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Articolo 874 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Comunione forzosa del muro sul confine

Dispositivo dell'art. 874 Codice Civile

Il proprietario di un fondo contiguo al muro altrui può chiederne la comunione(1), per tutta l'altezza o per parte di essa, purché lo faccia per tutta l'estensione della sua proprietà. Per ottenere la comunione deve pagare(2) la metà del valore del muro, o della parte di muro resa comune, e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito. Deve inoltre eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino [877].

Note

(1) La possibilità di domandare la comunione del muro è compresa nel contenuto del diritto di proprietà; il titolare, perciò, non può evitare la comunione e, se si rifiuta di dare il consenso, il proprietario del fondo vicino può agire secondo quanto previsto dall'art. 2932 c.c.
(2) L'obbligo di versare il prezzo della comunione del muro si trasferisce, in ipotesi di vendita del suolo, al successivo titolare. L'art. 874 regola, dunque, un'obbligazione propter rem, analoga, dunque, a quelle di cui agli artt. 885 e 886.

Brocardi

Iura parietum

Spiegazione dell'art. 874 Codice Civile

Genesi storica dell'art. 874 e sua giustificazione

L'art. 874 riproduce, con alcune modificazioni, l'art. 556 del vecchio codice, che attraverso i codici Italiani preesistenti risaliva all'art. 661 codice francese, il quale l'aveva tratto, a sua volta, dalle disposizioni della Consuetudine di Parigi e di altre città di Francia. Analoghe consuetudini, del resto, non mancavano in Italia.

Si tratta di una disposizione di carattere eccezionale. Mentre per regola (art. 834 del c.c.) nessuno può essere privato in tutto o in parte dei beni di sua proprietà, se non per causa di pubblico interesse legalmente dichiarata, qui la legge autorizza il vicino ad ottenere la comunione del muro del proprietario limitrofo per il suo privato interesse. Senonché, se ben si consideri, è agevole ritrovare anche nella disposizione dell'art. 874, attraverso l'interesse del privato, le esigenze del pubblico interesse. Ciò da modo al cessionario di servirsi del muro del vicino col sacrificio della meta della spesa che gli sarebbe costata la costruzione di un muro per proprio conto, e al tempo stesso il cedente viene ad essere rimborsato della meta del valore del muro e dell'area su cui esso poggia, pur seguitando a ritrarne quasi nella loro totalità, i vantaggi che egli prima ne aveva. L'utilità dell'uno e dell'altro ridonda poi ad utilità generale per il risparmio, che in tal modo si ottiene, di aree e di capitali.


Natura della cessione forzata

Controversa è la natura del rapporto giuridico regolato dall'art. 874. Alcuni, partendo dal carattere coattivo della cessione, ci vedono sotto un'espropriazione forzata; altri, una servitù legale; altri ancora, infine, e sono i più, considerando che il trasferimento della proprietà non si opera che mediante la convenzione traslativa, l'avvicinano ad una vendita. E la questione non è puramente teorica, perché secondo che la si decide in un senso o nell'altro, si è condotti a diverse conseguenze pratiche (v. in seguito, nn. 4, 12).

Si ritiene che il rapporto in esame non si possa esattamente far rientrare in nessuna delle categorie sopra enunciate, e che si tratti piuttosto di un rapporto di natura mista, che partecipa contemporaneamente alla vendita e alla espropriazione. Si vedranno in seguito che le regole che lo governano partecipano dell'una e dell'altra.

Il diritto alla cessione coattiva della comunione costituisce una mera facoltà legale, e come tale, non è soggetto a prescrizione estintiva.


Il diritto di domandarla spetta al proprietario. Quid dell'usufruttuario, dell'enfiteuta, del superficiario, del marito relativamente ai beni dotali, dell'affittuario?

L'art. 874 attribuisce il diritto di domandare la comunione al proprietario. La stessa locuzione veniva usata dal precedente codice (art. 556) sulla scia del codice francese. Tuttavia, tanto in Francia quanto in Italia, gli scrittori si domandano se nonostante la dizione ristretta dell'articolo, il diritto alla cessione coattiva della comunione spetti anche ad altre persone, e cioè all'usufruttuario, all'enfiteuta, al superficiario, al marito sui beni dotali, al conduttore, ecc.

Quanto all'usufruttuario, si deve negare l'applicabilità dell'art. 874: egli ha sull'immobile un semplice diritto di godimento e non può acquistare la comunione del muro, che in definitiva egli acquisterebbe per nudo proprietario. Il diritto di chiedere la cessione coattiva deve, invece, riconoscersi all'enfiteuta perché, secondo l'opinione dominante, il nostro diritto enfiteutico è un vero diritto di proprietà sempre revocabile (art. 959 del c.c.). La stessa soluzione deve adottarsi rispetto al superficiario, poiché la superficie è diritto di proprietà (art. 952 del c.c.). In generale, si riconosce al marito il diritto di domandare la comunione del muro a favore dei beni dotali, di cui egli, durante il matrimonio, è amministratore legale.

Il diritto di chiedere la cessione coattiva non può essere esercitato dall'affittuario. Qualche dubbio è sorto quando il contratto di affitto dia all'affittuario il diritto di fabbricare: si è sostenuto, quanto alla tesi negativa, che il diritto di fabbricare concesso contrattualmente all'affittuario non ha efficacia verso il locatore, e non gli dà nessun diritto nei riguardi del proprietario del muro. In realtà, se il diritto di fabbricare concesso nel contratto all'affittuario ha natura di una vera e propria concessione ad aedificandum, sorge a vantaggio dell'affittuario un diritto di proprietà separata o superficiaria, che rende pienamente applicabile l'art. 874.


A chi bisogna domandarla

La comunione del muro si deve chiedere al proprietario. Se il muro appartiene a più condomini bisogna rivolgere la domanda contro tutti, perché nessuno dei condomini può alienare il diritto degli altri.

Quando il muro appartenga ad alcuno in nuda proprietà e ad altri in usufrutto o in uso, ovvero quando qualcuno abbia il dominio diretto, altri il dominio utile, la domanda di cessione della comunione deve essere rivolta contro tutti perché tutti hanno un diritto sull'indennità sebbene in modo e in grado diverso secondo la natura dei relative diritti. Se il muro che si vuole rendere comune è dotale, la domanda si deve rivolgere tanto contro il marito che contro la moglie: all'acquisto della comunione non osta il carattere d'inalienabilità della dote, non trattandosi di un'alienazione dipendente dalla semplice volontà dei coniugi, ma resa coattiva dada. legge. Debbono essere citati anche i creditori ipotecari, perché essi hanno diritto a farsi attribuire le indennità che debbono essere pagate al proprietario del muro per la cessione della comunione.

Invece non devono essere citate le persone che, come i conduttori e gli anticresisti, hanno sul muro un semplice godimento personale. Da quanto precede, si desume che non riteniamo applicabili al caso della cessione coattiva della comunione del muro le disposizioni della legge 25 giugno 1865 n. 2359 sulla espropriazione per causa di pubblica utilità, secondo cui l'espropriazione si esegue contro i proprietari che sono iscritti nei registri catastali o nei ruoli dell'imposta fondiaria (art. 825 del c.c.). L'azione dev'essere proposta secondo il diritto comune, contro vero proprietario, quando si sappia chi sia: chi la propone contro il proprietario apparente, sappia o no chi sia il vero proprietario, resta sottoposto all'azione per evizione.


Condizioni a cui è sottoposta la cessione coattiva

La cessione coattiva della comunione dei muri è sottoposta ad alcune condizioni. Anzitutto, bisogna che si tratti di un muro, quindi devono escludersi tutte quelle opere di separazione che non possono caratterizzarsi come muri, come ad es. un tavolato. Ma dato che si tratta di un muro, qualunque sia il suo spessore, si tratti anche di un muro a secco o di un semplice muro di sostegno, la disposizione dell'articolo in esame è sempre applicabile. Una roccia può, in date contingenze di fatto, essere considerata come muro naturale e può essere resa comune ai sensi dell'art. 874.

E' controverso se le norme della cessione coattiva siano applicabili alla testa di muro che sia perpendicolare alla linea di confine. La ragione di dubitarne sorge dal fatto che non è predeterminato dalla legge lo spessore del muro che si dovrebbe render comune, mentre per il caso normale di cessione coattiva, esso è determinato nella meta, nè il richiedente potrebbe pretendere la cessione per uno spessore maggiore o minore: il che ha importanza anche per la determinazione della indennità. Si aggiunga che nei riguardi della testa del muro vicino resta inattuabile l'esercizio dei diritti che normalmente spettano al cessionario sul muro diventato comune (art. 884, 885).

La questione resta notevolmente semplificata nel nuovo codice, sia per la disposizione dell' art. 877 del c.c. che permette la costruzione in aderenza alla testa del muro preesistente senza bisogno di acquistarne la comunione, sia per la disposizione dell'art. 877 che sottrae i muri isolati che non abbiano altezza superiore ai tre metri, alle norme sulle distanze legali nelle costruzioni. Si può anche argomentare dalla disposizione dell' art. 876 del c.c. per dedurne il diritto del costruttore di appoggiarsi alla testa di muro del vicino preesistente sul confine, pagando una congrua indennità.


Continuazione. Sul requisito della contiguità

Un'altra condizione è che il fondo di colui che chiede la comunione dev'essere contiguo al muro: l'art. 874 non sarebbe dunque applicabile se tra il muro e il fondo vi fosse una striscia di suolo in proprietà del proprietario del suolo, o comune ai due vicini, come un fosso divisorio comune, o una via vicinale, o una striscia di suolo appartenente a un terzo.

Ma basterebbe al proprietario del muro lasciare tra il muro e il fondo del vicino uno spazio qualunque, anche minimo, per sottrarsi alla cessione coattiva? La questione è molto controversa in Francia e si riproduce, in certi limiti, anche nel nostro diritto, perché sia l'art. 571 codice del 1865 sia l'art. 875 del nuovo codice non hanno deciso la questione in modo generale come ad alcuno e potuto sembrare.

Infatti l'art. 571 prima, ed ora esplicitamente l'art. 875, permettono al vicino di chiedere la comunione del muro anche non contiguo e fino a distanza minore d'un metro e mezzo « soltanto allo scopo di fabbricare contro il muro stesso ».

Invece l'art. 874 permette l'acquisto della comunione (e lo vedremo in seguito) per questo, come anche per altri scopi: prescinde, anzi, dall'indicazione concreta dello scopo. Ne segue che per tutti questi altri scopi che possono rientrare nell'art. 874 senza essere contemplati dalla speciale disposizione dell'art. 875, la questione continua come in Francia.

La dottrina prevalente in Italia ritiene che il vicino possa acquistare la comunione del muro anche quando questo non sia esattamente contiguo e disti per poco dal confine. Si è ritenuto che in questi casi il vicino così ha finito per frustrare lo scopo della legge: ma malitiis non est indulgendum.

Sembra preferibile l'opinione opposta: non si deve dimenticare che l'art. 874 contiene una disposizione di natura eccezionale e, come tale, di stretta interpretazione. Se parla di fondo contiguo ad un muro, la contiguità ci dev'essere perché possa pretendersi la comunione. È vero che con questa stretta interpretazione della legge si da facile modo al proprietario del muro di eludere la provvida disposizione dell'art. 874. Ma ciò facendo egli rientra, dopo tutto, in quello che è il contenuto normale del suo diritto di proprietà (art. 832 del c.c.): e non si deve poi dimenticare che lo scopo più importante della cessione forzata (quello di appoggiare contro il muro vicino) viene testualmente salvaguardato dalla disposizione dell'art. 875. Gli altri scopi restano, è vero, facilmente frustabili, ma essi sono di gran lunga meno importanti, ed è per questo che la legge non ha voluto tutelarli con una disposizione analoga a quella dell'art. 875, per non imporre limiti soverchi alla proprietà.

Due fondi possono dirsi contigui, ai fini dell'acquisto della comunione del muro divisorio, anche se non sono allo stesso livello. Qualora due fondi siano in dislivello fra loro, e a confine esista una parete rocciosa sulla quale, in corrispondenza della superficie del fondo più alto, sia costruito un muro avente la sua faccia esterna perpendicolare al confine di cui la roccia costituisce la base, deve ritenersi che la roccia stessa per la parte sottostante al muro, ed il muro, costituiscano una sola unità costruttiva, e che pertanto il proprietario del fondo inferiore possa chiedere la comunione dell'una e dell'altro ed appoggiarvi la sua costruzione. In tal caso non e necessario che l'appoggio sia integrate, ben potendo il vicino distaccarsene nella parte inferiore ed appoggiare, mediante un opportuno raccordo, nella parte superiore.


Eccezioni alla facoltà di chiedere la cessione coattiva: edifici appartenenti al demanio pubblico; rinvio. Fino a che punto l'esistenza di una servitù (non aedificandi, di stillicidio, di veduta) possa impedire l'acquisto della comunione

Il diritto del proprietario di un fondo contiguo al muro altrui, di chiederne la comunione, subisce delle eccezioni. Una è testualmente prevista dall' art. 879 del c.c. in favore degli edifici appartenenti al demanio pubblico, i quali non sono soggetti alla comunione forzosa, e ci riserviamo di occuparcene nella esplicazione di detto articolo.

Ostacoli al diritto di chiedere la cessione coattiva possono poi derivare dall'esistenza di servitù a carico del fondo del richiedente, quando il loro esercizio venisse pregiudicato a seguito della cessione coattiva. Quindi la cessione coattiva dev'essere ammessa quante volte il richiedente dimostri che non intenda giovarsene per fini incompatibili col contenuto delle servitù in questione.

Se, ad es., si tratti di una servitù non aedificandi, gravante sul fondo vicino al muro, e naturale che il proprietario del fondo non possa pretendere di acquistare la comunione del muro per fabbricare sul proprio fondo appoggiandosi al muro in contrasto con la detta servitù. Ma altri scopi egli può avere nel domandare la comunione del muro, tutti compatibili con la servitù in parola: nè egli è obbligato, nella domanda di cessione, a precisarne il motivo.

Lo stesso dicasi per la servitù di stillicidio. Colui che essendo sottoposto a questa servitù deve ricevere le acque di una grondaia o di un tetto sul suo terreno, può fabbricare sul suo fondo e chiedere la comunione del muro che sostiene il tetto da cui riceve le acque, per appoggiarvi la sua fabbrica, purché faccia le cose in modo che il vicino possa seguitare a godere. senza limitazione, l'esercizio della servitù. Dottrina e giurisprudenza sono concordi in questo senso.

E non avviene diversamente per la servitù di veduta: niente impedisce al proprietario del fondo servente di acquistare la comunione del muro da cui la veduta si esercita, per fabbricare in modo compatibile con l'esercizio della servitù stessa, e cioè, tenendosi a tre metri di distanza, ai lati della finestra e tre metri al di sotto della soglia (art. 907 del c.c.). Non si ritiene pertanto conforme al testo di legge la giurisprudenza della Cassazione, la quale ha ripetutamente statuito che none ammessa la cessione coattiva della comunione del muro, quando nel muro vi siano delle finestre da cui si eserciti la servitù di veduta sul fondo vicino.

Nessun impedimento può arrecare al diritto di cessione coattiva l'esistenza di semplici luci (art. 904 del c.c. come anche di vedute aperte iure proprietatis sotto le legislazioni precedenti che le permettevano. Ma per questo argomento si rimanda alla spiegazione dell'art. art. 904 del c.c..


Eccezione dipendente dalla rinunzia alla facoltà concessa dall' art. 874: questione sulla validità o meno di questa rinuncia

Connessa all'argomento di cui stiamo trattando è la questione circa la validità o meno della rinuncia al diritto di cessione coattiva della comunione: poiché ove se ne ritenesse la validità, detta rinuncia costituirebbe un ostacolo alla cessione coattiva.

In Francia l'opinione prevalente nella dottrina e nella giurisprudenza è per la validità della rinuncia. Ma essa è combattuta da parte di alcuni autori, che la ritengono incompatibile con la regola secondo cui il condomino che ha rinunciato alla comunione del muro possa riacquistarla, regola che era testuale nella Consuetudine di Parigi e che, nonostante il silenzio del codice francese, viene universalmente ammessa dalla dottrina. In un solo caso egli crede valida la rinuncia a chiedere la comunione del muro: quando il vicino si è assoggettato a una servitù non aedificandi, o ad altra simile. In questo caso egli ha rinunziato, in favore del vicino, al diritto di fabbricare: questa rinuncia, che è valida, importa indirettamente la validità della rinuncia all'acquisto della comunione coattiva, che per se sola non sarebbe ammessa.

Nel nostro ordinamento la questione si riproduce negli stessi termini: solo viene aggravata l'obiezione che la dottrina francese faceva all'opinione dominante, essendo riconosciuto testualmente dall'art. 888 il diritto al riacquisto della comunione da parte di chi l'abbia abbandonata per sottrarsi alle spese di costruzione o manutenzione del muro.

Ciononostante si ritiene che la rinuncia sia valida: l'obiezione fatta dagli autori francesi non è fondata, perché poggia sopra un equivoco. La rinuncia alla comunione è un negozio giuridico di contenuto ben diverso dalla rinunzia al diritto di chiedere la comunione. Nel primo caso la rinuncia è diretta alla comunione attuale, per esonerarsi dalle spese che essa importa, e che al momento non si vogliono sopportare: resta quindi la facoltà nel rinunciante di domandare la comunione del muro quando creda conveniente sopportarne le spese, perché la dizione dell'art. 874 è assoluta, né a tale facoltà egli ha rinunziato con la semplice rinuncia alla comunione attuale.


Modalità dell'acquisto della comunione. Acquisto parziale in altezza, non anche in lunghezza

Colui che domanda la comunione del muro deve sottostare alle modalità e agli obblighi imposti dalla legge.

Quanto alle modalità, il codice francese ammette l'acquisto parziale tanto in altezza quanto in lunghezza. Invece nel codice Albertino fu introdotto l'inciso « purché lo faccia per tutta l'estensione della sua proprietà » passato poi di peso nell'art. 556 codice del 1865. Tale inciso dava luogo a difficoltà d'interpretazione, poiché i più, basandosi sulla locuzione letterale, ammettevano l'acquisto parziale solo in altezza e l'escludevano nel senso della lunghezza, mentre altri, fondandosi sulle risultanze dei lavori preparatori del codice sardo e sulle ragioni per cui quell'inciso era stato ivi introdotto, sostenevano la possibilità dell'acquisto parziale tanto in altezza quanto in lunghezza Il nuovo codice ha tolto di mezzo la questione dichiarando che il proprietario può chiedere la comunione del muro « per tutta l'altezza per parte di essa, purché lo faccia per tutta l'estensione della sua proprietà ».

Convinti assertori della contraria soluzione sotto l'impero del vecchio codice, dubitiamo della opportunità della soluzione ormai testualmente sancita dal nuovo, e che in pratica aveva già dato luogo a conseguenze esose nella fattispecie decisa dalla Cassazione con la sent. 3 febbraio 1931 cit., essendosi costruito un casotto in muratura ad uso pollaio di soli m. 2,25 appoggiato al muro vicino, il costruttore dovette acquistare la comunione del muro limitrofo lungo ben m. 102! Vero è che l'inconveniente pratico che si verificava sotto il vecchio codice, viene ora attenuato per il fatto che il nuovo codice (art. 877 del c.c.) ammette le costruzioni in aderenza senza l'obbligo di acquistare la comunione. Quindi oggi il costruttore del pollaio di m. 2,25 ha la possibilità di fabbricarlo in aderenza al preesistente muro contiguo senza bisogno di acquistarne la comunione ne in tutto ne in parte, mentre per il vecchio codice egli era nell'alternativa di distanziare la costruzione di tre metri dal muro vicino (art. 571)
di acquistare la comunione e di acquistarla per tutti i m. 102 della sua proprietà.


Se sia permesso l'acquisto parziale in grossezza

Ha formato anche oggetto di controversia la possibilità di un acquisto parziale dello spessore del muro. La soluzione negativa, che è seguita dalla dottrina dominante, fa capo a Pothier, il quale rilevava che colui che acquistasse solo una parte dello spessore, non per questo profitterebbe meno di tutto lo spessore: cosa che sarebbe ingiusta.

Appare preferibile la tesi della dottrina dominante, pur non condividendo la motivazione data da alcuni autori. Così non è sufficiente la ragione addotta da alcuni secondo cui il muro, qualunque sia la sua grossezza, è sempre un tutto omogeneo che non si può materialmente dividere nello spessore, e se si dividesse, si distruggerebbe nella sua essenza, perché dovrebbero togliersi le concatenazioni che esistono fra le varie parti.

Infatti, trattandosi di communio pro indiviso, l'indivisibilità materiale della cosa non ne impedirebbe la divisibilità dal punto di vista giuridico.

Una ragione migliore è quella addotta da altri autori secondo cui la grossezza, come la solidità e la buona costruzione, costituisce la sostanza stessa del muro, ma anch'essa non spiega come poi convenzionalmente niente impedisca alle parti di cedere o reciprocamente acquistare la comunione per una quota diversa dalla metà.

La vera ragione, in realtà, va ricercata nella speciale natura dell'art. 874: dato il carattere eccezionale della disposizione, la soluzione della controversia deve intendersi data testualmente dallo stesso art. 874. La legge parla di pagamento della metà del valore del muro e del suolo su cui il muro è stato costruito, e con ciò rende chiaro lo scopo di concedere al vicino di domandare la comunione del muro in ragione della metà. Non può quindi il proprietario essere costretto a cedere, contro la sua volontà, la comunione per una quota inferiore alla metà.


Prezzo della cessione e criteri per la sua determinazione

La legge impone all'acquirente l'obbligo di pagare il prezzo di acquisto della comunione del muro: « per ottenere la comunione deve pagare la metà del valore del muro, o della parte di muro resa comune, e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito ».

Ci si è domandati se al pagamento del suolo sia soggetto anche l' antico condomino che abbia perduta la comunione per abbandono e che voglia poi riacquistarla. Sotto l'impero del vecchio codice l'opinione dominante era per l'affermativa, considerando che l'abbandono della comunione non si limita alla costruzione ma comprende anche il suolo su cui il muro è costruito. Nel nuovo codice, però, la questione è testualmente (art. 888 del c.c.) risolta in senso contrario per il caso di riacquisto della comunione del muro di chiusura obbligatoria di cui si sia in precedenza abbandonata la comunione. Tale detta norma vale in genere per tutti i casi di riacquisto della comunione del muro perduta in precedenza per abbandono.

La legge, parlando del valore del muro, intende riferirsi al valore attuale, e non a quello che il muro poteva avere quando fu costruito, nè al costo della costruzione. Bisognerà quindi esaminare lo stato del muro, la solidità, i materiali di costruzione, in modo che il valore attuale può risultare di molto inferiore al valore iniziale, nonché al costo di costruzione. Al contrario, in nessun caso il prezzo può essere inferiore al valore del muro all'epoca della cessione: non può venire ridotto col pretesto che il muro è costruito con materiali più costosi degli ordinari o con proporzioni di spessore affatto superflui per lo scopo a cui intende adibirlo l'acquirente. Bisogna prendere il muro tale quale esso è, e non come il vicino l'avrebbe desiderato: se l'acquisto sembra troppo costoso, il vicino può astenersene perché nessuno lo obbliga all'acquisto della comunione.

Taluno vorrebbe porre una eccezione a questa regola per i muri di chiusura obbligatoria (art. 886 del c.c.): in questa ipotesi l'acquirente non potrebbe essere obbligato a pagare oltre la meta di quello che potrebbe valere un muro di dimensioni ordinarie e costruito con materiali usuali. Infatti, in tema di chiusura obbligatoria il vicino ha il diritto di domandare la costruzione, a spese comuni, di un muro che non ecceda le condizioni ordinarie ne per dimensioni, ne per costo di materiali. Non crediamo, però, che la distinzione sia fondata. Anche nei luoghi soggetti a chiusura obbligatoria, chi domanda la comunione del muro non ha per scopo la semplice chiusura, che già esiste per lui gratuitamente, bensì di usarne per altri scopi. Si rientra così sotto la regola generale, e manca la ragione di farvi eccezione.

Nel caso di acquisto parziale in altezza è discusso se debba tenersi conto come coefficiente di svalutazione, del sovraccarico che la parte superiore del muro, non comune, impone alla porzione diventata comune. La risposta è affermativa, perché effettivamente la parte di muro sottostante, di cui il vicino ha acquistato la comunione, è soggetta alla servitù oneris ferendi a vantaggio del muro superiore e quindi non può essere valutata alla pari di un muro che non fosse soggetto a tale servitù.

Il valore del muro e del suolo si determinano d'accordo dalle parti : in caso di disaccordo, si ricorre alla stima dei periti, che devono nelle loro operazioni informarsi ai criteri suesposti. Le spese di questa perizia gravano, di regola, sull'acquirente, perché rientrano nelle spese che la legge mette a suo carico.


Il pagamento del prezzo deve essere preventivo. Necessità della convenzione scritta o della sentenza per l'acquisto della comunione

Ci si domanda da ultimo in quale momento deve essere pagato il prezzo della cessione. L'opinione comune è che il pagamento deve essere preventivo: si argomenta tale opinione dal carattere coattivo della cessione, che la riavvicina all'espropriazione, per cui vige il principio del previo pagamento dell'indennità. Nello stesso ordine di idee, anche per l'imposizione della servitù di acquedotto coattivo e di passaggio necessario, la legge (art. 1038, 1053) impone il pagamento della indennità prima di iniziare la costruzione.

Per l'acquisto della comunione è però sempre necessaria una convenzione scritta: non basterebbe l'offerta del prezzo, anche quando fosse stato determinato con perizia, e nemmeno l'offerta reale, anche se accettata dal proprietario del muro. In mancanza di accordo, ne terrà luogo la sentenza del giudice.

Poiché l'acquisto della comunione coattiva del muro richiede la convenzione scritta delle parti o la pronuncia del giudice, ne segue che nel periodo intermedio tra la richiesta e l'effettiva costituzione del rapporto di condominio, permane integro nel proprietario del muro il diritto di disporne liberamente. Una limitazione a tale libertà di disposizione è stata apportata dal nuovo codice (art. 875 capov.) per il caso di comunione forzosa del muro che non è sul confine.


Dell'obbligo di eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino. Origine della disposizione e sua interpretazione

Oltre il pagamento del prezzo di acquisto, la legge impone all'acquirente anche l'obbligo di « eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino ».

Questa disposizione, che manca nel codice francese, fu aggiunta dal codice sardo e, adottata dal codice del 1865, e passata anche nel nuovo: non è facile determinarne con precisione il contenuto, a causa specialmente della espressione generalissimo. Diremo anzi, che essa sembrerebbe fuori posto perché, di per sè, l'acquisto della comunione del muro non potrebbe danneggiare il vicino: i danni al vicino possono provenire solo dall'esercizio dei diritti che l' acquirente può effettuare sul muro diventato comune (appoggio di fabbriche, immissioni di travi e chiavi, sopraelevazione, ecc.). Poiché la disposizione in oggetto rappresenta una norma-limite di tale esercizio e avrebbe trovato posto più adatto accanto agli art. 884 e 885 in cui si disciplina appunto l'esercizio dei diritti spettanti al condomino sui muri comuni divisori. Anzi è da rilevare che l'obbligo dell'acquirente al risarcimento dei danni prodotti al muro nell'esercizio dei diritti di condominio è esplicitamente stabilito tanto nell'art. 884 (« egli è tenuto in ogni caso a riparare i danni causati dalle opere compiute ») quanto all'art. 885al vicino deve essere risarcito ogni danno dalla esecuzione delle opere »). E quindi la disposizione contenuta alla fine dell'art. 874 si ridurrebbe all'affermazione di un principio generale, che trova poi speciale applicazione negli art. 874 e 875 a proposito dell'esercizio dei vari diritti che competono ai condomini sui muri comuni.

In termini generali e salvo a tornarvi in seguito per le singole applicazioni, va rilevato qui che, dandosi luogo alla cessione coattiva della comunione, l'obbligo del cedente si limita a dare il muro così com'è, e spetta solo all'acquirente di verificare il muro nella sua solidità prima di appoggiarvi il suo edificio o di esercitarvi gli altri diritti che gli competono quale condomino, provvedendo a proprie spese e senza danno del vicino alle opere opportune per garantire lì integrità sia della sua nuova costruzione sia della preesistente costruzione del vicino.

La verità è però che se si risale alla genesi storica della disposizione finale dell'art. 875, è dato rilevare che essa fu dettata per risolvere altra e diversa questione generale, attinente agli effetti della cessione coattiva. Occorre soffermarvi l'attenzione, per integrare e completare l'interpretazione dell'articolo in esame.

Il proprietario esclusivo del muro può fame, nei limiti di legge, quell' uso che vuole: aprirvi luci, immettervi travi, scavarvi incavi e camini, praticarvi le riseghe di uso, e così via. Ma quando il vicino ne ha acquistata la comunione, che cosa avverrà di tutte queste opere che egli ha potuto fare quale proprietario esclusivo, ma che in qualità di condomino non avrebbe potuto fare in tutto o in parte? Sarà obbligato a sopprimerle, o avrà il diritto di mantenerle, e in quali limiti ?

La questione fu avvertita dal Senato di Savoia, che chiamato a fare le sue osservazioni sull'art. 34 del primo Progetto del codice sardo, corrispondente al nostro articolo, aveva proposto la seguente aggiunta all'articolo: « l'acquisition de la rnitoyennete aura toujours lieu, sans prejudice du droit du proprietarie a conserver l'etat des lieux au moment de cette acquisition ».

Ma l'aggiunta non fu adottata dalla Commissione legislativa, la quale rilevò che: « l'addizione proposta dal Senato di Savoia renderebbe facilmente inutile l'articolo, perché basterebbe al padrone del muro di fare in esso qualche opera che non potesse con la comunione del muro conservarsi, per impedire la comunione. Il codice francese e gli altri codici non hanno adottato ne questa ne altre restrizioni, le quali paralizzerebbero in molti casi la legge; la Commissione ha bensì fatto alle disposizioni di detti codici l'addizione d'imporre al vicino l'obbligo delle opere necessarie per non pregiudicare il vicino, il che previene i casi additati dal Senato, « di una trave infissa nel muro o di un camino in esso costrutto ». L'aggiunta è passata prima nel codice sardo e poi nel codice del 1865 con qualche modificazione di forma: « eseguendo altresì le opere che occorressero per non danneggiare il vicino », rimasta sostanzialmente invariata nell'art. 874 : « deve inoltre eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino ».

Le surriferite dichiarazioni dei lavori preparatori del codice sardo servono per chiarire la genesi della disposizione e per sapere come la pensassero in generale su questo argomento i compilatori del codice.

Riservandoci di tornare in seguito sulla esplicazione concreta della disposizione, quando tratteremo dei vari diritti che competono sul muro divisorio al vicino che ne ha acquistato la comunione, ci limitiamo qui ad enunciare qualche principio generale tratto da singole disposizioni del codice. L'acquirente non può pretendere, in via assoluta, la soppressione di tutte le opere che il proprietario, come condomino, non avrebbe potuto fare: lo si argomenta dalla disposizione dell'art. 904 capov. che vieta all'acquirente la chiusura delle luci preesistenti sul muro se ad esso non appoggia il suo edificio, e ciò nonostante la disposizione dell'art. capov. che vieta l'apertura di luci sul muro comune. Quindi la teoria dell'assoluta retroattività dell'acquisto della comunione, che ha trovato in Francia dei seguaci e il suffragio della Cassazione, non può accogliersi nel nostro

Ma anche la teoria dell'assoluta irretroattività dell'acquisto della comunione, propugnata dal Senato di Savoia con l'aggiunta da esso proposta e non accettata dalla Commissione legislativa, non può ritenersi accolta dal codice per le ragioni stesse addotte dalla detta Commissione sopra riferite. Lo si argomenta dalla stessa disposizione dell'art. 904 cit. che autorizza l'acquirente a chiudere le luci preesistenti sul muro se ad esso appoggia il suo edificio.

In generale e battendo una via intermedia fra le due tesi dell'assoluta retroattività e dell'assoluta irretroattività, il Codice consente all'acquirente di domandare la soppressione di tutte quelle opere che, non essendo indispensabili al proprietario, ostacolerebbero in tutto o in parte l'esercizio della comunione da parte sua: sempre, però, con l'obbligo imposto dall'art. 874 di fare le opere occorrenti per non danneggiare il vicino. In tale ordine di idee l'art. 884 concede all'acquirente il diritto di fare accorciare la trave immessa nel muro. Nello stesso ordine d'idee, l'acquirente avrebbe il diritto alla riduzione degli incavi esistenti nel muro e alla soppressione delle riseghe nel caso di ricostruzione del muro.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

420 Un primo gruppo di norme in queste materie concerne la distanza nelle costruzioni e la comunione forzosa dei muri (articoli 873-879). La relativa disciplina resta dominata, come già nel codice del 1865, da due regole fondamentali: da un lato, l'obbligo di osservare nelle costruzioni su fondi finitimi la distanza di tre metri o la maggiore distanza stabilita dai regolamenti locali; dall'altro, il diritto di chiedere la comunione del muro altrui, contiguo al proprio fondo o a distanza minore della metà di quella che deve intercedere tra le costruzioni. Occorre tuttavia accennare, in tema di comunione forzosa dei muri, a talune modifiche di carattere particolare apportate alla regolamentazione che essa riceveva nel codice del 1865, dirette soprattutto a introdurre nel testo legislativo opportune precisazioni e a eliminare controversie. Secondo l'indirizzo prevalente della giurisprudenza, si è anzitutto chiarito (art. 874 del c.c.) che l'acquisto parziale della comunione del muro è consentito soltanto rispetto all'altezza: la comunione può essere chiesta per tutta o per parte dell'altezza del muro altrui, purché l'acquisto sia domandato per tutta la lunghezza del muro che si estende sul confine comune. Inoltre si è data una più completa disciplina dell'acquisto della comunione del muro che non si trova sul confine, ma a distanza minore di un metro e mezzo o della metà di quella prescritta dai regolamenti locali, in quanto si è stabilito che la comunione possa essere chiesta soltanto allo scopo di fabbricare contro il muro medesimo (art. 875 del c.c., primo comma). Al fine poi di eliminare la controversia circa la facoltà del proprietario del muro, quando questo si trova a una distanza dal confine minore della metà di quella che deve intercedere tra le costruzioni, d'impedire l'acquisto della comunione e l'occupazione del suolo, procedendo alla demolizione del muro, si è disposto (art. 875, secondo comma) che il vicino, il quale intende domandare la comunione, deve interpellare preventivamente il proprietario se preferisca di estendere il muro al confine o di procedere alla demolizione di esso. Questi deve manifestare la propria volontà nel termine di quindici giorni e deve procedere alla costruzione o alla demolizione entro sei mesi dalla 'comunicazione della risposta. Nuova è la disposizione (art. 876 del c.c.) che autorizza il vicino a servirsi del muro contiguo per innestarvi un capo del proprio muro mediante pagamento di un'indennità per l'innesto, senza l'obbligo di acquistare la comunione. In vero, dato l'uso limitato che il vicino intende fare del muro, sarebbe eccessivo costringerlo all'acquisto. Ancora più notevole è l'innovazione contenuta nell'art. 877 del c.c.. Con essa si consente che il vicino, pur non acquistando la comunione del muro altrui, costruisca in aderenza, senza cioè appoggiare la sua fabbrica a quella preesistente. La facoltà di costruire in aderenza può essere fatta valere così rispetto al muro esistente sul confine, come rispetto al muro a distanza dal confine minore della metà di quella che deve intercedere tra le costruzioni; in questo secondo caso, però; il vicino deve pagare il valore del suolo che intende occupare. Sono esenti dalla comunione forzosa e dalla costruzione in aderenza non soltanto, come già per il codice del 1865 (art. 556), gli edifici appartenenti al pubblico demanio e quelli soggetti allo stesso regime del demanio pubblico, ma altresì quelli che siano riconosciuti d'interesse storico, archeologico o artistico a norma delle leggi in materia (art. 879 del c.c.). Nel computo della distanza minima dei tre metri da osservarsi tra le costruzioni finitime non si tiene conto del muro di cinta e di ogni altro muro isolato che non abbia un'altezza superiore ai tre metri (art. 878 del c.c.). Il principio, già elaborato dalla giurisprudenza per i muri di cinta in relazione alla particolare finalità di questi muri, è stato esteso a tutti i muri isolati che per le loro dimensioni presentino caratteristiche analoghe.

Massime relative all'art. 874 Codice Civile

Cass. civ. n. 22447/2019

Il principio della prevenzione si applica anche nell'ipotesi in cui il regolamento edilizio locale preveda una distanza tra fabbricati maggiore di quella ex art. 873 c.c. e tuttavia non imponga una distanza minima delle costruzioni dal confine, atteso che la portata integrativa della disposizione regolamentare si estende all'intero impianto codicistico, inclusivo del meccanismo della prevenzione, sicché il preveniente conserva la facoltà di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni e il prevenuto la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza ai sensi degli artt. 874, 875 e 877 c.c.

Cass. civ. n. 5146/2019

In tema di distanze tra edifici, il principio della prevenzione è escluso solo in presenza di una norma del regolamento edilizio comunale che prescriva una distanza tra fabbricati con riguardo al confine, con lo scopo di ripartire equamente tra i proprietari confinanti l'obbligo di salvaguardare una zona di distacco tra le costruzioni. Ne consegue che, in assenza di una siffatta previsione, deve trovare applicazione il principio della prevenzione, potendo il prevenuto costruire in aderenza alla fabbrica realizzata per prima, se questa sia stata posta sul confine o a distanza inferiore alla metà del prescritto distacco tra fabbricati. (Nella specie, in applicazione del richiamato principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della corte di appello che aveva ritenuto che l'indicazione di un distacco minimo tra fabbricati da parte di un regolamento edilizio comunale escludesse la facoltà, in capo ai proprietari dei fondi confinanti, di costruire in prevenzione, essendo implicito in quella disciplina il richiamo alla distanza da mantenere rispetto ai confini).

Cass. civ. n. 11320/2018

Le disposizioni dei piani regolatori che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni tra loro o dai confini dei fondi appartengono alla categoria delle norme integrative del codice civile che, se violate, conferiscono al vicino la facoltà di ottenere la riduzione in pristino. Ne consegue che, qualora lo strumento urbanistico locale, successivamente intervenuto, abbia sancito l'obbligo inderogabile di osservare una determinata distanza dal confine ovvero tra le costruzioni, tale nuova disciplina vincola il preveniente che rimane tenuto, se vuole sopraelevare, alla osservanza della diversa distanza stabilita, senza alcuna facoltà di allineamento (in verticale) alla originaria preesistente costruzione, a meno che la normativa regolamentare non preveda una espressa eccezione in proposito.

Cass. civ. n. 8000/2018

L'art. 885 c.c., che riconosce ad ogni comproprietario la facoltà di alzare il muro comune, introduce una deroga sia al normale regime della comunione che a quello dell'accessione, perché consente – anche senza il consenso dell'altro comproprietario del muro – la formazione di una proprietà separata ed esclusiva della sopraelevazione, appartenente al comproprietario che per primo abbia innalzato il muro comune, il quale può altresì giovarsi, nella prosecuzione in altezza, dello stesso principio di prevenzione adottato sulla base della costruzione, fatta salva la possibilità per il vicino comproprietario di chiedere la comunione del muro sopraelevato.

Cass. civ. n. 22909/2015

L'art. 874 c.c. non prevede l'offerta dell'indennità di medianza quale condizione dell'azione volta ad ottenere la comunione forzosa del muro sul confine, sicché l'indennità stessa deve essere determinata dal giudice a prescindere da qualsiasi offerta. (Cassa con rinvio, App. Firenze, 10/11/2009).

Cass. civ. n. 2485/2012

Il proprietario di un fondo, che innalzi il muro di confine sino a portarlo all'altezza di tre metri ex art. 886 c.c., sopporta per intero le spese di sopraelevazione e non può pretendere che vi concorra il proprietario del fondo contiguo, atteso che quest'ultimo, ai sensi degli artt. 874 e 885 c.c., ha soltanto la facoltà, e non l'obbligo, di entrare in comunione della parte sopraedificata.

Cass. civ. n. 3425/2006

Nelle zone in cui vige la normativa antisismica - contenuta nella legge 25 novembre 1962, n.1684 - non sono applicabili le disposizioni di cui agli artt.874, 876c.c. art. 876 - Innesto nel muro sul confine, 884 cod. civ., secondo le quali il proprietario del fondo contiguo al muro altrui ha la facoltà, rispettivamente, di chiederne la comunione forzosa, di innestarvi il proprio muro, di costruirvi il proprio edificio in appoggio, perchè è invece necessario che ogni costruzione costituisca un organismo a sè stante, mediante l'adozione di giunti o altri opportuni accorgimenti idonei a consentire la libera ed indipendente oscillazione degli edifici.

Cass. civ. n. 2731/2002

Nelle zone in cui vige la normativa cosiddetta antisismica — contenuta nella legge 25 novembre 1962, n. 1684, — non sono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 874, 876, 884 c.c., secondo le quali il proprietario del fondo contiguo al muro altrui ha la facoltà rispettivamente di chiederne la comunione forzosa, di innestarvi il proprio muro, di costruirvi il proprio edificio in appoggio, perché è invece necessario che ogni costruzione contigua costituisca un organismo a sé stante, mediante l'adozione di giunti o altri opportuni accorgimenti idonei a consentire la libera ed indipendente oscillazione degli edifici. Peraltro, nel caso in cui l'area intermedia tra due edifici non sia, fino ad una certa altezza, libera da costruzioni, trova applicazione l'art. 6, quarto comma, legge 25 novembre 1962, n. 1684, atteso che, sebbene tale norma ponga la previsione di intervalli di isolamento liberi da costruzioni, in detta previsione debbono comprendersi anche gli intervalli tra parti sopraelevate di edifici, sia in base all'interpretazione logica della norma (che non contiene eccezioni o limitazioni specifiche), sia, soprattutto, in base alla ratio della stessa, volta a scongiurare il pericolo di danno alle persone in caso di crolli di fabbricati per terremoto, pericolo ugualmente sussistente negli intervalli di costruzioni che si sviluppano verso l'alto, anche se gli intervalli medesimi non abbiano inizio dal suolo. (Nella specie, alla stregua dei principi sopraenunciati, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice del merito che aveva ritenuto legittima la costruzione che, in aderenza al piano seminterrato, e per i piani superiori si poneva a distanza inferiore rispetto a quella prevista tra fabbricati dalla legge c.d. sismica).

Cass. civ. n. 8122/2000

Al principio dell'ammissibilità di un'usucapione pro quota del diritto di proprietà non si sottraggono i muri di confine che appartengano ad un solo dei proprietari dei fondi finitimi, non ostando a ciò la circostanza per la quale l'altro proprietario potrebbe, pur sempre, ottenerne coattivamente la comproprietà mediante il pagamento della metà del valore del muro e del suolo sottostante. La comunione forzosa costituisce, difatti, una particolare forma di acquisto a titolo derivativo della (com)proprietà del bene de quo, per nulla incompatibile, come tale, con l'usucapione, disciplinata, a sua volta, come generale ed alternativo modo di acquisto a titolo originario di tutti i diritti reali.

Cass. civ. n. 128/1999

L'indennità di medianza, prevista dall'art. 874 c.c., spetta al proprietario del muro di confine — che può richiederla, previa costituzione della comunione di esso, senza attendere l'iniziativa del vicino — per qualsiasi utilizzazione e pertanto, non soltanto nel caso in cui questi vi appoggi la sua costruzione, ma anche se vi scarichi il peso di un terrapieno artificiale, sopraelevato rispetto al livello originario del suo fondo, per realizzare all'interno di esso un'aiuola, contenuta dalla controspinta del muro, costituente quarto lato di essa.

Cass. civ. n. 10615/1996

Per l'acquisto della medianza coattiva del muro sul confine, qualora non sia stata conclusa tra le parti una convenzione nella forma scritta prevista dalla legge per il trasferimento della proprietà e degli altri diritti reali immobiliari, è necessaria in sua vece una sentenza costitutiva i cui effetti sono condizionati al pagamento dell'indennità di medianza, al quale il vicino deve essere condannato.

Cass. civ. n. 5511/1984

Allorquando la costruzione di un muro viene eseguita su due adiacenti strisce di terreno, ciascuna di proprietà esclusiva di un distinto soggetto, deve ritenersi che, a norma dell'art. 934 c.c. (il quale statuisce il principio dell'accessione), ognuno di tali soggetti acquisti la proprietà della sola parte di muro costruito sul proprio terreno, in quanto in detta ipotesi — in mancanza di un atto di costituzione in forma scritta (art. 1350 n. 3 c.c.) — non si realizza la comunione incidentale del muro, mancando di questa i requisiti necessari, quali la indivisibilità funzionale dell'opus e la univoca destinazione delle cose di proprietà esclusiva a proprietà comune.

Cass. civ. n. 4599/1983

La comunione del muro sul confine comporta la proprietà pro indiviso sul muro e del suolo su cui esso è eretto, senza, quindi, che sia configurabile un diritto dominicale di ciascuno dei proprietari dei fondi confinanti di utilizzare in modo esclusivo il muro o lo spazio ad esso sovrastante fino alla mezzeria, come se il confine tra le due proprietà coincidesse con la mezzeria del muro stesso, sicché l'appoggio (parziale o totale) sulla sommità del muro del fabbricato di uno dei partecipanti alla detta comunione senza il consenso degli altri è illegittimo e ciascuno dei condomini o comunisti conseguentemente è legittimato ad agire in reintegra.

Cass. civ. n. 115/1982

Il proprietario del fondo contiguo che chieda la comunione forzosa del muro sul confine a norma dell'art. 874 c.c. mentre può limitarsi a chiedere la comunione per una certa altezza, non può - nell'ipotesi di fondi a dislivello - escludere che la comunione parta dalle fondazioni, in quanto il muro costituisce un tutto inscindibile con queste ultime.

Il valore del muro sul confine di cui il proprietario del fondo contiguo chiede la comunione forzosa a norma dell'art. 874 c.c. va determinato con riferimento al momento della pronunzia, mentre il costo di costruzione del muro stesso e delle sue fondazioni costituisce solo una componente di tale valore.

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Consulenze legali
relative all'articolo 874 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G. F. chiede
sabato 03/09/2022 - Emilia-Romagna
“Mi avete già assistito con la pratica numero: Q202231604
Dopo approfondite analisi delle geometrie in situ, vi chiedo di eseguire una ulteriore analisi dal punto di vista legale per comprendere se i termini della vostra prima risposta cambiano o se possono essere ancora validi.

Chiedo dunque quanto segue:
nel 1974 mio padre decise di innalzare un muretto di 70 cm sopra un muro di confine esistente situato interamente nella proprietà del vicino. Il muretto del vicino si eleva di 50 cm dalla strada ed è lungo 1m. Le dimensioni di questo muretto del vicino sono 20 cm di larghezza e la fine di un lato di esso coincide con la linea di confine. Da quel muretto a doppio spiovente sporgono sporti ancora visibili nonostante l’elevazione del nuovo muretto introdotta da mio padre (vedere foto che vi invierò) e vista la posizione entro il confine, è evidente che il vicino può dimostrare la sua proprietà e che il suo muretto era lì prima che mio padre acquistasse il lotto di terreno e prima che decidesse di innalzarvi sopra il suo nuovo manufatto. Il muretto di cinta che mio padre innalzò venne appoggiato sul lato superiore del muretto esistente del vicino per 8 cm circa di larghezza oltre la linea di mezzaria di confine lato del vicino (vedere disegni che invierò) mentre per altri 12 cm è stato tenuto oltre la linea di confine lato nostra proprietà. Mio padre estese il muretto di recinzione per 4 metri di lunghezza complessiva a ritroso poiché i due fondi erano/sono ad altezze diverse per cause naturali, dopo i 4 metri a ritroso i due giardini ritornano a quota di calpestio uguale (Fondo superiore e Fondo inferiore con pendenze naturali). A mio padre venne detto dal geometra che per non creare danno al vicino (cedimento del terreno) avrebbe dovuto realizzare quel muretto di cinta che assolveva anche alla funzione di piccolo sostegno del dislivello di 70 cm nella parte più alta a sue spese. Come vedete dalle foto, il muretto dal nostro lato è a filo piano calpestio. Mio padre sostenne dunque tutte le spese del suo nuovo muretto e non diede alcun indennizzo né per il terreno né per il muretto al vicino che si offrì di dare in uso gratuito la sua porzione di muretto larga 8 cm per una lunghezza di 1m il che, arrotondando, equivale a circa 0,1 metri quadrati di superficie di contatto. Durante questi 48 anni nessuno ci ha mai contestato nulla, né il vecchio proprietario ovviamente, ne la nuova erede che nel 1995 subentrò al genitore defunto. Oggi però, l’erede che subentrò al genitore nel 1995 mi chiede di pagare il costo del terreno equivalente all’area di terreno di appoggio sul suo muretto che mio padre utilizzò per l’elevazione e il costo del muro equivalente. Poiché il costo del terreno deve essere rivalutato facendo data al 1974, anche una piccola superficie d’appoggio significa alcune migliaia di Euro di indennità e questo per me è ovviamente un problema non indifferente. Vi chiedo dunque:
1) Se l’erede può chiedermi di abbattere la porzione di muretto di sostegno innalzata nel 1974 da mio padre
2) Se posso resistere alla richiesta di pagamento del tributo in base a qualche articolo del Codice civile anche in considerazione del fatto che mio padre DOVEVA COMUNQUE realizzare un muretto di cinta con funzione di contenimento del piccolo dislivello
3) Se in estrema ratio posso invocare l’usucapione per non pagare tributi e per quale porzione/sezione/lunghezza di muro dovrei farlo
Ho un testimone in vita che può testimoniare la data di realizzazione dell’innalzamento del muro nel 1974, ma non ho nessun riscontro per quanto attiene l’accordo verbale tra le parti e nemmeno per le spese sostenute per intero da mio padre. Per lasciare un segno di proprietà, mio padre realizzò il muretto, come si evince dai disegni, in modo asimmetrico rispetto alla linea di confine posizionando 12cm di muro sul nostro terreno e solo 8cm di muro oltre la linea di confine nel terreno del vicino. Può essere utile questo dettaglio?

Grazie per l’aiuto, siete bravissimi!”
Consulenza legale i 12/09/2022
Vi sono diversi elementi della fattispecie descritta che inducono a dover ritenere del tutto infondata la pretesa del vicino.
Il primo elemento da prendere in considerazione è il lungo periodo di tempo intercorso tra la realizzazione del muro e le pretese che soltanto adesso il vicino intende avanzare.
A prescindere, infatti, da ogni altra considerazione che verrà fatta in seguito, dinanzi alla richiesta del vicino di abbattere il muro o di pagare una somma di denaro equivalente alla porzione di terreno altrui occupata, è piuttosto facile opporre l’intervenuta costituzione per usucapione di un diritto di servitù, e precisamente della servitù di appoggiare parte del proprio muro su quello del vicino.
Un valido elemento di prova in tal senso può essere fornito, oltre che da eventuali vicini che potrebbero testimoniare lo stato dei luoghi, dalla perizia di un tecnico, il quale, attraverso sistemi di datazione sia di origine antropica che di origine naturale, potrà sicuramente essere in grado di stabilire, se non in maniera assoluta, almeno in modo relativo la data di realizzazione di quel muro (sicuramente anteriore di almeno venti anni, termine sufficiente per far valere l’usucapione di un diritto di servitù).
A ciò si aggiunga che, in considerazione del lungo periodo di tempo trascorso ed in assenza di alcun atto interruttivo, sarebbe del tutto impensabile di poter avanzare una pretesa di natura economica, essendosi abbondantemente prescritto ogni pretesa di questo tipo, tenuto conto che il termine ordinario di prescrizione di ogni diritto non può comunque essere superiore a dieci anni (così art. 2946 del c.c..

A parte le superiori considerazioni, che potrebbero farsi valere come extrema ratio per bloccare ogni iniziativa del vicino, vi sono altri elementi che depongono a favore delle ragioni di chi pone il quesito.
La scelta adottata dalle parti in sede di costruzione del muro contestato, seppure frutto di un libero accordo tra le stesse, in realtà appare anche rispettosa di quanto la normativa civilistica impone al riguardo.
Infatti, la situazione dei luoghi, per come viene descritta nel quesito, si ritiene che debba farsi rientrare nel campo di applicazione degli artt. 887 e 880 c.c.
In particolare, la prima di tali norme prende in considerazione l’ipotesi del muro realizzato tra fondi a dislivello, disponendo al secondo comma che in tale ipotesi il muro, il cui onere di costruzione e conservazione va posto esclusivamente a carico del proprietario del fondo superiore, deve essere costruito per metà sul terreno del fondo interiore e per l’altra metà sul terreno del fondo superiore.
Ora, costituisce opinione pacifica in giurisprudenza (cfr. Cass. n. 13406/2001; Cass.n. 8171/1998) quella secondo cui la disciplina dettata da tale norma (relativa, appunto, alla individuazione del soggetto su cui far gravare le spese di costruzione e conservazione) non possa trovare applicazione sia nell’'ipotesi di un muro costruito esclusivamente sul suolo di uno dei due fondi (spettando la proprietà di esso al solo titolare del fondo) così come nell'ipotesi in cui il muro sia stato costruito dal proprietario del fondo inferiore di propria autonoma iniziativa al solo scopo di realizzare una struttura utile per il proprio fondo (nel qual caso resterà a suo esclusivo carico l'onere della costruzione e della manutenzione del muro).

Nel caso di specie, dunque, la circostanza che il muro di contenimento sia stato realizzato di propria autonoma iniziativa dal proprietario del fondo inferiore su suolo di sua proprietà esclusiva, avrebbe avuto come logica e naturale conseguenza l’inapplicabilità di quanto disposto dall’art. 887 c.c.

Il successivo evolversi degli eventi, ovvero la realizzazione in sopraelevazione e continuazione del muro adesso contestato, con il consenso, seppure verbale e tacitamente espresso, del proprietario del fondo inferiore, ha di fatto comportato un mutamento del regime proprietario dell’originario muro, il quale da muro di proprietà esclusiva ha finito per assumere natura di muro comune, potendo a tal fine invocarsi il disposto di cui all’art. 880 c.c., il quale sancisce una presunzione di comunione del muro che svolge funzioni divisorie.
In particolare, la circostanza che il proprietario del muro originariamente realizzato sul suolo di proprietà esclusiva abbia acconsentito al confinante, seppure tacitamente, di utilizzare una porzione del proprio muro per sopraelevarvi il proprio, ha giuridicamente comportato la configurazione di quel muro come divisorio, risultando di fatto posto a confine tra le due proprietà, con conseguente applicazione, appunto, del disposto di cui all’art. 880 c.c.
In quanto qualificabile come muro comune, nessuno dei due comproprietari può assumere l’iniziativa di demolire lo stesso, costringendo l’altro comproprietario a soggiacere a tale iniziativa, valendo in tal caso le norme che il codice civile detta in materia di comunione in generale agli artt. 1100 e ss. c.c.

Di contro, deve osservarsi che, con molta probabilità, la norma di cui intende avvalersi il vicino, pensando di poter fare forza sulla esistenza di sporti verso il proprio fondo, è l’art. 874 c.c., norma che consente, appunto, al proprietario del fondo contiguo al muro altrui di chiederne la comunione per tutta l’altezza o per parte di essa, dietro pagamento di una somma di denaro pari alla metà del valore del muro o della porzione di muro resa comune ed alla metà del valore del suolo su cui il muro sorge.
Ebbene, seppure si ritiene che non sia sufficiente, ad acquistare la comunione, la semplice dichiarazione di volontà del vicino ma è richiesta la sussistenza di una convenzione scritta fra le parti nelle forme richieste per i trasferimenti di diritti reali, o, in caso di diniego da parte del proprietario del muro, una sentenza avente natura costituiva, i cui effetti, quindi, si producono ex nunc (titoli che in questo caso non sussistono), nulla esclude che il diritto alla comunanza, disciplinato dalla norma citata, possa essere acquistato per usucapione, limitatamente alla porzione di muro concretamente utilizzata.
Si ritorna, dunque, a quanto detto nella prima parte di questa consulenza, ossia alla possibilità, quale estrema soluzione per bloccare ogni iniziativa del vicino, di opporre l’intervenuta usucapione del diritto di comunanza del muro ex art. 874 c.c. ovvero la costituzione, sempre per antico possesso, della servitù di appoggiare il proprio muro su quello preesistente del vicino.

D. D. M. chiede
domenica 29/05/2022 - Campania
“Buongiorno e complimenti per l'ottimo sito.
Gradirei, se possibile, un consiglio su come "agire" in previsione della costruzione di un muretto di cinta.
In breve:
*) c'è un fosso che divide le due proprietà
*) il fosso è per tutta la sua lunghezza realizzato in tubi di cemento e coperto con cemento
*) il fosso è interamente nella mia proprietà anche se il confinante è "convinto" che sia sulla mezzeria (ma avendo fatto dei lavori nel 2012 i tecnici mi hanno confermato quello che già mio padre mi ha sempre detto)
*) il confinante ha costruito un locale deposito sul confine per circa 3 metri e per altri 20 metri un muretto interamente nella sua proprietà (quindi a confine)

La domanda è: posso io realizzare una recinzione con un muretto di mezzo metro e rete metallica o similare per tutta la lunghezza? E sono obbligato a mantenere una certa distanza o posso costruire sul confine e, quindi, in adiacenza al muro preesistente del mio confinante?
Grazie anticipatamente”
Consulenza legale i 07/06/2022
Prima di rispondere alle domande poste, è necessario fare una brevissima premessa. Nella materia delle distanze legali, così come in molti altri ambiti del diritto, per poter fornire una consulenza che presenti un certo grado di attendibilità (non di certezza, perché, purtroppo, in ogni controversia esiste un certo grado di alea, di rischio), è indispensabile che il legale si avvalga dell’ausilio di un tecnico.
Pertanto, in questa sede, ci si limiterà a fornire una panoramica delle norme applicabili, sulla base di quanto riferito nel quesito, fermo restando che le risposte date dovranno essere intese come indicazioni di massima, da verificarsi alla luce di quanto risultante da un eventuale accertamento tecnico.
Detto questo, passando a esaminare il primo dei quesiti formulati, dobbiamo sottolineare che, stando a quanto viene riportato, il vicino avrebbe già costruito dei manufatti sia lungo la linea di confine sia nella sua proprietà, ma a distanza evidentemente inferiore a quella legale.
Sotto il primo profilo, la norma di riferimento è costituita dall’art. 874 c.c., che disciplina la comunione forzosa del muro sul confine, prevedendo che “il proprietario di un fondo contiguo al muro altrui può chiederne la comunione, per tutta l'altezza o per parte di essa, purché lo faccia per tutta l'estensione della sua proprietà. Per ottenere la comunione deve pagare la metà del valore del muro, o della parte di muro resa comune, e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito. Deve inoltre eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino”.
Sotto il secondo profilo (costruzione a distanza inferiore a quella di legge), soccorre l’art. 875 c.c., riguardante invece la comunione forzosa del muro che non è sul confine, norma che si applica quando il muro si trova a una distanza dal confine minore di un metro e mezzo (ovvero a distanza minore della metà di quella stabilita dai regolamenti locali). In tali casi il vicino ha il diritto di chiedere la comunione del muro, ma soltanto allo scopo di fabbricare contro il muro stesso: inoltre, a tal fine dovrà pagare sia il valore della metà del muro, sia il valore del suolo (altrui) da occupare con la nuova fabbrica. Tuttavia, è fatta salva la facoltà del proprietario di estendere il suo muro sino al confine.
Lo stesso art. 875 c.c. indica la procedura da seguire: in particolare, il vicino che intende chiedere la comunione deve preventivamente interpellare il proprietario del muro, se preferisca estendere il muro fino al confine o procedere alla sua demolizione. Il confinante a sua volta deve manifestare la propria volontà entro il termine di quindici giorni, e deve procedere alla costruzione o alla demolizione entro sei mesi dal giorno in cui ha comunicato la risposta.
Riguardo alla seconda domanda (necessità del rispetto delle distanze o possibilità di costruzione sul confine), occorre ricordare che la ratio della normativa sulle distanze legali è quella di evitare dannose intercapedini tra fondi confinanti.
Ora, l'art. 877 c.c. consente al vicino, senza chiedere la comunione del muro posto sul confine, di costruire sul confine stesso in aderenza, cioè senza appoggiare la sua fabbrica a quella preesistente.
In ordine ai concetti di aderenza e appoggio, la giurisprudenza ha precisato:
  • la costruzione in aderenza al muro posto sul confine, ai sensi dell'art. 877 c.c., deve essere ravvisata anche in presenza di modeste intercapedini, ove queste derivino da mere anomalie edificatorie e siano, altresì, agevolmente colmabili senza appoggi o spinte sul manufatto preesistente” (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 3601/2012);
  • in tema di distanze legali fra proprietà, deve intendersi per costruzione in appoggio - secondo una nozione desunta dalla leggi fisiche - quella che scarica il peso degli elementi di cui si compone sul muro del vicino che in tal modo ne assicura la staticità necessaria” (Cass. Civ., Sez. II, 30/08/2004, n. 17388).
La facoltà di costruire in aderenza ex art. 877 c.c. è prevista anche nel caso di muro non sul confine, di cui all’art. 875 c.c.: in questo caso il vicino dovrà pagare soltanto il valore del suolo.

R.F. chiede
martedì 07/09/2021 - Campania
“Il nostro vicino ha costruito sul confine con il nostro terreno a quota inferiore di circa mt 2 una villetta. Dapprima era un deposito senza finestre poi è stato allargato ulteriormente. Il tutto è stato realizzato dal 1983 al 1996 approfittando prima del terremoto degli anni 80 poi di un esproprio che ha coinvolto tutto il nostro terreno ed anche della nostra assenza. Dopo tanto tempo è possibile promuovere un'azione legale per avere la comunione forzosa del muro sul confine che al momento non ha finestre sul nostro terreno ma solo una luce ingrediente?”
Consulenza legale i 15/09/2021
La comunione forzosa del muro sul confine è disciplinata dall’art. 874 c.c., il quale attribuisce al proprietario di un fondo contiguo al muro altrui la facoltà chiederne la comunione per tutta l'altezza o per parte di essa, a condizione lo faccia per tutta l'estensione della sua proprietà.
Inoltre, per ottenere la comunione egli deve pagare la metà del valore del muro, o della parte di muro resa comune, e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito, nonché eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino.
Il tempo trascorso dalla edificazione del muro non incide sulla possibilità di chiederne la comunione: come ha precisato sin da epoca risalente la Corte di Cassazione (n. 566/1963), tale facoltà non costituisce un diritto di servitù soggetto a prescrizione estintiva per non uso, bensì una facoltà rientrante nel diritto di proprietà e, come tale, imprescrittibile.
La costituzione della comunione forzosa non è preclusa neppure dalla presenza di un’apertura sul muro in questione: infatti, ai sensi dell’art. 904 c.c., “la presenza di luci in un muro non impedisce al vicino di acquistare la comunione del muro medesimo né di costruire in aderenza” (precisando che chi acquista la comunione del muro può chiudere le luci solo se appoggia ad esso il suo edificio).

Fernando B. chiede
martedì 24/11/2020 - Umbria
“La scrittura privata ai sensi art.874 c.c.relativa alla comunione forzosa del muro (nel caso specifico c'è accordo tra le parti), è atto valido così come è per i successivi trasferimenti di proprietà oppure occorrono obbligatoriamente Trascrizione o registrazione o quant'altro dell'atto ? Grazie. Chiedo cortese urgenza .Grazie.”
Consulenza legale i 02/12/2020
Procediamo con ordine. L’art. 874 c.c. prevede la comunione “forzosa” del muro sul confine: ciò significa che il proprietario di un fondo contiguo al muro altrui ha diritto ad ottenere la comunione, cioè la comproprietà, sul muro stesso, per tutta l'altezza o per parte di essa, purché lo faccia per tutta l'estensione della sua proprietà. A tal fine deve pagare la metà del valore del muro, o della parte di muro resa comune, e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito.
Il termine “forzosa” significa che la comproprietà del muro può sorgere anche contro la volontà di una delle parti; nel nostro caso, peraltro, nessun problema si pone al riguardo, dal momento che le parti sono d’accordo.
Diversa è la questione dello sconfinamento: risulta infatti che il muro di cui ci occupiamo non sia stato costruito esattamente sul confine.
Ora, non si conosce il contenuto della scrittura privata da firmarsi (o già firmata). Non è ben chiaro, soprattutto, cosa si intenda per "corresponsione del valore del terreno interessato" in favore di quello, tra due proprietari, che ha subito lo sconfinamento. In particolare, non si comprende se con ciò si intenda la metà del valore del suolo su cui sorge il muro, ex art. 874 c.c., oppure se si tratti proprio del valore del terreno interessato dallo sconfinamento, e se, in tal caso, possa configurarsi una compravendita.
Pertanto, per essere più precisi occorrerebbe conoscere il testo di tale accordo.
Possiamo però fare alcune precisazioni di carattere generale. Infatti la trascrizione non influisce sulla validità del contratto, né sulla sua efficacia tra le parti, ma ha la funzione di rendere l’atto opponibile ai terzi e dunque di risolvere eventuali conflitti con i terzi che abbiano acquistato diritti sullo stesso bene oggetto del contratto: in altre parole, prevale chi trascrive per primo, a prescindere dalla data dell’atto di acquisto.
Come abbiamo visto, però, il problema non si pone tanto per il contratto che costituisce la comunione del muro, quanto, piuttosto, in relazione a quella porzione di terreno indebitamente ricompresa nel terreno del vicino.
Ora, se la scrittura privata non dovesse disporre nulla al riguardo, la questione potrebbe effettivamente venire “riaperta” in futuro, ma non “chissà quando”, come paventato nel quesito: infatti occorre sempre tener conto della eventuale usucapione, che può nel frattempo verificarsi. Ad esempio, un erede, o un futuro acquirente del terreno che ha subito lo sconfinamento potrebbe proporre azione di regolamento di confini: il proprietario del fondo confinante potrebbe a quel punto, ricorrendone i presupposti, eccepire l’avvenuta usucapione.

Franca S. chiede
martedì 16/07/2019 - Marche
“Buongiorno, mi rivolgo a voi per capire come risolvere una situazione piuttosto spiacevole. In sintesi: mia madre abitava in una casa attualmente inagibile a causa del terremoto del 2016. Si tratta di una bifamiliare risalente agli anni '60 composta dal piano terra destinato a garage e da 2 piani residenziali.
Poiché dovremo demolire e ricostruire, sostenendo delle spese notevoli, vorremmo realizzare due soluzioni indipendenti affiancate piuttosto che sovrapposte, visto che abbiamo ancora metà del lotto disponibile.
Il problema è sorto quando abbiamo appurato che il box di lamiera ondulata che il vicino ha costruito nell'orto a 80 cm dal confine non è abusivo come credevamo, ma è stato autorizzato a suo tempo (1972) dal Comune, anche riguardo alla distanza.
Abbiamo chiesto al vicino di spostare il box, spiegando che, dovendo mantenere una distanza di 10 metri da esso, non possiamo ricostruire la stessa cubatura, ma abbiamo ricevuto un diniego.
Quello che vorrei sapere è :
1) Poteva il Comune rilasciare un permesso a costruire a 80 cm dal confine?
2) Abbiamo dato per assodato che ormai si sia instaurata una servitù per usucapione: è corretto? In realtà noi non abbiamo mai protestato con il vicino solo perché ritenevamo il manufatto provvisorio, visto il materiale.
3) Possiamo pretendere di costruire in aderenza, acquisendo la striscia di terreno di 80 cm, anche solo per fare pressione sul vicino e convincerlo a spostare quella baracca? Se sì, in quale modo?
Sperando di essere riuscita ad esporre chiaramente la situazione, vi ringrazio e vi saluto cordialmente.”
Consulenza legale i 25/07/2019
In materia di distanza delle costruzioni dai confini, la legge si ispira al principio della prevenzione temporale, basato sugli artt. 873, 874, 875 e 877 del cc, secondo cui il proprietario che costruisce per primo determina, in concreto, le distanze da osservare per le altre costruzioni da erigersi sui fondi vicini.

Il diritto di prevenzione prevede che chi costruisce per primo su di un fondo contiguo ad un altro ha una triplice possibilità su come realizzare l’opera, come disciplinato dagli artt. 874 e ss. del codice civile:
  1. costruire sul confine: di conseguenza il vicino potrà costruire in aderenza o in appoggio;
  2. costruire con distacco dal confine: cioè alla distanza di un metro e mezzo dallo stesso o a quella maggiore stabilita dai regolamenti locali; in tal caso il vicino sarà costretto a costruire alla distanza stabilita dal codice civile o dagli strumenti urbanistici locali;
  3. costruire con distacco dal confine ad una distanza inferiore alla metà di quella totale prescritta: in tal caso, il vicino può costruire in appoggio, chiedendo la comunione del muro che non si trova a confine, oppure in aderenza

Il diritto di prevenzione, riconosciuto a chi per primo edifica, si esaurisce con il completamento, dal punto di vista strutturale e funzionale, della costruzione.
Affinché il principio della prevenzione possa essere applicato bisogna rispettare uno dei principi fondamentali per la sua operatività, ossia la dimostrazione della priorità nel tempo della costruzione.

In alternativa, se non viene dunque dimostrato l’effettivo periodo di costruzione, l’onere della prova di aver costruito per primo grava su colui che chiede l’arretramento del fabbricato altrui e quindi in tal caso su parte attrice.

Una volta analizzata in generale la disciplina fondamentale delle costruzioni, pare necessario precisare che chi intende edificare a distanza inferiore al limite legale deve premunirsi depositando presso il Comune il “nulla osta” da parte dei vicini. Il principio è stato stabilito dal TAR Roma (sent. 9879/2016) che ha ritenuto legittimo l’ordine di demolizione comminato dal Comune.

Tuttavia, rispondendo ora al primo quesito, il permesso di costruire sarebbe dovuto essere impugnato dall’interessato entro sessanta giorni dalla conoscenza del provvedimento relativo al permesso di costruire o, in mancanza, dal momento in cui si è avuta conoscenza dell’illegittimità della costruzione, come previsto dall’articolo 29, motivo per cui è irrilevante a questo punto sapere se il Comune avrebbe potuto o meno rilasciare un permesso di costruire a soli 80 cm dal Confine, dato che l’impugnazione è ormai impossibile. Ad ogni modo la legittimità di tale permesso dipende dal PRG comunale, che per vari motivi può derogare a quanto previsto dall’articolo 873. In sintesi, si può pacificamente affermare che il diritto del vicino è ormai consolidato.

Venendo ora al secondo specifico quesito, se lo scrivente ha compreso correttamente (ovvero che il box di lamiera del vicino si trova a 80 cm dal confine, ma all’interno del proprio fondo), non è sorta alcuna servitù.

Tale ultimo istituto, infatti, è descritto dal codice civile come il peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario (v. art. 1027). Tipica servitù è quella di passaggio ex art. art. 1051 del c.c., che impone al proprietario del fondo servente di consentire il passaggio al proprio vicino, quando il fondo di quest’ultimo è intercluso e non vi è altra soluzione che consenta il passaggio.

Per contro, nella fattispecie in esame non solo il vicino ha costruito sul proprio fondo, ma non vi è nemmeno alcuna utilità per l’uno o per l’altro proprietario, motivo per il quale si è al di fuori dell’ambito di applicazione della servitù.

D’altronde, il codice civile ha disciplinato in maniera opportuna le ipotesi in cui vi è una stretta vicinanza tra costruzioni, ma senza che venga in rilievo la servitù, prevedendo i rimedi sopra citati e disciplinati dagli articoli 874 e seguenti, cui si rimanda per una analisi più centrata.

Ovviamente lo scopo precipuo di tali norme è quello di addivenire ad una soluzione che permetta ad entrambi i proprietari di costruire in parziale deroga alle normali regole, quando uno dei due le abbia violate per prime. Sicuramente non per “fare pressione” sul vicino, il quale, a questo punto, ha diritto a mantenere il suo box alla distanza attuale. Per contro, egli non potrà certo obiettare nulla in merito alle costruzioni del proprio vicino, dato che le stesse norme del codice disciplinano situazioni di tal tipo.

In conclusione, se con l’istanza presentata per il permesso di costruire si descriverà la situazione attuale, il Comune non potrà legittimamente rifiutarsi di concedere il permesso.

MORENO M. chiede
domenica 04/02/2018 - Toscana
“L’immobile nel quale abito è composto dal piano terreno adibito a garage e da 2 appartamenti situati al 1° e 2° piano.
Ho acquistato il suddetto immobile nel 1992 e nel contratto la parte venditrice non ha indicato l’esistenza di servitù.
La costruzione è avvenuta nel 1946/1947. Alcuni anni dopo a fianco dell’immobile è stato realizzato un altro fabbricato che nella parte frontale (lato strada) ha l’identica altezza del mio e non esiste dislivello tra i due tetti.
Sul retro il nuovo fabbricato ha il tetto che in gronda sovrasta il mio tetto di circa 40/50 cm..
Nel dicembre 2017 l’ultimo travetto del mio tetto è caduto a terra in quanto completamente marcito a causa di infiltrazioni di acqua. La ditta che ho immediatamente incaricato della sostituzione del travetto mi ha fatto notare l’esistenza di un solo muro tra due edifici e che è interamente sulla mia proprietà e che il travetto deteriorato era interamente posizionato sul bordo del mio muro. Nel corso dei lavori è emerso che sopra il travetto era stato realizzato, con semplici mattoni, un tamponamento a servizio delle soffitte dell’immobile confinante. E’ poi stato possibile accertare che la trave portante dell’edificio confinante è poggiata su una porzione di muro realizzata (in adiacenza) in corrispondenza del culmine del tetto.

Riepilogando:

- Esiste un solo muro in comune ai due edifici ed è quello interamente costruito sul confine della mia proprietà;
- Il proprietario dell’altro immobile ha realizzato una porzione di muro adiacente al mio per poggiarvi la trave portante del suo edificio.
- Una parte del tetto dell’immobile confinante poggia su un travetto posizionato sul bordo esterno del mio muro.

Poiché il proprietario dell’immobile confinante (interpellato bonariamente) non intende partecipare al pagamento delle spese in quanto sostiene che il travetto deteriorato è interamente sulla mia proprietà e non trovando traccia di atti che attestino eventuali accordi tra le due proprietà al momento della costruzione dell’immobile confinante, si chiede:

1) In quale forma avrebbero dovuto essere formalizzati eventuali accordi tra le due proprietà al momento della costruzione dell’immobile confinante e dove reperirli?
2) Trattasi di costruzione in “appoggio” o in “aderenza” o di entrambe.
3) Se non esistono atti scritti come mi devo comportare per obbligare il confinante al pagamento di parte delle spese.
4) Se non si reperisco accordi tra le vecchie proprietà posso chiedere all’attuale proprietario del fabbricato confinante di effettuare i lavori necessari per evitare che porzione del suo tetto appoggi sul mio muro.”
Consulenza legale i 16/02/2018
Lo stato dei luoghi descritto nel quesito legittimerebbe supporre che ci si trovi in un caso di costruzione in appoggio, in quanto vi è un solo muro tra i due edifici che viene utilizzato da entrambi.
Ad ulteriore sostegno di tale tesi vi è che “Il proprietario dell’altro immobile ha realizzato una porzione di muro adiacente per poggiarvi la trave portante del suo edificio”.
Appare quindi che l’altro edificio, in sostanza, si regga su quello preesistente.

Come ha statuito la Suprema Corte sul punto: “Per costruzione in appoggio deve intendersi, secondo una nozione desunta dalle leggi fisiche, quella che scarica il
peso degli elementi di cui si compone sul muro del vicino che, in tale nodo, ne assicura la staticità necessaria. Si ha, invece, costruzione in aderenza quando la nuova opera e quella preesistente combaciano perfettamente da uno dei lati, in modo che non rimanga tra i due muri, nemmeno per un breve tratto o a intervalli, uno spazio vuoto, ancorché totalmente chiuso”
(Corte di Cassazione, Sez. II, 4 maggio 2012 n. 6789).

Ciò posto, appare applicabile a tale situazione la disciplina contenuta nell’art. 874 del codice civile il quale prevede che «Il proprietario di un fondo contiguo al muro altrui può chiederne la comunione, per tutta l’altezza o per parte di essa, purché lo faccia per tutta l’estensione della sua proprietà. Per ottenere la comunione deve pagare la metà del valore del muro, o della parte di muro resa comune, e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito. Deve inoltre eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino».
Ciò significa che chi aveva costruito il secondo edificio per ottenere la comunione sul muro avrebbe dovuto pagare metà del valore del muro (e metà del valore del suolo su cui sorge il muro stesso), nonché eseguire a proprie spese le opere che servono per non danneggiare il vicino.

Come ha osservato la Corte di Cassazione in una datata - ma ancora valida - sentenza “perché si possa ottenere l'effetto della comunione forzosa del muro sul confine non basta il semplice stato di fatto derivante dall'avere appoggiato la nuova fabbrica al muro stesso, ma occorre che il nuovo costruttore ne acquisti il diritto o per cessione consensuale, che deve rivestire "ad substantiam" la forma scritta, trattandosi di immobile, o per usucapione, o in virtù di sentenza, avente natura costitutiva”. (Cassazione civile , sez. II, 18 marzo 1981, n. 1604).
Orbene, nel caso in esame, se interpretiamo bene la frase: “La costruzione è avvenuta nel 1946/1947. Alcuni anni dopo a fianco è stato realizzato un altro fabbricato” parrebbe che l’edificio in appoggio sia stato edificato da quasi 70 anni. Visto tale decorso del tempo, è ipotizzabile anche un acquisto per usucapione del diritto di comunione forzosa, che, comunque, dovrebbe essere oggetto di accertamento giudiziale.

Fermo quanto precede, nel quesito si lamenta il deterioramento di un travetto “marcito a causa di infiltrazioni di acqua”. Se dette infiltrazioni fossero state causate da una qualche struttura presente nel secondo edificio, si potrebbe ipotizzare una responsabilità extracontrattuale e quindi un onere risarcitorio a carico del vicino.
Sul punto, nel quesito leggiamo che “sopra il travetto era stato realizzato, con semplici mattoni, un tamponamento a servizio delle soffitte dell’immobile confinante”. Se dunque le infiltrazioni fossero state causate da detto tamponamento, il vicino dovrebbe contribuire alle spese, ancor più che il sopra citato art. 874 c.c. prevede espressamente che il proprietario del fondo contiguo al muro altrui debba “eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino”. In caso contrario, non essendo provato che le infiltrazioni siano derivate dall’edificio attiguo e considerato che non risultano (salvo eventuali verifiche di documenti preesistenti) essersi verificati i presupposti per la comunione forzosa del muro, nessun costo dovrà essere sostenuto dal vicino.

Alla luce di quanto precede, andiamo dunque a rispondere nello specifico alle domande formulate nel quesito:
1) Gli accordi si sarebbero dovuti formalizzare in forma scritta. “Per l'acquisto della medianza coattiva del muro sul confine, qualora non sia stata conclusa tra le parti una convenzione nella forma scritta prevista dalla legge per il trasferimento della proprietà e degli altri diritti reali immobiliari, è necessaria in sua vece una sentenza costitutiva i cui effetti sono condizionati al pagamento dell'indennità di medianza, al quale il vicino deve essere condannato" (Cass. sez. un. n. 10615/1996). La relativa documentazione, se esistente, è reperibile in conservatoria.
2) Come già risposto sopra, si tratta di costruzione in appoggio.
3) Se non esistono atti scritti, il confinante non può essere obbligato al pagamento delle spese a meno che, come si è testè specificato, i danni da infiltrazioni siano derivati dalla struttura dell’edificio in appoggio.
4) Se non si reperiscono accordi tra le vecchie proprietà, gli unici lavori che possono essere richiesti al proprietario del fabbricato confinante sono quelli necessari per rimuovere eventuali fonti di danno.


P. M. chiede
martedì 16/01/2018 - Veneto
“P. Centro storico. Edifici a schiera risalenti al 1800. Rimaneggiati.
Muro portante perimetrale di edificio A (altezza circa 10m) si affaccia per 15m su cortile interno "cementato" di proprietà di edificio B (condomino con più di 10 appartamenti).

Cortile interno di B ha dimensioni di 15x15 circa.
Edificio B ha forma a L e si affaccia su 2 lati del suo cortile interno.
Sul 4° e ultimo lato del cortile interno si affacciano 2 ulteriori edifici (solo finestre e canne fumarie).

Un osservatore posto nel cortile interno di B vede il muro portante di A non verticale: al piano terreno il muro è più largo di 15 cm rispetto al piano 1° e 2°. Tra il piano terreno e il primo piano c'è una risega di 15 cm. Il maggior spessore del muro al piano terreno è strutturale e imbiancato/intonacato dello stesso colore di resto parete A e da proprietà A.
Alla fine del 2° piano c'è una cornice di max 5-10 cm del tetto. Sul muro di A in questione ci sono finestre, canne fumarie sporgenti, camini, etc...
B usa il muro di A al pt solo per appoggiare biciclette.

Vorrei intervenire con cappotto termico al piano 1° e 2° di quel muro di A. Una conferma che il muro è solo di A è gradita. Non esiste nell'atto di rogito una domanda di comunione forzosa da parte del fondo B.
mi chiedo: la proprietà di questi 15 cm d'aria lungo il muro ai piani 1° e 2° di chi è? Di edificio A perché entro la verticale del muro strutturale al piano terreno e alla fondazione giusto?
L'immobile A ha in quell'affaccio il confine di proprietà definito al piano terreno o alla fondazione oppure il confine di proprietà A segue la risega della parete di A (camini e canne escluse) cioè il confine non è 2D planimetrico ma è 3D?
grazie e saluti.”
Consulenza legale i 23/01/2018
La c.d. comunione forzosa del muro sul confine è disciplinata dall’art. 874 del codice civile.

La costituzione di tale particolare forma di comunione rientra tra le facoltà del proprietario del fondo confinante (nella fattispecie, si tratterebbe del proprietario del cortile B), e necessita di un’apposita domanda di parte; in caso di dissenso del proprietario del muro, il proprietario del fondo contiguo potrebbe rivolgersi al Giudice e chiedere che venga costituita con sentenza ai sensi dell’art. 2932 codice civile.
Ulteriore condizione per il sorgere della comunione è il versamento, da parte del proprietario del fondo confinante, di una somma pari alla metà del valore del muro (o della parte di muro resa comune), più la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito.

In assenza di tali presupposti (espressa richiesta di parte, seguita da stipulazione di apposito contratto ovvero, in caso di rifiuto da parte del proprietario del muro, da sentenza costitutiva; in entrambi i casi, pagamento della c.d. indennità di medianza), il muro posto sul confine deve ritenersi di titolarità esclusiva del proprietario dell’edificio A. Va inoltre ricordato, per completezza, che, ai sensi dell’art. 879 codice civile, la comunione forzosa non si applica, tra gli altri, agli edifici che siano “riconosciuti di interesse storico, archeologico o artistico, a norma delle leggi in materia”.

Passando alla seconda parte del quesito, relativa alla questione della proprietà della c.d. “colonna d’aria”, ovvero della proiezione verso l’alto dell’area sottostante, la stessa deve intendersi risolta in senso affermativo, in quanto la proprietà del suolo possiede un’estensione anche in senso verticale.
Pertanto la realizzazione del “cappotto termico” ai piani primo e secondo da parte del proprietario di A deve ritenersi consentita, quanto meno nei limiti dell’ampiezza della citata “colonna d’aria”.
In ogni caso, occorre tenere presente anche il disposto dell’art. 840, secondo comma, codice civile, secondo cui “Il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano [...] a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle”. Infatti la giurisprudenza ha precisato che la realizzazione di “sporti”, ossia di manufatti in qualche modo sporgenti nello spazio aereo sovrastante il fondo del vicino (in questo caso, si tratterebbe del fondo B) deve ritenersi consentita quando questi non abbia interesse ad escluderla, cioè quando la stessa intervenga ad un'altezza dal suolo tale da non pregiudicare alcun legittimo interesse del proprietario del fondo in relazione alle concrete possibilità di utilizzazione di tale spazio aereo.
Naturalmente, si tratta di condizione da verificarsi caso per caso, in relazione alle caratteristiche del manufatto da utilizzare.

Maurizio B. chiede
giovedì 23/02/2017 - Lombardia
“Buongiorno,
sono il proprietario di un immobile a 2 livelli (PT+P1) in M., posto tra 2 edifici più alti di un piano con muri confinanti in comune (edifici costruiti dopo il mio). I muri più alti dei 2 edifici confinanti sono la continuazione esatta del muro confinante sottostante e partono praticamente dal mio tetto che invece in facciata su strada sormonta quella del vicino.
Da mappa catastale ho verificato i confini della mia proprietà e corrispondono alla dimensione della mia facciata su strada, per cui i muri degli edifici confinanti più alti sono per metà sul mio terreno.
Ora ho ottenuto dal comune il permesso per un recupero di sottotetto e quindi mi sono alzato in facciata su strada fino alla gronda dei vicini (allineamento voluto dal comune). Togliendo il tetto è stata danneggiata una piccola parte della facciata di entrambi perché, come scritto in precedenza, esso sormontava le facciate adiacenti (operazione voluta dal comune). Ho quindi recuperato colore e piastrelle degli edifici vicini per sistemare il danno arrecato e ripristinare così le facciate.
Però salendo di un piano mi trovo ora a discutere con i vicini sul colore da dare alla parte di muro in comune che risulta sulla mia proprietà e che al momento ha il colore dei 2 edifici a fianco. Salendo e mantenendo la dimensione della mia facciata dovrei coprire l’intonaco dei 2 edifici per circa 20cm e i vicini non vogliono. Vorrebbero che la mia facciata all’altezza del piano nuovo si stringesse di quella misura creando così un allineamento a gradini in modo da non toccare il loro intonaco.
Premesso che il comune mi ha posto una serie di vincoli riguardo la facciata che di seguito elenco: uniformare il piano nuovo con il piano sottostante (P1) lasciando intatto solo il piano terra; simulare una maggiore altezza delle finestre (facendo una rientranza nel cappotto) perché essendo il piano nuovo alto 240cm le finestre risultano tozze rispetto a quelle sottostanti; allineare la gronda con quella degli edifici di fianco per mantenere uniformità sulla via e obbligo nella scelta del colore.
Come mi devo comportare riguardo l’allineamento verticale della mia facciata? Sto facendo di tutto per non litigare con i vicini, ma presumo di dover rispettare le direttive del comune e comunque penso sia una bruttura enorme non allineare la verticale degli edifici.
P.S. Ho trovato, sempre a M. un edificio nelle stesse condizioni del mio, con un recupero di sottotetto evidente e quindi un innalzamento allo stesso livello degli edifici di fianco. Anche in questo caso hanno allineato la facciata sulla verticale andando a coprire quella piccola parte degli edifici di fianco.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 01/03/2017
Per risolvere il caso che si propone occorre prendere in esame le norme dettate dal codice civile in materia di proprietà edilizia.

In particolare, in materia di costruzioni sul confine la legge si ispira al principio della prevenzione temporale, desumibile dal combinato disposto degli artt. 873, 874, 875 e 877 del codice civile, secondo il quale il proprietario che costruisce per primo determina in concreto le distanze da osservare per le altre costruzioni da erigersi sui fondi vicini.

Chi edifica per primo su di un fondo contiguo ad un altro ha infatti una triplice facoltà alternativa:
  1. costruire sul confine, con la conseguenza che il vicino potrà costruire in aderenza o in appoggio, pagando in tale ultima ipotesi ex art. 874 c.c. la metà del valore del muro;
  2. costruire con distacco dal confine, ossia alla distanza di un metro e mezzo dallo stesso;
  3. costruire con distacco dal confine ad una distanza inferiore alla metà di quella totale prescritta per le costruzioni su fondi finitimi, salvo il diritto del vicino che costruisca successivamente di avanzare la propria fabbrica fino a quella preesistente, pagando il valore del suolo.
L’ipotesi prospettata rientra senza dubbio in quella descritta sotto la precedente lettera a), con la evidente differenza, almeno per come risulta dalla formulazione del quesito, che i proprietari confinanti e che hanno costruito in appoggio non si sono avvalsi della facoltà loro concessa dall’art. 874 c.c.

Dispone quest’ultima norma che il proprietario di un fondo contiguo al muro altrui “può” chiederne la comunione per tutta l’altezza o per parte di essa pagando la metà del valore del muro o della parte di muro resa comune e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito.
Non avendo esercitato tale potere, ogni ragionamento giuridico va condotto sul presupposto che i muri maestri esterni all’edificio e fino a raggiungere il primo piano siano di proprietà esclusiva dell’edificio che si trova al centro delle altre due costruzioni, così come il suolo su cu sorgono tali muri.
Alla medesima disciplina saranno soggetti i muri degli edifici confinanti per la parte che sovrastano l’edificio centrale, ossia i muri che dal piano primo di quest’ultimo edificio raggiungono il piano secondo, costituendo una proiezione verticale verso l’alto con la linea di confine.

Ciò si ritiene che sia già di per sé sufficiente per legittimare il diritto del proprietario dell’edificio centrale a mantenere nella parte sopraelevata la dimensione della facciata dei piani terra e primo, andandosi in realtà a coprire una parte di muri in proprietà esclusiva in virtù del principio dell’accessione, perché realizzati su muri e suolo non resi comuni ex art. 874 c.c.

Al di là di queste considerazioni, comunque, il medesimo diritto può anche farsi discendere da un breve esame di quello che è il concetto stesso di facciata di un edificio, intendendosi come tale quell’insieme di linee architettoniche e di strutture ornamentali che connotano l’edificio, imprimendogli una propria fisionomia autonoma.

La facciata rappresenta, quindi, l’immagine stessa dell’edificio, l’involucro esterno e visibile, che rileva non tanto ai fini della esistenza dell’edificio, quanto in relazione al suo aspetto esteriore, con la conseguenza che gli interventi che interessano la facciata dovranno avere riguardo soprattutto al divieto di alterare il decoro architettonico dell’edificio.
La necessità che venga rispettato tale divieto, dunque, si ritiene che valga ad impedire ai proprietari degli edifici confinanti di pretendere che venga modificata nelle sue linee l’immagine dell’edificio centrale, realizzando una sorta di gradino nell’intonaco al fine di evitare che venga intaccato il loro intonaco.

Peraltro, sebbene non sia ora il nostro caso, è utile ricordare come lo stesso codice civile, nel disciplinare in materia di condominio negli edifici la sopraelevazione (art. 1127 c.c.), abbia prescritto di rispettare l’aspetto architettonico dell’edificio, vietando l’adozione nella parte sopraelevata di uno stile diverso da quello preesistente, in quanto ciò comporterebbe un mutamento dell’aspetto estetico complessivo, percepibile da qualunque osservatore.

Fabrizio chiede
sabato 23/10/2010
“Buongiorno, vorrei gentilmente chiedere una delucidazione:
Il mio vicino sta costruendo all'interno della sua proprietà una nuova abitazione.
Tra la mia e la sua proprietà esiste un muro in comune, a che distanza può costruire dal sopradetto muro?”
Consulenza legale i 29/10/2010

O chiede la comunione forzosa del muro ai sensi dell'art. 874 del c.c. oppure costruisce in aderenza al muro esistente ai sensi dell'art. 877 del c.c. oppure si deve attenere alle distanze di legge o regolamento. Si valuti, peraltro, anche quanto stabilito dall'art. 878 del c.c., comma 2.


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