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Articolo 890 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Distanze per fabbriche e depositi nocivi o pericolosi

Dispositivo dell'art. 890 Codice Civile

Chi presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, vuole fabbricare forni, camini, magazzini di sale(1), stalle e simili(2), o vuol collocare materie umide o esplodenti o in altro modo nocive, ovvero impiantare macchinari, per i quali può sorgere pericolo di danni, deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti(3) e, in mancanza, quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza [844].

Note

(1) Anche i moderni silos possono essere ritenuti un esempio, alla luce della lettera del presente articolo.
(2) Le moderne strutture per l'allevamento in serie degli animali sono prese in considerazione alla stregua delle stalle; sono reputate, altresì, pericolose le arnie, dal momento che può accadere che le api oltrepassino il confine.
(3) I regolamenti utilizzabili per il giusto calcolo delle distanze sono quelli locali e di pubblica sicurezza.

Ratio Legis

La norma, non prescrivendo una specifica distanza, è una c.d. norma in bianco.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

423 Non alterano nella sostanza la disciplina stabilita dal codice precedente (articoli 573 - 577) le disposizioni dell'art. 889 del c.c., art. 890 del c.c. e art. 891 del c.c., che regolano le distanze da osservarsi nell'apertura, presso il confine, di pozzi, cisterne, fosse dî latrina o di concime, nella costruzione di forni, camini, stalle, magazzini di sale e simili, nell'impianto di macchinari per i quali può sorgere pericolo di danni e nell'escavazione di fossi o canali.

Massime relative all'art. 890 Codice Civile

Cass. civ. n. 5040/2022

In difetto di norme regolamentari che prevedano distanze dei comignoli con canna fumaria dal confine, il giudice, nel definire la distanza idonea, secondo l'art. 890 c.c., a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza, può far riferimento a quella di due metri prevista dall'art. 889 c.c.

Cass. civ. n. 15441/2021

La ratio dell'art. 890 c.c. è quella di evitare che fumi nocivi ed intollerabili emessi dalle canne fumarie invadano le abitazioni e, trattandosi di tetti che coprono il medesimo fabbricato ad altezza diversa, tale scopo può essere raggiunto avendo come riferimento, per il calcolo delle distanze, il c.d. "colmo del tetto", ossia la parte più alta dell'intero fabbricato e non già il tetto di copertura della porzione più bassa del medesimo fabbricato.

Cass. civ. n. 9267/2018

Il rispetto della distanza prevista per fabbriche e depositi nocivi e pericolosi dall'art. 890 c. c. è collegato ad una presunzione assoluta di nocività e pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima; mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha una presunzione di pericolosità relativa, che può essere superata mediante prova contraria.

Cass. civ. n. 22635/2013

In tema di distanze, l'alloggiamento di bombole di gas per uso domestico non è soggetto al disposto dell'art. 889, secondo comma, c.c., riguardante la diversa ipotesi di tubazioni destinate al flusso costante di sostanze liquide o gassose, per le quali soltanto è configurabile la presunzione assoluta di pericolosità per il fondo del vicino, essendo esso viceversa soggetto all'art. 890 c.c., sicché la pericolosità delle bombole deve essere accertata in concreto.

Cass. civ. n. 4286/2011

Gli impianti di riscaldamento per uso domestico, alimentati a nafta, non sono assoggettabili alla disciplina prevista dall'art. 889 c.c. in tema di distanze delle cisterne, ma a quella prevista dall'art. 890 c.c., il quale stabilisce il regime delle distanze per le fabbriche e i depositi nocivi o pericolosi in base ad una presunzione di nocività e pericolosità, che è assoluta ove prevista da una norma del regolamento edilizio comunale, ed è invece relativa - e, come tale, superabile con la dimostrazione che, in relazione alla peculiarità della fattispecie ed agli accorgimenti usati, non esiste danno o pericolo per il fondo vicino - ove manchi una simile norma regolamentare.

Cass. civ. n. 14354/2000

In tema di distanze legali, la norma dell'art. 890 c.c. volta a preservare il vicino da ogni possibile danno insito nella destinazione della costruzione, contiene una elencazione meramente esemplificativa sicché la disciplina ivi prevista deve ritenersi applicabile agli immobili destinati ad allevamenti avicunicoli che contenendo un rilevante numero di capi per il loro sfruttamento commerciale producano esalazioni ed altri effetti dannosi per il vicino. Il termine «regolamenti» nella norma richiamata va inteso in senso estensivo comprensivo non solo dei regolamenti generali e di quelli particolari ma anche della normativa generale dettata in tema di distanze per fabbriche e depositi nocivi o pericolosi. La norma attribuisce al vicino una tutela immediata e diretta per il rispetto delle distanze prescritte e quindi la possibilità di chiedere ai sensi dell'art. 872, comma secondo c.c., la riduzione in pristino indipendentemente dallo stabilire se tali norme regolamentari o regionali siano integrative o non delle disposizioni del codice civile.

Cass. civ. n. 8055/1990

Il rispetto della distanza, prevista per fabbriche e depositi nocivi o pericolosi dall'art. 890 c.c., è collegato ad una presunzione assoluta di nocività o pericolosità, che prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisce la distanza medesima; mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha solamente uria presunzione di pericolosità, che può essere superata ove si dimostri che, in relazione alla peculiarità della fattispecie e degli eventuali accorgimenti, può ovviarsi al pericolo o al danno per il fondo vicino.

Cass. civ. n. 1049/1983

Accertato un pericolo per la solidità, la salubrità e la sicurezza dei fondi vicini — a prescindere da qualsiasi pericolo di danno all'incolumità delle persone — derivante dall'impianto di macchinari pericolosi, riguardati con riferimento al loro normale funzionamento secondo la destinazione loro propria, a nulla rilevando la loro struttura statica, il giudice del merito deve, a norma dell'art. 890 c.c., fare osservare la distanza regolamentare o quell'altra che, in difetto, sia sufficiente ad evitare ogni danno al fondo vicino, senza che egli possa prospettarsi la possibilità o l'opportunità di evitare la rimozione o l'arretramento mediante modifiche da apportare all'opera secondo adeguati accorgimenti tecnici.

Il termine «regolamenti» contenuto nell'art. 890 c.c., in tema di distanze per fabbriche e depositi nocivi o pericolosi, va inteso nell'accezione estensiva, comprensiva, cioè, sia dei regolamenti generali, sia dei regolamenti locali, che disciplinano la specifica materia, senza alcuna possibilità di applicare quei regolamenti che riguardano le distanze fra costruzioni previste dall'art. 873 c.c. Pertanto in difetto di norme regolamentari, il giudice deve fare osservare quelle distanze che siano necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza.

Cass. civ. n. 2423/1982

In tema di distanze ex art. 890 c.c. per fabbriche di materie esplodenti, le norme dettate dal R.D. 6 maggio 1940, n. 635 (regolamento di esecuzione del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza), all. b, cap. II, n. 1, cap. III, n..4 — là dove stabiliscono il divieto di costruire fabbriche di prodotti esplosivi di quarta e quinta categoria (fuochi artificiali, cartucce da caccia e giocattoli pirici) a distanza inferiore a cento metri da case abitate — non vanno intese come dirette ad imporre l'indicata distanza da qualsiasi terreno altrui, anche se inedificato, bensì devono interpretarsi nel senso che la costruzione di tali fabbriche è legittima se, al momento in cui avviene, nel raggio di cento metri dalle stesse non esistono concretamente case di abitazione, né (esclusa l'applicabilità del principio della prevenzione, con conseguente obbligo a carico del vicino di costruire case di abitazione a non meno di cento metri da una preesistente fabbrica di prodotti esplosivi) è possibile, in relazione agli strumenti urbanistici vigenti nella zona ed in considerazione della situazione e delle condizioni materiali del fondo, che esse vengano ad esistere in futuro.

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Consulenze legali
relative all'articolo 890 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. P. chiede
martedì 17/10/2023
“Un appartamento sito al piano terra realizzato con concessione edilizia del 1991 dispone di un camino collocato sul muro di confine con altro proprietario. Nelle planimetrie della concessione edilizia del 1991 è chiaramente indicata la posizione del camino e della relativa canna fumaria. Attualmente si sta procedendo alla ristrutturazione dell'immobile e si è proceduto all'abbattimento del vecchio camino ed al rifacimento dello stesso con un design diverso ma senza spostarlo dalla collocazione originaria. Il confinante, a causa della presenza del camino, lamenta di sentire calore nella sua stanza adiacente al confine e minaccia azioni legali se non ci si asterrà dalla realizzazione dello stesso. Lo scrivente ritiene che, in assenza di apposito regolamento comunale che disciplini la distanza del camino dai confini, usando gli opportuni accorgimenti tecnici per eventualmente ovviare al passaggio di calore oltre il muro di confine, possa ultimare la realizzazione del caminetto. Si richiede Vostro parere in merito.
Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 26/10/2023
Il quesito proposto ha ad oggetto due appartamenti confinanti, non si sa se appartenenti allo stesso condominio o riconducibili a due proprietà autonome.
Uno dei due proprietari sta compiendo delle opere di ristrutturazione che comprendono la sostituzione del camino già presente in quella posizione dal 1991.
La norma di legge applicabile in questo caso è l’art. 890 c.c. che ha la funzione di regolare i rapporti tra proprietà autonome confinanti ma che trova applicazione anche in ambito condominiale (Cass. civ. n. 3348/1969).
Infatti l’articolo disciplina la distanza che devono avere tutta una serie di impianti che possono essere fonte di pericolo di danni e che possono mettere a rischio la solidità, salubrità e sicurezza degli immobili.
La legge dice però che la distanza deve essere stabilita dai regolamenti comunali e in mancanza deve essere tale da non costituire un rischio per i fondi vicini.

È principio ormai affermato in dottrina e giurisprudenza quello per cui in presenza di regolamenti comunali che disciplinano le distanze di determinati impianti, si ritiene ci sia una praesumptio iuris et de iure di pericolosità.
In questo caso la distanza non è derogabile, non è ammessa la prova contraria e non si può costituire una servitù di installazione della fonte di pericolo a distanza inferiore rispetto a quella prevista dai regolamenti (Cass. civ. n. 22389/2009, Cass. civ. n. 3199/2002).
In senso opposto, invece, in caso di mancanza di regolamenti, si ritiene che ci sia una presunzione relativa di pericolosità e che quindi la parte interessata possa dimostrare che la posa del manufatto non arrechi alcun rischio per solidità, salubrità e sicurezza del fondo confinante (Cass. civ. n. 3199/2002). In questo caso le parti potranno quindi accordarsi per trovare una soluzione che soddisfi entrambe ed eviti che ci sia il rischio di danni.

Nel caso di specie, pare che non ci siano dei regolamenti che stabiliscono le distanze e, quindi, il proprietario può posizionare il camino dove ritiene dovendo però provare che non arrecherà alcun pericolo al vicino.
A parere dello scrivente, inoltre, essendoci un camino nella stessa posizione dal 1991 e non essendoci una presunzione assoluta di pericolosità, la proprietà può fare accertare in giudizio di avere usucapito il diritto di servitù di posa del camino a quella specifica distanza.

Si ritiene, però, che il vicino confinante possa sostenere di subire delle immissioni oltre la normale soglia di tollerabilità ai sensi dell’art. 844 del c.c. dal camino posto sul confine.
L’azione inibitoria è ritenuta imprescrittibile e potrà quindi essere intrapresa in qualunque momento dal proprietario che subisce le eventuali immissioni.

In conclusione si consiglia di presentare al vicino un progetto che elimini i rischi e riduca il passaggio di calore o di qualsiasi altra immissione almeno sotto la soglia di intollerabilità.

ALESSANDRA D. chiede
mercoledì 08/08/2018 - Sardegna
“Gent.mi, sono proprietaria di un appartamento al primo piano di un piccolo condominio di tre immobili (situato in centro storico), che confina con un' altra proprietà. Otto anni fa, inserendo una caldaia a gas ho fatto sfociare il tubo di scarico sulla parte laterale del muro di mia proprietà, ma di fatto sul fondo del vicino, sopra una piccola casetta alta m 2,65. Oggi, la proprietà, che è stata a lungo abbandonata, è stata venduta ed è oggetto di ristrutturazione. Il Nuovo vicino mi chiede di eliminare la canna fumaria, può farlo?”
Consulenza legale i 21/08/2018
Il quesito posto trova la sua soluzione attraverso l’analisi dell’art. 890 del c.c. Tale norma introduce nel nostro ordinamento due principi per la costruzione presso il confine di fabbriche ritenute dal legislatore nocive e pericolose. Tali opere devono essere realizzate, infatti, nel rispetto delle distanze prescritte dei regolamenti locali vigenti, e, qualora la normativa locale nulla dica in merito, deve sempre essere garantita la solidità, salubrità e sicurezza del fondo del vicino.

Vi è da notare che in merito alle opere che rientrano nell’ambito di applicazione dell’art 890 del c.c., il legislatore opera una duplice distinzione: vi sono infatti una serie di opere elencate dalla norma, tra cui rientra anche il camino o canna fumaria, che sono considerate pericolose di per se da legislatore; vi è poi una clausola di chiusura della norma che dispone che rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 890 del c.c. tutti gli impianti e macchinari che possono considerarsi nocivi o pericolosi. In questo secondo caso, qualora l’opera costruita a ridosso del confine non rientra tra quelli espressamente elencati dal legislatore, chi pretenderà di vedere applicato l’art 890 del c.c. all’opera costruita in aderenza, dovrà dimostrarne la intrinseca nocività e pericolosità.
Tornando però a trattare della canna fumaria, essa è un’opera considerata di per sé nociva e pericolosa e quindi, come anche precisato da Cass. Civ.,Sez.II, n. 13449 del 10.05.2016, se l’opera è costruita in aderenza ad un fondo del vicino , si dovranno rispettare le distanze previste dalle norme regolamentari vigenti nel Comune in cui l’ opera è situata, e qualora tale regolamento nulla dica in merito , si dovrà comunque garantire la solidità, salubrità e sicurezza del fondo del vicino.
In altre parole, qualora il regolamento comunale nulla dica in merito alle distanze prescritte dall’art 890 del c.c., sarà onere del proprietario dell’opera a cui viene chiesta la rimozione, dimostrare, attraverso una perizia tecnica, che la canna fumaria è realizzata in maniera tale da non recare pregiudizio al fondo adiacente.

SONIA N. chiede
lunedì 19/03/2018 - Toscana
“Buongiorno, le scrivo per una consulenza in merito all’installazione ex-novo di una canna fumaria da parte dei miei nuovi vicini davanti alla finestra del mio appartamento al piano primo.
Le preciso che parlo di proprietà indipendenti divise nel punto in oggetto da un viottolo privato (appartenente al proprietario della Torre adiacente alla mia Colonica di soli 3m di larghezza). La visuale ne resta danneggiata e temo che anche i fumi possano colpire finestra e fabbricato creando fastidio ed alla lunga (data la poca distanza) anche danno alla facciata, sporcandola e scurendola. Vi sono vincoli e limitazioni su alcuni di questi fabbricati tali da non aver potuto io neanche scegliere le imposte oscuranti ma aver dovuto installare quelle a veneziana o interne .
Le chiedo come procedere? Se fare una segnalazione ai Vigili urbani? Se far scrivere da un Legale?
Per ora si vede ancora il rosso del rame che testimonia la nuova installazione ma non vorrei perdere tempo e non riuscire a dimostrare che lì non c’era da quindici anni almeno niente di tutto ciò.
Invierò via e-mail, come da voi sotto riportato, le foto esplicative di quanto descritto.
Saluti.”
Consulenza legale i 25/03/2018
Sicuramente la canna fumaria installata dal vicino turba l’omogeneità estetica dell’area.

Trattandosi, però, di un bene privato occorre comprendere se vi sia una qualche norma che nell’ambito della disciplina edilizia ed urbanistica del territorio vieti di inserire un simile elemento sull’edificio ed, accertata l’esistenza di un simile divieto, fare un esposto alla Polizia Municipale affinché venga elevata la relativa sanzione, che potrebbe consistere anche in un ordine di abbattimento dell’opera.

Tal rimedio non punta ad evitare al vicino il danno che i fumi della canna potrebbero arrecare alla propria facciata, alla propria abitazione, ovvero alla propria salute, ma è teso a tutelare interessi pubblici che solo indirettamente potrebbero coincidere con le ragioni del confinante. Ad esempio se esistesse un regolamento comunale che vuole le canne fumarie realizzate in cemento invece che in metallo, il confinante potrebbe sempre sostituire il manufatto con un’altra conforme alla disciplina ma che resta lesiva degli interessi del vicino.

Con riferimento alla specifica posizione del vicino danneggiato dalla nuova installazione, viene in rilievo l’art. 890 c.c., alle lettura del quale si rimanda.

Atteso dunque che i camini hanno la medesima funzione delle canne fumarie e che l’elencazione contenuta nella disposizione normativa citata non è tassativa ma esemplificativa (ex pluribus Cass. 427/1963, Cass. 3199/2002, Cass. 10652/1994), bisogna verificare che il Regolamento urbanistico non preveda una distanza minima per le canne fumarie tra edifici, e, nel probabile caso di assenza di una siffatta norma, il vicino potrà agire in giudizio per richiedere che vengano imposte le misure specifiche e necessarie a preservare la salubrità del suo edificio.

Ad esempio potrà essere richiesto l’allungamento della canna fumaria ad un’altezza tale da non immettere fumi sul fondo del vicino.

Ed invero nel caso de quo, sembra proprio sussistente un pericolo alla salubrità dell’abitazione considerato che la canna fumaria getta i fumi ad altezza della finestra del vicino, ragione per la quale un Giudice, vista anche la relativa vicinanza tra le case, dovrà accertare la sussistenza del pericolo di un danno.
Viene anche in rilievo l’art. 844 c.c. in materia di immissioni moleste: il proprietario di un fondo può impedire le propagazioni di fumo provenienti dal fondo del vicino che superino la normale tollerabilità, tenendo in considerazione che il giudizio sulla tollerabilità o meno delle immissioni è rimesso alla valutazione di merito del giudice che dovrà tenere conto della condizione dei luoghi e della priorità di un determinato uso, considerato però che la tutela della salute deve sempre essere considerata valore prevalente.

Non trova applicazione invece la normativa in materia di distanza tra le costruzioni, e sul diritto di veduta, in quanto la giurisprudenza ha più volte chiarito che l’installazione di una canna fumaria non può essere considerata una “costruzione”(Cass. n. 10618/2016).

Ciò detto, prima ancora di fare un esposto alla polizia municipale, sembra opportuno richiedere in via bonaria la risoluzione del problema al vicino tramite una lettera raccomandata redatta con l’ausilio di un avvocato e, qualora questa restasse senza riscontro, a parere di chi scrive andrà percorsa la strada dell’esposto alla polizia municipale prima, e del ricorso all’Autorità Giudiziaria poi.

B. D. chiede
domenica 04/06/2017 - Veneto
“Buongiorno,Vi scrivo per avere una consulenza riguardo ad un problema riguardante le distanze dei confini finitimi.
La mia proprietà ha i muri dei fabbricati che costituiscono la linea di confine con il fondo attiguo,tranne che per due spazi costituiti da recinzione e muretto divisorio con leggera soprelevazione rispetto al piano cortilivo del vicino.Vicino ai suddetti muri (circa un metro)il vicino ha costruito, negli anni 70/80 una baracca di lamiera che corre parallela per circa dieci metri.Visionando una mappa catastale ho riscontrato che la stessa è stata accatastata(ma mi chiedo come sia possibile considerata la poca distanza ed essendo palesemente non a norma).Recentemente,l'inquilino attuale prolifico di lavori fai da te, ha istallato una tettoia (in origine gazebo da supermercato che non richiede permessi.)che abilmente modificata con copertura plastica resistente alle intemperie e modifica alla struttura, funge da ricovero auto e catasta di legna per uso proprio.Per meglio comprendere ,Vi invierò come indicato, dell' immagini riguardanti la situazione attuale.Da parte mia ho agito inviando in data 18/12/2016 una mail Pec all'ufficio di polizia locale ,indicando la costruzione della tettoia da parte dell'inquilino come probabile abuso edilizio, senza ancora inviare fotografie o altro materiale.Ad oggi " pare "sia partito l iter burocratico per la verifica.Ho inviato la settimana scorsa una nuova mail Pec all ufficio di polizia locale per sapere a che punto erano le procedure di verifica e ancora non ho ricevuto risposta.Precedentemente avevo anche consultato un avvocato del paese ma le cose non sono andate come sperato(eventualmente descriverò in seguito).Alla luce della situazione e delle immagini che Vi proporrò vi chiedo se come è possibile procedere,se ci sono speranze di far rispettare le distanze,o se devo abbandonare la questione(anche se non lo trovo giusto).”
Consulenza legale i 09/06/2017
Prima di cercare di fornire una soluzione al quesito posto, si ritiene opportuno chiarire alcuni concetti generali in tema di distanze.
Diversi sono i motivi per cui la legge regola le distanze fra le costruzioni, in particolare quello di consentire ad ogni proprietario di godere del suo immobile con il minor sacrificio per il vicino o, se necessario, con pari sacrificio, ed anche per evitare che si creino situazioni insalubri o ragioni di discordia.

Tradizionalmente la giurisprudenza riteneva che le norme sulle distanze nelle costruzioni avessero come scopo principale (unico) quello di evitare la formazioni di intercapedini antigieniche, ritenendo che non valessero ad integrare il codice civile quelle norme contenute in regolamenti comunali aventi diversa funzione (esempio estetica, urbanistica, ecc.).
Successivamente, invece, ci si è resi conto che la distanza fra gli edifici risponde ad esigenze multiple, tutte di eguale importanza anche sul piano costituzionale, quali igiene, sicurezza da accessi indesiderati, sicurezza e difesa da incendi, difesa della privacy, in poche parole: difesa della qualità della vita.
La regola ormai prevalentemente accettata è quindi che ogni norma sulle distanze delle costruzioni, sia essa contenuta nel codice civile, in regolamenti comunali o in leggi speciali (costruzioni sismiche) può essere invocata per la rimessione in pristino.
Si tenga conto che, pur se le norme relative a tale materia (che si rinvengono agli artt. 873-899 c.c., nei regolamenti comunali ed in altre leggi speciali) non possono essere derogate per convenzione fra le parti, è possibile acquisire per usucapione ventennale la servitù di tenere la costruzione (o pozzo, o albero, ecc.) a distanza inferiore a quella legale e ciò anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell'ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso "ad usucapionem" (così Cass. n. 3979 del 18/02/2013).

Fatta questa premessa, si rende adesso necessario cercare di capire quando può dirsi di essere una presenza di una costruzione ai fini del calcolo della distanza dal confine di metri 3 o della diversa maggiore distanza fissata dai regolamenti locali, ove esistenti.
A tal proposito va detto che la nozione di costruzione comprende qualunque opera non completamente interrata avente i requisiti della solidità e della immobilizzazione rispetto al suolo; essa non deve necessariamente consistere in un'opera edilizia o in muratura, potendo identificarsi in qualunque manufatto che abbia carattere di stabilita e che, per la sua consistenza, possa dar luogo alla formazione di interstizi dannosi o pericolosi per la sicurezza e l'igiene, a cui tutela deve ritenersi sancito il divieto contenuto nell'art 873 c.c.
Non si considerano, però, costruzioni una baracca, un chiosco, un box che non siano fissati al suolo, ma vi poggino senza fondamenta.
Ciò vale da un punto di vista civilistico, ai fini del calcolo delle distanze.

Sotto il profilo urbanistico, invece, richiedono il rilascio del necessario provvedimento autorizzativo non solo i manufatti tradizionalmente compresi nelle attività murarie, ma anche le opere di ogni genere con le quali si intervenga sul suolo o nel suolo, senza che abbia rilevanza giuridica il mezzo tecnico con cui sia stata assicurata la stabilità del manufatto, che può essere infisso o anche appoggiato al suolo, in quanto la stabilità non va confusa con l'irremovibilità della struttura o con la perpetuità ad esso assegnata, ma si estrinseca nell'oggettiva destinazione dell'opera a soddisfare i bisogni non provvisori, cioè non sia temporanea e contingente.
Il carattere precario e provvisorio di un manufatto deve ricavarsi non dal tipo di materiali usati, ma dall'uso realmente precario e temporaneo per fini specifici e cronologicamente delimitati; inoltre, come già detto, il carattere della precarietà di una costruzione non va desunto dalla eventuale rimovibilità dell'opera, semplice e rapida che sia, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione risulti destinata a soddisfare una necessità contingente per essere, poi, prontamente rimossa.

Sulla base di quanto detto, dunque, sembra chiaro che, seppure la tettoia di recente posizionata e abilmente modificata non possa farsi rientrare nel concetto di costruzione valevole ai fini del calcolo delle distanze (che in questo caso dovrebbe essere pari a metri 1,5 dal confine poiché posta in corrispondenza del muro di cinta o a quella eventuale maggiore distanza fissata dai regolamenti locali, se esistenti), la medesima difetta invece del carattere della precarietà, il che rende necessario il rispetto della normativa urbanistica.

Sotto il profilo del rispetto delle distanze, invece, una norma della quale si ritiene ci si possa avvalere è quella contenuta nell’art. 890 cc., dettata in materia di distanze per fabbriche e depositi nocivi e pericolosi.
Per effetto di tale norma, infatti, per costruire locali o strutture in cui si svolgono attività che possono provocare danni al vicino, per depositare materiali nocivi o pericolosi, occorre rispettare dal fondo del vicino la distanza stabilita da leggi o regolamenti o, in mancanza, una distanza che eviti danni, e ciò anche se sul confine esista un muro divisorio, poco importa se comune o meno.
Poiché la norma non stabilisce precisi parametri e l'elencazione delle ipotesi ivi previste è puramente indicativa, si dovrà valutare la situazione caso per caso, tenendosi presente che la distanza minima indicata da regolamenti è inderogabile.
Inoltre, il rispetto della distanza prevista da tale norma è collegato:
  1. ad una presunzione assoluta di nocività e pericolosità, ossia che prescinde dalla necessità di ogni accertamento concreto, nel caso in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima;
  2. ad una presunzione relativa di pericolosità in difetto di una disposizione regolamentare, presunzione che può essere superata ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo o al danno del fondo vicino (così Cass. n. 22389 del 22/10/2009).

Pertanto, sulla base delle considerazioni sopra svolte, potremmo dire che:
  1. la tettoia posizionata dal confinante a ridosso dal muro di confine non è di per sé soggetta all’obbligo delle distanze fissate dall’art. 873 c.c. perché non si tratta di vera e propria costruzione (non è fissata al suolo, ma vi poggia senza fondamenta);
  2. data la sua assenza di precarietà, in quanto per l’uso che ne risulta fatto si tratta di manufatto destinato a dare un'utilità prolungata nel tempo, indipendentemente dalla facilità della sua rimozione, corretta si ritiene che sia stata la scelta di farne segnalazione a mezzo PEC al locale Comando di Polizia Municipale, affinché quest’ultimo possa fare i necessari accertamenti e, qualora ne ravvisi il carattere di stabilità, potrà certamente disporne la rimozione coatta.
A questo proposito si suggerisce di esercitare ex Legge 241/1990 il diritto di accesso alla documentazione relativa a tale segnalazione ed agli eventuali rapporti informativi adottati nell’ambito del procedimento di accertamento.
  1. qualora l’accertamento dei Vigili non porti ad un risultato positivo (il ripristino dello stato dei luoghi), si potrà agire in giudizio invocando il rispetto dell’art. 890 c.c., che a sua volta richiama il regolamento edilizio comunale (se esistente).
Infatti, l’uso che di tale gazebo viene fatto (ricovero di auto e deposito di legna), fa sì che lo stesso possa farsi rientrare in un eventuale instaurando giudizio civile nella nozione di deposito nocivo e/o pericoloso, ponendosi così in contrasto con quelle esigenze di igiene, sicurezza da accessi, sicurezza da incendi, in una parola difesa della qualità della vita, a cui tutela oggi la giurisprudenza è orientata in materia di distanze tra edifici.
  1. nulla evidentemente potrà più opporsi per la baracca, tenuto conto che risulta ormai acquisita per usucapione ventennale la servitù di tenere il manufatto a distanza inferiore a quella legale, manufatto che peraltro da un punto di vista urbanistico potrebbe anche essere stato sanato, risultando identificato con autonoma particella catastale nel relativo estratto di mappa.

Mario F. chiede
martedì 07/03/2017 - Lombardia
“Buon giorno
sono proprietario di un vigneto il mio vicino sta costruendo una nuova stalla allevamento di vitelli, a quanti puo costruire la stalla dal confine con il mio terreno?”
Consulenza legale i 13/03/2017
La norma di riferimento in materia è l’art. 890 cod. civ., rubricato (ovvero intitolato): “Distanze per fabbriche e depositi nocivi o pericolosi” il quale precisa che, tra i vari manufatti, anche le stalle possono creare danni ai confinanti, in particolare sotto il profilo non tanto della sicurezza quanto della salubrità; la norma dunque stabilisce l'obbligo dell'osservanza di una certa distanza tra stalle o manufatti similari ed il confine appunto, precisando però che la misura di detta distanza è stabilita "dai regolamenti".
L’articolo citato fa, poi, riferimento ad un'altra norma, l'art. 844, che recita: “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso”.

Non esiste, a parte quella sopra indicata per prima, alcuna ulteriore norma che stabilisca una distanza predeterminata dal confine per la costruzione di stalle o allevamenti.
Le indicazioni concrete sulle distanze si trovano, invece nei regolamenti locali, ed in particolare nei cosiddetti regolamenti d’igiene, il cui contenuto varia tuttavia da Comune a Comune.

Afferma la giurisprudenza: “Non vi è alcuna normativa nazionale che escluda l'ubicabilità di allevamenti di animali costituenti industrie nocive ai sensi del d.m. 12 febbraio 1971 all'interno delle aree a destinazione agricola. L'art. 216 del T.U. 27 luglio 1934 n. 1265 impone unicamente che le industrie insalubri della prima classe, vale a dire quelle produttive di "vapori, gas o altre esalazioni insalubri" pericolose per la salute umana, tra le quali sono compresi gli allevamenti di bestiame, siano isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni. La prescrizione normativa nazionale non contiene, tuttavia, alcuna fissazione di distanze minime, consentendo, anzi, che quelle imposte dalla disciplina di legge o di piano regolatore possano in ipotesi essere derogate se venga dimostrato che l'esercizio dell'attività non reca pregiudizi alla salute del vicinato” (T.A.R. Napoli, (Campania), sez. VIII, 19/05/2015, n. 2762).

Ancora “Le preminenti esigenze pubblicistiche connesse alla salvaguardia delle incomprimibili finalità di igiene e salubrità dei luoghi sottese alla regola della distanza minima delle costruzioni civili rispetto agli allevamenti di animali hanno necessariamente valenza erga omnes, nel senso che sono poste nell’interesse di tutti i potenziali soggetti che hanno titolo a vederne rispettato il precetto. Ciò implica che l’osservanza della disposizione regolamentare comunale che pone, per ragioni di igiene e sanità pubblica, il rispetto di quella distanza minima dagli allevamenti non può essere interpretata, in senso unilaterale, e cioè che alla sua osservanza sarebbe tenuto soltanto il costruttore di un allevamento rispetto agli insediamenti costruttivi preesistenti e non anche il costruttore di fabbricati ad uso abitativo rispetto ad allevamenti già insediati. Non v’è infatti ragione per ritenere fondata una tale interpretazione, dalla quale irragionevolmente deriverebbero, pur a fronte della medesima ratio legis, soluzioni differenziate rispetto alla stessa questione inerente il rispetto o meno delle distanze imposte dal regolamento di igiene.” (Consiglio di Stato, Sez. VI, n.6639, del 21 dicembre 2012).

In ordine, in particolare, alle stalle, la giurisprudenza ha stabilito che: “L'art. 890 c.c. pone una [[def ref=]]presunzione assoluta della dannosità della costruzione di stalle presso il confine ed affida alla discrezionalità del giudice, qualora manchino regolamenti in materia, il potere di stabilire le distanze (dal confine) idonee ad evitare, nei singoli casi, il pericolo di danno, che, essendo presunto, non necessita di apposita motivazione” (Cassazione civile, sez. II, 10/05/1980, n. 3082).

Per cui, riassumendo, le stalle devono necessariamente essere - in forza della presunzione di cui all’art. 890 cod. civ. – collocate ad una certa distanza non solamente dalle abitazioni, per il pericolo che esse possono costituire per la salute del vicinato, ma altresì dai confini in generale perché possono comunque comportare il pericolo di un danno.
Non esiste una distanza minima di legge uguale per tutti, ma ogni territorio (Comune) può stabilirne una, attraverso i regolamenti d’igiene: il riferimento è la ASL di appartenenza.
Nel caso di specie, dunque, per conoscere la distanza minima dal confine della stalla di nuova costruzione, occorrerà individuare il regolamento d’igiene applicabile alla zona geografica di appartenenza: si potrebbe quindi procedere con una ricerca mirata in tal senso se fosse possibile conoscere il nome del Comune in cui è situato il vigneto.

Anonimo chiede
mercoledì 04/12/2013 - Campania
“Buongiorno.
Il mio vicino di casa ha installato una canna fumaria a soli (omissis) dalla terrazza della mia abitazione. Dopo avergli fatto presente che la cosa mi creava problemi - il fumo veniva verso la porta d'ingresso sulla terrazza (situata a (omissis) dalla canna) e verso le finestre ad essa prospicienti ((omissis) metri dalla canna), limitando così, tra l’altro, l’uso e il godimento del mio bene - avendo atteso invano una soluzione adeguata, ho presentato una Istanza al Sindaco, con oggetto "Richiesta intervento per canna fumaria abusiva". Dal Sindaco e dal comune nessuna risposta - sono già passati ormai (omissis)! Nel frattempo il mio vicino è intervenuto in un modo che gli avevo già preannunciato come non risolutivo, e cioè: semplicemente allungando di 1 m. la canna fumaria. Il problema non si è ovviamente risolto, e sto pensando adesso di adire le vie legali. Mi ponevo tuttavia alcune domande, che pongo alla vostra attenzione.
1) Può una canna fumaria essere posizionata a soli (omissis) dalla terrazza di una casa? (la qual cosa vuol dire che la suddetta canna, per tutta la sua lunghezza – equivalente all’altezza della mia casa – viene a trovarsi a (omissis) da un muro perimetrale e perciò portante!)
2) Ovviamente ho un problema di immissioni di fumo: è giusto considerarlo del tutto conseguente all’improprio posizionamento della canna stessa? E quindi:
3) Si può chiedere la rimozione della canna, in forza della violazione di norme sulla distanza, piuttosto che direttamente per l’immissione di fumo?

Faccio presente che il mio vicino, come per giustificare il posizionamento della canna fumaria, di fronte alla mia incredulità per il punto in cui aveva costruito il camino - "(omissis)" - ultimamente mi ha risposto: "(omissis)". Domanda: potrebbe aver maturato un diritto a tenere il camino e la canna fumaria a soli (omissis) dal muro di casa mia e dalla mia terrazza?
Grazie fin d’ora per la risposta. Saluti.”
Consulenza legale i 12/12/2013
La canna fumaria è considerata avente una funzione identica a quella dei camini, e pertanto la sua collocazione è disciplinata dall'art. 809 del c.c.. Tale articolo dispone che: "Chi presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, vuole fabbricare forni, camini, magazzini di sale, stalle e simili, o vuol collocare materie umide o esplodenti o in altro modo nocive, ovvero impiantare macchinari, per i quali può sorgere pericolo di danni, deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza".

In primo luogo, quindi, per conoscere se la distanza di (omissis) è consentita, può essere consultato con il supporto di un tecnico, ad esempio, di un geometra.
Se il regolamento prevede una distanza superiore ai (omissis), non sarà neppure necessario provare che dalla collocazione della canna fumaria derivi un pregiudizio al vicino: questi potrà direttamente chiedere il rispetto delle distanze legali prescritte e di conseguenza, ai sensi dell’art. 872, comma 2, c.c., la riduzione in pristino (Cass. civ., sentenza del 3.11.2000, n. 14354).

Per il caso in cui non sussista una normativa regolamentare in materia, il codice civile prevede un criterio suppletivo, anche se non preciso. Il legislatore ha previsto una presunzione di pericolosità, seppure relativa, connessa alla vicinanza di alcuni manufatti (come la canna fumaria) al fondo del vicino, che può essere superata solo ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo o al danno del fondo vicino (Cass. civ., sentenza del 6.3.2002, n. 3199).
Dalla situazione di fatto descritta, sembra che il pericolo alla salubrità sia a tutti gli effetti sussistente, visto che la canna fumaria getta i fumi su di una terrazza privata del vicino, ove questi ha invece diritto di soggiornare senza essere disturbato da nocive esalazioni. Tuttavia, sarà il giudice eventualmente adito a decidere, con sua discrezionalità, in ordine alla sussistenza dell'elemento della pericolosità.

Nella causa esperita ai sensi dell'art. 809 c.c., colui che ha collocato la canna fumaria non può vantare un diritto a mantenere il manufatto in quella posizione per il solo fatti che chi vi era prima di lui avveva lì collocato il camino.

Dal punto di vista processuale, l'azione più rapida da esperire è l'azione di manutenzione (art. 1170 del c.c.), poiché la violazione delle prescrizioni regolamentari sulle distanze comporta anche una lesione del possesso (v. la recente sentenza del Tribunale di Taranto, Sez. II civile, 06.03.2013).

C'è un'altra norma che rileva nel caso di specie, contenuta nell'art. 844 del c.c.: "Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.
Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso
".
Appare probabile che una canna fumaria che getta esalazioni nocive su luoghi in cui si svolge la vita privata violi il citato articolo: il giudice di pace, competente per questo tipo di azione (art. 7 del c.p.c.) potrà quindi condannare il vicino ad adottare tutte le soluzioni necessarie per interrompere le immissioni o comunque mitigarne l'effetto.

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