Diritto del condomino di appoggiare al muro comune
Il comproprietario può fabbricare appoggiando le sue costruzioni al muro comune (art. 885). Si tratta dell'
appoggio laterale: un caso che è previsto dall'art.
884 capov. Se il muro non fosse comune il vicino, secondo il nuovo codice (
art. 877 del c.c.), potrebbe costruirvi in aderenza, ma non avrebbe il diritto di appoggiarvisi, con o senza addentellatura.
L'art. 885 non pone
nessuna restrizione circa la natura e la destinazione della costruzione che si vuole appoggiare al muro comune. Di solito si tratta dell'appoggio di un edificio, ma può trattarsi dell'appoggio di una semplice scala, di una serra, ecc. Qualche restrizione può venire però da altre disposizioni di legge (
art. 889 del c.c.) oppure dall'esistenza di una servitù che renda incompatibile l'appoggio: così il vicino non potrebbe appoggiare la costruzione al muro comune, se il proprietario confinante avesse per convenzione il diritto di aprirvi delle luci.
Il diritto di appoggiare sul muro comune non costituisce un diritto di servitù, pertanto non si estingue, come avviene per la servitù (
art. 1073 del c.c.) se non lo si usa per un periodo di venti anni, ma costituisce un diritto derivante dalla proprietà e come tale non può essere colpito dalla prescrizione estintiva indipendentemente dal diritto di proprietà.
Immissione di travi
Altro diritto che la legge concede al condomino, rispetto al muro comune, è quello di immettervi travi per la grossezza del medesimo, purché le mantenga alla distanza di cinque centimetri dalla superficie opposta: salvo il diritto dell'altro condomino di fare accorciare la trave sino alla metà del muro, nel caso in cui egli voglia collocare una trave nello stesso luogo, per aprirvi un incavo od appoggiarvi un camino (art. 885).
Il diritto di immettere la trave per tutta la grossezza del muro si spiega con la
natura della comunione pro indiviso del muro, altrimenti la trave non avrebbe potuto oltrepassare la linea mediana. La limitazione dei cinque centimetri dalla superficie opposta si spiega con l'esigenza di non deturpare la parete del vicino. L'art. 885 parla di travi in termini generici, e quindi non importa se si tratta di travi di legno oppure di ferro, che sono oggi maggiormente in uso nelle costruzioni. L'art. 885 non permette esplicitamente l'immissione di altri oggetti, ma il diritto di immissione nel muro comune deve interpretarsi in modo più esteso: pertanto deve intendersi permessa l'immissione per addentellatura dei gradini della scala che si appoggia al muro comune, l'addentellamento di mensole, ecc. per sorreggere statue ed altri oggetti, e cosi via.
Il diritto d'immissione comprende naturalmente quello di
eseguire tutte le opere necessarie per attuarla. L’immettente può quindi forare provvisoriamente tutto il muro, se ciò è necessario, salvo poi ristabilire lo spessore dei cinque centimetri richiesti dalla legge e indennizzare in ogni caso il condomino dei danni che abbia potuto subire. I1 diritto di forare provvisoriamente tutto il muro anche per l'immissione delle travi, nonostante il rispetto dei cinque centimetri, si può argomentare dall'analoga disposizione concernente l'attraversamento del muro comune con chiavi e catene di rinforzo, per le quali è indispensabile la perforazione di tutto il muro per la necessità di apporre all’ estremità il bolzone.
Diritto dell'altro condomino all'accorciamento della trave alla metà del muro
La legge fa salvo il diritto dell'altro condomino di far accorciare la trave fino alla metà del muro nel caso in cui egli voglia collocare una trave nello stesso luogo, aprirvi un incavo od appoggiarvi un camino. Questo diritto di accorciamento si giustifica con la
necessità di contemperare le esigenze dei due condomini, che hanno uguali diritti sul muro comune e devono quindi essere messi in condizione di perfetta uguaglianza.
I tre casi di accorciamento previsti dalla legge sono
esemplificativi e non tassativi: quindi il diritto all'accorciamento compete in generale quando esso sia reso necessario dall'esercizio dei diritti di condominio spettanti all'altro condomino.
Ci si chiede
a spese di chi debba farsi l'accorciamento: c’è chi addossa tale spesa al condomino primo immettente, mentre secondo altri grava sul condomino che ha bisogno dell'accorciamento, ma l’opinione preferibile rimane la prima. Anzitutto, è vero che il condomino nell'immettere la trave per tutta la grossezza del muro ha esercitato un diritto che gli deriva tanto dai principii della comunione
pro indiviso, quanto dalla disposizione dell'art. 885; e sotto questo aspetto parrebbe che la spesa di accorciamento debba gravare sull'altro condomino. Ma è altrettanto innegabile che l'esercizio di questo suo diritto è subordinato alla condizione che l'altro non eserciti il medesimo diritto: quando la condizione si verifica, il condomino può pretendere di trovare libera da ogni immissione la metà dello spessore del muro. Un ulteriore argomento a sostegno di tale tesi, poi, ha carattere letterale: l'art. 885 fa salvo il diritto dell'altro comproprietario di far accorciare la trave fino alla metà del muro, nel caso in cui egli voglia collocare una trave nello stesso luogo, aprirvi un incavo, od appoggiarvi un camino. La differenza tra le due locuzioni è evidente e significativa.
L'accorciamento può portare nella pratica
oneri e danni non lievi, soprattutto quando si tratti di travi di ferro anziché di legno: ma il condomino, obbligato ad attuarlo, non può lamentarsene, perché sapeva che un giorno o l'altro poteva essere obbligato a ritirarsi alla meta del muro, pertanto, se non vi ha provveduto fin da principio,
imputet sibi.
Chiavi e catene di rinforzo
Altro diritto riconosciuto dalla legge al comproprietario è quello di attraversare ii muro comune con chiavi e catene di rinforzo, mantenendo la stessa distanza dei cinque centimetri dalla superficie opposta, come per l'immissione delle travi.
Questa è una
disposizione nuova rispetto al codice francese: i primi a introdurla furono i codici Albertino (art. 574) ed estense (art. 539), dai quali passò nel codice del 1865, e ora nel nuovo (art. 885). La sua utilità è comprovata dal largo uso che si fa di tali chiavi, specialmente nei paesi soggetti a terremoti, perché esse rendono solidali i muri mediante il contrasto, impedendone il divaricamento. Si è accusato il legislatore di aver concesso al condomino un diritto esorbitante, in forza del quale lo si pone in grado di sfruttare la solidità del muro comune a vantaggio di un muro proprio debole, o anche strapiombato e pericolante, tutto a danno dell'altro condomino. Ma l'accusa non è fondata: anzitutto, il caso normale è quello della reciproca e preventiva assicurazione di due muri entrambi in buono stato, al solo scopo di aumentarne la solidità, infatti la funzione delle chiavi è, più che altro, preventiva. In ogni caso, poi, vi è la clausola esplicita nella legge che prevede l'obbligo di riparare i danni causati dalle opere compiute.
A differenza di quanto disposto per le travi, l'art. 885
non ripete per le chiavi e le catene di rinforzo
la limitazione dell'accorciamento nel caso in cui l'altro condomino volesse servirsi del muro comune nello stesso punto. Le ragioni di questa diversità di trattamento sono intuitive: l'accorciamento della chiave alla metà del muro sarebbe difficile ad attuarsi, e anche quando fosse possibile farlo, l'utilità della chiave sarebbe di molto diminuita, e potrebbe essere addirittura annullata, se la residua grossezza del muro fosse insufficiente ad assicurarne il contrasto.
Diritto di sopraelevare il muro comune
Fin dall'antico diritto consuetudinario fu riconosciuto al condomino il diritto di sopraelevare il muro comune: tale diritto era regolato minuziosamente dalla Consuetudine di Parigi, da cui passò nel codice francese e, attraverso i codici italiani preesistenti, nel codice del 1865 e nel nuovo (art. 885).
Come è naturale, il diritto di sopraelevazione
non può essere esercitato quando ne derivi
pregiudizio ai diritti di servitù spettanti al vicino o anche a terzi, come nel caso di una
servitus altius non tollendi, o di veduta, o di una convenzione che escluda l'alzamento. Ma non può essere di ostacolo al diritto di sopraelevazione la contraria volontà del vicino.
La legge non fissa alcun limite all'altezza dell'alzamento, il quale può quindi portarsi a qualsiasi livello, anche quando provochi un danno al condomino togliendogli aria e luce, salvo beninteso le speciali limitazioni imposte dai regolamenti locali. Tale facoltà, peraltro, non potrebbe esercitarsi a scopo meramente emulatorio, perché gli atti emulatori sono ormai testualmente vietati dal nuovo codice (
art. 833 del c.c.). Del resto, anche a prescindere da tale esplicito divieto, in materia di muri comuni si era ravvisata sufficiente la disposizione dell'art. 675 del codice 1865, riprodotta poi nell' art.
1102 del nuovo codice, per negare al condomino l'esercizio immoderato del proprio diritto, fatto al solo scopo di danneggiare l'altro condomino.
Spese della sopraelevazione. Sopraelevazione parziale
L'esercizio del diritto di sopraelevare dà luogo alla formazione di una proprietà separata o superficiaria appartenente al condomino che ha sopraelevato, insistente sul sottostante muro comune. Ordinariamente la costituzione della proprietà superficiaria avviene a seguito di una
concessione ad aedificandum, che deroga al normale rapporto di accessione : qui la concessione promana dalla legge. Quale proprietario esclusivo della sopraelevazione il condomino che sopraeleva il muro comune deve sostenere tutte le spese di costruzione e di conservazione della parte sopraedificata (art. 885).
Si è discusso se l'alzamento del muro possa eseguirsi dal condomino, anziché per tutto il muro,
per una sola parte di esso, sia rispetto alla grossezza che alla lunghezza, o se invece sia sempre necessario mantenere la grossezza originaria ed estendere l'alzamento a tutta la lunghezza. Nonostante la contraria opinione di alcuni autori, è ammesso l'alzamento parziale, come sostiene anche la giurisprudenza prevalente.
Bisogna prendere le mosse dal principio secondo cui l'alzamento è una proprietà esclusiva (quantunque elevata sul muro comune) che uno dei condomini compie a sue spese, secondo la propria convenienza, salvo osservare le condizioni prescritte dall'art. 76. Ciò non toglie, tuttavia, al vicino il diritto di chiedere la cessione coattiva della sopraelevazione e
di abbattere la sopraelevazione esistente per rifarla con maggiori proporzioni, se egli non la ritiene adatta per gli usi che ne intende fare: ma fino a che egli non esercita tale diritto, il condomino che vuole sopraelevare resta completamente libero di farlo come più gli conviene.
La stessa libertà compete al condomino anche circa i materiali con cui intende fare la sopraelevazione, che possono essere diversi da quelli con cui e stato costruito il muro comune.
Ricostruzione e ingrossamento del preesistente muro comune per sostenere la sopraelevazione
Se il muro non è adatto a sostenere la sopraelevazione colui che la esegue è tenuto a ricostruirlo o rinforzarlo a sue spese (art. 885 capov.).
Quando la sopraelevazione è di
notevole entità può essere necessario ricostruire il muro comune aumentandone lo spessore: in questo caso, per il maggiore spessore che risulta necessario, il muro deve essere costruito su suolo proprio del condomino che sopraeleva (art. 885 capov.). Ma a questa disposizione, che si trovava anche nel codice del 1865, il nuovo codice ne ha aggiunta un'altra di dubbia opportunità, ammettendo che per il maggiore spessore il muro possa essere costruito sul suolo del vicino quando ciò sia imposto da esigenze tecniche. Si tratta di un nuovo caso di
espropriazione per privata utilità, da aggiungere a quelli della cessione coattiva della comunione del muro di confine (
art. 874 del c.c.), del muro che non e sul confine (art. 66) e dello sconfinamento di fabbriche sul fondo contiguo (
art. 938 del c.c.), tutti ispirati al concetto progressivo del favore dell'edilizia, che impone notevoli limiti alle proprietà vicine.
Del resto, il legislatore
ha salvaguardato l'interesse del vicino con opportune disposizioni. Ponendo fine a vecchie e prolisse dispute sorte sotto l'impero del codice francese e continuate col codice del 1865, il nuovo codice dichiara che tanto il muro ricostruito nella primitiva grossezza quanto quello ingrossato «
resta di proprietà comune »: ciò poiché il vicino si avvantaggia gratuitamente della costruzione nuova e irrobustita anche per l'esercizio di diritti che l'originario muro, nelle primitive condizioni di vetustà o di minore solidità, non avrebbe consentito o avrebbe consentito in misura minore .Se poi il muro per esigenze tecniche si è dovuto ingrossare anche sull’ area del vicino, gli si riconosce il diritto di conseguire pure il valore della metà del suolo occupato per il maggiore spessore. In ogni caso, al vicino deve essere risarcito ogni danno prodotto dall’ esecuzione delle opere (art. 885).
Comunione forzosa della sopraelevazione. Se soggiace alla disposizione dell'art. 879 per gli edifici demaniali
La legge ammette che il vicino che non ha voluto partecipare in un primo tempo alla sopraelevazione possa in secondo tempo acquistarne la comunione a norma dell'art.
874 (art. 885, primo comma): ciò sempre in applicazione del principio di uguaglianza dei condomini, che domina tutta la materia della comunione e per cui l'esercizio dei diritti di condominio da parte di uno dei condomini non deve limitare l'esercizio di uguali diritti da parte dell'altro, anche quando questo segua a distanza di tempo.
Nel vecchio codice l'art. 555 poneva a carico del condomino che chiedeva la comunione della sopraelevazione il pagamento della metà «
di quanto ha costato »: ciò a differenza dell'art. 556 che per l'ordinaria cessione coattiva della comunione del muro richiedeva il pagamento della metà «
del valore ». Il nuovo codice, richiamando all'art. 885 comma 1 il dettato di cui all’art.
874, da una parte adotta anche per la comunione forzosa della sopraelevazione il criterio della «
metà del valore »; dall'altra (art. 885 u. c.) tiene conto nel calcolare il valore della sopraelevazione «
anche delle spese occorse per la ricostruzione o per il rafforzamento »; venendo così a integrare il criterio della «
metà del costo ». Criterio che appare pienamente giustificato e dettato al fine di non creare alcuna disparità tra i condomini che per l'esercizio dell'uguale diritto di sopraelevazione devono essere messi in condizioni di perfetta uguaglianza, anche quando la partecipazione alla sopraelevazione non segua contemporaneamente ma in un tempo successivo da parte di uno di essi.
Ci si è chiesti se la comunione forzosa della sopraelevazione
soggiaccia alla disposizione dell'art. 879 che ne esenta gli edifici appartenenti al demanio pubblico e quelli soggetti allo stesso regime, nonché gli edifici che sono riconosciuti di interesse storico, archeologico o artistico. Il caso si presenta quando l'edificio demaniale e l'edificio privato abbiano in comune il muro divisorio e questo viene sopraelevato dal demanio: potrà il privato pretendere la comunione forzosa della sopraelevazione demaniale?
La
risposta è
affermativa: l'art.
879 impedisce la comunione forzosa, oltre che per l'inalienabilità delle cose demaniali, anche perché non è possibile che l'interesse pubblico si metta allo stesso livello dell'interesse privato, entrando un privato in comunione col demanio. Ma quando questo stato di cose già esiste , quando demanio e privato si trovano, per qualsiasi ragione, ad esser condomini di uno stesso muro, i loro diritti, come i loro doveri, si devono regolare strettamente secondo i principi della comunione, ossia in base alla più perfetta uguaglianza. Se ciò comporta un pregiudizio all'interesse pubblico, si potrebbe sempre ricorrere al diritto di espropriazione forzata del diritto di sopraelevazione competente al condomino privato, ma non è giusto adottare un trattamento diverso per i due condomini, solo perché uno e il demanio e l’ altro un privato qualunque.
Tale conclusione trova conforto anche in ulteriori considerazioni. Come detto più sopra (art.
879, n. 3), l'esenzione dalla comunione forzosa vale solo a favore e non contro il demanio, pertanto è ammesso che il demanio possa acquistare la comunione del muro privato a norma dell'art. 885 pagando la metà del valore del muro e del suolo. Ora, se il demanio sopraeleva il muro non può disconoscere al condomino il diritto alla comunione forzosa della sopraelevazione a norma dell'art. 885 perché altrimenti si verrebbe a verificare questa inammissibile conseguenza, che il demanio con il semplice pagamento della metà del muro e del suolo acquisterebbe non solo il diritto di comunione, ma altresì il diritto di togliere al privato condomino l'esercizio dei diritti a cui essa dà luogo. Non vi è nessun dubbio che esigenze d'interesse pubblico possano giustificare anche l'espropriazione forzata del muro comune per impedire al privato l'esercizio dei suoi diritti di condominio, ma sarebbe iniquo espropriarlo senza conferirgli nessun corrispettivo, cioè in base al solo acquisto della comunione fatto contro di lui.
Se il condomino abbia diritto all'approfondimento del muro comune
Ci si è domandati se, oltre al diritto all'innalzamento, competa al condomino anche il diritto all'approfondimento del muro comune come nel caso in cui volesse fabbricare una cantina. L'opinione comune risponde
affermativamente.
Apertura di incavi
Il codice del 1865 riconosceva al condomino, pur con alcune limitazioni, anche il diritto di fare incavi nel muro comune (art. 557). Il nuovo codice dispone all'art. 885 capov. che il condomino «
non può fare incavi nel muro comune, nè eseguirvi altra opera, che ne comprometta la stabilità o che in altro modo lo danneggi ».
La locuzione dell'art. 885 è
ambigua per quello che riguarda gli incavi, perché non è chiaro se l'apertura di incavi sia vietata incondizionatamente, oppure solo nel caso in cui comprometta la stabilità del muro comune o comunque lo danneggi, così come è stabilito in genere per le altre opere dallo stesso articolo. Ma ogni dubbio viene meno se si confronta il capov. dell'art. 885 con la disposizione contenuta nel primo comma dello stesso articolo, dove il diritto di aprire l'incavo nel muro comune è esplicitamente riconosciuto al condomino agli effetti di esigere l’ accorcia-mento della trave del vicino. L'apertura di incavi può essere molto utile per il condomino: essi possono limitarsi a un armadio, a una nicchia, o prolungarsi sino alla sommità e formare il tubo di un camino.
Ma
fino a che punto possono addentrarsi gli incavi? Il codice parmense disponeva esplicitamente che non si poteva mai oltrepassare la terza parte del muro. Nel silenzio del codice, argomentando dalla natura della comunione del muro che è
pro indiviso, si ritiene che l'incavo possa spingersi
oltre la metà della linea mediana, fino a lasciare un residuo spessore che garantisca la stabilità del muro e la separazione dal vicino. A nulla vale l’opinione contraria secondo cui in tal modo si darebbe al condomino la possibilità di crearsi un segno di propriety esclusiva a suo favore, perché, come abbiamo rilevato a suo tempo (art.
881, n. 4), per far nascere la presunzione di comunione non basta che il vano si addentri oltre la meta dello spessore del muro, ma occorre altresì che esso appaia costruito insieme col muro.
L'apertura del vano da parte di un condomino
non limita naturalmente l'uguale diritto dell'altro di aprirne uno dal suo lato, nello stesso punto: in tal caso entrambi i vani vanno limitati in modo da far restare in mezzo un congruo setto murale per garantire, nell'interesse reciproco, la separazione.
Nel fare incavi nel muro comune bisogna in ogni caso condurre l'opera in modo da non menomare la consistenza del muro, pertanto è consigliabile procurarsi in anticipo il
consenso del vicino circa le modalità di esecuzione dell'opera, per evitare che il condomino possa opporsi anche in sede possessoria. Infatti la menomazione della consistenza del muro comune costituisce un attentato al compossesso del medesimo, ed in materia di comunione tutto ciò che si pratica al di là delle facoltà riconosciute dalla legge, come è reprimibile in sede petitoria, così pure costituisce una turbativa che origina il diritto alla reintegrazione a favore di colui che vanta uguali diritti sulla cosa comune.
Altri diritti esercitabili dai condomini sul muro comune secondo i principi della comunione
Il codice del 1865 (art. 558) ammetteva testualmente il diritto del condomino di ammucchiare contro il muro comune letame, legnami, terra e altre materie, con la sola limitazione di dover prendere le precauzioni necessarie affinché tali mucchi non potessero nuocere per via dell'umidità, della spinta, della soverchia elevazione, o di qualunque altro modo. Questa particolare disposizione non è stata riprodotta dal nuovo codice, dove invece si legge la disposizione generale dell'art. 885 u. c. che in generale vieta l'esecuzione di opere sul muro comune che ne compromettano la stabilità o che in altro modo lo danneggino. Si deve però ritenere che anche per il nuovo codice il condomino abbia diritto di fare presso il muro comune gli ammucchiamenti di cui parlava esplicitamente l'art. 558 codice del 1865, come di usufruirne in genere per tutti gli usi compatibili sulla cosa comune secondo i principi della comunione (
art. 1102 del c.c.) con la sola limitazione di non arrecare danno al muro comune sia compromettendone la stabilità, sia in qualunque altro modo.
I diritti competenti al condomino sul muro comune a norma degli art.
884 e
885 derivando dal rapporto di condominio hanno natura di
diritti reali. Ma può aversi anche un regolamento consensuale dei rapporti di condominio e di vicinato con carattere non reale, bensì meramente obbligatorio. E in tal caso è ammissibile la prova testimoniale diretta a dimostrare che l'uso del muro comune da parte di un condomino sia avvenuto col consenso dell'altro condomino del muro stesso.
Del consenso del vicino all’esecuzione di opere sul muro comune
Il codice del 1865 disponeva (art. 557) che uno dei vicini non potesse fare alcun incavo nel muro comune, nè applicarvi o appoggiarvi alcuna nuova opera, senza il consenso dell'altro e, in caso di rifiuto, senza aver fatto determinare dai periti i mezzi necessari affinché l'opera non provocasse danno ai diritti dell'altro. Tale disposizione è stata soppressa nel nuovo codice.
Nonostante la soppressione, si ritiene che il principio sussista e discenda dai principi generali della comunione: l'esercizio dei diritti riconosciuti al condomino dagli art. 75 e 76 non può teoricamente essere ostacolato dall'altro condomino e quindi effettuarsi senza il suo consenso: altrimenti non si potrebbe parlare di diritti
. Tuttavia nell'attuazione pratica dei singoli diritti può venire leso il diritto dell'altro condomino quante volte l'esercizio dei diritti esorbiti dai limiti di legge o cagioni danni che il vicino ha diritto di avere evitati o almeno risarciti. Di qui l'interesse e il diritto del vicino di essere preavvertito dall'altro per concordare le modalità di esecuzione dell'opera e, in caso di mancato accordo, ricorrere al giudizio del perito, scelto d'accordo dalle parti o nominato dal giudice.
Questo peraltro non è sempre indispensabile, infatti le opere possono compiersi anche senza necessità di perizia allorché vi sia certezza, per la natura delle opere e per il modo in cui sono condotte, che esse non offendono i diritti del condomino.
Opere abusive sul muro non comune. Sanatoria
Può accadere che il vicino fabbrichi appoggiando al muro, o pratichi sul muro alcune delle opere previste negli artt.
884 e
885, che egli non potrebbe fare se non nella qualità di condomino, senza avere prima acquistata la comunione: quale sarà il diritto del proprietario del muro ? Egli potrà domandare la rimozione delle opere praticate abusivamente sul suo muro, o dovrà accontentarsi solo di obbligare il vicino all'acquisto della comunione?
A stretto rigore, si dovrebbe dire che poiché prima della regolare cessione il muro è di sua esclusiva proprietà, egli ha il diritto di domandare la soppressione delle opere abusive: si tratta di una usurpazione che egli può respingere, come riteneva la più antica giurisprudenza in Francia, che ha avuto qualche rara applicazione anche in Italia.
Ma l'opinione oggi dominante, suffragata da copiose decisioni giurisprudenziali, respinge la domanda di demolizione da parte del proprietario del muro quando il vicino, trovandosi nelle condizioni richieste per la comunione forzosa (
art. 874 del c.c.), si dichiari pronto ad acquistare la comunione. Pertanto qualora il proprietario della costruzione, sia pure dopo che i lavori siano incominciati, abbia chiesto la cessione coattiva ottemperando alle condizioni prescritte dalla legge, non può il giudice, in giudizio possessorio, ordinare la riduzione delle cose al pristino stato.
L'azione che il proprietario promuove affinché non demolendosi la fabbrica abusiva sia dichiarata la comunione del muro con la conseguenza del pagamento del relativo prezzo, è un'
azione reale. Conseguentemente essa può essere esercitata anche dai successivi acquirenti dell’immobile. Qualche sentenza ha ritenuto che l'appoggio abusivo sul muro altrui desse luogo senz'altro all'acquisto della comunione, argomentando dal fatto che a norma dell'art.
874 la cessione della comunione non può essere negata dal proprietario, restando soltanto a regolare il prezzo di cessione per la sanatoria dell'opera abusiva.
Tale tesi non può essere condivisa. Anzitutto, l'appoggio abusivo di una costruzione sul muro altrui concreta gli estremi di fatto e di diritto di una semplice servitù di appoggio e quindi non esaurisce tutto il contenuto del diritto di comproprietà del muro: l'appoggio è uno dei diritti che possono esercitarsi sul muro comune (art. 885), mentre la comunione ha un contenuto ben più ampio e consente l'esercizio di altri e ben più importanti diritti (art.
884, 885). In secondo luogo, il ritenere che per il semplice fatto dell'appoggio di una costruzione sul muro del vicino se ne acquisti senz'altro la comunione è in contrasto con il principio, ormai universalmente accolto in dottrina e in giurisprudenza, che per l'acquisto della comunione del muro è sempre necessaria la convenzione scritta o, in caso di diniego del proprietario a dare il consenso alla cessione della comunione, la sentenza del giudice, che ne fa le veci.
Come ulteriore conseguenza di quanto detto, si ritiene che il possesso dell'appoggio abusivo può condurre all'
acquisto per usucapione della servitù di appoggio, ma non anche all'acquisto della comunione del muro.
Determinazione del valore del muro. Deve essere riferita al tempo della cessione e non a quello dell’appoggio abusivo
Ci si è domandati se, procedendosi in un secondo tempo alla comunione forzosa per sanare l'opera abusiva compiuta anteriormente, il valore del muro debba calcolarsi al tempo in cui fu compiuta l'opera abusiva oppure al tempo in cui si attua la cessione. La questione ha acquistato in pratica notevole importanza a seguito delle grandi fluttuazioni nel valore della moneta e del corrispondente rialzo dei valori immobiliari. La Cassazione del Regno ha avuto occasione di pronunciarsi sulla questione, decidendo che il valore del muro deve determinarsi non al momento in cui sia stata attuata la costruzione abusiva, bensì al momento in cui ha luogo il passaggio effettivo della mediana in virtù della convenzione delle parti o della sentenza del giudice.
Al valore del muro al tempo della costruzione abusiva si dovrà invece fare ricorso quando il cedente domandi il risarcimento del danno per l'abusivo appoggio esercitato in precedenza dal vicino. Infatti questo danno si concreta nel mancato godimento, e quindi negli interessi legali, sulla somma che il cessionario avrebbe dovuto pagare se avesse acquistato la comunione fin dal tempo dell'appoggio abusivo: somma equivalente appunto al valore che il muro aveva in tale epoca.
La Cassazione ha affermato che l'appoggio abusivo al muro del vicino, senza il previo acquisto della comunione, fa sorgere a carico del costruttore l'obbligo al pagamento degli interessi dal giorno dell'appoggio abusivo sulla somma liquidata dal giudice. La massima così formulata può applicarsi quando, tra la data dell'appoggio abusivo e la sanatoria mediante la cessione coattiva della comunione in base alla somma liquidata dal giudice quale prezzo della cessione, non vi sia stata una rilevante fluttuazione nei valori immobiliari. Se invece una tale fluttuazione c’è stata, la massima — per le ragioni suesposte — si dimostra inesatta e va corretta, nel senso che gli interessi dal giorno dell'appoggio abusivo vanno liquidati sul valore del muro a quel tempo anziché sulla somma liquidata dal giudice al tempo della cessione coattiva.