parte di ciascuno sia compatibile con i diritti degli altri (Cass. 8808/2003).

Ciò comporta che deve trovare applicazione la disciplina che regola in modo particolare e specifico il godimento e l’utilizzazione dei beni comuni, avendo questa natura speciale rispetto alla normativa che, nell’ambito dei rapporti di vicinato, stabilisce le limitazioni legali fra proprietà confinanti.
Il riferimento dunque va sempre fatto all’art. 1102 c.c., applicabile ex art. 1139 c. c. al condominio, norma che, nello stabilire i poteri e i limiti di ciascun partecipante nell’uso dei beni comuni, fissa al tempo stesso le condizioni di liceità della condotta del comunista; è proprio tale norma che legittima una più intensa utilizzazione dei beni comuni in funzione del godimento della proprietà esclusiva, purché il condomino non alteri la destinazione del bene e non ne impedisca l’altrui pari uso.

In definitiva l’estensione del diritto di ciascun comunista trova un limite esclusivamente nella necessità di non sacrificare ma di consentire il potenziale pari uso della cosa da parte degli altri partecipanti (Cass. 10453/2001).
Pertanto, qualora, attraverso la valutazione delle esigenze e dei diritti degli altri partecipanti alla comunione, il giudice sia posto in grado di accertare che l’uso della cosa comune sia avvenuto nell’esercizio dei poteri e nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art.1102 cod. civ. a tutela degli altri comproprietari, deve ritenersi legittima l’opera seppure realizzata senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti fra proprietà contigue, norme che in ogni caso possono trovare applicazione nel condominio sempreché la relativa osservanza sia compatibile con la struttura dell’edificio condominiale, ove le singole proprietà coesistono in unico edificio.

Volendo dunque concludere, può dirsi che nel caso di specie non può dirsi sussistente alcun obbligo di rispetto delle distanze legali fra le costruzioni realizzate e le proprietà esclusive del condominio, attenendo tale obbligo al caso di lotti contigui (tali non possono considerarsi i due corpi di fabbrica dell'unico progetto) e nel rispetto, peraltro, del principio di carattere generale del c.d. nemini res sua servit.
Spetterà soltanto al Giudice a cui la questione è stata rimessa, valutare se tali opere siano in grado di sacrificare il diritto degli altri condomini di fare un pari uso dei propri beni e se le medesime opere possano eventualmente arrecare pregiudizio al decoro ed alla stabilità dell’edificio nel suo complesso (problemi che non dovrebbero sussistere avendo il Comune rilasciato le necessarie autorizzazioni edilizie).

Carlo L. chiede
giovedì 17/08/2017 - Toscana
“Primo e Secondo sono due edifici in area urbana : fra i due edifici non c'è suolo pubblico (solo una strada privata di S usufruibile anche da P).

S è un condominio.

L'area su cui insistono i due edifici potrebbe essere Zona B oppure Zona C secondo la classificazione dell'art. 2 DM 1444/68; quasi certamente Zona C a bassa

edificazione al tempo della costruzione di S.

P è l'edificio costruito per primo, S è stato costruito dopo il 1968, comunque diversi decenni fa.

Considerando le pareti antistanti di P e S i dati sono :
1. solo la parete di S è finestrata
2. la parete di P è lunga in orizzontale circa 8 metri; la parete di S supera in lunghezza orizzontale i 12 metri
3. l'altezza di P nella parte antistante a S è di circa 3,5 metri
4. l'altezza di S varia nelle diverse pareti; l'altezza della parete finestrata di S antistante ad P è di circa 7 metri
5. La parete finestrata di S dista da P poco meno di 9 metri, non considerando la sporgenza del balcone.

Se non comprendo male il dettato dell'art. 9 punti 2 e 3 DM 1444/68 la distanza dovrebbe essere di almeno 10 metri, perché il termine "altresì" nel punto 3 implica una

condizione aggiuntiva e non alternativa; quindi S è in una situazione irregolare.

Non sono interessato alla relazione civilistica fra i proprietari di P e S; mi interessa il rapporto di diritto amministrativo fra S e la P.A., che nei molti anni

decorsi non ha posto alcun rilievo.

IL QUESITO E' :
-se per ipotesi la P.A. decidesse di intervenire (ammesso che a grande distanza di tempo ne abbia ancora titolo) quali sanzioni potrebbe applicare ai condomini di S ?

(peraltro la minore distanza di S da P non comporta alcun aumento di valore venale)
-è corretto affermare che, essendo la distanza fra edifici inderogabile, gli eventuali condoni delle unità abitative in S sono irrilevanti, nel senso che non sanano l'irregolarità descritta sopra ?

Consulenza legale i 28/08/2017
In tema di distanze tra edifici, convivono nell’ordinamento la disciplina prevista nel codice civile che si applica nei rapporti tra i privati ed è derogabile pattiziamente dagli stessi, e la disciplina di cui al D.M. 1444/1968 che regola i rapporti tra pubblica amministrazione e privati, a tutela dell’interesse generale alla realizzazione di un modello urbanistico prefigurato.

In particolare l’art. 8 D.M. 1444/1968 prevede un’altezza massima per le nuove costruzioni, individuata in base agli edifici circostanti e preesistenti, prescrivendo un’omogeneità architettonica dell’area anche con riferimento alle altezze dei paesaggi urbani.
Il riferimento per l’individuazione dell’altezza massima della nuova costruzione, non deve farsi con riguardo al singolo edificio adiacente ma ad un’area più ampia che comprenda più edifici.

L’art. 9, poi, impone una distanza distanze minima tra la pareti finestrate di un edificio e la parete antistante dell’altro non inferiore a 10 metri, e, se il nuovo edificio ricade in area C), area destinata a nuovi complessi insediativi, tra gli edifici deve esservi anche la maggior distanza pari all’altezza dell’edificio più alto.

Nel caso specifico non è possibile sapere se vi sia stata una violazione dell’altezza massima del secondo edificio, non potendosi conoscere l’altezza dell’area di riferimento, tuttavia sembrerebbe che vi sia stata una violazione della distanza minima tra edifici, che distano circa 9 metri l’uno dall’altro, invece dei 10 metri richiesti dal DM.

Si evidenzia, tuttavia, che la normativa non si applica agli “edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni plano volumetriche”, in base all’ultimo comma dell’art. 9, e dunque si potrà constatare l’eventuale violazione delle distanze tra edifici prescritte dal DM 1444/68, solo una volta escluso che il secondo condominio sia stato costruito in forza di un Piano ad hoc.

Bisogna poi rilevare che negli anni si sono succeduti diversi condoni edilizi che hanno sanato gran parte dei numerosissimi abusi esistenti sul territorio italiano.

Certamente, in via generale, il DM 1444/68 può essere derogato da una norma primaria che preveda il condono o la sanatoria degli edifici che vìolano la normativa urbanistica: quando si parla di inderogabilità della normativa sulle distanze legali, si fa riferimento all’impossibilità per i privati di accordare distanze inferiori ai vicini ed all’impossibilità per gli enti locali di rilasciare concessioni in deroga, e non invece con riguardo all’impossibilità per lo Stato di prevedere delle deroghe.
Ma occorre verificare caso per caso se quella specifica sanatoria sia in grado di derogare alla normativa sulla distanza tra edifici.

Ad esempio il condono realizzato con L. 47 del 1985 all’art. 35 ha sanato le opere abusive qualora fatte non in violazione delle disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica, di prevenzione anti incendi ed infortuni, nonché della normativa inerente la salubrità degli edifici e degli ambienti. (Cons. Stato n. 2620/2011)
Ed un orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito ha affermato che la distanza tra edifici è imposta al fine di impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario (TAR Veneto, sent. n. 185/2011, TAR Lombardia-Brescia, sent. n. 2461/2010, TAR Campania-Napoli, sent. n. 8326/2009), ragione per la quale il condono dell’1985 non avrebbe potuto produrre validi effetti sananti.

Occorre dunque valutare caso per caso se lo specifico provvedimento possa derogare alla normativa dettata dal DM 1444/68.

Se non è intervenuto alcun condono, o questo non può essere ritenuto valido, la pubblica amministrazione manterrebbe comunque il potere di chiedere ed ottenere la demolizione del fabbricato abusivo.
Infatti, il notevole tempo trascorso dalla violazione non esclude il potere di controllo e sanzionatorio della P.A., in quanto non soggetto a prescrizione e/o decadenza.

Tuttavia si evidenzia che, di recente, la Cassazione ha attribuito rilevanza al legittimo affidamento coltivato dal privato dopo che siano trascorsi tanti anni dalla violazione, sì che graverebbe sulla PA “un obbligo motivazionale “rafforzato” circa l’individuazione di un interesse pubblico specifico alla emissione della sanzione demolitoria, diverso e ulteriore rispetto a quello al mero ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato, in deroga al carattere strettamente dovuto dell’ingiunzione a demolire” (Cons. Stato 2016 n. 1393 ).

Motivazione che appare tanto più difficile dal momento che la violazione non ha notevole rilevanza, visto che l’edificio dovrebbe essere demolito perché costruito ad un solo metro di meno rispetto alla distanza legale.

Claudio P. chiede
sabato 20/08/2016 - Lazio
“Buongiorno,
siamo proprietari di una villetta d’angolo con giardino nel comune di Roma.
Lungo un muro di confine (realizzato dal costruttore della nostra villetta) con una casa vicina, alto c.a. 1 m, spesso circa 15 cm, lungo circa 25 m e con una rete divisoria innalzata sopra di esso per una altezza complessiva di c.a. 2m, corre una siepe di nostra proprietà, completamente piantata e cresciuta nel nostro giardino.
Poiché i vicini al di là di questo muro hanno ripetutamente danneggiato questa siepe – probabilmente irrorandola con prodotti diserbanti – vorremmo trovare una soluzione legalmente sostenibile che eviti il protrarsi di questa problematica.
Avremmo pensato all’innalzamento di una rete – nella nostra parte di giardino ovviamente – con pali in ferro e rete metallica da giardino da “foderare” con rete ombreggiante sulla facciata esposta ai vicini, atta alla crescita di piante rampicanti sulla facciata verso la nostra casa.
In alternativa, avremmo pensato alla realizzazione di un muro – sempre da innalzare nel nostro giardino – ove far rampicare tali piante.

Da parte vostra, vorremmo gentilmente ricevere le seguenti informazioni, nonché suggerimenti, in merito alla realizzazione di una rete/muro per il rampicamento delle nostre piante all’interno del nostro giardino:
a. è possibile innalzare una rete metallica per tutta la lunghezza del giardino con pali in ferro (e con fondazione in cemento alla base del palo) e quale dovrebbe essere la sua altezza massima ammissibile?
b. è possibile innalzare un muro e quale dovrebbe essere la sua altezza massima ammissibile?
c. è possibile innalzare un muro alto 1 m + rete metallica e quale dovrebbe essere la sua altezza massima ammissibile?
d. quale dev’essere la distanza di rispetto da mantenere dal muro di confine per le 3 ipotesi di cui sopra?
e. in alternativa, vorremmo anche sapere se fosse possibile portare l’altezza del muro di confine da 1 a 2 m (l’attuale altezza complessiva del muro+rete esistente), chiaramente a nostre spese, anche in mancanza di consenso del vicino (il muro è di confine ed è stato eretto dal costruttore della nostra casa)
Come nota per eventuali misure da rispettare, il terreno del nostro vicino ha un dislivello di -30 cm rispetto al nostro terreno.”
Consulenza legale i 26/08/2016
Va opportunamente chiarito, per completezza, che la disciplina relativa ai muri posti sul confine tra fondi cambia a seconda non solo della funzione del muro ma altresì dell’esistenza o meno di una comunione forzosa sullo stesso da parte dei proprietari dei fondi confinanti.

Nel caso di specie se, come pare evincersi dal quesito, il muro è stato originariamente edificato dal costruttore di una delle due villette, quindi (presumibilmente) all’interno della sua proprietà, esso è rimasto nella sua esclusiva titolarità e successivamente in quella degli attuali acquirenti.

Tuttavia, l’art. 874 cod. civ., in una situazione come questa, attribuisce al vicino il diritto di chiedere la comunione forzosa del muro: “Il proprietario di un fondo contiguo al muro altrui può chiederne la comunione [2932] per tutta l'altezza o per parte di essa, purché lo faccia per tutta l'estensione della sua proprietà. Per ottenere la comunione deve pagare la metà del valore del muro, o della parte di muro resa comune, e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito. Deve inoltre eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino”.
Nel caso di specie non viene specificato se i vicini abbiano o meno, in passato, chiesto ed ottenuto la comunione forzosa del muro già esistente: la risposta, quindi, al quesito relativo alla possibile sopraelevazione del muro già esistente, cambierà leggermente a seconda delle due diverse ipotesi.

a) In caso di intervenuta comunione del muro posto sul confine, si applicherà l’art. 885 cod. civ., secondo il quale “Ogni comproprietario può alzare il muro comune, ma sono a suo carico tutte le spese di costruzione e conservazione della parte sopraedificata. Anche questa può dal vicino essere resa comune a norma dell'articolo 874.
Se il muro non è atto a sostenere la sopraedificazione, colui che l'esegue è tenuto a ricostruirlo o a rinforzarlo a sue spese. Per il maggiore spessore che sia necessario, il muro deve essere costruito sul suolo proprio, salvo che esigenze tecniche impongano di costruirlo su quello del vicino. In entrambi i casi il muro ricostruito o ingrossato resta di proprietà comune, e il vicino deve essere indennizzato di ogni danno prodotto dall'esecuzione delle opere. Nel secondo caso il vicino ha diritto di conseguire anche il valore della metà del suolo occupato per il maggiore spessore.
Qualora il vicino voglia acquistare la comunione della parte sopraelevata del muro, si tiene conto, nel calcolare il valore di questa, anche delle spese occorse per la ricostruzione o per il rafforzamento

La norma in oggetto costituisce un’eccezione al regime della comproprietà, dal momento che la sopraelevazione si può fare senza il consenso del vicino e indipendentemente dalla finalità per la quale si procede; ovviamente andranno tenuti in considerazione gli interessi di entrambe le parti, per cui la modifica dello stato di fatto si deve realizzare nel modo che determini il minor sacrificio possibile per chi la deve subire.

Inoltre, il diritto di sopraelevare incontrerà un limite in un eventuale esistente diritto di veduta del vicino: “La facoltà di innalzamento del muro comune, prevista dall'art. 885 c.c., non può essere esercitata in violazione delle distanze legali stabilite specificamente per le vedute, dall'art. 907 dello stesso codice. Pertanto l'innalzamento del muro comune che delimiti un terrazzo o un lastrico solare con opere, quali un parapetto, destinate permanentemente ed inequivocabilmente all'esercizio della servitù di veduta, non può essere consentito, risolvendosi in un adempimento all'esercizio del corrispondente diritto da parte del proprietario del fondo dominante.” (Cassazione civile, sez. II, 17/11/1990, n. 11125). Non sembra, tuttavia, che sia quest’ultimo il nostro caso (la giurisprudenza si riferisce, infatti, per lo più alle ipotesi in cui si tratti di innalzamento di muro comune tra due edifici contigui, quindi muro di una costruzione che sia unita ad un’altra mediante il muro medesimo).

Infine, si precisa che, in forza dell’art. 886 cod. civ., il muro può essere innalzato fino all’altezza massima di 3 m (se, si noti bene, diversamente non sia previsto da regolamenti locali, che possono stabilire misure inferiori). A tal proposito specifica la giurisprudenza: “Il proprietario di un fondo, che innalzi il muro di confine sino a portarlo all'altezza di tre metri ex art. 886 c.c., sopporta per intero le spese di sopraelevazione e non può pretendere che vi concorra il proprietario del fondo contiguo, atteso che quest'ultimo, ai sensi degli art. 874 e 885 c.c., ha soltanto la facoltà, e non l'obbligo, di entrare in comunione della parte sopraedificata.” (Cassazione civile, sez. II, 21/02/2012, n. 2485). Sopra i 3 m (intesi come altezza massima da erigersi in muratura e non attraverso reti metalliche), non si parla più di muro di cinta ma di muro di fabbrica, come tale soggetto al rispetto alla disciplina sulle distanze legali.
b) Nel caso in cui il muro sia rimasto nell’esclusiva proprietà della villetta cui originariamente apparteneva, invece, il proprietario ha comunque il pieno diritto di sopraelevare, pur nel rispetto delle già indicate altezze e senza, ovviamente (ma ciò vale in generale per i rapporti di vicinato) arrecare con ciò molestie al vicino. Si ribadisce, come già sopra accennato, che l’innalzamento massimo fino 3 m riguarda solo la parte in muratura: pertanto, sarà senz’altro possibile e legittimo, se necessario, pur mantenendo la parte in muratura inferiore all’altezza di tre metri, superare quest’ultima attraverso una rete metallica.

Per quanto riguarda, invece, la realizzazione di una nuova rete metallica o di un nuovo muro all’interno della proprietà, va detto che certamente il proprietario ha il diritto di realizzarli: il diritto di proprietà, infatti, comporta la piena libertà di godere del bene e di disporne come si vuole.
Anche la proprietà, tuttavia, incontra alcuni limiti: in primo luogo, in generale (come già ricordato) il divieto di atti di emulazione, ovvero atti che non abbiano altro scopo se non quello di recare molestia agli altri.

Ancora, per quanto riguarda l’utilizzazione dello spazio sovrastante il suolo, si ritiene ormai pacificamente che quest’ultimo costituisca una proiezione del suolo stesso, per cui il proprietario del suolo potrà utilizzarne lo spazio sovrastante come vuole, purché – in generale – non arrechi danno ai vicini e risponda a criteri di normalità rispetto all’utilizzazione (attuale o potenziale) del fondo stesso.

Un limite è invece portato dall'art. [[n873]] sulle distanza tra costruzioni, che impone che le costruzioni su fondi confinanti devono essere tenute a distanza non inferiore a tre metri (ciò al fine di evitare la formazione di intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza e alla salubrità del godimento della proprietà fondiaria), a seconda del manufatto da realizzare.

Se, infatti, viene eretto un nuovo muro, senz’altro quest’ultimo rientra nel concetto di cui alla norma di “costruzione”, ovvero opera infissa stabilmente al suolo, che presenti caratteri di stabilità, solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo dell’opera, non necessariamente in muratura: “Ai fini della osservanza delle norme in materia di distanze legale, stabilite dagli art. 873 e ss. c.c., e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, deve ritenersi costruzione qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione rispetto al suolo anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso a un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa, dai caratteri del suo sviluppo aereo dall'uniformità e continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione, dalla sua destinazione.” (Cassazione civile, sez. II, 19/04/2016, n. 7706).

Al contrario, nel caso in cui si intenda realizzare una rete metallica infissa stabilmente a terra con pali in ferro e fondazione in cemento armato, tutto dipenderà – ad avviso di chi scrive – da come tale manufatto venga completato ed integrato (telo più siepe). Pare infatti– secondo le poche pronunce in materia – che non possa parlarsi di costruzione nel caso di semplice rete metallica, poiché le reti (in quanto tali, anche se infisse stabilmente al suolo) non avrebbero la capacità di intercettare aria e luce e quindi non sarebbero suscettibili di creare intercapedini: “Ne consegue che all'ambito delle costruzioni, ai fini del rispetto delle distanze legali, non possono ricondursi le opere assolutamente inidonee a creare intercapedini, quale ad esempio una rete metallica sorretta da sottili paletti, essendo tale manufatto inidoneo a intercettare, schermandole, luce e aria.” (Tribunale Patti, sez. lav., 24/06/2010, n. 131 ; conforme Cassazione civile, sez. II, 21/05/1983, n. 3534)

Non si dovrà, pertanto, tener conto delle distanze legali (3 m dal confine) solo se si realizzeranno opere che, benché stabili ed infisse al suolo, non siano in grado di intercettare aria e luce.

Concludendo, per rispondere sinteticamente alle domande poste:
- che il muro di confine sia soggetto o meno a comunione forzosa, si potrà sopraelevare, fino ad un’altezza massima (della sola parte in muratura) di 3 metri (o alla diversa misura stabilita da regolamenti locali): tenendo conto, quindi, dell’attuale altezza del muretto e del dislivello del terreno vicino, l’innalzamento di un ulteriore metro consente senz’altro di rimanere entro la misura di legge, anche se la parte in rete superi la misura massima dei 3 metri;
- si potrà realizzare un nuovo muro all’interno della proprietà, ma a distanza non inferiore a tre metri dal muro di confine già esistente;
- si potranno realizzare reti metalliche stabili all’interno della proprietà al fine di farvi rampicare delle piante, a patto che il manufatto – piante comprese – sia tale da far passare aria e luce, pena l’obbligo di mantenere la distanza legale di tre metri dal muro di confine già esistente;
- ogni manufatto interno alla proprietà, non potrà superare i tre metri di altezza al massimo (con riferimento alla sola parte in muratura), oppure la diversa altezza stabilita dai regolamenti locali.

Stefano B. chiede
lunedì 12/10/2015 - Lazio
“Buongiorno, il mio vicino confinante ha ampliato la esistente costruzione, arrivando a due metri dal muro di confine ed otto metri dal balcone della mia abitazione. I tecnici del comune di C., prendono per "buono" quanto dichiarato dal vicino che "il muro di confine non è il confine ma, il confine è un altro" e che praticamente il precedente proprietario della mia abitazione avrebbe costruito nel suo terreno (40 anni or sono).
Inoltre il vicino nella parete che fronteggia la mia abitazione aveva una finestra che ha chiuso, pertanto i tecnici del comune dicono che il mio balcone non fa distacco e non essendoci finestre (falso perché il balcone ha una finestra di accesso), i balconi non fanno distacco, quindi è tutto regolare.
Il mio quesito è: è tutto regolare?”
Consulenza legale i 19/10/2015
Il quesito formulato riguarda costruzioni su fondi finitimi che non sono né unite ne aderenti: pertanto si applica l'art. 873 del c.c. ai sensi del quale tali costruzioni devono stare, tra loro, ad una distanza non inferiore a 3 metri (distanza rispettata nel caso sottoposto). Lo scopo perseguito è di evitare che tra costruzioni si creino intercapedini o fessure insalubri. In ogni caso l'art. 873 del c.c. ammette la possibilità che i regolamenti locali prevedano distanze maggiori. Il regolamento edilizio del comune di C. prevede per le nuove costruzioni:

- In tema di distanza tra fabbricati: almeno 5 m tra pareti non finestrate; almeno 10 m quando ameno una parete è finestrata (v. anche art. 9 co. 1 n. 2 d.m. 1444/68). In base a quanto dispone il regolamento edilizio sembra evincersi che il balcone con accesso, indicato dal richiedente, renda la parete finestrata. Pertanto la costruzione del vicino dovrebbe porsi ad almeno 10 m da quella del richiedente: la distanza di 8 m, indicata nel quesito, non sarebbe rispettosa della legge.
Tuttavia si deve considerare che:

1) secondo lo stesso regolamento, è fatto salvo quanto previsto dall'art. 9 co. 1 D.M. 1444/68. Questo prevede che per gli edifici siti in zona storica, artistica o di pregio o area circostante (zona A) le distanze "non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale".
2) l'art. 9 co. 2 D.M. 1444/68 consente distanze inferiori a quelle di cui al precedente co. 1 per gruppi di edifici oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni plano volumetriche;
3) il piano casa adottato nel 2009 dalla regione del richiedente consente, nelle aree a cui si applica, ampliamenti edilizi nel rispetto dell'art. 9 del d.m. 1444/68 che prevede: la citata regola per le zone storiche; il limite di 10 m per le altre zone; una distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto, tra pareti finestrate o quando una sola lo è e gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml 12, per le zone di espansione residenziale (zona C);
4) ai sensi dell'art. 2bis D.P.R. 380/01 (inserito dall'art. 30 co. 1 lett. 0a D.L. 69/13 convertito, con modificazioni, dalla l. 98/13; comma che si applica dalla data di entrata in vigore della l. 98/13) regioni e province possono prevedere deroghe alle distanze stabilite dal d.m. 1444/68; ad oggi, tuttavia, non risulta che la regione o la provincia del richiedente ne abbiano adottate.
Pertanto per stabilire con certezza se la distanza è stata rispettata o meno è necessario che il richiedente verifichi in comune in quale area e zona sorgono gli immobili in questione.

- In tema di distanza dai confini: per le pareti non finestrate (come si deduce essere quella del vicino) il regolamento edilizio del comune C. rimanda a quanto stabilisce lo strumento urbanistico generale. Anche a questo scopo, pertanto, è necessario che il richiedente verifichi personalmente all'ufficio comunale quale sia la distanza prescritta (che potrebbe essere diversa a seconda della zona). Per stabilire, poi, se il vicino l'ha rispettata è necessario individuare l'esatta posizione del confine.

Se non c'è stato sconfinamento da parte del precedente proprietario il confine è dato dal muro.

Il problema si pone se il primo costruttore ha sconfinato. In tal caso il richiedente ha alcuni strumenti per tutelarsi:
A) per il principio di accessione (art. 934 del c.c.) qualunque costruzione fatta sul suolo spetta al proprietario di questo; un'eccezione è prevista dall'art. 938 del c.c. (c.d. accessione invertita) secondo il quale se chi costruisce sconfina in buona fede nel suolo altrui e il vicino non si oppone entro 3 mesi da quando inizia la costruzione, il giudice può dare al costruttore la proprietà dell'edificio e del suolo ma questi deve corrispondere al confinante il doppio del valore della superficie ed un risarcimento. Tuttavia è difficile percorrere questa via, sia perché la costruzione non è stata fatta dal richiedente sia perché economicamente onerosa;
B) il richiedente può invocare l'usucapione della porzione di fondo "invaso" se:
- ha posseduto l'intero fondo, in modo continuo ed ininterrotto, per almeno 20 anni (c.d. usucapione ordinaria art. 1158 del c.c.); oppure
- ha posseduto l'intero fondo, in modo continuo ed ininterrotto, per almeno 10 anni acquistandolo in buona fede da chi non ne era, per quella parte, proprietario, acquistandolo in base ad un titolo idoneo (cioè non viziato se non per la non titolarità) e se l'acquisto è stato trascritto (c.d. usucapione abbreviata, art. 1159 del c.c.).
Quindi laddove agisse contro il vicino per il mancato rispetto della distanza dal confine e questi opponesse che il confine è un altro, il richiedente potrebbe ribattere che il confine è dato dal muro esistente, essendo proprietario di tutta l'area entro tale muro.

Al richiedente che dimostri la violazione delle disposizioni sulle distanze compete azione in forma specifica (art. 2933 del c.c.): può chiedere la demolizione dell'opera e l'arretramento. Inoltre può chiedere il risarcimento dei danni se e per il tempo in cui l'opera illegittima ne ha prodotti.

In base alla situazione descritta nel quesito e a quanto argomentato si conclude che per verificare se
l'ampliamento fatto dal vicino rispetta le disposizioni in tema di distanza tra edifici è necessario considerare una pluralità di fonti, locali e nazionali, coordinandole tra loro.
Laddove le distanze non fossero rispettate il richiedente potrebbe agire per la regolarizzazione dell'opera ed, eventualmente, il risarcimento del danno.

PAOLO V. chiede
mercoledì 27/08/2014 - Toscana
“Buongiorno,
ho riattivato un forno in una dependance che ho nel giardino di casa. La canna fumaria dista mt. 6,30 dal muro di confine. Il vicino adesso mi contesta emissione di fumi pur bruciando legna secca e di qualità.
Ritengo che essendo a + di 5mt dal confine non possano sussistere
contestazioni. Sono nel giusto?
In attesa di vs risposta, cordiali saluti”
Consulenza legale i 27/08/2014
Nel caso in esame, immaginando che la canna fumaria sia posta sopra il tetto della dependance, non sembrano porsi problemi di distanze nelle costruzioni, in quanto la costruzione sembra ergersi ben oltre la distanza legale prevista dal codice civile (3 metri, art. 873 del c.c.) e presumibilmente oltre la distanza stabilita nell'apposito regolamento comunale (che sarà però bene esaminare, onde sciogliere qualsiasi dubbio).
Quando alla canna fumaria in sé, si ritiene che essa sia soggetta alla regolamentazione di cui all'art. 890 del c.c., che prevede il rispetto della distanza fissata dai regolamenti locali e in mancanza, quella necessaria a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza (v. ad esempio Cass. civ., sez. II, n. 2386/2003). Pertanto, andrà innanzitutto verificata l'esistenza di normativa comunale sulle distanze previste per la canna fumaria.
Se tale normativa è stata violata, il vicino potrebbe esperire, entro un anno dalla riattivazione della canna fumaria, la tutela possessoria prevista dall'art. 1170 del c.c. per far cessare la molestia di fatto derivatane; oppure, azione di denunzia di nuova opera o danno temuto, artt. 1171 e 1172), oltre alle ordinarie domande di risarcimento del danno e rimessione in pristino.
Se la normativa locale non esiste, si dovrà utilizzare il criterio residuale di cui all'art. 890 c.c.: il vicino dovrà quindi dimostrare che esiste un danno derivante dalla presenza di fumi provenienti dal fondo attiguo, proponendo una tra le azioni già sopra elencate.
Altra norma rilevante nel caso di specie è l'art. 844 del c.c., che stabilisce: "Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi".
Quindi, può essere chiesta giudizialmente l'interruzione delle sole immissioni (ad esempio, i fumi di una canna fumaria) che superino la normale tollerabilità.
Come insegna la giurisprudenza, il limite di tollerabilità delle immissioni non ha carattere assoluto ma è "relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti; spetta, pertanto, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell'ambito della stessa" (v., tra le altre, Cass. civ., Sez. II, 23 maggio 2013, n. 12828).
Quindi, il vicino di casa potrebbe intentare un'azione ex art. 844 c.c. per conseguire l'eliminazione della causa delle immissioni: si tratta di una azione di tipo negatorio, di natura reale a tutela della proprietà. Essa è volta a far accertare in via definitiva l'illegittimità delle immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per farle cessare. Il superamento della normale tollerabilità, naturalmente, dovrà essere oggetto di prova nel corso del giudizio, a carico dell'attore (colui che si presume danneggiato).
Discorso a parte vale per la richiesta di risarcimento dell'eventuale danno alla salute, che può essere domandato all'interno del medesimo giudizio ex art. 844 c.c. e si cumula con l'istanza di cessazione delle immissioni eccedenti la normale tollerabilità. Secondo un orientamento ormai costante della giurisprudenza di legittimità, l'accertata esposizione ad immissioni intollerabili non costituisce di per sé prova dell'esistenza di danno alla salute, "la cui risarcibilità è subordinata all'accertamento dell'effettiva esistenza di una lesione fisica o psichica" (v. Cass. civ. n. 25820 del 2009, Cass. civ. ordinanza n. 4093 del 2014 e Cass. civ. n. 4394 del 2012, secondo cui, "in tema di immissioni eccedenti il limite della normale tollerabilità, non può essere risarcito il danno non patrimoniale consistente nella modifica delle abitudini di vita del danneggiato, in difetto di specifica prospettazione di un danno attuale e concreto alla sua salute o di altri profili di responsabilità del proprietario del fondo da cui si originano le immissioni").
Quindi, se anche il vicino provasse che i fumi provenienti dalla canna fumaria superano quel limite di normale tollerabilità stabilito dalla norma, per ottenere un risarcimento del danno dovrebbero dare una ulteriore prova, in quanto tale risarcimento non è automatico.

Gerardo N. chiede
giovedì 12/09/2013 - Calabria
“Vivo in un paesino della provincia di Cosenza.
Ho installato un forno+barbecue poggiandolo quasi all'inferriata di confine che mi divide dalla proprietà del vicino, posta più in basso (c'è un muro di sostegno).
Il forno+barbecue è in moduli prefabbricati assemblati, mi pare, con malta cementizia e poggia su di un massetto di cemento e misura mt. 2,20x1.
Il vicino ha contestato che manca la distanza regolamentare (non so, al momento, il regolamento comunale cosa prevede).
Chiedo di sapere se un forno+barbecue composto di elementi prefabbricati e assemblati
costituisce "costruzione" da installare secondo regole specifiche con distanze apposite dal confine, ovvero può soltanto essere considerato mero oggetto rimovibile.
Attendo un a vostra cortese risposta e invio sentiti saluti.”
Consulenza legale i 17/10/2013
Ai sensi dell'art. 873 del c.c. le "costruzioni" su fondi confinanti vanno tenute ad una distanza stabilita per legge (il codice civile prevede una distanza di 3 m, che può essere aumentata da regolamenti locali).
Cosa si intende per "costruzioni"?
La giurisprudenza ha risposto a tale domanda in più occasioni, con un'interpretazione via via estensiva. Ad esempio, Cassazione del 24.6.1996 n. 5828 ha stabilito che è nuova costruzione qualsiasi modificazione della volumetria di un fabbricato che comporti l'aumento della sagoma di ingombro, incidendo direttamente sulla situazione di distanza tra gli edifici esistenti, indipendentemente dalla sua utilizzazione a fini abitativi.
Recentemente, la Cassazione ha statuito quanto segue: "Deve ritenersi 'costruzione' qualsiasi opera non completamente interrata, avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione. Conseguentemente gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell'immobile, così da ampliarne la superficie o la funzionalità economica, sono soggette al rispetto della normativa sulle distanze" (Cassazione civile , sez. II, sentenza 3 gennaio 2013 n. 72).
Pertanto, affinché per il forno con barbecue valga la disciplina sulle distanze legali tra le costruzioni, esso dovrebbe rivestire i caratteri di "dimensione consistente" e "stabile incorporazione al resto dell'immobile, così da ampliarne la superficie o funzionalità economica". Ciò avverrà qualora il forno sia ad esempio dotato di una struttura muraria, con cappa e canna fumaria.
Esiste un consistente filone di decisioni di merito nelle quali è stato ritenuto che un forno o barbecue possano essere ritenuti "costruzioni" ai sensi del codice civile. Si cita solo quale esempio il Tribunale, sez. I, di Latina, che con sentenza 1.6.2010, ha così deciso: "Non sussistono dubbi in ordine alla qualifica di costruzioni da attribuire ai suddetti manufatti [forni e barbecue]. Sia la dottrina che la giurisprudenza hanno adottato un'interpretazione estensiva del concetto di costruzione, definendo come tale ogni opera edilizia, stabilmente infissa al suolo, con la conseguenza che rientrano in tale ambito applicativo non solo le opere in muratura ma anche quelle in legno o altro materiale. In particolare, in considerazione della ratio della norma è sorto un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il concetto di costruzione non si esaurisce in quello di edificio ma si estende a qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della stabilità, della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un preesistente corpo di fabbrica idoneo a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà (Cass. 15282/2005; Cass. 3199/2002; Cass. 5116/1998)".

La contestazione fatta dal vicino di casa non è quindi del tutto priva di fondamento, ma, non esistendo una norma che preveda espressamente il manufatto "barbecue" quale "costruzione" (sul punto si consiglia in ogni caso di leggere attentamente il regolamento comunale), sarà il giudice di merito a poter decidere con discrezionalità.

Altro problema sarà, poi, quello delle eventuali immissioni conseguenti all'uso del barbecue, come quelle di fumi e odori (art. 844 del c.c.): il confinante non può comunque impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità.

Giorgio T. chiede
giovedì 09/12/2010

“Utilizzando il criterio della prevenzione temporale, se il proprietario del suolo non vuole costruire sul confine, ma a distanza legale, può pretendere di fare rispettare tale distanza anche al confinante? O deve subire passivamente la volontà del confinante che per primo vuole costruire sul confine?
In attesa ringrazia ed ossequia.”

Consulenza legale i 10/12/2010

Secondo il principio della prevenzione è consentito a chi costruisce per primo di operare la scelta fra l'edificazione alla distanza legale e la realizzazione della propria fabbrica sul confine, determinando così le modalità da seguire per chi costruisce dopo permettendogli di avanzare la propria costruzione sino all'altrui edificio.
Alla luce dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità, più recente, infatti: “In tema di distanze nelle costruzioni, qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire "in aderenza" od "in appoggio", la preclusione di dette facoltà non consente l'operatività del principio della prevenzione; nel caso in cui, invece, tali facoltà siano previste, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dagli art. 873 e ss. c.c., con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni previste dagli art. 875 e 877, comma 2, c.c.), ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico”(Cassazione civile, sez. II, 09 aprile 2010, n. 8465). Per le costruzioni su fondi finitimi, il diritto di uno dei confinanti di edificare in prevenzione, e, correlativamente, il diritto dell'altro di realizzare il proprio fabbricato in appoggio o in aderenza, secondo le previsioni dell'art. 874 del c.c. e ss., trovano pertanto deroga nelle norme dei regolamenti locali quando queste fissino un distacco rispetto al confine, e non anche, pertanto, quando si limitino a stabilire la distanza minima "fra muri opposti". Pertanto, la legittimità della costruzione in aderenza sussiste solo se la possibilità di costruire sul confine è contemplata dal regolamento edilizio, mentre è da escludere ove questo, pur senza nulla disporre per lo ius aedificandi in aderenza a preesistenti fabbriche altrui, prescriva una determinata distanza dal confine, così impedendo l'operatività del principio della prevenzione.


Anonimo chiede
giovedì 18/05/2023
“Vi espongo il mio quesito:vorrei sapere quando va in prescrizione l'esecuzione di una sentenza della corte d'appello mai impugnata riguardante l'eliminazione di un manufatto non a distanza regolamentare.
nel 2015 usciva sentenza che vedeva me più un vicino vittoriosi nei confronti di un confinante che in forza ad un permesso a costruire ha realizzato una sopraelevazione che non rispetta le distanze dal nostro fabbricato,è stato pertanto condannato alla eliminazione a proprie spese di tale manufatto fino a 10 metri di distanza dalle nostre ringhiere.il confinante è ricorso in appello avverso e per la riforma della sentenza.la corte d'appello nel 2019 ha rigettato l'appello condannandolo anche alle spese.a giugno 2022 il mio vicino gli ha inviato un atto di precetto per farlo demolire e lui ha inviato anche a me una proposta transattiva che io non ho accettato.ad oggi sembra non essere cambiato nulla ma vorrei sapere fino a quando posso vantare nei suoi confronti l'esecuzione della sentenza in riferimento all'eliminazione del manufatto prima che vada in prescrizione?
tenendo conto che la sentenza di primo grado è stata emessa nel 2015,quella di secondo grado nel 2019 e l'atto di precetto inviato solo dal mio vicino nel 2022( eventualmente vale anche per me per interrompere la prescrizione).
leggevo su internet che per l'abbattimento non c'è prescrizione?se si vale anche per il mio caso?
preferirei che questo consulto non venisse pubblicato vi porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 26/05/2023
Per rispondere al presente quesito è necessario fare una distinzione tra la prescrizione dell’azione di riduzione in pristino, prevista dall’art. 872 del c.c. in caso di violazione delle norme sulle distanze tra edifici, e la prescrizione di una sentenza passata in giudicato che ha accertato l’esistenza di un determinato diritto.

L’azione di riduzione in pristino è un’azione di tipo reale quindi imprescrittibile, salvo gli effetti di un’eventuale usucapione (Cass. civ. n. 867/2000).
Ciò significa che colui che costruisce in violazione di legge usucapisce il diritto a mantenere l’immobile nelle condizioni in cui si trova dopo vent’anni senza che sia stato introdotto un giudizio per chiederne la demolizione; l’imprescrittibilità dell’azione però permette al vicino, nel periodo di vent’anni prima dell’usucapione del diritto, di intraprenderla in qualsiasi momento.

Nel caso di specie l’azione è già stata introdotta e si è conclusa con una sentenza di condanna.
Attualmente, quindi, tra le parti è pendente una sentenza passata in giudicato di riconoscimento del diritto alla demolizione del bene costruito non a distanza legale.

Quella che si potrà prescrivere è la possibilità di fare valere il proprio diritto in forza della sentenza passata in giudicato, non essendo possibile riproporre la medesima azione giudiziaria per il principio del ne bis in idem.

L’art. 2946 c.c. stabilisce che i diritti si prescrivono in dieci anni salvo i casi di prescrizioni brevi previste dalla legge.
Il diritto accertato da una sentenza passata in giudicato si prescrive quindi in dieci anni.
Tale principio è affermato anche dall’art. 2953 del c.c. che prevede una deroga alle prescrizioni brevi dei diritti nei casi in cui sia intervenuta una sentenza passata in giudicato; in questo caso la prescrizione diventa di dieci anni.

Nel caso di specie, quindi, la sentenza passata in giudicato farà si che il diritto riconosciuto giudizialmente potrà essere fatto valere non oltre i dieci anni senza che sia stato messo in morail debitore (il proprietario del bene non costruito a distanza) ai sensi dell’art. 2943 del c.c..

La notifica di un atto di precetto in questo senso è sicuramente efficace e interrompe la prescrizione che, per quanto è dato sapere in questa sede, ha iniziato a decorre nel 2019 con l’emissione della sentenza di appello di conferma di quella di primo grado.
Dalla notifica del precetto, senza che venga coltivata poi la procedura esecutiva, riprenderanno a decorrere altri dieci anni prima che si prescriva la sentenza.

Si ritiene, però, che la notifica del precetto effettuata da una delle parti non abbia efficacia interruttiva della prescrizione anche per l’altra.
Questo perché le norme sulla solidarietà attiva tra creditori non sono applicabili, trovandosi in presenza di un’azione con natura reale che non dà vita ad un rapporto di tipo obbligatorio tra le parti.
Le norme del Codice civile sulle distanze, infatti, sono poste a tutela del diritto di proprietà e seguono quindi la titolarità di esso, non la singola persona.

Ad ogni modo si rileva che, se anche si ritenesse di applicare per analogia l’istituto della solidarietà alla fattispecie in analisi, i due soggetti interessati non si possono ritenere creditori solidali perché la solidarietà attiva non si presume, a differenza di quella passiva, nemmeno in caso di identità qualitativa della prestazione o in presenza del medesimo titolo (Cass. civ. n. 8235/2000).
Perché un credito sia solidale è necessario che sia stato pattuito espressamente dalle parti.

É pur vero che nel caso specifico l’obbiettivo di entrambe le parti è ottenere la demolizione del bene quindi l’attivazione della procedura esecutiva da parte di uno solo dei due aventi diritto porterà al risultato desiderato anche dall’altro, salva l’ipotesi di un eventuale accordo transattivo tra colui che ha agito giudizialmente e il proprietario che ha costruito non ha distanza.
In questo caso il confinante che non ha aderito all’esecuzione rimarrà fuori dall’accordo e dovrà attivarsi autonomamente per ottenere la demolizione del bene.

Senza dubbio sarà però possibile per i confinanti (dopo aver notificato entrambi il precetto) procedere con un’unica azione esecutiva oppure proporre intervento nel giudizio proposto da solo uno dei due aventi diritto.


M. C. chiede
martedì 02/05/2023
“Buongiorno; ho acquistato un rustico nel 2004 nel territorio dei castelli romani e, con regolare concessione comunale, l'ho rifinito per abitarci.
Nel mentre mi sono reso conto che, sul muro di confine, i miei "vicini" costruivano una vera e propria "depandance" che, oltre ad essere appunto con un lato proprio sul muro di confine, è a tutt'oggi abusiva(ho documentazione fotografica che dimostra che stavano costruendo)...
Io, ignaro a quel tempo di quanto detta il codice civile in materia di distanze dal confine, non ho dato peso a quanto stesse accadendo; poi, con il passare del tempo e sentendo i pareri delle persone che venivano a trovarmi, ho cercato di approfondire la questione, ma vorrei dei chiarimenti; io non voglio adire legalmente nei confronti dei miei vicini però vorrei essere sicuro che questa costruzione non diventi "regolare", quantomeno senza il mio permesso.
Dico questo perchè ho sentito parlare di "usucapione".... Potrei avere chiarimenti in merito? Ho un termine per poter fare qualcosa oppure questa costruzione sul confine non potrà in alcun modo essere sanata senza il mio permesso? Grazie.”
Consulenza legale i 09/05/2023
La fattispecie descritta sembra essere ascrivibile ad una costruzione in aderenza ai sensi dell’art. 877 c.c.
Secondo questa disposizione di legge è ammessa la costruzione di un nuovo edificio in aderenza al muro di confine.
La giurisprudenza ha avuto modo di affermare che, come costruzioni in aderenza, si intendono quelle che sono in semplice contatto con il muro del vicino e hanno un’autonomia strutturale e funzionale.
La Cassazione ha così affermato “affinché si verifichi l'ipotesi di costruzione in aderenza è necessario che la nuova opera e quella preesistente combacino perfettamente da uno dei lati, in modo che non rimanga tra i due muri, nemmeno per un breve tratto o ad intervalli, uno spazio vuoto, ancorché totalmente chiuso, che lasci scoperte, sia pure in parte, le relative facciate” (Cass, civ. n. 1407/2007).
Non è quindi previsto che il proprietario del muro di confine in aderenza al quale è stata costruita la dependance, possa intraprendere alcuna azione nei confronti del vicino.

Qualora dall’analisi dello stato dei luoghi, invece, si dovesse ritenere che la dependance non è stata costruita in aderenza, la norma di legge applicabile è l’art. 873 del c.c..
In questo caso la costruzione avrebbe dovuto essere posta a distanza non minore di tre metri o alla distanza stabilita dai regolamenti locali.
Il proprietario che ha subito la costruzione di un immobile che si presume non rispettare le norme di edilizia e posto ad una distanza inferiore rispetto a quella prevista dall’art. 873 c.c., ha diritto a intraprendere un’azione legale di riduzione in pristino oltre che di risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 872 del c.c. (Cass. civ. n. 458/2016).

L’azione di riduzione in pristino è volta a ottenere una condanna alla demolizione del bene costruito in violazione della normativa sulle distanze tra edifici sia a livello civilistico che urbanistico.
È un’azione di tipo reale quindi imprescrittibile, salvo gli effetti di un’eventuale usucapione (Cass. civ. n. 867/2000).
Ciò significa che colui che costruisce in violazione di legge usucapisce il diritto a mantenere l’immobile nelle condizioni in cui si trova dopo vent’anni di possesso ininterrotto e continuato senza che sia stato introdotto un giudizio per chiederne la demolizione; l’imprescrittibilità dell’azione però permette al vicino di intraprenderla in qualsiasi momento, prima che siano trascorsi i vent’anni per usucapire il diritto.

L’azione di risarcimento danni invece è un’azione di tipo obbligatorio ed è soggetta al termine di prescrizione ordinario di cinque anni ex art. 2947 del c.c..
L’esecuzione della costruzione dà quindi vita ad un illecito permanente che fa sorgere il diritto al risarcimento del danno dal momento in cui cessa la permanenza e quindi dal momento in cui la costruzione dovesse essere demolita o essere dichiarata legittima da parte dell’amministrazione pubblica con la rinuncia alla demolizione, o essere acquisito il diritto a mantenere la costruzione per usucapione (Cass. civ. n. 594/1990).

Per quanto riguarda invece la questione sull’abusività o meno della costruzione da un punto di vista urbanistico, questa può essere sanzionata solo dalla Pubblica Amministrazione.

In conclusione, si consiglia di verificare effettivamente se la dependance sia costruita in aderenza ai sensi dell’art. 877 c.c.
In caso affermativo non c’è nulla che si possa fare, salvo segnalare alla Pubblica amministrazione l’eventuale abusività dell’immobile.
Nell’eventualità in cui invece sia stata posta non in aderenza e sia quindi applicabile, l’art. 873 c.c., si consiglia di valutare di introdurre un’azione giudiziaria per la riduzione in pristino ai sensi dell’art. 872 c.c. per interrompere l’usucapione ventennale prima dell’anno 2024.




E. A. G. S. chiede
venerdì 07/10/2022 - Lazio
“Buongiorno,
avrei necessità di una vostra consulenza a seguito di alcuni "fastidi" provocati dal mio confinate a seguito dell'installazione di una pergotenda.
Premetto che la pergotenda (< 24 mq), che dovrebbe essere un'opera di edilizia libera, è interamente installata nella mia proprietà su di un terrazzo che confina, con un muro, con il mio vicino. Inoltre la tenda è motorizzata e quindi è possibile farla scomparire all'interno del suo vano. Aggiungo, la distanza fra i pali della pergotenda ed il muro di casa sua è di oltre 4 metri, ma nonostante questo il mio confinate lamenta la perdita della vista oltre la mia proprietà (di fatto vedrebbe una parte della mia casa e null'altro). In tutto questo, la parere della sua casa che è posizionata difronte alla mia pergotenda, non è dotata di finestre ed è totalmente cieca. Nello stesso spazio antistante la parete appena menzionata vi è un piccolo vialetto, dove di norma il mio confinante parcheggia la sua auto ed un cancello che regola, appunto, l'accesso alla sua proprietà.
Sinceramente, prima di installare la pergotenda mi sono informato su eventuali vincoli architettonici o paesaggistici essendo residente nel comune di Roma, ma fortunatamente nel mio quartiere non esiste nulla a riguardo. Inoltre, sapevo bene che simili strutture sono installabili liberamente, anche perchè totalmente aperte su tutti e 4 i lati.
Se fosse possibile, vorrei fornirvi alcune foto, per meglio comprendere la situazione in quanto la sola descrizione da me fatta potrebbe risultare non sufficiente. Così come eventuali nuove informazioni nel caso quelle riportate non dovessero essere esaustive.
Sinceramente non credo di aver operato al di fuori delle regole, ma in modo deciso vorrei evitare qualsiasi tipo di discussione dimostrando, appunto, di aver agito nella legalità.
Ringrazio anticipatamente.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 14/10/2022
Occorre premettere che non ci si soffermerà, in questa sede, sulla questione della regolarità del manufatto realizzato sotto il profilo urbanistico ed edilizio, dal momento che, per esprimere una valutazione di questo tipo, sarebbe necessario l’ausilio di un tecnico, oltre alla conoscenza del regolamento edilizio comunale vigente.
Tuttavia, la circostanza che l’opera in questione sia stata in ipotesi realizzata in conformità della normativa di carattere amministrativo non esime dalla necessità di valutarne la legittimità pure sotto il profilo civilistico - specificamente, rispetto alla disciplina delle distanze legali -, trattandosi di due aspetti distinti e tra loro indipendenti.

Ora, la giurisprudenza ormai costante ha affermato che "ai fini dell'osservanza delle distanze legali nelle costruzioni, prescritte dall'art. 873 del c.c. e dalle norme di questo integrative, alla nozione di "costruzione" deve essere ricondotto, avuto riguardo alle finalità della disciplina di regolare i rapporti intersoggettivi di vicinato assicurando in modo equo l'utilizzazione dei fondi limitrofi, qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i requisiti della solidità e della immobilizzazione al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad una preesistente fabbrica” (così ex plurimis Cass. Civ., Sez. II, 05/01/2000, n. 45).
Ancora, Cass. Civ., Sez. II, 26/06/2000, n. 8691 afferma che “ai fini dell'osservanza delle distanze legali di cui all'art. 873 c.c. e alle norme integrative dei regolamenti locali, deve intendersi "costruzione" qualsiasi opera che pur difettando di una propria individualità abbia tuttavia i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo a nulla rilevando che tale collegamento al suolo avvenga mediante mezzi meccanici i quali consentano mediante procedimenti o manovre o procedimenti inversi una nuova mobilizzazione e l'asportazione del manufatto”.
Nel caso oggetto del quesito, dunque, occorre verificare, mediante la consulenza di un tecnico, che la pergotenda realizzata rispetti effettivamente la normativa sulle distanze legali di cui all’art. 873 c.c. o quella maggiore eventualmente stabilita dai regolamenti locali.

Rimane da esaminare la questione del rispetto dell’eventuale servitù di veduta - che pare essere l’oggetto delle lamentele del vicino - secondo quanto previsto dall’art. 907 del c.c., che impone una distanza minima di tre metri.
Anche sotto questo profilo la giurisprudenza ha chiarito che "la violazione del diritto di veduta del proprietario di un'unità immobiliare si determina quando viene realizzata una "fabbrica", a distanza inferiore a quella prevista dalla legge, di qualsiasi materiale e forma, idonea ad ostacolare stabilmente l'esercizio della"inspectio" e della "prospectio" nonché di godere di luce ed aria dalla veduta” (così Cass. Civ., Sez. II, 30/01/2008, n. 2209): nella fattispecie, ad esempio, la Corte aveva escluso la violazione dell'art. 907 c.c. per effetto della “installazione, all'estremità laterale di un balcone, di una parete, vetrata, di sottili dimensioni”.
Si tratta, tuttavia, di valutazione che va compiuta caso per caso e che, laddove insorga una controversia, spetta ovviamente al giudice: “rientra nell'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, stabilire - se nell'ambito dei rapporti di vicinato - opere quali tettoie, tendaggi fissi, estensibili o detraibili, con intelaiatura fissata stabilmente al suolo, costituiscano costruzioni, o a queste possano equipararsi, e se impedendo o limitando - per la struttura, dimensione o conformazione - le vedute in appiombo esercitate dal vicino, debbano rispettare la distanza di tre metri prevista dall'art. 907 c.c.” (Cass. Civ., Sez. II, 06/11/2003, n. 16687).

Dunque, anche per verificare l’eventuale violazione di una servitù di veduta, appare imprescindibile l’ausilio di un tecnico, tenendo presente che il computo delle distanze va effettuato sulla base dei criteri di cui al medesimo art. 907 c.c.
Naturalmente, pregiudiziale all’accertamento della eventuale violazione è quella della esistenza stessa di un diritto di veduta; si veda in proposito Cass. Civ., Sez. II, sentenza 10/05/2018, n. 11287, secondo cui “la titolarità del diritto reale di veduta costituisce una condizione dell'azione volta ad ottenere l'osservanza da parte del vicino delle distanze di cui all'art. 907 c.c. e, come tale, va accertata anche d'ufficio dal giudice, salvo che da parte del convenuto vi sia stata ammissione, esplicita o implicita, purché inequivoca, della sussistenza di tale diritto”.

P. B. chiede
lunedì 13/06/2022 - Emilia-Romagna
“Antefatto.
Nel 2017 ho acquistato in asta giudiziario un fabbricato su lotto di 426 mq. Sul retro vi è un cortile ( che funge anche da passaggio e ingresso posteriore di mt. 20 x 4,80) delimitato da fabbricato cat. C/2 alto mt. 5 circa coperto a lastrico solare.
Il muro di questo magazzino è coperto con tegole spioventi sul mio cortile e le acque meteoriche del lastrico solare sono convogliate sul mio cortile.
Prima dell'asta giudiziaria i fabbricati, censiti su particelle distinte, erano di un unico
proprietario.
Non abbiamo fatto riconfinamenti per verificare se effettivamente il muro del fabbricato c/2 insiste solo sulla particella non di mia proprietà o è di confine.
Dalle mappe catastali del 1989
(Atto notarile di divisione tra fratelli che portò i 2 fabbricati in capo ad uno d il loro) in quanto ancora redatte a mano, non si hanno certezze. ( Di fatto misurando la superficie del lotto, dichiarata in atti di 426 mq. , Risulterebbe inferiore a 400 mq. Ma in ballo c'è anche una imprecisione sul lato est che confina con particella comprendente siepe e strada di proprietà di indivisa tra Comune e privato che si è aggiudicato all'asta il c/2.
( Per inciso, vatti a fidare delle perizie dei tecnici per le aste fallimentari).
Richiesta:
Quali diritto posso accampare sul muro di confine (?).
Posso reclamare che le acque meteoriche non vengano più convogliate sulla mia proprietà o debbo subire una servitù.
Altra informazione, ho provato a far fare misurazioni di riconfinamenti sul lato est e 2 studi diversi danno misure diverse !!!!? Allora ???
Provvederò a fare il pagamento e invierò a richiesta documentazione catastale e fotografica.
Grazie.”
Consulenza legale i 23/06/2022
Regola generale applicabile in tutti i casi di vendita forzata è quella dettata dall’art. 2922 del c.c., secondo cui in tale tipologia di vendita non può essere invocata la garanzia per vizi della cosa venduta (tale deve intendersi la presenza di una servitù di scolo acque piovane dal fondo del vicino).
La ratio di tale norma può individuarsi nel fatto che nella vendita forzata il potenziale acquirente gode di un importante vantaggio di carattere informativo, in quanto ha la possibilità di consultare con congruo anticipo la perizia di stima elaborata dal professionista nominato dal Giudice dell’esecuzione.
Tale perizia, allegata all’avviso di vendita, consente a qualunque interessato di avere un quadro aggiornato dello stato dell’immobile, della provenienza, dei vincoli trascritti su di esso, oltre che della sua regolarità edilizia ed urbanistica.
Già sotto questo profilo, dunque, si ritiene che non possa aversi alcuna possibilità di contestare la situazione dello scolo delle acque piovane dal fondo del vicino sul cortile di pertinenza dell’immobile acquistato all’asta.

Quanto sopra asserito, peraltro, trova conferma nella giurisprudenza di legittimità (in particolare si veda Cass. sent. n. 21840/2016), nella quale si legge che la mancanza per l’aggiudicatario della ordinaria garanzia per i vizi della cosa, inapplicabile alla vendita forzata ai sensi dell’art. 2922 c.c., trova un limite soltanto nelle ipotesi più gravi di c.d. aliud pro alio, dovendosi pacificamente ammettere tale forma di garanzia anche nel caso di vendita forzata.
Tuttavia, perché possa configurarsi una tale ipotesi si richiede che la cosa consegnata sia completamente difforme da quella oggetto di vendita (appartenendo ad un genere del tutto diverso), ovvero che sia assolutamente priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente, che abbia difetti che la rendano inservibile, ovvero, infine, che risulti compromessa la destinazione del bene all’uso che abbia costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto (così Cass. sent. n. 2858/2014).
Nulla di tutto ciò sembra ricorrere nel caso di specie.

Peraltro, stando a ciò che viene riferito nel quesito, nel caso di specie neppure può invocarsi il disposto di cui all’art. 908 c.c. per costringere il proprietario del fabbricato confinante a modificare l’inclinazione del tetto del suo fabbricato per far sì che le acque piovane scolino sul suo terreno.
Una richiesta di tale tipo, infatti, si scontrerebbe con la situazione di fatto esistente, la quale trae origine dalla primitiva appartenenza dei due attuali fabbricati ad un unico proprietario e dalla loro successiva divisione, lasciando inalterato lo stato delle cose.
Tale situazione non ha fatto altro che determinare la costituzione di una servitù di scolo delle acque piovane per c.d. destinazione del padre di famiglia, la quale trova espresso riconoscimento all’art. 1061 del c.c., per il venire ad esistenza della quale occorre la sussistenza dei seguenti presupposti, tutti ricorrenti nel caso di specie:
a) che si tratti di una servitù apparente (non può negarsi l’apparenza dell’inclinazione del tetto verso il proprio fondo);
b) che in sede di divisione dei due immobili (quello servente e quello dominante) siano state lasciate “le cose nello stato dal quale risulta la servitù”.

Per quanto concerne, invece, il problema del fabbricato la cui parete risulta realizzata a confine con il cortile di pertinenza del proprio immobile, va innanzitutto chiarito che tale parete non può essere assimilata ad un muro di confine, trattandosi pur sempre di parete.
Dispone espressamente l’[[878cc] che può qualificarsi come muro di cinta qualunque muro isolato che non abbia un’altezza superiore a tre metri, ipotesi ben diversa da quella che qui viene in esame.

Nel caso di specie, infatti, norma applicabile risulta essere l’art. 873 del c.c., rubricato “Distanze nelle costruzioni”, dalla lettura del quale si evince che, salvo diversa disposizione contenuta nei regolamenti locali, la preesistenza sul confine (o comunque ad una distanza inferiore a metri 1,5) della costruzione del vicino dà diritto a costruire in aderenza a tale costruzione (art. 877 del c.c.) oppure ad utilizzare il muro di fabbrica esistente, pagando metà del suo valore.
Il proprietario della costruzione, da parte sua, può decidere di demolire quella parete in modo da ripristinare la distanza minima di mt. 1,5 (così art. 875 comma 2 c.c.).

Altra facoltà di cui ci si può avvalere è quella prevista dall’art. 876 del c.c., ossia di utilizzare il muro di fabbrica esistente del vicino per innestarvi un capo del proprio muro, pagando un’indennità per l’innesto.
La norma si riferisce solo all’ipotesi in cui il nuovo muro che si andrebbe a realizzare vada ad inserirsi al precedente, in modo da divenire un’unica struttura portante con esso; nell’ipotesi in cui, invece, la testa del nuovo muro venga semplicemente appoggiata al muro preesistente, senza un collegamento strutturale, non è dovuta alcuna indennità.
La giurisprudenza qualifica tale norma come eccezionale, con la conseguenza che non può essere invocata per l’innesto di travi, consentito solo sul muro comune ex art. 884 del c.c..

Anonimo chiede
sabato 12/06/2021 - Lombardia
“Gentilissimi,

Abito in un “condominio orizzontale”: una serie di villette a schiera che condividono i muri perimetrali e accesso ai box auto.

La le villette hanno un giardino posteriore, tutte le villette hanno finestre con veduta obliqua sul giardino posteriore dei vicini.
Per conformazione del terreno, il giardino posteriore non è a livello dell’ingresso delle case, ma è di circa 1,7 m più basso e accessibile dai box che sono normalmente realizzati sotto le ville. Le ville sono di nuova costruzione e hanno le finestre tipo porte finestre.

La mia proprietà è leggermente diversa in quanto è l’ultima della schiera: per ragioni costruttive al posto del giardino posteriore ho il box auto. Il box si eleva da terra per circa 1,7 metri e la copertura del box arriva a livello delle porte finestre posteriori. (spero che la planimetria e le foto allegate aiutino a chiarire, la mia proprietà è un verde, i vicini in rosso)

La copertura del box è stata finita dal costruttore usando la stessa pavimentazione del resto del condominio ma non è registrata come “terrazzo”, ma come “copertura box” (senza specificare “non accessibile”)

Tempo fa abbiamo concordato con i vicini di poter mettere delle ringhiere alla copertura box che da tempo stiamo usando come area esterna, ma non abbiamo firmato nessun documento con loro.
Abbiamo quindi fatto comunicazione al comune tramite SCIA dell’installazione di ringhiere per la messa in sicurezza della copertura box.

Ora purtroppo il rapporto con i vicini si è deteriorato e ci hanno chiesto di smantellare le ringhiere, spostarle ad almeno 5 metri dal confine ed erigere una barriera di 2 metri per togliere ogni vista sulla loro proprietà.

Domanda #1
Vorrei sapere se la richiesta dei vicini spostare le ringhiere è corretta (credo di si!) e a quale distanza dovrei spostare la ringhiera dalla loro proprietà. Dipende dal confine o dal posizionamento delle nostre/loro finestre?
In ultimo, sono obbligato a creare una barriera per oscurare completamente la vista sulla loro proprietà? Ci sono requisiti per l’altezza minima/massima e la lunghezza?
(la richiesta della barriera mi sembra strana perché le finestre hanno già una veduta laterale)

Domanda #2, (fatemi sapere se devo effettuare un secondo pagamento, lo faccio volentieri)
I vicini hanno installato un balconcino e scale esterne per avere accesso diretto al giardino dal loro soggiorno, in rosso nell’allegato e nella seconda foto (come detto sopra, l’accesso al giardino c’è solo dai box, per cui le scale esterne sono molto comode).
Il balconcino dista 3,8 metri dalla linea di confine ed è alla stessa altezza della copertura del mio box.
La distanza che hanno mantenuto è corretta o ho diritto anche io a chiedergli un intervento?
(il balconcino e scale facevano parte dell’accordo verbale per mettere la ringhiera sul nostro balcone)

Domanda #3, (fatemi sapere se devo effettuare un terzo pagamento, lo faccio volentieri)
Ho letto che è possibile non richiedere permessi per gli interventi realizzati sul tetto del box qualora siano a carattere temporaneo, in particolare che possano essere rimossi entro un massimo di 90 giorni, e non modifichino la destinazione d’uso del lastrico solare, trasformandolo in un terrazzo permanente.
È un’informazione corretta? C’è una legge o sentenza a riguardo? È una via percorribile per mettere sedie e tavolo sulla copertura box per massimo 90 giorni?


Vedete allegati – che vi chiedo cortesemente di non pubblicare:
1. planimetria depositata in comune
2. foto delle proprietà appena prima della consegna (dove si vede il box confinante con il giardino dei vicini)
3. foto del balconcino e scala installati a 3,8 metri dal confine.

Grazie della consulenza”
Consulenza legale i 17/06/2021
L’art. 905 del c.c. al suo 2° comma dice in maniera molto chiara che non si possono costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere. Tale norma trova la sua giustificazione nella tutela della proprietà del vicino contro le molestie derivanti dall’altrui esercizio di veduta edificate a troppa breve distanza dal confine. La giurisprudenza ha chiarito che la distanza indicata dall’art. 905 del c.c. deve intendersi come la linea che va dalla ringhiera balaustra e simile da cui è possibile esercitare la massima veduta fino alla linea di confine (si veda Cass. Civ. n.1368 del 11.04.1975 e Cass. Civ. n.3428 del 25.05.1981).

Si tenga presente che in materia di costruzione di luci e vedute il codice civile si preoccupa soprattutto di dettare le distanze per la loro costruzione rispetto ai fondi finitimi non prevedendo l’obbligo di costruire barriere per impedirne l’affaccio, di cui tra l’altro si dubita della loro legittimità anche da un punto di vista di diritto edilizio ed urbanistico. Se quindi la distanza che corre tra la ringhiera e la linea di confine rientra nei limiti indicati dal codice civile le pretese dei vicini paiono non avere alcun fondamento.
In merito invece alle distanze nelle costruzioni l’art. 873 del c.c, ci dice che esse devono essere tenute ad una distanza non minore di tre metri se non unite o aderenti, salvo diversa disposizione dei regolamenti locali. Si tenga presente che la giurisprudenza ha più volte chiarito che per calcolare la predetta distanza non devono essere prese in considerazione quei manufatti o sporgenze che comunque non sono volte ad aumentare il corpo di fabbrica dell’edificio vicino, come mensole, sporti, canalizzazioni di gronda e loro sostegni, mentre sono al contrario rilevanti tutte quelle sporgenze di particolare proporzione tese ad ampliare il fronte dell’edificio e la sua abitabilità, idonee quindi ad incidere sulla consistenza volumetrica del fabbricato (Cass.Civ. n.9646 del 29.12.1987). Nel caso di specie la scala di accesso al giardino realizzata dal vicino, non può certo farsi rientrare nella definizione indicata dalla migliore e costante giurisprudenza. oltre ad essere perfettamente entro i limiti indicati dall’art. 873 del c.c.

Quanto al terzo quesito, si chiarisce anzitutto che, in termini urbanistici, la differenza tra un lastrico solare o un solaio di copertura e un terrazzo consiste nella circostanza che il primo si configura quale parte di un edificio che, pur praticabile e piana, resta un tetto, o comunque una copertura di ambienti sottostanti, mentre il terrazzo è inteso come ripiano anch'esso di copertura, ma che è anche dotato di opere che consentono l’affaccio e nasce già con la ulteriore ben precisa funzione di accesso e utilizzo per gli utenti (T.A.R. L'Aquila, sez. I, 24 luglio 2018, n. 305; T.A.R. Salerno, sez. II 3 gennaio 2018, n. 24).
La trasformazione da lastrico/solaio a terrazzo, quindi, richiede il rilascio di un permesso di costruire, in quanto determina un aumento della superficie utile e di conseguenza un aumento del carico urbanistico (ex multis, T.A.R. Cagliari, sez. I, 07 dicembre 2020, n. 684; T.A.R. Salerno, sez. II, 03 gennaio 2018, n. 24).

L’art. 6, c. 1, lettera e-bis), T.U. Edilizia, inoltre, include nell’attività edilizia libera, realizzabile previa semplice comunicazione di avvio dei lavori all'amministrazione comunale, le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità.
Il termine massimo per la rimozione dei manufatti è stato recentemente raddoppiato da 90 a 180 giorni.
Allo stesso regime di edilizia libera, ma senza l’obbligo di eliminare le opere entro un certo lasso di tempo, sono soggette pure le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici, ai sensi dell’art. 6, c. 1, lettera e-quinquies), T.U. Edilizia (che appare più aderente alla fattispecie in esame).

Tanto premesso, si nota però che sia la giurisprudenza sopra richiamata, sia la norma del T.U. Edilizia, si riferiscono ad opere che possiedono intrinsecamente una certa stabilità e consistenza materiale, ossia che presentano perlomeno le caratteristiche minime per essere classificate come opere edilizie (ad es. la posa di pavimentazione, case mobili, tettoie e così via).
Peraltro, anche il glossario dell’edilizia libera approvato ex D.Lgs. n. 222/2016, quando tratta delle aree ludiche o pertinenziali di cui alla lettera e-quinquies, menziona manufatti come barbecue in muratura, fontane, gazebi, ripostigli per attrezzi e simili.
Il terzo quesito, invece, concerne meri elementi di arredo quali sedie, ombrelloni e vasi, che sono del tutto irrilevanti sotto il profilo edilizio-urbanistico e che quindi non interessano ad alcun titolo la P.A..
Vista la giurisprudenza sopra riportata, l’unico dubbio potrebbe invece sorgere per la ringhiera, che però, oltre a non essere oggetto del terzo quesito, è stata già assentita dal Comune e non dovrebbe quindi più rappresentare un problema.


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