Genesi storica dell'art. 874 e sua giustificazione
L'art. 874 riproduce, con alcune modificazioni, l'art. 556 del vecchio codice, che attraverso i codici Italiani preesistenti risaliva all'art. 661 codice francese, il quale l'aveva tratto, a sua volta, dalle disposizioni della Consuetudine di Parigi e di altre città di Francia. Analoghe consuetudini, del resto, non mancavano in Italia.
Si tratta di una disposizione di
carattere eccezionale. Mentre per regola (
art. 834 del c.c.) nessuno può essere privato in tutto o in parte dei beni di sua proprietà, se non per causa di pubblico interesse legalmente dichiarata, qui la legge autorizza il vicino ad ottenere la comunione del muro del proprietario limitrofo per il suo privato interesse. Senonché, se ben si consideri, è agevole ritrovare anche nella disposizione dell'art. 874, attraverso l'interesse del privato, le esigenze del pubblico interesse. Ciò da modo al cessionario di servirsi del muro del vicino col sacrificio della meta della spesa che gli sarebbe costata la costruzione di un muro per proprio conto, e al tempo stesso il cedente viene ad essere rimborsato della meta del valore del muro e dell'area su cui esso poggia, pur seguitando a ritrarne quasi nella loro totalità, i vantaggi che egli prima ne aveva. L'utilità dell'uno e dell'altro ridonda poi ad utilità generale per il risparmio, che in tal modo si ottiene, di aree e di capitali.
Natura della cessione forzata
Controversa è la natura del rapporto giuridico regolato dall'art. 874. Alcuni, partendo dal carattere coattivo della cessione, ci vedono sotto un'espropriazione forzata; altri, una servitù legale; altri ancora, infine, e sono i più, considerando che il trasferimento della proprietà non si opera che mediante la convenzione traslativa, l'avvicinano ad una vendita. E la questione non è puramente teorica, perché secondo che la si decide in un senso o nell'altro, si è condotti a diverse conseguenze pratiche (v. in seguito, nn. 4, 12).
Si ritiene che il rapporto in esame non si possa esattamente far rientrare in nessuna delle categorie sopra enunciate, e che si tratti piuttosto di un
rapporto di natura mista, che partecipa contemporaneamente alla
vendita e alla
espropriazione. Si vedranno in seguito che le regole che lo governano partecipano dell'una e dell'altra.
Il diritto alla cessione coattiva della co
munione costituisce una mera facoltà legale, e come tale, non è soggetto a prescrizione estintiva.
Il diritto di domandarla spetta al proprietario. Quid dell'usufruttuario, dell'enfiteuta, del superficiario, del marito relativamente ai beni dotali, dell'affittuario?
L'art. 874 attribuisce il diritto di domandare la comunione al proprietario. La stessa locuzione veniva usata dal precedente codice (art. 556) sulla scia del codice francese. Tuttavia, tanto in Francia quanto in Italia, gli scrittori si domandano se nonostante la dizione ristretta dell'articolo, il diritto alla cessione coattiva della comunione spetti anche ad altre persone, e cioè all'usufruttuario, all'enfiteuta, al superficiario, al marito sui beni dotali, al conduttore, ecc.
Quanto all'
usufruttuario, si deve negare l'applicabilità dell'art. 874: egli ha sull'immobile un semplice diritto di godimento e non può acquistare la comunione del muro, che in definitiva egli acquisterebbe per nudo proprietario. Il diritto di chiedere la cessione coattiva deve, invece, riconoscersi all'
enfiteuta perché, secondo l'opinione dominante, il nostro diritto enfiteutico è un vero diritto di proprietà sempre revocabile (
art. 959 del c.c.). La stessa soluzione deve adottarsi rispetto al superficiario, poiché la superficie è diritto di proprietà (
art. 952 del c.c.). In generale, si riconosce al marito il diritto di domandare la comunione del muro a favore dei beni dotali, di cui egli, durante il matrimonio, è amministratore legale.
Il diritto di chiedere la cessione coattiva non può essere esercitato dall'
affittuario. Qualche dubbio è sorto quando il contratto di affitto dia all'affittuario il diritto di fabbricare: si è sostenuto, quanto alla tesi negativa, che il diritto di fabbricare concesso contrattualmente all'affittuario non ha efficacia verso il locatore, e non gli dà nessun diritto nei riguardi del proprietario del muro. In realtà, se il diritto di fabbricare concesso nel contratto all'affittuario ha natura di una vera e propria concessione
ad aedificandum, sorge a vantaggio dell'affittuario un diritto di proprietà separata o superficiaria, che rende pienamente applicabile l'art. 874.
A chi bisogna domandarla
La comunione del muro si deve chiedere
al proprietario. Se il muro appartiene a più condomini bisogna rivolgere la domanda contro tutti, perché nessuno dei condomini può alienare il diritto degli altri.
Quando il muro appartenga ad alcuno in nuda proprietà e ad altri in usufrutto o in uso, ovvero quando qualcuno abbia il dominio diretto, altri il dominio utile, la domanda di cessione della comunione deve essere rivolta contro tutti perché tutti hanno un diritto sull'indennità sebbene in modo e in grado diverso secondo la natura dei relative diritti. Se il muro che si vuole rendere comune è dotale, la domanda si deve rivolgere tanto contro il marito che contro la moglie: all'acquisto della comunione non osta il carattere d'inalienabilità della dote, non trattandosi di un'alienazione dipendente dalla semplice volontà dei coniugi, ma resa coattiva dada. legge. Debbono essere citati anche i creditori ipotecari, perché essi hanno diritto a farsi attribuire le indennità che debbono essere pagate al proprietario del muro per la cessione della comunione.
Invece
non devono essere citate le persone che, come i conduttori e gli anticresisti, hanno sul muro un semplice
godimento personale. Da quanto precede, si desume che non riteniamo applicabili al caso della cessione coattiva della comunione del muro le disposizioni della legge 25 giugno 1865 n. 2359 sulla espropriazione per causa di pubblica utilità, secondo cui l'espropriazione si esegue contro i proprietari che sono iscritti nei registri catastali o nei ruoli dell'imposta fondiaria (
art. 825 del c.c.). L'azione dev'essere proposta secondo il diritto comune, contro vero proprietario, quando si sappia chi sia: chi la propone contro il proprietario apparente, sappia o no chi sia il vero proprietario, resta sottoposto all'azione per evizione.
Condizioni a cui è sottoposta la cessione coattiva
La cessione coattiva della comunione dei muri è sottoposta ad alcune condizioni. Anzitutto, bisogna che si tratti di un
muro, quindi devono escludersi tutte quelle opere di separazione che non possono caratterizzarsi come muri, come ad es. un tavolato. Ma dato che si tratta di un muro, qualunque sia il suo spessore, si tratti anche di un muro a secco o di un semplice muro di sostegno, la disposizione dell'articolo in esame è sempre applicabile. Una roccia può, in date contingenze di fatto, essere considerata come muro naturale e può essere resa comune ai sensi dell'art. 874.
E' controverso se le norme della cessione coattiva siano applicabili alla
testa di muro che sia perpendicolare alla linea di confine. La ragione di dubitarne sorge dal fatto che non è predeterminato dalla legge lo spessore del muro che si dovrebbe render comune, mentre per il caso normale di cessione coattiva, esso è determinato nella meta, nè il richiedente potrebbe pretendere la cessione per uno spessore maggiore o minore: il che ha importanza anche per la determinazione della indennità. Si aggiunga che nei riguardi della testa del muro vicino resta inattuabile l'esercizio dei diritti che normalmente spettano al cessionario sul muro diventato comune (art.
884,
885).
La questione resta notevolmente semplificata nel nuovo codice, sia per la disposizione dell'
art. 877 del c.c. che permette la costruzione in aderenza alla testa del muro preesistente senza bisogno di acquistarne la comunione, sia per la disposizione dell'art.
877 che sottrae i muri isolati che non abbiano altezza superiore ai tre metri, alle norme sulle distanze legali nelle costruzioni. Si può anche argomentare dalla disposizione dell'
art. 876 del c.c. per dedurne il diritto del costruttore di appoggiarsi alla testa di muro del vicino preesistente sul confine, pagando una congrua indennità.
Continuazione. Sul requisito della contiguità
Un'altra condizione è che il
fondo di colui che chiede la comunione dev'essere
contiguo al muro: l'art. 874 non sarebbe dunque applicabile se tra il muro e il fondo vi fosse una striscia di suolo in proprietà del proprietario del suolo, o comune ai due vicini, come un fosso divisorio comune, o una via vicinale, o una striscia di suolo appartenente a un terzo.
Ma basterebbe al proprietario del muro lasciare tra il muro e il fondo del vicino uno spazio qualunque, anche minimo, per sottrarsi alla cessione coattiva? La questione è molto controversa in Francia e si riproduce, in certi limiti, anche nel nostro diritto, perché sia l'art. 571 codice del 1865 sia l'art.
875 del nuovo codice non hanno deciso la questione in modo generale come ad alcuno e potuto sembrare.
Infatti l'art. 571 prima, ed ora esplicitamente l'art.
875, permettono al vicino di chiedere la comunione del muro anche non contiguo e fino a distanza minore d'un metro e mezzo «
soltanto allo scopo di fabbricare contro il muro stesso ».
Invece l'art. 874 permette l'acquisto della comunione (e lo vedremo in seguito) per questo, come anche per altri scopi: prescinde, anzi, dall'indicazione concreta dello scopo. Ne segue che per tutti questi altri scopi che possono rientrare nell'art. 874 senza essere contemplati dalla speciale disposizione dell'art.
875, la questione continua come in Francia.
La dottrina prevalente in Italia ritiene che
il vicino possa acquistare la comunione del muro anche quando questo non sia esattamente contiguo e disti per poco dal confine. Si è ritenuto che in questi casi il vicino così ha finito per frustrare lo scopo della legge: ma
malitiis non est indulgendum.
Sembra
preferibile l'opinione opposta: non si deve dimenticare che l'art. 874 contiene una disposizione di natura eccezionale e, come tale, di stretta interpretazione. Se parla di fondo contiguo ad un muro, la contiguità ci dev'essere perché possa pretendersi la comunione. È vero che con questa stretta interpretazione della legge si da facile modo al proprietario del muro di eludere la provvida disposizione dell'art. 874. Ma ciò facendo egli rientra, dopo tutto, in quello che è il contenuto normale del suo diritto di proprietà (
art. 832 del c.c.): e non si deve poi dimenticare che lo scopo più importante della cessione forzata (quello di appoggiare contro il muro vicino) viene testualmente salvaguardato dalla disposizione dell'art.
875. Gli altri scopi restano, è vero, facilmente frustabili, ma essi sono di gran lunga meno importanti, ed è per questo che la legge non ha voluto tutelarli con una disposizione analoga a quella dell'art.
875, per non imporre limiti soverchi alla proprietà.
Due fondi possono dirsi contigui, ai fini dell'acquisto della comunione del muro divisorio, anche se non sono allo stesso
livello. Qualora due fondi siano in
dislivello fra loro, e a confine esista una parete rocciosa sulla quale, in corrispondenza della superficie del fondo più alto, sia costruito un muro avente la sua faccia esterna perpendicolare al confine di cui la roccia costituisce la base, deve ritenersi che la roccia stessa per la parte sottostante al muro, ed il muro, costituiscano una sola unità costruttiva, e che pertanto il proprietario del fondo inferiore possa chiedere la comunione dell'una e dell'altro ed appoggiarvi la sua costruzione. In tal caso non e necessario che l'appoggio sia integrate, ben potendo il vicino distaccarsene nella parte inferiore ed appoggiare, mediante un opportuno raccordo, nella parte superiore.
Eccezioni alla facoltà di chiedere la cessione coattiva: edifici appartenenti al demanio pubblico; rinvio. Fino a che punto l'esistenza di una servitù (non aedificandi, di stillicidio, di veduta) possa impedire l'acquisto della comunione
Il diritto del proprietario di un fondo contiguo al muro altrui, di chiederne la comunione, subisce delle eccezioni. Una è testualmente prevista dall'
art. 879 del c.c. in favore degli edifici appartenenti al demanio pubblico, i quali non sono soggetti alla comunione forzosa, e ci riserviamo di occuparcene nella esplicazione di detto articolo.
Ostacoli al diritto di chiedere la cessione coattiva possono poi derivare dall'esistenza di servitù a carico del fondo del richiedente, quando il loro esercizio venisse pregiudicato a seguito della cessione coattiva. Quindi la cessione coattiva dev'essere ammessa quante volte il richiedente dimostri che non intenda giovarsene per fini incompatibili col contenuto delle servitù in questione.
Se, ad es., si tratti di una servitù
non aedificandi, gravante sul fondo vicino al muro, e naturale che il proprietario del fondo non possa pretendere di acquistare la comunione del muro per fabbricare sul proprio fondo appoggiandosi al muro in contrasto con la detta servitù. Ma altri scopi egli può avere nel domandare la comunione del muro, tutti compatibili con la servitù in parola: nè egli è obbligato, nella domanda di cessione, a precisarne il motivo.
Lo stesso dicasi per la servitù di stillicidio. Colui che essendo sottoposto a questa servitù deve ricevere le acque di una grondaia o di un tetto sul suo terreno, può fabbricare sul suo fondo e chiedere la comunione del muro che sostiene il tetto da cui riceve le acque, per appoggiarvi la sua fabbrica, purché faccia le cose in modo che il vicino possa seguitare a godere. senza limitazione, l'esercizio della servitù. Dottrina e giurisprudenza sono concordi in questo senso.
E non avviene diversamente per la servitù di veduta: niente impedisce al proprietario del fondo servente di acquistare la comunione del muro da cui la veduta si esercita, per fabbricare in modo compatibile con l'esercizio della servitù stessa, e cioè, tenendosi a tre metri di distanza, ai lati della finestra e tre metri al di sotto della soglia (
art. 907 del c.c.). Non si ritiene pertanto conforme al testo di legge la giurisprudenza della Cassazione, la quale ha ripetutamente statuito che none ammessa la cessione coattiva della comunione del muro, quando nel muro vi siano delle finestre da cui si eserciti la servitù di veduta sul fondo vicino.
Nessun impedimento può arrecare al diritto di cessione coattiva l'esistenza di semplici luci (
art. 904 del c.c. come anche di vedute aperte iure proprietatis sotto le legislazioni precedenti che le permettevano. Ma per questo argomento si rimanda alla spiegazione dell'art.
art. 904 del c.c..
Eccezione dipendente dalla rinunzia alla facoltà concessa dall' art. 874: questione sulla validità o meno di questa rinuncia
Connessa all'argomento di cui stiamo trattando è la questione circa la validità o meno della rinuncia al diritto di cessione coattiva della comunione: poiché ove se ne ritenesse la validità, detta rinuncia costituirebbe un ostacolo alla cessione coattiva.
In Francia l'opinione prevalente nella dottrina e nella giurisprudenza è per la validità della rinuncia. Ma essa è combattuta da parte di alcuni autori, che la ritengono incompatibile con la regola secondo cui il condomino che ha rinunciato alla comunione del muro possa riacquistarla, regola che era testuale nella Consuetudine di Parigi e che, nonostante il silenzio del codice francese, viene universalmente ammessa dalla dottrina. In un solo caso egli crede valida la rinuncia a chiedere la comunione del muro: quando il vicino si è assoggettato a una servitù
non aedificandi, o ad altra simile. In questo caso egli ha rinunziato, in favore del vicino, al diritto di fabbricare: questa rinuncia, che è valida, importa indirettamente la validità della rinuncia all'acquisto della comunione coattiva, che per se sola non sarebbe ammessa.
Nel nostro ordinamento la questione si riproduce negli stessi termini: solo viene aggravata l'obiezione che la dottrina francese faceva all'opinione dominante, essendo riconosciuto testualmente dall'art.
888 il diritto al riacquisto della comunione da parte di chi l'abbia abbandonata per sottrarsi alle spese di costruzione o manutenzione del muro.
Ciononostante si ritiene che la
rinuncia sia valida: l'obiezione fatta dagli autori francesi non è fondata, perché poggia sopra un equivoco. La rinuncia alla comunione è un negozio giuridico di contenuto ben diverso dalla rinunzia al diritto di chiedere la comunione. Nel primo caso la rinuncia è diretta alla comunione attuale, per esonerarsi dalle spese che essa importa, e che al momento non si vogliono sopportare: resta quindi la facoltà nel rinunciante di domandare la comunione del muro quando creda conveniente sopportarne le spese, perché la dizione dell'art. 874 è assoluta, né a tale facoltà egli ha rinunziato con la semplice rinuncia alla comunione attuale.
Modalità dell'acquisto della comunione. Acquisto parziale in altezza, non anche in lunghezza
Colui che domanda la comunione del muro deve sottostare alle modalità e agli obblighi imposti dalla legge.
Quanto alle
modalità, il codice francese ammette l'acquisto parziale tanto in altezza quanto in lunghezza. Invece nel codice Albertino fu introdotto l'inciso « purché
lo faccia per tutta l'estensione della sua proprietà » passato poi di peso nell'art. 556 codice del 1865. Tale inciso dava luogo a difficoltà d'interpretazione, poiché i più, basandosi sulla locuzione letterale, ammettevano l'acquisto parziale solo in altezza e l'escludevano nel senso della lunghezza
, mentre altri, fondandosi sulle risultanze dei lavori preparatori del codice sardo e sulle ragioni per cui quell'inciso era stato ivi introdotto, sostenevano la possibilità dell'acquisto parziale tanto in altezza quanto in lunghezza Il nuovo codice ha tolto di mezzo la questione dichiarando che il proprietario può chiedere la comunione del muro «
per tutta l'altezza per parte di essa, purché lo faccia per tutta l'estensione della sua proprietà ».
Convinti assertori della contraria soluzione sotto l'impero del vecchio codice, dubitiamo della opportunità della soluzione ormai testualmente sancita dal nuovo, e che in pratica aveva già dato luogo a conseguenze esose nella fattispecie decisa dalla Cassazione con la sent. 3 febbraio 1931 cit., essendosi costruito un casotto in muratura ad uso pollaio di soli m. 2,25 appoggiato al muro vicino, il costruttore dovette acquistare la comunione del muro limitrofo lungo ben m. 102
! Vero è che l'inconveniente pratico che si verificava sotto il vecchio codice, viene ora attenuato per il fatto che il nuovo codice (
art. 877 del c.c.) ammette le costruzioni in aderenza senza l'obbligo di acquistare la comunione. Quindi oggi il costruttore del pollaio di m. 2,25 ha la possibilità di fabbricarlo in aderenza al preesistente muro contiguo senza bisogno di acquistarne la comunione ne in tutto ne in parte, mentre per il vecchio codice egli era nell'alternativa di distanziare la costruzione di tre metri dal muro vicino (art. 571)
di acquistare la comunione e di acquistarla per tutti i m. 102 della sua proprietà.
Se sia permesso l'acquisto parziale in grossezza
Ha formato anche oggetto di controversia la possibilità di un acquisto parziale dello spessore del muro. La
soluzione negativa, che è seguita dalla dottrina dominante, fa capo a Pothier, il quale rilevava che colui che acquistasse solo una parte dello spessore, non per questo profitterebbe meno di tutto lo spessore: cosa che sarebbe ingiusta.
Appare preferibile la tesi della dottrina dominante, pur non condividendo la motivazione data da alcuni autori. Così non è sufficiente la ragione addotta da alcuni secondo cui il muro, qualunque sia la sua grossezza, è sempre un tutto omogeneo che non si può materialmente dividere nello spessore, e se si dividesse, si distruggerebbe nella sua essenza, perché dovrebbero togliersi le concatenazioni che esistono fra le varie parti.
Infatti, trattandosi di
communio pro indiviso, l'
indivisibilità materiale della cosa non ne impedirebbe la divisibilità dal punto di vista giuridico.
Una ragione migliore è quella addotta da altri autori secondo cui la grossezza, come la solidità e la buona costruzione, costituisce la sostanza stessa del muro, ma anch'essa non spiega come poi convenzionalmente niente impedisca alle parti di cedere o reciprocamente acquistare la comunione per una quota diversa dalla metà.
La vera ragione, in realtà, va ricercata nella
speciale natura dell'art. 874: dato il carattere eccezionale della disposizione, la soluzione della controversia deve intendersi data testualmente dallo stesso art. 874. La legge parla di pagamento della metà del valore del muro e del suolo su cui il muro è stato costruito, e con ciò rende chiaro lo scopo di concedere al vicino di domandare la comunione del muro in ragione della metà. Non può quindi il proprietario essere costretto a cedere, contro la sua volontà, la comunione per una quota inferiore alla metà.
Prezzo della cessione e criteri per la sua determinazione
La legge impone all'acquirente l'obbligo di pagare il prezzo di acquisto della comunione del muro: «
per ottenere la comunione deve pagare la metà del valore del muro, o della parte di muro resa comune, e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito ».
Ci si è domandati se al pagamento del suolo sia soggetto anche l' antico condomino che abbia perduta la comunione per abbandono e che voglia poi riacquistarla. Sotto l'impero del vecchio codice l'opinione dominante era per l'affermativa, considerando che l'abbandono della comunione non si limita alla costruzione ma comprende anche il suolo su cui il muro è costruito. Nel nuovo codice, però, la questione è testualmente (
art. 888 del c.c.) risolta in senso contrario per il caso di riacquisto della comunione del muro di chiusura obbligatoria di cui si sia in precedenza abbandonata la comunione. Tale detta norma vale in genere per tutti i casi di riacquisto della comunione del muro perduta in precedenza per abbandono.
La legge, parlando del valore del muro, intende riferirsi al
valore attuale, e non a quello che il muro poteva avere quando fu costruito, nè al costo della costruzione. Bisognerà quindi esaminare lo stato del muro, la solidità, i materiali di costruzione, in modo che il valore attuale può risultare di molto inferiore al valore iniziale, nonché al costo di costruzione. Al contrario, in nessun caso il prezzo può essere inferiore al valore del muro all'epoca della cessione: non può venire ridotto col pretesto che il muro è costruito con materiali più costosi degli ordinari o con proporzioni di spessore affatto superflui per lo scopo a cui intende adibirlo l'acquirente. Bisogna prendere il muro tale quale esso è, e non come il vicino l'avrebbe desiderato: se l'acquisto sembra troppo costoso, il vicino può astenersene perché nessuno lo obbliga all'acquisto della comunione.
Taluno vorrebbe porre una eccezione a questa regola per i
muri di chiusura obbligatoria (
art. 886 del c.c.): in questa ipotesi l'acquirente non potrebbe essere obbligato a pagare oltre la meta di quello che potrebbe valere un muro di dimensioni ordinarie e costruito con materiali usuali. Infatti, in tema di chiusura obbligatoria il vicino ha il diritto di domandare la costruzione, a spese comuni, di un muro che non ecceda le condizioni ordinarie ne per dimensioni, ne per costo di materiali. Non crediamo, però, che la distinzione sia fondata. Anche nei luoghi soggetti a chiusura obbligatoria, chi domanda la comunione del muro non ha per scopo la semplice chiusura, che già esiste per lui gratuitamente, bensì di usarne per altri scopi. Si rientra così sotto la regola generale, e manca la ragione di farvi eccezione.
Nel caso di
acquisto parziale in altezza è discusso se debba tenersi conto come coefficiente di svalutazione, del sovraccarico che la parte superiore del muro, non comune, impone alla porzione diventata comune. La risposta è affermativa, perché effettivamente la parte di muro sottostante, di cui il vicino ha acquistato la comunione, è soggetta alla servitù
oneris ferendi a vantaggio del muro superiore e quindi non può essere valutata alla pari di un muro che non fosse soggetto a tale servitù.
Il valore del muro e del suolo si determinano d'accordo dalle parti : in caso di disaccordo, si ricorre alla stima dei periti, che devono nelle loro operazioni informarsi ai criteri suesposti. Le spese di questa perizia gravano, di regola, sull'acquirente, perché rientrano nelle spese che la legge mette a suo carico.
Il pagamento del prezzo deve essere preventivo. Necessità della convenzione scritta o della sentenza per l'acquisto della comunione
Ci si domanda da ultimo in quale momento deve essere pagato il prezzo della cessione. L'opinione comune è che
il pagamento deve essere preventivo: si argomenta tale opinione dal carattere coattivo della cessione, che la riavvicina all'espropriazione, per cui vige il principio del previo pagamento dell'indennità. Nello stesso ordine di idee, anche per l'imposizione della servitù di acquedotto coattivo e di passaggio necessario, la legge (art.
1038,
1053) impone il pagamento della indennità prima di iniziare la costruzione.
Per l'acquisto della comunione è però sempre necessaria una
convenzione scritta: non basterebbe l'offerta del prezzo, anche quando fosse stato determinato con perizia, e nemmeno l'offerta reale, anche se accettata dal proprietario del muro. In mancanza di accordo, ne terrà luogo la sentenza del giudice.
Poiché l'acquisto della comunione coattiva del muro richiede la convenzione scritta delle parti o la pronuncia del giudice, ne segue che nel periodo intermedio tra la richiesta e l'effettiva costituzione del rapporto di condominio, permane integro nel proprietario del muro il diritto di disporne liberamente. Una limitazione a tale libertà di disposizione è stata apportata dal nuovo codice (art. 875 capov.) per il caso di comunione forzosa del muro che non è sul confine.
Dell'obbligo di eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino. Origine della disposizione e sua interpretazione
Oltre il pagamento del prezzo di acquisto, la legge impone all'acquirente anche l'obbligo di «
eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino ».
Questa disposizione, che manca nel codice francese, fu aggiunta dal codice sardo e, adottata dal codice del 1865, e passata anche nel nuovo: non è facile determinarne con precisione il contenuto, a causa specialmente della espressione generalissimo. Diremo anzi, che essa sembrerebbe fuori posto perché, di per sè, l'acquisto della comunione del muro non potrebbe danneggiare il vicino: i danni al vicino possono provenire solo dall'esercizio dei diritti che l' acquirente può effettuare sul muro diventato comune (appoggio di fabbriche, immissioni di travi e chiavi, sopraelevazione, ecc.). Poiché la disposizione in oggetto rappresenta una norma-limite di tale esercizio e avrebbe trovato posto più adatto accanto agli art.
884 e
885 in cui si disciplina appunto l'esercizio dei diritti spettanti al condomino sui muri comuni divisori. Anzi è da rilevare che l'obbligo dell'acquirente al risarcimento dei danni prodotti al muro nell'esercizio dei diritti di condominio è esplicitamente stabilito tanto nell'art.
884 (« egli è tenuto in ogni caso a riparare i danni causati dalle opere compiute ») quanto all'art.
885 («
al vicino deve essere risarcito ogni danno dalla esecuzione delle opere »). E quindi la disposizione contenuta alla fine dell'art. 874 si ridurrebbe all'affermazione di un principio generale, che trova poi speciale applicazione negli art. 874 e 875 a proposito dell'esercizio dei vari diritti che competono ai condomini sui muri comuni.
In termini generali e salvo a tornarvi in seguito per le singole applicazioni, va rilevato qui che, dandosi luogo alla cessione coattiva della comunione, l'obbligo del cedente si limita a
dare il muro così com'è, e spetta solo all'acquirente di verificare il muro nella sua solidità prima di appoggiarvi il suo edificio o di esercitarvi gli altri diritti che gli competono quale condomino, provvedendo a proprie spese e senza danno del vicino alle opere opportune per garantire lì integrità sia della sua nuova costruzione sia della preesistente costruzione del vicino.
La verità è però che se si risale alla genesi storica della disposizione finale dell'art. 875, è dato rilevare che essa fu dettata per risolvere altra e diversa questione generale, attinente agli
effetti della cessione coattiva. Occorre soffermarvi l'attenzione, per integrare e completare l'interpretazione dell'articolo in esame.
Il proprietario esclusivo del muro può fame, nei limiti di legge, quell' uso che vuole: aprirvi luci, immettervi travi, scavarvi incavi e camini, praticarvi le riseghe di uso, e così via. Ma quando il vicino ne ha acquistata la comunione, che cosa avverrà di tutte queste opere che egli ha potuto fare quale proprietario esclusivo, ma che in qualità di condomino non avrebbe potuto fare in tutto o in parte? Sarà obbligato a sopprimerle, o avrà il diritto di mantenerle, e in quali limiti ?
La questione fu avvertita dal Senato di Savoia, che chiamato a fare le sue osservazioni sull'art. 34 del primo Progetto del codice sardo, corrispondente al nostro articolo, aveva proposto la seguente aggiunta all'articolo: « l
'acquisition de la rnitoyennete aura toujours lieu, sans prejudice du droit du proprietarie a conserver l'etat des lieux au moment de cette acquisition ».
Ma l'aggiunta non fu adottata dalla Commissione legislativa, la quale rilevò che: «
l'addizione proposta dal Senato di Savoia renderebbe facilmente inutile l'articolo, perché basterebbe al padrone del muro di fare in esso qualche opera che non potesse con la comunione del muro conservarsi, per impedire la comunione. Il codice francese e gli altri codici non hanno adottato ne questa ne altre restrizioni, le quali paralizzerebbero in molti casi la legge; la Commissione ha bensì fatto alle disposizioni di detti codici l'addizione d'imporre al vicino l'obbligo delle opere necessarie per non pregiudicare il vicino, il che previene i casi additati dal Senato, « di una trave infissa nel muro o di un camino in esso costrutto ». L'aggiunta è passata prima nel codice sardo e poi nel codice del 1865 con qualche modificazione di forma: «
eseguendo altresì le opere che occorressero per non danneggiare il vicino », rimasta sostanzialmente invariata nell'art. 874 : «
deve inoltre eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino ».
Le surriferite dichiarazioni dei lavori preparatori del codice sardo servono per chiarire la genesi della disposizione e per sapere come la pensassero in generale su questo argomento i compilatori del codice.
Riservandoci di tornare in seguito sulla esplicazione concreta della disposizione, quando tratteremo dei vari diritti che competono sul muro divisorio al vicino che ne ha acquistato la comunione, ci limitiamo qui ad enunciare qualche
principio generale tratto da singole disposizioni del codice. L'acquirente non può pretendere, in via assoluta, la soppressione di tutte le opere che il proprietario, come condomino, non avrebbe potuto fare: lo si argomenta dalla disposizione dell'art.
904 capov. che vieta all'acquirente la chiusura delle luci preesistenti sul muro se ad esso non appoggia il suo edificio
, e ciò nonostante la disposizione dell'art. capov. che vieta l'apertura di luci sul muro comune. Quindi la teoria dell'assoluta retroattività dell'acquisto della comunione, che ha trovato in Francia dei seguaci e il suffragio della Cassazione, non può accogliersi nel nostro
Ma anche la teoria dell'assoluta
irretroattività dell'acquisto della comunione, propugnata dal Senato di Savoia con l'aggiunta da esso proposta e non accettata dalla Commissione legislativa, non può ritenersi accolta dal codice per le ragioni stesse addotte dalla detta Commissione sopra riferite. Lo si argomenta dalla stessa disposizione dell'art.
904 cit. che autorizza l'acquirente a chiudere le luci preesistenti sul muro se ad esso appoggia il suo edificio.
In generale e battendo una via intermedia fra le due tesi dell'assoluta retroattività e dell'assoluta irretroattività, il Codice consente all'acquirente di domandare la soppressione di tutte quelle opere che, non essendo indispensabili al proprietario, ostacolerebbero in tutto o in parte l'esercizio della comunione da parte sua: sempre, però, con l'obbligo imposto dall'art. 874 di fare le opere occorrenti per non danneggiare il vicino. In tale ordine di idee l'art.
884 concede all'acquirente il diritto di fare accorciare la trave immessa nel muro. Nello stesso ordine d'idee, l'acquirente avrebbe il diritto alla riduzione degli incavi esistenti nel muro e alla soppressione delle riseghe nel caso di ricostruzione del muro.