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Articolo 445 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Decorrenza degli alimenti

Dispositivo dell'art. 445 Codice Civile

Gli alimenti sono dovuti dal giorno della domanda giudiziale [163 c.p.c.] o dal giorno della costituzione in mora [1219] dell'obbligato, quando questa costituzione sia entro sei mesi seguita dalla domanda giudiziale [2948 n. 2](1).

Note

(1) La nascita del diritto è subordinata all'iniziativa dell'avente bisogno; gli effetti della sentenza decorrono dal giorno della domanda giudiziale, o dal giorno della previa domanda stragiudiziale di costituzione in mora dell'obbligato (cui sia seguita la domanda giudiziale di verifica dei presupposti legittimanti l'obbligazione).

Brocardi

In praeteritum non alitur

Spiegazione dell'art. 445 Codice Civile

Il bisogno a cui si riferisce l'obbligo alimentare deve essere attuale. A ciò si riferisce la regola tradizionale, ora sanzionata da una esplicita disposizione di legge, secondo cui gli alimenti sono dovuti dal momento della domanda.
Per il tempo anteriore, il fatto che l'alimentando ha vissuto costituisce la prova, si dice, che egli ha potuto sostenersi senza il concorso dell'obbligato. Questo argomento è alquanto difettoso, poiché, negli alimenti congrui, non è soltanto questione di mezzi per non morire di fame o di freddo, ma anche di qualcosa di diverso in relazione alla condizione sociale ed economica dei soggetti. Ma, ad ogni buon conto, rimane abbastanza chiara e razionale la regola secondo cui per il passato non possono sorgere questioni.

Ma vi possono essere casi in cui una precisa ragion di dubbio sussiste: si tratta dei casi assai frequenti in cui la persona bisognosa, per vivere, prima dell'assegnazione degli alimenti è stata costretta a contrarre debiti e tali debiti permangono. In sede di discussione, la questione stata molto dibattuta. Nel Progetto preliminare era fatta espressa menzione del caso in cui l'alimentando avesse contratto debiti, quale eccezione al principio sancito in linea di massima, secondo cui gli alimenti sono dovuti ex nunc. Tale esigenza fu pure sostenuta dalla Commissione parlamentare, con riguardo all'opportunità che non restassero senza possibilità di rimborso le spese sostenute dagli Istituti pubblici di assistenza. La Commissione fu concorde nell'ammettere che la sentenza che concede gli alimenti possa avere effetto retroattivo e propose che gli alimenti fossero dovuti dal giorno della domanda giudiziale o da quando ne è sorto il bisogno, avendo con ciò riguardo alla circostanza che "una delle prime dimostrazioni del bisogno è proprio quella di contrarre debiti per vivere".
Tali criteri non furono accolti dal Guardasigilli in forza del rilievo che non è bene costituire "incentivo allo sviluppo di perniciosi sistemi creditizi, diretti a sfruttare, attraverso il bisogno dell'alimentando, le capacità economiche degli obbligati agli alimenti".
La questione sembra poter avere una assai piana soluzione, nel silenzio del testo legislativo, se si osserva che chi contrae crediti con un nullatenente lo fa a suo rischio, se non si garantisce.
Ma, con riguardo al momento in cui le condizioni economiche del debitore sono mutate, godendo egli di un congruo assegno alimentare, verrà in considerazione la regola secondo cui chi si è obbligato risponde con i suoi beni presenti e futuri. Senza contare il fatto che, in più di un caso, il pagare i debiti passati dell'alimentando può far riferimento ad un bisogno attuale cui deve provvedere l'alimentatore, o per motivi di decoro relativi alla situazione sociale o anche per motivi generali d'ordine più impellente, come fosse la necessità di rilevare da liti giudiziarie: tutto ciò, tenuti anche presente i motivi per cui quei debiti furono contratti. Ci si basa, dunque, sui principi generali della materia.

II Progetto preliminare faceva anche il caso che l'alimentando avesse tardato a proporre la domanda per fatto dell'obbligato. La Commissione parlamentare fece presente la necessità di stabilire un termine anteriore alla chiamata in giudizio, proponendo quale termine il momento in cui lo stato di bisogno viene portato a conoscenza dell'obbligato con regolare messa in mora. II Guardasigilli non ritenne di accogliere integralmente tale proposta, "perché potrebbe esporre la persona tenuta agli alimenti a tentativi di speculazione, come nel caso di chi, dopo avere con lettere e con insistenze di vario genere richiesto gli alimenti, lasci trascorrere degli anni prima di proporre la domanda giudiziale, e poi pretenda la corresponsione dell'assegno fin dal tempo delle precedenti richieste."
Così si è arrivati all'attuale art. 445, in forza del quale la costituzione in mora è il termine idoneo solo se sia seguita non oltre sei mesi dalla domanda giudiziale.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

220 La Commissione delle Assemblee legislative, considerando che di solito la persona avente diritto agli alimenti non agisce in giudizio se non dopo avere tentato di ottenerne la corresponsione in via stragiudiziale, ha proposto di modificare l'art. 440 del progetto e far decorrere l'assegno da quando sia sorto il bisogno, purché vi sia stata una qualsiasi messa in mora dell'obbligato. Non si è ritenuto di accogliere questa proposta, perché potrebbe esporre la persona tenuta agli alimenti a tentativi di speculazione, come nel caso di chi, dopo avere con lettere e con insistenze di vario genere richiesto gli alimenti, lasci trascorrere degli anni prima di proporre la domanda giudiziale, e poi pretenda la corresponsione dell'assegno fin dal tempo delle precedenti richieste. Tuttavia, per non lasciare insoddisfatti i bisogni dell'alimentando per il tempo che ragionevolmente deve intercedere tra la costituzione in mora e la domanda giudiziale, si è stabilito nell'art. 445 del c.c., a modifica del progetto, che l'assegno può decorrere dalla costituzione in mora, solo se questa sia seguita dalla domanda giudiziale entro il termine di sei mesi.

Massime relative all'art. 445 Codice Civile

Cass. civ. n. 113/2003

In caso di revisione dell'assegno di divorzio, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970, il giudice può stabilire che il nuovo importo dello stesso decorra dalla data della domanda di revisione, e non da quella della decisione su di essa, in analogia con quanto dispone l'art. 445 c.c. per le pronunce in tema di alimenti, al pari delle quali quelle ex art. 9 cit. hanno natura non costitutiva, ma determinativa dell'entità della somministrazione di denaro connessa a uno status (di coniuge divorziato) del quale la parte è già titolare, e in applicazione del principio generale secondo il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio.

Cass. civ. n. 4833/1988

Qualora i bisogni dell'avente diritto agli alimenti vengano per intero soddisfatti da uno soltanto dei condebitori ex lege, questi può esercitare il regresso pro quota verso il coobbligato senza necessità di una preventiva diffida ad adempiere, tenuto conto che le disposizioni dell'art. 445 c.c., in tema di decorrenza degli alimenti solo dalla domanda giudiziale (o dalla costituzione in mora, se seguita entro sei mesi dalla domanda giudiziale), riguardano esclusivamente il rapporto diretto con il creditore e non sono estensibili alla suddetta azione di regresso, la quale è riconducibile alle regole dell'utile gestione (considerando che l'intento di gestire l'affare altrui, in difetto di un'opposizione dell'interessato, è insito nella consapevolezza del carattere cogente del relativo obbligo).

Cass. civ. n. 5763/1981

In tema di separazione personale dei coniugi, l'obbligo del marito di provvedere al mantenimento della moglie decorre dalla data della domanda, in applicazione del principio generale stabilito per gli alimenti dall'art. 445 c.c., e permane immutato sino a quando non intervengano fatti modificativi della situazione economica dell'uno, dell'altro o di entrambi i coniugi.

Cass. civ. n. 3525/1968

Le obbligazioni alimentari da negozio giuridico si sottraggono ai principi sulla decorrenza fissati dall'art. 445 c.c.

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Francesco S. chiede
martedì 05/12/2017 - Umbria
“Buona sera,
prima cosa mi scuso se nella spiegazione del problema non dovessi usare termini del tutto appropriati.

Mi sono separato con la mia compagna (non eravamo sposati) e siamo andati in giudizio per l'affidamento dei figli.

Durante il periodo dal ricorso all'uscita del provvedimento (circa 12 mesi) ho contribuito alle spese dando un assegno mensile alla madre per il mantenimento dei figli (assegno inferiore a quello che poi ha deciso il giudice). In più, sempre in quel periodo, mi sono fatto carico di altre spese come per esempio comprare i vestiti (visto che la madre non me ne dava) spese scolastiche (il pulmino, etc), spese straordinari (per le quali la madre non mi ha mai riconosciuto nulla, sia mediche che sportive) oltre a mantenerli quando stavano con me per le normali esigenze (tengo a precisare che il periodo che i figli sono stati con me in quel periodo è stato maggiore rispetto a quello che poi ha deciso il giudice).

Dopo il provvedimento del Giudice, che si è pronunciato definitivamente per l'affidamento dei figli (non ci sono state sentenze provvisorie/temporanee), la madre mi ha chiesto di corrisponderle la differenza tra l'assegno di mantenimento disposto dal Giudice e quello che le ho dato nei mesi dalla data del ricorso alla data dell'uscita del provvedimento.

Secondo il mio avvocato essendo una pronuncia determinativa non può operare per il passato e quindi non devo riconoscere nulla alla madre come differenza.
Ora la madre mi "minaccia" di muoversi con un decreto ingiuntivo o comunque per vie legali.
Le domande che vi sottopongo sono:
- quali sono le probabilità che io debba riconoscere la differenza tra l'assegno disposto dal giudice e quello che le ho dato in quei mesi?
- quali sono gli orientamenti della giurisprudenza a tal riguardo?
- avete qualche suggerimento?

rimango in attesa di un gentile riscontro al riguardo
cordiali saluti

Consulenza legale i 21/12/2017
Dobbiamo, purtroppo, condividere la pretesa economica avanzata dalla madre dei suoi figli.

Va osservato, infatti, che il provvedimento con cui il giudice pone a carico di uno dei genitori la corresponsione di un assegno di mantenimento, ha carattere retroattivo: ciò significa che l'obbligo decorre sin dalla data di proposizione della domanda e non da quella di emissione del provvedimento stesso.

In tal senso si è espressa, infatti, l'ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, la quale, ad esempio, con la sentenza n. 19382 del 2014, ha precisato che "il carattere alimentare (o di mantenimento) dell'assegno, comporta la retroattività al momento della domanda, ai sensi dell'art. 445 c.c.".

Parimenti, con la sentenza n. 21087 del 2004, la Cassazione ha precisato che costituisce "principio acquisito nella giurisprudenza di questa Suprema Corte che, se in sede di separazione o di divorzio, uno dei due coniugi abbia chiesto un assegno per il mantenimento dei figli, la domanda, se ritenuta fondata, deve essere accolta, in mancanza di espresse limitazioni, dalla data della sua proposizione, e non da quella della sentenza, atteso che i diritti ed i doveri dei genitori verso la prole, salve le implicazioni dei provvedimenti relativi all'affidamento, non subiscono alcuna variazione a seguito della pronuncia di separazione o di divorzio, rimanendo identico l'obbligo di ciascuno dei coniugi di contribuire, in proporzionale delle sue capacità, all'assistenza ed al mantenimento dei figli".

La Cassazione ha, dunque, chiaramente evidenziato che, in linea generale, l'obbligo di mantenimento statuito nella sentenza di separazione/divorzio decorre dalla data di proposizione della domanda e che, eventualmente, solo il giudice, per comprovate ragioni, potrà stabilire che tale obbligo decorra da una data diversa.

Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che lei debba effettivamente corrispondere alla madre dei suoi figli la differenza tra l'importo dell'assegno stabilito in sentenza e quello che ha corrisposto a partire dalla proposizione della domanda.

Certamente, comunque, laddove lei abbia sostenuto delle spese extra (e ne abbia relativa documentazione giustificativa), che avrebbero dovuto essere divise con la madre, potrà pretendere che le medesime siano conteggiate ai fini della determinazione dell'importo dovuto.

Le consigliamo, dunque, di rispondere alla diffida inviatale dal legale della madre, rendendosi disponibile a corrispondere quanto dovuto, detratte, tuttavia, le spese extra da lei esclusivamente sostenute.