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Articolo 885 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Innalzamento del muro comune

Dispositivo dell'art. 885 Codice Civile

Ogni comproprietario può(1) alzare il muro comune, ma sono a suo carico tutte le spese di costruzione e conservazione(2) della parte sopraedificata [903]. Anche questa può dal vicino essere resa comune a norma dell'articolo 874.

Se il muro non è atto a sostenere la sopredificazione, colui che l'esegue è tenuto a ricostruirlo o a rinforzarlo a sue spese(3). Per il maggiore spessore che sia necessario, il muro deve essere costruito sul suolo proprio, salvo che esigenze tecniche impongano di costruirlo su quello del vicino. In entrambi i casi il muro ricostruito o ingrossato resta di proprietà comune, e il vicino deve essere indennizzato di ogni danno prodotto dall'esecuzione delle opere. Nel secondo caso il vicino ha diritto di conseguire anche il valore della metà del suolo occupato per il maggiore spessore.

Qualora il vicino voglia acquistare la comunione della parte sopraelevata del muro, si tiene conto, nel calcolare il valore di questa, anche delle spese occorse per la ricostruzione o per il rafforzamento.

Note

(1) Nell'innalzare il muro bisogna, in ogni caso, rispettare il divieto di atti emulativi (art. 833 del c.c.) e tener conto, comunque, dell'esistenza di un'eventuale servitus altius non tollendi o, qualora fosse stata stipulata, della convenzione tra i titolari conclusa al fine di impedire il rialzo.
(2) Si tratta di un'obbligazione propter rem.
(3) La sopraelevazione può essere eseguita senza alterare il muro già esistente oppure mediante un rinforzo o, comunque, accrescendone lo spessore.

Ratio Legis

La disposizione, nel permettere al comproprietario del muro la possibilità di innalzare il muro, deroga alle regole in materia di comunione: ognuno dei titolari può, infatti, sopraelevare il muro comune, senza che vi sia necessità di domandare il consenso ai comproprietari, ma divenendo però unico titolare della porzione sopraelevata.

Spiegazione dell'art. 885 Codice Civile

Diritto del condomino di appoggiare al muro comune

Il comproprietario può fabbricare appoggiando le sue costruzioni al muro comune (art. 885). Si tratta dell'appoggio laterale: un caso che è previsto dall'art. 884 capov. Se il muro non fosse comune il vicino, secondo il nuovo codice (art. 877 del c.c.), potrebbe costruirvi in aderenza, ma non avrebbe il diritto di appoggiarvisi, con o senza addentellatura.

L'art. 885 non pone nessuna restrizione circa la natura e la destinazione della costruzione che si vuole appoggiare al muro comune. Di solito si tratta dell'appoggio di un edificio, ma può trattarsi dell'appoggio di una semplice scala, di una serra, ecc. Qualche restrizione può venire però da altre disposizioni di legge (art. 889 del c.c.) oppure dall'esistenza di una servitù che renda incompatibile l'appoggio: così il vicino non potrebbe appoggiare la costruzione al muro comune, se il proprietario confinante avesse per convenzione il diritto di aprirvi delle luci.

Il diritto di appoggiare sul muro comune non costituisce un diritto di servitù, pertanto non si estingue, come avviene per la servitù (art. 1073 del c.c.) se non lo si usa per un periodo di venti anni, ma costituisce un diritto derivante dalla proprietà e come tale non può essere colpito dalla prescrizione estintiva indipendentemente dal diritto di proprietà.


Immissione di travi

Altro diritto che la legge concede al condomino, rispetto al muro comune, è quello di immettervi travi per la grossezza del medesimo, purché le mantenga alla distanza di cinque centimetri dalla superficie opposta: salvo il diritto dell'altro condomino di fare accorciare la trave sino alla metà del muro, nel caso in cui egli voglia collocare una trave nello stesso luogo, per aprirvi un incavo od appoggiarvi un camino (art. 885).

Il diritto di immettere la trave per tutta la grossezza del muro si spiega con la natura della comunione pro indiviso del muro, altrimenti la trave non avrebbe potuto oltrepassare la linea mediana. La limitazione dei cinque centimetri dalla superficie opposta si spiega con l'esigenza di non deturpare la parete del vicino. L'art. 885 parla di travi in termini generici, e quindi non importa se si tratta di travi di legno oppure di ferro, che sono oggi maggiormente in uso nelle costruzioni. L'art. 885 non permette esplicitamente l'immissione di altri oggetti, ma il diritto di immissione nel muro comune deve interpretarsi in modo più esteso: pertanto deve intendersi permessa l'immissione per addentellatura dei gradini della scala che si appoggia al muro comune, l'addentellamento di mensole, ecc. per sorreggere statue ed altri oggetti, e cosi via.

Il diritto d'immissione comprende naturalmente quello di eseguire tutte le opere necessarie per attuarla. L’immettente può quindi forare provvisoriamente tutto il muro, se ciò è necessario, salvo poi ristabilire lo spessore dei cinque centimetri richiesti dalla legge e indennizzare in ogni caso il condomino dei danni che abbia potuto subire. I1 diritto di forare provvisoriamente tutto il muro anche per l'immissione delle travi, nonostante il rispetto dei cinque centimetri, si può argomentare dall'analoga disposizione concernente l'attraversamento del muro comune con chiavi e catene di rinforzo, per le quali è indispensabile la perforazione di tutto il muro per la necessità di apporre all’ estremità il bolzone.


Diritto dell'altro condomino all'accorciamento della trave alla metà del muro

La legge fa salvo il diritto dell'altro condomino di far accorciare la trave fino alla metà del muro nel caso in cui egli voglia collocare una trave nello stesso luogo, aprirvi un incavo od appoggiarvi un camino. Questo diritto di accorciamento si giustifica con la necessità di contemperare le esigenze dei due condomini, che hanno uguali diritti sul muro comune e devono quindi essere messi in condizione di perfetta uguaglianza.

I tre casi di accorciamento previsti dalla legge sono esemplificativi e non tassativi: quindi il diritto all'accorciamento compete in generale quando esso sia reso necessario dall'esercizio dei diritti di condominio spettanti all'altro condomino.

Ci si chiede a spese di chi debba farsi l'accorciamento: c’è chi addossa tale spesa al condomino primo immettente, mentre secondo altri grava sul condomino che ha bisogno dell'accorciamento, ma l’opinione preferibile rimane la prima. Anzitutto, è vero che il condomino nell'immettere la trave per tutta la grossezza del muro ha esercitato un diritto che gli deriva tanto dai principii della comunione pro indiviso, quanto dalla disposizione dell'art. 885; e sotto questo aspetto parrebbe che la spesa di accorciamento debba gravare sull'altro condomino. Ma è altrettanto innegabile che l'esercizio di questo suo diritto è subordinato alla condizione che l'altro non eserciti il medesimo diritto: quando la condizione si verifica, il condomino può pretendere di trovare libera da ogni immissione la metà dello spessore del muro. Un ulteriore argomento a sostegno di tale tesi, poi, ha carattere letterale: l'art. 885 fa salvo il diritto dell'altro comproprietario di far accorciare la trave fino alla metà del muro, nel caso in cui egli voglia collocare una trave nello stesso luogo, aprirvi un incavo, od appoggiarvi un camino. La differenza tra le due locuzioni è evidente e significativa.

L'accorciamento può portare nella pratica oneri e danni non lievi, soprattutto quando si tratti di travi di ferro anziché di legno: ma il condomino, obbligato ad attuarlo, non può lamentarsene, perché sapeva che un giorno o l'altro poteva essere obbligato a ritirarsi alla meta del muro, pertanto, se non vi ha provveduto fin da principio, imputet sibi.


Chiavi e catene di rinforzo

Altro diritto riconosciuto dalla legge al comproprietario è quello di attraversare ii muro comune con chiavi e catene di rinforzo, mantenendo la stessa distanza dei cinque centimetri dalla superficie opposta, come per l'immissione delle travi.

Questa è una disposizione nuova rispetto al codice francese: i primi a introdurla furono i codici Albertino (art. 574) ed estense (art. 539), dai quali passò nel codice del 1865, e ora nel nuovo (art. 885). La sua utilità è comprovata dal largo uso che si fa di tali chiavi, specialmente nei paesi soggetti a terremoti, perché esse rendono solidali i muri mediante il contrasto, impedendone il divaricamento. Si è accusato il legislatore di aver concesso al condomino un diritto esorbitante, in forza del quale lo si pone in grado di sfruttare la solidità del muro comune a vantaggio di un muro proprio debole, o anche strapiombato e pericolante, tutto a danno dell'altro condomino. Ma l'accusa non è fondata: anzitutto, il caso normale è quello della reciproca e preventiva assicurazione di due muri entrambi in buono stato, al solo scopo di aumentarne la solidità, infatti la funzione delle chiavi è, più che altro, preventiva. In ogni caso, poi, vi è la clausola esplicita nella legge che prevede l'obbligo di riparare i danni causati dalle opere compiute.

A differenza di quanto disposto per le travi, l'art. 885 non ripete per le chiavi e le catene di rinforzo la limitazione dell'accorciamento nel caso in cui l'altro condomino volesse servirsi del muro comune nello stesso punto. Le ragioni di questa diversità di trattamento sono intuitive: l'accorciamento della chiave alla metà del muro sarebbe difficile ad attuarsi, e anche quando fosse possibile farlo, l'utilità della chiave sarebbe di molto diminuita, e potrebbe essere addirittura annullata, se la residua grossezza del muro fosse insufficiente ad assicurarne il contrasto.


Diritto di sopraelevare il muro comune

Fin dall'antico diritto consuetudinario fu riconosciuto al condomino il diritto di sopraelevare il muro comune: tale diritto era regolato minuziosamente dalla Consuetudine di Parigi, da cui passò nel codice francese e, attraverso i codici italiani preesistenti, nel codice del 1865 e nel nuovo (art. 885).

Come è naturale, il diritto di sopraelevazione non può essere esercitato quando ne derivi pregiudizio ai diritti di servitù spettanti al vicino o anche a terzi, come nel caso di una servitus altius non tollendi, o di veduta, o di una convenzione che escluda l'alzamento. Ma non può essere di ostacolo al diritto di sopraelevazione la contraria volontà del vicino.

La legge non fissa alcun limite all'altezza dell'alzamento, il quale può quindi portarsi a qualsiasi livello, anche quando provochi un danno al condomino togliendogli aria e luce, salvo beninteso le speciali limitazioni imposte dai regolamenti locali. Tale facoltà, peraltro, non potrebbe esercitarsi a scopo meramente emulatorio, perché gli atti emulatori sono ormai testualmente vietati dal nuovo codice (art. 833 del c.c.). Del resto, anche a prescindere da tale esplicito divieto, in materia di muri comuni si era ravvisata sufficiente la disposizione dell'art. 675 del codice 1865, riprodotta poi nell' art. 1102 del nuovo codice, per negare al condomino l'esercizio immoderato del proprio diritto, fatto al solo scopo di danneggiare l'altro condomino.


Spese della sopraelevazione. Sopraelevazione parziale

L'esercizio del diritto di sopraelevare dà luogo alla formazione di una proprietà separata o superficiaria appartenente al condomino che ha sopraelevato, insistente sul sottostante muro comune. Ordinariamente la costituzione della proprietà superficiaria avviene a seguito di una concessione ad aedificandum, che deroga al normale rapporto di accessione : qui la concessione promana dalla legge. Quale proprietario esclusivo della sopraelevazione il condomino che sopraeleva il muro comune deve sostenere tutte le spese di costruzione e di conservazione della parte sopraedificata (art. 885).

Si è discusso se l'alzamento del muro possa eseguirsi dal condomino, anziché per tutto il muro, per una sola parte di esso, sia rispetto alla grossezza che alla lunghezza, o se invece sia sempre necessario mantenere la grossezza originaria ed estendere l'alzamento a tutta la lunghezza. Nonostante la contraria opinione di alcuni autori, è ammesso l'alzamento parziale, come sostiene anche la giurisprudenza prevalente.

Bisogna prendere le mosse dal principio secondo cui l'alzamento è una proprietà esclusiva (quantunque elevata sul muro comune) che uno dei condomini compie a sue spese, secondo la propria convenienza, salvo osservare le condizioni prescritte dall'art. 76. Ciò non toglie, tuttavia, al vicino il diritto di chiedere la cessione coattiva della sopraelevazione e di abbattere la sopraelevazione esistente per rifarla con maggiori proporzioni, se egli non la ritiene adatta per gli usi che ne intende fare: ma fino a che egli non esercita tale diritto, il condomino che vuole sopraelevare resta completamente libero di farlo come più gli conviene.

La stessa libertà compete al condomino anche circa i materiali con cui intende fare la sopraelevazione, che possono essere diversi da quelli con cui e stato costruito il muro comune.


Ricostruzione e ingrossamento del preesistente muro comune per sostenere la sopraelevazione

Se il muro non è adatto a sostenere la sopraelevazione colui che la esegue è tenuto a ricostruirlo o rinforzarlo a sue spese (art. 885 capov.).

Quando la sopraelevazione è di notevole entità può essere necessario ricostruire il muro comune aumentandone lo spessore: in questo caso, per il maggiore spessore che risulta necessario, il muro deve essere costruito su suolo proprio del condomino che sopraeleva (art. 885 capov.). Ma a questa disposizione, che si trovava anche nel codice del 1865, il nuovo codice ne ha aggiunta un'altra di dubbia opportunità, ammettendo che per il maggiore spessore il muro possa essere costruito sul suolo del vicino quando ciò sia imposto da esigenze tecniche. Si tratta di un nuovo caso di espropriazione per privata utilità, da aggiungere a quelli della cessione coattiva della comunione del muro di confine (art. 874 del c.c.), del muro che non e sul confine (art. 66) e dello sconfinamento di fabbriche sul fondo contiguo (art. 938 del c.c.), tutti ispirati al concetto progressivo del favore dell'edilizia, che impone notevoli limiti alle proprietà vicine.

Del resto, il legislatore ha salvaguardato l'interesse del vicino con opportune disposizioni. Ponendo fine a vecchie e prolisse dispute sorte sotto l'impero del codice francese e continuate col codice del 1865, il nuovo codice dichiara che tanto il muro ricostruito nella primitiva grossezza quanto quello ingrossato « resta di proprietà comune »: ciò poiché il vicino si avvantaggia gratuitamente della costruzione nuova e irrobustita anche per l'esercizio di diritti che l'originario muro, nelle primitive condizioni di vetustà o di minore solidità, non avrebbe consentito o avrebbe consentito in misura minore .Se poi il muro per esigenze tecniche si è dovuto ingrossare anche sull’ area del vicino, gli si riconosce il diritto di conseguire pure il valore della metà del suolo occupato per il maggiore spessore. In ogni caso, al vicino deve essere risarcito ogni danno prodotto dall’ esecuzione delle opere (art. 885).


Comunione forzosa della sopraelevazione. Se soggiace alla disposizione dell'art. 879 per gli edifici demaniali

La legge ammette che il vicino che non ha voluto partecipare in un primo tempo alla sopraelevazione possa in secondo tempo acquistarne la comunione a norma dell'art. 874 (art. 885, primo comma): ciò sempre in applicazione del principio di uguaglianza dei condomini, che domina tutta la materia della comunione e per cui l'esercizio dei diritti di condominio da parte di uno dei condomini non deve limitare l'esercizio di uguali diritti da parte dell'altro, anche quando questo segua a distanza di tempo.

Nel vecchio codice l'art. 555 poneva a carico del condomino che chiedeva la comunione della sopraelevazione il pagamento della metà « di quanto ha costato »: ciò a differenza dell'art. 556 che per l'ordinaria cessione coattiva della comunione del muro richiedeva il pagamento della metà « del valore ». Il nuovo codice, richiamando all'art. 885 comma 1 il dettato di cui all’art. 874, da una parte adotta anche per la comunione forzosa della sopraelevazione il criterio della « metà del valore »; dall'altra (art. 885 u. c.) tiene conto nel calcolare il valore della sopraelevazione « anche delle spese occorse per la ricostruzione o per il rafforzamento »; venendo così a integrare il criterio della « metà del costo ». Criterio che appare pienamente giustificato e dettato al fine di non creare alcuna disparità tra i condomini che per l'esercizio dell'uguale diritto di sopraelevazione devono essere messi in condizioni di perfetta uguaglianza, anche quando la partecipazione alla sopraelevazione non segua contemporaneamente ma in un tempo successivo da parte di uno di essi.

Ci si è chiesti se la comunione forzosa della sopraelevazione soggiaccia alla disposizione dell'art. 879 che ne esenta gli edifici appartenenti al demanio pubblico e quelli soggetti allo stesso regime, nonché gli edifici che sono riconosciuti di interesse storico, archeologico o artistico. Il caso si presenta quando l'edificio demaniale e l'edificio privato abbiano in comune il muro divisorio e questo viene sopraelevato dal demanio: potrà il privato pretendere la comunione forzosa della sopraelevazione demaniale?

La risposta è affermativa: l'art. 879 impedisce la comunione forzosa, oltre che per l'inalienabilità delle cose demaniali, anche perché non è possibile che l'interesse pubblico si metta allo stesso livello dell'interesse privato, entrando un privato in comunione col demanio. Ma quando questo stato di cose già esiste , quando demanio e privato si trovano, per qualsiasi ragione, ad esser condomini di uno stesso muro, i loro diritti, come i loro doveri, si devono regolare strettamente secondo i principi della comunione, ossia in base alla più perfetta uguaglianza. Se ciò comporta un pregiudizio all'interesse pubblico, si potrebbe sempre ricorrere al diritto di espropriazione forzata del diritto di sopraelevazione competente al condomino privato, ma non è giusto adottare un trattamento diverso per i due condomini, solo perché uno e il demanio e l’ altro un privato qualunque.

Tale conclusione trova conforto anche in ulteriori considerazioni. Come detto più sopra (art. 879, n. 3), l'esenzione dalla comunione forzosa vale solo a favore e non contro il demanio, pertanto è ammesso che il demanio possa acquistare la comunione del muro privato a norma dell'art. 885 pagando la metà del valore del muro e del suolo. Ora, se il demanio sopraeleva il muro non può disconoscere al condomino il diritto alla comunione forzosa della sopraelevazione a norma dell'art. 885 perché altrimenti si verrebbe a verificare questa inammissibile conseguenza, che il demanio con il semplice pagamento della metà del muro e del suolo acquisterebbe non solo il diritto di comunione, ma altresì il diritto di togliere al privato condomino l'esercizio dei diritti a cui essa dà luogo. Non vi è nessun dubbio che esigenze d'interesse pubblico possano giustificare anche l'espropriazione forzata del muro comune per impedire al privato l'esercizio dei suoi diritti di condominio, ma sarebbe iniquo espropriarlo senza conferirgli nessun corrispettivo, cioè in base al solo acquisto della comunione fatto contro di lui.


Se il condomino abbia diritto all'approfondimento del muro comune

Ci si è domandati se, oltre al diritto all'innalzamento, competa al condomino anche il diritto all'approfondimento del muro comune come nel caso in cui volesse fabbricare una cantina. L'opinione comune risponde affermativamente.


Apertura di incavi

Il codice del 1865 riconosceva al condomino, pur con alcune limitazioni, anche il diritto di fare incavi nel muro comune (art. 557). Il nuovo codice dispone all'art. 885 capov. che il condomino « non può fare incavi nel muro comune, nè eseguirvi altra opera, che ne comprometta la stabilità o che in altro modo lo danneggi ».

La locuzione dell'art. 885 è ambigua per quello che riguarda gli incavi, perché non è chiaro se l'apertura di incavi sia vietata incondizionatamente, oppure solo nel caso in cui comprometta la stabilità del muro comune o comunque lo danneggi, così come è stabilito in genere per le altre opere dallo stesso articolo. Ma ogni dubbio viene meno se si confronta il capov. dell'art. 885 con la disposizione contenuta nel primo comma dello stesso articolo, dove il diritto di aprire l'incavo nel muro comune è esplicitamente riconosciuto al condomino agli effetti di esigere l’ accorcia-mento della trave del vicino. L'apertura di incavi può essere molto utile per il condomino: essi possono limitarsi a un armadio, a una nicchia, o prolungarsi sino alla sommità e formare il tubo di un camino.

Ma fino a che punto possono addentrarsi gli incavi? Il codice parmense disponeva esplicitamente che non si poteva mai oltrepassare la terza parte del muro. Nel silenzio del codice, argomentando dalla natura della comunione del muro che è pro indiviso, si ritiene che l'incavo possa spingersi oltre la metà della linea mediana, fino a lasciare un residuo spessore che garantisca la stabilità del muro e la separazione dal vicino. A nulla vale l’opinione contraria secondo cui in tal modo si darebbe al condomino la possibilità di crearsi un segno di propriety esclusiva a suo favore, perché, come abbiamo rilevato a suo tempo (art. 881, n. 4), per far nascere la presunzione di comunione non basta che il vano si addentri oltre la meta dello spessore del muro, ma occorre altresì che esso appaia costruito insieme col muro.

L'apertura del vano da parte di un condomino non limita naturalmente l'uguale diritto dell'altro di aprirne uno dal suo lato, nello stesso punto: in tal caso entrambi i vani vanno limitati in modo da far restare in mezzo un congruo setto murale per garantire, nell'interesse reciproco, la separazione.

Nel fare incavi nel muro comune bisogna in ogni caso condurre l'opera in modo da non menomare la consistenza del muro, pertanto è consigliabile procurarsi in anticipo il consenso del vicino circa le modalità di esecuzione dell'opera, per evitare che il condomino possa opporsi anche in sede possessoria. Infatti la menomazione della consistenza del muro comune costituisce un attentato al compossesso del medesimo, ed in materia di comunione tutto ciò che si pratica al di là delle facoltà riconosciute dalla legge, come è reprimibile in sede petitoria, così pure costituisce una turbativa che origina il diritto alla reintegrazione a favore di colui che vanta uguali diritti sulla cosa comune.


Altri diritti esercitabili dai condomini sul muro comune secondo i principi della comunione

Il codice del 1865 (art. 558) ammetteva testualmente il diritto del condomino di ammucchiare contro il muro comune letame, legnami, terra e altre materie, con la sola limitazione di dover prendere le precauzioni necessarie affinché tali mucchi non potessero nuocere per via dell'umidità, della spinta, della soverchia elevazione, o di qualunque altro modo. Questa particolare disposizione non è stata riprodotta dal nuovo codice, dove invece si legge la disposizione generale dell'art. 885 u. c. che in generale vieta l'esecuzione di opere sul muro comune che ne compromettano la stabilità o che in altro modo lo danneggino. Si deve però ritenere che anche per il nuovo codice il condomino abbia diritto di fare presso il muro comune gli ammucchiamenti di cui parlava esplicitamente l'art. 558 codice del 1865, come di usufruirne in genere per tutti gli usi compatibili sulla cosa comune secondo i principi della comunione (art. 1102 del c.c.) con la sola limitazione di non arrecare danno al muro comune sia compromettendone la stabilità, sia in qualunque altro modo.

I diritti competenti al condomino sul muro comune a norma degli art. 884 e 885 derivando dal rapporto di condominio hanno natura di diritti reali. Ma può aversi anche un regolamento consensuale dei rapporti di condominio e di vicinato con carattere non reale, bensì meramente obbligatorio. E in tal caso è ammissibile la prova testimoniale diretta a dimostrare che l'uso del muro comune da parte di un condomino sia avvenuto col consenso dell'altro condomino del muro stesso.


Del consenso del vicino all’esecuzione di opere sul muro comune

Il codice del 1865 disponeva (art. 557) che uno dei vicini non potesse fare alcun incavo nel muro comune, nè applicarvi o appoggiarvi alcuna nuova opera, senza il consenso dell'altro e, in caso di rifiuto, senza aver fatto determinare dai periti i mezzi necessari affinché l'opera non provocasse danno ai diritti dell'altro. Tale disposizione è stata soppressa nel nuovo codice.

Nonostante la soppressione, si ritiene che il principio sussista e discenda dai principi generali della comunione: l'esercizio dei diritti riconosciuti al condomino dagli art. 75 e 76 non può teoricamente essere ostacolato dall'altro condomino e quindi effettuarsi senza il suo consenso: altrimenti non si potrebbe parlare di diritti. Tuttavia nell'attuazione pratica dei singoli diritti può venire leso il diritto dell'altro condomino quante volte l'esercizio dei diritti esorbiti dai limiti di legge o cagioni danni che il vicino ha diritto di avere evitati o almeno risarciti. Di qui l'interesse e il diritto del vicino di essere preavvertito dall'altro per concordare le modalità di esecuzione dell'opera e, in caso di mancato accordo, ricorrere al giudizio del perito, scelto d'accordo dalle parti o nominato dal giudice.

Questo peraltro non è sempre indispensabile, infatti le opere possono compiersi anche senza necessità di perizia allorché vi sia certezza, per la natura delle opere e per il modo in cui sono condotte, che esse non offendono i diritti del condomino.


Opere abusive sul muro non comune. Sanatoria

Può accadere che il vicino fabbrichi appoggiando al muro, o pratichi sul muro alcune delle opere previste negli artt. 884 e 885, che egli non potrebbe fare se non nella qualità di condomino, senza avere prima acquistata la comunione: quale sarà il diritto del proprietario del muro ? Egli potrà domandare la rimozione delle opere praticate abusivamente sul suo muro, o dovrà accontentarsi solo di obbligare il vicino all'acquisto della comunione?

A stretto rigore, si dovrebbe dire che poiché prima della regolare cessione il muro è di sua esclusiva proprietà, egli ha il diritto di domandare la soppressione delle opere abusive: si tratta di una usurpazione che egli può respingere, come riteneva la più antica giurisprudenza in Francia, che ha avuto qualche rara applicazione anche in Italia.

Ma l'opinione oggi dominante, suffragata da copiose decisioni giurisprudenziali, respinge la domanda di demolizione da parte del proprietario del muro quando il vicino, trovandosi nelle condizioni richieste per la comunione forzosa (art. 874 del c.c.), si dichiari pronto ad acquistare la comunione. Pertanto qualora il proprietario della costruzione, sia pure dopo che i lavori siano incominciati, abbia chiesto la cessione coattiva ottemperando alle condizioni prescritte dalla legge, non può il giudice, in giudizio possessorio, ordinare la riduzione delle cose al pristino stato.
L'azione che il proprietario promuove affinché non demolendosi la fabbrica abusiva sia dichiarata la comunione del muro con la conseguenza del pagamento del relativo prezzo, è un'azione reale. Conseguentemente essa può essere esercitata anche dai successivi acquirenti dell’immobile. Qualche sentenza ha ritenuto che l'appoggio abusivo sul muro altrui desse luogo senz'altro all'acquisto della comunione, argomentando dal fatto che a norma dell'art. 874 la cessione della comunione non può essere negata dal proprietario, restando soltanto a regolare il prezzo di cessione per la sanatoria dell'opera abusiva.

Tale tesi non può essere condivisa. Anzitutto, l'appoggio abusivo di una costruzione sul muro altrui concreta gli estremi di fatto e di diritto di una semplice servitù di appoggio e quindi non esaurisce tutto il contenuto del diritto di comproprietà del muro: l'appoggio è uno dei diritti che possono esercitarsi sul muro comune (art. 885), mentre la comunione ha un contenuto ben più ampio e consente l'esercizio di altri e ben più importanti diritti (art. 884, 885). In secondo luogo, il ritenere che per il semplice fatto dell'appoggio di una costruzione sul muro del vicino se ne acquisti senz'altro la comunione è in contrasto con il principio, ormai universalmente accolto in dottrina e in giurisprudenza, che per l'acquisto della comunione del muro è sempre necessaria la convenzione scritta o, in caso di diniego del proprietario a dare il consenso alla cessione della comunione, la sentenza del giudice, che ne fa le veci.

Come ulteriore conseguenza di quanto detto, si ritiene che il possesso dell'appoggio abusivo può condurre all'acquisto per usucapione della servitù di appoggio, ma non anche all'acquisto della comunione del muro.


Determinazione del valore del muro. Deve essere riferita al tempo della cessione e non a quello dell’appoggio abusivo

Ci si è domandati se, procedendosi in un secondo tempo alla comunione forzosa per sanare l'opera abusiva compiuta anteriormente, il valore del muro debba calcolarsi al tempo in cui fu compiuta l'opera abusiva oppure al tempo in cui si attua la cessione. La questione ha acquistato in pratica notevole importanza a seguito delle grandi fluttuazioni nel valore della moneta e del corrispondente rialzo dei valori immobiliari. La Cassazione del Regno ha avuto occasione di pronunciarsi sulla questione, decidendo che il valore del muro deve determinarsi non al momento in cui sia stata attuata la costruzione abusiva, bensì al momento in cui ha luogo il passaggio effettivo della mediana in virtù della convenzione delle parti o della sentenza del giudice.

Al valore del muro al tempo della costruzione abusiva si dovrà invece fare ricorso quando il cedente domandi il risarcimento del danno per l'abusivo appoggio esercitato in precedenza dal vicino. Infatti questo danno si concreta nel mancato godimento, e quindi negli interessi legali, sulla somma che il cessionario avrebbe dovuto pagare se avesse acquistato la comunione fin dal tempo dell'appoggio abusivo: somma equivalente appunto al valore che il muro aveva in tale epoca.

La Cassazione ha affermato che l'appoggio abusivo al muro del vicino, senza il previo acquisto della comunione, fa sorgere a carico del costruttore l'obbligo al pagamento degli interessi dal giorno dell'appoggio abusivo sulla somma liquidata dal giudice. La massima così formulata può applicarsi quando, tra la data dell'appoggio abusivo e la sanatoria mediante la cessione coattiva della comunione in base alla somma liquidata dal giudice quale prezzo della cessione, non vi sia stata una rilevante fluttuazione nei valori immobiliari. Se invece una tale fluttuazione c’è stata, la massima — per le ragioni suesposte — si dimostra inesatta e va corretta, nel senso che gli interessi dal giorno dell'appoggio abusivo vanno liquidati sul valore del muro a quel tempo anziché sulla somma liquidata dal giudice al tempo della cessione coattiva.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

421 Un secondo gruppo di norme (articoli 880-885) riguarda le presunzioni di appartenenza dei muri divisori e il regime dei muri comuni. In conformità del codice del 1865 (articoli 546-547), il nuovo codice (art. 880 del c.c. e art. 881 del c.c.) stabilisce due presunzioni, suscettibili di prova contraria: da un lato, la presunzione di comunione così per il muro che serve di divisione tra edifici (presunzione che, in caso di altezze ineguali degli edifici, è limitata al punto in cui uno di questi comincia ad essere più alto), come per il muro che serve di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi; dall'altro lato, la presunzione di proprietà esclusiva del muro divisorio tra campi, cortili, giardini od orti, sulla base della posizione del piovente esistente nel muro e, ove questo manchi, di altri segni particolarmente qualificati. Circa i diritti e gli obblighi di ciascun condomino rispetto al muro comune, non ho apportato innovazioni rilevanti (art. 882 del c.c., art. 883 del c.c. e art. 884 del c.c.). Una disposizione integrativa ho però introdotta in tema d'innalzamento del muro comune. Come per il codice del 1865 (art. 554), il comproprietario che vuole eseguire la sopraelevazione, quando occorre aumentare lo spessore del muro per renderlo atto a sostenere il nuovo peso, deve costruire sul suolo proprio per il maggiore spessore che si renda necessario. Senonché può darsi che esigenze tecniche impongano di costruire sul suolo del vicino: in tal caso si autorizza la costruzione sul fondo finitimo per una doverosa tutela dell'interesse pubblico all'incremento edilizio. Il muro così ingrossato, resta di proprietà comune, ma il vicino ha diritto di conseguire il valore della metà del suolo occupato per il maggior spessore (art. 885 del c.c.).

Massime relative all'art. 885 Codice Civile

Cass. civ. n. 19040/2022

Il condomino che sopraeleva per primo il muro comune può non estendere la nuova costruzione all'intero spessore, purché esegua la stessa verso l'area di sua esclusiva proprietà e senza invadere il muro sottostante oltre la linea mediana. Ne segue la necessità, per il giudice di merito investito della questione circa la legittimità dell'esercizio delle facoltà di cui all'art. 885, primo comma, c.c., di verificare se la sopraelevazione sia realizzata dal comproprietario per l'intero spessore del muro sul quale è costruita o solo su una porzione di esso, trattandosi di fatto decisivo perché, in tale ultimo caso, per riconoscersi la legittimità della sopraelevazione è necessario che la costruzione sia effettuata verso l'area di esclusiva proprietà del condomino che ha sopraelevato e senza invadere il muro sottostante oltre la linea mediana.

Cass. civ. n. 8000/2018

L'art. 885 c.c., che riconosce ad ogni comproprietario la facoltà di alzare il muro comune, introduce una deroga sia al normale regime della comunione che a quello dell'accessione, perché consente – anche senza il consenso dell'altro comproprietario del muro – la formazione di una proprietà separata ed esclusiva della sopraelevazione, appartenente al comproprietario che per primo abbia innalzato il muro comune, il quale può altresì giovarsi, nella prosecuzione in altezza, dello stesso principio di prevenzione adottato sulla base della costruzione, fatta salva la possibilità per il vicino comproprietario di chiedere la comunione del muro sopraelevato.

Cass. civ. n. 19142/2013

La disposizione dell'art. 885 c.c., che consente al comproprietario di alzare il muro comune, non interferisce con la disciplina in materia di distanze legali, né deroga alla stessa, questa perseguendo la funzione di evitare intercapedini dannose tra fabbricati (normativa codicistica) e anche di tutelare l'assetto urbanistico di una data zona e la densità degli edifici in relazione all'ambiente (disciplina regolamentare, richiamata dall'art. 873 c.c.).

Cass. civ. n. 10482/1998

La sopraelevazione di una costruzione unita ad un'altra, pur avendo in comune il muro divisorio, non è disciplinata dall'art. 885 c.c., ma soggiace ai limiti del regolamento locale, anche se, nel caso di distanza inderogabile dal confine, ne deriva una costruzione secondo una linea spezzata, non consentita dalle norme sulle distanze stabilite dal c.c. che impongono di allineare la costruzione al piano sottostante; né può invocarsi il principio della prevenzione, anche a volerlo ritenere applicabile su terreno già edificato.

Cass. civ. n. 237/1997

Il muro comune divisorio può essere sopraelevato — anche abbattendo una preesistente rete metallica — senza necessità di consenso dell'altro comproprietario perché la relativa facoltà, ai sensi dell'art. 885 c.c., è svincolata dal regime normale della comunione e non trova alcuna restrizione negli artt. 1102 e 1108 c.c.

Cass. civ. n. 6407/1994

Il comproprietario può innalzare il muro comune senza il consenso del condomino e senza alcun vincolo di destinazione, salvo i limiti costituiti dal divieto di atti emulativi e dalle esigenze di contemperamento dei reciproci interessi e di rispetto dei diritti altrui, quali quello di veduta che non può essere impedito dall'innalzamento del muro.

Cass. civ. n. 11125/1990

La facoltà di innalzamento del muro comune, prevista dall'art. 885 c.c., non può essere esercitata in violazione delle distanze legali stabilite specificamente per le vedute dall'art. 907 dello stesso codice. Pertanto l'innalzamento del muro comune che delimiti un terrazzo o un lastrico solare con opere, quali un parapetto, destinate permanentemente ed inequivocabilmente all'esercizio della servitù di veduta, non può essere consentito, risolvendosi in un impedimento all'esercizio del corrispondente diritto da parte del proprietario del fondo dominante.

Cass. civ. n. 3330/1987

L'esercizio da parte del comproprietario della facoltà di innalzare il muro comune ai sensi dell'art. 885 c.c. non richiede chela sopraelevazione sia estesa a tutto lo spessore del muro, potendo essere contenuta nei limiti della linea mediana sempre che le modalità della costruzione consentano al vicino di fare analogo uso del muro stesso e in particolare non gli sottraggano il diritto di chiedere in futuro la comunione della parte sopraelevata per l'intera estensione. Pertanto la detta facoltà di elevazione parziale del muro comune non può essere riconosciuta quando il comproprietario abbia costruito un debole manufatto in vetro e ferro appoggiato solo in parte al muro di confine, non suscettibile né di diventare oggetto di proprietà comune col vicino, né di sostenere un'eventuale sopraedificazione di quest'ultimo.

Cass. civ. n. 908/1986

Ai sensi dell'art. 885 c.c. il comproprietario del muro comune può innalzarlo, ma se questo non è atto a sostenere la sopraedificazione, deve prima procedere a sue spese al rafforzamento o alla ricostruzione del muro stesso per renderlo idoneo a sopportare il maggior peso, con la conseguenza che quando il costruttore non vi provveda, il comproprietario può giudizialmente chiedere la condanna del suo autore all'abbattimento della sopraelevazione.

Cass. civ. n. 854/1986

Poiché la facoltà d'innalzamento del muro comune, prevista dall'art. 885 c.c., non può essere esercitata in violazione dell'osservanza della distanza legale stabilita specificamente per le vedute dell'art. 907 dello stesso codice, è consentito l'innalzamento del muro comune che delimiti un lastrico solare, ove questo, in considerazione delle non agevoli modalità di accesso ad esso, sia da ritenere non destinato all'esercizio di una servitù di veduta.

Cass. civ. n. 3398/1981

Nel caso in cui si sia acquistata (nella specie, per usucapione) la comproprietà di un muro posto sul confine, la successiva sopraelevazione (muro su muro) non integra la fattispecie dell'accessione, di cui all'art. 934 c.c., a favore dell'originario unico proprietario del muro stesso, bensì quella prevista dall'art. 885, primo comma, c.c. che consente al comproprietario di innalzare il muro comune e stabilisce che la parte sopraedificata resta di sua esclusiva proprietà (fino a che il vicino non si avvalga del diritto di renderla comune), con la conseguenza che il comproprietario che ha provveduto alla sopraelevazione è facoltizzato ad aprire delle luci nella maggiore altezza del muro.

Cass. civ. n. 1201/1974

Il condomino che sopraeleva per primo il muro comune può non estendere la nuova costruzione all'intero spessore, purché esegua la stessa verso l'area di sua esclusiva proprietà e senza invadere il muro sottostante oltre la linea mediana. L'utilizzazione dell'area comune, costituita dal piano della costruzione originaria, da parte del comproprietario del muro divisorio, che abbia sopraelevato per primo in forza del principio della prevenzione, sia con spessore uguale a quello del muro sottostante, sia con spessore inferiore, non vale a privare il condomino della facoltà di utilizzare parimenti il muro comune per le proprie esigenze edificatorie e della facoltà di chiedere la comunione del muro sopraelevato a norma dell'art. 885 c.c.; facoltà che sono imprescrittibili.

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Consulenze legali
relative all'articolo 885 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G. F. chiede
domenica 21/08/2022 - Emilia-Romagna
“Buongiorno. Chiedo quanto segue:
55 anni fa mio padre innestò, sopra ad un muro di confine esistente alto 70 cm con in mezzaria una ringhiera metallica realizzata in tubi 5x5 cm alta 2 m dal lato superiore del muro esistente, un muro in cemento di alto 1m e largo 25 cm su cui non poggia nulla (la nuova altezza complessiva del muro divenne 70 cm+100 cm= 1,7 m). La lunghezza del muro esistente era di 2m mentre mio padre allungò il nuovo muro di altri due metri poichè il vicino convenne che questo nuovo muro sarebbe stato funzionale/utile anche per lui per un miglior contenimento del terreno e delle acque bianche meteoriche sino alla strada. In questi 4 metri i due terreni degradano mano mano sin verso la strada. Procedendo invece a ritroso, dalla strada indietro per 4 metri, a 4,1 m i due i due terreni hanno pari altezza e pertanto il nuovo muro realizzato da mio padre non serve più come muro di contenimento. Mio padre pagò tutte le spese per la realizzazione dell'innesto superiore (progettazione del geometra, cemento, ferri, manodopera per la costruzione e quant'altro. Ora la figlia del vecchio proprietario contesta e vuole abbattere l'innesto, dopo oltre mezzo secolo, che fece mio padre in accordo con suo padre. Chiedo se devo e come posso dimostrare ciò su cui si accordarono verbalmente mio padre e il vecchio proprietario oppure se esistono i presupposti per non dover soccombere a questa richiesta. Io non ho nessun documento, avevo 12 anni all'epoca, ma sono stato testimone di questo accordo verbale tra le parti. Grazie mille.”
Consulenza legale i 30/08/2022
L’art. 841 del c.c. stabilisce in modo inequivoco che ciascun proprietario ha il diritto di recintare in qualunque momento il proprio fondo.
Il muro a cui si fa riferimento nel quesito si ritiene che possa a tutti gli effetti qualificarsi come muro di recinzione (c.d. di cinta), dovendosi considerare tale, secondo la definizione che ne dà l’art. 878 del c.c., ogni muro isolato che non abbia un’altezza superiore a metri tre.
In particolare, tre sono i requisiti essenziali che un muro di cinta deve possedere:
a) essere fondamentalmente destinato a recingere, anche in parte, una determinata proprietà, allo scopo di separala dalle altre;
b) non superare l’altezza di tre metri;
c) costituire un muro isolato, le cui facce cioè emergono dal suolo e sono isolate da ogni costruzione (cfr. Cass. n. 8922/2017; Cass. n. 9348/1991).

Inoltre, trattandosi di muro divisorio posto sul confine, vale per esso il disposto di cui all’art. 880 del c.c., norma che fissa il principio della presunzione di comunione del muro che serve di divisione tra cortili, giardini, orti o tra recinti nei campi.
In quanto muro comune, altra norma che nel caso di specie trova applicazione è l’art. 885 c.c., il quale riconosce a ciascun comproprietario il diritto di innalzare il muro comune, ponendo a carico di colui che effettua la sopraelevazione l’obbligo di sostenere tutte le spese di costruzione e conservazione della parte sopraelevata.
La situazione descritta nel quesito si ritiene che corrisponda esattamente alla fattispecie disciplinata da quest’ultima norma, tenuto conto che tutte le spese necessarie per la realizzazione di quello che si definisce “innesto” (ma che, in realtà, non è altro che una sopraelevazione) sono state sostenute soltanto da uno dei comproprietari del muro, ossia il padre di chi pone il quesito.

In applicazione di quanto disposto dall’art. 885 c.c., pertanto, la parte di muro realizzata a seguito di sopraelevazione di quello esistente, non essendo stata mai resa comune dall’altro comproprietario, dovrebbe risultare di proprietà esclusiva di colui che ne ha sostenuto le spese.
Tuttavia, essendo ormai trascorso più di mezzo secolo dall’esecuzione delle relative opere, occorre riconoscere che in effetti risulterebbe estremamente difficile dimostrarne la proprietà esclusiva in capo a colui che lo ha realizzato o ai suoi eredi (del resto, questa non sembra neppure l’intenzione di chi pone il quesito), con la conseguenza che deve ritornarsi a fare applicazione del disposto di cui all’art. 880 del c.c., norma che sancisce la presunzione di comunione del muro divisorio fino alla sua sommità.

Trattandosi di muro comune ed avendo lo stesso, oltre che funzione di contenimento (anche se ormai venuta meno) anche funzione divisoria e di recinzione della proprietà, nessuno dei due comproprietari può costringere l’altro ad effettuarne la demolizione, seppure in parte.
In tal senso depone anche l’art. 886 del c.c., norma che attribuisce perfino a ciascuno dei proprietari confinanti il diritto di costringere il vicino a contribuire per metà nella spesa di costruzione dei muri di cinta.

In conclusione, non occorre munirsi di alcuna prova per dimostrare in forza di quali accordi è stata realizzata quella sopraelevazione dai proprietari originari, in quanto è la stessa legge, ed in particolare il combinato disposto delle norme sopra citate, a privare il confinante del diritto di pretendere la demolizione della parte di muro sopraelevata.
Semmai, unica facoltà di cui potrebbe avvalersi la vicina confinante è quella prevista dal secondo comma dell’art. 882 del c.c., norma che attribuisce al comproprietario del muro comune il diritto di non partecipare alle spese di riparazione e ricostruzione dello stesso rinunziando formalmente al diritto di comunione (salvo se trattasi di riparazioni o ricostruzioni imputabili a fatto proprio di chi che intende rinunziare alla comproprietà).

F. B. chiede
mercoledì 13/07/2022 - Lazio
“MURO DI CINTA (E SERVITU' DI VEDUTA)

Ho acquistato due anni fa un fabbricato con annesso terreno. Il fabbricato è attualmente oggetto di ristrutturazione edilizia e parte del terreno sarà destinato a corte del fabbricato ristrutturato.
Esiste un muro sul confine col vicino che separa il suo cortile e il mio terreno. Il muro è presumibilmente comune (nessun caratteristiche che indichi una proprietà esclusiva); per un tratto ha un’altezza variabile tra 1 e 1,5 m (a causa della pendenza del terreno) mentre per la parte rimanente ha altezza di 1,5 m. Lo spessore è di 40 cm ed è realizzato in muratura di pietrame.
In corrispondenza della parte meno alta del muro il vicino, circa un anno fa, per ragioni presumibilmente di privacy, ha installato sulla sommità del muro una rete metallica con telo verde coperto con una pianta rampicante. Ciò senza dare a me alcuna comunicazione (credo lo possa fare).
Il vicino ha ampliato circa 40 anni fa il suo fabbricato. A seguito dell’ampliamento, l’attuale fabbricato risulta a distanza dalla parete “interna” (quella rivolta verso la sua corte) del muro di confine, di 160 cm (per un primo tratto) di 380 cm (per un secondo tratto) e di 86 cm per un terzo tratto (ovvero distanze dalla mezzeria del muro di confine pari a: i) 180 cm per un primo tratto; ii) 400 cm per un altro tratto e iii) di 106 cm per un terzo tratto). La foto allegata alla email rende – mi auguro – più chiara la configurazione.
Su tali tratti esistono delle finestre e una porta al piano terra, mentre al piano 1 e al piano 2 c’è un balcone per quasi tutta l’estensione della facciata del fabbricato prospiciente la mia proprietà. Ciò determina una distanza delle sue vedute (le finestre e la porta al piano terra) dalla mezzeria del muro di confine di soli 106 cm, 180 cm e 400 cm (ovvero 86+40= 126 cm, 160+40= 200 cm e 380+40 = 420 cm rispettivamente, dalla parete “esterna” - quella rivolta verso il mio terreno- del muro di confine).
Per ragioni di sicurezza e privacy vorrei innalzare il muro esistente (fornendogli le caratteristiche di muro di cinta) fino all’altezza di 3 m dal piano campagna del mio terreno (la corte del vicino si trova per un tratto alla stessa quota del mio piano campagna e - per un tratto più limitato - a quota inferiore di circa 50 cm).

Chiedo se sia possibile farlo, innalzando il muro con spessore pari a metà del muro esistente e sostenendo integralmente le spese, o se il vicino possa impedire l’innalzamento invocando una servitù di veduta?
Qualora fosse questo il caso (servitù di veduta) quale azione posso intraprendere? Posso innalzare il muro in corrispondenza delle distanze delle vedute al piano terra di 180 cm e 400 cm, ma mantenendo inalterata l’attuale altezza in corrispondenza della veduta distante solo 106 cm?
La eventuale servitù di veduta costituita dal balcone al piano primo e al piano secondo (con distanza dalla mezzeria del muro di confine di 106 cm) mi impedisce di innalzare il muro ??
In caso di servitù di veduta, quali provvedimenti (per esempio piantumazione di siepe con altezza di 2,50 m a distanza 50 cm dal confine?) potrei utilizzare, in alternativa la muro di cinta, per assicurare sicurezza e privacy alla mia proprietà?
Ringrazio per la cortese risposta.”
Consulenza legale i 20/07/2022
Per rispondere al quesito occorre innanzitutto stabilire se il muro di cui trattasi sia effettivamente comune.
Al riguardo l'art. 880 del c.c. prevede una presunzione di comproprietà del muro sul confine, stabilendo che “il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune fino alla sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto”; ai sensi del secondo comma della norma, si presume comune anche il muro che serve di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi.
In proposito la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 6678 del 28 giugno 1999) ha precisato che “un muro di recinzione di un fondo si presume comune al proprietario di quello limitrofo se: 1) sorge su suolo comune ad entrambi i confinanti proprietari; 2) divide, conformemente alla sua funzione, entità prediali omogenee tra loro (quali edifici, cortili, etc.), appartenenti a diversi proprietari; 3) mancano sporti e simili o altri elementi contrari, indicati dall'art. 881 c.c.".
Ciò premesso, l'art. 885 del c.c. attribuisce a ciascun comproprietario il diritto di sopraelevare il muro comune; nel caso in cui lo faccia, però, saranno a suo carico tutte le spese di costruzione e conservazione della parte sopraedificata. Tuttavia, la parte sopraelevata può a sua volta essere resa comune dal vicino secondo il disposto dell’art. 874 del c.c. (che disciplina la comunione forzosa del muro sul confine).
Sempre l’art. 885 c.c. detta regole per la ripartizione delle spese nel caso in cui si renda necessario ricostruire o rinforzare il muro (se questo non è adatto a sostenere la sopraelevazione): i relativi costi sono a carico di chi esegue l’innalzamento. Inoltre, se è necessario aumentare lo spessore del muro, questo andrà realizzato sul suolo di chi effettua la sopraelevazione (salvo che esigenze tecniche impongano di costruirlo sul fondo confinante: in questo caso il vicino ha diritto di conseguire anche il valore della metà del suolo occupato per il maggiore spessore). Il muro ricostruito o ingrossato resta comunque di proprietà comune, e il vicino deve essere indennizzato di ogni danno prodotto dall'esecuzione delle opere.
Attenzione, però, perché nel quesito si parla di sopraelevare il muro fino a conferirgli le caratteristiche di un muro di cinta (dunque di altezza pari a tre metri): ora, l'art. 886 del c.c. prevede che ciascuno possa costringere il vicino a contribuire per metà nelle spese di costruzione di muri di cinta che separano le rispettive case, i cortili e i giardini situati negli abitati.
Tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che "il proprietario di un fondo, che innalzi il muro di confine sino a portarlo all'altezza di tre metri ex art. 886 cod. civ., sopporta per intero le spese di sopraelevazione e non può pretendere che vi concorra il proprietario del fondo contiguo, atteso che quest'ultimo, ai sensi degli artt. 874 e 885 cod. civ., ha soltanto la facoltà, e non l'obbligo, di entrare in comunione della parte sopraedificata" (Cass. Civ., Sez. II, sentenza 21/02/2012, n. 2485).


P. P. chiede
lunedì 04/04/2022 - Veneto
“Nel documento che Vi invierò si accorda la comunione di un muro di confine.
Nell'atto è specificata l'altezza media di 5 metri di cui si concede la comunione.
La successiva sopraelevazione del muro, tutto a spese del confinante, mantiene la comunione anche sopra i 5 metri?
La comunione del muro, e relativo spostamento del confine, necessitava di una trascrizione nei registri del comune, catasto o altro?
Grazie.”
Consulenza legale i 21/04/2022
La sopraelevazione del muro comune è regolamentata dall’art. 885 c.c., il quale attribuisce a ciascun comproprietario la facoltà di alzare il muro stesso: deve però farlo a proprie spese. Infatti il primo comma della norma in esame precisa che tutte le spese di costruzione e conservazione della parte sopraelevata sono a carico di chi effettua l’innalzamento del muro.
Tuttavia, la sopraelevazione del muro comune non rende, di per sé, comune la parte sopraedificata, che resta anzi di proprietà di chi l’ha costruita: il vicino ha, però, la facoltà di rendere comune la parte sopraelevata, a norma dell'art. 874 c.c. (il quale prevede, tra l’altro, il pagamento di un’indennità).
Inoltre l’ultimo comma dell’art. 885 c.c. stabilisce che, qualora il vicino voglia acquistare la comunione della parte sopraelevata del muro, si tiene conto, nel calcolare il valore di questa, anche delle spese eventualmente occorse per la ricostruzione o per il rafforzamento.
La giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 30/03/2018, n. 8000) ha chiarito che “l'art. 885 c.c., che riconosce ad ogni comproprietario la facoltà di alzare il muro comune, introduce una deroga sia al normale regime della comunione che a quello dell'accessione, perché consente - anche senza il consenso dell'altro comproprietario del muro - la formazione di una proprietà separata ed esclusiva della sopraelevazione, appartenente al comproprietario che per primo abbia innalzato il muro comune, il quale può altresì giovarsi, nella prosecuzione in altezza, dello stesso principio di prevenzione adottato sulla base della costruzione, fatta salva la possibilità per il vicino comproprietario di chiedere la comunione del muro sopraelevato”.
Rimane da esaminare, per completezza, il secondo comma dell’art. 885 c.c., il quale disciplina l’eventualità in cui il muro non sia atto a sostenere la sopraelevazione: in tal caso, colui che la esegue è tenuto a ricostruirlo o a rinforzarlo a proprie spese. La norma detta regole anche per il caso in cui sia necessario rinforzare il muro con conseguente aumento del suo spessore.
Per rispondere, invece, al secondo quesito, l’atto in questione, in quanto contratto costitutivo della comunione di diritti reali (nella fattispecie, proprietà), va trascritto nei registri immobiliari a norma dell’art. 2643 c.c., n. 3. La funzione della trascrizione (che non incide sulla validità dell’atto) è quella di rendere opponibili ai terzi acquirenti gli atti che vengano trascritti, ai sensi dell’art. 2644 c.c., e di risolvere eventuali conflitti tra più aventi causa. In sostanza, nel caso in cui lo stesso bene, ad esempio, venga venduto a più acquirenti, tra di essi prevale colui che ha trascritto per primo il proprio atto di acquisto, a prescindere dalla data di stipula dell’atto.
Questione diversa è quella in cui si sia verificata una modifica dei confini preesistenti: in tal caso, occorrerà correggere le mappe catastali, ma non si tratta tecnicamente di una “trascrizione”.

Vittoria S. chiede
lunedì 24/05/2021 - Emilia-Romagna
“Villa acquistata nel 2003 in località Pieve Fissiraga (Lodi) su superficie di 2.000 quadri con giardino recintato su tutti i lati con muretto di confine di 50 cm di altezza su cui è poi innestata una ringhiera a montanti piatti in metallo verniciato imbullonati tra loro e con folta siepe di alloro tenuta nei 2,50 m di altezza che già esisteva da tempo al momento dell'acquisto.
Uno dei vicini ci chiede ora di poter rimuovere detta ringhiera sul lato con lui confinante e di alzare un muro in cemento appoggio direttamente sopra al muretto esistente in quanto sostiene che detta ringhiera dalla sua parte è ormai arrugginita e i figli/nipoti si sono a volte feriti contro la stessa. Dal nostro lato questo non si vede in quanto interamente coperto dalla folta siepe. Intenderebbe eseguire i lavori a proprie spese ma noi dovremmo consentire loro di rimuovere la siepe o ridurla drasticamente e permettere agli operai edili di posare le casseforme di contenimento per la gettata del cemento sulla nostra proprietà ma noi non siamo d'accordo in quanto vivono nel nostro giardino due cani allo stato libero che non possono essere rinchiusi e uno dei quali potrebbe facilmente mordere persone estranee e senza recinzione passare nel giardino vicino e noi avere persone estranee nella nostra proprietà anche in nostra assenza. Possiamo rifiutare il consenso visto che potrebbero semplicemente fare manutenzione della ringhiera sul loro lato o siamo obbligati a dare il nostro benestare? Vorrebbero partire coi lavori già ad inizio giugno p.v.
Da quanto capisco dalla nota no. 2 all'art. 886 il muretto di 50 cm circa su cui tramite dei montanti in cemento posti a intervalli di alcuni metri risulta fissata la staccionata a montanti piatti in metallo verniciato non può essere considerato come un muro di cinta. Il giardino del vicino inoltre è leggermente sopraelevato rispetto al nostro quasi quanto l'altezza del muretto.
In tal caso il vicino può pretendere di costruire un muro (a sue spese ma appoggiando sul muretto esistente e salire fino all'altezza della staccionata preventivamente rimossa (che sarà massimo di 2,50 m, muretto compreso)?
Grazie per l'attenzione”
Consulenza legale i 30/05/2021
In base all’art. 880 del codice civile “si presume comune il muro che serve di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi”.
Il successivo articolo dispone che "il muro divisorio tra i campi, cortili, giardini od orti appartiene al proprietario del fondo verso il quale esiste il piovente”.

Il muro descritto nel quesito è dunque effettivamente comune.

Appurato ciò, si osserva quanto segue.

L’art. 886 del codice civile, richiamato nel quesito, non è applicabile al caso di specie visto che non si tratta di manufatto interamente in muratura.
Come aveva osservato la Suprema Corte con la sentenza n. 6174/2015Il proprietario di un fondo, che eriga un muro sul confine, ha diritto ad ottenere, dal proprietario del fondo contiguo, un contributo per metà nella spesa di costruzione solo se il manufatto integri i requisiti del muro di cinta ex art. 886 cod. civ., raggiungendo un altezza non inferiore a tre metri e sempreché lo stesso, fino a tale livello, sia integralmente in muratura.
Nè appare applicabile alla presente vicenda quanto previsto dall’art. 882 c.c. secondo cui “Le riparazioni e le ricostruzioni necessarie del muro comune sono a carico di tutti quelli che vi hanno diritto e in proporzione del diritto di ciascuno, salvo che la spesa sia stata cagionata dal fatto di uno dei partecipanti.
Infatti, nel caso in esame, la sostituzione della ringhiera con un manufatto in cemento con rimozione della siepe non appare un intervento necessario. L’aspetto della necessarietà degli interventi appare infatti imprescindibile. Come aveva osservato la Suprema Corte con la sentenza n.17899/2003: “La ricostruzione del muro comune, ove comunque necessaria, deve essere eseguita previo consenso di tutti i comproprietari, salvo che non ricorrano ragioni di urgenza, la cui insussistenza, in mancanza del consenso di tutti i comproprietari, rileva esclusivamente, al fine della ripartizione delle spese, restando escluso che, in detta ipotesi, il giudice possa ordinare la demolizione ed il ripristino dell'opera, qualora ne sia stata accertata la necessità.”

Ciò posto, vi è giurisprudenza di Cassazione che ritiene che non sia necessario il consenso del vicino per sostituire una ringhiera preesistente con un muro.
Con la sentenza n.4755/2014, la Suprema Corte -nell’interpretare l’art. 885 c.c.- ha statuito infatti che: “il muro divisorio può essere sopraelevato, anche abbattendo una preesistente rete metallica, senza necessità di consenso dell'altro comproprietario perchè la relativa facoltà, ai sensi dell'art. 885 c.c., è svincolata dal regime normale della comunione e non trova alcuna restrizione negli artt. 1102 e 1108 c.c.”
Tale sentenza ha ribadito il medesimo principio enunciato in una precedente pronuncia (la n. 237/1997).
Chiaramente, tali interventi non sono privi di limiti.
Come aveva osservato la Suprema Corte con la più risalente sentenza n.6407/1994: "il comproprietario può innalzare il muro comune senza il consenso del condomino e senza alcun vincolo di destinazione, salvo i limiti costituiti da divieto di atti emulativi e dalle esigenze di contemperamento dei reciproci interessi e di rispetto dei diritti altrui, quali quello di veduta che non può essere impedito dall'innalzamento del muro" .
In ogni caso, come previsto dal predetto art. 885 c.c., “il muro ricostruito o ingrossato resta di proprietà comune, e il vicino deve essere indennizzato di ogni danno prodotto dall'esecuzione delle opere.
Nella presente vicenda, l’intervento non appare costituire un atto emulativo.
Quanto al contemperamento dei reciproci interessi, occorrerebbe verificare se la siepe sia o meno comune (art. 898 c.c.).
Per come è lo stato dei luoghi (V.foto), sembrerebbe che la siepe si trovi solo sul lato di chi pone il quesito e, pertanto, non può considerarsi comune.

A ciò si aggiunga che occorrerebbe valutare - considerato che il terreno confinante è più alto - se viene o meno pregiudicato il diritto di veduta (da quanto riportato nel quesito e dalle foto che ci sono state trasmesse, ci sembra di no).

Alla luce di quanto precede, in risposta al quesito, possiamo affermare quanto segue.

Chi pone il quesito non è obbligato a prestare il consenso, dal momento che non si tratta di opere necessarie o urgenti (e comunque il vicino potrebbe fare manutenzione della ringhiera senza sostituirla).
In linea di principio, alla luce della interpretazione della giurisprudenza di legittimità, la sostituzione della ringhiera con manufatto in muratura potrebbe essere eseguita dal vicino anche prescindendo dal consenso di chi pone il quesito.
Nella presente vicenda, però, questo comporterebbe anche un danneggiamento della siepe di proprietà del confinante (per come è lo stato dei luoghi, come sopra specificato, essa non appare essere comune).
Quindi se è vero che il vicino, in base all’art. 885 c.c., può sopraelevare il muro di confine (eventualmente sostituendo la ringhiera presente) non appare legittimato anche a rimuovere/danneggiare una siepe di proprietà altrui in mancanza di consenso.
Se invece il predetto intervento può essere eseguito senza alcun pregiudizio alla siepe, come sopra evidenziato, non servirà allora alcun consenso.

Renato G. chiede
domenica 28/04/2019 - Lombardia
“Le ragioni della richiesta di aiuto sono le seguenti:

Vivo in un quartiere di casette bifamiliari da più di 40 anni.
Da gennaio 2018 la metà contigua ha un nuovo proprietario.

Il rapporto con il nuovo si è dimostrato difficile da subito.

Tra i lavori che hanno eseguiti c’è la sostituzione della caldaia di Riscaldamento (da tipo a basamento nel seminterrato, come originalmente in tutte le case, a condensazione turbo) installata all’esterno in prox del comune muro divisorio con inserimento nella canna fumaria a circa 2 mt dal piano terra
Questa, quando accesa, genera un anomalo rumore, intermittente e di intensità variabile, all’interno della mia abitazione. Punto di maggiore intensità è la cappa aspirante sopra i fornelli della cucina percepibile sulla parete divisoria sia al p.t. che al 1°p.
Dopo mesi di congetture e ricerche, a febbraio di quest’anno abbiamo intuito che l’origine era la suddetta caldaia.
Il 24/2/19 ho evidenziato l’anomalia ai vicini
Il 1/3/19 il proprietario e l’idraulico installatore hanno fatto sopralluogo nella mia abitazione per constatare e capire evidenziando varie pretestuose ragioni:
- Forse dalla sua parte c’è qualcosa che vibra
- Forse il condotto della sua cappa aspirante genera il rumore
- Ecc.
La canna fumaria che parte dal seminterrato e raggiunge il tetto è comune ma divisa all’interno in 4 condotti separati, 2 per cadauna abitazione. Io ne uso uno pr la cappa aspirante ed uno per la caldaia.

- In 40 anni mai avuto problemi
- Nessuna modifica è stata mai fatta

Il sopralluogo finisce con l’impegno di indagare e risolvere. Nel frattempo lui rimuoverà, dalla sua parte, una curva della sua nuova condotta fumi da caldaia a canna fumaria, cosa che elimina il rumore.

L’idraulico ritorna.
Conduce un’ulteriore e più approfondita ispezione dalla mia parte smontando tubi di aspirazione, di evacuazione fumi, ecc..
Ancora si adducono stupide, potenziali ragioni. Per appurare definitivamente suggerisce di ispezionare la canna fumaria con una telecamera.
Approvo ma evidenzio che non intendo partecipare alla spesa.
I condotti dalla mia parte sono integri e funzionali.
Il problema è generato dalla sua caldaia (provato)
Proverà a salire sul tetto per l’ispezione, mi farà sapere.

Il 1/3/19 l’idraulico telefona, chiede l’uso della mia scala a pioli per salire sul tetto dalla mia parte. Il mio vicino non da benestare a salire dalla sua parte perché la casa non ha la fune di sicurezza sul tetto. Io nego il permesso perché il tetto è formato da scandole sottili in alluminio facilmente danneggiabili.

In aggiunta al rumore, evidenzio che l’installazione, a mio avviso, non è eseguita a dovere.
L’incamiciamento della sua canna, dovuto per legge a causa della condensa che viene a crearsi, non fuoriesce dal comignolo ma rimane all’interno nella parte sommitale, condensa che anziché fuoriuscire all’aperto rimane all’interno entrando nei miei condotti.

Secondo problema.
Le due proprietà hanno piccoli cortili divisi sin dall’origine da una rete metallica comune alta 1 mt. Nell’ insediamento il vicino ha rimosso l’originale rete, sia sul retro
che sul fronte della casa, sostituendola con altra alta 2 mt senza ricevere approvazione per l’altezza.
Non soddisfatto ha aggiunto un telo di plastica pesante verde limitando la luminosità Nel suo insieme installazione precaria e non correttamente eseguita

Può questo signore agire impunemente in piena arroganza?
Vorrei l’eliminazione del rumore, l’eliminazione della condensa dai miei condotti e la riduzione dell’altezza della rete divisoria, se possibile, e la rimozione del telo di plastica che limita visuale e luminosità.
Se questo non fosse possibile correggerne l’installazione in modo più pulito (no risvolti dalla mia parte)
Infine: la rete originale di 1 mt era comune, la nuova rimane tale?

Ringrazio e saluto.

p.s.: due foto disponibili renderebbero chiari i due problemi.”
Consulenza legale i 01/05/2019
Per rispondere alle domande contenute nel quesito, occorre in primo luogo tenere presente quanto previsto dall’art. 844 c.c. in merito ai rapporti di vicinato.
Secondo tale norma il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori ecc. derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.
Nella presente vicenda, le immissioni sono relative “soltanto” al rumore.

Naturalmente, il superamento della soglia di tollerabilità va valutato caso per caso.
In merito a tale accertamento, la Cassazione (Cfr. sentenza n.1606/2017) ha sottolineato che “In tema di immissioni, i mezzi di prova esperibili per accertare il livello di normale tollerabilità ex art. 844 c.c. costituiscono tipicamente accertamenti di natura tecnica che, di regola, vengono compiuti mediante apposita consulenza d'ufficio con funzione "percipiente", in quanto soltanto un esperto è in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone, l'intensità dei suoni o delle emissioni di vapori o gas, nonché il loro grado di sopportabilità per le persone, potendosi in tale materia ricorrere alla prova testimoniale soltanto quando essa verta su fatti caduti sotto la diretta percezione sensoriale dei deponenti e non si riveli espressione di giudizi valutativi.“

Nel caso che ci occupa, riguardo l’aspetto del rumore, in caso di persistente inerzia del vicino, sarebbe opportuno far verificare ad un tecnico di fiducia l’effettivo superamento della soglia di tollerabilità all’interno del proprio appartamento.
Esiste normativa specifica in proposito, (il DPCM 5/12/1997Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici”) ma occorre tenere presente che per giurisprudenza costante della Suprema Corte, al di là di quelli che sono i parametri oggettivi previsti dalla legge, “la tollerabilità o meno di un'immissione va valutata caso per caso, dal punto di vista del fondo che la subisce, tenendo conto delle "condizioni dei luoghi" (art. 844 c.c.), e quindi, tra l'altro, della loro concreta destinazione naturalistica ed urbanistica, delle attività normalmente svolte nella zona, del sistema di vita e delle abitudini di chi vi opera; il limite di tollerabilità delle immissioni, pertanto, non ha carattere assoluto ma è relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti; spetta, tuttavia, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità, con giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità”. ( Cass. n. 6136/2018).

Fermo quanto precede, se comunque venga riscontrato un superamento della soglia di tollerabilità, vi sarebbero fondati presupposti per intentare una azione legale al fine di chiedere l’eliminazione del rumore intollerabile, oltre i danni ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Anche per quanto riguarda l’aspetto della condensa, fatta fare una verifica da un tecnico di fiducia, potrebbero esservi i presupposti per chiedere tutela giudiziale avente ad oggetto l’eliminazione della causa del danno.

Per quanto riguarda gli altri aspetti, si osserva invece quanto segue.

Come disposto dall’art. 880 del codice civile, il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune.
Il successivo art. 885 c.c. stabilisce altresì che “ogni comproprietario può alzare il muro comune ma sono a suo carico tutte le spese di costruzione e conservazione della parte sopraedificata ”.

Ciò significa, che il Suo vicino ha legittimamente esercitato una facoltà prevista dalla legge.

Tuttavia, occorre tenere presente che detto diritto di sopraelevazione non può essere esercitato quando ne derivi un pregiudizio ad eventuali diritti di servitù spettanti al vicino, quali quello di veduta.
Come ha osservato la Suprema Corte: "il comproprietario può innalzare il muro comune senza il consenso del condomino e senza alcun vincolo di destinazione, salvo i limiti costituiti da divieto di atti emulativi e dalle esigenze di contemperamento dei reciproci interessi e di rispetto dei diritti altrui, quali quello di veduta che non può essere impedito dall'innalzamento del muro" (Cass. n. 6407/1994).

Ciò posto, nel caso in esame non è stato specificato se Lei abbia delle finestre che hanno una vista che in qualche modo viene impedita dall’innalzamento della rete e dalla sua copertura con il telo di plastica. Se fosse così, l’innalzamento e copertura della rete di confine potrebbero forse costituire un presupposto per azionare un giudizio possessorio di turbativa nel possesso della servitù di veduta.
Tale presupposto non appare tuttavia pacifico e andrebbe rimesso alla valutazione del giudice di merito dal momento che nella presente vicenda non vi è stato l’innalzamento di un muro ma di una rete metallica con l’apposizione di un telo.

Inoltre, occorre verificare anche se l’apposizione del telo possa essere ritenuta o meno un atto emulativo.
Ricordiamo che gli atti emulativi, sono tutte quelle azioni che hanno il solo scopo di recare fastidio ad altri. Nell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza, un atto per essere considerato emulativo deve presentare il concorso di due elementi: a) che l'atto di esercizio dei diritto non arrechi utilità al proprietario; b) che tale atto abbia il solo scopo di nuocere o arrecare molestia ad altri (Cass. n. 9998/1998).
E proprio riguardo l’apposizione di un telo di plastica sulla rete di confine, la Suprema Corte ne ha escluso il carattere emulativo in quanto esso: “come limite esterno al diritto, nella specie di proprietà, esercitabile dal confinante, deve essere valutato in termini restrittivi, anche quale residua utilità, per cui seppure l'opera può non rispondere completamente ai requisiti funzionali che ne giustificano la realizzazione, tuttavia la obiettiva idoneità a soddisfarli in gran parte consente l'esclusione del carattere emulativo e, quindi, della richiesta tutela". (Cass. n.7805/2013).

Alla luce di tutto quanto precede, riepilogando, in risposta alle domande contenute nel quesito possiamo in sintesi affermare che:
a) La richiesta di eliminazione del rumore è possibile nei termini sopra indicati; idem per quanto riguarda l’eliminazione della condensa;
b) La richiesta di riduzione dell’altezza non appare invece legittima visto quanto previsto dall’art. 885 c.c., salva eventuale tutela di un preesistente diritto di veduta; circa la rimozione del telo di plastica appare anche essa di difficile attuazione alla luce della interpretazione fornita dalla Suprema Corte;
c) la parte sopraedificata può essere resa comune ai sensi dell’art. 885 c.c. secondo quanto disposto dall’art. 874 c.c.


Epifanio G. chiede
domenica 29/04/2018 - Liguria
“Buon giorno.
Ho comprato una porzione di villetta bifamiliare suddivisa in verticale.
Inizialmente era stata progettata come unica
unità abitativa in un secondo tempo sempre in fase di edificazione fu divisa in due unità abitative con regolare variante progettuale.
Nel fare ciò fu costruita da progetto di variante una scala di accesso in una delle due porzioni abitative la quale si veniva a trovare a meno di tre metri dal confine dell'altra unità abitativa, chi compro prima di me in un secondo tempo chiuse la suddetta scala creando un vano scala senza aperture.
Ora per varie vicissitudini mi si chiede di demolire il vano scala perché nel costruirlo non furono rispettate le distanze di costruzioni.
Devo demolire o mi posso opporre in quanto le distanze erano già decadute in quanto non erano già rispettate in fase progettuali, inoltre sono trascorsi più di 20 anni ma avendo io comprato con le opere già fatte dal vecchio proprietario non so come certificare ciò.
Il muro perimetrale che divide le due proprietà e alto due metri e sopra il vicino vi aveva posto una rete portandolo a tre metri sulla quale aveva fatto crescere un glicine creando si una pergola sulla sua proprietà ora col diverbio del vano scala ha tagliato il glicine (ma sono rimasti i pali che reggeva o la rete) posso portarlo io a tre metri con i mattoni senza incorrere in divieti di vedute o luce?”
Consulenza legale i 01/05/2018
Con riguardo la scala di accesso si osserva quanto segue.
Nel quesito leggiamo che sono trascorsi più di venti anni da quando la medesima è stata realizzata. Pertanto, può sicuramente trovare applicazione quanto disposto dall’art. 1158 del codice civile in materia di usucapione.
Sul punto, la giurisprudenza della Cassazione, a partire dal 2010, è infatti concorde nel ritenere ammissibile l’acquisto di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione (in questo caso una scala) a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti locali. Tale principio è stato ribadito più volte ( Cass. civ. Sez. II sentenza n.4240/2010, Cass. Civ. Sez. II sentenza n. 22824/2012, Cass. Civ. Sez. II sentenza n. 18888/2014, per citare alcune pronunce), e riaffermato da ultimo con la sentenza n. 1395/2017 dove leggiamo: “ È ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell'ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso "ad usucapionem".

Pertanto, in risposta alla prima domanda contenuta nel quesito, possiamo affermare che il vicino non può chiedere la demolizione della scala e se dovesse agire giudizialmente in tal senso, sarebbe legittimo opporre l’intervenuto acquisto per usucapione del diritto di mantenere detta scala.
Ciò, in mancanza di documenti, potrebbe essere provato in giudizio anche tramite testimoni.

Con riguardo invece alla seconda domanda contenuta nel quesito si osserva quanto segue.
Come disposto dall’art. 880 del codice civile, il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune.
Il successivo art. 885 c.c. stabilisce altresì che “ogni comproprietario può alzare il muro comune”. Tuttavia, occorre tenere presente che detto diritto di sopraelevazione non può essere esercitato quando ne derivi un pregiudizio ad eventuali diritti di servitù preesistenti spettanti al vicino, quali quello di veduta.
Come ha statuito la Suprema Corte: "il comproprietario può innalzare il muro comune senza il consenso del condomino e senza alcun vincolo di destinazione, salvo i limiti costituiti da divieto di atti emulativi e dalle esigenze di contemperamento dei reciproci interessi e di rispetto dei diritti altrui, quali quello di veduta che non può essere impedito dall'innalzamento del muro" (Cass. 7.7.94, n. 6407).

Ciò posto, nel caso in esame non è stato specificato se il vicino abbia delle finestre che hanno una vista che in qualche modo verrebbe impedita dall’innalzamento del muro. Se così fosse, l’innalzamento del muro potrebbe far legittimamente azionare dal vicino un giudizio possessorio di turbativa nel possesso della servitù di veduta.
Laddove invece non vi sia in concreto alcuna veduta o altro diritto preesistente, il muro potrebbe essere tranquillamente innalzato.

Simone B. chiede
venerdì 24/03/2017 - Toscana
“E’ AMMESSO SOSTITUIRE D’IMPERIO LA CLASSICA RECINZIONE IN FERRO ANCORATA AL MURO DI CINTA CON UN’ALTRA RECINZIONE PIU’ ALTA E DOTATA DI PANNELLI IN LAMIERA FRANGI VISTA ?

Per i dettagli si rimanda alla lettura della e-mail che vi invierò e relativi allegati.

Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 31/03/2017
La possibilità di sostituire la ringhiera in rete metallica, che insiste sul muro di cinta, con dei pannelli laminati frangi vista, dipende da due ordini di questioni.

Occorre preliminarmente considerare che l’art. 880 c.c. presume la comunione del muro “che serve di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi” e che, nel suo caso, dalle foto inviateci, sicuramente il muro appartiene ad entrambi i proprietari dei fondi finitimi non essendoci pioventi, sporti, vani o simili che sporgano sull'uno o sull'altro fondo e che, ai sensi dell'art. 881 c.c,. farebbero invece presumere il contrario.

Nonostante il bene sia in comproprietà, la disciplina codicistica in materia, derogando alle norme sul condominio, consente al singolo proprietario di intervenire sul bene anche senza il consenso dell’altro per garantirgli il pieno godimento del proprio immobile, ed eventualmente sopperire all’inerzia del vicino per le opere di manutenzione e conservazione.
Con riguardo al caso specifico la norma di riferimento è l’art. 885 c.c. rubricato “innalzamento del muro comune” che prevede che “ogni comproprietario può alzare il muro comune, ma sono a suo carico tutte le spese di costruzione e conservazione della parte sopraedificata".
La contropartita della disposizione è che il vicino si avvantaggia dell’opera altrui pur non avendone sostenuto le spese, e potendo comunque far propria la recinzione perimetrale.
E' conseguenziale che se la Legge permette al comproprietario di alzare il muro comune, purché ne sostenga le spese anche per il rafforzamento dello stesso, allora certamente non potrà vietarsi al comproprietario la sostituzione della rete metallica con pannelli laminati che non alterano la funzione di divisione della rete e che arrecano una maggiore privacy ai proprietari di entrambi gli immobili.

Tra le scarse sentenze in materia, nella pronuncia n. 237 del 1997 la Cassazione ha affermato che il muro divisorio può essere sopraelevato, anche abbattendo una preesistente rete metallica, senza necessità di consenso dell'altro comproprietario perché la relativa facoltà, ai sensi dell'art. 885 c.c. è svincolata dal regime normale della comunione.
Mentre una più recente sentenza ha ricondotto l’impianto di opere sul comune muro di cinta nella fattispecie prevista dall’art. 1102 c.c.. Secondo la Corte, cioè, l'impianto di una rete metallica sul muro di cinta è pienamente legittima, in quanto costituisce un uso della cosa comune che non ne altera la destinazione e non impedisce di farne parimenti uso all’altro condomino (sent. 4755/2014).

Un secondo ordine di questioni attiene invece alla sussistenza di eventuali diritti del vicino confliggenti rispetto alla nuova opera.
Il diritto di sopraelevazione del muro ovvero l’opera impiantata sul bene comune non può ritenersi legittima ove ne derivi pregiudizio ai diritti di servitù spettanti al vicino come nel caso di una servitù di veduta.
Il quesito non attiene dunque alla distanza delle costruzioni dalle vedute, quanto all’eventuale esistenza di una servitù di veduta.

A tal proposito si deve specificare che la Cassazione è granitica nell’affermare che il muro divisorio tra due immobili non può dar luogo all'esercizio di una servitù di veduta, sia perché ha solo la funzione di demarcazione del confine e/o di tutela del fondo, sia perché è inidoneo a costituire una situazione di soggezione di un fondo all'altro, tipica delle servitù, sussistendo invece una reciproca possibilità di affaccio da entrambi i fondi confinati (ex pluribus Cass.n. 6927/2015).

Non essendoci dunque una servitù di veduta, non dovendosi realizzare nessuna nuova costruzione e poiché il codice consente l’innalzamento del muro comune, non può essere di ostacolo al Suo progetto la mera contraria volontà del vicino.
Può essere tuttavia buona norma preannunciare al vicino le Sue intenzioni con una raccomandata, anche se non vi è alcun obbligo giuridico in tal senso.

Sergio B. chiede
lunedì 02/01/2017 - Lombardia
“sono proprietario di un villetta a schiera sita in M. in via C. 12 con giardino annesso. Il proprietario del civico 10 rialzò (anni 60) la sua villetta (simile alla mia) e al posto del suo giardino confinante (sempre confinante col mio ) costruì un edificio adibito ad uffici o forse anche ad abitazione. Specifico che il muro confinante della costruzione è stato innalzato utilizzando tutto lo spazio che prima costituiva il muretto di confine dei giardini. Praticamente un muretto di confine alto circa 40 cm. è stato sostituito con un muro di un edificio con fondamenta adeguate.
Ora il vicino pretende da me la manutenzione del muro stesso chiedendomi danni per infiltrazioni ai suoi locali.
Con google maps si vedono benissimo le villette, i giardini, e quello che appare come capannone al posto del giardino del civico 10 di via C. a M.
In attesa porgo cordiali saluti”
Consulenza legale i 12/01/2017
Il primo argomento che si rende necessario affrontare è quello della disciplina applicabile alla parete dell'edificio realizzata sull’originario muretto di recinzione alto 40 cm.
La norma che per tale ipotesi deve prendersi in esame è senza dubbio quella di cui all'art. 885 c.c., rubricato proprio “Innalzamento del muro comune”.

Dispone tale norma che ogni comproprietario può alzare il muro comune, ma sono a suo carico tutte le spese di costruzione e conservazione della parte sopra edificata, che può dal vicino essere resa comune a norma dell'art. 874 C.c.; conseguenza di questa attività sarà che il muro innalzato perde la caratteristica di muro di cinta.
Tale sopraelevazione può essere eseguita anche nel caso in cui il muro da sopraelevare svolga la funzione di muro divisorio, persino abbattendo una preesistente rete metallica posta su di esso, e ciò può esser fatto senza necessità di consenso dell'altro comproprietario, perché la relativa facoltà, ai sensi dell'art. 885 C.c. è svincolata dal regime normale della comunione e non trova alcuna restrizione negli artt. 1102 e 1108 C.c. ( così Cass. Sez. II n. 4755/2014).

Occorre tuttavia precisare che, seppure la parte sopraelevata è svincolata dal rigore dei principi posti dall'art. 1102 C.c., tale norma continuerà a trovare applicazione per quanto riguarda la parte sottostante (l’originario muretto di 40 cm.), costituente pur sempre oggetto di comunione; da ciò ne consegue che l’innalzamento dovrà essere realizzato in modo da consentire al comproprietario del sottostante muro l’utilizzazione secondo la sua destinazione naturale.
Inoltre, come dispone chiaramente la norma in esame, la sopraelevazione intanto potrà essere considerata legittima in quanto venga realizzata con gli opportuni adattamenti che ne assicurino la stabilità e la solidità.

In sostanza occorre procedere al necessario contemperamento dell'esercizio della facoltà del vicino di innalzare il muro per edificarvi con l'interesse del comproprietario del muro comune che deve subire il minor aggravio.
Ed è evidente che, nel caso in cui il muro non si presenti idoneo a sostenere la sopraelevazione, la liceità di quest'ultima sarà subordinata alla preventiva esecuzione di quelle opere di rinforzo previste dall'art. 885 C.c. e che siano necessarie per la conservazione della destinazione del muro sottostante.
Ne consegue che la realizzazione dell'innalzamento del muro comune, non idoneo a sopportare il peso della costruzione realizzata dal comproprietario senza la preventiva esecuzione delle opere di rinforzo, è da considerarsi illegittima ai sensi della norma citata (così Cass. Sez. II n. 26784/2014).

Per tutto quanto sopra detto, dunque, e dando per presupposto che il muro sia stato innalzato legittimamente (nel quesito si parla di “fondamenta adeguate”), si avrà che il proprietario del giardino confinante sarà tenuto a provvedere alla manutenzione e conservazione del muro dell’edificio soltanto per la parte originaria corrispondente al muretto alto 40 cm, non avendo tale parte perso la sua destinazione originaria e restando di proprietà comune ex art. 1102 c.c.

Discorso diverso invece va fatto per quanto concerne i lamentati danni da infiltrazione.
Al riguardo si ritiene interessante richiamare una sentenza della Corte di Cassazione Sezione II del 27 luglio 2015 n. 15730, la quale nel decidere su un caso analogo (la vicenda in quel caso nasceva dalle lamentele di un confinante che aveva subito delle infiltrazioni al proprio corpo di fabbrica provenienti dal giardino del condominio vicino), richiama l'art. 2051 del codice civile, che disciplina la responsabilità delle cose in custodia, sancendo la responsabilità del possessore del giardino individuato come fonte delle infiltrazioni.
Occorrerà dunque preliminarmente accertare quale sia la fonte dei danni lamentati, e ciò al fine di stabilire se tali danni derivino effettivamente dal giardino (ad esempio da un difettoso sistema di irrigazione), da un difetto di realizzazione costruttiva del muro dell’edificio (ad esempio da una mancata esecuzione delle necessarie opere di impermeabilizzazione), ovvero da una inadeguata manutenzione del muro (ricordandosi che, in virtù di quanto detto sopra, la manutenzione del muro per l’altezza di 40 cm dal suolo spetterà ad entrambi i comproprietari perché pur sempre muro comune).
Eseguito questo indispensabile accertamento (per il quale si suggerisce di farsi coadiuvare da un tecnico di comune fiducia), occorre tenere pur sempre presente che la responsabilità per i danni da cose in custodia, disciplinata dal sopra richiamato art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e dunque mentre al danneggiato basterà dimostrare il danno subito e il rapporto di causalità con il bene in custodia, il proprietario della cosa (ossia del giardino) potrà evitare la responsabilità solo dimostrando il caso fortuito.

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