Nel caso esaminato dalla Cassazione, un soggetto aveva agito in giudizio nei confronti dei propri vicini di casa, al fine di veder accertata l’illegittimità delle finestre realizzate dagli stessi in occasione della ristrutturazione del proprio immobile, per violazione delle distanze legali, con conseguente condanna dei vicini ad arretrare la costruzione e, comunque, a ripristinare lo stato dei luoghi.
I vicini di casa si erano costituiti regolarmente in giudizio, rilevando che la costruzione risaliva al periodo precedente l’entrata in vigore del D.M. n. 1444 del 1968 e che non doveva applicarsi l’art. 873 c.c. (distanze nelle costruzioni), ma l’art. 905 c.c. (distanza per l’apertura di vedute dirette e balconi), il quale prevede la distanza di un metro e mezzo tra il fondo del vicino e il muro dove viene aperta la finestra.
Il Tribunale di Brescia, pronunciatosi in primo grado, aveva rigettato la domanda proposta dall’attore e la sentenza era stata confermata dalla Corte d’appello della stessa città.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’attore aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo il ricorrente, in particolare, i vicini di casa, nel ristrutturare il proprio immobile, avevano, in realtà radicalmente trasformato la sagoma dell’edificio, modificandone anche la volumetria, in modo tale da “incidere sulle distanze tra gli edifici esistenti”.
Pertanto, secondo il ricorrente, l’intervento realizzato non poteva essere considerato una semplice ristrutturazione, ma avrebbe dovuto essere qualificato come “nuova costruzione”, con il conseguente dovere di rispettare le distanze previste dal D.M. n. 1444 del 1968, per l’apertura delle vedute (il cui art. 9 prevede una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti).
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione al ricorrente, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Evidenziava la Cassazione, in proposito, che “rientrano nella nozione di nuova costruzione (…) per il computo delle distanze legali dagli altri edifici, non solo l'edificazione di un manufatto su un'area libera, ma anche gli interventi di ristrutturazione che, in ragione dell'entità delle modifiche apportate al volume ed alla collocazione del fabbricato, rendano l'opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente”.
In tal senso, infatti, si era espressa la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5741 del 2008.
Ebbene, poiché, nel caso di specie, la Corte d’appello non si era attenuta ai principi giurisprudenziali sopra enunciati, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal ricorrente, annullando la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione, in base ai principi sopra enunciati.