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Articolo 2120 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Disciplina del trattamento di fine rapporto

Dispositivo dell'art. 2120 Codice Civile

In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto a un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni.

Salvo diversa previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua, ai fini del comma precedente, comprende tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.

In caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell'anno per una delle cause di cui all'articolo 2110, nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l'integrazione salariale, deve essere computato nella retribuzione di cui al primo comma l'equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro.

Il trattamento di cui al precedente primo comma, con esclusione della quota maturata nell'anno, è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5 per cento in misura fissa e dal 75 per cento dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall'ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell'anno precedente.

Ai fini dell'applicazione del tasso di rivalutazione di cui al comma precedente per frazioni di anno, l'incremento dell'indice ISTAT è quello risultante nel mese di cessazione del rapporto di lavoro rispetto a quello di dicembre dell'anno precedente. Le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come mese intero.

Il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70 per cento sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta.

Le richieste sono soddisfatte annualmente entro i limiti del 10 per cento degli aventi titolo, di cui al precedente comma, e comunque del 4 per cento del numero totale dei dipendenti.

La richiesta deve essere giustificata dalla necessità di:

  1. a) eventuali spese sanitarie per terapie o interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;
  2. b) acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato con atto notarile(1).

L'anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro e viene detratta, a tutti gli effetti, dal trattamento di fine rapporto.

Nell'ipotesi di cui all'articolo 2122 la stessa anticipazione è detratta dall'indennità prevista dalla norma medesima.

Condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali. I contratti collettivi possono altresì stabilire criteri di priorità per l'accoglimento delle richieste di anticipazione.

Note

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 5 aprile 1991, n. 142 ha dichiarato l'illegittimità dell'ottavo comma, lett. b), "nella parte in cui non prevede la possibilità di concessione dell'anticipazione in ipotesi di acquisto in itinere comprovato da mezzi idonei a dimostrarne l'effettività".

Ratio Legis

L'art. 2120 ha adottato il principio dell'onnicomprensività della retribuzione, secondo cui la retribuzione per prestazione di lavoro non occasionale deve essere ricompresa nel T.F.R., salvo la contrattazione collettiva non vi deroghi in modo preciso e puntuale.

Massime relative all'art. 2120 Codice Civile

Cass. civ. n. 26383/2022

In tema di lavoro prestato all'estero, il diritto all'indennità di fine rapporto non nasce con la cessazione del rapporto di lavoro, ma costituisce un diritto che si concretizza quantitativamente anno per anno in modo progressivo, secondo il meccanismo di determinazione previsto dall'art. 2120 c.c., così come modificato dall'art. 1 della l. n. 297 del 1982; ne consegue che, in tema di imposte sui redditi, il trattamento di fine rapporto relativo ad annualità di retribuzione corrisposte per lavoro prestato all'estero deve beneficiare dello stesso regime fiscale di non assoggettamento ad IRPEF previsto dall'art. 3, comma 3, TUIR, per i redditi di lavoro dipendente prestato all'estero.

Cass. civ. n. 12653/2019

Ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto e della pensione aziendale - che il datore di lavoro ha equiparato al trattamento pensionistico dei dipendenti degli enti locali - vanno inclusi nella base di calcolo anche gli emolumenti istituiti dalla contrattazione aziendale (dovendosi ritenere che i contratti aziendali possano rientrare tra i contratti collettivi di lavoro cui fa riferimento l'art. 15 della l. n. 1077 del 1959), in quanto corrisposti in modo fisso e continuativo in relazione alla natura del compenso, benché essi non siano previsti dalla contrattazione nazionale.

Cass. civ. n. 10475/2019

Il Fondo di Garanzia istituito presso l'INPS per la corresponsione del t.f.r., nei casi di insolvenza del datore di lavoro fallito, è obbligato - nell'ipotesi di mutamento dell'inquadramento previdenziale da un settore (nella specie, quello agricolo) per il quale non è prevista la tutela assicurativa obbligatoria al settore industria - "pro quota", dovendo escludersi dalla prestazione da erogare la parte di t.f.r. maturata nel periodo in cui il rapporto assicurativo presso l'Istituto non è esistito per difetto dei presupposti di legge, atteso che il predetto t.f.r. può comporsi di quote distinte, di cui una soltanto, relativa al periodo di inquadramento del datore di lavoro nel settore industria, può essere posta a carico del Fondo medesimo. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO VENEZIA).

Cass. civ. n. 21519/2018

Ai fini della determinazione della base di computo del trattamento di fine rapporto, ai sensi dell'art. 2120, comma 2, c.c. e in mancanza di una deroga espressa contenuta nella contrattazione collettiva, la natura di retribuzione di un emolumento aggiuntivo corrisposto al lavoratore per lo svolgimento di lavoro all'estero o in altra sede lavorativa è desumibile da indici sintomatici, inclusi quelli emergenti in sede di conclusione del contratto individuale, che denotino la non occasionalità dell'emolumento, dovendosi invece attribuire natura non retributiva alle voci che abbiano la finalità di tenere indenne il lavoratore da spese che non avrebbe incontrato se non fosse stato trasferito, sostenute nell'interesse dell'imprenditore.

Cass. civ. n. 15217/2016

Il trattamento estero ha natura retributiva, tanto in presenza di una funzione compensativa della maggiore gravosità del disagio morale e ambientale, quanto nel caso in cui sia correlato alle qualità e condizioni personali concorrenti a formare la professionalità indispensabile per prestare lavoro fuori dai confini nazionali, mentre ha natura riparatoria il rimborso spese per la permanenza all'estero, che costituisce la reintegrazione di una diminuzione patrimoniale derivante da una spesa effettiva sopportata dal lavoratore nell'esclusivo interesse del datore, restando normalmente collegato ad una modalità della prestazione lavorativa richiesta per esigenze straordinarie, priva dei caratteri della continuità e determinatezza (o determinabilità) e fondata su una causa autonoma rispetto a quella retributiva.

Cass. civ. n. 4286/2016

L'art. 2120, comma 2, c.c., nella formulazione attualmente vigente, nel definire la nozione di retribuzione ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, non richiede, a differenza del vecchio testo della norma, la ripetitività regolare e continua e la frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, disponendo che questi ultimi vanno esclusi dal suddetto calcolo solo in quanto sporadici ed occasionali, per tali dovendosi intendere solo quelli collegati a ragioni aziendali del tutto imprevedibili e fortuite, e dovendosi all'opposto computare gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto la computabilità, ai fini del suddetto calcolo, delle somme corrisposte a titolo di festività non fruite in quanto cadenti di domenica).

Cass. civ. n. 4684/2015

Per il periodo anteriore alla riforma di cui al d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, i versamenti del datore di lavoro nei fondi di previdenza complementare - sia che il fondo abbia personalità giuridica autonoma, sia che consista in una gestione separata del datore stesso - hanno natura previdenziale, non retributiva, sicché non rientrano nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro.

Cass. civ. n. 11579/2014

Il diritto al trattamento di fine rapporto sorge alla cessazione del rapporto di lavoro e solo da questa data decorre il termine di prescrizione, mentre concorrono a determinarne l'ammontare anche gli accantonamenti relativi a retribuzioni per le quali il diritto sia ormai prescritto, poiché quelle retribuzioni rilevano solo come base di computo del t.f.r. e non come componenti del relativo diritto.

Cass. civ. n. 27643/2013

Ai fini della computabilità o meno dell'indennità di trasferta nel calcolo dell'indennità di anzianità e del t.f.r., nella nozione di "trasferisti" rientrano i lavoratori subordinati destinati a svolgere sistematicamente e professionalmente la propria attività quasi interamente al di fuori della sede aziendale, sempre in luoghi diversi, senza alcuna sede lavorativa fissa e predeterminata, percependo la retribuzione indipendentemente dalla effettiva effettuazione della trasferta, secondo un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo in presenza di vizi logici e giuridici.

Cass. civ. n. 16636/2012

Nella nozione di retribuzione deve farsi rientrare qualsiasi utilità corrisposta al lavoratore dipendente che proviene dal datore di lavoro se causalmente collegata al rapporto di lavoro, anche ove si tratti di somme materialmente erogate da un soggetto diverso dal datore di lavoro, ed anche se l'attribuzione patrimoniale costituisca la prestazione di un contratto diverso da quello di lavoro, ove tale contratto costituisca lo strumento per conseguire il risultato pratico di arricchire il patrimonio del lavoratore in correlazione con lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato. (Nella specie, la corte territoriale aveva riscontrato un accordo tra le parti secondo cui il dipendente, nell'adempimento degli obblighi derivanti dal contratto di lavoro, doveva svolgere anche attività come amministratore o liquidatore delle società del gruppo, ricevendo per tali attività un compenso aggiuntivo corrisposto talora direttamente dal datore, talaltra per il tramite delle società del gruppo; la S.C. ha confermato la decisione, affermando il principio su esteso).

Il concetto di retribuzione recepito dagli artt. 2118, comma secondo, c.c. (ai fini del calcolo dell'indennità di preavviso in caso di licenziamento) e 2120 c.c. (ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto) è ispirato al criterio dell'onnicomprensività, nel senso che in detti calcoli vanno compresi tutti gli emolumenti che trovano la loro causa tipica e normale nel rapporto di lavoro cui sono istituzionalmente connessi, anche se non strettamente correlati alla effettiva prestazione lavorativa, mentre ne vanno escluse solo quelle somme rispetto alle quali il rapporto di lavoro costituisce una mera occasione contingente per la relativa fruizione, quand'anche essa trovi la sua radice in un rapporto obbligatorio diverso ancorché collaterale e collegato al rapporto di lavoro. (In base al suddetto principio, la S.C. ha ritenuto di ricomprendere nel calcolo degli emolumenti citati il controvalore dell'uso dell'autovettura di proprietà del datore di lavoro utilizzata anche per motivi personali, le relative spese di assicurazione e accessorie nonché le polizze assicurative stipulate dal datore di lavoro a favore del lavoratore).

Cass. civ. n. 4708/2012

La contrattazione collettiva può derogare al principio della omnicomprensività della retribuzione agli effetti della determinazione del trattamento di fine rapporto, limitando la base di calcolo, anche con modalità indirette, purché con volontà chiara, ed è libera di stabilire il parametro retributivo per le mensilità aggiuntive, in ordine alle quali neppure sussiste un criterio legale tendenzialmente omnicomprensivo; pertanto, con riferimento al personale dipendente delle aziende grafiche ed editoriali (nella specie, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato), riferendosi l'art. 21 del c.c.n.l. del 1° novembre 1992 alla retribuzione per "orario normale", il trattamento di fine rapporto e la tredicesima mensilità vanno determinati, per il periodo successivo alla decorrenza del medesimo c.c.n.l., con esclusione dei compensi per lavoro straordinario.

Cass. civ. n. 709/2012

In tema di trattamento di fine servizio per i pubblici dipendenti già assunti alla data del 31 dicembre 1995, è demandata alla contrattazione collettiva soltanto la definizione delle modalità applicative della disciplina in materia di trattamento di fine rapporto (art. 2, comma 7, della legge n. 335 del 1995) e la "nuova regolamentazione contrattuale della materia", destinata a superare la previgente disciplina ex art. 72, comma 3, del d.l.vo n. 29 del 1993, ora trasfuso nell'art. 69, comma 2, del d.l.vo n. 165 del 2001, va riferita ad un intervento complessivo di modifica del quadro normativo e non a meri interventi specifici su taluni punti, quale l'inclusione di voci retributive nella base di calcolo dell'indennità di buonuscita. Pertanto, attesa l'inderogabilità della normativa previdenziale, nel cui ambito rientra l'indennità di buonuscita, in difetto di specifiche disposizioni, all'autonomia collettiva è preclusa l'inclusione di ulteriori elementi retributivi nella relativa base di calcolo. (Nella specie, per un dipendente in servizio alla data del 31 dicembre 1995, è stata esclusa la computabilità della retribuzione di posizione di cui al c.c.n.l. 2002/2005 del comparto università).

Cass. civ. n. 19917/2011

In tema di trattamento di fine rapporto, gli accordi aziendali possono derogare al principio di onnicomprensività della retribuzione di cui all'art. 2120, secondo comma, c.c. (anche nel testo novellato dalla legge n. 297 del 1982) solo in modo chiaro ed univoco. Ne consegue l'inidoneità della clausola contrattuale di cui all'art. 4 dell'accordo aziendale del 24 maggio 1986 per il personale delle ferrovie ad escludere l'indennità di presenza ai fini del computo del TFR, limitandosi la disposizione a prevedere che l'erogazione degli importi di cui all'accordo "non possono comportare oneri riflessi sugli istituti contrattuali e di legge vigenti".

Cass. civ. n. 542/2011

In tema di lavoro straordinario, il compenso forfettario della prestazione resa oltre l'orario normale di lavoro accordato al lavoratore per lungo tempo, ove non sia correlato all'entità presumibile della prestazione straordinaria resa, costituisce attribuzione patrimoniale che, con il tempo, assume funzione diversa da quella originaria, tipica del compenso dello straordinario, e diviene un superminimo che fa parte della retribuzione ordinaria e non è riducibile unilateralmente dal datore di lavoro.

Cass. civ. n. 23622/2010

L'accertamento della natura retributiva o risarcitoria del trattamento economico aggiuntivo riconosciuto al lavoratore che presti la propria opera all'estero è riservato al giudice di merito, gravando sul lavoratore - ove il contratto giustifichi l'erogazione delle somme in riferimento non al valore professionale della prestazione ma ai maggiori esborsi che il lavoratore deve sopportare per trasferirsi o per soggiornare all'estero insieme alla famiglia - l'onere di provare che esse non siano riconducibili alla funzione di rimborso spese, ed al giudice di merito, che ne riconosca la natura retributiva, di indicare le specifiche ragioni del suo convincimento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, con riguardo alle somme corrisposte per le spese di vitto, alloggio e trasporti durante il soggiorno lavorativo in Francia, aveva ritenuto - ai fini del computo del TFR - la loro natura risarcitoria e non retributiva con motivazione ritenuta congrua e logicamente plausibile pure in ordine alla mancata valutazione della determinazione del fisco francese, fatto da ritenere privo del requisito della decisività, in quanto le qualificazioni ai fini tributari sono ininfluenti fuori del settore specifico).

Cass. civ. n. 3894/2010

Il diritto al trattamento di fine rapporto sorge, a norma dell'art. 2120 c.c., al momento della cessazione del rapporto ed in conseguenza di essa, essendo irrilevante, al fine di ipotizzare una diversa decorrenza, l'accantonamento annuale della quota del trattamento, che costituisce una mera modalità di calcolo dell'unico diritto che matura nel momento anzidetto, ovvero l'anticipazione sul trattamento medesimo, che è corresponsione di somme provvisoriamente quantificate e prive del requisito della certezza, atteso che il diritto all'integrale prestazione matura, per l'appunto, solo alla fine del rapporto lavorativo. Ne consegue che la prescrizione del diritto al t.f.r. decorre soltanto dalla cessazione del rapporto lavorativo.

Cass. civ. n. 3684/2010

Nell'indennità di trasferta prevista in favore del lavoratore che si trasferisce in un luogo di lavoro diverso da quello abituale possono ravvisarsi due componenti, quella risarcitoria e quella residuale retributiva, la cui rispettiva determinazione quantitativa (rilevante nella specie al fine di stabilirne la computabilità per il calcolo dell'indennità di anzianità e del trattamento di fine rapporto), discende dalla interpretazione delle specifiche pattuizioni contrattuali, essendo quindi devoluta al giudice di merito. (Nella specie, la S.C. ha cassato, con rinvio, la sentenza della corte territoriale che, nell'escludere l'indennità di trasferta dal computo dell'indennità di anzianità e del T.F.R. sul rilievo della sua natura risarcitoria, aveva omesso di accertare se in essa fosse presente, e in quale percentuale, anche una componente retributiva, tanto più che la stessa indennità risultava essere connessa all'impossibilità per i lavoratori operanti fuori dalla cinta daziaria del Comune di Roma di usufruire del servizio di mensa aziendale).

Cass. civ. n. 365/2010

In tema di determinazione del trattamento di fine rapporto, il principio secondo il quale la base di calcolo va di regola determinata in relazione al principio della onnicomprensività della retribuzione di cui all'art. 2120 c.c., nel testo novellato dalla legge n. 297 del 1982, è derogabile dalla contrattazione collettiva, che può limitare la base di calcolo anche con modalità indirette purché la volontà risulti chiara pur senza l'utilizzazione di formule speciale od espressamente derogatorie. Ne consegue che, con riferimento al personale dipendente delle aziende grafiche e affini e delle aziende editoriali (nella specie, dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato), a partire dal c.c.n.l. del 1 novembre 1992, la quota annuale di cui all'art. 1 della legge n. 297 del 1982 per il calcolo del trattamento di fine rapporto concerne la retribuzione indicata, con definizione non onnicomprensiva, nell'art. 21 del c.c.n.l medesimo sulla nomenclatura, ossia quella "complessivamente percepita dal quadro, dall'impiegato e dall'operaio per la sua prestazione lavorativa, nell'orario normale", con esclusione delle prestazioni di lavoro straordinario. (Interpretazione diretta per la prima volta, ex art. 360, n. 3 c.p.c., da parte della S.C. delle disposizioni contrattuali collettive relative al TFR per il personale dipendente delle aziende grafiche).

Cass. civ. n. 9695/2009

Il diritto al trattamento di fine rapporto (TFR) sorge con la cessazione del rapporto di lavoro e a quel momento può essere azionato, non essendo di ostacolo a tal fine la sussistenza, di una controversia tra le parti in ordine all'ammontare delle retribuzioni spettanti al lavoratore (la cui pendenza può, semmai, determinare soltanto la sospensione del giudizio diretto al conseguimento nel TFR). Ne consegue che il termine iniziale di decorso della prescrizione del diritto al TFR va individuato nel momento in cui il rapporto di lavoro subordinato è cessato, e non già in quello in cui sia stato accertato giudizialmente l'effettivo ammontare delle retribuzioni spettanti.

Cass. civ. n. 6963/2009

Il carattere della continuatività di un determinato compenso non può essere concepito in modo assoluto, ma deve essere valutato in relazione alla particolare natura di ciascun compenso, attraverso un'indagine volta ad accertare, oggettivamente e in concreto, i requisiti dell'obbligatorietà, della continuatività e della determinatezza (o determinabilità) del compenso stesso. Pertanto, anche l'emolumento il quale, astrattamente, presenti il carattere dell'eventualità, siccome collegato alle modalità di espletamento della prestazione lavorativa e alla relativa valutazione della parte datoriale, perde tale caratteristica laddove, attraverso un'indagine di fatto (come tale riservata al giudice del merito e insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata), risulti la sua avvenuta continuativa erogazione nel tempo ai dipendenti in misura pressoché totale, tanto che l'eventualità della mancata erogazione si configuri in termini di mera residualità e, sostanzialmente, di eccezionalità; ne consegue ulteriormente che detto emolumento spetta anche per i periodi di mancata prestazione del servizio. (Principio affermato in controversia concernente il premio annuale di rendimento ex art. 60 CCNL A.C.R.I. del 1980 per i dipendenti e funzionari delle Casse di Risparmio).

Cass. civ. n. 4069/2009

Il principio secondo cui la determinazione del t.f.r. va fatta secondo i criteri previsti dall'art. 2120 c.c. è del tutto inderogabile dalle parti, con la conseguenza che vanno inclusi nella base di calcolo tutti gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro, e quindi tutte le voci erogate con l'imputazione "retribuzione" o equivalente, che abbiano carattere di controprestazione compensativa, anche se siano in sé disponibili. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto necessaria l'inclusione nella base di calcolo del t.f.r. dell'indennità estero corrisposta al dipendente, pur trattandosi di emolumento disponibile dal lavoratore per la parte eccedente il minimo previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva).

Cass. civ. n. 27806/2008

Ove i contratti colletti non contengano diverse previsioni, la continuità di un compenso, ai fini della sua computabilità nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto, sussiste quando esso non abbia carattere occasionale, per essere reso in relazione a prestazioni di carattere continuativo e non si risolva in un rimborso spese. Ne consegue la non computabilità dell'indennità di trasferta prevista dagli accordi aziendali per sopperire al disagio di quei dipendenti che, a causa dell'attività prestata fuori sede, non potevano usufruire dei servizi di mensa aziendale, non avendo natura retributiva.

Cass. civ. n. 15080/2008

Il secondo comma dell'art. 2120 c.c. vigente, nel definire la nozione di retribuzione, ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, non richiede, a differenza del vecchio testo della norma codicistica, la ripetitività regolare e continua e la frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, disponendo che questi ultimi vanno esclusi dal suddetto calcolo solo in quanto sporadici ed occasionali, per tali dovendosi intendere solo quelli collegati a ragioni aziendali del tutto imprevedibili e fortuite, e dovendosi all'opposto computare, ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto, gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro.

Cass. civ. n. 6743/2008

Ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto e della pensione aziendale - che il datore di lavoro ha equiparato al trattamento pensionistico dei dipendenti degli enti locali - vanno inclusi nella base di calcolo anche gli emolumenti istituiti dalla contrattazione aziendale (dovendosi ritenere che i contratti aziendali possano rientrare tra i contratti collettivi di lavoro cui fa riferimento l'art. 15 della legge n. 1077 del 1959), in quanto corrisposti in modo fisso e continuativo in relazione alla natura del compenso, benché essi non siano previsti dalla contrattazione nazionale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza che aveva ammesso la computabilità, nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto e della pensione aziendale prevista dal contratto aziendale per i dipendenti dell'ARIN - azienda risorse idriche di Napoli della retribuzione in natura corrisposta al lavoratore ragguagliata al valore locativo dei beni immobili concessigli in godimento).

Cass. civ. n. 21239/2007

In tema di accantonamenti utili ai fini del trattamento di fine rapporto, occorre distinguere fra l'azione di mero accertamento dell'entità della quota da accantonare, da quella strumentale intesa ad ottenere concreta attuazione di un particolare diritto, quale quello al computo di una determinata voce ; per questa seconda fattispecie, non è configurabile la prescrizione dell'azione fino a quando perduri la situazione di incertezza, che legittima il lavoratore a richiedere l'accertamento giudiziale del diritto, e che non è esclusa dalle comunicazioni datoriali relative alla misura degli accantonamenti utili. (Nella specie la S.C. ha ritenuto corretta la decisione della corte territoriale che aveva rigettato l'eccezione di prescrizione del diritto al computo dello straordinario sulle competenze di fine rapporto ).

Cass. civ. n. 18289/2007

Con riferimento a controversia promossa da dipendente in quiescenza dell'Istituto Poligrafico dello Stato per ottenere il ricalcalo del trattamento di fine rapporto con inserimento del compenso per lavoro straordinario nella base di calcolo, la nozione legale di cui all'art. 2120 c.c., come sostituito dall'art. 1 legge 29 maggio 1982 n. 297, può trovare una deroga solo nei contratti collettivi successivi all'istituzione di tale trattamento, non mediante una generica conferma di precedenti disposizioni contrattuali, ma attraverso una chiara ed univoca volontà delle parti contraenti, non potendosi ravvisare tale intento in una clausola che abbia il mero scopo di esplicitare la nozione contrattuale di alcuni termini ricorrenti, fra i quali quello di T.F.R. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva escluso che gli artt. 34 e 21 del contratto collettivo per il settore grafico ed editoriale del novembre 1992, relativi alla disciplina rispettivamente del trattamento di fine rapporto della cosiddetta «nomenclatura», ossia la definizione di alcune nozioni, fra cui quella di retribuzione, avessero apportato una deroga al principio dell'onnicomprensività della «quota di retribuzione» quale parametro di calcolo del trattamento di fine rapporto, previsto dall'art. 2120 c.c.).

Cass. civ. n. 17614/2007

In tema di determinazione del trattamento di fine rapporto, il principio, secondo il quale la baie di calcolo va di regola determinata in relazione al principio della onnicomprensività della retribuzione di cui all'art. 2120 c.c., nel testo novellato dalla legge n. 297 del 1982, è derogabile dalla contrattazione collettiva, che può limitare la base di calcolo, purché tale deroga sia espressa in modo chiaro ed univoco, secondo l'interpretazione del contratto collettivo sul punto riservata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione. (Nella specie, la S.C., cassando la sentenza di merito, ha ritenuto che il c.c.n.l., per i dipendenti pendenti dalle aziende grafiche 31 ottobre 1992, nella specie applicabile, — che richiama quanto percepito dal lavoratore in relazione all'orario normale ai fini della definizione della retribuzione — si riferisse a vari istituti contrattuali ma non prendesse espressa deroga al principio legale di onnicomprensività previsto ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto, con la conseguente computabilità nella base di calcolo di questo istituto dei compensi percepiti per lavoro straordinario obbligatorio e continuo).

Cass. civ. n. 8191/2006

La prescrizione del diritto ad ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro e tale diritto non va confuso col diritto, maturante anche nel corso del rapporto, all'accertamento della quota temporaneamente maturata: l'uno ha per oggetto una condanna mentre l'altro ha per oggetto un mero accertamento. La diversità di contenuto e maturazione temporale dei due diritti soggettivi comporta il diverso regime della prescrizione, senza che la diversità stessa possa essere esclusa dalla loro connessione, data dalla parziale comunanza di elementi costitutivi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato l'eccezione di prescrizione relativa al diritto dei lavoratori ad ottenere la riliquidazione del t.f.r., includendo nella base di calcolo di esso alcune voci straordinario e indennità di guida non previste dal datore di lavoro ).

Cass. civ. n. 6240/2006

Ai fini della configurazione della trasferta del lavoratore (da cui consegue il suo diritto a percepire la relativa indennità) che si distingue dal trasferimento (il quale comporta l'assegnazione definitiva del lavoratore ad altra sede diversa dalla precedente), è necessaria la sussistenza del permanente legame del prestatore con l'originario luogo di lavoro, mentre restano irrilevanti, a tal fine, la protrazione dello spostamento per un lungo periodo di tempo e la coincidenza del luogo della trasferta con quello di un successivo trasferimento, anche se disposto senza soluzione di continuità al termine della trasferta medesima. L'accertamento degli inerenti presupposti è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. (Omissis ).

Cass. civ. n. 2640/2006

Ai fini della configurazione della trasferta del lavoratore (da cui consegue il suo diritto a percepire la relativa indennità ) che si distingue dal trasferimento (il quale comporta l'assegnazione definitiva del lavoratore ad altra sede diversa dalla precedente ), è necessaria la sussistenza del permanente legame del prestatore con l'originario luogo di lavoro, mentre restano irrilevanti, a tal fine, la protrazione dello spostamento per un lungo periodo di tempo e la coincidenza del luogo della trasferta con quello di un successivo trasferimento, anche se disposto senza soluzione di continuità al termine della trasferta medesima. L'accertamento degli inerenti presupposti è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. (Omissis ).

Cass. civ. n. 24875/2005

Affinché un compenso sia incluso nella base di calcolo della indennità di anzianità (ex art. 2121 c.c.) o del trattamento di fine rapporto (ex art. 1 legge n. 297 del 1982), non è necessario il carattere di definitività del compenso stesso, ma è sufficiente che di esso (nella specie indennità di servizio estero) il dipendente abbia goduto in modo normale nel corso ed a causa del rapporto di lavoro, non avendo rilievo l'elemento temporale di percezione del compenso stesso, ove questo sia da considerare come corrispettivo della prestazione normale perché inerente al valore pro-fessionale delle mansioni espletate.

Cass. civ. n. 15889/2004

Per l'art. 2120 c.c., ove i contratti collettivi non contengano diversa previsione, la retribuzione annua comprende tutte le somme corrisposte a titolo non occasionale e non di rimborso spese. L'esclusione di una o più voci dalla base retributiva, costituendo deroga all'indicato principio, presuppone in primo luogo una volontà della norma collettiva che neghi espressamente l'inclusione, ed esige, poi, una specifica prova di questa negazione da parte di colui che l'invochi. (Nella specie, la S.C., con riferimento al contratto per i dipendenti ACEA, ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto rientranti, nella base retributiva annua, l'assegno ad personam e l'indennità di presenza del 9 per cento, respingendo la tesi dell'ACEA che si era limitata a menzionare un accordo siglato il 10 marzo 1983, ove erano indicate le voci retributive da prendere in considerazione ai fini della determinazione del T.F.R., senza includere le indennità controverse, senza neppure produrre tale accordo).

Cass. civ. n. 10172/2004

Ai fini della configurabilità del carattere costante e sistematico del lavoro straordinario, computabile nella indennità di anzianità ai sensi degli artt. 2120 e 2121 c.c. (nel testo originario), devono concorrere due condizioni, dovendosi verificare, da un lato, la regolarità o frequenza o periodicità della prestazione, da valutarsi con riguardo al suo ripetersi con costanza e uniformità per un apprezzabile periodo di tempo, così da divenire abituale nel quadro dell'organizzazione del lavoro perché funzionale al normale fabbisogno dell'impresa, e, dall'altro, la ragionata insussistenza dei caratteri di occasionalità, transitorietà o saltuarietà della prestazione stessa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato, per vizio di motivazione, la sentenza impugnata che aveva desunto il carattere di continuità del lavoro straordinario dal rapporto di consequenzialità tra funzionalità del servizio pubblico di erogazione dell'energia elettrica e le esigenze aziendali che avrebbero reso strutturalmente e stabilmente necessario lo straordinario, senza peraltro accertare quali fossero le mansioni del lavoratore e il rapporto esistente tra queste e la concreta organizzazione dell'attività del datore di lavoro).

Cass. civ. n. 1124/2004

Ai fini della qualificazione di un compenso come occasionale, e quindi escluso, ai sensi dell'art. 2120 c.c., dalla base di calcolo del trattamento di fine rapporto, rileva la riconducibilità dell'evento, al quale è collegato il compenso, alla astratta previsione normativa, mentre è irrilevante la frequenza con la quale la prestazione venga svolta e il compenso venga corrisposto. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che il compenso corrisposto per le prestazioni lavorative svolte da un lavoratore turnista in occasione della festività infrasettimanale non potesse ritenersi occasionale, giacché corrisposto per una prestazione normale in quanto resa in attuazione del turno).

Cass. civ. n. 15841/2003

La cosiddetta indennità estero alla quale va riconosciuta natura retributiva tanto nel caso in cui abbia una funzione compensativa della maggiore gravosità e del disagio morale ed ambientale dell'attività lavorativa prestata all'estero, quanto nel caso in cui essa sia correlata all'insieme delle qualità e condizioni personali che concorrono a formare la professionalità eventualmente indispensabile per prestare lavoro in territorio straniero la cui corresponsione sia continuativa e non occasionale, è computabile sia ai fini dell'indennità di anzianità sia ai fini del trattamento di fine rapporto.

In relazione alla cosiddetta «indennità estero» che concorre a determinare l'ammontare della indennità di anzianità e del trattamento di fine rapporto qualora sia ritenuta dal giudice di merito con motivazione esente da censure avente natura retributiva il requisito della continuità, necessario secondo il vecchio testo degli artt. 2120 e 2121 c.c. ai fini della determinazione della indennità di anzianità, va inteso in senso relativo e non equivale a definitività, ma all'attitudine a continuare per un periodo di durata indeterminata e corrispondente a periodicità ed ordinarietà della prestazione, in contrapposto alla saltuarietà ed occasionalità della stessa.

Cass. civ. n. 13010/2003

La nozione legale di retribuzione — da porre a base nel calcolo del trattamento di fine rapporto (ai sensi dell'art. 2120 c.c., come novellato dall'art. 1 della legge n. 297 del 1982) — comprende tutti gli emolumenti corrisposti in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale, e con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese — fatta salva la diversa previsione eventualmente contenuta nei contratti collettivi successivi alla legge istitutiva di detto trattamento, che possono derogare anche in pejus, la nozione legale di retribuzione.

Cass. civ. n. 12851/2003

Nella retribuzione sulla quale va computato l'accantonamento delle quote annuali ai lini del trattamento di fine rapporto ai sensi dell'ari. 2120, comma primo c.c. (nel testo sostituito dall'art. 1 della legge 20 maggio 1982 n. 297) vanno incluse, secondo la formulazione del comma secondo dello stesso art. 2120, tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale e con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese. In tale nozione di retribuzione rientrano pertanto, prescindendo dalle ripetitività e dalla frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, anche gli emolumenti per lavoro straordinario che non siano corrisposti occasionalmente, ossia per ragioni del tutto eventuali, imprevedibili e fortuite. Ne consegue che qualora il contratto attribuisca al datore di lavoro il potere di pretendere la protrazione dell'orario di lavoro normale, il relativo compenso non può essere reputato occasionalmente e concorre al computo del t.f.r.

Cass. civ. n. 96/2003

L'individuazione della retribuzione annua utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto deve operarsi, ai sensi dell'art. 2120 c.c., facendo riferimento alla normativa legale o contrattuale in vigore al momento dei singoli accantonamenti e non a quella in vigore al momento della cessazione del rapporto. Infatti il TFR costituisce un istituto di retribuzione differita che matura anno per anno attraverso il meccanismo dell'accantonamento e della rivalutazione. (Nella specie la S.C. ha ritenuto congruamente e correttamente motivata la sentenza di merito secondo cui l'esclusione del compenso per il lavoro straordinario dal calcolo del TFR contenuta nel contratto collettivo dei metalmeccanici del 1994 era relativa ai soli accantonamenti successivi al 1994 e non a quelli precedenti).

Cass. civ. n. 17418/2002

In tema di indennità di fine rapporto, il confronto tra la disciplina legale e quella convenzionale, agli effetti previsti dall'art. 1419 c.c., impone la considerazione unitaria, nell'unico istituto dell'indennità stessa, di tutte le disposizioni che incidono sia sulla determinazione della base di calcolo sia sulla previsione delle varie maggiorazioni aggiuntive, dato che anche queste, sebbene collegate a specifiche previsioni di attribuzione, concorrono ugualmente a comporre quell'unica liquidazione alla quale deve contrapporsi la valutazione, parimenti unitaria, derivante dalla integrale applicazione della norma di legge. Tale principio è tuttavia applicabile solo se, all'esito dell'operazione di ermeneutica contrattuale, che deve compiere il giudice del merito, si giunga a qualificare la maggiorazione aggiuntiva come componente del trattamento di fine rapporto, mentre l'individuazione di un titolo diverso e autonomo conduce alla conseguenza che il datore di lavoro deve corrispondere sia il trattamento di fine rapporto (calcolato ai sensi di legge), che l'erogazione aggiuntiva, senza decurtazioni di sorta. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, con riferimento all'istituto delle quattro mensilità aggiuntive previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro dei dipendenti elettrici dell'Enel, aveva, con motivazione sufficientemente e logicamente argomentata, ritenuto che l'erogazione aggiuntiva corrisposta ai sensi dell'art. 43 del citato CCNL fosse istituto non ricollegato in via generale alla risoluzione del rapporto, ma collegato a casi particolari individuati dal medesimo art. 43, ed aveva in tali casi rinvenuto i. titolo autonomo necessario per ricondurre l'erogazione stessa nell'ambito delle previsioni dell'art. 4, comma quinto, della legge n. 297 del 1982, che fa salve le indennità corrisposte alla cessazione del rapporto di lavoro aventi natura e funzioni diverse da quelle dell'indennità di anzianità, di fine lavoro, di buonuscita, comunque denominate).

Cass. civ. n. 4222/2002

Gli interessi e la rivalutazione sul t.f.r. spettante al lavoratore decorrono dalla data di cessazione del rapporto lavorativo, con la quale — secondo la disciplina risultante dagli artt. 2120 c.c. e 429 c.p.c. (non derogabile neanche dalla contrattazione collettiva) — coincide il momento di maturazione del credito, a prescindere dalla sua liquidità; né rileva che, a tale data, il datore di lavoro abbia eseguito pagamenti parziali in base alle componenti del t.f.r immediatamente quantificabili, posto che, anche in tali ipotesi, in sede di determinazione complessiva e definitiva delle spettanze del lavoratore devono comunque computarsi gli interessi e la rivalutazione sull'integrale ammontare del t.f.r. dalla medesima data di cessazione del rapporto (fattispecie relativa alla decorrenza del t.f.r. corrisposto ai dipendenti della Fiat Auto ex art. 23 C.C.N.L. del 5 luglio 1994).

Cass. civ. n. 4251/2001

Il principio dell'onnicomprensività della retribuzione, adottato dal secondo comma dell'art. 2120 c.c., nel testo novellato dalla legge n. 297 del 1982, benché derogabile, comporta che se la prestazione di lavoro non è occasionale, la relativa retribuzione debba essere compresa nel trattamento di fine rapporto, salvo che la contrattazione collettiva — la cui interpretazione compete al giudice del merito e non è censurabile in cassazione se rispettosa delle regole di ermeneutica contrattuale e immune da vizi logici — apporti una eccezione a tale regola in modo chiaro e univoco. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto che l'art. 58 del C.C.N.L. 16 luglio 1987 peri dipendenti degli istituti di vigilanza aveva chiaramente escluso la computabilità dei compensi per il lavoro straordinario non occasionale ai fini del calcolo del TFR).

Cass. civ. n. 1211/2001

La computabilità del compenso per lavoro straordinario ai fini della determinazione della indennità di anzianità, ai sensi dell'art. 2121 (testo originario) c.c., presuppone la continuità di tale prestazione, ravvisabile quando la stessa, pur variandone l'entità nel tempo, risponda ad un criterio di regolarità e di frequenza, e anche di mera periodicità, restando esclusa dal calcolo solo quella effettuata in via occasionale, transitoria e saltuaria. La non occasionalità e saltuarietà della prestazione di lavoro straordinario risultano sufficientemente dimostrate dalle buste paga dei lavoratori, senza che assuma rilevanza in contrario la fissazione, concordata in sede di contrattazione tra le parti, del numero di unità di personale, che non implica di per sé l'esclusione della necessità di ricorrere allo straordinario in virtù di una programmata predeterminazione delle esigenze aziendali.

Cass. civ. n. 7488/2000

La nozione di retribuzione accolta dal secondo comma dell'art. 2120 c.c. vigente è più rigorosa, in favore del lavoratore, di quella precedente, in quanto prescinde dalla ripetitività regolare e continua e dalla frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, i quali vanno esclusi dal calcolo del trattamento di fine rapporto solo in quanto sporadici ed occasionali; prestazione occasionale, infatti, è solo quella collegata a ragioni aziendali del tutto eventuali, imprevedibili e fortuite, mentre, all'opposto, la prestazione espletata con frequenza, ma non necessariamente con periodicità assoluta, e che sia connessa alla particolare organizzazione del lavoro, rileva ai fini del calcolo suddetto.

Cass. civ. n. 11815/1998

I compensi per il lavoro straordinario prestato in maniera non occasionale rientrano nella base retributiva utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto, a meno chela disciplina collettiva ne abbia escluso, ai sensi dell'art. 2120, secondo comma, c.c. (nel testo sostituito dall'art. 1 della L. n. 297 del 1982) la computabilità, derogando — come le è consentito — al principio dell'onnicomprensività della retribuzione. Qualora ciò si verifichi resta salva la questione dell'eventuale contrasto delle clausole contrattuali con l'art. 36 della Costituzione e/o con il principio di equità. A tale riguardo va, tuttavia, precisato che da un lato esiste una presunzione di rispetto dei due citati parametri in presenza di una norma di un contratto collettivo che è il risultato di un accordo delle parti sociali in ordine alla regolamentazione da adottare circa un determinato istituto nel reciproco interesse dei soggetti stipulanti e di quelli che da essi sono rappresentati, dall'altro lato l'art. 36 cit. regola l'assetto complessivo della retribuzione e non può considerarsi violato — in linea di principio — dalla negazione di una singola componente della retribuzione a determinati fini, tanto più ove essa sia dalla legge consentita. (Nella specie l'impugnata sentenza — confermata dalla S.C. — aveva ritenuto che l'art. 58 del C.C.N.L. 16 luglio 1987 per i dipendenti degli istituiti di vigilanza, escludendo la computabilità dei compensi per il lavoro straordinario non occasionale ai fini del calcolo per il Tfr, non si ponesse in contrasto né con l'art. 2120 c.c. né con l'art. 36 Cost.).

Cass. civ. n. 11002/1998

Per quanto concerne il trattamento di fine rapporto, la L. 29 maggio 1982, da una parte, ha stabilito (art. 1 trasfuso nel secondo comma dell'art. 2120) che, salva diversa previsione dei contratti collettivi, la retribuzione annua comprende tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese; dall'altra, ha sancito la nullità, con conseguente sostituzione di diritto, di tutte le clausole dei contratti collettivi regolanti la materia del trattamento di fine rapporto. Le due disposizioni vanno intese nel senso che, mentre è libera l'autonomia collettiva sia nel determinare l'ammontare della retribuzione, sia nell'individuarne le componenti, resta invece riservato alla legge, in coerenza con le finalità perequative e livellatrici del trattamento di fine rapporto, l'individuazione dell'indennità di fine servizio, con l'esclusione di ogni forma di integrazione ulteriore che non costituendo l'effetto contabile diretto dell'incremento della base retributiva, si pone quale elemento aggiuntivo al trattamento di fine rapporto, già predeterminato per legge, con funzione sostanzialmente uguale. Consegue l'impossibilità per l'autonomia collettiva di introdurre o conservare trattamenti di fine rapporto aventi, sia pure con diversa struttura, una funzione di integrazione o di mera duplicazione del trattamento legale (nel caso di specie la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza del tribunale che aveva ritenuto l'invalidità degli artt. 38 del Ceni 31 maggio 1989 e 42 del Ceni 12 novembre 1983 degli spedizionieri che contenevano la previsione di una forma di indennità in contrasto con la nuova disciplina del tfr).

Cass. civ. n. 1546/1998

La nuova disciplina dei trattamento di fine rapporto, introdotta dalla legge n. 297 del 1982, non soltanto si applica a tutte le indennità di fine rapporto comunque denominate e da «qualunque fonte disciplinate» (e quindi anche agli accordi individuali), ma è dotata di efficacia assolutamente inderogabile, sia in melius sia in peius. Ciò vale non soltanto nell'ambito dell'autonomia collettiva — alla quale è lasciata ampia discrezionalità solo nella determinazione della retribuzione utile ai fini del calcolo del tfr — ma anche in quello dell'autonomia individuale. Conseguentemente tutti i patti o le condizioni che prevedono indennità delle quali non risulta un'autonoma causa che possa consentire il riconoscimento di una funzione diversa dal tfr restano comunque travolti dalla nullità disposta in via generale dall'art. 4 della legge n. 297 cit. (Fattispecie relativa ad una indennità, priva di autonoma causa, corrisposta in un primo momento come incentivo all'esodo, in adempimento di accordi sindacali, e successivamente in spontanea osservanza di una prassi aziendale).

Cass. civ. n. 7177/1996

Per il computo dell'indennità di anzianità, prevista dall'art. 2120 c.c. nel testo previgente, e del Tfr, previsto dall'art. 2120 c.c. nel testo vigente, il legislatore ha assunto come parametro di riferimento una nozione di retribuzione onnicomprensiva. Perciò nella predetta base di calcolo va incluso il compenso per lavoro straordinario anche se di ammontare variabile; infatti il carattere continuativo di cui all'art. 2121 primo comma c.c., o quello non occasionale introdotto nel nuovo testo dell'art. 2120 secondo comma c.c., si riferisce all'esistenza della prestazione straordinaria e non alla sua cadenza temporale, che può essere anche periodica (e non in senso assoluto), perché espletata per organizzazione del lavoro e quindi non imprescindibile o fortuita. Per il computo del suddetto compenso, in assenza di norme collettive, il giudice è svincolato da rigidi criteri di calcolo (come quello dell'importo minimo costantemente percepito dal lavoratore o quello dell'ultimo compenso prima della cessazione del rapporto o quello della media dei compensi dell'ultimo triennio, applicando analogicamente il criterio previsto dall'art. 2121 secondo comma c.c.) e può procedere ad una valutazione equitativa ai sensi dell'art. 432 c.p.c. scegliendo eventualmente medie aritmetiche riferite non necessariamente ad un arco di tempo triennale se non rilevante per il riconoscimento del requisito della continuità della prestazione.

Cass. civ. n. 9737/1995

La clausola di un contratto collettivo stipulato anteriormente all'entrata in vigore della L. 29 maggio 1982, n. 297, la quale, escludendo dal computo dell'indennità di anzianità il compenso per il lavoro straordinario sia affetta da nullità per contrasto con l'art. 2120 c.c. nel testo allora vigente, non rivive a seguito della eliminazione di tale contrasto disposta dalla stessa L. n. 297, essendo una tale reviviscenza incompatibile con la radicale inidoneità. del negozio nullo a produrre effetti (dal che consegue, altresì, l'inapplicabilità del principio di conservazione del negozio) e richiedendosi, al fine di rimuovere la suddetta nullità, una nuova dichiarazione di volontà resa nel vigore della nuova legge e produttiva di effetti solo dal momento della sua manifestazione.

Cass. civ. n. 9627/1995

L'art. 2120 c.c. nel testo modificato dall'art. 1, L. 29 maggio 1982, n. 297, ha sostituito per la determinazione del trattamento di fine rapporto, alla nozione di retribuzione onnicomprensiva della normativa precedente, fondata sulla continuità, quella diversa e più ampia della non occasionalità, che, attenendo non alla frequenza dell'erogazione ma all'omogeneità del relativo titolo rispetto al normale svolgimento del rapporto di lavoro consente di comprendere anche indennità non continuative, purché non occasionali.

Cass. civ. n. 4872/1995

Le clausole della contrattazione collettiva nulle per contrasto con gli artt. 2120 e 2121 c.c. (testo previgente) devono ritenersi inefficaci anche a seguito dell'entrata in vigore della legge 29 maggio 1982, n. 297, benché questa espressamente abiliti l'autonomia collettiva a derogare alla nozione legale di retribuzione da prendersi a base per il calcolo del trattamento di fine rapporto (T.F.R.), sia in base al dato letterale della statuizione, da parte della nuova legge, della nullità delle pattuizioni collettive in materia e della sostituzione di diritto delle stesse con la nuova disciplina legale, sia in base alla considerazione che la legge, nel consentire alle parti sociali di derogare alla nuova normativa, muove dal presupposto che esse, nel convenire la disciplina difforme da quella legale, abbiano presente proprio tale sua funzione derogatoria.

Cass. civ. n. 5399/1994

Con riguardo ad un rapporto di lavoro proseguito nella vigenza della L. 29 maggio 1982, n. 297 — relativamente al quale la determinazione dell'indennità di anzianità per il periodo sino al 31 maggio 1982 deve essere effettuata in base al principio dell'onnicomprensività, confluendo poi il risultato di tale calcolo nel trattamento di fine rapporto previsto dalla legge citata —, ove occorra stabilire se tale trattamento, determinato convenzionalmente, sia più favorevole di quello legale, devono considerarsi comprese nel primo anche quelle erogazioni collegate, ai sensi della contrattazione collettiva, a condizioni venute ad esistenza non già alla data sopra indicata, bensì ad un momento successivo, e cioè nel vigore della nuova normativa, in quanto anche esse concorrono a comporre, in via integrativa, il trattamento convenzionale di fine rapporto rientrando nella previsione di cui all'art. 4, comma 5, della L. n. 297 del 1982. (Nella specie l'impugnata sentenza aveva ritenuto fondata la pretesa del lavoratore concernente la determinazione legale dell'indennità di anzianità con il computo delle indennità di trasferta forfettaria, e auto-moto nonché del compenso per lavoro straordinario; la Suprema Corte ha cassato la decisione osservando che nel confronto fra trattamento legale e trattamento convenzionale doveva considerarsi in quest'ultimo l'erogazione di quattro mensilità di retribuzione collegata alle dimissioni del lavoratore intervenute nel vigore della L. n. 297 del 1982).

Cass. civ. n. 3888/1993

Il servizio mensa — il quale (sia nel regime anteriore all'entrata in vigore dell'art. 6 del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito in L. 8 agosto 1992, n. 359, che in quello da tale norma espresso, che assume, pertanto, il valore di disposizione «confermativa», senza porsi in contrasto con gli artt. 3, 24, 36, 39, 101, 102 e 104 Cost.) ancorché obbligatoriamente apprestato dal datore di lavoro, in adempimento di quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, non ha natura di retribuzione in natura, difettando del requisito della corrispettività, in quanto la sua fruizione non è causalmente correlata al solo fatto della prestazione lavorativa, ma presuppone un ulteriore atto volontario del lavoratore — può nondimeno assumere siffatta natura allorché le clausole di previsione stabiliscano altresì l'erogazione di una indennità sostitutiva (rispetto alla quale si configura una obbligazione facoltativa del datore di lavoro, con scelta della prestazione rimessa al creditore) a quanti non fruiscano del servizio stesso, ma tale assunzione non può che avvenire nei limiti risultanti dalle dette clausole e perciò con riguardo al solo valore convenzionale dell'indennità e non anche al valore reale, con la conseguenza che, ai fini del computo del relativo emolumento in istituti retributivi indiretti o differiti, deve farsi riferimento esclusivamente al detto valore convenzionale, venendo in rilievo, per la differenza rispetto al valore reale, la natura «ontologicamente» non retributiva del servizio e, quindi, la non computabilità a tali fini.

Le maggiorazioni retributive e le indennità erogate in corrispettivo di prestazioni di lavoro notturno, non occasionali, ma continuative ed organizzate secondo regolari turni periodici, costituiscono parte integrante della ordinaria retribuzione globale di fatto giornaliera e, come tali concorrono alla composizione della base di computo non solo dell'indennità di anzianità o del trattamento di fine rapporto - ai sensi della nozione omnicomprensiva di retribuzione, recepita dagli artt. 2120 e 2121 c.c., sia nel testo anteriore che in quello successivo all'entrata in vigore della L. 29 maggio 1982, n. 297 - ma anche di quegli istituti retributivi per la cui liquidazione la legge (come, l'art. 5 della L. 27 maggio 1949, n. 260, per il compenso del lavoro prestato durante le festività) o la contrattazione collettiva (come, con riguardo alla gratifica natalizia, l'art. 17 dell'Accordo interconfederale 27 ottobre 1946, per i dipendenti da imprese industriali private, reso efficace erga omnes con D.P.R. n. 1070 del 1960 ed efficace anche oltre la sua scadenza, fino alla sostituzione, o alla deroga in melius, con altro contratto collettivo) facciano riferimento a siffatta nozione di retribuzione globale di fatto.

Cass. civ. n. 1341/1992

La computabilità del compenso per lavoro straordinario ai fini della determinazione dell'indennità di anzianità presuppone la continuità di tale lavoro, che deve essere provata dal lavoratore, ma non ne implica una preventiva pattuizione né la predeterminazione o predeterminabilità secondo parametri prefissati; restando esclusi dalla detta computabilità i compensi per quelle prestazioni a carattere saltuario o non continuativo, i quali, pertanto, nell'ipotesi in cui il compenso globale per il lavoro straordinario riguardi sia prestazioni continuative che prestazioni non continuative (nella specie, cosiddetti picchi anomali), debbono essere scorporati dal compenso per straordinario computabile al fine della determinazione dell'indennità di anzianità. La computabilità, a tale scopo, del compenso per lavoro straordinario continuativo riguarda detto compenso nella sua interezza, e non già la sola percentuale di maggiorazione per lo stesso straordinario, essendo nulle eventuali clausole derogatrici del principio di onnicomprensività adottato dagli artt. 2120, comma terzo, e 2121, comma primo, c.c. (nel testo anteriore alla L. n. 297 del 1982).

Cass. civ. n. 1778/1976

Gli elementi integrativi della retribuzione, per essere computabili nell'indennità di anzianità e in quella sostitutiva del preavviso, debbono rappresentare per il datore di lavoro una controprestazione obbligatoria, che costituisca il corrispettivo, determinato o determinabile nel suo ammontare, di una prestazione di lavoro ed avere carattere continuativo; pertanto il compenso per il lavoro domenicale non costituisce ai fini predetti, elemento integrante della retribuzione quando — come di frequente avviene — tale prestazione lavorativa sia soltanto eventuale, occasionale ed episodica; quando, invece, nell'ambito del rapporto di lavoro — ed, in ispecie, in quello intercorrente tra l'editore di un quotidiano e un giornalista, che è caratterizzato da speciali esigenze di continuità del servizio — si sia pattuita tra le parti, sia pure tacitamente, l'abituale prestazione del lavoro domenicale quale parte integrante della normale attività costitutiva dell'obbligazione di lavoro, il compenso per tale specifica prestazione — sia stato esso convenuto o meno a forfait — deve essere, anche esso, compreso nel calcolo delle suddette indennità ai sensi dell'art. 2121 c.c.

Cass. civ. n. 4010/1975

Il compenso per il lavoro svolto nelle domeniche e nelle festività infrasettimanali in modo ininterrotto va calcolato, a norma dell'art. 2121 c.c., nelle indennità di fine rapporto, presentando, oltre ai requisiti della determinatezza e della continuità, anche quello della obbligatorietà, poiché, nel mentre l'accordo relativo allo svolgimento della prestazione lavorativa nelle suddette festività, non è invalido, l'invalidità di quello avente ad oggetto la rinunzia del riposo settimanale non esclude, ai sensi dell'art. 2126 secondo comma c.c., l'obbligo dell'imprenditore di corrispondere la retribuzione del lavoro effettivamente svolto di domenica. Il suddetto compenso, ove sia commisurato ad una retribuzione mensile fissa e predeterminata e presenti, quindi, un carattere di variabilità, dipendente soltanto dal fatto, puramente estrinseco, della diversa distribuzione delle domeniche e delle festività nei vari mesi dell'anno, deve essere computato nel calcolo delle indennità di fine rapporto in base alla media dell'ultimo anno di servizio e non a quella dell'ultimo triennio, come, invece, prescritto dall'art. 2121 c.c. con esclusivo riferimento ai compensi, la cui variabilità abbia carattere intrinseco.

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L. B. chiede
giovedì 23/02/2023 - Puglia
“gentilissimi,
sono un dipendente pubblico, un assistente amministrativo. Ho interesse di acquistare la mia prima casa. Facendo qualche ricerca sono venuto a conoscenza della disciplina sulla concessione speciale del tfr in anticipo: articolo 2120 cc comma 6 lettera b.
Ricordo che si assoggetta al pubblico impiego la normativa n. 3 del 1957, n. 165 del 2001 e per quanto non espressamente previsto si rimanda alla disciplina del codice civile.
Ricordo che è vigente la legge 297 del 1982 che ha apportato modifiche al c.c. applicabile al pubblico impiego. E il DPCM del 20 dicembre del 1999.
La domanda è: posso adire le vie legali avendo ricevuto risposta negativa dal mio datore di lavoro e dall inps sebbene la normativa che io conosco sia a mio favore ?
E' giusta la disamina delle normative vigenti rispetto alla mia richiesta ?
Potete darmi consulenza in merito ?”
Consulenza legale i 03/03/2023
La disciplina del TFR non è identica per i dipendenti pubblici e privati.

L’anticipo TFR non viene riconosciuto ai dipendenti pubblici in quanto, a differenza che nel settore privato, è accantonato figurativamente e viene liquidato solo al momento della cessazione dal servizio.

Infatti, se è pur vero che la legge 279 del 1982, nel modificare l’art. 2120 del c.c. ha previsto che “Il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70 per cento sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta”, è anche vero che la medesima legge all’art. 4, comma 6, esclude che le norme di cui all’art. 2120 c.c. si applichino al pubblico impiego, prevedendo che “Resta altresì ferma la disciplina legislativa del trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici”.

Infatti, la disciplina del trattamento di fine rapporto per i dipendenti pubblici è contenuta nel DPCM del 20 dicembre 1999, che non prevede forme di anticipo del trattamento. Secondo tale norma, infatti, il TFR “sarà accantonato figurativamente e verrà liquidato dall'Istituto nazionale di previdenza solo alla cessazione dal servizio del lavoratore”.

Peraltro, anche una volta cessati dal servizio i dipendenti pubblici devono attendere anche diversi anni per ottenere il TFR.

Per tale ragione, l’art. 23, comma 3, del Decreto-legge n. 4/2019 ha previsto una modalità di anticipo del TFR, ma solo per i dipendenti pubblici che siano cessati dal servizio.

I dipendenti pubblici, nonostante non possano ottenere l’anticipo TFR o TFS, possono ottenere un prestito decennale, per determinati eventi, tra cui anche l’acquisto della prima casa.
Il prestito è agevolato, può essere restituito con un massimo di 120 rate mensili, con un importo non superiore ad un quinto dello stipendio. Inoltre, è consentita l’estinzione anticipata in qualsiasi momento.

P. G. chiede
giovedì 06/10/2022 - Sicilia
“Buongiorno, sono un ex dipendente di una pubblica amministrazione appartenente al comparto Funzioni Locali, ente pubblico non economico, collocato a riposo, ai sensi del D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito in Legge 28 marzo 2019, n. 26, recante disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni (c.d. quota 100).
L’art.23 - Anticipo del TFS – punto 1 della sullodata norma dispone “[…] conseguono il riconoscimento dell'indennità di fine servizio comunque denominata al momento in cui tale diritto maturerebbe a seguito del raggiungimento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, ai sensi dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, tenuto anche conto di quanto disposto dal comma 12 del medesimo articolo relativamente agli adeguamenti dei requisiti pensionistici alla speranza di vita”.
Ferma la superiore normativa, l’ex datore di lavoro in diversi periodi temporali ha provveduto a stipulare contratti privatistici con una Compagnia assicuratrice ai fini dell’accantonamento del TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO del personale.
Ai sensi della legge 29 maggio 1982 n. 297, l’Ente provvede a costituire la disponibilità economica (quota capitale) occorrente per far fronte al trattamento di fine servizio dovuto ai propri dipendenti.
Ogni contratto è composto, oltre che dalla Convenzione, anche dagli elenchi di polizze emessi nel periodo di durata della Convenzione medesima e che ogni elenco evidenzia le generalità e l'età degli assicurati, le tariffe impiegate, le durate dell'assicurazione, i premi investiti etc.
Sì compone, altresì, di tanti certificati di assicurazione quanti sono gli assicurati; ogni certificato comprende tutte le posizioni assicurative emesse per l'intestatario fino alla data di emissione del certificato stesso e per ciascuna di esse è evidenziata la tariffa impiegata, la data di effetto, l'età dell'assicurato, il capitale assicurato a scadenza etc.
A tal fine, l'Ente annualmente deposita una quota capitale di TFR alla Compagnia assicuratrice escludendo, di conseguenza, dalle proprie casse quanto spetta ai dipendenti in servizio e in quiescenza e una liquidazione immediata del relativo importo non avrebbe alcuna incidenza sul bilancio e sugli impegni del medesimo considerato, altresì, che la devoluzione del TFR alla previdenza complementare esclude l’INPS dalla liquidazione.
L’art. 13 dei suddetti contratti prevede il pagamento, da parte della Compagnia assicuratrice, entro 30 giorni dal ricevimento, da parte dell’ex datore di lavoro, di espressa richiesta di liquidazione corredata dalla relativa documentazione.
L’ex datore di lavoro da ben due anni è mezzo nega il pagamento del TFR richiamando, a giustificazione, la normativa ut supra esposta.
Grazie”
Consulenza legale i 13/10/2022
L’art. 23, comma 1, D. L. 4/2019 si applica chiaramente anche agli enti pubblici non economici. Pertanto, l’ex datore di lavoro sta semplicemente applicando la normativa.
Eventualmente, ci si dovrebbe interrogare sulla legittimità della norma in parola.
La Corte Costituzionale con sentenza del 159/2019 si è espressa sul termine di ventiquattro mesi per l’erogazione dei trattamenti di fine servizio nelle ipotesi diverse dal raggiungimento dei limiti di età o di servizio.
Nel dichiarare infondate le questioni di legittimità costituzionale, la Corte ha affermato che “l’intervento del legislatore travalica l’obiettivo contingente di conseguire immediati e cospicui risparmi […], e si raccorda, in una prospettiva di più ampio respiro, a una consolidata linea direttrice della legislazione, che si ripromette di scoraggiare le cessazioni del rapporto di lavoro in un momento antecedente al raggiungimento dei limiti di età o di servizio.[…]
Nel caso oggi all’attenzione della Corte il differimento dell’erogazione dei trattamenti di fine servizio fa riscontro a una cessazione del rapporto di lavoro che può intervenire anche quando non sia ancora maturato il diritto alla pensione. Il trattamento più rigoroso si correla alla particolarità di un rapporto di lavoro che, per le ragioni più disparate, peraltro in prevalenza riconducibili a una scelta volontaria dell’interessato, cessa anche con apprezzabile anticipo rispetto al raggiungimento dei limiti di età o di servizio.
La disciplina è graduata in funzione di tale elemento distintivo sul presupposto che, proprio con il raggiungimento dei limiti indicati, si manifestino in maniera più pressante i bisogni che le indennità di fine servizio mirano a soddisfare e che impongono tempi di erogazione più spediti.
L’assetto delineato dal legislatore non solo è fondato su un presupposto non arbitrario, ma è anche temperato da talune deroghe per situazioni meritevoli di particolare tutela […].
Il regime di pagamento differito, analizzato nel peculiare contesto di riferimento, nelle finalità e nell’insieme delle previsioni che caratterizzano la relativa disciplina, non risulta dunque complessivamente sperequato”.
Pur riferendosi ad un caso diverso, sembrerebbe che un simile ragionamento potrebbe essere adottato anche nel caso di specie.
In particolar modo, pur non essendoci, ad una prima impressione, esigenze di bilancio che giustifichino la corresponsione ritardata del TFR, l’obiettivo potrebbe essere quello di scoraggiare i pensionamenti con quota 100.

Leonardo F. chiede
martedì 11/01/2022 - Lombardia
“Buonasera,
ecco il mio problema.
Dopo oltre 10 anni di lavoro ho dato le dimissioni in data 15/12/2021 con 1 mese e mezzo di preavviso.
La Società ha depositato domanda di concordato preventivo in data 31/12/2021, bloccando contestualmente il pagamento degli stipendi.
Ora non so bene cosa aspettarmi per quanto riguarda il pagamento del TFR, ed eventualmente quali sono le opzioni disponibili (es. domanda al fondo di garanzia dell'INPS).
Vi chiedo la cortesia di non usare troppi riferimenti ad articoli di legge, che mi confondono parecchio.

Grazie”
Consulenza legale i 18/01/2022
Nel caso del concordato preventivo, il creditore (in questo caso l’ex dipendente) riceve dal Commissario Giudiziale nominato dal Tribunale una comunicazione, con la quale viene informato dell’apertura della procedura di concordato e altresì invitato a specificare il credito vantato entro un termine utile allo stesso per la verifica di quanto indicato nella Proposta di Concordato Preventivo.

Eseguiti tali adempimenti, avuta quindi conferma del riconoscimento del proprio credito, sarà necessario attendere il pagamento che avverrà tramite piano di riparto, all’esito della liquidazione dei beni della procedura.

Molto spesso però accade che le procedure di liquidazione richiedano tempi piuttosto lunghi oppure può capitare che l’attivo non sia sufficiente alla copertura dei crediti dei dipendenti.

In tale ipotesi è possibile, per i crediti che riguardano le retribuzioni delle ultime tre mensilità e per il TFR, ricevere il pagamento in via anticipata richiedendo l’intervento del Fondo di Garanzia Inps.

L’intervento del Fondo di Garanzia, stando a quanto stabilito dalla legge, è previsto in tutti i casi di cessazione del rapporto di lavoro subordinato a patto che vi sia stato l’accertamento dello stato di insolvenza da parte del datore di lavoro e, dunque, nei casi di esecuzione individuale che non sia andata a buon fine, il fallimento, l’amministrazione straordinaria e, infine, come nel caso in questione, l’ammissione dell’azienda al concordato preventivo.

A partire dal giorno seguente alla pubblicazione del decreto di omologa, ovvero del decreto che stabilisce le possibili opposizioni o impugnazioni avanzate nei confronti del concordato preventivo, ed entro i successivi 5 anni, il lavoratore può decidere di presentare domanda all’INPS di intervento del Fondo di Garanzia così da ottenere il pagamento del TFR che non è ancora stato liquidato dal datore.

La presentazione della domanda in forma scritta deve essere effettuata online, presso un patronato o presso la sede INPS del territorio in cui si ha la residenza, compilando gli appositi modelli che si possono reperire in tutte le sedi INPS o anche sul sito internet dell’INPS.

Alla domanda vanno allegati:
  • la copia autentica del decreto di omologazione;
  • la copia della comunicazione di cui all'articolo 171, Legge Fallimentare, contenente la proposta del debitore circa i crediti del lavoratore. Se non è stato allegato il modello SR52 e dal decreto di omologazione non sia possibile dedurre la misura in cui è prevista la soddisfazione dei crediti di lavoro;
  • il modello SR52 sottoscritto dal commissario giudiziale o liquidatore nominato dal tribunale in caso di concordato con cessione di beni; di comprovato rifiuto da parte del responsabile della procedura concorsuale, le informazioni utili alla liquidazione potranno essere fornite direttamente dal lavoratore tramite la produzione di idonea documentazione e del modello SR54;
  • la copia dei cedolini stipendiali relativi alle mensilità di retribuzione per le quali si chiede l'intervento del Fondo di garanzia (se non è stato allegato il modello SR52);
Se la domanda viene inoltrata da un patronato o dal legale, è necessario allegare copia del documento di identità del lavoratore e il mandato di assistenza e rappresentanza.

Una volta portata a termine la presentazione della domanda, compresa della documentazione citata, l’INPS darà seguito al pagamento del TFR.



Andrea D. C. chiede
venerdì 11/09/2020 - Toscana
“Sono un impiegato amministrativo oggi di sesto livello contratto metalmeccanica e installazione di impianti assunto dal gennaio 2014. Anno 2014 inquadrato al 4 livello 242 ore di straordinario; anno 2015 4 livello 275 ore di straordinario; anno 2016 4 livello 492 ore di straordinario; anno 2017 5 livello 436 ore di straordinario, anno 2018 5S livello 468 ore di straordinario, anno 2019 per metà livello 5S e metà livello 6 478 ore di straordinario.

Il contratto della metalmeccanica prevede espressamente nelle dichiarazioni a verbale della sezione 4 titolo 8 articolo 5 "Trattamento di fine Rapporto" che "le parti , in attuazione di quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 2120 del codice civile, convengono che la retribuzione, comprensiva delle relative maggiorazioni, afferente alle prestazioni di lavoro effettuate oltre il normale orario di lavoro è esclusa dalla base di calcolo del trattamento di fine rapporto".

La sezione 4 titolo 3 articolo 7 del contratto della metalmeccanica provvede a disciplinare "le prestazioni effettuate oltre il normale orario di lavoro". La mia azienda ha violato molteplici disposizioni contenute in questo articolo: in primis nei limiti annui, poi in quelli settimanali ed infine in quelli giornalieri. Io sono un impiegato e spessissimo ho lavorato di sabato per 13 ore al giorno (essendo impiegato, non quindi per esigenze manutentive o di presidio di impianti come disciplinato dall'articolo). In un caso ho lavorato per 19 giorni consecutivi senza riposo totalizzando 71 ore di straordinario in un mese.

Venendo meno l'azienda al rispetto dei limiti quantitativi, all'obbligo di far avere allo straordinario livelli contenuti ed il carattere di eccezionalità, cioè a tutti i precetti contenuti in detto articolo 7 può essere mio diritto chiedere che i miei straordinari e le relative maggiorazioni vengano ricompresi nella base di calcolo del tfr avendo carattere continuativo e sistematico, magari in virtù del principio del favor prestatoris? Posso sostenere che quella dichiarazione a verbale non è applicabile al mio caso stante il venir meno da parte dell'azienda a quanto stabilito dal contratto in tema di "prestazioni effettuate oltre il normale orario di lavoro? In caso affermativo mi può essere indicata giurisprudenza in tal senso con casi analoghi riconducibili al contratto della metalmeccanica se possibile?”
Consulenza legale i 21/09/2020
Con riferimento alle modalità di calcolo del trattamento di fine rapporto, l’art. 2120 c.c. prevede che il trattamento “si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5 (…)”.

Il successivo comma 2 affida alla contrattazione collettiva la facoltà di prevedere un diverso contenuto della retribuzione che, “salvo diversa previsione dei contratti collettivi”, è definita come l’insieme di “tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”.

Il concetto di retribuzione formulato dall’art. 2120 c.c. rientra, per orientamento costante della giurisprudenza, nel criterio della onnicomprensività, da intendersi nel senso che nel relativo calcolo vanno inclusi tutti gli emolumenti che trovano la loro causa tipica nel rapporto di lavoro cui sono istituzionalmente connessi, ancorché non strettamente correlati con la effettiva prestazione lavorativa.
Sono invece esclusi dal calcolo quelle somme rispetto alle quali il rapporto di lavoro si pone come una mera occasione contingente per la relativa fruizione, quand’anche essa trovi la sua radice in un rapporto obbligatorio diverso ancorché collaterale e collegato al rapporto di lavoro stesso (cfr. Cass. civ. 21 marzo 1990, n. 2328; Cass. civ. 21 novembre 1998, n. 11815; Cass. civ. 22 giugno 2000, n. 8496).

In giurisprudenza è uniforme l’orientamento secondo cui il compenso per lavoro straordinario prestato non occasionalmente debba essere computato nel trattamento di fine rapporto (Cfr. Cass. 21 novembre 1998 n. 11815; Cass. 22 gennaio 1998 n. 596; Cass. 15 dicembre 1990 n. 11945; Trib. Milano, 16 dicembre 1994).

Dall’art. 2120, secondo comma, c.c. si evince tuttavia che in materia è possibile ritenere che la disciplina collettiva possa apportare deroghe al principio di onnicomprensività.

A tal proposito, la Corte di Cassazione ha precisato che “I compensi per il lavoro straordinario prestato in maniera non occasionale rientrano nella base retributiva utile per il calcolo del TFR, a meno che la disciplina collettiva non abbia escluso, ai sensi dell’art. 2120, secondo comma, c.c., la compatibilità derogando - come le è consentito – al principio dell’onnicomprensività della retribuzione. Qualora ciò si verifichi resta salva la questione dell’eventuale contrasto delle clausole contrattuali con l’art. 36 della Costituzione e/o con il principio di equità. A tale riguardo va, tuttavia, precisato che da un lato esiste una presunzione di rispetto dei due citati parametri in presenza di una norma di un contratto collettivo che è il risultato di un accordo delle parti sociali in ordine alla regolamentazione da adottare circa un determinato istituto nel reciproco interesse dei soggetti stipulanti e di quelli che da essi sono rappresentati, dall’altro lato l’articolo 36 Cost. regola l’assetto complessivo delle retribuzioni e non può considerarsi violato – in linea di principio – dalla negazione di una singola componente della retribuzione ai determinati fini, tanto più ove essa sia dalla legge consentita” (Cass. civ. 21 novembre 1998, n. 11815).

Inoltre, come ancora precisato dalla giurisprudenza di legittimità, la regola della onnicomprensività della retribuzione sancita nella norma può essere derogata dalla contrattazione collettiva purché l’eccezione sia indicata in modo chiaro ed univoco (cfr. Cass. civ. 5 novembre 2003, n. 16618; Cass. civ. 23 marzo 2001, n. 4251; Cass. civ. 21 novembre 1998, n. 11815; Cass. civ. 28 giugno 1995, n. 7326).

Il contratto della metalmeccanica prevede espressamente nelle dichiarazioni a verbale della sezione 4 titolo 8 articolo 5 "Trattamento di fine Rapporto" che "le parti, in attuazione di quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 2120 del codice civile, convengono che la retribuzione, comprensiva delle relative maggiorazioni, afferente alle prestazioni di lavoro effettuate oltre il normale orario di lavoro è esclusa dalla base di calcolo del trattamento di fine rapporto".

Per quanto riguarda il superamento dei massimali di ore di lavoro straordinario, la legge (art. 18 -bis D. Lgs. 66/2003) prevede solo una sanzione amministrativa.

Alla luce della giurisprudenza richiamata e non rinvenendosi precedenti relativi al CCNL Metalmeccanici sul punto, non sembra possibile includere nella base di calcolo del TFR anche la retribuzione relativa allo straordinario, sebbene la stessa superi i limiti consentiti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

La questione potrebbe essere, eventualmente, sollevata in sede sindacale, quantomeno per tentare di arginare il ricorso allo straordinario fuori dai limiti consentiti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.


Giuseppe A. chiede
sabato 11/01/2020 - Puglia
“Buongiorno, vorrei un chiarimento su una questione riguardante il Tfr verificatasi nell'azienda dove lavoro. Io lavoro presso un'azienda tessile in provincia di (omissis) dove produciamo tessuto per camicia, da metà ottobre fino al 17 novembre l'azienda ha richiesto le ultime 5 settimane di cassa integrazione ordinaria che le erano rimaste, mentre a partire dal 18 novembre abbiamo stipulato un contratto di solidarietà della durata di 18 mesi con una riduzione dell orario mensile di 80 ore e cioè pari a una media percentuale del valore del 50 per cento su un monte ore di 160. Quindi a novembre abbiamo fatto fino al 17 cassa integrazione ordinaria a zero ore, dal 18 al 22 abbiamo lavorato, e dal 25 al 29 solidarietà. Io vorrei sapere se è giusto che a novembre non ci è stata versata la quota del Tfr. L'azienda ci dice che non l'abbiamo maturato e non ci spetta. Io leggendomi il decreto legislativo ho letto che il Tfr deve sempre essere versato da parte dell'azienda tranne nel caso di stipula di un contratto di solidarietà, in quel caso spetta alla gestione di afferenza. In attesa di una vostra risposta vi porgo i miei più cordiali saluti.”
Consulenza legale i 16/01/2020
La disciplina del trattamento di fine rapporto (TFR) trova il suo principale riferimento normativo nell’art. 2120 del c.c., dove viene previsto che in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il lavoratore ha diritto a tale trattamento, calcolato sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni.

Il terzo comma dell’articolo precisa poi che “In caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell'anno per una delle cause di cui all'articolo 2110, nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l'integrazione salariale, deve essere computato nella retribuzione di cui al primo comma l'equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro.
Sulla base di ciò, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17051/2018 ha ricordato che “la collocazione del prestatore di lavoro in cassa integrazione non incide sul computo del trattamento di fine rapporto: e ciò perché con la cassa integrazione il rapporto di lavoro prosegue, sebbene le obbligazioni delle parti entrino in una situazione di quiescenza. Il prestatore di lavoro assoggettato a cassa integrazione, in definitiva, una volta sopravvenuta la cessazione del rapporto di lavoro subordinato, percepirà il medesimo trattamento di fine rapporto che avrebbe percepito se la cassa integrazione non vi fosse stata.”.

Sempre nelle sue motivazioni la Suprema Corte ricorda poi come l’obbligo di corresponsione del TFR gravi in linea di massima sul datore di lavoro.
Sul punto, l’art. 46, comma 1, lett. c) del D. Lgs. n. 148/2015 ha abrogato la legge n. 464/1972 che, all'art. 2, secondo comma, prevedeva che, per i lavoratori licenziati al termine del periodo di integrazione salariale, le aziende potessero richiedere alla Cassa Integrazione Guadagni il rimborso delle quote di trattamento di fine rapporto riferite agli interessati, limitatamente a quanto maturato durante il predetto periodo.
A tal proposito la circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 24/2015 ha chiarito che in conseguenza dell’abrogazione suddetta le quote di trattamento di fine rapporto restano a carico del datore di lavoro. I datori di lavoro interessati - che abbiano richiesto trattamenti di integrazione salariale straordinari, per le causali d’intervento di cui all'art. 21, comma 1, lett. a) e b), D. Lgs. n. 148/2015 – non hanno più diritto alla restituzione delle suddette quote di TFR.
Pertanto, l’onere economico delle quote di TFR maturate dai lavoratori nel periodo di Cassa integrazione è sempre a carico del datore di lavoro, a prescindere da quali siano le sorti del rapporto.
Per quanto riguarda, invece, le quote di TFR maturate in relazione a contratti di solidarietà bisogna prendere in considerazione l’art. 21 del D. Lgs. n. 148/2015.
In particolare, il comma 5 della norma in commento stabilisce che “Le quote di accantonamento del trattamento di fine rapporto relative alla retribuzione persa a seguito della riduzione dell'orario di lavoro sono a carico della gestione di afferenza, ad eccezione di quelle relative a lavoratori licenziati per motivo oggettivo o nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo, entro 90 giorni dal termine del periodo di fruizione del trattamento di integrazione salariale, ovvero entro 90 giorni dal termine del periodo di fruizione di un ulteriore trattamento straordinario di integrazione salariale concesso entro 120 giorni dal termine del trattamento precedente.”
Come precisato dalla circolare INPS n. 9 del 9 gennaio 2017, con riferimento a tali quote di TFR maturate dai lavoratori come sopra individuati, le aziende interessate potranno procedere al recupero delle predette quote, operando il conguaglio sulla denuncia UniEmens.

Tutte queste considerazioni circa il recupero delle quote di TFR valgono tuttavia solo per il datore di lavoro. Il lavoratore, sia nel caso di Cassa Integrazione, sia nel caso del contratto di solidarietà, ha sempre diritto a maturare per intero le quote di TFR, che saranno determinate computando l’equivalente della retribuzione alla quale il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di svolgimento dell’attività di lavoro.
Pertanto, nel caso di cui al presente parere, nonostante nel corso del mese di novembre si siano susseguiti periodi di Cassa Integrazione, periodi di lavoro regolare e periodi sotto contratto di solidarietà, il lavoratore avrà diritto al riconoscimento delle quote di TFR come se avesse lavorato regolarmente per tutto il mese.

Dal momento che, secondo quanto riferito, l’azienda sostiene che i lavoratori non l’abbiano maturato, si suggerisce di inviare quanto prima una lettera di messa in mora formale.
Infatti, mentre il diritto di ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto si prescrive in 5 anni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, secondo alcuni il diritto all'accertamento della quota temporaneamente maturata si prescriverebbe anche nel corso del rapporto.
Sul punto si veda Cassazione Civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 8191 del 7 aprile 2006 secondo cui “La prescrizione del diritto ad ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro e tale diritto non va confuso col diritto, maturante anche nel corso del rapporto, all'accertamento della quota temporaneamente maturata: l'uno ha per oggetto una condanna mentre l'altro ha per oggetto un mero accertamento. La diversità di contenuto e maturazione temporale dei due diritti soggettivi comporta il diverso regime della prescrizione, senza che la diversità stessa possa essere esclusa dalla loro connessione, data dalla parziale comunanza di elementi costitutivi”.

P. R. chiede
venerdì 01/07/2016 - Lombardia
“Sono proprietario di “prima casa” nel comune di (omissis), acquistata nel 2012 senza chiedere anticipazioni del TFR.

L’abitazione contigua alla mia sta per andare all’asta, la gestione della quale è stata affidata dal Tribunale ad un Notaio della zona, alla quale ho interesse a partecipare con l’intenzione, dopo l’eventuale aggiudicazione, di procedere ad accorpamento dei due immobili per ottenerne uno solo ove continuerei ad abitare.

La normativa fiscale considera esplicitamente questo caso, confermando che si applicano le agevolazioni fiscali “prima casa”. Mi riferisco alle Risoluzioni n. 25 del 25/02/2005 e n. 142/E del 4/06/2009 nonché alle Circolari n. 3 del 12/08/2005 e n. 18/E del 29/05/2013 dell’Agenzie delle Entrate.

Per questa ragione ho deciso di chiedere all’azienda presso la quale lavoro da nove anni anticipazione di quota del TFR per saldare l’asta in caso di aggiudicazione.

In particolare avrei bisogno dell'importo dopo la redazione notarile del “verbale di aggiudicazione” ma prima della data di saldo, che secondo i documenti dell'asta dovrebbe avvenire entro 120 giorni… senza l'erogazione rischierei di non poter saldare, perdendo la cauzione pari al 15% del prezzo offerto.

So che la Corte Costituzionale (sent. 142/1991) ha sancito il principio generale che è sufficiente esibire documenti che attestano che l’acquisto è in fase di perfezionamento. Nel mio caso, trattandosi di asta giudiziaria, sarebbe appunto il “verbale di aggiudicazione”.

Ritenete corretta la mia opinione per cui ho titolo all’anticipazione della TFR nel caso descritto ed in particolare la richiesta di erogazione dell’anticipazione di TFR dopo la redazione notarile del “verbale di aggiudicazione” ma prima della data di saldo?”
Consulenza legale i 24/07/2016

Nel caso specifico occorre analizzare la normativa sull’erogazione del TFR, prevista dalla Legge n. 297 del 29/5/1982.
In particolare, l’art. 6, punto B, prevede espressamente: “è ammessa la richiesta di anticipazione del dipendente solo quando lo stesso, il coniuge ed i figli se conviventi non risultino proprietari di unità immobiliari abitative nell'ambito della provincia ove è situata la sede di lavoro e nell'ambito della provincia ove si è eletto domicilio... ".

Nel caso specifico, dando per scontato che i familiari più stretti (moglie e figli conviventi) non siano proprietari di altra abitazione nella stessa provincia del luogo di lavoro e superato il problema dell’applicabilità dell’agevolazione prima casa, in quanto effettivamente la nuova abitazione sarà accorpata alla preesistente, è necessario valutare cosa accade nel caso di acquisto tramite asta giudiziaria.

Sebbene la relativa legge non preveda espressamente il caso dell’acquisto mediante asta, non esistono motivi per escludere tale possibilità. L’acquisto all’incanto è infatti un modo di trasferimento dei beni del tutto normale e legittimo, con l’unica particolarità che il titolo di acquisto non sarà costituito da un atto notarile ma da un decreto di aggiudicazione emesso dal giudice. Ciò, di norma, anche nel caso in cui la vendita sia curata da notaio.

La normativa stabilisce che il TFR possa essere anticipato per l'acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato "con atto notarile" (art. 2120 c.c., c. 8 lett. b), ma la Corte Costituzionale (sentenza n. 142 del 5.4.1991) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevede, in ipotesi di acquisto in itenere, la possibilità di provarne l’acquisto con mezzi idonei a dimostrarne l’effettività (ad es. preliminare di acquisto).
Possiamo fare nostre le considerazioni della Consulta, laddove afferma: "Conseguentemente anche la prescrizione dell'atto notarile, il cui carattere vincolato si giustifica solo nella ricostruzione restrittiva operata dalla Corte di cassazione perché correlato alla forma più ricorrente di acquisto definitivo, non può più costituire esclusiva tipizzazione legale della prova di cui è onerato il lavoratore che richieda l'anticipazione, atteso che l'acquisto in itinere può atteggiarsi in diverse e variegate fattispecie concrete (preliminare di compravendita, partecipazione a cooperativa edilizia, costruzione dell'immobile su suolo proprio ed ogni altra possibile fattispecie acquisitiva a realizzazione progressiva); deve quindi consentirsi che esso possa essere parimenti provato anche con mezzi diversi dall'atto notarile, i quali - secondo il prudente apprezzamento del giudice del merito - ne dimostrino l'effettività, ossia dimostrino la serietà dell'operazione negoziale in corso e quindi la sua attendibile idoneità al raggiungimento del fine dell'acquisto della prima casa di abitazione per il lavoratore medesimo o i suoi figli".

Sembra, quindi, che il verbale di aggiudicazione possa costituire un valido titolo per ottenere l'anticipazione del TFR dal datore di lavoro.


Libero P. chiede
sabato 14/05/2016 - Veneto
“Buon giorno, ero un dipendente INAIL sino al 2015 e ho un problema di interpretazione sulla normativa del TFR.
Dal 1986 sino al 2005 ho svolto l'attività di portiere di immobili di proprietà dell'INAIL e sino alla dismissione degli stessi il mio contratto di lavoro era regolato dal CCNL di portieri dipendenti di proprietari di fabbricati. Il calcolo del TFR previsto dal CCNL in parola comprendeva tutte le voci retributive, in pratica la retribuzione di fatto.
Nel 2005, a seguito della dismissione degli immobili, sono stato inquadrato come impiegato all'interno dell'INAIL con una retribuzione ragguagliata a quella precedentemente percepita, ma suddivisa in 1) stipendio tabellare 2) assegno ad personam riassorbibile 3) indennità di ente e di professionalità.
il totale della retribuzione è rimasto sostanzialmente invariato.
Posto che per il calcolo del TRF del CCNL del parastato viene preso in considerazione unicamente lo stipendio tabellare con esclusione delle altre voci e posta l’attuale radice privatistica anche del CCNL del parastato vorrei sapere se il mio TFR deve essere calcolato comprendendo tutte le voci dello stipendio di fatto.
Grazie”
Consulenza legale i 27/05/2016
Al fine di determinare quali debbano essere le voci retributive da considerare per calcolare il trattamento di fine rapporto (TFR), con riferimento ad un dipendente dell'INAIL, occorre necessariamente fare riferimento a quanto chiarito dalla Giurisprudenza in casi analoghi: "In tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza e di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del cd. parastato, l'art. 13, l. 20 marzo 1975 n. 70, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il t.f.r. di cui all'art. 2120 c.c.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un'indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all'autonomia regolamentare dei singoli enti solo l'eventuale disciplina della facoltà del dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio. Il riferimento, quale base di calcolo, allo stipendio complessivo annuo, ha valenza tecnico — giuridica, sicché deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti, come quello dell'I.n.p.s., prevedenti, ai fini del t.f.r. o di quiescenza comunque denominato il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo (cfr. T.A.R. Roma, (Lazio), Sez. III, 3 maggio 2011, n. 3821).
Pertanto, in sostanza, la Giurisprudenza ha chiarito che, la base di calcolo per il TFR, deve essere costituita dallo stipendio tabellare e da "componenti retributive similari".
Inoltre, è stato precisato che, i singoli Enti, tra cui l'INAIL, non possono derogare a tale principio, prevedendo che la base di calcolo per il TFR possa prendere in considerazione, in generale, tutte le competenze a carattere fisso e continuativo.
In relazione alla medesima questione, la Cassazione Civile ha chiarito che "In tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del cd. parastato, l'art. 13 l. n. 70 del 1975, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il t.f.r. di cui all'art. 2120 c.c.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un'indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all'autonomia regolamentare dei singoli enti solo l'eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio. Il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicché deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari (nella specie, l'indennità di funzione ex art. 15, comma 2, l. n. 88 del 1989 per la responsabilità di struttura rurale) e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti come quello dell'Inps, prevedenti, ai fini del t.f.r. o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo. Né, in senso contrario, possono addursi dubbi di legittimità costituzionale, atteso che, in caso di trattamento globale costituito da più componenti, qual è l'indennità di buonuscita rispetto al trattamento dei lavoratori pubblici privatizzati, il rispetto dell'art. 36 cost. deve essere valutato in relazione alla totalità dell'emolumento. (Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, comma 1, c.p.c.) (cfr. Cassazione civile, Sez. VI, 25 febbraio 2011, n. 4749).
In sostanza, alla luce della sentenza ora richiamata, si ritiene di escludere che l'indennità di Ente e di professionalità possa rientrare nella base per computare il TFR.
Nello stesso senso, si è pronunciata la Cassazione Civile, quindi nel senso di escludere dalla base per il calcolo del TFR la cd. indennità di Ente: "In tema di trattamento di fine servizio per i pubblici dipendenti in servizio al 31 dicembre 1995, è demandata alla contrattazione collettiva soltanto la definizione delle modalità applicative della disciplina in materia di t.f.r. (art. 2, comma 7, l. n. 335 del 1995) e la "nuova regolamentazione contrattuale della materia", destinata a superare la previgente disciplina (ex art. 72, comma 3, d.lg. n. 29 del 1993, ora trasfuso nell'art. 69, comma 2, d.lg. n. 165 del 2001), va riferita ad un intervento complessivo di modifica del quadro normativo e non a meri interventi specifici su taluni punti, quali l'inclusione di specifiche voci retributive nella base di calcolo dell'indennità di buonuscita. Ne consegue che, in difetto di specifiche disposizioni e stante l'inderogabilità della normativa previdenziale, all'autonomia collettiva è preclusa l'inclusione di ulteriori elementi retributivi nella base di calcolo dell'indennità di buonuscita. (Principio applicato in controversia concernente la computabilità, nell'indennità di buonuscita del personale degli enti ed istituzioni di ricerca e sperimentazione, cessato dal servizio tra il 1998 e il 1999, della cosiddetta "indennità di ente", istituita, a decorrere dall'1 gennaio 1996, dall'art. 44 del c.c.n.l. di comparto 7 ottobre 1996)" (cfr. Cassazione civile, Sez. Lav., 30 dicembre 2009, n. 27836).
Per concludere, nel caso di specie, al fine del computo del TFR spettante al dipendente, si ritiene di dovere certamente computare lo stipendio tabellare; inoltre alla luce della Giurisprudenza richiamata, si ritiene di escludere che l'indennità di Ente e di professionalità possa essere computata; infine, per la medesima ratio, si ritiene di escludere altresì che possa essere considerato l'assegno ad personam.

LUISELLA P. chiede
martedì 10/11/2015 - Piemonte
“Buongiorno,
nel mese di giugno 2014 sono stata licenziata per messa in liquidazione della società per la quale ho lavorato da dicembre 2001.
A tutt'oggi il datore di lavoro non mi ha corrisposto il T.F.R. maturato.
La mia domanda è: posso rivolgermi al Fondo di Garanzia INPS per ottenere in tutto o in parte quanto mi spetta?
Per completezza, la ditta era artigiana metalmeccanica e occupava meno di 10 dipendenti, ed è tutt'ora in liquidazione.
Ringraziando per la risposta che mi vorrete dare, saluto cordialmente.”
Consulenza legale i 16/11/2015
Il Trattamento di Fine Rapporto, T.F.R., è quell'importo di denaro che compete a tutti i lavoratori subordinati che abbiano cessato un rapporto di lavoro per una qualunque causa. E' disciplinato dall'art. 2120 del c.c. e va calcolato sommando, per ogni anno, una quota pari alla retribuzione annuale diviso per un certo coefficiente, cui si aggiunge la rivalutazione dell'importo accantonato l'anno precedente.

Il T.F.R. va corrisposto alla fine del rapporto di lavoro dal datore di lavoro al lavoratore, senza dilazione. Il dipendente ha la possibilità di agire fin da subito per il recupero del suo credito mediante decreto ingiuntivo che sarà provvisoriamente esecutivo, in quanto il credito è provato da dei documenti provenienti dal creditore, come la busta paga e il C.U.D.
Il decreto ingiuntivo può essere pacificamente ottenuto anche contro una società posta in liquidazione e il credito del lavoratore è assistito da privilegio (quindi il dipendente va pagato prima dei creditori non privilegiati, detti "chirografari").
Tuttavia, se la società è ormai decotta, c'è anche la possibilità di chiederne la dichiarazione di fallimento: bisognerà verificare nel caso concreto le condizioni economiche della società e valutare il da farsi con un legale.

Quanto al "Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto", va premesso innanzitutto che esso è stato istituito dall' art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297 presso l'Inps. Con il D.L. 80/92 è stato esteso alle ultime retribuzioni e anche alla previdenza complementare.
Il Fondo ha lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro, in caso di insolvenza di quest'ultimo nel pagamento del T.F.R. e/o delle ultime tre mensilità ai lavoratori subordinati, cessati dal lavoro, o loro aventi diritto. Esso interviene in tutti i casi di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, ma solamente a condizione che sia stato accertato lo stato di insolvenza del datore di lavoro.
Cosa significa, nel caso in esame?

La società in oggetto è tutt'oggi in liquidazione ma non risulta soggetta a procedure concorsuali (fallimento, concordato preventivo, ...).
Per ottenere accesso al Fondo dell'INPS dovrà pertanto percorrersi il seguente iter.

Il dipendente deve ottenere un titolo esecutivo (come un decreto ingiuntivo) e procedere alla notifica dello stesso e dell'atto di precetto. Successivamente, va chiesto al competente Ufficiale Giudiziario il pignoramento dei beni del debitore (mobiliari e/o immobiliari): solo se il ricavato della vendita risulti insufficiente, interverrà il Fondo di Garanzia.

A questo punto va presentata domanda presso la sede Inps del territorio di residenza (vedi il modello "Domanda di intervento del Fondo di Garanzia per la liquidazione del TFR di cui all' art.2 L. 297/82 e/o dei Crediti di lavoro di cui all' art. 2 D.lgs. 80/92 - TFR/cl (SR50)" alla pagina web http://www.inps.it/Modulistica/compila.asp), cui vanno allegati, fra gli altri documenti, l'originale del titolo esecutivo in base al quale è stata esperita l'esecuzione forzata, copia autentica dall'atto di precetto e copia autentica del verbale di pignoramento mobiliare negativo o, se in parte positivo, copia della sentenza che assegna le somme al creditore.

Si ricordi che l'ente previdenziale non ha l'obbligo di acquisire d'ufficio la documentazione, quindi incombe sul lavoratore l'onere di presentare un'istanza completa di tutti gli allegati (v. Cass., sez. lav., 12.07.1999 n. 7355).

La domanda al fondo di garanzia si prescrive in 5 anni dalla data del verbale di pignoramento negativo, in assenza di un valido atto di interruzione della prescrizione (vedi le circolari n. del 31.5.1993 e n. 74 del 15.7.2008).

Per la presentazione del ricorso per decreto ingiuntivo è necessario rivolgersi ad un avvocato.

Pierluigi D. chiede
mercoledì 22/04/2015 - Puglia
“Dipendente di Impresa marittima per 8 mesi nel 2014.
Dalla Certificazione Unica 2015 relativa ai redditi 2014 risulta un TFR maturato e trattenuto in azienda. E' possibile chiedere nell'anno in corso 2015 la liquidazione della somma maturata? A chi richiedere: All' Impresa o all' INPS?
Grazie”
Consulenza legale i 24/04/2015
Chi ha scelto di lasciare il TFR in azienda, quando cessa il rapporto di lavoro, ha il diritto di ricevere la liquidazione dell’intero trattamento di fine rapporto maturato fino a quel momento, ai sensi dell'art. 2120 del codice civile.

Secondo l'orientamento dottrinale e giurisprudenziale assolutamente prevalente, il pagamento del TFR deve essere effettuato non appena si verifica la cessazione del rapporto di lavoro (Cass. civ., 23.4.2009, n. 9695, ad esempio, ha affermato che il termine iniziale di decorso della prescrizione del diritto al TFR va individuato nel momento in cui tale diritto può essere fatto valere, e cioè nel momento in cui il rapporto di lavoro subordinato cessa e non già in quello in cui sia stato accertato giudizialmente l'effettivo ammontare delle retribuzioni spettanti).
A ciò non osta neppure il fatto che nel momento esatto dello scioglimento del rapporto non sia possibile determinare immediatamente il quantum, essendo necessario effettuare alcuni calcoli: quindi, il ritardo nel pagamento implica l'obbligo di corrispondere anche gli interessi e la rivalutazione (v. ad es. Cass. civ., n 3219/2005).
Si dovranno comunque verificare anche i termini previsti dai Contratti Collettivi Nazionali di categoria (che comunque non possono prevedere un termine superiore ad alcune settimane dalla cessazione del rapporto).
Nel caso di specie, la richiesta del TFR relativo al 2014 ci sembra effettuabile da subito.

A chi rivolgere la richiesta del TFR?
Di norma, il TFR va richiesto al datore di lavoro, con alcune precisazioni.

Il TFR lasciato in azienda, per i dipendenti di aziende con almeno 50 dipendenti, viene trasferito al Fondo di Tesoreria per l'erogazione del TFR ai dipendenti del settore privato, gestito dall'Inps.
La legge finanziaria per l’anno 2007, infatti, ha istituito il "Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del codice civile".
Ai sensi dell’art. 2, comma 1, del D.M. 30 gennaio 2007, il Fondo di Tesoreria è deputato ad erogare il trattamento di fine rapporto e le relative anticipazioni secondo le consuete modalità di cui all’art. 2120 c.c., in riferimento alla quota maturata dal dipendente a far data dal 1 gennaio 2007.
Materialmente, tuttavia, le prestazioni di cui al comma 1 sono erogate dal datore di lavoro anche per la quota parte di competenza del Fondo, salvo conguaglio da valersi prioritariamente sui contributi dovuti al Fondo riferiti al mese di erogazione della prestazione e, in caso di incapienza, sull’ammontare dei contributi dovuti complessivamente agli Enti previdenziali nello stesso mese (secondo comma dell'art. 2).

Infine, l' art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297 ha istituito presso l' INPS il "Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto" - esteso col D.L. 80/92 alle ultime retribuzioni e anche alla previdenza complementare - avente lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro, in caso di insolvenza di quest'ultimo, nel pagamento del TFR e/o delle ultime tre mensilità ai lavoratori subordinati, cessati dal lavoro, o loro aventi diritto. In questo caso, il Fondo di Garanzia interviene solo a condizione che sia stato accertato lo stato di insolvenza del datore di lavoro.

DARIO chiede
mercoledì 05/12/2012 - Emilia-Romagna
“Buon giorno, a marzo del prossimo anno dovrò sostenere delle spese straordinarie per una ristrutturazione condominiale.
È possibile richiedere un anticipo del tfr per ristrutturazione prima casa?
Lavoro da più di 15 anni presso un'azienda attiva nel settore delle telecomunicazioni.


Grazie”
Consulenza legale i 05/12/2012

L'art. 2120 del c.c., ottavo comma, individua i casi nei quali il prestatore di lavoro può richiedere l'anticipazione del Tfr limitandoli ad alcuni scopi precisi, ossia:

  • alle spese sanitarie per terapie ed interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche
  • all'acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato con atto notarile.

In tema di acquisto della prima abitazione, merita di essere ricordato un orientamento di parte della giurisprudenza di merito che equipara tale ipotesi anche a quella di costruzione in proprio della prima casa di abitazione, al pari di qualsiasi modo di acquisto a titolo originario o derivativo. In tali casi, la richiesta deve essere supportata da idonea documentazione onde dimostrare la necessità della spesa.
Alla luce di tale orientamento - che, in considerazione della sostanziale identità dello scopo acquisitivo, assimila l'acquisto della prima casa alla costruzione in proprio della stessa - potrebbe anche ritenersi che la richiesta di anticipazione possa essere legittimata, ai sensi dell'ottavo comma dell'art. 2120 del c.c., dalla ristrutturazione di una casa di proprietà, sempre che si tratti di spese necessarie per consentire l'abitabilità di un edificio da adibire a prima abitazione del dipendente o dei figli.


Elena chiede
mercoledì 24/10/2012 - Lombardia
È possibile, ottenere il TFR e eventualmente in quale percentuale, per l'estinzione parziale mutuo prima casa?
Parlo di parziale, perché il mio anticipo non sarebbe sufficiente a un estinzione totale, ma potrei abbattere il debito notevolmente pagando così meno interessi.
Grazie”
Consulenza legale i 29/10/2012

La disciplina del trattamento di fine rapporto si riscontra all'[[2120cc]] nel quale si legge che "il prestatore di lavoro con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, un'anticipazione non superiore al 70 % sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta".

Inoltre, la norma specifica all'ottavo comma che la richiesta deve essere giustificata dalla necessità di:

  1. eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;
  2. acquisto della prima casa di abitazione per sè o per i figli, documentato con atto notarile.

Pertanto, nel caso di specie, la richiesta di anticipazione del TFR rientra legittimamente nell'ipotesi prevista dall'art. 2120 del c.c., VIII co. lett. b).


ADA chiede
venerdì 04/05/2012 - Calabria
“Devo sostenere le spese di matrimonio di mio figlio, ed ho chiesto un'anticipazione del tfr di mio marito ma l'ente dove lavora mi ha risposto che, le spese di matrimonio di mio figlio, non rientrano nei casi di previsti dalla legge per l'anticipo tfr.
grazie”
Consulenza legale i 05/05/2012

L'ottavo comma dell'art. 2120 del c.c. disciplina le ipotesi in cui il prestatore può chiedere l'anticipazione del TFR. Infatti, la norma precisa che la richiesta deve essere giustificata dalla necessità di :

a) eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;

b) acquisto della prima casa di abitazione per sè o per i figli, documentato con atto notarile.

Pertanto, la richiesta di anticipazione del TFR giustificata dalla necessità di provvedere alle spese delle nozze del figlio non rientra nelle ipotesi in cui il prestatore può richiedere la predetta anticipazione.


Alessandra chiede
mercoledì 04/04/2012 - Veneto
“Buongiorno, vorrei sapere se è possibile ottenere l'anticipo tfr per l'estinzione del mutuo prima casa, grazie”
Consulenza legale i 04/04/2012

L'estinzione del mutuo per l'acquisto della prima casa sembra essere una valida ragione per poter chiedere l'anticipazione del tfr. Secondo recente giurisprudenza, il collegamento funzionale tra l'acquisto della prima casa di abitazione e la richiesta di anticipazione avanzata dal lavoratore deve essere valutata dal giudice, utilizzando i criteri di ragionevolezza e normalità.


MARIA GRAZIA chiede
venerdì 14/01/2011

“Ho chiesto un anticipo del tfr in quanto devo ristrutturare casa. Lavoro presso la stessa azienda da 27 anni e il datore di lavoro è d'accordo, ma l'impiegata contabile mia ha detto che ci vogliono giustificati motivi (acquisto prima casa,spese mediche...). Ma se il datore è d'accordo?
Grazie.”

Consulenza legale i 16/01/2011

L'art. 2120 del c.c., ottavo comma, individua i casi nei quali il prestatore di lavoro può richiedere l'anticipazione del tfr:
- spese sanitarie per terapie ed interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;
- acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato con atto notarile.

L'art. 7 della legge n. 53/2000 prevede ulteriori ipotesi di ammissibilità all'anticipazione del tfr:
- spese affrontate dai dipendenti che, quali genitori, si avvalgano del diritto di assenza facoltativa o per la malattia del bambino;
- genitori che abbiano presentato domanda di congedo per la formazione, accolta dal datore di lavoro;
- genitori che abbiano partecipato ad iniziative di formazione continua.

La giurisprudenza di merito tende ad equiparare all'ipotesi di acquisto della prima casa quella di costruzione in proprio della prima casa di abitazione: la richiesta deve essere supportata da idonea documentazione onde dimostrare la necessità della spesa (v. sent. Trib. di Pavia 13.6.1984).

L'ultimo comma dell'art. 2120 c.c. consente di stabilire, mediante contratti collettivi o individuali, "condizioni di miglior favore": in relazione a tale disposizione le SS.UU., nella sentenza n. 7546/1998 ha stabilito che, per il suo contenuto e la sua collocazione, essa "si riferisce esclusivamente al regime generale delle anticipazioni che il prestatore di lavoro può ottenere sul TFR, della cui disciplina costituisce una sorta di norma di chiusura, e non può essere interpretata come assenso alla derogabilità in melius del trattamento di fine rapporto". La disciplina del Tfr, prosegue la Cassazione, "è dotata di efficacia inderogabile, sia in melius che in peius, non solo nell'ambito della autonomia collettiva - alla quale è lasciata una ampia discrezionalità solo nella determinazione della retribuzione utile ai fini del calcolo del Tfr (art. 2120, secondo comma) - ma anche in quello dell'autonomia individuale, sicché in materia non è lasciato più alcuno spazio a patti e condizioni più favorevoli al lavoratore, che restano comunque travolti da nullità in conseguenza del loro contrasto con la disciplina inderogabile prevista dalla legge".

La disciplina del tfr pare quindi derogabile solo limitatamente alla disciplina sulle anticipazioni. In ogni caso l'anticipazione va contenuta entro il 70% del trattamento che spetterebbe nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta nonché entro il limite del 10% degli aventi titolo e del 4% del numero totale dei dipendenti.

Nel rispetto dei limiti sopra citati, la ristrutturazione della casa potrebbe consentire la richiesta di anticipazione del tfr ai sensi dell'ottavo comma dell'art. 2120 c.c.: deve però trattarsi di spese necessarie per consentire l'abitabilità di un edificio da adibire a prima abitazione dello stesso lavoratore richiedente o dei figli.


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