Precedenti dell'art. 907. Diritto comune in Germania, in Italia, in Francia. Diritto francese. Codice sardo (art. 614). Codice italiano del 1865 (art. 590)
Sulle orme del codice sardo (art. 614) e del vecchio codice (art. 590), il nuovo codice ha voluto risolvere testualmente con la disposizioni di cui all'art. 907 le vecchie questioni dibattutesi fin nel campo del diritto comune in Germania, in Francia e in Italia, e continuate in Francia sotto l'impero del codice francese che mancava di una disposizione testuale al riguardo. Con l'aggiunta poi dei due capoversi dell'art. 907, che mancavano nell'art. 590 del vecchio codice, ha voluto determinare più compiutamente il contenuto della servitù di veduta diretta, eliminando così annose questioni in materia.
Fu molto controverso per il diritto romano il concetto della
servitus luminum e della
servitus ne luminibus officiatur. Alcuni ritennero che queste due locuzioni non comprendessero che una sola servitù, ma prevalse poi l'opinione secondo cui si trattava di due servitù distinte: che la
servitus luminum fosse il diritto di aprire finestre in un muro altrui, o comune, o anche proprio contiguo al fondo vicino; e la
servitus ne luminibus officiatur fosse invece il diritto di impedire al vicino di intraprendere nel suo fondo opere che oscurassero o diminuissero la luce.
La pratica del diritto comune in Germania e in Italia riconobbe nell'apertura delle finestre nel muro proprio un semplice esercizio del diritto di proprietà, e che l'apertura di finestre nel muro altrui o comune
(servitus luminum) non implicasse in sè la
servitus ne luminibus officiatur.
Nel diritto comune in Francia da una parte si richiese l'acquisto di una
servitus luminum per poter aprire finestre sul fondo del vicino, dall'altra si ritenne che la
servitus luminum comprendesse fino ad un certo punto il diritto di inibire al vicino la costruzione di opere dirette a impedire l'esercizio della servitù acquistata.
La questione è stata ed è tuttora controversa sotto la vigenza del codice francese, che manca di una disposizione testuale al riguardo. Alcuni hanno sostenuto che, acquistato il diritto ad avere una finestra a distanza minore della legale, si è liberati dall'obbligo della distanza legale, ma non si acquista un diritto contro il vicino per esigere il rispetto della veduta. Altri invece sostengono che l'acquisto del diritto di tenere una finestra a distanza minore della legale importa l'acquisto di una servitù sul fondo del vicino, ma sono discordi sul contenuto di tale servitù, e cioè sulla distanza che deve osservare il vicino nel fabbricare sul suo fondo.
Il codice sardo per togliere queste controversie introdusse la seguente disposizione (art. 614): «
Colui il quale ha per convenzione acquistato il diritto di avere finestre prospicienti il fondo del vicino, non può impedirlo dal fabbricare alla distanza fissata dagli art. 572, 594 e 595 (tre metri), salvo che vi sia un titolo contrario, o dopo opposizione abbia avuto luogo la prescrizione trentennale; ma se il diritto ad avere finestre prospicienti sul fondo del vicino non e acquistato che col mezzo della prescrizione, il proprietario di questo fondo può sempre fabbricare sul suo terreno ed innalzare la fabbrica a suo arbitrio ».
Come si vede, il legislatore sardo seguì una
via intermedia tra le opposte opinioni della dottrina francese. Il semplice decorso del periodo prescrizionale libera il proprietario della finestra dall'obbligo di osservare la distanza legale, ma non gli fa acquistare nessun diritto di servitù sul fondo vicino: il proprietario di questo resta quindi libero di fabbricare come vuole, con la facoltà anche di chiudere la finestra appoggiandovi il suo edificio. Invece se il diritto di avere finestre prospicienti sul fondo del vicino si è acquistato per convenzione, o per prescrizione dopo un atto di opposizione, il proprietario del fondo vicino non può fabbricare a meno di tre metri di distanza. Può essere obbligato anche a lasciare una distanza maggiore, se ciò risulti dal titolo, ed anche per prescrizione, se volendo il vicino fabbricare alla distanza di tre metri, il proprietario della finestra si sia opposto e siano passati trent'anni dalla opposizione.
Il codice italiano del 1865 volle risolvere anch'esso testualmente le questioni sorte nella dottrina francese, e lo fece in misura più radicale del codice sardo, disponendo all'art. 590 che «
Quando per convenzione od altrimenti siasi acquistato il diritto di avere vedute dirette o finestre a prospetto verso il fondo vicino, il proprietario di questo non pile fabbricare a distanza minore di tre metri ».
Con tale disposizione si fece un passo più avanti del codice sardo. Quando si sia acquistato, non importa in qual modo, il diritto di avere vedute dirette sul fondo vicino, il proprietario della veduta non solo si affranca dall'obbligo di osservare la distanza legale, ma acquista anche il diritto a che il vicino nel fabbricare osservi la distanza di tre metri. La citata disposizione dell'art. 590 è poi passata nel nuovo codice (art. 907, primo comma).
Vari modi di acquisto del diritto di avere vedute dirette sul fondo vicino: convenzione, testamento, destinazione del padre di famiglia, prescrizione
L'art. 907, riferendosi all'acquisto del diritto di avere vedute dirette sul fondo del vicino, fa
espressa menzione soltanto della convenzione, e poi con la locuzione «
od altrimenti » fa un riferimento generale ai possibili modi di acquisto.
Oltre che per convenzione, ii diritto di avere una veduta diretta sul fondo vicino può nascere per testamento e può nascere anche per destinazione del padre di famiglia.
Tutti sono d'accordo nel ritenere che il diritto di avere vedute dirette sul fondo vicino possa acquistarsi anche per
prescrizione. Non tutti, però, convengono sulla natura di tale prescrizione: infatti alcuni credono inapplicabile nel caso la prescrizione acquisitiva e fondano l'acquisto sulla prescrizione estintiva del diritto che ha il vicino di esigere l'osservanza del metro e mezzo prescritto dall'art.
905 Si ritiene, fondandosi sui precedenti dell'art. 907, che si tratti di prescrizione acquisitiva: il diritto riconosciuto al proprietario della veduta dall'art. 907 non è una semplice servitù negativa
ne luminibus officiatur, ma risulta storicamente dalla fusione di questa con la
servitus luminum che è apparente. Ed il risultato di questa fusione è una servitù che possiamo chiamare
di veduta diretta, che presenta i requisiti idonei per la prescrizione acquisitiva.
La zona di rispetto di tre metri dev'essere osservata anche ai lati della veduta diretta
La distanza di tre metri è prescritta dall'art. 907 primo comma limitatamente alle vedute dirette. Sotto l'impero dell'art. 590 vecchio codice, che conteneva un' analoga disposizione, era sorta una importante discussione per sapere se e quale distanza dovesse osservarsi per le vedute laterali e oblique: infatti, disponendo l'art. 590 la zona di rispetto di tre metri unicamente per le vedute dirette, non poteva tale disposizione valere per le vedute laterali e oblique.
Ora di vedute laterali e oblique ve ne sono di
due specie: vi sono vedute laterali e oblique per sè stanti, e vi sono vedute laterali e oblique che si esercitano contemporaneamente a una veduta diretta, ai due lati della medesima (art.
900, n. 3).
Per le
vedute laterali e oblique per sè stanti la questione non ha ragione di essere perché, data la loro speciale ubicazione, non è possibile per il vicino ostruirle con fabbriche. Infatti, non trovandosi esse in un muro di confine o parallele al confine, il vicino potrà rendere comune il tratto di muro che prospetta il suo fondo (artt.
874 e
875) e contro di esso potrà fabbricare liberamente non si troverà mai in condizione di chiudere la veduta laterale ed obliqua, che è situata in un muro non suscettibile di comunione.
Nel caso invece di
vedute oblique non per sè stanti ma esercitantisi da una stessa finestra contemporaneamente ed ai lati della veduta diretta sopra un medesimo fondo, era di grande importanza pratica, sotto il vecchio codice, vedere se nemmeno in tale caso il fatto di avere queste vedute oblique imponesse al vicino l'obbligo di osservare una certa distanza: infatti in caso contrario, il proprietario limitrofo, pur essendo costretto dall'art. 590 ad osservare la distanza di tre metri di fronte alla finestra (veduta diretta) avrebbe avuto il diritto di fabbricare ai lati della medesima, sino agli stipiti sopprimendo le vedute oblique.
Alla questione furono date sotto l'impero dell'art. 590 vecchio codice le soluzioni più disparate. Secondo alcuni — ed è questa l'opinione preferibile — non vi era l'obbligo di osservare alcuna distanza, e quindi il proprietario latistante poteva appoggiare la fabbrica sino agli stipiti della finestra. Secondo altri, una distanza doveva essere osservata: chi richiedeva mezzo metro, chi un metro, chi tre metri, chi una distanza da determinarsi caso per caso dall' autorità giudiziaria. Altri, infine, ritenevano che, in questo caso speciale di contemporanea esistenza di vedute dirette ed oblique da una stessa finestra, l'esistenza della veduta diretta, di per se sola valesse ad escludere del tutto l'acquisto della comunione del muro e il conseguente appoggio ai lati della finestra: il vicino avrebbe dovuto mantenere indietro la sua fabbrica alla distanza di tre metri dal muro in cui era aperta la veduta diretta.
La giurisprudenza della Cassazione del Regno dopo qualche incertezza si era ormai affermata nel senso che i tre metri di distanza richiesti dall'art. 590 come zona di rispetto per la veduta diretta dovessero
osservarsi non solo di fronte, ma anche ai due lati.
E questa soluzione è stata testualmente sancita dal nuovo codice, al secondo comma dell'art. 907, disponendo «
Se la veduta (diretta) forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita ». Con questa aggiunta l'annosa controversia, così vivamente dibattuta nella dottrina e nella giurisprudenza, è stata definitivamente risolta con grande vantaggio dell'edilizia.
E anche al di sotto della soglia
Altra questione, connessa alla precedente, era sorta sotto la vigenza dell'art. 590 vecchio codice, per sapere se e quale distanza dovesse osservarsi nel fabbricare al di sotto della soglia della veduta diretta. Anche qui le soluzioni date erano diverse: alcuni, partendo dal principio che
prospectus etiam ex inferioribus locis est, escludevano del tutto la possibilità di fabbricare al di sotto della veduta; altri ritenevano che la fabbrica dovesse arrestarsi a tre metri al di sotto della soglia; altri infine che si potesse raggiungere con la fabbrica l'altezza della soglia.
Anche per tale questione il nuovo codice ha adottato la soluzione prevalsa da tempo nella giurisprudenza della Cassazione, statuendo una
zona di rispetto di tre metri anche al di sotto della soglia. Dispone infatti l'art. 98, terzo comma: « s
e si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette e oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia ».
Contenuto normale della servitù di veduta. Zona di rispetto di tre metri in linea orizzontale, laterale e verticale. Non è sufficiente la distanza di tre metri in linea obliqua
Con le disposizioni contenute nei tre commi dell'art. 907 viene delimitato con precisione il contenuto normale della veduta diretta, in una zona di rispetto di tre metri: in linea orizzontale di fronte, in linea verticale al di sotto della soglia, e in linea laterale ai due lati della veduta.
Ciò è stato sintetizzato in alcune sentenze dicendosi che la distanza di rispetto per la veduta diretta e di tre metri in tutti i sensi: tale espressione è corretta se viene riferita ai tre sensi suddetti, e cioè orizzontale, verticale e laterale.
Non sarebbe invece esatta se intesa anche in linea obliqua, come accaduto in qualche sentenza, che ritenne legittima la costruzione distante dalla veduta metri tre in linea obliqua. L'errore fu rilevato dalla Cassazione osservando che il codice quanto al modo di misurare la distanza di rispetto per le vedute fa riferimento alla linea di separazione dei due fondi (
art. 905 del c.c.). E quindi la distanza di tre metri va fatta in linea orizzontale, a qualunque altezza dal suolo si trovi la veduta: il che vale quanto dire che la costruzione deve essere elevata a distanza non minore di tre metri, dal muro in cui è aperta la veduta. E ad ulteriore conferma della tesi, la Cassazione giustamente rilevava che la distanza di tre metri tra la veduta e la linea di separazione dei due fondi «
è un'esigenza derivante dal contenuto stesso della servitù di prospetto, che si esercita direttamente sul fondo, a carico del quale e stata costituita ed acquistata, onde è in rapporto a questo fondo che deve rimanere osservata la distanza che la legge ritiene necessaria per l'esercizio di detta servitù ».
Per escludere che possa essere sufficiente agli effetti della distanza legale richiesta dall'art. 907 la distanza di tre metri in linea obliqua tra la finestra e la parte più vicina della fabbrica, un ulteriore argomento a sostegno può derivarsi, sotto altro profilo giuridico, dalla disposizione dell'art.
873. Detto articolo dispone in metri tre la distanza minima legale tra fabbricati, da misurarsi in linea orizzontale e non in linea obliqua tra i piani reali o virtuali dei muri perimetrali dei due edifici fronteggianti. Si ha qui una coincidenza - che è stata ripetutamente rilevata - tra la distanza legale di tre metri prescritta dall'art. 907 in difesa delle vedute dirette e la distanza di tre metri prescritta dall'art.
873 come intercapedine minima nelle costruzioni. È a quel modo che la distanza legale tra le costruzioni di cui all'art.
873 va misurata in linea orizzontale e non in linea obliqua, perciò allo stesso modo deve escludersi che la distanza legale dell'art. 907 possa essere misurata in linea obliqua.
Possibilità di deroga in più al contenuto normale della servitù di veduta diretta
Abbiamo detto nel numero precedente che con le disposizioni contenute nell'art. 907 viene delimitato il contenuto normale della veduta diretta in una zona di rispetto di tre metri in linea orizzontale, verticale e laterale: ma tale contenuto normale può nella pratica variare in più come può variare in meno.
Una variazione in più può risultare anzitutto dal
titolo costitutivo della servitù, stabilendosi che il vicino non possa fabbricare, davanti, ai lati, al di sotto, a distanza minore di cinque, di dieci e più metri. Può stabilirsi perfino che per rispetto alla veduta il vicino non possa fabbricare affatto, o non possa fabbricare oltre una determinata altezza, di fronte, ai lati, al di sotto: in tal caso il contenuto della servitù di veduta si allarga fino a concretare la diversa
servitus non aedificandi o
altius non tollendi.
Una variazione in più può risultare anche
per destinazione del padre di famiglia, poiché dallo stato in cui il proprietario pose e lasciò le cose, può risultare insufficiente la distanza legale prescritta dall'art. 907. Certo, in questo caso, non sarà facile in pratica provare che tale insufficienza risulti dalla destinazione del padre di famiglia, e quale maggiore zona di rispetto debba essere lasciata nel caso concreto. Ma non vi è ragione di escluderne teoricamente la possibilità: se, ad es., l'unico originario dovizioso proprietario di grandioso palazzo e di non meno grandioso parco adiacente, abbia lasciato un salone-pinacoteca che prenda dai balconi sul parco la necessaria luce, deve ritenersi costituita per destinazione una zona di rispetto per i balconi, maggiore della normale dei tre metri, e tale da assicurare alla pinacoteca la necessaria luce. E lo stesso va detto per assicurare a una grandiosa e lussuosa veranda costituita nel centro architettonico del castello il prospetto sul parco e il sole alla serra del giardino pensile.
Possibilità di deroghe in meno
Dobbiamo ora vedere se sia ammessa una deroga
in meno alla distanza di rispetto prescritta dall'art. 907. La Corte di Cassazione ha avuto occasione di affermare la
tesi affermativa sotto la vigenza del vecchio codice, rilevando che «
nè l'art. 590 nè alcuna altra norma di legge prescrive che non si possano costituire servitù di prospetto se questo non si può esercitare fino a tre metri di distanza in tutte le direzioni ». Anche qui verrà ripetuta l'indagine singolarmente per i tre possibili modi di costituzione della servitù: titolo, destinazione del padre di famiglia e prescrizione.
Nulla impedisce di costituire per titolo (convenzione o testamento) una servitù di veduta a contenuto più ristretto di quella regolata dall'art. 907: non solo è possibile derogare alla distanza dei tre metri ai lati e al di sotto della soglia, per cui non può sorgere alcuna difficoltà, ma è possibile derogarvi anche di fronte, quantunque così si venga a formare una intercapedine minore dei tre metri prescritti dall'art.
873 per la distanza legale delle costruzioni. Infatti, tutti sono d'accordo nel ritenere che la prescrizione dell'art.
873 non è di ordine pubblico e quindi può essere derogata dalle parti interessate, salve contrarie disposizioni dei regolamenti edilizi.
Lo stesso deve dirsi per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, che forma appunto oggetto della citata sentenza della Cassazione. Nella specie si trattava di una fabbrica iniziata dall'originario unico proprietario dei due fondi poi divisi (fabbricato e cortile) nel cortile del fabbricato e destinata naturalmente ad essere ultimata. Data la poca altezza che il balcone e le finestre del fabbricato avevano sul cortile (m. 4,75) la costruzione iniziata sul cortile e appoggiata al muro perimetrale del fabbricato non poteva necessariamente mantenersi a tre metri al di sotto del balcone e della soglia delle finestre, e difatti fu portata col tetto fino all'altezza del balcone e del davanzale delle finestre. La Cassazione ritenne che in questo caso la servitù di veduta restasse limitata nel suo contenuto a seguito della stessa destinazione del padre di famiglia da cui aveva avuto origine, in quanto per la posizione delle cose lasciata dal proprietario risultava che la veduta non potesse godere della normale zona di rispetto al di sotto del balcone e delle finestre, ma solo davanti o ai lati. Rilevò la Corte che, nonostante questa parziale limitazione nel contenuto, la servitù non cessava di essere di prospetto, poiché l'apertura permetteva di affacciarsi in alcune direzioni, se non in tutte.
Infine la limitazione al contenuto della servitù può aversi anche quando essa sia sorta per prescrizione, se fin dal suo sorgere la zona di rispetto dei tre metri era limitata dall'esistenza a meno di tre metri di fabbriche di fronte, o dai lati, o al di sotto.
Concludiamo l'argomento rilevando che mentre la variazione in più del contenuto normale della servitù è teoricamente illimitata, potendo giungere alla esclusione di qualsiasi fabbrica in tutte le direzioni — nel qual caso estremo la servitù di veduta diretta si identifica con la
servitus non aedificandi — la variazione in meno ha invece necessariamente un
limite: deve restare cioè la possibilità dell' affaccio almeno in qualche direzione. Se il comodo e normale affaccio fosse impedito in tutte le direzioni, verrebbe meno la servitù di veduta per trasformarsi in semplice servita di aria e di luce.
Misurazione della distanza
Per la misurazione della distanza dei tre metri l'art. 907 (comma 1) si richiama alla norma stabilita dall'art.
905, a cui si rimanda.
Va solo aggiunto che gli
sporti che ai sensi degli art.
905 e 907 devono computarsi per la misurazione della distanza di tre metri richiesta di fronte alla veduta diretta sono quelli che, come i balconi, sono congiunti alle finestre per agevolare la veduta. Invece non sono comprese negli articoli suddetti le altre opere esteriori che sono accessioni, dell'edificio e non della finestra, oppure che costituiscano sporti della finestra, non servono per veduta ma per altro scopo (sciorinarvi panni, tenervi vasi di fiori ecc.). Pertanto tali sporti non impongono l'obbligo della distanza di tre metri misurata dalla loro linea esteriore, e basta che la nuova fabbrica del vicino disti tre metri dalla faccia esteriore del muro dove è aperta la finestra.
Le costruzioni vietate innanzi alla veduta. Quid iuris delle piantagioni
L' art. 907 vieta al proprietario vicino di fabbricare a distanza minore di tre metri. Alcuni, attaccandosi strettamente alla parola della legge, argomentano che la distanza suddetta non sia più obbligatoria quando non si tratta di fabbrica, ma di altra opera di struttura diversa (un tavolato, uno steccato, ecc.) quantunque di carattere stabile e qualunque sia il pregiudizio che ne possa venire alla veduta.
Noi siamo contrari a tale interpretazione dell'art. 907 che, benché fondata sulla lettera della legge, ne viola lo spirito. Infatti la veduta viene meno qualunque sia la struttura dell'ostacolo che vi si frappone.
E in questo senso si è pronunciata la Cassazione, statuendo che l'espressione «
fabbricare » usata dalla legge comprende
qualsiasi opera, qualunque ne possa essere la mole e la forma, e non soltanto le costruzioni in muratura, ma ogni altra che comunque ostacoli l'esercizio di una veduta diretta, come uno steccato in legname, un' antenna e in genere qualsiasi soprastruttura che si elevi dal suolo con carattere di stabilita come ad es., i pali eretti a sostegno di un pergolato.
Tra le costruzioni vietate innanzi alle vedute deve annoverarsi il semplice alzamento di un muro già esistente ed anche la costruzione di muri di cinta, arrecando i detti muri nella loro estensione in lunghezza e in altezza, ostacolo e limitazione della veduta. Pertanto, pur essendo il diritto di chiudere il proprio fondo con un muro di cinta un diritto imprescrittibile, tuttavia, se il vicino abbia acquistato per convenzione o altrimenti, e quindi anche per prescrizione, una servitù di veduta, il proprietario vicino che voglia recingere il fondo, deve costruire il muro osservando la distanza stabilita dall'art. 907.
Giustamente è stato escluso che la distanza legale di tre metri per il caso che voglia fabbricarsi di fronte a una veduta diretta possa pretendersi quando il vicino voglia aprire una veduta nel proprio muro preesistente, posto a distanza inferiore ai tre metri da detta veduta, ma a più di un metro e mezzo dal confine, ai sensi dell'art.
905.
Qualche dubbio può nascere sulla liceità o meno di piantare davanti alla finestra degli alberi, i quali, benché piantati alla distanza di cui all'art.
892, possono protendere i loro rami a meno di tre metri dalla veduta del vicino. Certo la questione non si può risolvere, per la liceità di tali piantagioni, sulla semplice considerazione che la distanza legale dell' art.
892 è stata osservata: infatti l'art.
892 mira a prevenire i danni che verrebbero al fondo limitrofo dal protendersi dei rami e dalla immissione delle radici, e non a quello che può provenirne al diritto di veduta del vicino, quindi la questione deve decidersi in base all'art. 907. E si ritiene generalmente che si possa risolvere nel senso della liceità in genere delle piantagioni, anche se qualche ramo venga ad invadere la zona di rispetto dell'art. 907, e sempre che tale invasione non giunga ad ostacolare dannosamente la veduta.
Inapplicabilità del divieto dell'art. 907 quando tra i due fondi intercede una via pubblica
La disposizione dell'art. 907 ha carattere assoluto, quindi la distanza da esso prescritta deve essere osservata anche quando si può provare che, nella particolarità del caso, le costruzioni non rechino alcun nocumento al vicino.
Si può applicare quando, tra l'edificio in cui sono aperte le vedute e il fondo su cui la veduta si esercita, intercede la via pubblica? Si è sostenuta la tesi affermativa adducendo che l'art. 907 non stabilisce questa eccezione: nè la si può ricavare dall'ultimo capoverso dell'art.
905 che permette l'apertura di vedute dirette sul fondo fronteggiante senza l'obbligo di osservare la distanza legale, allorquando tra i due fondi vi è una via pubblica, perché l'art.
905 stabilisce una servitù diversa da quella contemplata nell'art. 907.
L'art. 907 è applicabile anche alle vedute aperte iure proprietatis a un metro e mezzo di distanza dal confine, a norma dell'art. 895?
Per esaurire l'argomento ci restano ad esaminare alcuni casi in cui risulta controversa l' applicabilità dell' art. 907 oppure se si debba osservare davanti alla veduta la distanza di rispetto prescritta dall'art. 907.
Anzitutto, l'art. 907 è applicabile anche al caso in cui nessuna servitù di veduta si sia propriamente acquistata a carico del fondo vicino, e i1 proprietario si sia limitato ad aprire la veduta diretta alla distanza di un metro e mezzo dal confine prescritta dall'art.
905? Dovrà anche in questo caso il vicino tenersi, fabbricando, alla distanza di tre metri come prescritto dall'art. 907?
Si potrebbe rilevare in senso contrario che l'art. 907, parlando di diritto acquistato, si riferisce a un diritto che non si ha, e che perciò si acquista, mentre il diritto di veduta diretta alla distanza di un metro e mezzo a norma dell'art.
905 compete
iure proprietatis, ed essendo inerente al dominio e già contenuto nella proprietà: non si acquista, ma solo si esplica e si esercita dal proprietario.
Ma è agevole rispondere che la disposizione dell'art. 907 è generale e quindi applicabile a tutte le vedute dirette aperte sul fondo vicino a norma di legge. Fra queste quindi rientrano, oltre le vedute aperte a titolo di servitù immediatamente sul confine o a distanza minore di un metro e mezzo, anche quelle aperte alla distanza legale di un metro e mezzo dal confine a norma dell'art.
905. Vuol dire che in questo caso, la zona di rispetto stabilita dall'art. 907 invece di avere carattere di vera e propria costituisce una semplice limitazione legale della proprietà fronteggiante la veduta. Come l'art.
905 impone una limitazione legale al proprietario della veduta obbligandolo ad osservare la distanza di un metro e mezzo dalla linea di confine, così analoga limitazione legale impone l'art. 907 al proprietario fronteggiante, obbligandolo ad osservare la distanza di tre metri nei confronti della veduta diretta aperta a norma di legge.
Inapplicabilità dell'art. 907 alle luci irregolari
Sotto il vecchio codice una questione vivamente dibattuta fu quella se l'art. 907 fosse applicabile alle luci irregolari, cioè alle luci mancanti, in tutto o in parte, dei requisiti di legge. La questione si collegava alla
vexata quaestio della
distinzione tra luci e vedute e ne costituiva anzi l'applicazione pratica più importante.
Nel nuovo codice la questione deve considerarsi risolta a seguito della disposizione dell'art.
902 per cui « un'apertura che non ha i caratteri di veduta e di prospetto e considerata come luce, anche se non sono state osservate le prescrizioni indicate dall'art.
901 ».
Ora, come è ormai
ius receptum nella giurisprudenza e come testualmente statuito dall'art.
900, un'apertura ha i caratteri di veduta sempre quando renda possibile un comodo e normale affaccio sul fondo vicino. Quindi un'apertura, anche se munita di inferriata e di grata metallica fissa, deve considerarsi
veduta se dà luogo a un comodo e normale affaccio, e come tale, in applicazione dell'art. 907 le compete la zona di rispetto dei tre metri.
Se invece si tratta di apertura praticata a un' altezza tale da non rendere possibile il comodo e normale affaccio, essa deve considerarsi quale semplice
luce, anche se non munita di inferriata e di grata fissa: e come tale si sottrae all' applicazione dell'art. 907 e può essere ostruita sia con l' appoggio della fabbrica del vicino, previo acquisto della comunione, sia con la semplice fabbrica in aderenza, a norma dell'art.
904 Eccetto che non si tratti di servitù di luce irregolare debitamente acquisita per titolo o per destinazione del padre di famiglia, come sarà esplicato nel paragrafo seguente.
Inapplicabilità alle aperture per servitù di aria
Vivamente dibattuta sotto la vigenza del vecchio codice fu la questione se fra le due categorie disciplinate dagli art.
901 (luci) e
905-
906 (vedute) dovesse riconoscersi una
terza categoria intermedia: le cosiddette servitù di aria, esercitantisi da un'apertura posta a tale altezza da non consentire l'esercizio della veduta, ma senza invetriata fissa e quindi tali da garantire il passaggio dell'aria.
Che una tale servitù di aria potesse costituirsi per titolo era da tutti ammesso, perché i proprietari possono stabilire sopra i loro fondi o a beneficio di essi qualunque servitù. Era invece controverso se una servitù di aria potesse stabilirsi per prescrizione e per destinazione del padre di famiglia. La dottrina era discorde: la Cassazione del Regno, che in un primo tempo aveva escluso la prescrizione, ma aveva ammesso la costituzione per destinazione del padre di famiglia, nelle sue ulteriori decisioni le aveva escluse entrambe.
Nel nuovo codice la questione si presenta in termini alquanto diversi, poiché, essendo stato soppresso il requisito della vetrata fissa, le luci servono normalmente anche al passaggio dell'aria (
art. 900 del c.c.) e non si può quindi parlare di servitù di aria nello stesso senso in cui se ne parlava sotto il vecchio codice.
Se ne può invece parlare in un senso diverso, in quanto cioè esista un' apertura mancante in tutto o in parte, dei requisiti di legge: ma allora trattasi di luce irregolare e vale quindi quanto per le luci irregolari si e detto nel numero precedente con le precisazioni che seguono.
Se la luce irregolare consente un comodo e normale affaccio, essa è sostanzialmente una veduta, la quale è suscettibile di acquisto, oltre che per titolo (convenzione e testamento), anche per prescrizione e per destinazione del padre di famiglia, con la conseguenza di rendere applicabile la disposizione dell'art. 907.
Se invece la luce irregolare non ha i caratteri di veduta, per la esplicita disposizione dell'art.
902 non può acquistarsi per prescrizione il diritto di mantenerla in condizione di irregolarità, e il vicino, da una parte, avrà sempre il diritto di esigere che essa sia resa conforme alle prescrizioni di legge (art.
902 capov.) e, dall'altra, potrà in ogni tempo chiuderla appoggiandovi il suo edificio, previo acquisto della comunione del muro (
art. 874 del c.c.), o fabbricandovi in aderenza (
art. 877 del c.c.). In questa ipotesi pertanto, trovano applicazione l'art.
904 e l'art. 907 resta fuori applicazione.
Ma l'art. 907 resta fuori applicazione anche quando la luce sia stata costituita in condizione di irregolarità per titolo o per destinazione del padre di famiglia: infatti il contenuto della speciale servitù così costituita è inconfondibile con quello della servitù di veduta diretta disciplinata dall'art. 907, e va mantenuto quindi nei più ristretti limiti in cui l'ha costituito il titolo o la destinazione. La luce pertanto non potrà sopprimersi non trovando applicazione nel caso l' art.
904, ma non potrà nemmeno trovare applicazione tutta la zona di rispetto prescritta dall'art. 907.
Inapplicabilità alle vedute aperte iure proprietatis sotto le antiche legislazioni
In alcuni degli ex-Stati italiani (Stato pontificio, Toscana, Lombardo-Veneto) non era prescritta alcuna distanza per l' apertura di vedute, e quindi ognuno poteva
iure proprietatis aprirle anche sul confine della sua proprietà, salvo al vicino il diritto di chiuderle o di oscurarle fabbricando sul confine del proprio fondo. Ora ci si chiede se queste vedute aperte sotto l'impero di una legislazione che le permetteva, obblighino oggi il vicino a fabbricare a distanza non minore di tre metri, in applicazione dell'art. 907.
Alcuni ritengono che l'art. 907 sia applicabile anche ad esse, altri lo ritengono inapplicabile. Vi ha infine chi ritiene inapplicabile l'art. 907 alle vedute aperte esattamente sul confine, ed applicabile a quelle aperte a distanza minore di un metro e mezzo.
L'opinione maggioritaria ritiene che l'art. 907
non sia applicabile in nessun caso. Cominciamo dalle vedute aperte direttamente sul confine: trattandosi di finestre aperte
iure proprietatis e non i
ure servitutis, il vicino aveva secondo la legislazione preesistente, il diritto di chiuderle appoggiandovi
il proprio edificio, così come avviene attualmente per le luci (
art. 904 del c.c.). Lo stesso diritto egli può quindi esercitare anche ora, continuando l'antica legislazione ad avere efficacia anche dopo l'entrata in vigore della nuova. In conseguenza l'art. 907 non trova applicazione nei confronti delle finestre aperte iure proprietatis, e il vicino potrà chiuderle sia col semplice fabbricarvi in aderenza, sia appoggiandovi l'edificio, previo acquisto della comunione del muro (
art. 904 del c.c.).
Si ritiene che l'art. 907 sia parimenti inapplicabile quando le nostre siano aperte non esattamente sul confine, ma a distanza minore di un metro e mezzo dal medesimo. In contrario si osserva che in tale caso le finestre non si potevano far chiudere in base alle leggi preesistenti potendo tutto al più il proprietario vicino oscurarle fabbricando sul confine, ma non chiuderle, distando esse dal medesimo. Ora, come la finestra doveva restare sotto la legge vecchia, deve restare anche sotto l'impero della legge nuova perché si tratta di un diritto quesito e l' art. 907 sarebbe applicabile.
L'argomento non sembra fondato. Se sotto le leggi preesistenti non era possibile chiudere la finestra, ciò era non già perché si fosse acquistato il diritto di tenerla aperta verso il fondo del vicino, ma perché questi non aveva il diritto di fabbricare oltre il proprio confine. Ciò posto, poiché l'art.
875 toglie oggi tale impedimento, niente osta a che il proprietario del fondo valendosi dell'art.
875 acquisti la comunione del muro e chiuda le finestre appoggiandovi il suo edificio, così come le leggi preesistenti gliene davano il diritto per le finestre al confine.
Diverso è il caso delle finestre aperte sotto le leggi preesistenti a distanza di un metro e mezzo o maggiore, ma minore di tre metri. Benché anche esse fossero state aperte
iure dominii, e non dessero quindi origine a nessun diritto di servitù, tuttavia dal momento in cui è entrato in vigore il codice italiano del 1865, esse restarono comprese nella disposizione dell'art. 587 (attuale art.
905). E quindi è obbligatoria di fronte ad esse la distanza di tre metri (v. sopra)
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