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Articolo 872 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Violazione delle norme di edilizia

Dispositivo dell'art. 872 Codice Civile

Le conseguenze di carattere amministrativo della violazione delle norme indicate dall'articolo precedente sono stabilite da leggi speciali.

Colui che per effetto della violazione ha subito danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino quando si tratta della violazione delle norme contenute nella sezione seguente o da questa richiamate [2933].

Spiegazione dell'art. 872 Codice Civile

Importanza del principio sancito in ordine al danno dei privati

La disposizione contenuta nel comma 2 della disposizione in esame ha una grande importanza, perché enuncia la regola in base alla quale si riconosce ai regolamenti comunali la capacità di dare vita a diritti soggettivi in favore dei privati. E si riconosce, conseguentemente, che la lesione di tali diritti produce conseguenze giuridiche: i privati, infatti, possono chiedere al magistrato il risarcimento dei danni.

Non è ammessa la riduzione ad pristinum, anzi essa è espressamente negata, poiché è concessa soltanto per la violazione di norme contenute nella sezione VI o da questa richiamate.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 872 Codice Civile

Cass. civ. n. 24940/2021

Le convenzioni tra privati, con le quali si stabiliscono reciproche limitazioni o vantaggi a favore e a carico delle rispettive proprietà individuali, specie in ordine alle modalità di edificabilità, restringono o ampliano definitivamente i poteri connessi alla proprietà attribuendo a ciascun fondo un corrispondente vantaggio e onere che ad esso inerisce come "qualitas fundi", ossia con caratteristiche di realità inquadrabili nello schema delle servitù. Nell'ipotesi, pertanto, di inosservanza della convenzione limitativa dell'edificabilità, il proprietario del fondo dominante può agire nei confronti del proprietario del fondo servente con azione di natura reale per chiedere ed ottenere la demolizione dell'opera abusiva, non diversamente dal proprietario danneggiato dalla violazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni ex artt. 872 e 873 c.c.. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito secondo la quale l'inosservanza del regolamento consortile cui erano vincolate le parti del giudizio, recante limitazioni alle modalità di edificazione, consentiva al proprietario del fondo dominante di agire nei confronti di quello del fondo servente con un'azione di natura reale per ottenere la demolizione dell'opera abusiva ex art. 1079 c.c.). (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 14/03/2017)

Cass. civ. n. 13624/2021

Le norme degli strumenti urbanistici che prescrivono le distanze nelle costruzioni o come spazio tra le medesime o come distacco dal confine o in rapporto con l'altezza delle stesse, ancorché inserite in un contesto normativo volto a tutelare il paesaggio o a regolare l'assetto del territorio, conservano il carattere integrativo delle norme del codice civile, perché tendono a disciplinare i rapporti di vicinato e ad assicurare in modo equo l'utilizzazione edilizia dei suoli privati e, pertanto, la loro violazione consente al privato di ottenere la riduzione in pristino. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BARI, 29/12/2015).

Cass. civ. n. 25082/2020

La violazione della prescrizione sulle distanze tra le costruzioni, attesa la natura del bene giuridico leso, determina un danno in "re ipsa", con la conseguenza che non incombe sul danneggiato l'onere di provare la sussistenza e l'entità concreta del pregiudizio patrimoniale subito al diritto di proprietà, dovendosi, di norma, presumere, sia pure "iuris tantum", tale pregiudizio, fatta salva la possibilità per il preteso danneggiante di dimostrare che, per la peculiarità dei luoghi o dei modi della lesione, il danno debba, invece, essere escluso. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 21/12/2017).

Cass. civ. n. 30761/2018

Ove sia realizzata una costruzione in violazione delle distanze o dei confini, la riconosciuta illegittimità della stessa non ne comporta necessariamente la demolizione integrale, ma, unicamente, la riduzione entro i limiti di legge, con demolizione delle sole parti che superano tali limiti. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui venga ordinata la demolizione della costruzione illegittima, senza specificare l'esatta misura della inosservanza di distanze o confini, il relativo accertamento può essere effettuato esclusivamente dal giudice dell'esecuzione, nell'esercizio dei poteri previsti dall'art. 612 c.p.c.

Cass. civ. n. 26270/2018

In tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate, contrariamente a quelle del codice civile, a tutela dell'interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati; tali deroghe, se concordate, sono invalide, né tale invalidità può venire meno per l'avvenuto rilascio di concessione edilizia, poiché il singolo atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una volta per tutte, con gli indicati strumenti urbanistici. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 13/11/2013).

Cass. civ. n. 21501/2018

In tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia quella risarcitoria, e il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento) deve ritenersi "in re ipsa", senza necessità di una specifica attività probatoria, essendo l'effetto, certo e indiscutibile, dell'abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà.

Cass. civ. n. 15041/2018

In tema di violazioni delle distanze legali, il proprietario che lamenti la realizzazione di un manufatto su un fondo limitrofo a distanza non regolamentare deve dare prova solo del fatto della costruzione e di quello della dedotta violazione, mentre il convenuto, che affermi di avere acquisito per usucapione il diritto di mantenere il suo fabbricato a distanza inferiore a quella legale per avere ricostruito un edificio preesistente "in loco", deve dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi dell'acquisto a titolo originario, vale a dire la presenza per il tempo indicato dalla legge del manufatto nella stessa posizione e l'assoluta identità fra la nuova e la vecchia struttura.

Cass. civ. n. 14294/2018

In tema di violazione delle distanze legali, ove sia disposta la demolizione dell'opera illecita, il risarcimento del danno va computato tenendo conto della temporaneità della lesione del bene protetto dalle norme violate, non già avendo riguardo al valore di mercato dell'immobile, diminuito per effetto della detta violazione, essendo tale pregiudizio suscettibile di eliminazione.

Cass. civ. n. 8532/2018

I vincoli imposti dai regolamenti edilizi comunali a tutela del paesaggio, stante la natura normativa dei regolamenti stessi e la duplice direzione della loro tutela (dell'interesse pubblico e di interessi privati), possono ingenerare diritti soggettivi a favore del proprietario del bene avvantaggiato dalla imposizione del vincolo, il quale, se danneggiato dalla sua violazione da parte del vicino, può convenire quest'ultimo davanti al giudice ordinario per il risarcimento e, se trattasi d'inosservanza di norma sulle distanze tra costruzioni (norma, come tale, integrativa del codice civile), anche per il ripristino.

Cass. civ. n. 11567/2016

In caso di violazione delle distanze convenzionali è irrilevante l'accertamento della dannosità in concreto, essendo sufficiente verificare, tenuto conto del principio dell'autonomia negoziale, se siano state o meno rispettate le distanze contrattualmente previste.

Cass. civ. n. 458/2016

Il proprietario del fondo danneggiato da opere eseguite sul fondo del vicino, in violazione delle distanze legali, può esperire, oltre all'azione risarcitoria, di natura obbligatoria, quella ripristinatoria, di natura reale, ex art. 872 c.c.. La prima, mirando al ristoro del pregiudizio patrimoniale conseguente all'edificazione illegittima, è esercitabile anche nei confronti dell'autore materiale di questa mentre la seconda, volta all'eliminazione fisica delle modifiche apportate sul fondo contiguo, va necessariamente proposta nei confronti del proprietario della costruzione, anche se materialmente realizzata da altri, potendo egli soltanto essere destinatario dell'ordine di demolizione che il ripristino delle distanze legali tende ad attuare.

Cass. civ. n. 9869/2015

La pronuncia del giudice amministrativo, investito della domanda di annullamento della licenza, concessione o permesso di costruire (rilasciati con salvezza dei diritti dei terzi), ha ad oggetto il controllo di legittimità dell'esercizio del potere da parte della P.A. ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e la P.A., sicché non ha efficacia di giudicato nelle controversie tra privati, proprietari di fabbricati vicini, aventi ad oggetto la lesione del diritto di proprietà determinata dalla violazione della normativa in tema di distanze legali, che è posta a tutela non solo di interessi generali ma anche della posizione soggettiva del privato.

Cass. civ. n. 20849/2013

In tema di rapporti di vicinato, l'originaria abusività di un immobile per difformità dalla concessione, oggetto di successiva sanatoria, non osta al risarcimento del danno allo stesso cagionato da una illecita costruzione su terreno confinante, atteso che l'immobile sanato, non essendo più incommerciabile, è in grado di risentire della correlata diminuzione di valore commerciale.

Cass. civ. n. 19132/2013

In tema di violazione delle distanze legali, ove sia disposta la demolizione dell'opera illecita, il risarcimento del danno va computato tenendo conto della temporaneità della lesione del bene protetto dalle norme violate, non già avendo riguardo al valore di mercato dell'immobile, diminuito per effetto della detta violazione, essendo tale pregiudizio suscettibile di eliminazione.

Cass. civ. n. 17635/2013

In tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia quella risarcitoria relativa al danno subito per effetto dell'abusiva imposizione di una servitù sul proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento, danno che, consistendo in una diminuzione temporanea del valore della proprietà, è destinato a cessare una volta ripristinato lo stato dei luoghi nelle condizioni antecedenti alle suddette violazioni.

Cass. civ. n. 7752/2013

In caso di violazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni, è concessa l'azione risarcitoria per il danno determinatosi prima della riduzione in pristino, senza la necessità di una specifica attività probatoria, perché il danno che il proprietario subisce (danno conseguenza e non danno evento) è l'effetto (certo) dell'abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e quindi della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà medesima. Nel caso in cui siano violate disposizioni non integrative delle norme sulle distanze, viceversa, mancando un asservimento di fatto del fondo contiguo, la prova del danno è richiesta ed il proprietario è tenuto a fornirne una dimostrazione precisa, sia in ordine alla sua potenziale esistenza che alla sua entità obiettiva, in termini di amenità, comodità, tranquillità ed altro. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito secondo cui il danno non era stato provato e neppure specificamente indicato, dovendosi escludere che il modestissimo aumento di volumetria del sottotetto della casa confinante, per effetto di una sopraelevazione del tetto di appena 60 centimetri, potesse cagionare un danno all'abitazione degli attori, già "incassata" tra altre proprietà prima della sopraelevazione).

Cass. civ. n. 6045/2013

In tema di danno per violazione delle norme di edilizia, l'abusività ed illegittimità della costruzione fonda la pretesa risarcitoria, essendo sufficiente all'attore fornire elementi utili all'individuazione del pregiudizio, come effetto diretto ed immediato dell'illecito. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, la quale aveva ritenuto che il soleggiamento degli spazi aperti, ed in particolare dei giardini, soprattutto in un contesto turistico, assuma rilievo economico consistente, sicché la sua diminuzione integra un danno risarcibile ai sensi dell'art. 872, secondo comma, c.c.).

Cass. civ. n. 24387/2010

La realizzazione di opere in violazione di norme recepite dagli strumenti urbanistici locali, diverse da quelle in materia di distanze, non comportano immediato e contestuale danno per i vicini, il cui diritto al risarcimento presuppone l'accertamento di un nesso tra la violazione contestata e l'effettivo pregiudizio subito. La prova di tale pregiudizio deve essere fornita dagli interessati in modo preciso, con riferimento alla sussistenza del danno ed all'entità dello stesso.

Cass. civ. n. 13230/2010

Il danno definitivo da violazione della normativa edilizia in tema di volumi e altezza e di cui all'art. 872 c.c. consiste nel deprezzamento commerciale del fabbricato in concreto danneggiato per diminuzione di visuale, esposizione, luce, aria, sole e amenità in genere.

Cass. civ. n. 8273/2010

In tema di distanze nelle costruzioni, laddove sia stata realizzata una costruzione a distanza inferiore rispetto a quella stabilita dall'art. 873 cod. civ o da una norma regolamentare integrativa, il proprietario del fondo finitimo che abbia optato, a norma degli artt. 875 e 877, comma secondo, cod. civ., per la fabbricazione in appoggio o in aderenza alla costruzione già realizzata dal confinante, non può chiedere alcuna delle forme di tutela previste dall'art. 872 cod. civ., atteso che sono incompatibili con la scelta effettuata non solo l'azione diretta alla riduzione in pristino ma anche quella risarcitoria, restandone il relativo fondamento interamente assorbito dall'ampliamento dell'originaria capacità edificatoria del fondo.

Cass. civ. n. 5900/2010

La legittimazione passiva in ordine all'azione di riduzione in pristino conseguente all'esecuzione, su immobile concesso in usufrutto, di opere edilizie illegittime, perché realizzate in violazione delle distante legali, spetta al nudo proprietario, potendosi riconoscere all'usufruttuario il solo interesse a spiegare nel giudizio intervento volontario "ad adiuvandum", ai sensi dell'art. 105, secondo comma, c.p.c., volto a sostenere le ragioni del nudo proprietario alla conservazione del suo immobile, anche quando le opere realizzate a distanza illegittima abbiano riguardato sopravvenute accessioni sulle quali si sia esteso il godimento spettante all'usufruttuario in conformità dell'art. 983 c.c.

Cass. civ. n. 20608/2009

La violazione delle norme codicistiche sulle distanze legali (ovvero delle norme locali richiamate dal codice), mentre legittima sempre la condanna alla riduzione in pristino, non costituisce di per sé fonte di danno risarcibile, essendo al riguardo necessario che chi agisca per la sua liquidazione deduca e dimostri l'esistenza e la misura del pregiudizio effettivamente realizzatosi.

Cass. civ. n. 11420/2009

A norma dell'art. 344 c.p.c., nel giudizio di appello è ammesso soltanto l'intervento del terzo che sarebbe legittimato all'opposizione di cui all'art. 404 c.p.c., in quanto titolare di un diritto incompatibile che potrebbe essere pregiudicato dalla emananda sentenza; ne consegue che, in un giudizio avente ad oggetto la tutela delle distanze di un fabbricato, promosso da soggetto che si affermi proprietario dell'immobile, sussiste la legittimazione ad intervenire, in grado di appello, da parte del terzo che assuma di essere proprietario esclusivo del medesimo bene, in quanto la sentenza - pur rimanendo una "res inter alios acta" - costituisce una situazione giuridica incompatibile col diritto di proprietà vantato dal terzo.

Cass. civ. n. 8949/2009

Il principio, secondo cui in tema di azioni a tutela delle distanze legali sono contraddittori necessari, dal lato passivo, tutti i comproprietari "pro indiviso" dell'immobile confinante, quando ne venga chiesta la demolizione o il ripristino, essendo altrimenti la sentenza "inutiliter data", non si applica nel caso in cui plurimi soggetti siano, in ipotesi, interessati ad ottenere la demolizione dell'opera eseguita in violazione delle predette distanze, potendo costoro agire individualmente, con la conseguenza che la sentenza emessa in favore anche di uno solo di essi è suscettibile di esecuzione e, perciò, utilmente data.

Cass. civ. n. 3199/2008

Il danno conseguente alla violazione delle norme del codice civile e integrative di queste relative alle distanze nelle costruzioni si identifica nella violazione stessa, costituendo un asservimento de facto del fondo del vicino al quale, pertanto, compete il risarcimento senza la necessità di una specifica attività probatoria. Nel caso, invece, di violazioni di norme speciali di edilizia non integrative della disciplina del codice, mancando un asservimento di fatto del fondo contiguo, il proprietario di questo è tenuto a fornire una prova precisa del danno, sia in ordine alla sua potenziale esistenza che alla sua entità obiettiva, in termini di amenità, comodità, tranquillità ed altro.

Cass. civ. n. 18341/2005

Unico legittimato a proporre domanda di riduzione in pristino a seguito di violazione delle distanze legali è il proprietario dell'immobile rispetto al quale la distanza della costruzione eseguita sul fondo finitimo sia inferiore a quella legale. (Principio affermato in relazione a domanda di ripristino della stato dei luoghi e di risarcimento danni avanzata dalla Ferrovia Locale Brunico — Campo Tures s.n.c. nei confronti del Comune di Campo Tures e della Provincia di Bolzano a seguito della asserita decadenza di decreti di espropriazione per pubblica utilità).

Cass. civ. n. 16094/2005

Gli artt. 871 e 872 c.c. distinguono, nell'ambito delle leggi speciali e dei regolamenti edilizi, le norme integrative delle disposizioni del codice civile sui rapporti di vicinato dalle norme che, prive di portata integrativa o modificativa e se pure dirette incidentalmente ad assicurare una migliore coesistenza ed una più razionale utilizzazione delle proprietà private, tendono principalmente a soddisfare interessi di ordine generale, come quelli inerenti alle esigenze igieniche, al godimento della proprietà ed alla tutela dell'estetica edilizia. A tale distinzione corrisponde, in caso di violazione della norma, una diversa tutela del privato, assicurata, per le norme del secondo tipo, soltanto dall'azione di risarcimento del danno, a parte il potere della P.A. di imporne l'osservanza coattiva, e, per quelle del primo tipo, anche dall'azione reale per l'eliminazione dello stato di fatto creato dalla violazione edilizia.

Cass. civ. n. 12464/2004

Le norme che disciplinano le distanze, ancorché inserite in strumenti urbanistici, quali il piano regolatore generale, contenenti «di regola» solo disposizioni volte a tutelare interessi generali, come il paesaggio o l'assetto del territorio, assolvono inevitabilmente anche allo scopo di disciplinare i rapporti di vicinato, incidendo sui limiti di utilizzazione dei suoli privati. Ne consegue che ciascun privato è obbligato all'osservanza ed ha interesse a che tali norme siano osservate anche dal vicino, e detto interesse assurge a rango di diritto soggettivo che integra la disciplina specifica dettata dal codice civile, pur se le dette norme siano inserite in un p.r.g. ed assolvano quindi, contemporaneamente, anche alla tutela di interessi generali.

Cass. civ. n. 9555/2002

Le controversie tra proprietari di fabbricati vicini aventi ad oggetto questioni relative all'osservanza di norme che prescrivono distanze tra le costruzioni o rispetto ai confini, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, essendo anche a tale materia applicabile il principio secondo il quale nei rapporti tra privati non si pone una questione di giurisdizione, essendo la posizione di interesse legittimo prospettabile solo in rapporto all'esercizio del potere della P.A., che, invece, in tali controversie non è parte in causa. Nè a tal fine rileva l'avvenuto rilascio di concessione edilizia, atteso che il giudice ordinario, cui spetta la giurisdizione, vertendosi in tema di assunta violazione di un diritto soggettivo, può incidentalmente accertare l'eventuale illegittimità della concessione edilizia medesima, onde disapplicarla; mentre la giurisdizione del giudice amministrativo è al riguardo configurabile allorché la controversia sia insorta tra il privato e la Pubblica Amministrazione, per avere il primo impugnato detta concessione al fine di ottenerne l'annullamento nei confronti della seconda.

Cass. civ. n. 7257/2002

Il piano regolatore di un Comune costituisce norma di carattere secondario (soggetta a pubblicazione presso il Comune stesso) sicché il giudice non è tenuto a conoscerne né a ricercarne d'ufficio il contenuto, incombendo, per converso,
sulla parte interessata un onere di allegazione anche in sede di giudizio per Cassazione, non ostandovi il divieto stabilito dall'art. 372, prima parte, c.p.c., norma che si pone, viceversa, come assolutamente ostativa alla produzione di qualsivoglia ulteriore certificazione o documentazione relativa al piano stesso (nella specie, certificazione attinente alla circostanza che la zona in cui sorgevano i manufatti oggetto della controversia ricadeva in zona tipologica urbanistica E, e cioè in zona agricola).

Cass. civ. n. 3341/2002

In materia di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia quella risarcitoria, e, determinando la suddetta violazione un asservimento di fatto del fondo del vicino, il danno deve ritenersi in re ipsa, senza necessità di una specifica attività probatoria.

Cass. civ. n. 3340/2002

Ai fini della configurabilità della responsabilità per danni ex art. 872 c.c., è sufficiente la violazione delle prescrizioni urbanistiche in tema di altezza e volumetria degli edifici, a prescindere dall'abitabilità o dalla abitazione effettiva della maggiore volumetria realizzata.

La realizzazione di un edificio di altezza e volumetria superiori a quelle consentite, in violazione di norme in tema di urbanistica, può comportare per il vicino una diminuzione di luce ed aria (ed una connessa diminuzione del valore del proprio edificio) superiori a quelle altrimenti legittime; dando così luogo alla configurabilità di una responsabilità per danni.

Cass. civ. n. 15367/2001

In tema di osservanza delle distanze tra costruzioni, ove le stesse siano prescritte da un regolamento edilizio integrativo del codice civile, nessuna indagine deve essere svolta per accertare se dalla violazione della norma regolamentare sia derivato o meno un danno al fondo del vicino e se questo sia o meno edificabile, in quanto le disposizioni sulle distanze legali non lasciano al giudice alcun margine di valutazione in ordine ai pregiudizi prodotti dalla loro inosservanza, avuto riguardo alle finalità di natura pubblicistica cui dette disposizioni si ispirano.

Cass. civ. n. 8661/2001

In presenza di una norma regolamentare edilizia prescrivente per le costruzioni un distacco minimo dal confine, la convenzione tra proprietari confinanti per l'esecuzione di un edificio a distanza dal confine inferiore a quella prescritta dalla norma regolamentare, stante la sua illiceità per contrasto con una norma inderogabile posta a tutela dell'interesse pubblico, non attribuisce per il principio "quod nullum est nullum producit effectum", nessun diritto ai suoi stipulanti con la conseguenza che nessun danno risarcibile può essere riconosciuto al proprietario che, in esecuzione di detto accordo, abbia costruito a distanza inferiore a quella prescritta dalla norma regolamentare e, in accoglimento della domanda del vicino, sia stato condannato ad arretrare la costruzione.

Cass. civ. n. 13007/2000

A norma dell'art. 872, secondo comma, e 873 c.c., la violazione delle norme dei regolamenti edilizi comunali, integrative del codice civile, in materia di distanze tra le costruzioni abilita la parte interessata a richiedere e ottenere la riduzione e l'arretramento della costruzione (oltre al risarcimento dei danni), anche quando è violata la norma di un piano regolatore comunale che in maniera assoluta e inderogabile prescriva una certa distanza delle costruzioni dal confine, così rendendo inapplicabili sia le disposizioni del codice civile che danno attuazione al principio della prevenzione sia la disciplina sulle costruzioni a dislivello.

Cass. civ. n. 6414/2000

La violazione delle norme di edilizia e di tutela ambientale contenute negli strumenti urbanistici o nei regolamenti di igiene che, in quanto contengono discipline sulle distanze, svolgono anch'essi funzione integrativa dell'art. 872 c.c. è fonte di responsabilità risarcitoria nei confronti dei privati confinanti, dovendosi ravvisare nei loro confronti un danno oggettivo o in re ipsa. Tale danno non consiste solo nel deprezzamento commerciale del bene o nella totale perdita di godimento di esso (aspetti che vengono superati dalla tutela ripristinatoria) ma anche nella indebita limitazione del pieno godimento del fondo in termini di diminuzione di amenità, comodità e tranquillità, trattandosi di effetti pregiudizievoli egualmente suscettibili di valutazione patrimoniale.

Cass. civ. n. 35/2000

L'azione diretta alla rimozione delle opere eseguite abusivamente per mancato rispetto delle distanze legali deve necessariamente essere proposta nei confronti del nudo proprietario, oltre che dell'usufruttuario, del fondo sul quale le opere sono state realizzate, in quanto la sentenza emessa nei soli confronti del secondo resterebbe inutiliter data in quanto non eseguibile in danno del proprietario.

Cass. civ. n. 14081/1999

Il diritto all'osservanza delle distanze legali sussiste in capo al proprietario di una costruzione esistente nel fondo finitimo oppure — qualora il regolamento locale preveda una distanza minima dal confine — anche in capo al proprietario di un fondo non edificato rispetto alla costruzione sorta nel fondo finitimo.

Cass. civ. n. 11525/1999

Nell'azione proposta dal proprietario di un immobile contro il proprietario di un immobile vicino allo scopo di ottenere la remissione in pristino di quest'ultimo, per la dedotta contrarietà delle opere compiute alle prescrizioni degli strumenti urbanistici locali, non può ritenersi implicitamente compresa l'azione di risarcimento del danno, stante il diverso carattere delle due azioni, di natura reale la prima e obbligatoria la seconda, la quale ultima può differire dalla prima anche per quanto riguarda i soggetti. (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza annullata dalla Suprema Corte per ultrapetizione, rilevata l'infondatezza della domanda sul piano della tutela ripristinatoria, poiché le norme violate non erano integrative di quelle del codice civile sui rapporti di vicinato, aveva condannato il convenuto al risarcimento del danno).

Cass. civ. n. 2610/1999

La domanda di demolizione di corpi di fabbrica abusivamente costruiti su un immobile acquistato da coniugi in regime di comunione legale, deve esser proposta nei confronti di entrambi, litisconsorti necessari, ancorché non risultino dalla nota trascritta nei registri immobiliari né detto regime, né l'esistenza del coniuge, non trattandosi di questione concernente la circolazione dei beni e l'anteriorità dei titoli, bensì di azione reale, che prescinde perciò dall'individuazione dell'autore materiale dei lamentati abusi edilizi. La eventuale violazione del contraddittorio è deducibile anche per la prima volta in sede di legittimità, se risultante dagli atti e non preclusa dal giudicato sulla questione.

Cass. civ. n. 1513/1999

La realizzazione di opere (nella specie, garage con parete appoggiata al muro di cinta appartenente al proprietario del fondo confinante) in violazione di norme di tutela ambientale, recepite negli strumenti urbanistici, anche se non contrastanti con le prescrizioni comunali in materia di distanze, non comporta un immediato e contestuale danno per i vicini, il cui diritto al risarcimento presuppone l'accertamento del nesso tra la violazione contestata ed il pregiudizio effettivamente subito. La prova di tale pregiudizio — limitato a quei danni che il terreno adiacente all'immobile ove si è commesso l'illecito, subisce in termini di amenità, comodità, tranquillità e per la riduzione di aria, luce e vista — deve essere fornita dall'interessato in modo preciso non solo con riferimento alla sussistenza del danno, ma anche alla entità dello stesso.

Cass. civ. n. 10173/1998

La rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra pubblica amministrazione e privato, richiedente o costruttore, senza estendersi ai rapporti tra privati dato che il conflitto tra proprietari, interessati in senso opposto alla costruzione, va risolto in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell'opera, in queste compresa la sua ubicazione, e le norme edilizie che disciplinano le distanze legali, tra le quali non possono comprendersi quelle di cui agli artt. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, concernenti rispettivamente la licenza e la concessione per costruire; norme, queste che riguardano solo l'aspetto formale dell'attività costruttiva e non contengono «regole da osservarsi nelle costruzioni», come richiesto dall'art. 871 c.c. Pertanto, come è irrilevante la mancanza di licenza o concessione, quando la costruzione risponda oggettivamente a tutte le prescrizioni del c.c. e delle norme speciali senza ledere alcun diritto del vicino, così l'avere eseguito la costruzione in conformità della ottenuta licenza o concessione non esclude di per sé la violazione di dette prescrizioni e, quindi, il diritto del vicino, a seconda dei casi, alla riduzione in pristino o al risarcimento del danno.

Cass. civ. n. 5520/1998

In tema di violazione delle norme sulle distanze legali fra le costruzioni, l'art. 872 c.c. concede al proprietario del fondo vicino, che dalla violazione della disciplina lamenti un danno, oltre l'azione risarcitoria aquiliana di natura obbligatoria, quella ripristinatoria di natura reale. Quest'ultima azione, volta all'eliminazione fisica dell'abuso, deve essere proposta necessariamente nei confronti del proprietario della costruzione illegittima anche se materialmente realizzata da altri, potendo egli soltanto essere destinatario dell'ordine di demolizione che il ripristino delle distanze legali tende ad attuare. L'azione risarcitoria diretta, invece, alla tutela non del diritto domenicale fondiario, ma dell'integrità anche economica del suo oggetto, può essere esercitata anche nei confronti dell'autore materiale dell'edificazione illegittima, al fine di ottenere la condanna al ristoro del danno per gli effetti economicamente pregiudizievoli dell'illecito aquiliano.

Cass. civ. n. 5143/1998

Le norme di cui all'art. 872, secondo comma, c.c. in tema di distanze di costruzioni, nonché quelle integrative del codice civile in subiecta materia, sono le uniche che consentano, in caso di loro violazione nell'ambito dei rapporti interprivatistici, la richiesta, oltre che del risarcimento del danno, anche della riduzione in pristino, a nulla rilevando, per converso, il preteso carattere abusivo della costruzione finitima, il suo insediamento in zona non consentita, la disomogeneità della sua destinazione rispetto a quella (legittimamente) conferita al fabbricato del privato istante in conformità con le disposizioni amministrative in materia, la sua (asserita) rumorosità e non conformità alle prescrizioni antincendio, la sua insuscettibilità di sanatoria amministrativa, circostanze, queste, che, pur essendo astrattamente idonee a fondare una pretesa risarcitoria in capo al presunto danneggiato, non integrano, in alcun modo, gli (indispensabili) estremi della violazione delle norme di cui agli artt. 873 e ss. c.c. (o di quelle in esse richiamate).

Cass. civ. n. 5116/1998

In tema di violazione delle norme sulle distanze legali fra le costruzioni l'azione del vicino volta alla riduzione dell'opera nei limiti delle distanze legali ex art. 872 c.c. può essere continuata anche nel caso di acquisizione (confisca) da parte del comune dell'opera abusiva, permanendo la legittimazione passiva del convenuto ai sensi dell'art. 111 c.p.c.

Cass. civ. n. 2975/1998

La costruzione del confinante realizzata in violazione delle norme sulle distanze implica una sorta di asservimento de facto in pregiudizio del vicino, al quale spetta conseguentemente il risarcimento del danno rimesso, in difetto di precise indicazioni della parte danneggiata, alla valutazione equitativa del giudice di merito.

Cass. civ. n. 141/1998

Spetta al proprietario che chiede la demolizione dell'opera in violazione della normativa sulle distanze dimostrare che al momento dell'entrata in vigore della disciplina più rigorosa essa non era completata, mentre il convenuto può limitarsi a contestare, senza altro onere probatorio, neppure nel caso abbia articolato prova testimoniale sul punto, sempre che non vi sia inequivoca rinuncia ai vantaggi derivantigli dai principi che disciplinano la prova.

Cass. civ. n. 3820/1997

Le prescrizioni dei regolamenti comunali edilizi e degli annessi programmi di fabbricazione che disciplinano le distanze nelle costruzioni anche con riguardo ai confini, sono integrative del codice civile, secondo il disposto degli artt. 872 e 873 c.c. ed hanno pertanto valore di norme giuridiche, sicché il giudice, in applicazione del principio iura novit curia, deve acquisirne diretta conoscenza indipendentemente da una attività assertiva e probatoria delle parti, avvalendosi di ogni mezzo utile.

Cass. civ. n. 10450/1996

Le norme dei regolamenti comunali edilizi sono, per effetto del richiamo contenuto negli artt. 872 e 873 c.c., integrative delle norme contenute nel codice in materia di distanze tra costruzioni, sicché il problema della scienza ufficiale di tali norme che il giudice è tenuto ad applicare si pone negli stessi termini di quello delle norme del codice civile. Pertanto, il giudice cui sia ritualmente resa nota l'esistenza di normativa locale in tema di distanze, deve acquisirne conoscenza o attraverso la scienza personale o attraverso la collaborazione delle parti (non soggetta alle norme sulla attività probatoria documentale), ovvero attraverso la richiesta di informazioni ai comuni.

Cass. civ. n. 3679/1996

Il pregiudizio consistente nella diminuzione o esclusione del panorama goduto da un appartamento e tutelato dalle norme urbanistiche, secondo determinati standard edilizi a norma dell'art. 872 c.c., costituisce un danno ingiusto, come tale risarcibile, la cui prova va offerta in base al rapporto tra il pregio che al panorama goduto riconosce il mercato ed il deprezzamento commerciale dell'immobile susseguente al venir meno o al ridursi di tale requisito. Tale giudizio, siccome si risolve nell'accertamento di fatti rilevabili o valutabili con l'ausilio di specifiche cognizioni tecniche, esige l'indagine essenzialmente critica e valutativa tipica della consulenza tecnica.

Cass. civ. n. 2891/1996

Il proprietario di un immobile, in caso di inosservanza da parte del vicino delle distanze minime nelle costruzioni dettate dal codice civile o dai regolamenti locali, ha facoltà di esperire, a sua scelta, l'azione petitoria, l'azione possessoria e, ove intenda ottenere provvedimenti immediati, il procedimento di nuova opera di cui agli artt. 688 e seguenti c.p.c., senza essere tenuto ad osservare alcun ordine di priorità nella scelta degli indicati strumenti processuali.

Cass. civ. n. 11163/1994

Il carattere amministrativamente illegittimo di un'opera edilizia (nella specie sopraelevazione di un preesistente corpo di fabbrica, in assenza di provvedimento concessorio) la quale non contrasti tuttavia con le prescrizioni comunali in materia di distanze, non determina automaticamente pregiudizio a carico del fondo confinante, il cui proprietario ove agisca per il risarcimento del danno provocatogli dall'opera abusiva deve dare la prova che essa incide negativamente sul proprio fondo sotto il profilo dell'amenità, del soleggiamento e della visuale, deprimendone conseguentemente il valore. A tal fine non rileva, di per sé, l'esistenza sul detto fondo di un'abitazione quando il mancato accertamento della posizione di questa rispetto al corpo di fabbrica abusivo renda impossibile stabilire se ed in quale misura essa risulti privata di aria, luce e vista, restando inoltre escluso che a tale carenza possa supplirsi mediante valutazione equitativa del danno, poiché il potere attribuito al giudice dall'art. 1226 c.c. non esonera l'interessato dall'onere di offrire gli elementi probatori in ordine alla sua esistenza.

Cass. civ. n. 10775/1994

Il danno conseguente alla violazione delle norme del codice civile e integrative di queste relative alle distanze nelle costruzioni si identifica nella violazione stessa, costituendo un asservimento de facto del fondo del vicino al quale, pertanto, compete il risarcimento senza la necessità di una specifica attività probatoria. Nel caso, invece, di violazioni di norme speciali di edilizia non integrative della disciplina del codice, mancando un asservimento di fatto del fondo contiguo, il proprietario di questo è tenuto a fornire una prova precisa del danno, sia in ordine alla sua potenziale esistenza che alla sua entità obiettiva, in termini di amenità, comodità, tranquillità ed altro.

Cass. civ. n. 5653/1993

La costruzione irregolare (nella specie, perché posta a distanza illegale) è idonea a produrre danni fino al momento della sua demolizione (o riduzione) per cui l'accoglimento della domanda di demolizione (o riduzione) non preclude l'esame della domanda di risarcimento dei danni medio tempore subiti dall'attore.

Cass. civ. n. 4889/1993

Il solo fatto che una costruzione sia sorta in mancanza della prescritta concessione, ove non si sia avuta violazione delle norme cui sono riconnesse le conseguenze previste dall'art. 872, secondo comma c.c., non può essere causa di danno risarcibile a favore del confinante, atteso che questo, anche se lamenti la lesione di un suo personale interesse a seguito della costruzione eseguita senza concessione, non è titolare di un diritto soggettivo, la cui lesione possa dar luogo al risarcimento deI danno, a fronte delle norme che regolano, in ordine allo jus aedificandi, il potere della P.A. ispirato alla tutela dell'interesse generale all'ordinato sviluppo edilizio.

Cass. civ. n. 3692/1993

Nel caso in cui il convenuto, nei confronti del quale sia stato domandato l'abbattimento di una costruzione perché realizzata in violazione della vigente normativa urbanistica, opponga di averla eseguita prima dell'entrata in vigore di tale normativa e in conformità di quella previgente, tale deduzione non configura un'eccezione in senso proprio ma si risolve nella mera negazione di un fatto costituente il fondamento del diritto azionato ex adverso, sicché la sussistenza di questo fatto, cioè l'illegittimità dell'opera in relazione alle norme vigenti al tempo della sua esecuzione, deve essere dimostrata dall'attore.

Cass. civ. n. 2722/1993

L'azione reale volta al rispetto delle distanze legali fra le costruzioni deve essere proposta nei confronti del proprietario della costruzione illegittima, solo costui potendo essere destinatario dell'ordine di demolizione che tale azione tende ad ottenere. L'onere della prova della titolarità del diritto di proprietà della costruzione, che si assume illegittima, grava sull'attore, salvo che l'anzidetta titolarità non sia contestata dalla controparte costituita e debba anzi dalla stessa ritenersi implicitamente ammessa. In questa ipotesi, il successivo assunto del convenuto in sede di gravame di aver trasferito la proprietà della costruzione a terzi in data anteriore a quella dell'instaurazione del giudizio, si configura come un'eccezione in senso proprio, di cui lo stesso convenuto è tenuto a fornire la prova.

Cass. civ. n. 7680/1991

L'azione di risarcimento del danno per violazione delle distanze legali tra costruzioni, al pari di quella di riduzione in pristino, ricollegandosi ad una obbligazione propter rem, deve essere proposta nei confronti del proprietario dello stabile che si trova nella obiettiva situazione lesiva del diritto del vicino, indipendentemente dal fatto che l'edificio sia stato da altri realizzato.

Cass. civ. n. 6581/1991

Nel caso di violazione delle distanze legali legittimato a proporre la domanda di riduzione in pristino è soltanto il proprietario di una preesistente e fronteggiante fabbrica, rispetto alla quale la nuova costruzione venga a trovarsi a distanza inferiore a quella legale, e non anche quello di altre fabbriche non frontistanti, quantunque comprese nello stesso edificio o nella stessa zona, salvo restando il suo diritto al risarcimento del danno in caso di dimostrazione di un concreto pregiudizio economico per la diminuzione di aria, luce, panoramicità o soleggiamento dell'edificio.

Cass. civ. n. 7747/1990

L'art. 872, secondo comma, c.c. - secondo cui colui che per effetto della trasgressione di norme edilizie speciali ha subito danno dev'essere risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino in ipotesi di violazione delle norme contenute nella sezione successiva dello stesso capo del codice civile o da essa richiamate - deve interpretarsi nel senso che l'onere della prova dell'effettiva sussistenza del danno inerisce esclusivamente al diritto al risarcimento, il quale compete se e nella misura in cui si sia verificato il danno, mentre il diritto alla riduzione in pristino, mediante la demolizione della costruzione fino al limite della distanza legale, sorge per il solo fatto dell'indicata violazione, indipendentemente dall'effettiva sussistenza del danno, e non è neanche condizionato dall'autonomo potere della P.A. di ordinare in via amministrativa la demolizione totale o parziale della costruzione abusivamente realizzata.

Cass. civ. n. 4196/1987

Qualora la distanza legale fra costruzioni su fondi vicini risulti inosservata per il fatto di un terzo, il quale abbia edificato con propri materiali su uno di detti fondi, l'azione del proprietario dell'altro fondo, rivolta a conseguire la demolizione o l'arretramento dell'opera, è esperibile esclusivamente nei confronti del confinante, in considerazione del carattere reale dell'azione medesima (qualificabile come negatoria servitutis), mentre la legittimazione passiva di detto costruttore deve essere riconosciuta rispetto all'eventuale ulteriore pretesa di risarcimento del danno, alla stregua della sua qualità di autore del fatto illecito.

Cass. civ. n. 4353/1985

Alla distinzione tra le norme, che integrano o modificano le disposizioni del codice sui rapporti di vicinato, dalle norme che, se pure dirette incidentalmente ad assicurare una migliore coesistenza e una più razionale utilizzazione delle proprietà private, tendono principalmente a soddisfare interessi di ordine generale, come quelli inerenti alle esigenze igieniche e alla tutela dell'estetica edilizia (art. 871 e 872 c.c.) corrisponde una diversa regolamentazione giuridica, nel senso che la violazione delle norme del primo tipo, che di solito riguarda la distanza nelle costruzioni, comporta non solo il risarcimento del danno a favore di colui che abbia subito pregiudizio, ma anche l'eliminazione dello stato di cose abusivamente creato, mentre la violazione di quelle del secondo tipo attribuisce soltanto alla pubblica amministrazione il potere di imporne l'osservanza coattiva, di modo che al privato viene riconosciuto, in caso di violazione, il solo diritto al risarcimento del danno, non anche quello della riduzione in pristino.

Cass. civ. n. 4108/1985

Nel caso di violazione di norme urbanistiche sull'altezza degli edifici, la sussistenza del danno in re ipsa — la quale, peraltro rileva unicamente ai fini di una condanna generica in quanto la determinazione del quantum risarcibile presuppone (salva la possibilità di liquidazione equitativa) una prova precisa non solo sulla potenziale esistenza del danno ma anche sull'entità di esso — va ritenuta limitatamente ai danni che il terreno adiacente a quello ove si è commesso l'illecito subisce in termini di amenità, comodità, tranquillità e per la riduzione di luce, aria e vista, essendo invece da escludere la configurabilità di danno in re ipsa in funzione di un'eventuale diminuzione della edificabilità, giacché tale conseguenza può verificarsi o meno, a seconda delle disposizioni degli strumenti urbanistici applicabili nella specie.

Cass. civ. n. 6197/1984

Nelle controversie tra privati derivanti dall'esecuzione di opere edilizie non conformi alle prescrizioni dei regolamenti edilizi o dei piani regolatori comunali viene in discussione sempre la lesione di diritti soggettivi, configurino o meno, le disposizioni violate, norme integrative del codice civile in materia di rapporti di vicinato, con la sola differenza che nel primo caso la tutela del privato giunge sino alla rimozione dell'opera costruita contra legem, mentre nel secondo caso essa è limitata al risarcimento del danno. Ne consegue che, ai fini della decisione delle dette controversie, ciò che rileva è soltanto la violazione delle suddette norme di edilizia, essendo invece irrilevante in linea di principio (salva l'ipotesi delle cosiddette licenze in deroga) l'esistenza o la legittimità degli atti amministrativi (licenze, concessioni, ecc.) che condizionano in concreto l'esercizio dello ius aedificandi sul piano del diritto pubblico, come pure la conformità delle costruzioni a tali atti.

Cass. civ. n. 3260/1984

La licenza edilizia legittima l'esercizio dello ius aedificandi nei soli confronti della pubblica amministrazione, ma non è idonea — in relazione alla sua particolare natura e finalità — a pregiudicare i diritti dei terzi, né ad ingenerare a loro favore posizioni giuridiche maggiori o diverse da quelle che ad essi competono in base alle norme edilizie applicabili alla singola fattispecie. Conseguentemente, il diritto al risarcimento dei danni di cui all'art. 872, secondo comma, c.c. sorge solo quando la costruzione — che si assume produttiva del preteso danno — sia stata realizzata in violazione delle prescrizioni e dei limiti dalle norme edilizie e non pure allorché essa sia stata realizzata, in tutto o in parte, soltanto senza la prescritta licenza edilizia o in difformità della medesima.

Cass. civ. n. 3425/1981

Legittimato passivo rispetto all'azione per l'osservanza delle distanze tra costruzioni è l'autore della costruzione illegittima, a nulla rilevando che la medesima sia stata eseguita su suolo di un terzo (nella specie: comune) e, quindi, sia soggetta alla disciplina dell'art. 936 c.c., poiché tale disciplina, regolando i rapporti tra proprietario di un suolo e colui che vi abbia realizzato un'opera, non può essere invocata da quest'ultimo per contrastare la suindicata domanda (nella specie: sostenendo la giuridica ineseguibilità della condanna alla demolizione della costruzione illegittima emessa nei suoi confronti), bensì può essere fatta valere, in ipotesi di accoglimento della domanda stessa, solo dal terzo proprietario del suolo, con opposizione ex artt. 404 e seguenti c.p.c.

Cass. civ. n. 3423/1981

Il risarcimento dovuto al proprietario dell'immobile confinante, da parte di chi abbia costruito in violazione delle norme edilizie, secondo la previsione dell'art. 872 secondo comma c.c., è diretto a reintegrare il patrimonio del proprietario medesimo della diminuzione subita per effetto di quella violazione (con riguardo al valore venale dell'immobile, alle possibilità di godimento, al valore locativo, ecc.), e, pertanto, deve essere liquidato a prescindere dall'entità dell'arricchimento lucrato dal responsabile con la costruzione abusiva.

Cass. civ. n. 3355/1973

Il titolare del diritto di proprietà, che ha subito lesione per violazione delle norme sulle distanze legali può esperire contemporaneamente l'azione reale di restituzione in pristino e quella personale di risarcimento del danno; l'una volta a realizzare la sanzione diretta, l'altra a conseguire quella indiretta, con l'unico limite che, dal momento in cui la prima è attuata, la seconda si circoscrive ai danni causati dall'opera illegittima prima della sua eliminazione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 872 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Tamara B. chiede
mercoledì 24/05/2017 - Piemonte
“In caso di trasformazione di un ricovero per attrezzi confinante con la mia proprietà in abitazione, chiedo se è possibile appellarsi all'art. 872 del cc essendoci l'accesso a tale ricovero sulla mia proprietà.
Adesso il disagio del passaggio è raro ma in caso di abitazione sarebbe molto di più.
Di conseguenza la mia proprietà subirebbe un deprezzamento.”
Consulenza legale i 29/05/2017
L'art. 872 c.c., da Lei citato, presuppone che sia stato accertato un illecito amministrativo da parte del TAR (o, in caso di impugnazione, dal consiglio di stato).
In sostanza, tale disposizione prevede che, laddove sia accertata l'abusività di un immobile, colui che ha subito un danno dalla violazione della norma amministrativa in questione, ha diritto di essere risarcito.

Va osservato, infatti, che le sentenze del Giudice amministrativo hanno effetto solamente tra il privato autore della violazione e la pubblica amministrazione interessata dalla violazione stessa.

Se la violazione produce un danno per un altro privato, questi dovrà appellarsi all'art. 872 c.c. al fine di ottenere il risarcimento del danno.

Nel caso di specie, Lei non accenna all'eventuale abusività dell'immobile, con la conseguenza che siamo portati a ritenere che la trasformazione del ricovero per attrezzi in abitazione sia avvenuta regolarmente.

In questo caso, Lei non potrà appellarsi all'art. 872 c.c., non essendovi stata alcuna violazione di norme amministrative.

Vi sono, tuttavia, due diversi profili da tenere in considerazione:
  • il primo concerne il rispetto della normativa delle "distanze nelle costruzioni", di cui all'art. 872 c.c.: Le ricordo, infatti, che, in base a questa disposizione, le costruzioni su fondi confinanti devono essere tenute a distanza non inferiore a tre metri (fatte salve eventuali maggiori distanze previste nei regolamenti locali).
  • Il secondo profilo, riguarda, invece, il "diritto di servitù di passaggio". Stando a quanto da Lei riferito, infatti, il Suo vicino transita attraverso il Suo fondo per accedere al proprio immobile.
Occorrerebbe, dunque, verificare, se il Suo vicino abbia, effettivamente, titolo per esercitare tale passaggio (verificando, ad esempio, se sia stato stipulato un contratto in tal senso e se vi siano altre possibilità di accesso al fondo del vicino). Le preciso, infatti, che, se per legge il proprietario di un fondo ha diritto di ottenere da parte del proprietario di un altro fondo la costituzione di una servitù (ad esempio, perché il fondo in questione non ha altro accesso alla via pubblica), questa, in mancanza di contratto, può essere costituita con una sentenza del Giudice, che stabilisce le modalità della servitù stessa e determina l'indennità dovuta al proprietario del fondo servente (art. 1032 c.c.

E' necessario, comunque, che vi sia un contratto o una sentenza che stabilisca l'esistenza del diritto di servitù di passaggio, che non può essere esercitato semplicemente "di fatto" e senza titolo.

Le consigliamo dunque, di verificare il rispetto delle distanze legali della costruzione del Suo vicino, nonché di verificare se il vicino sia o meno titolare di un diritto di servitù di passaggio attraverso il Suo fondo.

Le evidenziamo, infatti, che, ai sensi dell'art. 949 c.c., se il Suo vicino non fosse titolare di un diritto di servitù ma esercitasse ugualmente il passaggio attraverso il fondo di Sua proprietà, Lei avrebbe diritto di rivolgersi al Giudice, al fine di ottenere una sentenza che dichiari l'inesistenza del diritto stesso (si parla in proposito, di "azione negatoria" e condanni il Suo vicino a cessare eventuali turbative o molestie, nonché a risarcirLe il danno eventualmente arrecato.

Nel caso, invece, la servitù esistesse e fosse regolare, allora si potrebbe certamente fare appello all'art. 1067 del c.c. Si cita a tale riguardo solo una Cassazione tra le molte che si sono negli anni susseguite sul tema: "Va verificato se l'innovazione abbia alterato l'originario rapporto con il fondo servente e se il sacrificio imposto sia maggiore rispetto a quello originariamente previsto, dovendosi valutare l'opera non in sé stessa, ma anche con riferimento alle implicazioni che ne derivino a carico del fondo servente, assumendo rilevanza non soltanto i pregiudizi attuali, ma anche quelli potenziali, connessi e prevedibili, in considerazione dell'intensificazione dell'onere gravante sul fondo anzidetto" (Cass. n. 15538/2014).

Per poter meglio inquadrare la questione servirebbe senz'altro sapere se una servitù effettivamente esiste, e se esiste, a quale titolo è stata costituita.


Anonimo chiede
giovedì 23/03/2017 - Lombardia
“Faccio parte di un Consorzio XX con attività esterna per la realizzazione delle opere di urbanizzazione. Poiché un consorziato YY non ha pagato una fattura la ditta ha fatto emettere il seguente decreto ingiuntivo:

Il Giudice ………….

ingiunge a
YY,
Consorzio XX

di pagare, in solido, ………… .

Mi è stato detto che, se YY è insolvente, il debito si riparte, pro quota, tra gli altri consorziati.
Non mi è chiaro cosa succede se tra gli altri consorziati, sui quali è ripartito il debito, ci sono degli insolventi.”
Consulenza legale i 30/03/2017
Né il Codice Civile né le leggi speciali contengono una normativa compiuta dei consorzi per l’urbanizzazione.
L’unica norma che ne parla è l’art. 872 c.c. il quale afferma che “quando è prevista la formazione di comparti, costituenti unità fabbricabili con speciali modalità di costruzione e di adattamento, gli aventi diritto sugli immobili compresi nel comparto devono regolare i loro reciproci rapporti in modo da rendere possibile l'attuazione del piano. Possono anche riunirsi in consorzio per l'esecuzione delle opere.”
Non basti la scarna disciplina, le peculiarità dei consorzi di urbanizzazione rendono pressoché impossibile applicare per analogia la normativa dettata dal legislatore per le altre tipologie di consorzio.

La Cassazione, nel cercare di fornire una soluzione al problema e riconoscendo l’atipicità di questi enti, tende a valorizzare al massimo l’autonomia privata, con la conseguenza che, per conoscere la disciplina applicabile per la responsabilità verso terzi dei consorzi, bisognerà aver primario riguardo alla volontà manifestata dai consorzianti nello statuto.
Dunque per sapere se il debito è da imputarsi al consorzio, e se i consorziati sono obbligati a saldare il dovuto al posto del debitore principale, occorrerà in primis vagliare se lo Statuto regolamenta la responsabilità dell’ente verso i terzi.

Soltanto ove questo nulla disponga, si potrà e si dovrà individuare la normativa applicabile raffrontando i consorzi di urbanizzazione con altri istituti/enti simili e cercando la disciplina di volta in volta più confacente alla problematica insorta.
La giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto una certa analogia dei consorzi per l’urbanizzazione con la proprietà condominiale, analogia per la quale estende a questi enti la disciplina prevista per la responsabilità dei condomini verso terzi e nei rapporti interni, se lo Statuto dell’ente non abbia previsto nulla al riguardo (ex pluribus Cass. 20989/2014).

La norma di riferimento per il condominio, e quindi anche per i consorzi di urbanizzazione è l’art. 63 dis. att. al c.c. 2° comma, come modificato dalla L.11 dicembre 2012 n. 220, stando al quale “i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini”.
Questo significa anzitutto che il terzo creditore ha diritto di ottenere il proprio credito sia dal debitore principale, sia dai consorziati. Ma significa anche che intanto potrà rivolgersi al consorzio, solo se ha prima intrapreso le procedure espropriative nei confronti dell’obbligato principale con esito infruttuoso.
Se i beni e le sostanze del debitore principale non bastano a soddisfare il creditore, allora entrano in gioco gli altri consorziati.

Mentre, con riferimento alla distribuzione del debito tra gli altri consorziati e circa la natura dell’obbligazione di garanzia, la giurisprudenza non è univoca.

Secondo alcuni Giudici si tratta di un’obbligazione solidale, con ciò intendendosi che il creditore può rivolgersi anche ad uno solo dei consorziati e richiedergli di saldare l’intero. Questo obbligo di saldare l’intero debito è solo “esterno”, non vale nei rapporti interni.
Il consorziato diligente-adempiente mantiene infatti il diritto di regresso pro quota sui consorziati-debitori.
Il Giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo sembra aderire a questo orientamento, avendo ordinato il pagamento "in solido" del debito.

Secondo la giurisprudenza di merito e di legittimità prevalenti (cfr. Cass. n. 6282/2015), invece, si tratta di un’obbligazione parziaria, malgrado quanto disposto dal Giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo all’origine della Sua domanda.
Ciò significa che ciascun debitore è tenuto nei confronti del creditore ad una parte della prestazione, e precisamente è tenuto ad una parte proporzionale alla sua quota di partecipazione al vincolo consortile.

Nel Suo caso, secondo l’orientamento dominante dunque, sarà tenuto solamente alla parte della prestazione insoluta proporzionale al valore della Sua quota di partecipazione al consorzio, e, se vi sono altri consorziati insolventi, il creditore non potrà agire per l’intero o ripartire nuovamente il debito tra i consorziati, ma tale parte di debito resterà insoluta.

M. C. chiede
martedì 02/05/2023
“Buongiorno; ho acquistato un rustico nel 2004 nel territorio dei castelli romani e, con regolare concessione comunale, l'ho rifinito per abitarci.
Nel mentre mi sono reso conto che, sul muro di confine, i miei "vicini" costruivano una vera e propria "depandance" che, oltre ad essere appunto con un lato proprio sul muro di confine, è a tutt'oggi abusiva(ho documentazione fotografica che dimostra che stavano costruendo)...
Io, ignaro a quel tempo di quanto detta il codice civile in materia di distanze dal confine, non ho dato peso a quanto stesse accadendo; poi, con il passare del tempo e sentendo i pareri delle persone che venivano a trovarmi, ho cercato di approfondire la questione, ma vorrei dei chiarimenti; io non voglio adire legalmente nei confronti dei miei vicini però vorrei essere sicuro che questa costruzione non diventi "regolare", quantomeno senza il mio permesso.
Dico questo perchè ho sentito parlare di "usucapione".... Potrei avere chiarimenti in merito? Ho un termine per poter fare qualcosa oppure questa costruzione sul confine non potrà in alcun modo essere sanata senza il mio permesso? Grazie.”
Consulenza legale i 09/05/2023
La fattispecie descritta sembra essere ascrivibile ad una costruzione in aderenza ai sensi dell’art. 877 c.c.
Secondo questa disposizione di legge è ammessa la costruzione di un nuovo edificio in aderenza al muro di confine.
La giurisprudenza ha avuto modo di affermare che, come costruzioni in aderenza, si intendono quelle che sono in semplice contatto con il muro del vicino e hanno un’autonomia strutturale e funzionale.
La Cassazione ha così affermato “affinché si verifichi l'ipotesi di costruzione in aderenza è necessario che la nuova opera e quella preesistente combacino perfettamente da uno dei lati, in modo che non rimanga tra i due muri, nemmeno per un breve tratto o ad intervalli, uno spazio vuoto, ancorché totalmente chiuso, che lasci scoperte, sia pure in parte, le relative facciate” (Cass, civ. n. 1407/2007).
Non è quindi previsto che il proprietario del muro di confine in aderenza al quale è stata costruita la dependance, possa intraprendere alcuna azione nei confronti del vicino.

Qualora dall’analisi dello stato dei luoghi, invece, si dovesse ritenere che la dependance non è stata costruita in aderenza, la norma di legge applicabile è l’art. 873 del c.c..
In questo caso la costruzione avrebbe dovuto essere posta a distanza non minore di tre metri o alla distanza stabilita dai regolamenti locali.
Il proprietario che ha subito la costruzione di un immobile che si presume non rispettare le norme di edilizia e posto ad una distanza inferiore rispetto a quella prevista dall’art. 873 c.c., ha diritto a intraprendere un’azione legale di riduzione in pristino oltre che di risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 872 del c.c. (Cass. civ. n. 458/2016).

L’azione di riduzione in pristino è volta a ottenere una condanna alla demolizione del bene costruito in violazione della normativa sulle distanze tra edifici sia a livello civilistico che urbanistico.
È un’azione di tipo reale quindi imprescrittibile, salvo gli effetti di un’eventuale usucapione (Cass. civ. n. 867/2000).
Ciò significa che colui che costruisce in violazione di legge usucapisce il diritto a mantenere l’immobile nelle condizioni in cui si trova dopo vent’anni di possesso ininterrotto e continuato senza che sia stato introdotto un giudizio per chiederne la demolizione; l’imprescrittibilità dell’azione però permette al vicino di intraprenderla in qualsiasi momento, prima che siano trascorsi i vent’anni per usucapire il diritto.

L’azione di risarcimento danni invece è un’azione di tipo obbligatorio ed è soggetta al termine di prescrizione ordinario di cinque anni ex art. 2947 del c.c..
L’esecuzione della costruzione dà quindi vita ad un illecito permanente che fa sorgere il diritto al risarcimento del danno dal momento in cui cessa la permanenza e quindi dal momento in cui la costruzione dovesse essere demolita o essere dichiarata legittima da parte dell’amministrazione pubblica con la rinuncia alla demolizione, o essere acquisito il diritto a mantenere la costruzione per usucapione (Cass. civ. n. 594/1990).

Per quanto riguarda invece la questione sull’abusività o meno della costruzione da un punto di vista urbanistico, questa può essere sanzionata solo dalla Pubblica Amministrazione.

In conclusione, si consiglia di verificare effettivamente se la dependance sia costruita in aderenza ai sensi dell’art. 877 c.c.
In caso affermativo non c’è nulla che si possa fare, salvo segnalare alla Pubblica amministrazione l’eventuale abusività dell’immobile.
Nell’eventualità in cui invece sia stata posta non in aderenza e sia quindi applicabile, l’art. 873 c.c., si consiglia di valutare di introdurre un’azione giudiziaria per la riduzione in pristino ai sensi dell’art. 872 c.c. per interrompere l’usucapione ventennale prima dell’anno 2024.




F. R. chiede
domenica 16/04/2023
“Il mio vicino ha ampliato al piano terra (su suolo originariamente adibito a giardino) la sua abitazione, per un’altezza di circa 3 metri.
Il lastrico solare della costruzione raggiunge l’altezza del mio giardino confinante, il cui terreno è sostenuto da un muro di contenimento (costruito sul mio terreno e ovviamente a mie spese) che è alto circa 3 metri, la cui base è quindi posta alla stessa quota del terreno della costruzione (in origine giardino).
Posto che:
a) la costruzione è distante all’incirca 3 metri dal mio muro di contenimento;
b) il regolamento edilizio prescrive per la zona (H) una distanza legale di almeno 10 metri dal confine;
c) non sembrano riscontrabili nella fattispecie le finalità dell’art. 873 c.c. (distanza nelle costruzioni) poste a tutela dell'interesse pubblico all'igiene, al decoro e alla sicurezza per gli edifici adibiti ad uso abitativo;
desidero sapere se la costruzione descritta rispetta - o meno - la distanza legale.”
Consulenza legale i 21/04/2023
L’ampliamento della costruzione lamentata dal vicino, costituisce una nuova costruzione ai sensi dell’art. 873 c.c.
La giurisprudenza, infatti, ha stabilito che qualsiasi modificazione della volumetria di un edificio, compreso l’aumento della sagoma dell’ingombro o qualsiasi sopraelevazione, si considera una nuova costruzione (Cass. civ. n. 20428/2022, Cass. civ. n. 21059/2009).

In ambito di distanza delle costruzioni, il Codice civile prescrive che la distanza debba essere di minimo tre metri ma ammette che i regolamenti locali possano prevedere distanze maggiori.
In caso di violazione, quindi, è prevista all’art. 872 del c.c. la facoltà per il vicino di intraprendere un’azione di riduzione in pristino oltre che la richiesta di risarcimento del danno.

È controverso in giurisprudenza se il danno debba o meno essere provato.
Secondo un primo orientamento il diritto al risarcimento richiede l’accertamento del nesso tra la violazione e l’effettivo pregiudizio subito ( Cass. civ. n. 7909/2001, Cass. civ. n. 20608/2009).
Secondo un altro orientamento invece il danno è in re ipsa per cui non grava sul danneggiato l’onere della sussistenza e dell’entità del danno che costituisce una praesumptio iuris tantum, salva la possibilità per il danneggiante di dimostrare che per le condizioni particolari dei luoghi il danno debba essere escluso (Cass. civ. n. 25082/2020; Cass. civ. n. 11196/2010).

Nel caso di specie sembra che la nuova costruzione sia posta a circa 3 metri di distanza dal muro di contenimento del giardino del vicino, quindi a distanza legale secondo il Codice civile, ma a meno dei 10 metri stabiliti dal regolamento edilizio vigente.

È però dubbio se il muro di contenimento del fondo del vicino che lamenta un danno per la nuova costruzione, vada inteso come una costruzione ai sensi dell’art. 873 c.c.

Sembra che il muro abbia un’altezza intorno ai 3 metri anche se non è specificato con esattezza.

Se il muro di cinta avesse un’altezza inferiore ai 3 metri, ai sensi dell’art. 878 del c.c. non andrebbe considerato nel computo della distanza indicata dall’art. 873 c.c.
In questo caso, quindi, non dovrebbero essere rispettate le distanze previste dal Codice o dai regolamenti edilizi e la nuova costruzione del vicino sarebbe legittima.

La giurisprudenza ha però distinto la fattispecie in cui il muro di contenimento costituisce un terrapieno creato artificialmente, da quella in cui ha la funzione di contenere il naturale declivio di un terreno posto a dislivello rispetto a quello del vicino.
Solo nella prima ipotesi il muro di cinta deve essere considerato come una costruzione (Cass civ. n. 9998/2003, Cass civ. n. 8144/2001).
Ne consegue che qualsiasi edificio costruito a una distanza inferiore rispetto a quella legale, dovrà essere abbattuto.

Si segnala però una recente pronuncia giurisprudenziale che così afferma: “L'esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni, prevista dall'art. 878 c.c., si applica sia ai muri di cinta, qualificati dalla destinazione alla recinzione di una determinata proprietà, dall'altezza non superiore a tre metri, dall'emersione dal suolo nonché dall'isolamento di entrambe le facce da altre costruzioni, sia ai manufatti che, pur carenti di alcuni di tali requisiti, siano comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo” (Cass. civ. n. 26713/2020).
Se al muro che sostiene il giardino fosse riconosciuta l’utilità di demarcazione del confine e di recinzione del fondo, si applicherebbe l’art. 878 c.c. che esclude l’applicabilità dell’art. 873 c.c. per le distanze tra le costruzioni.

Si consiglia quindi di interpellare un tecnico che possa fare un’analisi dello stato dei luoghi alla luce di quanto sin qui detto in modo da valutare quale norma sia applicabile e quindi la legittimità di una eventuale azione di riduzione in pristino ai sensi dell’art. 872 c.c.

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