Cass. civ. n. 34824/2021
In tema di aperture sul fondo del vicino, non ammettendo la legge l'esistenza di un "tertium genus" oltre alle luci ed alle vedute, va valutata quale luce e, pertanto, sottoposta alle relative prescrizioni legali, anche in difetto dei requisiti a tale scopo prescritti dalla legge, l'apertura che sia priva del carattere di veduta o prospetto. In tal caso, dunque, il proprietario del fondo vicino può sempre pretenderne la regolarizzazione, tenuto conto che il possesso di luci irregolari, sprovvisto di titolo e fondato sulla mera tolleranza del vicino, non può condurre all'acquisto, per usucapione della corrispondente servitù.
Cass. civ. n. 21615/2021
I presupposti, la "ratio" e la disciplina sulle distanze per l'apertura di vedute, da un lato e di luci, dall'altro, sono differenti: mentre nel primo caso si intende essenzialmente tutelare il proprietario dall'indiscrezione del vicino, impedendo a quest'ultimo di creare aperture a distanza inferiore a quella di un metro e mezzo, la cui inosservanza può essere eliminata solo con l'arretramento o la chiusura della veduta, nel secondo, diversamente, si regolamenta il diritto a praticare sul proprio fabbricato delle aperture verso il fondo del vicino, finalizzate solo ad attingere luce ed aria, stabilendo i requisiti di altezza e di sicurezza cui è condizionata la limitazione del diritto del vicino medesimo, il cui rispetto può ottenersi in qualunque tempo dal proprietario del fondo confinante, attraverso la semplice regolarizzazione delle aperture create in loro violazione. Ne consegue che, ove venga proposta una domanda di riduzione alla distanza legale di una servitù di veduta, diretta ed indiretta, sul proprio fondo, costituisce domanda nuova, come tale inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la regolarizzazione di una luce irregolare, atteso che il suo accoglimento imporrebbe l'esecuzione di opere non ricomprese nel "petitum" originario. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TORINO, 23/05/2016).
Cass. civ. n. 3043/2020
Per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell'art. 900 c.c., conseguentemente soggetta alle regole di cui agli artt. 905 e 907 c.c. in tema di distanze, è necessario che le cd. "inspectio et prospectio in alienum", vale a dire le possibilità di "affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente", siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza. Ne consegue che l'assenza di parapetto su una terrazza di copertura di un edificio costituisce elemento decisivo per escludere che l'opera abbia i caratteri della veduta o del prospetto, anche se essa sia di normale accessibilità e praticabilità da parte del proprietario, laddove la praticabilità può valere invece ai fini della qualificazione della situazione come luce irregolare. Per escludere anche questa seconda configurazione giuridica è necessario accertare, avuto riguardo all'attuale consistenza e destinazione dell'opera, oggettivamente considerata, ed alle sue possibili e prevedibili utilizzazioni da parte del proprietario, se e quali limitazioni, ancorché diverse e minori di quelle derivanti da un'apertura avente i caratteri della veduta o del prospetto, possano discenderne a carico della libertà del fondo vicino altrui. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TORINO).
Cass. civ. n. 346/2017
Affinché sussista una veduta ex art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della "inspectio", anche quello della "prospectio" sul fondo del vicino, dovendo detta apertura consentire non solo di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, garantendo una visione frontale, obliqua e laterale, sì da assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale, secondo un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità, se non per vizi di motivazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto congruamente motivata la sentenza di merito, che aveva escluso la natura di veduta relativamente ad una finestra posta a mt. 1,56 dal piano di calpestio e munita di sbarre orizzontali infisse in un muro alto mt. 1,80 e spesso cm. 30, non potendo la stessa costituire un comodo affaccio).
Cass. civ. n. 3924/2016
La veduta si distingue dalla luce giacché implica, in aggiunta alla "inspectio", la "prospectio", ossia la possibilità di affacciarsi e guardare frontalmente, obliquamente o lateralmente nel fondo del vicino, sicché un'apertura munita di inferriata (nella specie, realizzata a filo con il muro perimetrale dell'edificio) che impedisca l'esercizio di tale visione mobile e globale sul fondo alieno va qualificata luce.
Cass. civ. n. 22887/2013
L'elemento che caratterizza la veduta rispetto alla luce è la possibilità di avere, attraverso di essa, una visuale agevole, cioè senza l'utilizzo di mezzi artificiali, sul fondo del vicino, mentre la possibilità di affacciarsi è prevista dall'art. 900 c.c. in aggiunta a quella di guardare, sicché, in date condizioni, la mancanza di quest'ultimo requisito non esclude la configurabilità della veduta, quando attraverso l'apertura sia comunque possibile la completa visuale sul fondo del vicino mediante la semplice "inspectio".
Cass. civ. n. 13217/2013
In tema di limitazioni legali della proprietà, per la configurabilità di una veduta non è necessario che l'opera, da cui questa è esercitata, sia destinata esclusivamente o prioritariamente all'affaccio sul fondo del vicino, se, per ubicazione, consistenza e caratteristiche, il giudice del merito accerti l'oggettiva idoneità della stessa all'"inspicere" ed al "prospicere in alienum". (Nella specie, la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha confermato la sentenza che aveva qualificato come vedute le finestre realizzate sulla parete di un pianerottolo del vano scala in posizione sfalsata rispetto ai piani abitativi, trattandosi pur sempre di apertura con maniglia interna, idonea all'affaccio).
Cass. civ. n. 18910/2012
Per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell'art. 900 c.c. conseguentemente soggetta alla regole di cui agli artt. 905 e 907 c.c. in tema di distanze, è necessario che le cd. "inspectio et prospectio in alienum", vale a dire le possibilità di "affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente", siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva respinto la richiesta di arretramento del parapetto di un terrazzo risultato essere alto soltanto novanta centimetri, altezza corrispondente a quella non del "petto" ma del "basso ventre" di una persona di ordinaria statura e, quindi, insufficiente per garantire un affaccio sicuro).
Cass. civ. n. 9047/2012
A norma dell'art. 900 c.c., perché un' "apertura" possa qualificarsi come "veduta" occorre che essa sia destinata, per sua normale e prevalente funzione, a guardare e ad affacciarsi verso il fondo del vicino, come accade per le finestre, i balconi, le terrazze e simili. Ne consegue che tale qualifica non spetta ad una botola, la quale non sia stabilmente collegata, mediante una scala o altro manufatto, con il sottostante terrazzo, e la cui destinazione naturale risulti, dunque, non quella di "inspicere", quanto quella di consentire l'accesso, occasionalmente e quando necessario, alla copertura del medesimo terrazzo.
Cass. civ. n. 8009/2012
Affinché sussista una veduta, a norma dell'art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della "inspectio", anche quello della "prospectio" sul fondo del vicino, dovendo detta apertura non soltanto consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale. Ne consegue che non può attribuirsi natura di veduta a finestre, poste all'altezza di un metro e cinquantacinque centimetri dal pavimento ed aperte in un muro dello spessore di trenta centimetri, non consentendo esse a persona di media statura una comoda "prospectio", ovvero di guardare e sporgere comodamente il capo verso il fondo limitrofo, senza che abbia rilievo la possibilità di affacciarsi stando in punta di piedi, in quanto una simile posizione comporta uno sforzo naturale sostenibile solo per un periodo di tempo minimo e determina una situazione di instabile equilibrio.
Cass. civ. n. 8752/2006
La panoramicità del luogo consiste in una situazione di fatto derivante dalla bellezza dell'ambiente e dalla visuale che si gode da un certo posto che può trovare tutela nella servitù
altius non tollendi, non anche nella servitù di veduta, che garantisce il diritto affatto diverso di guardare e di affacciarsi sul fondo vicino.
Cass. civ. n. 17207/2005
Poichè, ai sensi dell'art. 900 c.c., per veduta deve intendersi l'apertura che consenta di esercitare in modo permanente la
inspectio e la
prospectio direttamente sul fondo del vicino, non può essere considerata tale una finestra aperta nel muro interno di un fabbricato che affacci verso un ambiente dello stesso proprietario, anche se — attraversando detto ambiente — si possa poi raggiungere altra apertura ricavata nel medesimo edificio sul muro esterno di confine verso il vicino, qualora le aperture esistenti nel muro interno, arretrato per tutta la sua estensione, non consentano dal loro davanzale la
inspectio e la
prospectio dirette sul fondo del vicino, dal quale siano separate per la presenza del muro esterno, che si frappone da ostacolo, e ciò indipendentemente dal fatto che detto muro abbia un'apertura dal quale possa esercitarsi la veduta e che questa sia raggiungibile agevolmente dalle aperture praticate nel muro interno.
Cass. civ. n. 18637/2003
Tenuto conto che requisiti per l'esistenza di una veduta sono non soltanto la
inspectio ma la
prospectio, la possibilità di affacciarsi sul fondo del vicino deve essere determinata con riferimento a una persona di altezza normale e non di statura media, posto che il concetto di statura media, essendo indicativo di un unico valore numerico, intermedio fra un minimo e un massimo, non si identifica con quello di altezza normale che comprende una serie di valori di diversa entità matematica entro suddetti limiti. (La Corte, nel formulare il principio surrichiamato, ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di appello che, confermando la decisione di primo grado, avevano considerato illegittimo l'abbassamento dell'altezza del parapetto di un muro — da un metro e ventisette centimetri a un metro — operato dai convenuti in quanto lo stesso consentiva l'esercizio di una inesistente servitù di vendita sul fondo degli attori).
Cass. civ. n. 27/2000
In tema di vedute insistenti sull'altrui proprietà, deve intendersi per «fondo del vicino» (art. 900 c.c.) qualunque parte, anche minima o marginale (e, pertanto, anche un semplice muro di cinta) del fondo stesso, tale da poter consentire una
inspectio o
prospectio da una qualsiasi apertura esistente nel fabbricato della proprietà limitrofa dalla quale sia possibile affacciarsi.
Cass. civ. n. 13751/1999
Per la sussistenza di una veduta è necessario che l'apertura abbia una normale e permanente destinazione alla vista e all'affaccio sul fondo altrui, veduta che non deve subire limitazioni nemmeno a piombo sicché la visione, a carico del vicino, sia mobile e globale. Ne deriva che la costruzione di un manufatto a livello sino al confine, comporta il venir meno delle caratteristiche proprie delle vedute
in alienum giacché queste non affacciano più sul fondo del vicino ma sul proprio, con la conseguenza che i rapporti fra le costruzioni finitime restano regolati dalle norme sulle distanze tra le costruzioni.
Cass. civ. n. 7745/1999
Un'apertura munita di inferriata può essere considerata veduta anziché luce solo se permetta di affacciarsi e di guardare oltreché di fronte anche obliquamente o lateralmente, come nel caso in cui abbia maglie così larghe da consentire di esporre il capo in ogni direzione ovvero non sia aderente alla superficie esterna del muro, ma se ne distacchi tanto da consentire di sporgere il capo oltre tale muro.
Cass. civ. n. 10615/1996
Affinché sussista una veduta, a norma dell'art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della
inspectio anche quello della
prospectio nel fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale.
Cass. civ. n. 8626/1987
Alla stregua dell'art. 900 c.c., la comodità (o quanto meno la non disagevolezza) della
inspectio e della
prospectio (elementi costitutivi essenziali della veduta) va accertata con riferimento al fondo dal quale la veduta è esercitata e non già al fondo oggetto della veduta stessa.
Cass. civ. n. 854/1986
Al fine di configurare una veduta da terrazze, lastrici solari e simili, è necessario che queste opere, oggettivamente considerate, abbiano quale destinazione normale e permanente, anche se non esclusiva, quella di rendere possibile l'affacciarsi sull'altrui fondo vicino, così da determinarne il permanente assoggettamento al peso della veduta; e non occorre che tali opere siano sorte per l'esclusivo scopo dell'esercizio della veduta, essendo sufficiente che esse, per l'ubicazione, la consistenza e la struttura, abbiano oggettivamente la detta idoneità. Un lastrico solare in tanto può ritenersi destinato all'esercizio di una servitù di veduta nel fondo vicino in quanto il mezzo predisposto per l'accesso a tale manufatto possa essere usato, senza pericolo per la propria incolumità, anche da soggetti che non dispongano di particolari attitudini o di specifica esperienza e non si avvalgano di particolari accorgimenti o cautele. (Nella specie, è stata esclusa la configurabilità della veduta in considerazione del fatto che per accedere al lastrico occorreva servirsi di una scala di legno a pioli e passare, dopo l'attraversamento di un solaio, per una porticina alta m. 1,40 e larga cm. 90).
Cass. civ. n. 6406/1984
L'esistenza di un'opera muraria munita di parapetti e di muretti dai quali sia obiettivamente possibile guardare e affacciarsi comodamente verso il fondo del vicino, ancorché trattisi di opera che abbia pure funzione divisoria, è sufficiente a integrare una veduta e il possesso della relativa servitù, senza che occorra anche l'esercizio effettivo dell'affaccio, essendo la continuità dell'esercizio della veduta normalmente assorbito nella situazione oggettiva dei luoghi.
Cass. civ. n. 6820/1983
Può essere qualificata veduta e prospetto una finestra che consente non soltanto una comoda
inspectio sul fondo vicino senza l'impiego di mezzi artificiali, ma anche una comoda
perspectio e cioè la possibilità di affacciarsi con lo sporgere il capo, possibilità, che, in astratto, può anche non essere impedita dall'esistenza di un'inferriata, purché in relazione all'ampiezza delle maglie di questa possa essere in concreto stabilita la possibilità di affaccio con la possibilità di protendere il capo.
Cass. civ. n. 2084/1982
L'assenza di parapetto su una terrazza di copertura di un edificio posta a distanza inferiore a quella legale, che sia di normale accessibilità e praticabilità da parte del proprietario, costituisce elemento decisivo per escludere che l'opera abbia i caratteri della veduta o del prospetto, non anche per escludere che essa costituisca luce irregolare, in ordine alla quale il vicino ha sempre il diritto di esigere l'adeguamento ai requisiti stabiliti per le luci. Per escludere anche questa seconda configurazione giuridica è necessario accertare, avuto riguardo all'attuale consistenza e destinazione dell'opera, oggettivamente considerata, ed alle sue possibili e prevedibili utilizzazioni da parte del proprietario, se e quali limitazioni, ancorché diverse e minori di quelle derivanti da un'apertura avente carattere della veduta o del prospetto, possano discenderne a carico della libertà del fondo vicino altrui.
Cass. civ. n. 5904/1981
Perché un'apertura possa considerarsi veduta, non basta la mera possibilità di una ispectio e di una prospectio sul fondo del vicino, ma è altresì necessario che la possibilità di guardare nel fondo medesimo e di sporgere il capo e vedere nelle diverse direzioni senza l'uso di mezzi artificiali possano aver luogo con comodità e sicurezza, in modo da rivelare che tale è la destinazione normale e permanente dell'opera, individuata alla stregua di elementi obiettivi di carattere strutturale e funzionale: consegue che le terrazze ed i lastrici solari possono configurare vedute a carico del fondo vicino solo se muniti di solidi ripari, come ringhiera o parapetto, tali da permettere di sporgere la testa senza pericolo verso detto fondo, secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice del merito. (Nella specie, il S.C., enunciando il surriportato principio, ha ritenuto correttamente esclusi dal giudice del merito i caratteri della veduta in un terrazzo con parapetto avente un'altezza variabile dai sessanta ai sessantacinque centimetri ed uno spessore di quaranta centimetri e, quindi, inidoneo a consentire un affaccio agevole e sicuro).
Cass. civ. n. 3564/1977
Il giudice del merito può escludere l'esistenza di una veduta in considerazione delle sole dimensioni, di altezza e di spessore (nella specie, rispettivamente, di metri 1,26 e cm. 50), del parapetto di una terrazza, in base alle quali risulti che manca la possibilità, per una persona di media statura, di sporgersi, senza l'uso di mezzi artificiali, da quella sul fondo del vicino.
Cass. civ. n. 2097/1977
L'art. 900 c.c. — che definisce vedute, o prospetti, quelle aperture che permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente — non fissa un comportamento rigidamente tipico per l'atto di affacciarsi ipotizzato, sicché è rimesso al giudice, nei casi concreti, di verificare se, tra le possibilità che l'opera specifica consente all'osservatore di media altezza, rientri o meno alcuna qualificabile come affaccio, o prospetto, verso il fondo del vicino, tenuto conto sia delle caratteristiche strutturali dell'opera che delle posizioni rispettive degli immobili interessati. «Affacciarsi», nell'uso corrente che può presumersi recepito dal legislatore nella definizione delle vedute (art. 900 c.c.), è il porsi l'osservatore di media altezza, comodamente, senza pericolo e senza l'ausilio di alcun mezzo artificiale, col petto, protetto dall'opera, a livello superiore a quello massimo dell'opera stessa nel punto di osservazione, in modo da poter sporgere oltre tale livello il capo e vedere, anche obliquamente e lateralmente, l'immobile altrui e, nello stesso tempo, da poter esser visto dall'esterno. Lo spessore del parapetto e le sporgenze del muro su cui esso insiste non sono di per sé situazioni necessariamente escludenti la veduta allorché impediscono all'osservatore affacciato di estendere lo sguardo fino ai piedi del muro medesimo. Ricorrendo siffatte situazioni, soccorre il criterio della destinazione normale e permanente dell'opera, in rapporto alla struttura e conformazione di essa nonché alla situazione dei luoghi, criterio la cui applicazione è rimesso al prudente e motivato giudizio di merito.
Cass. civ. n. 2116/1976
Le vedute che si esercitano da balconi (come da sporti) sono diverse secondo le varie posizioni con cui è possibile guardare sul fondo vicino altrui, di guisa che si ha veduta diretta nell'ipotesi in cui da uno dei lati del balcone sia possibile affacciarsi e guardare frontalmente su quel fondo, e si ha veduta obliqua, autonoma rispetto alla prima, quando, sul fondo stesso, sia possibile una veduta di tale tipo da altra posizione sul medesimo balcone.