Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 2945 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Effetti e durata dell'interruzione

Dispositivo dell'art. 2945 Codice Civile

Per effetto dell'interruzione s'inizia un nuovo periodo di prescrizione(1).

Se l'interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell'articolo 2943, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio [1310; 324 c.p.c.](2).

Se il processo si estingue [306 c.p.c.], rimane fermo l'effetto interruttivo e il nuovo periodo di prescrizione comincia dalla data dell'atto interruttivo(3).

Nel caso di arbitrato la prescrizione non corre dal momento della notificazione dell'atto contenente la domanda di arbitrato sino al momento in cui il lodo che definisce il giudizio non è più impugnabile o passa in giudicato la sentenza resa sull'impugnazione(4).

Note

(1) Il fondamento dei due istituti della sospensione e dell'interruzione è diverso: nel primo l'inerzia del titolare continua a durare ma è giustificata, nel secondo viene a mancare o perché il diritto è stato esercitato o perché è stato riconosciuto dall'altra parte. Tale differenza non è fine a sè stessa ma si riverbera sugli effetti dei due istituti giuridici che risultano pertanto assai diversi: la sospensione dispiega la sua efficacia per tutto il periodo in cui sussiste la causa giustificativa dell'inerzia, ma non toglie valore al periodo eventualmente trascorso in precedenza che si somma al posteriore, dimostrandosi una sorta di parentesi nella vicenda giuridica; nella interruzione invece il tempo anteriormente trascorso non ha più alcun valore e comincia perciò a decorrere, per intero, un nuovo periodo prescrizionale.
(2) Nell'ipotesi in cui l'interruzione sia avvenuta tramite il riconoscimento o un atto semplice come può essere la messa in mora ex art. 1219, il termine prescrizionale inizia subito il nuovo decorso; nel caso invece in cui sia dovuta a domanda giudiziale, inizia quando la sentenza passa in giudicato o il giudizio si estingue. Infine, se si riscontra una situazione di litisconsorzio, l'interruzione fatta da un creditore avvantaggia anche gli altri, allargando in tal modo gli effetti favorevoli; al contrario, il riconoscimento da parte di un debitore non arreca pregiudizio agli altri, circoscrivendo l'efficacia sfavorevole.
(3) Per una deroga alle disposizioni previste da tale comma, si veda l'art. 1 bis, D.L. 17 marzo 1999, n. 64, convertito nella L. 14 maggio 1999, n. 134.
(4) Questo comma risulta aggiunto dall'art. 25, L. 5 gennaio 1994, n. 25.

Ratio Legis

La norma, come le precedenti, è finalizzata ad assicurare adeguata garanzia che la prescrizione non operi qualora sopraggiunga una causa che faccia venire meno l'inerzia del titolare, eliminando pertanto il presupposto stesso dell'istituto.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 2945 Codice Civile

Cass. civ. n. 41386/2021

Ai fini dell'interruzione della prescrizione ai sensi degli artt. 2943, comma 4, e 2945, comma 1, c.c., il tentativo di pignoramento mobiliare infruttuoso, documentato da verbale di "pignoramento negativo", costituisce idoneo atto di esercizio del credito, a condizione che l'attività all'uopo effettuata dall'ufficiale giudiziario (accesso, ostensione del titolo esecutivo e del precetto, ricerca dei beni, ecc.) sia conosciuta o conoscibile dal debitore e, dunque, che la stessa si svolga almeno in presenza dei soggetti di cui all'art. 139 c.p.c. ed in luogo appartenente alla sfera giuridica del debitore stesso, nei termini di cui all'art. 513 c.p.c.

Cass. civ. n. 25014/2021

In caso di estinzione del processo tributario dovuta all'omessa riassunzione della causa davanti al giudice del rinvio, la regola generale dell'art. 2945, comma 3, c.c., non trova applicazione e il termine di prescrizione della pretesa fiscale decorre dalla data di scadenza del termine utile per la (non attuata) riassunzione. Le ragioni della mancata applicazione della predetta regola generale sono le seguenti: a) la natura impugnatoria del processo tributario e la natura amministrativa, e non processuale, dell'atto impositivo, con la conseguente definitività di questo per effetto dell'estinzione del giudizio di impugnazione di esso proposto dal contribuente; b) l'irrazionalità della soluzione opposta, atteso che essa farebbe decorrere la prescrizione a carico dell'amministrazione finanziaria da una data (l'introduzione del giudizio) antecedente alla definitività dell'atto impositivo, con la paradossale conseguenza che il titolo dell'imposizione potrebbe risultare ineseguibile (perché estinto per prescrizione) ancor prima di essere divenuto definitivo; c) l'insussistenza, nel processo tributario, della "ratio" dell'art. 2945, comma 3, c.c., atteso che, data la natura impugnatoria di tale processo, e per la definitività che assume l'atto impositivo per effetto dell'estinzione nel caso di mancata riassunzione, è il solo contribuente ad avere interesse alla riassunzione, con la conseguenza che, qualora si applicasse la regola generale dell'art. 2945, comma 3, c.c., l'eliminazione dell'effetto sospensivo della prescrizione in pendenza del processo tributario, che poi si estingua per la mancata riassunzione, opererebbe a favore della parte processuale (il contribuente) che, mostrando disinteresse per la coltivazione del giudizio, ha consentito che l'atto impugnato divenisse definitivo. Né a tale soluzione può opporsi il regime della riscossione frazionata in pendenza di giudizio, a norma dell'art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che: se è prevista (sentenze intermedie favorevoli all'amministrazione finanziaria), essa non realizza in via definitiva la pretesa tributaria, ma opera sul piano meramente anticipatorio e interinale degli effetti di un accertamento giudiziale ancora "in itinere"; se non è prevista (sentenza intermedie favorevoli al contribuente), sussiste un impedimento di diritto alla realizzazione della pretesa tributaria, con il conseguente mancato decorso, per regola generale, del termine prescrizionale.

Cass. civ. n. 8217/2021

In tema di prescrizione, l'efficacia interruttiva permanente determinata dall'introduzione del processo esecutivo, estesa anche al coobbligato ex art. 1310 c.c., si protrae, agli effetti dell'art. 2945, comma 2, c.c., fino al momento in cui la procedura abbia fatto conseguire al creditore procedente, in tutto o in parte, l'attuazione coattiva del suo diritto ovvero, alternativamente, fino alla chiusura anticipata del procedimento determinata da una causa non ascrivibile al creditore medesimo, mentre, nell'ipotesi opposta, di estinzione cd. tipica del procedimento esecutivo, dovuta a condotte inerziali, inattive o rinunciatarie del creditore procedente, all'interruzione deve riconoscersi effetto istantaneo, a norma dell'art. 2945, comma 3, c.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito di rigetto dell'eccezione di prescrizione del credito formulata dal fideiussore, attribuendo efficacia "interruttiva-sospensiva" a due procedure esecutive, per essere la prima ancora pendente e la seconda "fisiologicamente" conclusa con la distribuzione del ricavato). (Rigetta, CORTE D'APPELLO SALERNO, 28/02/2019).

Cass. civ. n. 12239/2019

In tema di prescrizione, l'effetto interruttivo permanente determinato dall'atto di pignoramento si protrae, agli effetti dell'art. 2945, comma 2, c.c., fino al momento in cui il processo esecutivo abbia fatto conseguire al creditore procedente, in tutto o in parte, l'attuazione coattiva del suo diritto ovvero, alternativamente, fino alla chiusura anticipata del procedimento determinata da una causa non ascrivibile al creditore medesimo, mentre, in caso contrario, all'interruzione deve riconoscersi effetto istantaneo, a norma dell'art. 2945, comma 3, c.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto prescritto il credito azionato in una procedura esecutiva immobiliare, sul presupposto che, essendosi quest'ultima estinta per l'omessa rinnovazione della trascrizione del pignoramento ai sensi dell'art. 2668 ter c.c., all'atto introduttivo della stessa dovesse riconoscersi efficacia interruttiva istantanea - e non già permanente - della prescrizione). (Rigetta, CORTE D'APPELLO PALERMO, 18/07/2017).

Cass. civ. n. 20308/2018

L'effetto interruttivo permanente della prescrizione si determina anche nel caso di proposizione di un giudizio successivamente estinto nel corso del quale sia stata pronunciata sentenza non definitiva di merito, dovendosi ritenere tale ogni decisione che abbia risolto talune questioni sollevate dalle parti in ordine all'oggetto della domanda. (Nella specie, la S.C., in un giudizio avente ad oggetto l'opposizione alla stima di indennità dovute per occupazione ed espropriazione immobiliare, ha ritenuto interrotto il termine di prescrizione dalla proposizione di una precedente domanda fino al passaggio in giudicato della sentenza non definitiva con la quale, in un giudizio in seguito estinto, era stata accertata la mancata emissione del decreto di espropriazione, afferendo tale presupposto non già alla mera proponibilità dell'azione, bensì al suo accoglimento e, quindi, alla sussistenza del diritto).

Cass. civ. n. 21201/2017

L'estinzione del processo (sia stata o meno dichiarata dal giudice) elimina l'effetto permanente dell'interruzione della prescrizione prodotto dalla domanda giudiziale ai sensi dell'art. 2945, comma 2, c.c., ma non incide sull'effetto interruttivo istantaneo della medesima, comunque prodottosi, con la conseguenza che la prescrizione ricomincia a decorrere dalla data di detta domanda.

Cass. civ. n. 3741/2017

L'atto di precetto, contenendo un'intimazione ad adempiere rivolta al debitore (con conseguente sua messa in mora), produce un effetto interruttivo della prescrizione del relativo diritto di credito a carattere istantaneo, sicché, verificatosi tale effetto, inizia a decorrere, dalla data della sua notificazione, un nuovo periodo di prescrizione (artt. 2943, comma 3, e 2945, comma 1, c.c.), mentre l'atto di pignoramento determina un effetto tanto interruttivo quanto sospensivo della prescrizione stessa, giusta il disposto dell'art. 2943, comma 1, c.c., poiché ad esso consegue l'introduzione di un giudizio di esecuzione tutte le volte in cui risulti notificato regolarmente al debitore.

Cass. civ. n. 23502/2016

In caso di estinzione del processo tributario dovuta ad omessa riassunzione della causa davanti al giudice del rinvio, non trova applicazione la regola generale dettata dall'art. 2945, comma 3, c.c. ed il termine di prescrizione della pretesa fiscale decorre dalla data di scadenza del termine utile per la (non attuata) riassunzione, giacché solo da tale momento l'atto impositivo diviene definitivo, mentre, ove venisse meno l'effetto sospensivo previsto dall'art. 2945, comma 2, c.c., la prescrizione maturerebbe anteriormente a tale definitività in favore dell'unica parte processuale (il contribuente) interessata alla riassunzione, proprio al fine di evitare che l'atto impugnato diventi definitivo.

Cass. civ. n. 23867/2015

L'art. 2945, comma 3, c.c., che prevede, per il solo caso di estinzione del processo, il venir meno dell'effetto interruttivo permanente della prescrizione durante il corso del giudizio, trova applicazione, per identità di "ratio", anche nel caso di rinuncia alla domanda cui segua una sentenza di cessazione della materia del contendere, trattandosi di pronunzia inidonea ad acquisire efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere.

Cass. civ. n. 20176/2013

L'interruzione del termine di prescrizione, con la notificazione del ricorso per decreto ingiuntivo, ha effetti permanenti fino all'acquisto dell'efficacia di giudicato da parte del decreto, per mancata tempestiva opposizione, anche nel caso in cui il decreto ingiuntivo sia stato dichiarato provvisoriamente esecutivo fin dalla sua emissione.

Cass. civ. n. 13438/2013

La mera proposizione, da parte del debitore, di una citazione in revocazione ex art. 395, n. 3, cod. proc. civ. non impedisce il passaggio in giudicato, ex art. 324 cod. proc. civ., della sentenza impugnata, sicché termina l'effetto interruttivo permanente della prescrizione prodotto dalla notificazione dell'atto introduttivo del corrispondente giudizio. Tuttavia, se il creditore convenuto in revocazione si costituisce formulando una domanda comunque tendente all'affermazione del proprio diritto (ed in tale categoria va ricompresa certamente anche la mera richiesta di rigetto della revocazione) compie un'attività processuale rientrante nella fattispecie astratta prevista dal secondo comma dell'art. 2943 cod. civ.; e, quindi, ai sensi dell'art. 2945, secondo comma, cod. civ., la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il relativo procedimento.

Cass. civ. n. 6293/2007

Agli atti introduttivi del giudizio va riconosciuta efficacia permanente fino alla data in cui intervenga una sentenza, che pur risolvendo questioni processuali, come quella attinente alla giurisdizione, sia suscettibile di passare in giudicato, precludendo l'esame della stessa questione da parte di qualsiasi altro giudice, non rilevando che successivamente il giudizio di merito, trattenuto in rinvio in attesa della decisione sulla giurisdizione, sia dichiarato estinto.

Cass. civ. n. 24808/2005

Il principio fissato dall'art. 2945 c.c. - secondo il quale l'interruzione della prescrizione per effetto di domanda giudiziale si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio - trova deroga solo nel caso di estinzione del processo, e pertanto resta applicabile anche nell'ipotesi in cui detta sentenza non decida nel merito ma definisca eventuali, questioni processuali di carattere pregiudiziale; ne consegue che deve riconoscersi alla domanda giudiziale l'effetto interruttivo protratto di cui all'art. 2945 c.c. anche nell'ipotesi in cui il giudizio si concluda con una sentenza che dichiari l'improponibilità della domanda.

Cass. civ. n. 13081/2004

Sia con la notifica del ricorso e del relativo decreto ingiuntivo, sia con la comparsa di risposta all'opposizione, l'opposto esercita una azione di condanna idonea ad interrompere la prescrizione ex art. 2943 primo e secondo comma c.c. ; tale interruzione ha effetti permanenti (e non meramente istantanei ) ex art. 2945, secondo comma, c.c., fino alla sentenza che decide il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ovvero fino a quando quest'ultimo sia divenuto non più impugnabile ed abbia quindi acquistato autorità ed efficacia di cosa giudicata sostanziale al pari di una sentenza di condanna. Dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che decide sull'opposizione ovvero del decreto decorrerà poi l'ulteriore termine di prescrizione previsto dall'art. 2953 c.c.

Cass. civ. n. 11919/2003

La disposizione dettata dal secondo comma dell'art. 2945 c.c., intesa a non far correre la prescrizione nel tempo richiesto per la realizzazione del diritto in via giurisdizionale, non può trovare applicazione quando lo stesso creditore, dopo aver proposto in giudizio una determinata domanda, la abbandoni, così impedendo che intervenga, sulla domanda stessa, la sentenza definitiva da cui possa iniziare il nuovo periodo di prescrizione previsto dalla legge, senza che possa rilevare che il giudizio prosegua e giunga a definizione relativamente ad altre e diverse pretese avanzate contestualmente a quella abbandonata. (In applicazione ditale principio di diritto la S.C. ha confermato sul punto la sentenza di merito, che aveva correttamente ritenuto, in una causa di ripetizione di somme indebitamente riscosse dall'INPS, che il diritto agli interessi moratori fosse diritto autonomo, come tale necessitante di una autonoma domanda, e che, in caso di mancata riproposizione di tale domanda in appello, per il combinato disposto degli artt. 329 e 346 c.p.c., essa dovesse presumersi rinunciata, con il conseguente venir meno dell'effetto interruttivo permanente della prescrizione per tutta la durata del giudizio ed il permanere della sola interruzione istantanea della prescrizione prodotta dalla proposizione della domanda giudiziale).

Cass. civ. n. 11016/2003

In caso di estinzione del processo, di norma solo l'atto introduttivo del giudizio ha efficacia interruttiva istantanea della prescrizione, che ricomincia a decorrere dalla data di tale atto, non avendo efficacia interruttiva le attività processuali svolte nei processo estinto. tuttavia, all'interno di un processo poi estinto può esplicare efficacia interruttiva della prescrizione il singolo atto processuale qualora esso esprima al contempo anche un contenuto sostanziale, essendo espressione di un comportamento inequivoco del creditore volto a far valere il proprio diritto e tale da comportare la costituzione in mora del debitore.

Cass. civ. n. 10480/2002

In tema di prescrizione nel caso di estinzione del processo, il nuovo periodo di prescrizione, relativa al diritto dedotto in giudizio, inizia a decorrere, a norma dell'art. 2945, comma terzo, c.c., dall'atto introduttivo del giudizio, ovvero dalla domanda proposta in corso di causa, e non anche da uno degli atti processuali successivi, quali le deduzioni difensive, le istanze di merito e le richieste di prove formulate dal difensore.

Cass. civ. n. 4203/2002

Il precetto, non costituendo atto diretto alla instaurazione di un giudizio, interrompe la prescrizione senza effetti permanenti, ed il carattere solo istantaneo dell’efficacia interruttiva sussiste anche nel caso in cui, dopo la notificazione del precetto, l’intimato abbia proposto opposizione, tuttavia, efficacia interruttiva permanente della prescrizione va riconosciuta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2943, primo comma, e 2945, secondo comma, c.c., all’atto con il quale viene iniziata la procedura esecutiva, e tale effetto si protrae sino al momento in cui detta procedura giunga ad uno stadio che possa considerarsi l’equipollente di ciò che l’art. 2945, secondo comma, cit., individua, per la giurisdizione cognitiva, nel passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ossia allorché il processo esecutivo abbia fatto conseguire al creditore procedente l’attuazione coattiva del suo diritto, ovvero quando la realizzazione della pretesa esecutiva non sia stata conseguita per motivi diversi dalla estinzione del processo, quali, ad esempio, la mancanza o l’insufficienza del ricavato della vendita, la perdita successiva del bene pignorato e simili.

Cass. civ. n. 8136/2001

La disciplina dell'art. 1310, secondo comma c.c., sull'estensibilità dell'interruzione della prescrizione agli altri condebitori solidali va completata con la disciplina degli effetti della durata dell'interruzione contenuta nell'art. 2945 c.c., con la conseguenza che l'azione giudiziaria e la pendenza del relativo processo determina l'interruzione permanente della prescrizione anche nei confronti del condebitore rimasto estraneo al giudizio.

Cass. civ. n. 7270/2000

L'effetto interruttivo permanente dipende dall'atto introduttivo e dal successivo giudizio a norma dell'art. 2945, secondo comma non dev'essere necessariamente eccepito dalla parte interessata. Infatti in tal caso l'effetto interruttivo costituisce un effetto ex lege della domanda e del successivo giudizio, con la conseguenza che è la parte che eccepisce la prescrizione che deve provare l'avvenuto decorso del tempo senza calcolare a questo fine anche il tempo del giudizio.

Cass. civ. n. 5961/2000

Nell'ipotesi di revoca tacita della costituzione di parte civile a norma dell'art. 102 dell'abrogato codice di procedura penale per allontanamento dall'udienza od omessa presentazione delle conclusioni, trova applicazione, per quanto attiene alla prescrizione dell'azione civile per il risarcimento del danno e le restituzioni, la disposizione dell'art. 2945 comma terzo c.c. che esclude l'effetto interruttivo permanente della prescrizione, stabilendo che il nuovo periodo prescrizionale riprende a decorrere dalla data dell'atto interruttivo.

Cass. civ. n. 14243/1999

L'effetto interruttivo della prescrizione derivante dalla domanda giudiziale, purché idonea ad instaurare un valido rapporto processuale, perdura fino al passaggio in giudicato della sentenza definitiva del giudizio, non solo in merito, ma anche su questioni pregiudiziali di rito (giurisdizione, competenza, difetto di presupposti processuali), ovvero preliminari di merito (prescrizione), in quanto anch'essa suscettibile di passare in giudicato in senso formale.

Cass. civ. n. 2417/1999

La prescrizione di un diritto non corre per tutta la durata del processo, necessaria per farlo valere, ma soltanto se questo è definito con sentenza, mentre, se si estingue, l'atto introduttivo ha soltanto efficacia interruttiva istantanea, e la prescrizione ricomincia a decorrere dalla data di tale atto, non avendo efficacia interruttiva alcuna gli atti processuali successivi compiuti nel processo estinto; invece la riassunzione del processo dinanzi al giudice competente è atto processuale idoneo ad interrompere istantaneamente la prescrizione perché, esprimendo la volontà di far valere il diritto e menzionandone la causa e l'ammontare, è equipollente ad un atto di costituzione in mora.

Cass. civ. n. 9400/1997

Poiché il protraentesi effetto interruttivo della prescrizione, previsto dall'art. 2945 secondo comma c.c., consegue anche ad una sentenza di rito, in quanto, anche se con essa è stata dichiarata la nullità del processo, il rapporto processuale si è comunque instaurato — come nel caso in cui non sia rispettato il termine a comparire cui è atto riassuntivo non rispetta il termine a comparire, il processo non è dichiarato estinto in mancanza della costituzione del convenuto e nella relativa eccezione — è solo dal passaggio in giudicato della sentenza che riprende a decorrere il termine prescrizionale.

Cass. civ. n. 11318/1996

L'estinzione del processo (sia o meno dichiarata dal giudice) elimina l'effetto permanente dell'interruzione della prescrizione prodotto dalla domanda giudiziale ai sensi dell'art. 2945 comma 2 c.c., ma non incide sull'effetto interruttivo istantaneo della medesima, con la conseguenza che la prescrizione ricomincia a decorrere dalla data di detta domanda.

Cass. civ. n. 12422/1995

Ove, nel corso del giudizio di merito, sia pronunciata sentenza su una querela di falso, tale pronuncia, anche se passata in giudicato, non costituisce una sentenza idonea a definire il giudizio ai sensi dell'art. 2945 comma secondo c.c.. in ragione della autonomia del giudizio di falso rispetto a quello di merito. Ne consegue che, estintosi il giudizio di merito, il nuovo periodo di prescrizione comincia a decorrere non dal passaggio in giudicato della sentenza che statuisce sul falso, ma dalla notifica dell'atto introduttivo del giudizio.

Cass. civ. n. 10055/1995

L'art. 2945, secondo comma, c.c. attribuisce alla domanda giudiziale effetto interruttivo permanente della prescrizione fin quando il rapporto processuale derivante dall'originario atto di citazione sia mantenuto in vita, negli eventuali diversi gradi in cui il processo si può articolare, mediante la notificazione di atti idonei a determinare l'instaurazione di altrettanti gradi di giudizio. Pertanto, tale effetto non si protrae fino alla data di dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione per falsità della relazione di notifica, atteso che tale falsità comporta la inesistenza della notifica e conseguentemente l'inesistenza dell'ulteriore rapporto processuale (solo apparentemente) instaurato con tale notifica ed il relativo accertamento è necessario, quindi, non per definire processualmente un rapporto (di impugnazione) mai venuto in essere; bensì al solo fine di accertare, ex tunc, la mancanza di litispendenza.

Cass. civ. n. 7407/1992

Anche nel caso in cui il processo si estingua perché non è stato tempestivamente riassunto davanti al giudice indicato come competente nella sentenza che ha dichiarato l'incompetenza del giudice adito (art. 50 c.p.c.), non si verifica l'effetto interruttivo-sospensivo della prescrizione, secondo il principio stabilito dal secondo comma dell'art. 2945 c.c., ma solo l'effetto interruttivo-istantaneo prodotto dall'atto con cui è stato iniziato il giudizio (con la conseguenza che la prescrizione incomincia a decorrere dalla data di questo atto), ai sensi del terzo comma del medesimo articolo, che pone una eccezione alla regola generale del precedente comma, applicabile in tutti i casi di estinzione, tra i quali rientrano quelli in cui alla sentenza, ancorché definitiva del giudizio davanti al giudice adito deve seguire la prosecuzione del processo, pena la sua estinzione.

Cass. civ. n. 4108/1981

La notificazione della sentenza di primo grado e la proposizione del gravame, quale strumento d'impulso processuale per insistere in domande già in primo grado avanzate, non rientrano fra gli atti interruttivi della prescrizione contemplati dai primi due commi dell'art. 2943 c.c. (domanda introduttiva del giudizio e domanda proposta nel corso di un giudizio già pendente), e, pertanto, nel caso di estinzione del procedimento, possono spiegare autonoma efficacia interruttiva della prescrizione stessa, ai sensi dell'art. 2945 terzo comma c.c. solo quando abbiano i connotati dell'atto di costituzione in mora, a norma del quarto comma del citato art. 2943 c.c., e, cioè, integrino una manifestazione scritta di esercizio e di tutela del diritto da parte del creditore, comunicata personalmente al debitore.

Notizie giuridiche correlate all'articolo

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

SEI UN AVVOCATO?
AFFIDA A NOI LE TUE RICERCHE!

Sei un professionista e necessiti di una ricerca giuridica su questo articolo? Un cliente ti ha chiesto un parere su questo argomento o devi redigere un atto riguardante la materia?
Inviaci la tua richiesta e ottieni in tempi brevissimi quanto ti serve per lo svolgimento della tua attività professionale!

Consulenze legali
relative all'articolo 2945 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

C. I. chiede
venerdì 16/06/2023
“Ad oggi a distanza di undici anni con raccomandata a firma del condomino-pseudo amministratore, viene richiesto a mia figlia di rimborsare varie somme a dire rappresentate da spese di proprietà e di gestione dal 2010 al 2017, che avrebbe anticipato per l’unità immobiliare di mia figlia. A tale proposito vorrei sapere se questo condomino che vanta il rimborso di spese condominiali anticipate che sono secondo mè non dovute per gli art. 1134 e 1136 c.c. ed anche in parte prescritte con i 5 anni può di contro richiederne il rimborso appellandosi all'art. 2041 del c.civile e se eventualmente dovesse insorgere un vertenza giudiziale se sarebbe possibile riferirsi ad un organo di mediazione.- In attesa di riscontro molto gradito porgo distinti saluti.-
Consulenza legale i 21/06/2023
Purtroppo il quesito è assolutamente generico e non offre la possibilità di entrare nello specifico della vicenda.
Rimanendo quindi su un piano generale si può dire che il n. 3 dell’art. 2948 del c.c. prevede che la prescrizione per pretendere il pagamento di oneri condominiali sia di 5 anni decorrenti dalla data della delibera assembleare che prevede la spesa. Tuttavia, da quel che pare di capire controparte pone a giustificazione della sua richiesta di pagamento l’aver effettuato a sue spese, ai sensi dell’art. 1134 del c.c., opere urgenti nell’ interesse della cosa comune. Orbene, la giurisprudenza (Cass.Civ.Sez.II, n.19348 del 04.10.2005) ha precisato che il diritto al rimborso per spese urgenti ai sensi dell’art. 1134 del c.c. si prescrive nel termine ordinario decennale di cui all’art. 2946 del c.c., e non ai sensi dell’art. 2948 del c.c.
Per tale motivo anche se i crediti di cui pretende il pagamento la controparte sono sorti in epoca piuttosto remota non è detto che il termine prescrizionale sia interamente decorso, almeno per le annualità più recenti.

Sotto questo aspetto si deve anche tener conto della normativa che disciplina l’interruzione della prescrizione. Ai sensi del 4° co. dell’art. 2943 del c.c. e 1° co. dell’art. 2945 del c.c. se il creditore ha inviato un atto che vale a mettere in mora il suo debitore, il computo del termine prescrizionale deve interrompersi per riprendere repentinamente dal giorno in cui tale atto interruttivo è stato inviato. In virtù di questo sistema “ad elastico”, è possibile che controparte sia ancora nei termini per far valere il suo diritto se in questi anni essa ha inviato una o più lettere di messa in mora per i crediti sorti in annualità più remote, e lo abbia fatto prima del decorso del termine di prescrizione originario.
Prendiamo, ad esempio, il credito sorto nel 2010: se controparte avesse, in ipotesi, inviato un sollecito di pagamento per quel credito nell’anno 2014, prima quindi che il termine quinquennale (o decennale) originario fosse interamente decorso, il computo della prescrizione ripartirebbe nuovamente dall’inizio a partire dall’anno 2014, impedendo quindi il decorso della prescrizione anche per le annualità più remote.

Ad ogni modo, se la prescrizione è definitivamente decorsa controparte non può rifugiarsi nell’azione di generale arricchimento di cui all’ art. 2041 del c.c.. Come ben specifica il successivo art. 2042 del c.c., tale tipo di azione è esperibile nel solo caso in cui colui che ha subito l’ingiusto arricchimento altrui non abbia altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito. Nel caso specifico l’ordinamento offre ben altri mezzi al creditore per pretendere il rimborso delle spese anticipate (in questo senso si pensi proprio a quanto previsto dall’art. 1134 del c.c.), e certamente non rileva il fatto che il termine prescrizionale sia decorso per disinteresse del soggetto che tali azioni avrebbe ben potuto farle valere. Vi è da dire inoltre che anche l’azione di generale arricchimento, è soggetta al termine prescrizionale decennale con tutte le conseguenze già dette in precedenza.

ALESSANDRO C. chiede
venerdì 14/05/2021 - Lombardia
“Buongiorno
nel 2007 Banca XX concede alla società YY un finanziamento e nello stesso periodo si fa rilasciare fideiussione omnibus con massimale stabilito da un amministratore della società YY. La società YY fallisce nel 2011. La banca XX entro 6 mesi dalla data del fallimento si insinua correttamente al passivo del fallimento. Sulla base della normativa in essere la prescrizione del credito vantato dalla banca XX viene interrotta e sospesa fino alla chiusura del fallimento. A seguito della art. 1310 del codice civile tale interruzione e sospensione della prescrizione ha effetto anche verso i garanti. Pertanto ha effetto anche verso il fideiussore (amministratore della società YY). La Banca XX non escute la fideiussione dell’amministratore ne fa decreto ingiuntivo e per un periodo di oltre 10 anni dalla data del fallimento non esercita alcuna azione verso il fideiussore diversamente da altre banche coinvolte. Alla base della norma che stabilisce la sospensione della prescrizione fino alla chiusura del fallimento vi è il fatto che la Banca XX non può agire verso il fallito (società YY) ma che tutto è gestito dal curatore fallimentare che gestire il tutto in modo uniforme e per la massa dei creditori. Per cui la banca NON ha potere di esercitare azioni individuali verso il fallito. Tuttavia HA poteri e NON li esercita per oltre 10 anni nei confronti del fideiussore. Pertanto, a logica si ritiene che il fideiussore passati 10 anni dalla dichiarazione di fallimento e dato che la banca XX, avendo un diritto e potendolo esercitare, non lo ha esercitato debba intensi liberato dalla fideiussione. Avete una soluzione in merito?
Ringrazio e porgo i miei Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 18/05/2021
Il ragionamento corretto per rispondere al quesito viene fornito da questo principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte:

"La presentazione dell'istanza di insinuazione al passivo fallimentare, equiparabile all'atto con cui si inizia un giudizio, determina, ai sensi dell'art. 2945 c.c., comma 2, l'interruzione della prescrizione del credito, con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura concorsuale, anche nei confronti del condebitore solidale del fallito, ai sensi dell'art. 1310 c.c., comma 1. Né rileva, ai fini dell'efficacia di tale atto interruttivo, la circostanza che nei confronti del condebitore solidale del fallito il creditore abbia ottenuto un provvedimento che riconosce l'esistenza del credito con efficacia di giudicato (nella specie, decreto ingiuntivo non opposto)" (Cass. civ., Sez. III, Ord., 19/04/2018, n. 9638).

Il ragionamento esposto nel quesito non tiene conto di un dato rilevante, ben chiarito invece nel principio di diritto sopra indicato, ovvero che la prescrizione ricomincia a decorrere, sia per il fallito debitore principale che per il condebitore solidale (il fideiussore), solamente dal decreto di chiusura della procedura fallimentare. Da tale data riiniziano a decorrere i termini di prescrizione e dunque il termine decennale per poter vagliare l’estinzione del diritto del creditore nei confronti del fideiussore.

Pertanto, non si può ritenere nel caso di specie che sia intervenuta una prescrizione a favore del fideiussore e contro il creditore.

Marco C. chiede
mercoledì 27/05/2020 - Lombardia
“sono un segretario comunale dipendente agenzia segretari comunali , nominato ed in servizio presso un ente - Nei confronti di enti cui ho prestato servizio ho fatto raccomandata costitutiva e interruttiva della prescrizione (spese legali . altri ) nel 2014 ma non ho fatto più nulla , è prescritta ogni possibilità ? in altri termini la prescrizione nei confronti della pubblica amministrazione per responsabilità contrattuale è dieci o cinque anni ? dopo una prima interruzione può esservene una seconda e entro quanti anni va fatta ? dieci o cinque ?

Consulenza legale i 10/06/2020
Per prescrizione si intende l'estinzione del diritto per inerzia del titolare. L’art. 2934 c.c. dispone che "ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge. Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge".
Ai sensi dell’art. 2946 c.c. “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”.
Con riferimento al rapporto di lavoro, la prescrizione estintiva quinquennale assume particolare rilievo nell'ambito delle retribuzioni periodiche. Infatti, l’art. 2948, n. 4, c.c. prevede che "tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi" sia soggetto a prescrizione estintiva quinquennale. Pertanto, si prescrivono in cinque anni le retribuzioni periodiche, sia quelle con cadenza mensile, quindicinale, settimanale, sia le erogazioni a periodicità annuale come le mensilità aggiuntive, le gratifiche, premi di produzione o di rendimento. Sono, altresì, soggette a prescrizione quinquennale le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro, quali il TFR e l'indennità sostitutiva del preavviso.
Sempre nell’ambito del rapporto di lavoro, la prescrizione decennale assume, invece, un rilievo residuale e trova applicazione generalmente nelle ipotesi di inadempimento contrattuale, diverso dal mancato pagamento delle voci attinenti alla retribuzione, nonché nelle ipotesi di erogazioni non aventi carattere periodico, come le erogazioni una tantum, tra cui, ad esempio: il premio di fedeltà, l'indennità di trasferimento, le somme attribuite con transazione novativa, il diritto alla qualifica (Cass., 17 luglio 2001, n. 9662), il diritto al risarcimento dei danni per omesso versamento da parte del datore di lavoro dei contributi previdenziali (Cass., 6 febbraio 1987, n. 1247) e il rimborso spese.
Vi è, inoltre, da tenere in considerazione la prescrizione presuntiva, che opera per i crediti retributivi, e che consiste in una presunzione di adempimento che determina, dunque, l'estinzione di un certo credito, salva la prova contraria del pagamento, superabile solo con la confessione giudiziale ex art. 2959 c.c., o con il giuramento ex art. 2960 c.c. del debitore di non aver adempiuto. Le retribuzioni del lavoratore sono sottoposte a prescrizione presuntiva annuale se hanno periodicità non superiore al mese (art. 2955, n. 2, c.c.) oppure triennale se hanno, invece, periodicità superiore (art. 2956, n. 1, c.c.). Il termine della prescrizione presuntiva decorre dalla scadenza della retribuzione periodica o dal compimento della prestazione ex art. 2957, comma 1, c.c.
La Suprema Corte ha chiarito che il regime della prescrizione presuntiva triennale fissato nell'art. 2956, n. 1), c.c. è applicabile alle c.d. mensilità aggiuntive (Cass. 18.2.2019, n. 4687).
Per quanto riguarda l’interruzione della prescrizione, bisogna fare, invece, riferimento all’art. 2945 c.c. il quale così dispone: "Per effetto dell'interruzione s'inizia un nuovo periodo di prescrizione”.
L'interruzione è funzionale a consentire un nuovo periodo di prescrizione a condizione che avvenga nelle forme e con le modalità di cui all'art. 2943 c.c., ovvero con la notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo ed è pure interrotta dalla domanda proposta nel corso di un giudizio. La prescrizione è inoltre interrotta "da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore e dall'atto notificato con il quale una parte, in presenza di compromesso o clausola compromissoria, dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri".
La Suprema Corte ha stabilito che “in tema di interruzione della prescrizione, un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto indicato, con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo). Quest'ultimo requisito non è soggetto a rigore di forme, all'infuori della scrittura, e, quindi, non richiede l'uso di formule solenni nè l'osservanza di particolari adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere dal medesimo il soddisfacimento del proprio diritto" (Cassazione civile, sez. lav., 28/11/2016, (ud. 15/09/2016, dep.28/11/2016), n. 24116).
Nel caso di specie, pertanto, si dovrà innanzitutto distinguere, a seconda del diritto che si vuole far valere, se lo stesso rientra nei casi di prescrizione quinquennale o decennale.
Per quanto riguarda gli stipendi arretrati, la prescrizione è quinquennale, pertanto il relativo diritto, anche nel caso in cui la prescrizione fosse stata interrotta nuovamente nel 2014, sarebbe ormai prescritto.
Peraltro, sarebbe da tenere in considerazione anche l’avvenuta prescrizione presuntiva di cui si è detto.
Per quanto riguarda invece il diritto al rimborso delle spese legali e al risarcimento del danno da mobbing, si applicherà la prescrizione decennale. Pertanto, nel caso in cui sia stata rinnovata la messa in mora nel 2014 e quindi sia stata nuovamente interrotta la prescrizione, da tale data si dovrà calcolare un nuovo periodo di prescrizione, sempre decennale. Il diritto si prescriverà, pertanto, nel 2024.
Si rileva che, perché ciò sia possibile, è tuttavia necessario che la messa in mora del 2014 sia valida. In particolare, controparte potrebbe eccepire che la stessa non sia chiara nello specificare quale sia il diritto fatto valere. Infatti, dall’analisi del documento trasmesso emerge che lo stesso richiama atti e comunicazioni precedenti, senza allegarli, né meglio specificarli; inoltre, non vi è una chiara intimazione, né un termine ad adempiere, né un invito a negoziare.


Vito chiede
martedì 04/12/2012 - Basilicata
“salve, il mio problema e il seguente:
mi è arrivato un sollecito di pagamento da parte di un'azienda che fornisce materiale edile, l'acquisto di questo materiale e stato fatto da mio padre 30/06 2001data di emissione fattura, mentre loro mi hanno inviato il sollecito il 04/12/12 volevo sapere come comportarmi premettendo che mio padre e deceduto due mesi fa.Nella speranza di una vostra risposta vi porgo cordiali saluti”
Consulenza legale i 05/12/2012

Il nostro ordinamento dispone all'art. 2946 del c.c. che salvi i casi in cui la legge dispone diversamente i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni.

Il diritto ad ottenere il pagamento di una somma di denaro a fronte della prestazione di una fornitura di materiale edile rientra nell'ambito di applicazione della predetta norma. Il termine prescrizionale di dieci anni decorre dal momento in cui il diritto può esser fatto valere; pertanto, nel caso di specie, dal momento in cui il pagamento è stato richiesto con l'emissione della fattura (30.06.2001). 

Considerando tale data quale momento a partire dal quale far decorrere il termine prescrizionale di dieci, il diritto dell'azienda ad ottenere il pagamento della fornitura si può considerare prescritto essendosi compiuto il termine decennale (30.06.2001-30.06.2011). Infatti, il sollecito di pagamento pervenuto il 4.12.2012 risulta tardivo in quanto il diritto è oramai prescritto.  

Quanto sino ad ora detto ha valore nei limiti in cui non sia intervenuto un sollecito di pagamento, quale atto interruttivo della prescrizione, nel termine di dieci anni sopra indicato. Se così fosse infatti, il diritto dell'azienda ad ottenere il pagamento non può considerarsi prescritto.


Anonimo chiede
sabato 16/07/2011 - Emilia-Romagna

Nel 1997 ricevo un avviso di accertamento tributario dall’Agenzia delle Entrate. Nel 2010 dopo varie sentenze viene dichiarato estinto il processo. Ora l’ufficio mi ha spedito la cartella di pagamento. L’avvocato sostiene che la pratica è prescritta. Chi ha ragione?”

Consulenza legale i 22/07/2011

Non sono offerte sufficienti informazioni in merito alla vicenda occorsale.

Si ricorda che il potere di accertamento tributario è sottoposto a DECADENZA, per cui per ogni tipo di imposta o di tributo, lo Stato o l’Ente territoriale competente ha un periodo di tempo preciso entro cui esercitare il potere di accertamento.

Questa funzione del termine decadenziale assegnato dalla legge all’Ente impositore per esercitare la potestà di verifica comporta che dal mancato perfezionamento della notifica di un atto di accertamento entro un certo termine discendono decadenze di diritti e poteri a danno dell’Amministrazione onerata della notifica e la corrispondente affrancazione di quei diritti e poteri a beneficio del contribuente cui l’atto deve esser notificato.


A. D. M. chiede
sabato 18/03/2023 - Lazio
“In una sentenza emanata il 26 marzo 2013 [notare la data per la prescrizione] dalla Corte d'appello di XXX, è stato revocato un D.I. precedentemente confermato in 1° grado (x circa E.10.000,00); nella stessa sentenza la Corte condanna il sottoscritto al pagamento di un compenso professionale minore di quello richiesto nel D.I., nonché di altra somma x spese sopportate da controparte nei due gradi di giudizio (seguiti al D.I.).
Chiedo se posso calcolare la somma che controparte deve restituirmi sottraendo alla somma già versata (circa E. 25.000,00) solo il compenso professionale stabilito dal giudice d'appello, senza pagare le spese dei due gradi di giudizio che contraddittoriamente la Corte mi impone, per essere essi stati la conseguenza di un D.I. revocato nella stessa sentenza.
So bene che la sentenza d'appello è passata in giudicato, ma vedo che non è stata apposta ad essa la formula esecutiva, né è stata a me notificata da controparte, per cui probabilmente non è obbligatorio eseguirla per intero.
Inoltre, chiedo se lo spostamento del termine prescrizionale si otterrebbe in ogni caso con una lettera inviata a controparte, anche se la richiesta di restituzione somme si basa soltanto su una parte della sentenza della Corte d’appello (pagamento del compenso e non delle erronee spese): salvo aggiustare il tiro, se necessario con azione giudiziaria, in caso di richiesta giuridicamente non perfetta.
Grazie, cordiali saluti.”
Consulenza legale i 22/03/2023
L’art. 2909 del c.c. prevede che: "L'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.
Ciò significa che una volta che non sia più possibile proporre i mezzi di impugnazione ordinari avverso una sentenza di condanna (generalmente Appello e Ricorso per Cassazione) quanto in essa disposto diventa obbligatorio per le parti coinvolte nel giudizio da cui il provvedimento giudiziario è scaturito, divenendo per essi come una legge speciale vigente solo nei loro confronti regolante il rapporto che fu controverso e che portò alla lite e quindi al processo.

Questo è uno dei principi basilari del nostro ordinamento e certo esso non viene in alcun modo meno se la sentenza che reca la condanna non sia stata notificata alla parte soccombente oppure non sia stata apposta alla sentenza la formula esecutiva (adempimento quest’ ultimo che, tra l’altro, è stato da poco abolito dalla recente riforma Cartabia sul processo civile).
Ai sensi dell’art. 326 del c.p.c. la notifica della sentenza ha il solo scopo di far decorrere i termini brevi per impugnare previsti dal precedente art. 325 del c.p.c.. Come però ci dice il successivo art. 327 del c.p.c. indipendentemente dalla notificazione, i mezzi di impugnazione ordinari non possono proporsi decorsi 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza, la quale quindi diviene res iudicata ai sensi dell’art. 2909 del c.c. con le conseguenze che si sono già precedentemente illustrate.
Del tutto ininfluente è anche la mancata apposizione della formula esecutiva. Essa aveva come scopo quello di dare alla sentenza esecutività, facendola diventare un titolo esecutivo, il quale, ai sensi dell' art. 474 del c.p.c., non è altro che il documento senza il quale non sarebbe possibile iniziare l’azione esecutiva. Tuttavia l’azione esecutiva è cosa diversa dalla obbligatorietà della sentenza: l’obbligatorietà, come abbiamo già detto è un requisito che attiene al passaggio in giudicato del provvedimento, l’azione esecutiva invece è quel procedimento a cui si ricorre nel momento in cui il soggetto condannato da una sentenza passata in giudicato e quindi obbligatoria non voglia eseguire spontaneamente a favore della parte vincitrice il dispositivo in essa contenuto.
Nel caso specifico quindi la sentenza non notificata alla parte soccombente è divenuta res iudicata in data 11 novembre 2013 e quindi deve essere eseguita nella sua interezza dall’autore del quesito, salvo però verificare se non siano decorsi i termini di prescrizione.

Sotto questo aspetto, argomentando ai sensi degli artt.2946 e 2953 del c.c. gli obblighi che trovano la loro fonte nella sentenza passata in giudicato si prescrivono in dieci anni dalla pubblicazione della sentenza: assumendo quindi come giorno iniziale per calcolare il decorso del termine prescrizionale la data del 26.03.2013, esso sarebbe prossimo alla sua completa realizzazione che avverrebbe in data 26.03.2023. Ciò però non deve rendere ottimista l’autore del quesito in quanto bisogna tenere conto della possibile interruzione della prescrizione prevista dagli artt. 2943 e 2945 del c.c.

In forza del meccanismo di interruzione previsto da tali norme, se la parte riconosciuta vittoriosa nella sentenza durante questi anni ha inviato un valido atto interruttivo della prescrizione, il primo comma dell’art. 2945 del c.c. prevede che il computo dell’originario termine prescrizione si interrompa e ne inizi repentinamente uno nuovo che ha però come giorno iniziale di riferimento la data in cui il debitore obbligato ha ricevuto l’atto interruttivo.

Sono diversi gli atti che per l’ordinamento sono idonei a far scattare l’effetto interruttivo previsto dall’art. 2945 del c.c.: si può andare dal precetto che ai sensi degli artt. 479e 480 del c.p.c. è l’atto prodromico all’ inizio della azione esecutiva e quindi del pignoramento, fino anche ad una semplice raccomandata con la quale la parte creditrice, anche senza l’ausilio di un legale semplicemente sollecita il puntuale adempimento degli obblighi contenuti nella sentenza passata in giudicato. La prima parte infatti del co. 4° dell’art. 2943 precisa espressamente che la prescrizione è interrotta da ogni atto che valga a costituire in mora il debitore.

Per meglio capire il meccanismo interruttivo che si è tentato di spiegare facciamo un esempio pratico. Poniamo il caso che in questi quasi dieci anni l’autore del quesito, per vari motivi, non abbia spontaneamente adempiuto agli obblighi contenuti nella sentenza che lo vedeva soccombente, o comunque non abbia adempiuto ad essi compiutamente, ad esempio non pagando le spese legali del giudizio di primo e secondo grado. La sua controparte, quindi, ha in questi anni sollecitato il pagamento di tali spese inviando una raccomandata ricevuta dal destinatario ad esempio il 1° febbraio del 2019. In forza di tale raccomandata il computo dell’iniziale termine prescrizionale decennale iniziato nel 26.0.3.2013 (data di pubblicazione della sentenza) si interrompe e ne inizia repentinamente uno nuovo che ha il suo dies a quo proprio il 1 febbraio 2019, ma che troverebbe termine solo il 31.01.2029: pertanto nessuna prescrizione si è compiuta nel momento in cui si sta scrivendo e la parte vincitrice sarebbe ancora pienamente nei termini per far valere gli obblighi contenuti nella sentenza, anche ricorrendo ad una azione esecutiva.
Si consiglia quindi di essere ben certi che in questi anni non si sia ricevuto un qualche atto che abbia avuto come effetto quello di interrompere la prescrizione.

ADOLFO M. chiede
domenica 14/03/2021 - Lazio
“Due persone, marito e moglie, acquistano da un terzo, molti decenni fa, un terreno soggetto a livello con proprietà concedente, divenendo quindi titolari del livello. In seguito costruiscono un fabbricato sul suolo (peraltro abusivo). Il marito con atto notarile dona ("secondo i propri diritti") la propria metà di livello del terreno e la propria quota del fabbricato ai figli. Il marito muore. La moglie muore in seguito e per testamento lascia ai figli l'altra metà del livello e l'altra propria quota del fabbricato. Nella successione, quale diritto reale si deve denunciare per il fabbricato? Diritto superficiario?
Il canone del livello non è stato mai pagato né rivendicato per decenni. La proprietà concedente non è mai stata reperibile.”
Consulenza legale i 28/03/2021
L’esame della documentazione fatta pervenire a questa Redazione è risultato di fondamentale importanza per inquadrare correttamente la fattispecie che viene posta all’attenzione e per la quale si chiedono chiarimenti.

Per rispondere alle domande poste occorre preliminarmente fornire un breve inquadramento giuridico dell’istituto del livello, ormai scomparso dal nostro ordinamento giuridico e, secondo la tesi di alcuni giuristi, assimilabile, almeno per quanto concerne la disciplina da applicare, all’enfiteusi.

In realtà, si ritiene preferibile la tesi secondo cui l'istituto del livello si è delineato in maniera tale da distinguersi nettamente da quello dell'enfiteusi, con la conseguenza che ai livelli non si può estendere la disciplina giuridica stabilita per l'enfiteusi.

Come si ritiene possa essere noto, infatti, il livello era un rapporto agrario, risultante da un documento scritto (il c.d. libellus), rapporto che prendeva origine da una concessione di terreno, generalmente fissata per una lunga durata, contro la prestazione periodica di un canone in natura o in denaro.

Poiché il concessionario (o livellario) viveva sulle terre concesse ed aveva pienezza dei poteri di utilizzazione e la libera disponibilità inter vivos e mortis causa, e considerato peraltro che il canone era di valore quasi insignificante, l'istituto del livello si è evoluto nel senso di considerare il concessionario come il vero proprietario e di qualificare il canone che lo stesso era tenuto a corrispondere come un onere reale.

Il livellario, dunque, era il vero dominus del fondo, gravato dall'onere reale di "dare" al concedente o chi per lui una prestazione periodica annua o perpetua.
Ora, a prescindere dalla qualificazione giuridica che va data agli oneri reali, essendo discusso se debbano inquadrarsi tra i rapporti reali o tra i rapporti obbligatori, una cosa è certa, ossia che, fatta eccezione per il diritto di proprietà (per sua natura imprescrittibile, salvo il verificarsi dell’usucapione ex art. 948 del c.c.), secondo quanto espressamente disposto dall’art. 2934 del c.c. ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo indicato dalla legge.

Nel caso specifico dei rapporti di durata, in cui si assiste ad una pretesa complessiva avente a sua volta ad oggetto singole prestazioni ricorrenti, ciascuna di queste singole prestazioni si presenta come economicamente e giuridicamente autonoma, con la conseguenza che si deve intendere soggetta a prescrizione non solo la pretesa alla singola prestazione, ma anche la pretesa all'intero complesso delle prestazioni.

Pertanto, per la prestazione delle singole annualità, vale la prescrizione quinquennale prevista dal n. 1 dell’art. 2948 del c.c..
Per la prescrizione del diritto all'intero complesso delle prestazioni, invece, la soluzione è diversa a seconda, come si è prima accennato, che gli oneri reali vengano inquadrati tra i rapporti reali o tra i rapporti obbligatori.
Se ad essi si riconosce il carattere della realità, la loro estinzione si dovrà fare derivare dal non uso ventennale, in tal senso potendosi argomentare dall’art. 1073 del c.c. in tema di servitù e dall’art. 1014 del c.c. in tema di usufrutto).
Se, invece, si aderisce alla tesi che inquadra gli oneri reali fra i rapporti obbligatori, troverà applicazione l’ordinaria prescrizione decennale ex art. 2946 del c.c., tipica di tutti i rapporti di durata.

In ogni caso, per far dichiarare formalmente l’estinzione del livello occorrerà una pronuncia giudiziale, essendo necessario che la stessa venga dichiarata dal Tribunale a seguito di una azione di accertamento negativo, con cui l'attore (il livellario) chiederà al Giudice di dichiarare l'inesistenza, in capo al soggetto che appare in catasto come concedente, del diritto di livello sul fondo dell'attore, per intervenuta prescrizione del diritto stesso.

Le considerazioni che precedono e l’inquadramento giuridico che si ritiene di dover dare all’istituto giuridico del livello, ci consentono adesso di rispondere alle domande poste.
Poiché al livello va riconosciuta natura di onere reale, è corretto indicare nella denuncia di successione, quale oggetto di trasferimento, il diritto di piena proprietà (e non di superficie), in ragione di un mezzo indiviso, sui fabbricati di cui la de cuius ha voluto disporre per testamento in favore della nipote Giovanna, senza fare alcuna menzione del livello esistente sulla originaria intera particella 16, su parte della quale quel fabbricato è stato successivamente realizzato.

Del resto, se si esaminano criticamente le donazioni del 26.07.2010, ci si accorge che questa, in fondo, è stata anche la soluzione fatta propria dal notaio, il quale, sebbene abbia voluto usare la generica espressione secondo cui il donante dona “….tutti di diritti da lui vantati in ragione della metà (1/2) indivisa dell’’intero…”, precisando “…livellari in parte e Del G. N. concedente….”, alla pagina 10 dello stesso atto notarile precisa “…in ordine al livello ancora figurante catastalmente i comparenti attestano e garantiscono essere giuridicamente estinto e ad ogni buon conto autorizzano ogni opportuna variazione catastale al riguardo al fine della corretta pubblicità catastale.”

Ciò lascia intendere che la trascrizione e conseguente voltura catastale di quei fabbricati, aventi oltretutto una autonoma particella catastale riportata al NCEU, sia stata effettuata dal notaio rogante per la piena proprietà, come sembra confermato dalle considerazioni di chi pone il quesito e che accompagnano gli atti trasmessi, in cui si rileva che in catasto quelle unita immobiliari urbane risultano già intestate per la piena proprietà, in ragione di ½ indiviso, in favore di De P. Alfonso (si tratta proprio di quel mezzo che ha costituito oggetto dell’atto di donazione, mentre l’altro mezzo non può ancora figurare perché dovrà formare oggetto della denuncia di successione ancora pendente).

Seguendo la soluzione suggerita è probabile che nel corso degli anni l’indicazione di quel livello possa non figurare più nelle certificazioni catastali, se non nel caso in cui il pubblico ufficiale incaricato di redigere eventuali atti per mezzo dei quali poter disporre di tali immobili, non effettui una visura catastale storica, dalla quale non potrà non risultare il livello.
A quel punto, se ciò potrà costituire un ostacolo per disporre giuridicamente del bene, non vi si avrà altra scelta che quella a cui si è fatto riferimento nella parte introduttiva di questa consulenza, ossia esperire un’azione giudiziaria di accertamento negativo per mezzo della quale far dichiarare l’estinzione del livello (fino a quel momento si consiglia di non attivarsi).


Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.