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Articolo 1571 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Nozione

Dispositivo dell'art. 1571 Codice Civile

(1)La locazione è il contratto [1350 n. 8] col quale una parte si obbliga a far godere all'altra una cosa mobile o immobile(2) per un dato tempo [1573, 1574], verso un determinato corrispettivo [820, 1639, 1803, 2948 n. 3; 180 disp. att.](3)(4).

Note

(1) La disciplina del codice deve essere integrata con quella dettata dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, in tema di equo canone, applicabile alle locazioni di immobili adibiti ad uso non abitativo, e dalla L. 9 dicembre 1998, n. 431, in tema di locazione di immobili per uso abitativo. Le norme codicistiche hanno comunque funzione di regole generali e si applicano in quanto compatibili con le leggi speciali.
(2) Sono escluse le cose consumabili, mentre sono suscettibili di essere concesse in locazione quelle deteriorabili (1590 c.c.).
(3) La locazione è un contratto consensuale ad effetti obbligatori (1376 c.c.). Se ha ad oggetto beni immobili deve essere stipulata per iscritto (1350 c.c.).
(4) Alla figura della locazione è ricondotto il contratto di leasing, contratto socialmente tipico di origine anglosassone non oggetto, nel nostro ordinamento, di apposita disciplina (v. 1322, 2 c.c.). Con esso un soggetto (utilizzatore) che ha necessità di un bene, di solito un autoveicolo o un macchinario industriale, invece di prendere a mutuo (1813 c.c.) la somma necessaria per acquistarlo si rivolge ad un intermediario (spesso una società collegata ad una banca) affinché lo acquisti dal produttore o lo produca egli stesso e lo conceda in godimento all'utilizzatore in cambio del pagamento periodico di un canone. Inoltre, si distingue anche a seconda che la stipula sia o meno finalizzata a consentire al conduttore l'acquisto del bene al termine della locazione, mediante esercizio di un diritto di opzione (1331 c.c.). Da tale fattispecie si distingue quella del sale and lease back, contratto bilaterale con il quale il proprietario di un bene, generalmente un immobile, lo cede ad una finanziaria ma ne ottiene il godimento, dietro corrispettivo di un canone periodico e con la facoltà, alla scadenza del termine, di scegliere tra prolungare il godimento, riscattare il bene ovvero rinunciarvi definitivamente.

Ratio Legis

Con il contratto in esame il conduttore ha la possibilità di godere di un immobile ad un prezzo più basso rispetto a quello che dovrebbe versare per una compravendita (1470 c.c.) ed il locatario può percepire i frutti del bene (820 c.c.).

Spiegazione dell'art. 1571 Codice Civile

Definizione del contratto

La locazione (locatio rei) è un contratto sinallagmatico con il quale una parte, cioè il locatore, si obbliga a far godere all'altra, e cioè al conduttore, inquilino, affittuario o coltivatore diretto, mediante un determinato corrispettivo e per una durata di tempo stabilita dalle parti o, in mancanza, dalla legge, una cosa mobile o immobile.
Da tale definizione appare, oltre al carattere bilaterale e al titolo oneroso del contratto di locazione, il carattere commutativo. L'alea è estranea al vantaggio che i contraenti si ripromettono e, sebbene nell'affitto dei fondi rustici i frutti possono andare perduti totalmente o in parte per caso fortuito (articoli 1635 e 1636) e l'affittuario possa, con patto espresso, assumere il rischio dei casi fortuiti ordinari (articolo 1637) non è dato confondere l'ipotesi in cui il vantaggio del contraente dipende da un avvenimento incerto con quella in cui tale vantaggio può, per avventura, mancare a causa di un avvenimento incerto.
Il contratto di locazione è infine perfetto per virtù del solo consenso, mentre l'osservanza di particolari forme è richiesta solo in casi determinati e a particolari effetti.


Locazione di cose e contratti affini

La locazione va tenuta distinta da quei contratti che presentano con essa alcune affinità. La distinzione ha importanza teorica ed anche pratica, presentandosi talora delle figure contrattuali complesse nelle quali concorrono gli elementi di diversi contratti. In questi casi si pone il problema della configurazione del negozio nel quale ricorra una complessità di prestazioni, problema che viene risolto generalmente indagando se ricorra una prestazione fondamentale e adottando quindi le regole riguardanti qualche altro negozio cui le singole prestazioni si possono riferire, sempre che siano conciliabili con l'indole del negozio fondamentale.

Il contratto che presenta maggiori affinità con la locazione è la compravendita, sebbene appaiono immediatamente i limiti di demarcazione dei due istituti. Richiamando le fonti del diritto romano per le quali « non solet locatio dominium mutare » e « toties enim conductio alicuius rei est quoties materia in qua aliquid praestetur, in eodem state eiusdem manet; quoties vero et immutatur et alienatur, emptio magis quam locatio intellegi debet » il Simoncelli scrive che nella vendita domina l'assoluto, il definitivo; nella locazione il relativo, il transitorio, mediatamente o immediatamente misurato a tempo o limitato per tempo. Questa affermazione, per quanto esatta, non coglie, peraltro, l'aspetto più appariscente della demarcazione, sì da essere accolta come definizione. Può dirsi infatti che la vendita mira all'acquisto della proprietà della cosa prescindendo dalle utilità che da questa possono ricavarsi, mentre la locazione tende appunto ed esclusivamente al godimento delle utilità che dalla cosa stessa promanano.

Notevole è la differenza tra deposito e locazione, basata sull'elemento della custodia quale causa del rapporto giuridico. È nota la disputa sorta sulla natura del rapporto cassettista-banca nel servizio di cassette forti di sicurezza, essendo divisa la dottrina nel definirlo locazione o deposito. Il legislatore lascia impregiudicata la questione e comprendendo il servizio delle cassette di sicurezza tra i contratti bancari stabilisce nell'art. 1839 che in detto servizio la banca risponde verso l'utente per l'idoneità e per la custodia dei locali e per l'integrità della cassetta, salvo il caso fortuito, esclusa la responsabilità per il contenuto della cassetta stessa.

Anche tra locazione di cosa mobile e contratto di trasporto ricorrono alcune affinità. Nel caso di un contratto che abbia per oggetto la semplice prestazione dell'uso di un veicolo senza conducente, si resta nel campo della locatio rei qualora invece il contratto ha per oggetto il trasporto (locatio opens) il locatore assume la veste di vettore.


Elementi essenziali del contratto. Il consenso e la capacità

Dalla definizione contenuta nell'articolo in esame si desumono gli elementi essenziali all'esistenza del contratto di locazione che sono i seguenti: a) il valido consenso delle parti contraenti; b) una cosa, mobile o immobile, oggetto del godimento; c) un corrispettivo determinato per il godimento concesso; d) la durata per la quale il locatore si obbliga a far godere al conduttore, inquilino o affittuario o coltivatore diretto la cosa locata. La forma non è un elemento essenziale e non riguarda tutte le locazioni.

Il consenso presuppone la capacità delle parti contraenti a determinare l'oggetto del godimento, il corrispettivo e la durata del contratto. Perché tale requisito sussista occorre che due volontà intelligenti e libere si incontrino in un unico proposito, in un'unica volontà contrattuale.
L'incapacità produce l'annullabilità del contratto non soltanto se una delle parti era legalmente incapace di contrattare (art. 1425, I comma cod. civ.), ma anche quando il contratto sia stato concluso da una persona, la quale, sebbene non interdetta, risulti essere stata, nel momento della conclusione, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d'intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti risulti la malafede dell'altro contraente (art. 428 cod. civ.). Accanto alla incapacità giuridica e ai vizi del consenso vi è il concetto di incapacità naturale accompagnato da garanzie e da limiti che assicurano contro qualsiasi abuso.


Persone che hanno un diritto reale sulla cosa

Viene in primo luogo l'usufruttuario. L'art. 999 del codice civile ma contiene un' importante innovazione rispetto al codice precedente. Per la legge anteriore le locazioni fatte dall'usufruttuario per un tempo eccedente i cinque anni non erano durevoli, nel caso di cessazione dell'usufrutto, se non per il quinquennio in corso al tempo della cessazione, computando il primo quinquennio dal giorno in cui ebbe principio la locazione e gli altri successivi dal giorno della scadenza del precedente quinquennio. L'art. 999 stabilisce invece che il quinquennio di durata massima decorra dalla cessazione dell'usufrutto, purché le locazioni constino da atto pubblico o da scrittura privata di data certa.

Come l'usufruttuario può cedere il proprio diritto per un certo tempo o per tutta la sua durata, se ciò non è vietato dal titolo costitutivo (art. 980, I comma cod. civ.) così si ritiene generalmente che siano valide le locazioni concesse dall'usufruttuario per tutto il periodo in cui l'usufrutto ha vita.


Capacità ad assumere la veste di conduttore

Di regola parlando di capacità delle parti contraenti a determinare l'oggetto del godimento, il corrispettivo e la durata del contratto, si intende riferirsi sia alla capacità di assumere la veste di locatore, sia a quella di assumere la qualità di conduttore. Vi sono però dei casi previsti dalla legge di incapacità ad assumere tale,ultima veste.
Il rappresentante, cui sia dato l'incarico di concedere locazioni, non può prendere egli stesso la cosa in affitto ciò perché mancherebbe l'estremo del concorso di due volontà distinte necessarie a dar vita al rapporto giuridico. Per la medesima ragione gli articoli 378 e 424 c.c. mantengono, rispettivamente per il tutore (e il protutore) e il curatore, il divieto che era stabilito dall'art. 300 del codice abrogato. Costoro non possono prendere in locazione i beni dell'incapace di cui hanno la tutela o la curatela senza l'autorizzazione e le cautele fissate dal giudice tutelare. Gli atti compiuti in violazione di questo divieto possono essere annullati su istanza dell'incapace o dei suoi eredi o aventi causa, non già su istanza del tutore, del protutore o del curatore che li hanno compiuti.

L'art. 323 cod. civ. non contempla le locazioni tra gli atti vietati al genitore, ma è evidente che la condizione del genitore non è diversa da quella del tutore, per cui egli non può prendere in locazione né per lungo tempo né per breve i beni dei figli soggetti alla sua potestà, salvo l'autorizzazione del giudice tutelare e previa nomina al figlio di un curatore speciale per l'evidente conflitto di interessi e perché ricorra l'altra volontà necessaria a costituire il rapporto giuridico.


Consenso non viziato

Il consenso delle parti contraenti è valido quando non sia affetto da vizi, cioè da violenza, dolo o errore. Su questo argomento valgono i principi generali dei contratti. Basterà osservare che il consenso deve cadere sull'oggetto e sul corrispettivo della locazione nonché sulla durata, sebbene per quest'ultima la legge, sulla base di un tacito riferimento delle parti, sostituisca una determinazione propria all'omessa determinazione convenzionale. Il consenso deve esistere anche sulla natura del contratto, il quale sarebbe invalido se le parti intesero rispettivamente dare e ricevere la cosa a titolo diverso.


Cosa oggetto del godimento

Perché la cosa formi oggetto del godimento deve essere idonea a procurare un'utilità qualsiasi al conduttore. L'art. 1571 afferma esplicitamente che le norme della locazione si applicano alle cose immobili e mobili. Non si era mai dubitato che oggetto del godimento potessero essere anche le cose mobili poiché queste, al pari
delle cose immobili, sono capaci di dare un'utilità al conduttore, né esiste una distinzione tra il diritto che nasce dal rapporto in un caso o nell'altro ma v'e soltanto differenza della cosa su cui cade il godimento. Cosicché la locazione può essere data dal godimento del suolo, di sorgenti, di corsi d'acqua, di alberi, di edifici, di mulini, di bagni, come dal godimento di un letto, di un'automobile, di una macchina da scrivere. Non tutte le disposizioni dettate per le locazioni sono applicabili anche alle cose mobili, per le quali, d'altra parte, la legge fissa norme particolari.

Dato il carattere temporaneo della locazione e l'obbligo della restituzione insito in tale temporaneità, la cosa su cui cade il godimento deve essere determinata, sebbene le parti possano eventualmente pattuire anche una determinazione generica. Così ad esempio stipulata con un noleggiatore la locazione di una bicicletta, in genere questi sarà obbli­gato a consegnare una qualsiasi delle sue macchine.

Il locatore si obbliga a far godere al conduttore una cosa della quale peraltro egli non trasferisce il diritto dominicale che su essa vanta, per cui non possono formare oggetto di godimento le cose le quali si consumano con l'uso. La consumazione della cosa, invero impedisce al conduttore di restituirla nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta, secondo dispone l'art. 1590.

La dottrina ammette un' eccezione al divieto di locazioni di cose consumabili, quando le cose si usino ad pompam vel ostentationem come nel caso di noleggio di varie bottiglie di liquori, per un determinato prezzo affinché un liquorista ne usi per mostra nell'apertura del suo negozio o in quello di fiori concessi per l'adornamento di una festa nuziale o di un' esposizione. La cosa, che è consumabile, viene in questi casi restituita al locatore senza essere stata consumata.
Si è sostenuto che la cosa, oggetto del godimento, debba esistere nel tempo in cui viene pattuita la locazione, ma tale affermazione urta contro il principio sancito dall'art. 1348 cod. civ., secondo il quale la prestazione della cosa futura può essere dedotta in contratto. È pertanto ammissibile la locazione di una casa che il locatore non abbia ancora costruito o acquistato, del mobile di arredamento in lavorazione, dell'abito non ancora confezionato, purché dall'accordo delle parti la cosa risulti determinata. Nel caso dell'affitto dell'uso di un terreno per depositarvi i materiali da estrarre da un torrente è stato invocato lo scioglimento del contratto per mancanza della materia da estrarre e da depositare. La domanda era manifestamente infondata perché non mancava la cosa oggetto del godimento, ma era semplicemente venuto meno il motivo di fatto della locazione e l'uso a cui il terreno avrebbe dovuto servire. Solo nel caso che l'efficacia della locazione fosse stata tassativamente subordinata alla effettiva estrazione della materia e al deposito, l'istanza del conduttore avrebbe potuto trovare accoglimento.
La cosa che il locatore concede in godimento al conduttore non può appartenere a quest'ultimo perché nel diritto di proprietà è compreso quello di godimento (art. 832 cod. civ.). Se il godimento, peraltro, appartenga ad altri per titolo diverso, è concepibile la locazione fatta al proprietario. Valga l'esempio del nudo proprietario che prenda in affitto dall'usufruttuario un suo fondo e quello del concedente che prenda in locazione dall'enfiteuta il fondo enfiteutico. Invece il locatore non può riprendere in affitto o in subaffitto la cosa da lui locata, perché una convenzione del genere non sarebbe altro che una risoluzione del contratto originario. Non varrebbe rilevare l'esistenza di una differenza tra il corrispettivo di questo e il corrispettivo convenuto nella pretesa rilocazione o sublocazione, perché nella differenza devesi riconoscere soltanto l'indennizzo per la risoluzione della locazione originaria. Per tale principio, presentandosi una fattispecie come quella ipotizzata, il conduttore non potrebbe invocare il privilegio dell'art. 2764 cod. civ. per il suo credito verso il proprietario.

Non si discute che oggetto della locazione possa essere rappresentato da un diritto. La locazione dei diritti sarà disciplinata con le regole della locazione dei fondi urbani o dell'affitto dei fondi rustici, a seconda che i diritti medesimi abbiano riferimento ad un fondo urbano o rustico. La locazione di un albergo, di un esercizio industriale andrà ricondotta alle norme della locazione dei fondi urbani.


Liceità dell'oggetto

La locazione deve avere un oggetto lecito e non hanno quindi effetto giuridico le locazioni fondate su di una causa illecita. Per determinare la liceità, peraltro, bisogna aver riguardo al godimento e non confondere la cosa locata con il godimento della cosa stessa. Per l'art. 1343 c.c. la causa del contratto è illecita quando è contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume, ma altra cosa è la causa dell'obbligazione ed altra è il motivo particolare che induce a contrattare. La causa è la ragione giustificativa dell'efficacia giuridica del negozio e consiste obbiettivamente nella corrispondenza tra la prestazione e la controprestazione, nello scambio reciproco di beni e di servizi per cui si attua la cooperazione sociale. I motivi, specie negli atti a titolo oneroso, rimangono estranei alla sostanza vincolativa dell'atto e appartengono al foro interno di ciascun contraente. Il codice contiene la disposizione dell'art. 1345 per la quale il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito ad entrambe e questa disposizione più che un'eccezione al principio costituisce una conferma della regola generale.

Se il locatore tollera l'impianto nei locali ceduti in godimento di un commercio illecito, ma rimane estraneo all'esercizio del commercio medesimo, non ricorre alcuna nullità essendo il motivo illecito estraneo a lui. Qualora invece oggetto del negozio non fosse il godimento della cosa locata, ma l'esercizio del commercio immorale, il motivo illecito che avrebbe determinato le parti a concludere la locazione sarebbe comune ad entrambe e renderebbe nullo il negozio, con la conseguenza che dovrebbe essere negata ogni azione per costringere all'adempimento del contratto.
Il diniego dell'azione per l'adempimento del contratto importa anche l'esclusione della ripetizione di somme pagate a titolo di caparra di anticipazioni in base alle massime in pari turpitudine melior est condicio possidentis e nemo auditor suam turpitudinem allegans.


Corrispettivo

L'art. 1571 sancisce l'obbligo del conduttore di corrispondere un determinato corrispettivo.
Se il corrispettivo consiste, di regola, in danaro, perché la moneta rappresenta il mezzo per commisurare il valore negli scambi e assume comunemente il nome di pigione nelle locazioni di fondi urbani, di fitto in quelle di fondi rustici e di nolo in quelle di cose mobili, il legislatore esplicitamente sancisce che il fitto può consistere anche in una quota ovvero in una quantità fissa o variabile dei frutti del fondo locato (art. 1639). La disposizione è contenuta nella sezione dell'affitto, ma non deve ritenersi che la corrisposta in frutti e derrate sia esclusiva dell'affitto di fondi rustici, perché nulla vieta che anche il canone locatizio dei fondi urbani o il nolo delle cose mobili sia rappresentato da un certo quantitativo di grano, di olio, di vino. La parola « corrispettivo » contenuta nella definizione della locazione in generale, che significa quanto si dà in cambio di ciò che si riceve, autorizza questa ampia concezione. Anzi la corrisposta in natura rappresenta il primo grado dello sviluppo del contratto di locazione e perché originaria, ne costituisce il carattere più proprio e naturale.

Il corrispettivo del godimento della cosa deve essere determinato. Una indeterminazione relativa non nuoce quando nello stesso contratto siano fissati gli elementi per la sua determinazione, e certo e determinato può dirsi il corrispettivo ragguagliato ad una parte aliquota della produzione. Nuoce invece quando il corrispettivo sia riferito ad una quantità di cui non sia stabilita la base dell'accertamento. Il corrispettivo è certo quando sia determinato per ogni unità di misura: tanto per ogni ettaro, tanto per ogni vano, tanto per ogni copertone ecc.
In mancanza di determinazione convenzionale può supplire la determinazione tacita, cioè risultante dalla legge, da usi o dal precedente rapporto esistente fra le parti, sempre che il silenzio, accompagnato da altre circostanze, non induca a ritenere la gratuità della concessione. Valga l'esempio del noleggio della vettura pubblica nel quale il corrispettivo è quello fissato dalla tariffa e segnato nel tassametro, l'affitto dei banchi nel pubblico mercato in base alla tariffa stabilita dal Comune.

Se l'accordo sul canone locativo manca del tutto, non sussiste il contratto di locazione. Non è necessario però che l'accordo intervenga contemporaneamente a quello sulla cosa, potendo le parti riservarsi di mettersi d'accordo successivamente. Se l'accordo successivo non interviene, il contratto deve ritenersi inesistente, ma è sempre possibile che le parti, nel riservarsi la determinazione del corrispettivo, abbiano concordato il modo di risolvere l'eventuale futura discordanza analogamente a quanto è stabilito per il prezzo della vendita.


Forma e prova del contratto

Non sono richieste, di regola, forme particolari per la locazione, che può essere convenuta per iscritto o anche verbalmente. Quale eccezione alla regola della libertà contrattuale l'art. 1350, n. 8 stabilisce che i contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata sotto pena di nullità. Le cautele con le quali la legge circonda la locazione per una durata superiore a nove anni non hanno a fondamento una diversa essenza dell'atto, che rimane sempre un atto di amministrazione, ma l'opportunità di non diminuire troppo il valore commerciale del bene.
Quale conseguenza del principio per il quale le locazioni ultranovennali devono risultare da atto scritto ed essendo la riconduzione un nuovo contratto, per il quale occorre un nuovo consenso manifestato in forma idonea, questo consenso e questa forma non possono, per la locazione della durata predetta, essere rappresentati da tacita manifestazione, salvo che lo stesso originario contratto non preveda la riconduzione, ad esempio in mancanza di disdetta, nella quale ipotesi, però, non di riconduzione tacita si tratterebbe, ma d'ininterrotta continuazione dello stesso contratto originario.
Per il medesimo principio è richiesta l'esistenza della forma scritta ad substantiam per quelle locazioni che, sebbene stipulate per la durata di un novennio, s'intendono, con patto espresso, prorogate alla scadenza per uguale periodo di tempo o anche per un periodo minore in assenza di disdetta: si tratta, invero, di contratto unico per una durata che supera, complessivamente, il novennio.

La solennità della forma scritta è richiesta sotto pena di nullità, il che significa che, in mancanza dell'atto scritto, la locazione non può produrre alcun effetto neppure limitatamente al novennio, periodo per il quale avrebbe potuto essere convenuta anche oralmente. Invero l'accordo delle parti viene raggiunto sull'insieme delle convenzioni e la riducibilità del contratto, salvo che non sia espressamente stabilita dalla legge, come nell'ipotesi del successivo art. 1573, urta contro il principio dell'unità del contratto medesimo.

Il precetto dell'art. 1350, n. 8 riguarda le locazioni di beni immobili, ne consegue che la locazione che ha per oggetto una cosa mobile può essere convenuta verbalmente anche per una durata eccedente il novennio senza incorrere in alcuna sanzione di nullità e senza che per essa si presenti la questione della riducibilità alla durata di nove anni.
L'art. 1351 cod. civ. stabilisce che il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo. Il principio è stato introdotto in base alla considerazione che il contratto preliminare, per quanto non abbia il medesimo effetto di quello definitivo, ha tuttavia la forza di obbligare a concluderlo. Il contratto preliminare di una locazione ultranovennale deve pertanto essere redatto per iscritto ad substantiam.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

384 Delineati gli estremi del contratto locativo (art. 423), mi sono preoccupato immediatamente di determinare i limiti della capacità attiva e passiva nel contratto di locazione: mi sono all'uopo riferito, oltre che alla locazione immobiliare, considerata dal codice (art. 1572) e dal progetto del 1936 (art. 418), anche alla locazione di cose mobili, che giustamente la Commissione reale ha creduto di comprendere nella disciplina della locazione di cose.

Massime relative all'art. 1571 Codice Civile

Cass. civ. n. 6596/2023

Quando in un contratto di locazione la parte locatrice è costituita da più locatori, dal lato passivo ciascuno di essi è tenuto nei confronti del conduttore alla medesima prestazione, mentre dal lato attivo può agire nei riguardi del locatario per l'adempimento delle sue obbligazioni, trovando applicazione la disciplina della solidarietà ex art. 1292 c.c., la quale, tuttavia, non determina la nascita di un rapporto unico ed inscindibile e non dà luogo, perciò, a litisconsorzio necessario tra i diversi obbligati o creditori. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che - in relazione a un contratto di locazione che prevedeva che il pagamento del canone avvenisse mediante bonifico su un conto corrente intestato a due dei plurimi locatori - aveva ritenuto che la chiusura di tale conto, a seguito del decesso dei relativi intestatari, non legittimasse in alcun modo il conduttore ad interrompere il pagamento del canone, che avrebbe dovuto invece effettuarsi al domicilio di altro co-locatore, in applicazione dell'art. 1182, comma 3, c.c.).

Cass. civ. n. 4947/2023

Qualora le parti del contratto di locazione di un immobile urbano definiscano transattivamente le liti giudiziarie fra loro pendenti circa la durata del rapporto e l'ammontare del canone, stabilendo, fra l'altro, una determinata scadenza per il rilascio dell'immobile ed un certo corrispettivo per il suo ulteriore godimento, questo nuovo rapporto, ancorché di natura locatizia, trova la sua inderogabile regolamentazione nei patti del negozio transattivo e, in via analogica, nella normativa generale delle locazioni urbane, ma si sottrae - data la sua genesi e l'unicità della causa che avvince il complesso rapporto - alla speciale disciplina giuridica che regola la materia delle locazioni (leggi di proroga legale, legge cosiddetta dell'equo canone e successive modificazioni) cui è assolutamente insensibile. Peraltro il precedente rapporto, che deve ritenersi convenzionalmente estinto alla data della transazione, resta regolato - per quanto riguarda il suo svolgimento e la sua cessazione - dallo stesso negozio transattivo ovvero, in mancanza di patti contrari, dalla normativa ordinaria e da quella speciale previgenti. (In applicazione del principio, la S.C. ha statuito che la rinuncia all'indennità di avviamento contenuta in un accordo, trasfuso nel verbale di conciliazione concluso tra le parti a definizione di un precedente contenzioso tra le stesse, è sottratta alla sanzione della nullità ex art. 79 l. n. 392 del 1978L. 27/07/1978, n. 392).

Cass. civ. n. 14598/2021

Il conduttore di un'unità immobiliare compresa in un edificio condominiale può, al pari del proprietario, godere delle relative parti comuni ed anche, eventualmente, modificarle, purché in funzione del godimento o del miglior godimento dell'unità immobiliare oggetto primario della locazione (limite cd. interno) e sempre che non risulti alterata la destinazione di esse, né pregiudicato il paritario uso da parte degli altri condomini (limite cd. esterno). (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva condannato la conduttrice di un locale facente parte di un condominio a rimuovere la canna fumaria dalla stessa precedentemente installata sulla facciata esterna del fabbricato, sul presupposto che alterasse il decoro architettonico dello stesso).

Cass. civ. n. 9666/2020

La mancata consegna dell'immobile locato da parte del locatore esclude l'obbligo del conduttore di pagare il canone, senza che assuma rilievo la facoltà del locatario di agire per la consegna coattiva del bene o per la risoluzione del contratto.

Cass. civ. n. 34158/2019

Nell'ipotesi in cui, nel corso del giudizio instaurato dal locatore per ottenere la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, intervenga la restituzione dell'immobile per finita locazione, non vengono meno l'interesse ed il diritto del locatore ad ottenere l'accertamento dell'operatività di una pregressa causa di risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore, potendo da tale accertamento derivare effetti a lui favorevoli. Del pari, il giudicato formatosi sulla cessazione, per intervenuta scadenza, della locazione non preclude alla parte che ne ha interesse attuale l'esame della domanda di accertamento, con valore di giudicato, dell'operatività di una pregressa causa di risoluzione del contratto per inadempimento grave del conduttore, atteso che, qualora più fatti diano diritto, ciascuno in maniera autonoma, alla cessazione di un contratto, sussistono altrettante "causae petendi" e, quindi, azioni, sicché la pronuncia sull'una, passata in giudicato, non preclude l'esame delle altre.

Cass. civ. n. 25433/2019

La locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell'ambito della gestione di affari, con la conseguenza che, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore può ratificare l'operato del gestore senza formalità particolari, potendo la ratifica essere espressa dalla stessa domanda di pagamento dei canoni, ed esigere dal conduttore, in virtù dell'art. 1705, comma 2, c.c. - applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nell'art. 2032 c.c. - la parte, proporzionale alla propria quota di proprietà indivisa, dei canoni locatizi dovuti nel periodo successivo alla ratifica, non avendo tale atto efficacia retroattiva.

Cass. civ. n. 24222/2019

In tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, nel caso in cui il contratto sia stato stipulato dall'usufruttario il quale, nel corso del rapporto, abbia indebitamente percepito somme eccedenti quelle dovute a titolo di canone, alla morte del locatore, la domanda del conduttore volta a conseguire la ripetizione delle somme deve essere proposta nei confronti degli eredi dell'usufruttuario, e non già del nudo proprietario divenuto "medio tempore" pieno proprietario.

Cass. civ. n. 23986/2019

In base al principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola con cui viene pattuita l'iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto (a) mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo, oppure (b) mediante il frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione, ovvero (c) correlando l'entità del canone all'incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione delle parti, sull'equilibrio economico del sinallagma. Al contrario, la legittimità di tale clausola va esclusa qualora risulti - dal testo del contratto o da elementi extratestuali della cui allegazione è onerata la parte che invoca la nullità - che i contraenti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della l. n. 392 del 1978 e così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, comma 1, della stessa legge.

Cass. civ. n. 2976/2019

Il contratto di locazione immobiliare, se non diversamente convenuto, include anche le pertinenze, con la conseguenza che la specifica esclusione del rapporto pertinenziale tra due porzioni immobiliari ad opera dell'originario proprietario di entrambe non consente di affermare la sussistenza del relativo vincolo, pur ove possa apparire ragionevole l'utilità della cosa accessoria rispetto a quella principale.

Cass. civ. n. 14731/2018

Nei contratti di locazione relativi ad immobili destinati ad uso non abitativo, grava sul conduttore l'onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell'attività che egli intende esercitarvi, nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative; ne consegue che, ove il conduttore non riesca ad ottenere tali autorizzazioni, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento a carico del locatore, e ciò anche se il diniego sia dipeso dalle caratteristiche proprie del bene locato. La destinazione particolare dell'immobile, tale da richiedere che lo stesso sia dotato di precise caratteristiche e che attenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell'obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell'immobile in relazione all'uso convenuto, solo se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, in contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l'attestazione del riconoscimento dell'idoneità dell'immobile da parte del conduttore. (Rigetta, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 15/06/2016).

Cass. civ. n. 12607/2018

In materia di locazione d'immobile ad uso diverso da quello abitativo, la disdetta, da parte del locatore, del contratto di locazione che sia intempestiva per la scadenza contrattuale ivi indicata produce validamente e da subito l'effetto di fare cessare il contratto alla scadenza immediatamente successiva; pertanto, da un lato non elide tale effetto la mera inerzia del locatore, successiva alla scadenza per la quale la disdetta era intempestiva e quand'anche accompagnata dalla mera protrazione della percezione del canone, né, dall'altro lato, per potersene egli valere gli necessita un'esplicita manifestazione di volontà in tal senso; ne consegue che il locatario che rilasci l'immobile alla scadenza successiva a quella per la quale era stata tardivamente intimata la disdetta non può dirsi, ai fini dell'esclusione del suo diritto all'indennità di avviamento commerciale, avere rilasciato l'immobile per iniziativa unilaterale sua propria ovvero spontanea, ma appunto in dipendenza della disdetta validamente intimata per la scadenza successiva.

Cass. civ. n. 15146/2017

Nel caso di immobile concesso in locazione dalla P.A., quest'ultima non è esonerata dall’onere di provare, con ogni mezzo - e, quindi, anche per presunzioni - l’esistenza di una concreta lesione del suo patrimonio, benché tale dimostrazione, ove l’immobile fosse destinato ad investimento produttivo mediante locazione, non debba essere data necessariamente attraverso proposte contrattuali ricevute, potendo essere desunta da altre circostanze di fatto che depongano per il mancato conseguimento di corrispettivi locativi commisurati a quelli di mercato; qualora, invece, l’immobile fosse destinato ad utilizzo per esigenze proprie dell’ente pubblico, il danno deve essere commisurato ad altre e diverse conseguenze pregiudizievoli, che devono essere puntualmente dimostrate, quali il costo sopportato dall’ente costretto a mantenere i propri uffici nell’originaria allocazione, ovvero la lievitazione dei prezzi dei lavori di ristrutturazione preventivati sull’immobile, o, ancora, la incidenza economica negativa, determinata dalla indisponibilità del bene, sul risultato della attività amministrativa.

Cass. civ. n. 13092/2017

In materia di locazione immobiliare ad uso diverso da abitazione, intervenuta la disdetta del contratto da parte del locatore, ove il conduttore, per parte propria, si avvalga della facoltà di recesso per gravi motivi, è comunque tenuto al pagamento del canone fino alla scadenza del termine semestrale di preavviso, indipendentemente dal fatto che il rilascio sia avvenuto in data anteriore.

Cass. civ. n. 3795/2017

In tema di locazione di immobili ad uso diverso da quello abitativo, ove il rapporto sia cessato a seguito di convalida della licenza intimata dal locatore, questi - difettando di interesse al riguardo - non può far valere, dopo la scadenza, una clausola risolutiva espressa del contratto, neppure al fine di sottrarsi al versamento dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale.

Cass. civ. n. 411/2017

L’ordinanza di convalida di licenza o di sfratto per finita locazione, preclusa l’opposizione tardiva, acquista efficacia di cosa giudicata sostanziale non solo sull’esistenza della locazione, sulla qualità di locatore dell’intimante e di conduttore dell’intimato, sull’intervento di una causa di cessazione o risoluzione del rapporto, ma anche sulla sua qualificazione, se la scadenza del medesimo, richiesta e accordata dal giudice, è strettamente collegata alla tipologia del contratto.

Cass. civ. n. 27021/2016

In tema di contratto di locazione, quando la titolarità della posizione di locatore appartenga a più soggetti, i diritti nascenti dal contratto verso il conduttore, compreso quello di attivarsi giudizialmente per il pagamento dei canoni, in assenza di una specifica previsione contrattuale, sono esercitabili tanto congiuntamente quanto dal singolo o da alcuni dei contitolari, atteso che - secondo le regole generali della comunione dei diritti - la gestione dei rapporti obbligatori, non implicando disposizione della posizione comune ma solo una attività di gestione ordinaria, sono espressione del diritto di ciascuno all’amministrazione della stessa.

Cass. civ. n. 19785/2015

L'operazione di leasing finanziario si caratterizza per l'esistenza di un collegamento negoziale tra il contratto di leasing propriamente detto, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo (noto a quest'ultimo) di soddisfare l'interesse dell'utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, in forza del quale, ferma restando l'individualità propria di ciascun tipo negoziale, l'utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. In mancanza di un'espressa previsione normativa al riguardo, l'utilizzatore non può, invece, esercitare l'azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo) se non in presenza di specifica clausola contrattuale, con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale, restando il relativo accertamento rimesso al giudice di merito poiché riguarda non la "legitimatio ad causam" ma la titolarità attiva del rapporto.

In tema di vizi della cosa concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all'uso, occorre distinguere l'ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della consegna (rifiutata dall'utilizzatore) da quella in cui siano emersi in epoca successiva, perché nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore, atteso che nella prima ipotesi, assimilabile a quello della mancata consegna, il concedente, informato della rifiutata consegna, in forza del principio di buona fede, è tenuto a sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, ad agire verso quest'ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo, mentre nel secondo caso l'utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa, e il concedente, una volta messo a conoscenza dei vizi, ha i medesimi doveri di cui all'ipotesi precedente. In ogni caso, l'utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente.

Cass. civ. n. 18660/2013

La distinzione tra comodato e locazione poggia fondamentalmente sul carattere di essenziale gratuità del comodato, laddove si realizzano gli estremi costitutivi del contratto di locazione quando per il godimento di un bene sia pattuita una controprestazione, in qualsiasi misura e sotto qualsiasi forma. Ne consegue che, a fronte della domanda volta all'accertamento di un rapporto locativo, al fine di ottenere la condanna del convenuto al pagamento del canone, oppure volta all'accertamento di un'occupazione senza titolo, al fine di ottenere la condanna del convenuto al pagamento dell'indennità di occupazione, compete esclusivamente al convenuto provare il possesso di un titolo, come il comodato, che ne assicuri non solo il legittimo godimento del bene, ma anche il carattere essenzialmente gratuito.

Cass. civ. n. 15443/2011

Il rapporto che nasce dal contratto di locazione e che si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale, con la conseguenza che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, onde la relativa legittimazione è riconoscibile anche in capo al detentore, a meno che la detenzione non sia stata acquistata illecitamente. Ne consegue la validità ed efficacia della locazione stipulata dal condomino di un bene comune del quale abbia la detenzione esclusiva.

Cass. civ. n. 5077/2010

Qualora in un contratto di locazione di immobile la parte locatrice sia costituita da più locatori, in capo a ciascuno dei comproprietari concorrono, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori, rispondendo, peraltro, a regole di comune esperienza che uno o alcuni dei comproprietari gestiscano, con il consenso degli altri, gli interessi di tutti; l'eventuale mancanza di poteri o di autorizzazione rileva nei soli rapporti interni fra i comproprietari e non può essere eccepita alla parte conduttrice che ha fatto affidamento sulle dichiarazioni o sui comportamenti di colui o di coloro che apparivano agire per tutti. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza della corte di merito che aveva ritenuto valida la cessione del contratto di locazione da parte del conduttore, in quanto i locatori, dopo aver ricevuto la comunicazione scritta dell'avvenuta cessione, avevano accettato senza riserve dalla cessionaria il pagamento dei canoni scaduti, rilasciandone ricevuta, e solo due mesi dopo tale comportamento concludente avevano comunicato di non acconsentire alla cessione, senza che nelle sedi di merito nessuno dei locatori avesse dimostrato di essersi espressamente e formalmente dissociato dai comportamenti di colui che aveva incassato i canoni rilasciandone ricevuta).

Cass. civ. n. 14530/2009

Qualora in un contratto di locazione la parte locatrice sia costituita da più locatori, ciascuno di essi è tenuto, dal lato passivo, nei confronti del conduttore alla medesima prestazione, così come, dal lato attivo, ognuno degli stessi può agire nei riguardi del locatario per l'adempimento delle sue obbligazioni, applicandosi in proposito la disciplina della solidarietà di cui all'art. 1292 c.c., che non determina, tuttavia, la nascita di un rapporto unico ed inscindibile e non dà luogo, perciò, a litisconsorzio necessario tra i diversi obbligati o creditori. (Fattispecie relativa alla ritenuta ammissibilità di un procedimento di sfratto per morosità azionato solo da parte di alcuni coeredi dell'originaria locatrice).

Cass. civ. n. 19929/2008

Nelle vicende del rapporto di locazione, l'eventuale pluralità di locatori integra una parte unica, al cui interno i diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono alla disciplina della comunione; sugli immobili oggetto di comunione concorrono, quindi, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari in virtù della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri o quanto meno della maggioranza dei partecipanti alla comunione. Ne consegue che il singolo condomino può stipulare il contratto di locazione avente ad oggetto l'immobile in comunione e che ciascun condomino è legittimato ad agire per il rilascio del detto immobile, trattandosi di atto di ordinaria amministrazione per il quale deve presumersi sussistente il consenso già indicato, senza che sia necessaria la partecipazione degli altri e, quindi, l'integrazione del contraddittorio.

Cass. civ. n. 19678/2008

Il conduttore, cui è concesso il godimento della cosa comune nei limiti della quota della sua proprietà, ha la, detenzione di questa insieme agli altri condomini, perché il suo uso parziale e concorrente con quello degli altri lascia il rapporto nell'ambito del contratto di locazione, il quale non presuppone che il godimento della cosa sia esclusivo. Ne consegue che nei confronti del conduttore di un immobile, che ne abbia acquistato la proprietà per una quota parte, non può essere conseguita dal locatore la risoluzione della locazione, non potendo l'acquirente essere privato del compossesso del bene conseguito con l'acquisto.

Cass. civ. n. 25125/2006

In ipotesi di leasing sia di godimento che traslativo, l'opzione di acquisto (che nel primo caso è normalmente prevista per un prezzo di modesta entità, costituendo una pattuizione marginale ed accessoria in vista dell'eventuale interesse alla prosecuzione dell'utilizzazione del bene, mentre nell'altro si presenta come situazione necessitata per dare corrispettività alla quota del prezzo già versato senza ricevere una corrispondente utilità) è intimamente compenetrata nella concessione di godimento del bene e il relativo esercizio non dà luogo alla formazione di un nuovo contratto funzionalmente autonomo rispetto a quello di leasing ma concreta un accordo traslativo che trova in tale contratto il proprio fondamento causale. Ne consegue che la relativa cessione va effettuata unitamente al contratto di leasing cui inerisce, realizzandosi così una successione a titolo particolare nel rapporto negoziale mediante la sostituzione di un soggetto (cessionario) nella complessiva posizione giuridica attiva e passiva di uno dei contraenti originari (cedente).

Cass. civ. n. 17145/2006

Il leasing finanziario non dà luogo ad un unico contratto trilaterale o plurilaterale ma realizza un'ipotesi di collegamento negoziale tra il contratto di leasing ed il contratto di fornitura, dalla società di leasing concluso allo scopo noto al fornitore di soddisfare l'interesse del futuro utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, il cui godimento rappresenta l'interesse che l'operazione negoziale è volta a realizzare, costituendone la causa concreta, con specifica ed autonoma rilevanza rispetto a quella parziale dei singoli contratti, dei quali connota la reciproca interdipendenza, sicché le vicende dell'uno si ripercuotono sull'altro, condizionandone la validità e l'efficacia nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale, a tale stregua segnandone la distinzione con il negozio complesso e con il negozio misto.

In caso di leasing finanziario atteso che con la conclusione del contratto di fornitura viene a realizzarsi nei confronti del terzo contraente quella stessa scissione di posizioni che si ha per i contratti conclusi dal mandatario senza rappresentanza (sicché ai sensi dell'art. 1705, secondo comma, c.c. il mandante ha diritto di far propri di fronte ai terzi in via diretta e non in via surrogatoria i diritti di credito sorti in testa al mandatario, assumendo l'esecuzione dell'affare, a condizione che egli non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso, potendo il mandante peraltro esercitare in confronto del terzo le azioni derivanti dal contratto stipulato dal mandatario volte ad ottenerne l'adempimento od il risarcimento del danno in caso di inadempimento) l'utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. In mancanza di un'espressa previsione normativa al riguardo può invece proporre la domanda di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing cui essa è estranea solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale venga all'utilizzatore dalla società di leasing trasferita la propria posizione sostanziale. Il suo accertamento, trattandosi di questione concernente non già la legitimatio ad causam bensì la titolarità attiva del rapporto, è rimesso al giudice del merito in relazione al singolo caso concreto.

Cass. civ. n. 19657/2004

Nell'operazione di leasing finanziario, che non dà luogo ad un unico contratto plurilaterale, ma realizza una figura di collegamento negoziale tra contratto di leasing e contratto di fornitura, se il concedente imputa all'utilizzatore l'inadempimento costituito dalla sospensione del pagamento dei canoni e su questa base chiede la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno nell'ammontare convenzionalmente predeterminato e se l'utilizzatore eccepisce l'inadempimento del fornitore all'obbligazione di consegna e chiede perciò il rigetto della domanda, l'accoglimento dell'eccezione, che deve avvenire sulla base dell'art. 1463 c.c., non può trovare ostacolo nel fatto che il contratto di leasing contenga una clausola che riversi sull'utilizzatore il rischio della mancata consegna, dovendosi ritenere invalide siffatte clausole. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito laddove affermava che è interesse del concedente ricevere il verbale di consegna, prima di iniziare i pagamenti nei confronti del fornitore, per paralizzare l'eccezione di mancata consegna da parte dell'utilizzatore).

Cass. civ. n. 5125/2004

Nel contratto di locazione finanziaria («leasing») il concedente è litisconsorte necessario nel processo promosso dall'utilizzatore nei confronti del fornitore per ottenere la risoluzione del contratto per vizi della cosa, ovvero per far valere il diritto alla riduzione del prezzo della fornitura, atteso che in entrambi i casi la decisione della causa, per gli effetti che è destinata a produrre, sia nel rapporto tra fornitore e concedente sia nel rapporto incrociato e logicamente dipendente tra concedente e utilizzatore, sarebbe inutiliter data senza la partecipazione in giudizio del concedente.

Cass. civ. n. 17913/2003

Il contratto di locazione ha natura personale e prescinde del tutto dall'esistenza e titolarità nel locatore di un diritto reale sulla cosa. Il conduttore, convenuto per la risoluzione del contratto per inadempimento, non può pertanto utilmente opporre al locatore che quest'ultimo non ha mai avuto o ha perduto la titolarità della cosa locata.

Cass. civ. n. 11240/2003

Allorché le parti di un leasing finanziario stipulino, con un contratto coevo o successivo, un patto di riscatto del bene concesso in godimento, tra i due contratti i quali, ancorché autonomi, sono lo strumento di cui le parti si avvalgono per conseguire il risultato di far acquistare all'utilizzatore la proprietà del bene concesso in godimento si crea un vincolo di collegamento, tale per cui le vicende di un contratto si comunicano necessariamente all'altro, di tal che risulta precluso cedere il contratto di leasing indipendentemente da quello che prevede il patto di riscatto. Diversamente, la posizione dell'utilizzatore ceduto sarebbe incisa al punto che il medesimo, pur dopo aver esercitato il riscatto e acquistato, cosa, la proprietà del bene, dovrebbe continuare a pagare i canoni di godimento al cessionario.

Cass. civ. n. 6369/2002

In tema di leasing traslativo, la clausola contrattuale che pone a carico dell'utilizzatore il rischio per la perdita del bene oggetto del contratto non ha carattere vessatorio, poiché essa si limita a regolare la responsabilità per la perdita del bene in conformità della disciplina legale desumibile in via analogica dall'art. 1523 c.c. sulla vendita a rate con riserva della proprietà.

Nel leasing di godimento, pattuito con funzione di finanziamento per la durata del contratto, i canoni costituiscono il corrispettivo dell'uso dei beni. Per contro nel leasing traslativo la circostanza che i beni conservino alla scadenza un valore residuo superiore rispetto al prezzo d'esercizio dell'opzione di acquisto assegna ai canoni la consistenza di corrispettivo del trasferimento. Pertanto in tale tipo di contratto è da escludere la nullità per mancanza di causa della clausola che, conformemente al disposto dell'art. 1523 c.c. in tema di vendite a rate con riserva di proprietà, ponga i rischi a carico del compratore sin dal momento della consegna.

Cass. civ. n. 1715/2001

Per stabilire se il contratto di leasing è di godimento o traslativo, occorre individuare la volontà delle parti al momento della conclusione di esso, accertando se il canone è stato pattuito come corrispettivo dell'utilizzazione del bene, ovvero come corresponsione anticipata di parte del prezzo per il suo acquisto alla prevista scadenza del contratto. Si ha infatti la figura del leasing di godimento allorché l'insieme dei canoni è inferiore, in modo consistente, alla remunerazione del capitale investito nell'operazione di acquisto e concessione in locazione del bene, e lascia non coperta una parte non irrilevante di questo capitale, mentre il prezzo pattuito per l'opzione è di corrispondente livello; ricorre, invece, la figura del leasing traslativo se l'insieme dei canoni remunera interamente il capitale impiegato, ed il prevedibile valore del bene alla scadenza del contratto sopravanza in modo non indifferente il prezzo di opzione.

Cass. civ. n. 14472/2000

Poiché la normale entità è incompatibile con la nozione generale della locazione a norma dell'art. 1571 c.c., non si può presumere il carattere gratuito dell'uso di un immobile di proprietà del datore di lavoro accordato al lavoratore e costituisce onere di quest'ultimo provare l'eventuale esistenza di un rapporto di comodato. (Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che, sulla base di una situazione di incertezza probatoria, aveva escluso la detraibilità, dalle somme dovute al lavoratore per differenza retributiva ex art. 36 Cost., del corrispettivo dovuto per l'uso dell'abitazione).

Cass. civ. n. 329/2000

La denuncia di un contratto verbale di locazione all'ufficio del registro ha finalità di solo ordine fiscale, sicché la stessa, quand'anche sottoscritta da entrambe le parti contraenti e quand'anche annualmente ripresentata al fisco, una volta prodotta in giudizio e contestata dalla controparte, non è idonea, in sé, a provare che una pregressa convenzione scritta di locazione pluriennale sia stata novata con accordi di diverso contenuto.

Cass. civ. n. 12871/1998

Il corrispettivo a carico del conduttore nel contratto di locazione può essere costituito anche, in parte, da un'attività lavorativa resa in favore del locatore, non dissimilmente dall'ipotesi in cui il godimento di un locale può costituire parte della retribuzione del lavoratore in un rapporto di lavoro subordinato. La distinzione tra le due ipotesi consiste nella diversa importanza della prestazione lavorativa nell'economia del contratto. (Nella specie la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice del merito che aveva ritenuto che tra le parti fosse stato posto in essere non già un rapporto di lavoro subordinato, bensì un rapporto atipico che prevedeva l'obbligo per un soggetto di svolgere l'attività di verifica dell'ingresso e dell'uscita dei fruitori di un'area di parcheggio e rimessaggio con esazione del prezzo del servizio a fronte del diritto per il medesimo soggetto di godimento di un appartamento sito nella medesima area).

Cass. civ. n. 12304/1997

Poiché il contratto di locazione di beni mobili non è soggetto a forma scritta ad substantiam può essere provato anche per fatta concludentia con riferimento ad entrambi i suoi elementi costitutivi (godimento della cosa e pagamento del corrispettivo, quest'ultimo non necessariamente determinato, ma determinabile nella sua entità economica).

Cass. civ. n. 12303/1997

Costituisce locazione di bene mobile il contratto con il quale si concede in godimento un macchinario (nella specie: motocompressore) per un certo tempo e dietro un corrispettivo determinato o comunque determinabile, con acquisto da parte del conduttore della detenzione della cosa medesima che entra nell'ambito della sua disponibilità.

Cass. civ. n. 4367/1997

La locazione finanziaria (cosiddetto leasing) si svolge come un rapporto trilaterale in cui l'acquisto ad opera del concedente va effettuato per conto dell'utilizzatore, con la previsione, quale elemento naturale del negozio dell'esonero del primo da ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l'utilizzatore, essendo quest'ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il bene che sarà oggetto del contratto e a stabilire le condizioni di acquisto del concedente, il quale non assume indirettamente l'obbligo della consegna, né garantisce che il bene sia immune da vizi e che presenti le qualità promesse, né rimane tenuto alla garanzia per evizione.

Cass. civ. n. 4195/1996

Nel contratto di leasing il concedente è tenuto a garantire all'utilizzatore il pacifico godimento del bene ed, a sua volta, l'utilizzatore è tenuto ad avere cura del bene, ad usarlo in modo ragionevole ed a conservarlo nello stato in cui gli è stato consegnato, tant'è vero che quest'ultimo, alla scadenza del termine pattuito per il godimento, deve restituire il bene nello stato in cui gli era stato consegnato, salvo che eserciti, se pattuito, il diritto di acquistare il bene o di prorogare il rapporto di leasing per un ulteriore periodo. Ne consegue che l'obbligazione di custodire il bene da parte dell'utilizzatore è parte integrante del contratto in oggetto e la clausola dell'accordo che esplicitamente la prevede non può considerarsi vessatoria e non ha bisogno, pertanto, di specifica sottoscrizione ai sensi dell'art. 1341 c.c.

Cass. civ. n. 9491/1994

Sebbene il contratto di locazione abbia natura personale e prescinda dall'esistenza e titolarità, in capo al locatore, di un diritto reale sulla cosa, essendo sufficiente che egli ne abbia la disponibilità, è tuttavia necessario che tale disponibilità abbia avuto genesi in un rapporto (o titolo) giuridico che comprenda il potere di trasferirne al conduttore la detenzione o il godimento. Ne consegue che non può assumere qualità di locatore colui che abbia soltanto la disponibilità di fatto della cosa stessa. (In applicazione dell'enunciato principio, la Suprema Corte ha escluso che l'appaltatore, il quale aveva la detenzione dell'opera costruita su un'area promessagli in vendita dal committente, godesse del potere di disporre dell'opera stessa a titolo di locazione, essendosi trattato di una disponibilità di mero fatto, conseguita al di fuori di qualsiasi rapporto giuridico implicante l'attribuzione di un simile potere).

Cass. civ. n. 11/1990

Nel caso in cui più soggetti siano titolari, quali conduttori, della locazione di un immobile ed abbiano tra loro convenuto le modalità di utilizzazione dello stesso, non è consentito ad alcuno di essi di chiedere al giudice di stabilire giudizialmente le modalità di godimento per ciascuno dei conduttori, atteso che in tal caso non sono applicabili le norme sulla comproprietà, riguardando una comunione di interessi che scaturisce dalla contitolarità di un rapporto di natura meramente obbligatoria non solo nei confronti del locatore, ma anche nei loro rapporti interni, che può essere modificato soltanto con il consenso di tutti.

Cass. civ. n. 2207/1989

Il rilascio di quietanze per somme pagate a titolo di pigione non costituisce, di per sè, prova della sussistenza di un contratto di locazione, essendo idonee, per il loro carattere unilaterale, soltanto ad indicare l'autore del pagamento ed il quantum ricevuto.

Cass. civ. n. 3611/1987

Con riguardo alla locazione di immobile, che sia poi pervenuto, per successione al locatore, a diversi eredi, il diritto del singolo erede di conseguire la risoluzione del rapporto limitatamente alla propria porzione, deve essere negato qualora la prestazione fissata con l'originario contratto abbia carattere indivisibile, alla stregua dell'unitaria funzione assegnata dalle parti al contratto stesso, atteso che, in tale ipotesi, detta indivisibilità opera anche nei riguardi degli eredi, ai sensi dell'art. 1318 c.c.

Cass. civ. n. 2091/1985

Qualora un'associazione, con finalità di assistenza morale e materiale in favore di coloro che si trovino in determinate condizioni di bisogno (nella specie, Associazione Cattolica Internazionale al servizio della giovane), conferisca ad una di dette persone il godimento di una stanza in proprio fabbricato, la revocabilità ad nutum di tale concessione non può essere esclusa, sotto il profilo della ricorrenza di un rapporto tipico di locazione, per il solo fatto del versamento periodico di una certa somma da parte del beneficiario di quella stanza, poiché l'affermazione del rapporto locativo postula che la suddetta somma configuri controprestazione dell'obbligo del concedente di garantire il godimento del bene, e non anche, pertanto, mero rimborso di spese nell'ambito di un comodato o di una concessione gratuita in uso, ovvero mero onere nell'ambito di una locazione atipica e precaria.

Cass. civ. n. 4119/1984

Chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico (esclusi, cioè, il ladro, il ricettatore, l'usurpatore di immobile, etc.) può validamente concederla in locazione, in comodato o costituirvi altro rapporto obbligatorio ed è, di conseguenza, legittimato a richiederne la restituzione allorché il rapporto venga a cessare.

Cass. civ. n. 2507/1984

La denuncia di contratto verbale di locazione ha finalità di ordine puramente fiscale e non ha altro valore se non quello di una mera dichiarazione della parte che l'ha fatta: ciò non esclude, tuttavia, che essa possa offrire al giudice elementi di convincimento circa l'esistenza del contratto, non solo quando il suo contenuto non sia contestato dall'altra parte, ma anche quando, nonostante la contestazione, essa risulti effettuata in epoca ritenuta non sospetta dal giudice del merito.

Cass. civ. n. 2151/1984

Al fine di stabilire la sussistenza di un rapporto di comodato ovvero di locazione, occorre mettere a confronto i sacrifici ed i vantaggi che dal negozio derivano rispettivamente alle parti, con contenuto di equivalenza sullo stesso piano, cosicché il carattere di essenziale gratuità del comodato non viene meno se vi si inserisce un modus posto a carico del comodatario, mentre cessa se il vantaggio fornito da questi si pone come corrispettivo del godimento della cosa con natura di controprestazione.

Cass. civ. n. 2973/1983

Poiché, nel rapporto di locazione, si prescinde dalla titolarità del diritto di proprietà o di usufrutto del locatore sull'immobile — essendo sufficiente, in relazione all'obbligazione principale da lui assunta di consentire al conduttore l'uso ed il godimento dell'immobile stesso, che egli abbia la disponibilità del bene — spetta allo stesso la legittimazione ad agire per tutte le questioni che concernano la costituzione, lo svolgimento e la cessazione del rapporto.

Cass. civ. n. 5014/1979

Il contratto di locazione può essere provato con testimoni e, quindi, anche con presunzioni.

Cass. civ. n. 4937/1977

Il corrispettivo della locazione può consistere in cose diverse dal denaro ed essere rappresentato da utilità di varia natura, ma è pur sempre necessario che ricorra il duplice requisito della sua determinatezza (o, almeno, della determinabilità) e del suo carattere obbligatorio, nel senso che esso non può essere costituito da prestazioni che trovino la loro causa in ragioni diverse (di convenienza, di opportunità, di liberalità, di cortesia) non caratterizzate dalla forza cogente di un rapporto contrattuale.

Cass. civ. n. 3249/1977

Il contratto con il quale si concede una macchina (nella specie, autogru) in godimento, per un certo tempo e dietro un determinato corrispettivo, non perde i connotati tipici della locazione per assumere quelli dell'appalto, per il fatto che la manovra ed il funzionamento della macchina medesima vengano affidati ad un dipendente del concedente, ove ciò non comporti alcuna ingerenza nell'utilizzazione del bene, che rimane a disposizione dell'altra parte, perché se ne serva per i propri fini, con ampia discrezionalità di iniziativa. In tale situazione, infatti, le prestazioni inerenti al funzionamento del mezzo non si ricollegano ad un risultato da conseguire a cura del concedente, con propria organizzazione ed a proprio rischio, ma assumono carattere meramente accessorio e strumentale rispetto al godimento del bene, che resta l'oggetto principale del contratto.

Cass. civ. n. 580/1977

Un contratto misto, con cui una parte si obbliga a dare in godimento un impianto per l'erogazione di carburante, e l'altra si obbliga a fornire carburante in esclusiva ed a prezzo ridotto, ha i caratteri della locazione e della somministrazione, ma non del comodato, non essendo concesso il godimento della cosa a titolo gratuito. Pertanto ad esso è applicabile la disciplina degli artt. 1578 e 1581 c.c. per i vizi della cosa.

Cass. civ. n. 276/1975

Ogni qualvolta che per il godimento di un bene sia stata pattuita una controprestazione di qualsiasi natura, forma o misura, si realizzano gli estremi di un rapporto locatizio e non di un comodato.

Cass. civ. n. 1401/1970

La locazione, da parte di un socio di una società di persona, ad altro socio della propria quota sociale è ammissibile. (Nella specie l'usufruttuario di una quota sociale, costituita da parte dei locali e dell'azienda commerciale in essi gestita, aveva locato la stessa ad altro socio. La Corte Suprema ha enunciato il principio che precede).

Cass. civ. n. 87/1970

Qualora insieme alla merce il venditore consegni al compratore recipienti che son destinati ad essere restituiti ad uso avvenuto, sorge, accanto al rapporto di vendita, un rapporto accessorio, ma autonomo, che può considerarsi una locazione, qualora risulti conglobato nel prezzo della merce anche il canone di noleggio, e può invece essere un comodato, ove manchi il corrispettivo. In ogni caso l'obbligazione di restituire sorge nel momento e nel luogo in cui il recipiente ha adempiuto la sua funzione di raccolta e conservazione; onde la competenza relativa all'azione tendente ad ottenere l'adempimento dell'obbligazione di restituzione dei recipienti, ovvero al risarcimento dei danni per la mancata o incompleta restituzione si radica nel luogo di consegna dei recipienti stessi.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1571 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

STEFANO S. chiede
giovedì 04/06/2020 - Toscana
“Vi invio in file allegato contratto affitto uso foresteria, volevo farvelo visionare, magari migliorarlo, e magari se possibile inserire una clausola che in caso di mancato pagamento, il contratto si risolve e si può rientrare in possesso dell'immobile.”
Consulenza legale i 10/06/2020
Al contratto ad uso foresteria può essere applica la disciplina degli articoli 1571 e seguenti del codice civile relativi alla locazione.

La determinazione del suo contenuto è rimessa completamente alla autonomia contrattuale delle parti (art. 1322 c.c.) in quanto si tratta di una tipologia contrattuale che non ha una sua disciplina giuridica specifica (non è menzionata neanche nella L. 431/98).
Nella prassi, questo tipo di contratto presuppone come requisito principale la circostanza che il conduttore (in genere, persona giuridica) che ha sottoscritto la locazione non usufruisca dell’immobile che verrà invece occupato dai propri dipendenti.

Trattandosi di un tipo di contratto non “vincolato”, è sicuramente possibile inserire in esso una clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) in forza della quale il contratto si risolve nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite.
Ciò tuttavia non significa che il contratto sia risolto in automatico e che (in mancanza di accordo tra le parti) immediatamente si verrà in possesso dell’immobile ma che il giudice potrà dichiarare la risoluzione senza alcun accertamento in merito alla gravità dell’inadempimento, già concordata dalle parti.
Come ha osservato la Suprema Corte con l’ordinanza 29301 del 2019 il giudice di merito laddove in un giudizio di sfratto il locatore dichiari di volersi avvalere di tale clausola deve “dichiarare la risoluzione del contratto omettendo ogni valutazione riguardo alla gravità dell'inadempimento, non essendo tenuto ad effettuare alcuna indagine su tale profilo. Le parti avevano preventivamente valutato tale aspetto in linea con la ratio della clausola risolutiva, che ha la funzione di accelerare la risoluzione ed eliminare la necessità di indagini specifiche (Cass., 20 dicembre 2012, n. 23624).”

Ciò brevemente premesso, con riguardo alla bozza di contratto inviata, possiamo dire che le clausole ivi indicate appaiono sostanzialmente corrette a parte la clausola 9 in quanto le spese ordinarie non dovrebbero essere a carico del proprietario ma del conduttore, come per legge (art. 1576 c.c.).

Ad integrazione, suggeriamo soltanto di aggiungere quanto segue (compresa la clausola risolutiva espressa come richiesto nel quesito).

Nella clausola 4 si potrebbe specificare che il conduttore di volta in volta debba comunicare con congruo preavviso al proprietario i nominativi dei dipendenti che andranno ad occupare l’immobile.
Nella clausola 5 si potrebbe aggiungere la previsione di aggiornamento ISTAT laddove il contratto venga rinnovato oltre un anno.
La clausola 9 suggeriamo di modificarla prevedendo, come sopra specificato, che sono a carico della parte conduttrice le spese di amministrazione ordinaria (acqua, riscaldamento, pulizia e luce scale) nonché le utenze (luce, gas , acqua e Imposta rifiuti solidi urbani, manutenzione ordinaria impianto di riscaldamento).
Al fine di determinare i consumi da imputarsi alla parte conduttrice, sarebbe opportuno indicare anche le letture dei contatori.

Consigliamo, inoltre, di aggiungere una ulteriore clausola relativa al deposito cauzionale specificando che esso verrà restituito al termine della locazione a seguito dell’esatto adempimento contrattuale, e non potrà essere imputato, salvo altro e diverso accordo tra le parti, a scomputo dei canoni di locazione dovuti.
Infine, sarebbe opportuno inserire una clausola relativa alla spese di registrazione (di norma a cura del locatore ma al 50% a carico di ciascuna delle parti) ed un’altra che specifichi che qualsiasi modifica contrattuale dovrà avvenire per iscritto, oltre ad una ulteriore clausola contenente la dichiarazione del conduttore di aver ricevuto le informazioni e la documentazione relative alla attestazione di prestazione energetica (art. 6 D.Lgs 192/2005).

Da ultimo, la clausola risolutiva espressa richiesta nel quesito (per la quale suggeriamo la doppia sottoscrizione) può essere inserita nel modo seguente:
“Le parti pattuiscono che il pagamento del canone non potrà essere sospeso o ritardato da pretese o eccezioni del conduttore, qualunque ne sia il titolo. Il mancato puntuale pagamento anche di una sola mensilità del canone costituirà motivo di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1456 c.c.”

Renato O. M. chiede
giovedì 04/01/2018 - Calabria
“Alla cortese attenzione del Responsabile

Il sottoscritto M.R.O.,residente a S.
richiede con la presente una consulenza legale
in relazione ad una citazione con richiesta di
"risarcimento danni per occupazione sine titulo ".
In particolare,il proprietario dell'appartamento,in cui il sottoscritto
abita in fitto,dopo aver visto rigettate le sue pretese di annullamento
del contratto di fitto in due distinte cause ( una avente ad oggetto
"sfratto per morosità" ed una seconda avente ad oggetto " sfratto per finita
locazione" ),ha deciso di citare il sottoscritto,in quanto ritiene che
il contratto di locazione sia nullo,per cui chiede i danni per "occupazione
sine titulo" dell'appartamento.
C'è da specificare che,sebbene si fosse sottoscritto congiuntamente in una
scrittura privata un contratto di locazione,il proprietario si è rifiutato
di registrare il contratto,per cui dopo reiterarti rifiuti il sottoscritto
si è visto costretto a registrare unilateralmente il contratto di locazione
presso l'Agenzia delle Entrate,che dopo aver visto l'accordo sottoscritto dalle
due parti, ha accettato di registrare il contratto richiedendo anche il pagamento
delle imposte arretrate.
Dopo tale registrazione,il proprietario si è rifiutato di convalidarla e si è
andati in una causa in Tribunale,che è terminata con la sentenza 342/2012,che
ha convalidato il contratto registrato e che è passata in giudicato senza che
il proprietario facesse alcuna impugnazione delle sentenza.
Dopo 4 anni,il proprietario ha inviato una disdetta per chiudere anticipatamente
il contratto,ma non ha specificato i motivi,tassativamente richiesti dalla legge
431/98 per chiudere anticipatamente un contratto di locazione.
Si è andati pertanto ad una nuova causa in Tribunale avente per oggetto
" sfratto per finita locazione",che è terminata nel gennaio 2017 con la sentenza 54/2017
che ha negato la validità della disdetta ed ha rigettato le richieste del ricorrente,
ma ha espresso critiche verso la sentenza 342/2012 nelle motivazioni.
C'è da specificare che,essendo la sentenza 342/2012 passata in giudicato,in una causa
ordinaria tale sentenza non poteva essere modificata ,in quanto la legge prescrive
( Art. 2909 cc e art.395 cpc) che una sentenza passata in giudicato possa essere
modificata o annullata solo con una specifica causa di "Revocazione".
Del resto la giudice della sentenza 54/2017,pur esprimendo le sue riserve in merito
alla sentenza 342/2012,non ha decretato alcuna modifica alla situazione e ha respinto
tutte le richieste del ricorrente,tra cui l'autorizzazione all'aumento del
canone,per cui ha di fatto convalidato la valenza legale della sentenza 342/2012.
Nonostante ciò, il proprietario ha continuato ad intentare cause e nel novembre-2017
ha citato nuovamente il sottoscritto con una richiesta di "risarcimento danni per
occupazione sine titulo ".
Secondo il sottoscritto,tale richiesta è priva di fondamento sia nei fatti sia in
termini giuridici,in quanto la sentenza 342/2012 ha convalidato il contratto di locazione
e finora non c'è stata alcuna nuova sentenza che la annulli,per cui non ci sono elementi
validi per parlare di "occupazione sine titulo".
Le critiche espresse nella sentenza 54/2017 nell'ambito delle motivazioni non possono
costituire un annullamento della sentenza 342/2012 in alcun caso,in quanto si trattava
di una causa avente ad oggetto "sfratto per finita locazione" e non era ammissibile
nè la modifica nè l'annullamento della sentenza 342/2012.
Pertanto,il parere,che si richiede,riguarda innanzitutto l'ammissibilità di modifiche
o di annullamento di una sentenza passata in giudicato in una causa ordinaria ( che
non sia nè di impugnazione mè di revocazione).

Consulenza legale i 14/01/2018
Prima di rispondere al quesito, occorre fare un breve accenno all’aspetto della registrazione del contratto di locazione.
Dal punto di vista normativo, per i contratti stipulati a partire dal 1 gennaio 2005 la legge n. 311/2004 all'art. 1 comma 346, prevede che: "i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati".
Quindi, un contratto non registrato è un contratto nullo ossia un contratto invalido ed inefficace.
In ipotesi invece di registrazione tardiva (che parrebbe essere stato il caso del quesito in esame) è intervenuta molto recentemente la Corte di Cassazione che con sentenza a Sezioni Unite n. 23601 del 09.10.2017 ha statuito che la mancata registrazione del contratto di locazione determina una nullità per violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c., la quale tuttavia risulta sanata con effetti a partire dalla tardiva registrazione.

Ciò posto, nella sentenza del 342/2012 citata nel quesito si sostiene che la registrazione tardiva abbia avuto effetto sanante con effetto ex nunc, ritenendo il Giudice che debba trovare applicazione la disciplina (richiamata anche dal resistente) contenuta nell’art. 3 comma 8 del D.Lgs 23/2011. In forza di ciò, in detto provvedimento si statuisce che il rapporto di locazione abbia decorrenza a far data dal 25.8.2011 per una durata di anni quattro più quattro.
Tuttavia, come rilevato nella sentenza di merito del 2017 (indicata anche essa nel quesito) la disciplina contenuta nel predetto art. 3 comma 8 del D.Lgs 23/2011 è stata nelle more dichiarata incostituzionale dalla Consulta con sentenza n.50/2014.

Alla luce di quanto precede, non si può certamente parlare di “modifiche o annullamento di una sentenza passata in giudicato” come leggiamo nel quesito. Ciò per vari ordini di motivi.
In primo luogo, la "violazione" del giudicato della sentenza del 2012 da parte del Giudice della pronuncia del 2017 è soltanto apparente. Infatti, la normativa richiamata nella prima sentenza in forza della quale viene indicata la data di decorrenza del contratto è stata, come si è detto, dichiarata nel frattempo incostituzionale. Escludendo tale richiamo a una norma dichiarata poi incostituzionale, si sottolinea che nelle due pronunce vi sono sostanzialmente statuizioni analoghe.
Infatti, nella sentenza del 2012 leggiamo che è configurabile a carico del resistente: “una sua obbligazione extracontrattuale e risarcitoria nei confronti del proprietario a titolo di indennità di occupazione sine titulo o di arricchimento senza giusta causa (art. 2041 c.c.).” E nella pronuncia del 2017 leggiamo una statuizione simile: “La mancanza di qualsiasi titolo idoneo a giustificare il godimento dell'immobile, comporta, invece,l’integrazione della fattispecie di una occupazione sine titulo rispetto alla quale il ricorrente, in altra sede, potrà agire per ottenere il rilascio e il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1591 c.c.”.
In secondo luogo, anche volendo ipotizzare un contrasto di giudicati, prevale il più recente (si veda in proposito la sentenza della Corte di Cassazione n.8305 del 2014 secondo cui "se sulla medesima questione si sono formati più giudicati contrastanti prevale l'ultimo formatosi in ordine temporale").
In terzo luogo, il Giudice nella sentenza del 2017 non ha sancito alcuna “nullità” della pronuncia del 2012, come invece teme il nostro lettore nei chiarimenti al quesito dallo stesso forniti via mail. Né, tanto meno, invoca una qualche “nullità” della sentenza 340/2012 la controparte nell’atto di citazione per il rilascio immobile, peraltro non menzionata.

Alla luce di quanto precede, in vista della costituzione in giudizio, in riferimento a quanto domandato nel quesito circa “l'ammissibilità di modifiche o di annullamento di una sentenza passata in giudicato in una causa ordinaria (che non sia nè di impugnazione mè di revocazione).” possiamo, riassumendo, affermare quanto segue.
La questione posta è giuridicamente priva di fondamento: la pronuncia del 2012 non è stata modificata e/o annullata dalla successiva sentenza del 2017. Semplicemente, come si è evidenziato sopra, la sentenza del 2012 nello statuire in merito alla validità del contratto di locazione si è basata su una normativa (art. 3 comma 8 del D.Lgs 23/2011) successivamente dichiarata incostituzionale nel 2014, circostanza giustamente rilevata dalla pronuncia del 2017 la quale, peraltro, nel frattempo è passata in giudicato anche essa non essendo stata impugnata entro i sei mesi dalla pubblicazione. Di fronte a due giudicati, come già sottolineato, prevale quello più recente.
Ciò posto, le argomentazioni su cui si potrebbe fare forza in sede di costituzione in giudizio appaiono essere piuttosto quelle contenute nella recentissima sentenza a Sezioni Unite sopra citata della Corte di Cassazione ( n. 23601 del 09.10.2017) nella quale si riconosce un efficacia sanante della registrazione tardiva.

Nicoletta N. chiede
mercoledì 01/03/2017 - Emilia-Romagna
“Gent.mi, ho un contratto di locazione abitativa stipulato nel 97 della durata di 10 + 10 anni (durata concordata a seguito di ingenti lavori di ristrutturazione da me sostenuti) stipulato ex lege Patti in Deroga.Il contratto non è stato stipulato in formula ufficiale davanti ad un notaio ma solo in formula di scrittura privata e scadrebbe a Settembre 2017 . Mi è arrivata la disdetta a Febbraio 2017 in quanto la proprietà lo vuole per collegare l'appartamento del figlio sito al piano inferiore al mio. La disdetta è valida o sarebbe dovuta arrivare sei mesi prima del nono anno ?
Resto a disposizione per ogni ulteriore chiarimento e porgo con l'occasione i miei più cordiali saluti.

Consulenza legale i 06/03/2017
Le norme che disciplinano, con riferimento alle locazioni, i cosiddetti “patti in deroga”, sono contenute nell’art. 11 del D.L. 333/1941, il quale recita: “Fino alla revisione della disciplina delle locazioni degli immobili urbani, le disposizioni di cui agli articoli 12 e seguenti della legge 27 luglio 1978, n. 392, concernenti l'equo canone degli immobili adibiti ad uso di abitazione, non si applicano ai contratti di locazione stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, aventi ad oggetto immobili per i quali, alla predetta data, non sia stata presentata la dichiarazione di ultimazione dei lavori e sempreché, alla data del contratto, sia stata richiesta la certificazione di abitabilità e sia stata presentata domanda per l'accatastamento.
Nei contratti di locazione relativi ad immobili non compresi fra quelli di cui al comma 1, stipulati o rinnovati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le parti, con l'assistenza delle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative a livello nazionale, tramite le loro organizzazioni provinciali, possono stipulare accordi in deroga alle norme della citata legge n. 392 del 1978. La disposizione si applica per i contratti ad uso abitativo limitatamente ai casi in cui il locatore rinunzi alla facoltà di disdettare i contratti alla prima scadenza a meno che egli intenda adibire l'immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere di cui, rispettivamente, agli articoli 29 e 59 della citata legge n. 392 del 1978. Resta ferma l'applicazione, per i contratti indicati nel presente comma, degli articoli 24 e 30 della citata legge n. 392 del 1978 (…)".

Si tratta di disciplina che riguarda, dunque, la locazione di immobili di nuovissima costruzione, che la legge definisce come quelli in relazione ai quali l’ultimazione dei lavori di costruzione sia stata denunciata alla competente autorità amministrativa dopo 1'11 luglio 1992. Ulteriori requisiti per la validità della libera pattuizione del canone sono le avvenute presentazioni, prima della stipula del contratto, delle istanze di abitabilità e di accatastamento.

La disciplina sui cosiddetti “patti in deroga” è stata successivamente abrogata dalla legge n. 431/1998, che però ha mantenuto in vigore i contratti sottoscritti nella vigenza del precedente decreto: “Ai contratti per la loro intera durata ed ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ad ogni effetto le disposizioni normative in materia di locazioni vigenti prima di tale data” (art. 14).

Tutte le disposizioni contenute nel commentato art. 11 si riferiscono esclusivamente alle locazioni di immobili destinati ad uso abitativo, e, specificamente, alle norme regolatrici della misura del canone: la norma, infatti, benché infelice nella sua formulazione, per pacifica interpretazione non incide su aspetti diversi da quello esclusivamente economico, dunque lascia del tutto inalterate le altre norme imperative in tema di durata, misura del deposito cauzionale, disdetta, recesso dell’inquilino, ecc.

Ciò premesso, per rispondere al quesito, sul termine di preavviso in caso di disdetta rimane valida la regola per cui la relativa comunicazione va inviata (per la locazione di natura abitativa) entro il termine di sei mesi prima della scadenza.
Non si comprende la ragione per la quale si ipotizza una disdetta entro il nono anno di validità del contratto: la disdetta va inviata sempre (per ogni tipo di contratto di locazione) entro un determinato termine prima della naturale scadenza che, nel caso di specie, “cade” nel decimo anno di validità del contratto.
Pertanto, se il contratto in oggetto scadrà nel settembre 2017 e la comunicazione di disdetta è pervenuta nel febbraio 2017, la proprietà ne ha validamente impedito il rinnovo.

Giuseppe P. chiede
mercoledì 28/09/2016 - Toscana
“Mio genero abitava fino al 31 marzo c.a. , con regolare contratto di affitto, dove dall'aprile 2016 ho poi traslocato io. Lui e la famiglia hanno cambiato casa avendo acquistato in proprio e sempre a Firenze.
Per ovvi motivi di convenienza economica per loro (nessuna disdetta nei termini) e forse maggiore convenienza per loro avermi a due passi (quindi occuparmi della figlia di anni 6) hanno convenuto, purtroppo solo con accordo verbale con il proprietario, che io venissi ad abitare nella loro, ora, ex abitazione.
Tutto ok, loro traslocano, qualche giorno dopo io trasloco e nel frattempo ho proceduto all'acquisto delle masserizie necessarie in quanto per anni e sempre con regolari contratti di affitto son vissuto in abitazioni totalmente arredate e quindi tutto non mio.
Dal proprietario della casa ricevo i dati catastali, con sms mi da conferma dell'accredito sul suo c/c del canone di affitto di aprile 2016,( tutti gli sms sono stati da me riportati dal cellulare su carta) , effettuo le volture con esito positivo di ENEL - GAS - ACQUA - SERVIZI NETTEZZA e mensilmente fino ad oggi ho sempre pagato ovviamente con bonifici bancari il canone di affitto. Ho sollecitato il contratto di affitto regolare ma niente da fare, anzi i canoni mensili, ripeto con BONIFICI BANCARI sono venuto a conoscenza che li ritiene effettuati da.....uno SCONOSCIUTO ( tanto si evince da una risposta ricevuta dal legale di mio genero ,quindi non mio, preoccupato che lui possa ricevere lo sfratto, sfratto poi di cosa se abita in altra strada? ed ogni masserizia , qui è mia?, i miei canoni, sconosciuto o non sconosciuto però li incamera !! ).
Come ho provveduto alle incombenze utenze ho anche variato la mia banca, ho la patente rinnovata, la tessera sanitaria con il mio nuovo indirizzo e la variazione sul libretto dell'auto revisionata sempre all'indirizzo nuovo ma.....per le nuove disposizioni del Comune di Firenze non posso chiedere la variazione di residenza in quanto necessita il contratto di affitto. Quindi cosa sono? un abusivo? E se per caso venissi fermato dai Carabinieri o VV.UU o Polizia come mi giustifico se la patente riporta via Orsini e la carta di identità via del Pollaiolo, (sempre Firenze entrambe) ?? Anzi ed aggiungo che ho dovuto procedere con denuncia/querela contro una terza persona, ai Carabinieri di Ricorboli (Firenze) per calunnia ed offese gravi e loro dicendo che avevo in corso le variazioni di residenza.”
Consulenza legale i 12/10/2016
Purtroppo il conduttore “di fatto” dell’immobile si trova effettivamente in una situazione di illegittimità, perché occupa l’immobile senza titolo.

La legge n. 431 del 1998, infatti, che disciplina le locazioni di immobili ad uso abitativo stabilisce, all’art. 1, che “A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta.

Vi è stato a lungo un dibattito giurisprudenziale in ordine alla necessità della forma scritta, finché non è intervenuta la Corte di Cassazione a sezioni unite (n. 18214 del 17/9/2015) affermando che: la forma scritta è sempre “ad substantiam”, ovvero elemento essenziale del contratto di locazione; che detta nullità è assoluta, dunque non sanabile e può essere fatta valere da entrambe le parti del rapporto, oltre che rilevabile dallo stesso giudice; che, infine, solo in via eccezionale la nullità per mancanza di forma è relativa e può essere eccepita dal conduttore (nei cui confronti dunque non opereranno gli effetti sfavorevoli della nullità) e non dal locatore nel solo caso previsto dall'art. 13 della citata legge n. 431/1998, quando cioè egli abbia subìto la volontà e la decisione del locatore di non stipulare per iscritto.

In quest’ultimo caso, in deroga al principio generale per cui la nullità è un vizio insanabile, il contratto può essere sanato (solo se richiesto, come già detto, dal conduttore) mediante la richiesta di ricondurre il contratto a conformità secondo le condizioni previste dalla legge.
In tal caso in giudizio si dovrà accertare l'esistenza di una locazione senza contratto scritto e che la stipula non vi è stata per iscritto per imposizione del locatore; così il giudice rideterminerà il canone (nei limiti di quanto determinato dalle associazioni dei proprietari e conduttori) ordinando eventualmente la restituzione delle somme eccedenti.

Nel caso, invece, in cui entrambe le parti non abbiano voluto il contratto scritto torneranno ad applicarsi i principi generali in tema di nullità, ovvero Il locatore potrà agire in giudizio per il rilascio dell'immobile occupato senza alcun titolo, e il conduttore potrà ottenere la (parziale) restituzione delle somme versate a titolo di canone nella misura eccedente quella del canone concordato (non in misura integrale, poiché la restituzione dell'intero canone percepito dal locatore costituirebbe un ingiustificato arricchimento di chi ha occupato l’immobile senza titolo).

In forza di quanto sopra illustrato, quindi, se – come pare di capire – la situazione è stata imposta dal proprietario al nuovo conduttore, quest’ultimo potrà ricorrere al Giudice con la procedura prevista dall’art. 13 della legge 431/1998: “Il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato, può richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate. Nei medesimi casi il conduttore può altresì richiedere, con azione proponibile dinanzi al pretore, che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 2 ovvero dal comma 3 dell'articolo 2 (..) nel giudizio che accerta l'esistenza del contratto di locazione il pretore determina il canone dovuto (…)”.

Se invece, la situazione non è stata imposta, allora il locatore potrebbe – come teme il legale del genero che risulta ancora (per quel che è dato intuire dal quesito) formalmente conduttore dell’immobile – agire nei confronti di quest’ultimo (quale, appunto, unico conduttore ancora risultante dal contratto) per ottenere il rilascio dell’immobile.

Per quel che riguarda il pagamento delle rate mensili del canone, risulta alquanto improbabile che i bonifici risultino al locatore provenienti da soggetto sconosciuto: il conduttore che ha pagato non dovrà, in ogni caso, temere per l’eventualità in cui dovesse richiederne la restituzione, dal momento che avrà presumibilmente tenuto copia dei versamenti eseguiti da cui risultano certamente mittente, destinatario e causale.

I beni mobili che corredano la casa sono senz’altro del conduttore che lo ha acquistati: nel caso di rilascio forzoso dell’immobile, quindi, nessuno se ne potrà appropriare senza il consenso del legittimo proprietario.

Per quanto riguarda la discrepanza tra i documenti (carta d’identità e patente) non dovrebbero esserci problemi: il documento di riconoscimento, per assolvere a tale specifica funzione, deve contenere quali dati/elementi corretti ed aggiornati fotografia, nome e cognome e dati di nascita; capita di frequente, d’altra parte, che gli indirizzi di residenza vengano modificati, anche più volte, nel corso del periodo di validità di un documento (ad esempio effettuazione di diversi traslochi), ma quest’ultimo non viene modificato fino alla sua scadenza ed all’emissione di quello nuovo, che verrà conseguentemente aggiornato.

Franco B. chiede
sabato 17/09/2016 - Toscana
“Ho comprato un appartamento e sull'atto di acquisto è riportato il seguente paragrafo:
"In ottemperanza a quanto disposto dall'articolo 404 del D.P.R. 90/2010, sull'alloggio oggetto del presente atto non possono essere eseguiti atti di disposizione prima della scadenza del quinto anno dalla data di acquisto".
Visto quanto riportato sopra posso affittare l'appartamento?”
Consulenza legale i 23/09/2016
La norma alla quale fa riferimento l’atto di acquisto è il “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare”, D.P.R. n. 90 del 15/3/2010.

In particolare, l’art. 404 disciplina i “criteri di vendita” degli alloggi di servizio che non siano più funzionali ai fini istituzionali delle Forze Armate.
Il comma 21 del predetto articolo recita: “Sugli alloggi trasferiti con l'applicazione degli sconti di cui al comma 6 gli acquirenti non possono porre in atto atti di disposizione prima della scadenza del quinto anno dalla data di acquisto. Tale vincolo deve essere riportato in apposita clausola del contratto di acquisto. In caso di violazione, il Ministero della difesa applicherà al soggetto, con possibilità di rivalsa sul soggetto acquirente, una penale pari alla differenza tra il prezzo pagato e la valutazione dell'alloggio come determinata dalla Direzione d' intesa con l'Agenzia del demanio. Il vincolo e la determinazione della penale saranno riportati in apposita clausola nel contratto di compravendita. I proventi derivanti sono versati all' entrata del bilancio dello Stato ai sensi dell'articolo 306, comma 3, del codice”.

Dall'esame letterale del testo di legge, sembrerebbe che con l’espressione “atti di disposizione” si faccia perlopiù riferimento alla vendita dell’immobile (si parla infatti di “possibilità di rivalsa sul soggetto acquirente”, di “prezzo pagato”, di “proventi derivanti”).

Tuttavia, a rigore, l’“atto di disposizione “ è quello attraverso il quale si “dispone”, appunto, dell’immobile, ovvero qualsiasi attività giuridica in forza della quale un soggetto modifica la propria situazione patrimoniale cedendo a vario titolo ad altri un diritto che gli appartiene.
Anche la concessione dell’immobile in locazione, quindi, costituirebbe, in realtà, un "atto di disposizione", trattandosi della cessione, a titolo oneroso, del diritto di godimento del medesimo.

A chi scrive, tuttavia, non sembra ragionevole interpretare il divieto in modo così rigoroso. Sembra che la ratio della norma sia più che altro quella di impedire l'alienazione.
Nel dubbio, la cosa migliore da fare è sentire altri soggetti che si sono trovati acquirenti di beni simili o addirittura lo stesso ente venditore.

Peraltro, l'art. 404 sopracitato, al numero 21, prevede espressamente la sanzione, che non appare di rilevante entità:
In caso di violazione, il Ministero della difesa applicherà al soggetto, con possibilità di rivalsa sul soggetto acquirente, una penale pari alla differenza tra il prezzo pagato e la valutazione dell’alloggio come determinata dalla Direzione generale d’intesa con l’Agenzia del demanio.

Va fatta quindi una attenta analisi costi-benifici, ed anche un ragionevole calcolo della probabilità.

Marcello P. chiede
venerdì 17/06/2016 - Emilia-Romagna
“Oggetto : A.p.e. nel caso di locazione di singola unità immobiliare.
Alla scadenza dell’ottavo anno di un contratto di locazione abitativa avente durata 4 anni+4, non avendo presentato il modulo di rinnovo presso l’ufficio del registro, sono stato costretto a registrare nell’anno 2016, un nuovo contratto di locazione abitativa (non agevolato) relativo ad una singola unità immobiliare ex L.9 dicembre 1998, n.431, della durata di 3 anni + 2.
L ‘anomalia consiste nel fatto che quest’ultimo contratto registrato nel 2016 ha decorrenza 01/01/2014 ed è datato 02/01/2014.
Questo contratto registrato nel 2016, essendo una semplice “copia” del contratto preesistente in vigore prima del 2014 e che era scaduto al termine degli otto anni il 31/12/2013, non riporta ne’ la clausola con la quale il conduttore da’ atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione relativa all'A.p.e., né menziona gli estremi dell'attestato della prestazione energetica dell’edificio.
L'Ape, concludo, non essendo stato redatto per l’unità immobiliare in oggetto non è stato conseguentemente allegato al contratto, né citato, né tantomeno inserito nelle clausole come consegnato al conduttore;
si chiede pertanto in quali sanzioni si può incorrere?
Premessa la possibilità di dare incarico ad un professionista per produrre oggi l'attestazione della prestazione energetica, è possibile evitare le sanzioni e sanare le eventuali inadempienze, registrando oggi una integrazione del contratto in cui si esplicita il possesso della APE ed anche l’avvenuta consegna al conduttore, ma senza allegare l’APE essendo il contratto del 2014?
Ringrazio sentitamente ed anticipatamente per il Vostro pregevole parere.”
Consulenza legale i 23/06/2016
Il decreto Legislativo n. 192/2005, così come modificato nel 2013, stabilisce quanto segue, in materia di attestazione della prestazione energetica negli edifici, nel caso di nuovo contratti di locazione soggetti a registrazione che riguardino, come nel caso in esame, singole unità immobiliari:

- non è obbligatoria l’allegazione dell’A.P.E. (essa riguarda, infatti, solo le locazioni di interi edifici e non di singole unità immobiliari: ciò risponde alla domanda relativa alla mancata allegazione dell’A.P.E. in occasione della nuova registrazione del 2016);

- nel contratto va inserita apposita clausola con la quale il conduttore dichiara di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva dell’attestato, in ordine all’attestazione della prestazione energetica dell’edificio;

Nel caso di omessa dichiarazione nel contratto, le parti sono soggette in solido (ovvero ciascuna è responsabile per l’intero, quindi può esserle richiesto il pagamento integrale della sanzione, salvo poi il diritto di rivalsa di chi ha pagato nei confronti dell’altro per la sua quota) ed in parti uguali ad una sanzione amministrativa pecuniaria che va, solo per i contratti di locazione di singola unità immobiliare, da € 1.000,00 ad € 4.000,00, ridotta della metà per i contratti di locazione che non eccedano i tre anni.

È materialmente possibile la registrazione successiva di un’integrazione al contratto (probabilmente integrando il pagamento dell’imposta di bollo), ma non è chiaro se ciò consenta di evitare la sanzione.

Infatti non solo la norma non parla di possibilità di sanatoria ma, anzi, stando alla lettera del citato decreto (art.6), sembra che la sanzione vada pagata indipendentemente dal fatto che gli adempimenti di legge vengano attuati successivamente.

Recita infatti la legge: “Il pagamento della sanzione amministrativa non esenta comunque dall'obbligo di presentare al Ministero dello sviluppo economico la dichiarazione o la copia dell'attestato di prestazione energetica entro quarantacinque giorni”: ciò lascia intendere che il versamento della sanzione e gli adempimenti formali rimangano due cose ben distinte, per cui se anche questi ultimi venissero regolarizzati successivamente (con la dichiarazione in oggetto o con il deposito del certificato) non si potrebbe chiedere, ad esempio, il rimborso della sanzione già versata, la cui maturazione rimane quindi strettamente connessa al momento della registrazione (la prima, entro i termini di legge) del contratto.

Andrea M. chiede
mercoledì 07/10/2015 - Lombardia
“Sono un inquilino in un appartamento.
Vi espongo la mia domanda:
- l'affitto dell'appartamento è a nome di 4 inquilini in solido
- è un 4 + 4 iniziato il 01/09/2011
- sono subentrato ad un inquilino il 1/07/2015
Domanda 1 - in caso di spese condominiali non pagate dal precedente inquilino durante il periodo di validità del contratto, posso essere chiamato a pagarle di tasca mia anche se riferite ad un periodo antecedente il mio subentro? di tali debiti, al momento del mio subentro, non ero stato informato né dall'inquilino uscente, né dalla proprietà.
Domanda 2 - le 67 Euro del modello f24 da pagare come imposta di registro all'Agenzia delle entrate per il subentro di un nuovo inquilino in un contratto d'affitto, in che misura devono essere pagate dalle varie figure coinvolte? (proprietario, inquilino uscente, inquilino subentrante)
Consulenza legale i 12/10/2015
Se si trattasse di controversia tra il precedente e il nuovo proprietario dell'immobile, varrebbe l'art. 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile, così come sostituito dalla legge 11.12.2012 n. 220 di riforma della materia condominiale: esso stabilisce, al comma quarto, che "Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente".

Tuttavia, nel caso di specie, le spese condominiali arretrate sono imputabili all'inadempimento del precedente conduttore, e non del precedente proprietario.

Il conduttore non ha un rapporto diretto con il condominio: e difatti, le spese condominiali sono esigibili dall'amministratore solo nei confronti del proprietario dell'immobile, che a sua volta si rifarà sull'inquilino, per la parte di sua spettanza.
Quindi, va escluso che il condominio, nella persona dell'amministratore, possa chiedere al nuovo (o al vecchio inquilino) alcuna somma.
Il proprietario, invece, ha diritto a chiedere all'inquilino le spese non versate, entro due anni. Difatti, il credito del locatore per il pagamento degli oneri condominiali posti a carico del conduttore dall'art. 9 della legge 27 luglio 1978 n. 392 si prescrive nel termine di due anni indicato dall'art. 6 l. 22 dicembre 1973 n. 841 per il diritto del locatore al rimborso delle spese sostenute per la fornitura dei servizi posti, per contratto, a carico del conduttore (Cass. civ., sez. III, 12.4.2006 n. 8609).
Ma a quale inquilino le domanderà?

Da un punto di vista sostanziale, appare evidente che le spese siano da imputare solo a chi era conduttore nel periodo in cui le spese sono maturate: non esiste una norma che, al pari dell'art. 63 disp. att. c.c. sopra citato disponga la solidarietà del nuovo inquilino.
Ne discende che il locatore non può chiedere gli arretrati delle spese condominiali (quelle che l'art. 9 della l. 392/1978 chiama "oneri accessori") al nuovo inquilino, che risponde solo delle spese prodotte e maturate nel periodo di vigenza del suo nuovo rapporto con il locatore.

Per quanto concerne la seconda domanda, l'imposta di euro 67,00 è prevista per il caso di cessione del contratto di locazione senza corrispettivo (non è quindi una risoluzione del contratto, ma una modifica soggettiva dello stesso).
Si può ritenere applicabile l'art. 8 della legge 27 luglio 1978 n. 392, il quale sancisce che le spese di registrazione del contratto di locazione sono a carico del conduttore e del locatore in parti uguali, ma le parti possono accordarsi diversamente nel contratto. Salvo diversa convenzione, quindi, l'imposta di registro di euro 67 concernente il subentro nel contratto, quindi, va sostenuta, per il 50% dal conduttore subentrante e per l'altra metà dal locatore.
Nella prassi, tuttavia, si riscontrano le situazioni più varie: a volte la somma di 67 euro è versata da chi esce, altre volte da chi entra, o facendo a metà tra i due. Vista l'esiguità della cifra, si può certamente trovare un accordo tra le parti interessate.

Moreno M. chiede
martedì 16/12/2014 - Toscana
“Sono un titolare di un azienda alberghiera che ha in locazione un immobile ad uso alberghiero dal 1971. A partire dal contratto stipulato nel 1989 vi è anche un atto integrativo al contratto in cui la proprietà mi autorizza a fare interventi anche straordinari sulla struttura, così testualmente riportato nell'atto: che "Il locatore autorizza fin da ora il conduttore all'esecuzione, a cura e spese di quest'ultimo, dei lavori, degli interventi e delle modifiche di cui sopra; resta inteso ed espressamente concordato fra le parti che nel caso in cui il locatore alla scadenza di contratto di locazione, non intendesse rinnovare il contratto all'attuale conduttore o comunque intendesse rientrare in possesso dell'immobile in oggetto, restituirà al sig..... tutte le spese dallo stesso già sostenute e di cui all'atto integrativo del .....registrato a ..descritte in premessa, previa presentazione delle relative fatture o ricevute fiscali, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal pagamento dell'onere al saldo. Anche alla stipula del rinnovo del contratto nel 1997 vi è il solito atto integrativo che ribadisce in modo chiaro la volontà del locatario al rimborso delle spese con la solita formula contrattuale già descritta in precedenza fino termine del contratto, ovvero nel primo mese del 2015 per il quale ho ricevuto corretta disdetta nei termini previsti. Purtroppo a causa di un tumore in metastasi che mi ha, di fatto, tenuto non sempre presente in azienda, non ho pagato per la prima volta dal 1971 il canone annuo del 2013. La proprietà mi ha citato in tribunale per la convalida dello sfratto e risoluzione del contratto. Ho inviato al loro legale la volontà di sanare subito, ovvero prima dell'udienza la morosità del canone annuo comprensivo delle spese. La domanda che vi rivolgo è: Se i crediti (fatture originali dei lavori circa oltre un milione di euro) che ho con la proprietà mantengono il suo stato di credito o perdono la loro efficacia in quanto il contratto potrebbe essere dichiarato risolto dal giudice? Inoltre, le fatture che hanno oltre dieci anni potrebbero essere dichiarate prescritte nonostante che ci sia la chiara ed espressa volontà da parte della proprietà di riconoscere le spese attraverso due atti integrativi al contratto regolarmente registrati?”
Grazie”
Consulenza legale i 16/12/2014
La risoluzione del contratto di locazione, come ogni risoluzione contrattuale in genere, ha efficacia dal momento del suo avverarsi. Pertanto il contratto, pur risolto, per il periodo di tempo in cui ha operato, rimane senza dubbio valido ed efficace (si dice in dottrina che la risoluzione non colpisce il "negozio", ma il "rapporto").
Allo stesso modo funziona nel caso in cui una parte abbia il diritto di recedere (cioè dare disdetta unilaterale, ovvero sciogliere il contratto con la sua sola manifestazione di volontà): il contratto dal quale si recede rimane valido ed efficace fino al momento del recesso (v. art. 1373 del c.c.).

Da questi principi generali, discende che il credito relativo alle spese per interventi/miglioramenti sulla struttura rimane valido ed esigibile.
Difatti, la clausola recita testualmente che la restituzione delle spese è dovuta "nel caso in cui il locatore alla scadenza di contratto di locazione, non intendesse rinnovare il contratto all'attuale conduttore o comunque intendesse rientrare in possesso dell'immobile in oggetto": nel caso di specie si è verificata la prima ipotesi, in quanto il locatore ha dato la disdetta al rinnovo del contratto. Non è previsto che il conduttore perda tale diritto in caso di morosità o inadempimento (o, quantomeno, ciò non emerge dalla clausola trascritta nel quesito).

Peraltro, dal punto di vista processuale, il pagamento della morosità arretrata prima dell'udienza di convalida dello sfratto impedisce la convalida stessa e la pronunzia dell’ordinanza ex art. 665 cpc (rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto), giacché la persistenza della morosità è condizione dell’azione a norma dell’art. 663 del c.p.c..
Nel caso in esame, tuttavia, poiché era già stata inviata la disdetta da parte del locatore, si immagina che lo sfratto potrebbe essere stato intimato non per morosità, ma proprio per finita locazione (art. 657 del c.p.c.): in questa ipotesi, il locatore utilizza il procedimento giudiziale al fine di ottenere la pronuncia di una sentenza utilizzabile in futuro, qualora alla scadenza del contratto, il conduttore non rilasci spontaneamente l'immobile.
In questo caso, il saldo dell'arretrato non potrà comunque impedire lo scioglimento del contratto, per il semplice fatto che la disdetta ha già prodotto l'effetto del mancato rinnovo dello stesso: ciò, però, non intaccherà gli altri diritti/obblighi discendenti dal contratto.

Quanto alla prescrizione del diritto di credito al rimborso delle spese sostenute dal conduttore, la clausola contrattuale è interpretabile nel senso di individuarvi l'apposizione di una condizione potestativa sospensiva (art. 1353 del c.c.).
Dal tenore della clausola contrattuale emerge che la restituzione delle spese (capitale, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal pagamento dell'onere al saldo) dovrà avvenire "nel caso in cui il locatore alla scadenza di contratto di locazione, non intendesse rinnovare il contratto all'attuale conduttore o comunque intendesse rientrare in possesso dell'immobile in oggetto". Si tratta di una condizione potestativa, in quanto l'evento posto in condizione consiste in un fatto umano rientrante in una scelta discrezionale del soggetto che la deve porre in essere, scelta che impone un impegno di una qualche consistenza per chi lo assume (cfr. Cass. Civ. Sez. Lavoro, 5099/88). Il fatto umano, qui, è la scelta del locatore di non rinnovare il contratto di locazione.
La condizione potestativa, al contrario di quella meramente potestativa di cui all'art. 1355 c.c. (es. se vorrò, ti pagherò), è valida: ciò perché la parte che realizza l'evento posto in condizione (qui, disdetta dal contratto di locazione) non ottiene per questo un mero vantaggio senza alcuna altra conseguenza, essendo anzi tenuta a dare un rimborso piuttosto elevato al conduttore.

Riteniamo che la nostra interpretazione sia rispondente ai principi posti dagli artt. 1362 ss. c.c., in quanto ci appare rispettosa della volontà dei contraenti (che senso avrebbe la clausola se non consentisse al conduttore di ottenere il rimborso delle spese anche dopo diversi anni? Se così non fosse il locatore avrebbe infatti potuto furbescamente attendere 10 anni dalla spesa per poi sciogliere il contratto: non ci sembra questa l'originaria intenzione dei contraenti); inoltre, l'art. 1367 del c.c. impone di interpretare il contratto, nei casi dubbi, nel senso di dare una effetto alle clausole, piuttosto che a renderle inefficaci.

Pertanto, premesso naturalmente che la controparte-locatore potrebbe cercare di interpretare il contratto in maniera diversa, si ritiene che il credito al rimborso delle spese sia sorto con la ricezione, da parte del conduttore, della lettera in cui si annuncia la disdetta circa il rinnovo del contratto: da tale momento si deve calcolare il termine prescrizionale decennale (art. 2953 del c.c.: "La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere"), che quindi non è ancora scaduto.

Antonio C. chiede
lunedì 30/06/2014 - Lazio
“Buongiorno, pongo il mio quesito: Ho preso in locazione un appartamento arredato per farne un Bed & Breakfast. La locatrice nel contratto ha concesso la facoltà per questa destinazione d'uso, purché in regola con la normativa vigente. In un articolo specifico del contratto la locatrice informa che nell'appartamento sussiste una situazione abusiva relativa ad un balcone chiuso senza autorizzazione e si impegna a riportare in pristino il balcone interamente a sue spese. Tenete presente che sul balcone è stata realizzata una cucina, una camera pranzo ed una camera da letto (a mio avviso indegna di tale nome).La vecchia cucina è stata trasformata in ulteriore camera con bagno da affittare. La pratica per ottenere l'autorizzazione comunale all'esercizio del Bed&Breackfast richiede che non ci siano difformità tra l'ultimo titolo autorizzativo (la piantina catastale) e la situazione muraria e quindi non posso procedere all'inoltro finché il balcone non verrà riportato in pristino. Ho diffidato la locatrice ad adempiere con sollecitudine (ovvero 15 gg), ma senza invocare l'annullamento del contratto. A questo punto mi chiedo:se la locatrice adempirà, alla casa verrà a mancare la cucina. Considerando che dovrò pagare 2.400 euro al mese, credo che la casa debba essere dotata di una cucina e, oltretutto, che la cucina debba anche essere messa su in linea col tono della casa medesima. In sintesi, può la locatrice limitarsi al solo lavoro del ripristino del balcone o è tenuta conseguenzialmente a riportare in pristino anche la cucina? Se ripristinerà anche la cucina, la casa non risulterà più nello stato di "vista e piaciuta" citato nel contratto perché verrà a mancare una camera da affittare, quindi dovrei pagare di meno di canone ... Sotto il profilo logico mi sembra che tutto sia consequenziale, ma sotto il profilo giuridico... Grazie per l'attenzione”
Consulenza legale i 30/06/2014
Il caso proposto pone una questione interpretativa del contratto.
Infatti, sul piano strettamente letterale, la locatrice è senza dubbio contrattualmente tenuta al ripristino del balcone come da convenzione scritta tra le parti.
Le pretese circa la presenza della cucina e la riduzione del canone sulla base del fatto che l'appartamento si troverebbe ad avere una stanza da letto in meno richiedono invece un'opera di interpretazione della volontà delle parti, assunto che su questi punti le stesse non hanno trovato un preventivo accordo.
Le norme sull'interpretazione del contratto vengono tradizionalmente distinte in due gruppi: il primo riguarda la c.d. interpretazione soggettiva o "storica" del contratto, che tende a porre in luce la reale comune intenzione delle parti (artt. 1362-1365 c.c.); il secondo disciplina la c.d. interpretazione oggettiva che mira a risolvere residui dubbi e ambiguità (artt. 1366-1370 c.c.).
Esaminiamo le due questioni separatamente.
1. Presenza della cucina
Nel contratto di locazione la proprietaria locatrice ha concesso che il suo immobile sia destinato all'uso di Bed & Breakfast. Quindi, sembra corretto interpretare l'intento delle parti come diretto a creare un ambiente che possa consentire lo svolgimento di tale attività al suo interno.
L’attività di “bed & breakfast” è un'attività regolata da leggi regionali: in Lazio, ad esempio, si deve guardare al Regolamento regionale 24 ottobre 2008, n. 16.
Esso definisce così l'attività di "bed and breakfast": "servizio offerto da parte di coloro che nell'abitazione hanno residenza e domicilio e mettono a disposizione degli alloggiati delle camere con relativi posti letto. Tale servizio, svolto con carattere saltuario o per periodi ricorrenti stagionali, con un periodo di inattività pari almeno a sessanta giorni l'anno anche non consecutivi, ridotti a trenta giorni l'anno in Comuni sprovvisti di altre strutture ricettive, in un massimo di tre camere con non più di sei posti letto, comprende la prima colazione ed è assicurato avvalendosi della normale organizzazione familiare. In ogni caso il soggiorno e il pernottamento non può essere superiore a novanta giorni". Secondo l'art. 4, comma 5, le strutture per l'esercizio del servizio di alloggio e prima colazione o bed and breakfast devono possedere dei requisiti minimi funzionali e strutturali, tra i quali: d) somministrazione della prima colazione, consistente in cibi e bevande senza manipolazione da parte del gestore, in orario stabilito con la famiglia.
Discende dalla normativa regionale la seguente conclusione:
- se il gestore del B&B-conduttore abiterà nell'appartamento, la presenza della cucina deve essere assicurata per le sue esigenze abitative e quindi il conduttore potrebbe pretendere che il locatore garantisca la presenza di un locale adibito alla preparazione/cottura/conservazione e consumazione dei cibi (non può però pretendere che la cucina abbia certe caratteristiche estetiche, se le parti non hanno raggiunto uno specifico accordo su tale punto);
- se il gestore del B&B-conduttore non risiederà nell'immobile, la presenza di una cucina del tutto funzionale è superflua, in quanto la prima colazione può essere servita agli ospiti solo se preconfezionata e senza manipolazione da parte del gestore: sarà quindi sufficiente, ad esempio, la presenza di un frigo per la conservazione degli alimenti e di un semplice angolo cottura, ma non appare necessario che vi sia una cucina completa.
2. Riduzione del canone
Su questo punto l'interpretazione del contratto è abbastanza agevole. Infatti, poiché nell'accordo è già scritto che la locatrice deve ridurre in pristino i locali, il conduttore non può dire di non essere stato al corrente che l'appartamento avrebbe visto delle modifiche rispetto allo stato di fatto esistente al momento della sottoscrizione del contratto di locazione. Se il conduttore avesse voluto far valere le proprie ragioni, avrebbe dovuto chiarire da subito tale aspetto con la locatrice. Invece, firmando per un canone di € 2.400,00, consapevole che i locali sarebbero stati trasformati, non può ora pretendere una riduzione del canone sulla base di tale presupposto. Infatti, le clausole di un contratto vanno interpretate le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'atto (art. 1363 del c.c.).
Se il contratto di locazione firmato non dovesse più risultare confacente alle esigenze del gestore del futuro B&B, e la locatrice persistesse nell'inadempimento all'obbligo di riportare l'immobile al suo aspetto originario, si potrebbe diffidare l'adempimento della riduzione in pristino entro 15 giorni, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s'intenderà senz'altro risoluto (art. 1454 del c.c.). In questo modo si potrà quindi ottenere la risoluzione di diritto del contratto.

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