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Articolo 892 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Distanze per gli alberi

Dispositivo dell'art. 892 Codice Civile

Chi vuol piantare alberi presso il confine deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, dagli usi locali. Se gli uni e gli altri non dispongono, devono essere osservate le seguenti distanze dal confine(1):

  1. 1) tre metri per gli alberi di alto fusto. Rispetto alle distanze, si considerano alberi di alto fusto quelli il cui fusto, semplice o diviso in rami, sorge ad altezza notevole, come sono i noci, i castagni, le querce, i pini, i cipressi, gli olmi, i pioppi, i platani e simili [898];
  2. 2) un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto. Sono reputati tali quelli il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami;
  3. 3) mezzo metro per le viti, gli arbusti, le siepi vive, le piante da frutto di altezza non maggiore di due metri e mezzo.

La distanza deve essere però di un metro, qualora le siepi siano di ontano, di castagno o di altre piante simili che si recidono periodicamente vicino al ceppo, e di due metri per le siepi di robinie.

La distanza si misura dalla linea del confine alla base esterna del tronco dell'albero nel tempo della piantagione, o dalla linea stessa al luogo dove fu fatta la semina.

Le distanze anzidette non si devono osservare se sul confine esiste un muro divisorio(2), proprio o comune, purché le piante siano tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro.

Note

(1) Si tratta di una norma derogabile; di conseguenza, è usucapibile come servitù il diritto a mantenere l'albero a distanza inferiore.
(2) La nozione di muro divisorio si ritiene essere quella dell'art. 881, con esclusione quindi dei muri divisori fra aree scoperte ed edifici. Non è considerata muro nemmeno la recinzione metallica.

Ratio Legis

La complicata regolamentazione delle distanze tra gli alberi mira a tutelare il vicino al fine di evitare la diffusione sul proprio fondo di radici (art. 896 del c.c.) e ombra. La disposizione concerne solo gli alberi da piantare per la prima volta sul suolo. I vicini possono, in ogni caso, decidere di non applicare la disciplina prevista da tale articolo o dagli usi locali.

Brocardi

Ratio non permittit ut alterius arbor intelligatur, quam cuius fundo origo eius fuerit

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

424 Circa le distanze da osservarsi per alcune piantagioni, l'art. 892 del c.c. riproduce con lievi modificazioni l'art. 579 del codice del 1865, precisando, quanto agli alberi di non alto fusto, l'altezza massima del fusto non ramificato (tre metri), la quale non era invece determinata dal codice anteriore, che faceva riferimento alla «breve altezza» del fusto semplice, e precisando altresì, quanto al modo di calcolare le distanze, che queste si misurano dalla linea del confine alla base esterna del tronco dell'albero nel tempo della piantagione, o dalla linea stessa al luogo in cui fu fatta la semina. Inoltre, a differenza del codice precedente che non faceva menzione degli usi locali e dava prevalenza soltanto ai regolamenti, l'art. 892 dispone che, in mancanza di regolamenti, gli usi locali prevalgono sulle disposizioni del codice. A queste i regolamenti e gli usi locali prevalgono anche quando si tratta di alberi presso strade, canali o su confini di boschi (art. 893 del c.c.). È conservata nell'art. 894 del c.c. (art. 581 del codice del 1865) la facoltà del vicino di esigere che siano estirpati gli alberi e le siepi che sorgono a distanza minore di quella legale. L'art. 895 del c.c. regola il caso che si sia acquistato il diritto di tenere l'albero a distanza minore di quella legale e l'albero muoia o venga reciso o abbattuto: in questo caso l'albero che sia ripiantato dovrà essere tenuto alla distanza legale. Non così se la pianta perita faceva parte di un filare lungo il confine, poiché la sistemazione in filare conferisce al complesso arboreo un carattere unitario. Ad eliminare ogni ragione di dubbio ho esplicitamente dichiarato (art. 896 del c.c., primo comma) che il diritto di esigere il taglio dei rami degli alberi del vicino che si protendono sul proprio fondo e di tagliare le radici che vi si addentrano può esercitarsi in qualunque tempo. In questa materia è lasciato però ampio campo di applicazione, oltre che ai regolamenti, agli usi locali, e ciò per tutte le specie arboree, in quanto si è soppressa l'inopportuna limitazione del codice del 1865 (art. 582), che gli usi richiamava soltanto per gli ulivi. A proposito dei rami che si protendono dal fondo del vicino, il secondo comma dell'art. 896 risolve un'annosa questione, e cioè se i frutti naturalmente caduti da tali rami appartengano al proprietario dell'albero che li ha prodotti ovvero al proprietario del fondo su cui sono caduti. Facendo salvi gli usi locali, è sembrato preferibile adottare la seconda soluzione.

Massime relative all'art. 892 Codice Civile

Cass. civ. n. 35377/2022

In tema di distanze degli alberi dal confine, ai sensi dell'art. 892 c.c., è legittima e non affetta da ultrapetizione la sentenza del giudice di merito che, nel giudizio instaurato con domanda di sradicamento degli alberi posti a dimora dal confinante proprietario a distanza inferiore a quella legale, ordini al convenuto medesimo di mantenere le piante ad altezza non eccedente la sommità del muro di cinta, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 892 c.c.

Cass. civ. n. 20051/2018

Appartiene alla competenza del giudice di pace la domanda volta a ottenere la recisione delle piante del vicino poste a distanza non legale a ridosso del muro di confine per la parte che superi "in verticale" l'altezza del muro, trattandosi di domanda riconducibile alla previsione dell'art. 892, ultimo comma, c.c., diversamente dalla domanda volta alla recisione dei rami protesi "in orizzontale", invadenti l'altrui proprietà (regolata dall'art. 896 c.c.), rientrante nella competenza del giudice unico di tribunale.

Cass. civ. n. 18439/2018

Le prescrizioni relative alle distanze legali degli alberi e delle piante dal confine, stabilite nei primi tre commi dell'art. 892 c.c., non devono essere osservate quando sul confine esista un muro divisorio e le dette piante non lo superino in altezza poiché, in questo caso, il vicino non subisce diminuzione di aria, luce e veduta.

La nozione di muro divisorio rilevante, ai sensi dell'art. 892, comma 4, c.c., al fine dell'esenzione dalle prescrizioni relative alle distanze legali degli alberi e delle piante dal confine, coincide con quella di cui all'art. 881 c.c., costituendo muro, a tali effetti, solo quel manufatto che impedisca al vicino di vedere le piante altrui. Ne consegue che, in caso di fondi a dislivello, il muro di contenimento che emerga dal piano di campagna del fondo superiore e nasconda le piante alla vista del vicino può svolgere pure la funzione di muro divisorio ex art. 892, comma 4, c.c.

Cass. civ. n. 6765/2018

Ai fini della distanza dal confine, l'art. 892 c.c. distingue le siepi formate da arbusti, piante basse e canneti, con esclusione degli alberi di alto e medio fusto, dalle siepi costituite da alberi di alto e medio fusto - purché oggetto di periodica recisione vicino al ceppo, che impedisce la crescita in altezza e la favorisce in larghezza, rendendo, così possibile l'avvicinamento dei rami e dei vari alberi e la formazione della protezione o barriera contro gli agenti esterni - le quali devono osservare la distanza di un metro dal confine.

Cass. civ. n. 26130/2015

In tema di distanze per gli alberi, il concetto di "fusto" richiamato dal n. 1 dell'art. 892 c.c. comprende il tronco vero e proprio (da terra alla prima imbracatura) e le branche principali che se ne diramano, fin dove esse si diffondono in rami, dando chioma alla pianta; viceversa, per fusto che "si diffonde in rami", ai sensi del n. 2, s'intende l'intenso propagarsi degli elementi secondari dell'albero, cioè dei rami in senso stretto, i quali non fanno parte integrante del fusto. (Principio affermato in fattispecie relativa a piante di olivo dotate di branche primarie).

Cass. civ. n. 3232/2015

Gli alberi di alto fusto che, ai sensi dell'art. 892, primo comma, n. 1, cod. civ., devono essere piantati a non meno di tre metri dal confine, vanno identificati con riguardo alla specie della pianta, classificata in botanica come "di alto fusto", ovvero con riguardo allo sviluppo comunque da essa assunto in concreto, quando il tronco si ramifichi ad un'altezza superiore a tre metri.

Cass. civ. n. 1682/2015

Gli alberi di alto o medio fusto possono costituire siepe, ai sensi dell'art. 892 secondo comma, cod. civ., anche se non appartengano - come i cipressi - a specie contemplate espressamente dalla norma purché siano tagliati periodicamente vicino al ceppo così da impedirne la crescita in altezza e favorirne quella in larghezza; in tal caso sussiste l'obbligo di rispettare la distanza di un metro dal confine.

Cass. civ. n. 10041/2010

In tema di limitazioni legali della proprietà, ove due fondi siano delimitati da un muro comune, la linea di confine non si identifica con la linea mediana del muro medesimo, giacché su di esso, e sull'area di relativa incidenza, i proprietari confinanti esercitano la contitolarità del rispettivo diritto per l'intera estensione ed ampiezza. Ne consegue che, ai fini della misurazione della distanza legale di una siepe dal muro comune, si deve avere riguardo alla facciata del muro stesso prospiciente alla siepe, e non calcolarsi detta distanza rispetto alla linea mediana del muro comune.

Cass. civ. n. 21010/2008

Le prescrizioni relative alle distanze legali degli alberi e delle piante dal confine, stabilite nei primi tre commi dell'art. 892 cod. civ., non devono essere osservate quando sul confine esista un muro divisorio e le piante non lo superino in altezza, in quanto in questo caso il vicino non subisce diminuzione di aria, luce e veduta.

Cass. civ. n. 9280/2008

In tema di distanze degli alberi dal confine, ai sensi dell'art. 892 c.c., è legittima e non affetta da ultrapetizione la sentenza del giudice di merito che, nel giudizio instaurato con domanda di sradicamento degli alberi posti a dimora dal confinante proprietario a distanza inferiore a quella legale, ordini al convenuto medesimo di mantenere le piante ad altezza non eccedente la sommità del muro di cinta, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 892 c.c.

Cass. civ. n. 19936/2007

Qualora due fondi siano separati da un fosso, non è possibile parlare di fondi tra loro confinanti, dal che deriva l'inapplicabilità dell'art. 892 c.c. in riferimento agli alberi che uno dei due proprietari abbia piantato, all'interno del proprio fondo, in relazione al confine con il fosso. Inoltre, poiché il fosso si presume, fino a prova contraria, di proprietà comune (art. 897 c.c.), il diritto di ciascuno dei comproprietari si estende — sia pure nei limiti della relativa quota — fino all'una ed all'altra riva, con la conseguenza che il rispetto delle distanze legali, in riferimento alle piantagioni esistenti nel fosso, va valutato partendo dall'argine di proprietà del vicino. Tale disciplina non consente, comunque, l'impianto indiscriminato di alberi nel fosso, trattandosi di attività sottoposta al regime dell'art. 1102 c.c. in materia di uso della cosa comune.

Cass. civ. n. 20155/2006

In tema di distanza delle piante dal confine, i canneti vanno assimilati agli arbusti e non alle piante di alto o medio fusto; la loro altezza, pertanto, è del tutto irrilevante, ai sensi dell'art.892, primo comma n.3, c.c., rispetto alla distanza da osservare.

Cass. civ. n. 3289/2003

Le regole dettate dall'art. 892 c.c. in materia di distanze per gli alberi dai confini, pur essendo sostanzialmente finalizzate ad impedire l'occupazione del fondo altrui da parte delle radici degli alberi posti in prossimità del confine, sono tuttavia implicitamente dirette anche a determinare lo spazio ragionevolmente occorrente a ciascun tipo di albero, in relazione all'altezza del fusto, per espandere liberamente le proprie radici e quindi per crescere ed eventualmente fruttificare in condizioni di normale rigoglio. Pertanto, anche qualora non esista un vero confine tra due fondi, ma (come nella specie) dell'unico fondo appartenente al medesimo soggetto una parte sia gravata da un diritto di superficie arborea (anteriore al codice civile vigente, e relativo a diciotto piante di ulivo) ed un'altra sia libera da vincoli, le dette norme trovano applicazione in via analogica come parametro per determinare la distanza minima alla quale il fabbricato nuovo deve essere costruito rispetto agli alberi preesistenti in proprietà separata.

Cass. civ. n. 2865/2003

Il divieto di tenere alberi di alto fusto a meno di tre metri dal confine, stabilito dall'art. 892, comma primo, n. 1, c.c., riguarda anche gli alberi che abbiano alcuni tronchi di altezza inferiore ai tre metri, purché gli altri si diramino ad una quota a tale misura superiore. Infatti, la previsione normativa, mirante ad impedire che la parte fuori terra degli alberi riesca di danno ai vicini, per diminuzione di aria, luce, soleggiamento o panoramicità, esige una valutazione della pianta nella sua essenza unitaria.

Cass. civ. n. 15016/2000

L'albero il cui tronco — e cioè il fusto che va da terra alla prima imbracatura — e le cui branche principali — ossia escluse quelle diffondentesi in rami, portatori di frutti e/o foglie, che costituiscono la chioma dell'albero — non superano i tre metri non è di alto fusto, e pertanto per la distanza dal confine si applica l'art. 892, primo comma, n. 2 c.c.

Cass. civ. n. 12956/2000

Soltanto se il confine tra due fondi è costituito da un muro divisorio, proprio o comune, è consentito di mantenere una siepe di alberi di alto fusto a meno di tre metri da esso, perché in tal caso il vicino non la vede e non subisce la diminuzione di aria, luce soleggiamento e panoramicità.

Cass. civ. n. 1412/1999

Gli alberi di alto o medio fusto, possono costituire siepe, come si desume dall'art. 892 c.c., secondo comma, pur se appartengano a specie non contemplate espressamente dalla norma - come i cipressi - ancorché non recisi periodicamente vicino al ceppo, costituendo questa semplicemente una modalità per far crescere la pianta in larghezza, e pertanto se il giudice del merito accerta che con la collocazione di essi si è realizzato lo scopo di costituire una barriera contro gli agenti esterni, ossia una siepe, sussiste l'obbligo di rispettare la distanza di un metro dal confine.

Cass. civ. n. 7896/1990

Ai fini della distanza dal confine, l'art. 892 c.c. distingue le siepi formate da arbusti, da piante basse, da canneti, ecc., con esclusione degli alberi di alto e medio fusto, che così individuate per la loro composizione morfologica vanno tenute a mezzo metro dal confine, dalle siepi costituite da alberi di alto e medio fusto — purché oggetto di periodica recisione vicino al ceppo, che impedisce la crescita in altezza e la favorisce in larghezza, rendendo così possibile l'avvicinamento dei rami dei vari alberi e la formazione della protezione o barriera contro gli agenti esterni — le quali devono osservare la distanza di un metro dal confine.

Cass. civ. n. 6348/1981

Ai fini della determinazione della distanza ex art. 892 c.c., ove sorga controversia sulla rilevanza da attribuire all'altezza di una pianta quale constatata in giudizio, occorre accertare se essa sia stata determinata da un sistema di coltivazione e di potatura razionalmente praticato sin dal momento della messa a dimora e con il preciso intento di imprimere alla pianta forma e dimensioni anche parzialmente diverse da quelle che avrebbe assunto in base alle sue caratteristiche naturali, ovvero se detta altezza sia stata determinata da una pratica colturale irrazionale o casuale e tale da incidere solo temporaneamente sulle dimensioni in genere e sull'altezza in particolare. (Nella specie, il giudice del merito aveva ritenuto applicabile la distanza di mezzo metro dal confine, ai sensi dell'art. 892, n. 3 c.c., ad olivi della specie «cipressina», trattandosi di piante da frutta, la cui altezza, in relazione alla natura delle medesime, alle modalità di impianto ed al sistema di potatura concretamente adottato, non può superare i due metri e mezzo. Il Supremo Collegio ha confermato la decisione, enunciando il surriportato principio).

Cass. civ. n. 1568/1978

Gli alberi di alto fusto, che, a norma dell'art. 892 n. 1 c.c., debbono essere piantati a non meno di tre metri dal confine, vanno identificati con riguardo alla specie della pianta, classificata in botanica come «di alto fusto», ovvero, se trattisi di pianta non classificata come di alto fusto, con riguardo allo sviluppo da essa assunto in concreto, quando il tronco si ramifichi ad un'altezza superiore a tre metri.

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Consulenze legali
relative all'articolo 892 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

D. M. chiede
venerdì 27/09/2024
“Buongiorno
Il mio giardinoha una siepe di olea fragrans attualmente alta circa 3 m e distante dalle finestre di un vicino di un metro
La siepe è in quella posizione da 15 anni, prima vi era una siepe di bambù con le stesse misure.
Il vicino solo ora ha iniziato una azione legale chiedendo che la siepe deve essere arretrata di 3 metri essendo una pianta di alto fusto,
Io sono disponibile a tagliarla a un metro e mezzo ed eventualmente riducendo lo spessore anche della siepe.sembra che però ciò non basti .”
Consulenza legale i 03/10/2024
Norma a cui deve farsi riferimento nel caso in esame è l’art. 892 c.c.
Dalla lettura di tale norma si desume che, in assenza di regolamenti comunali specifici, le distanze da rispettare, rispetto al confine, sono le seguenti:
  • 3 metri per gli alberi di alto fusto: un albero è considerato di alto fusto se il suo tronco, semplice o con rami, supera i 3 metri di altezza. Questa categoria include noci, castagni, querce, pini, cipressi, olmi, pioppi, platani e altre specie simili;
  • 1,5 metri per gli alberi non di alto fusto: un albero è considerato non di alto fusto se il tronco e i rami principali non superano i 3 metri;
  • 0,5 metri per viti, siepi, arbusti e alberi da frutto con un’altezza non superiore a 2,5 metri.

Per quanto riguarda le siepi, la distanza da rispettare è di mezzo metro, fatte salve le seguenti eccezioni:
  1. la distanza deve essere di un metro per le siepi di ontano, castagno o altre piante simili che vengono potate regolarmente vicino alla base;
  2. la distanza deve essere di due metri per le siepi di robinia.

Ora, da una rapida ricerca di botanica effettuata online, ne risulta che l’osmanthus o olea fragrans è un arbusto sempreverde a crescita lenta; in quanto arbusto vale quanto disposto dal n. 3 dell’art. 892 c.c., ovvero deve essere piantato ad una distanza di 0,5 metri dal confine, a prescindere dall’esistenza o meno di finestre, ed a condizione che si rispetti l’altezza massima di metri 2,5.
Pertanto, se è stata rispettata tale distanza, non vi è alcuna ragione per abbassare la siepe ad un metro e mezzo, mentre per quanto concerne lo spessore è indispensabile che la stessa non invada la proprietà altrui.
In caso contrario, infatti, troverà applicazione il disposto di cui all’art. 896 del c.c., norma che riconosce a quegli sul cui fondo si protendono i rami del vicino di costringerlo in qualunque tempo a tagliarli ovvero di tagliarli egli stesso anticipandone le spese, per poi recuperarle, anche coattivamente, nei confronti del proprietario degli alberi.

Qualora, invece, tale distanza non sia stata rispettata e la siepe si trovi proprio a ridosso dal confine altrui, è legittima la pretesa del vicino di arretrarla, ma la distanza di arretramento da rispettare si ritiene che sia sempre quella stabilita al n. 3 dell’art. 892 c.c. (ossia 50 centimetri).
Peraltro, non può neppure addursi in contrario di aver ormai acquisito il diritto di mantenere quelle piante alla distanza attuale, in quanto tale diritto, qualificabile a tutti gli effetti come una servitù, può essere acquisito soltanto per:
  1. contratto;
  2. destinazione del padre di famiglia (ad esempio dopo la divisione di un terreno o la vendita del terreno confinante da parte del proprietario degli alberi);
  3. usucapione.

Per quest’ultima forma di acquisto vale il termine ordinario ventennale prescritto dall’art. 1158 del c.c., il quale comincia a farsi decorrere dalla piantumazione o dalla semina dell’albero.
Occorre tra l’altro precisare che, ai fini del calcolo di tale termine, non giova la preesistenza di una siepe di bambù, poiché in tal caso vale la regola dettata dall’art. 895 del c.c., rubricato “Divieto di ripiantare alberi a distanza non legale”, ovvero quella secondo cui non si ha alcun obbligo di rispettare la distanza legale soltanto in caso di albero reciso o abbattuto che faccia parte di un filare di alberi situati lungo il confine, ma non se l’intera siepe o filare viene abbattuto o estirpato (ciò che sembra essere accaduto nel caso in esame).


G. G. chiede
mercoledì 31/07/2024
“Da qualche anno sono proprietario di un immobile adiacente a un'area adibita ad attività ricreative di recente acquisizione. Le nostre proprietà sono delimitate da una ringhiera. Per un lungo periodo, gli alberi oltre questa ringhiera sono stati potati regolarmente all'altezza della stessa, creando una sorta di siepe naturale che delimitava visivamente e funzionalmente i due spazi. Il nuovo proprietario rivendica la proprietà esclusiva di questi alberi e ha interrotto la potatura, gestita negli anni passati dal giardiniere condominiale, causando una significativa riduzione della circolazione dell'aria nel mio giardino. Vorrei sapere:
• Se esiste una normativa specifica che regola la distanza e l'altezza degli alberi in prossimità di un confine, soprattutto in casi come il mio, dove una pratica consolidata di potatura ha definito per anni una sorta di confine vegetale.
• Quali sono le implicazioni legali derivanti da questa situazione, considerando che non ho documentazione scritta sulla potatura degli alberi, ma solo prove visive come le immagini di Google Maps e non esiste una mappa catastale (su questo ho incaricato un tecnico, ma per impegni professionali non è riuscito a portare avanti la pratica).
• Quali azioni posso intraprendere per tutelare il mio diritto alla libera circolazione dell'aria e alla fruizione del mio spazio esterno, in attesa di una definizione definitiva sulla proprietà degli alberi?
Grazie per l'attenzione”
Consulenza legale i 03/08/2024
Occorre premettere che, rispetto ai quesiti che ci sono stati posti, possiamo dare una risposta a carattere generale, per quanto possibile esaustiva, riguardo alla questione delle distanze applicabili alle piante esistenti tra due fondi. Questo perché vi sono altre questioni sottostanti - come quella relativa alla contestazione della proprietà delle piante - che non è consigliabile risolvere “a distanza”, ma nel confronto diretto con un legale (il quale potrà ricercare innanzitutto una soluzione concordata e “indolore” della controversia).
Chiarito questo aspetto, la risposta alla prima domanda è affermativa: sì, esiste una normativa specifica sulle distanze degli alberi (e di altri tipi di vegetazione) dal confine tra due proprietà.
Si tratta, più precisamente, dell’art. 892 c.c., che stabilisce quanto segue.

In primo luogo, la fonte normativa cui fare riferimento - per stabilire quale distanza debba essere osservata nel caso concreto - è costituita dai regolamenti (solitamente comunali) e, in mancanza, dagli usi locali.
Solo in mancanza di regolamenti e usi, si dovrà fare riferimento alle distanze stabilite dallo stesso art. 892 c.c., differenziate sulla base della tipologia di piante.
Le distanze sono le seguenti:
  1. tre metri per gli alberi di alto fusto: ai fini che ci interessano, si considerano di alto fusto gli alberi il cui fusto, semplice o diviso in rami, sorge ad altezza notevole, come avviene per i noci, i castagni, le querce, i pini, i cipressi, gli olmi, i pioppi, i platani e simili;
  2. un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto: si tratta di quelli il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami;
  3. mezzo metro per le viti, gli arbusti, le siepi vive, le piante da frutto di altezza non maggiore di due metri e mezzo. Qui il codice effettua una precisazione riguardante le siepi: cioè la distanza da rispettare è aumentata a un metro, qualora le siepi siano di ontano, di castagno o di altre piante simili che si recidono periodicamente vicino al ceppo, e a due metri per le siepi di robinie.
La norma in esame spiega anche “come” misurare la distanza, ovvero dalla linea del confine alla base esterna del tronco dell'albero nel tempo della piantagione, o dalla linea stessa al luogo dove fu fatta la semina.
Infine, l’ultimo comma dell’art. 892 c.c. aggiunge che le distanze previste non si devono osservare se sul confine esiste un muro divisorio, proprio o comune, a condizione - però - che le piante siano tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro medesimo.
La giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. VI - 2, ordinanza 12/07/2018, n. 18439) ha precisato che “la nozione di muro divisorio rilevante, ai sensi dell'art. 892, comma 4, c.c., al fine dell'esenzione dalle prescrizioni relative alle distanze legali degli alberi e delle piante dal confine, coincide con quella di cui all'art. 881 c.c., costituendo muro, a tali effetti, solo quel manufatto che impedisca al vicino di vedere le piante altrui”. Quindi non dovrebbe considerarsi tale la ringhiera esistente nel nostro caso.

La legge contempla degli strumenti per ristabilire il rispetto delle distanze in caso di violazione: in particolare, l’art. 894 c.c. prevede che il vicino possa esigere l’estirpazione delle piante poste a distanza inferiore a quella legale, salvo naturalmente l’eventuale acquisto di una servitù avente ad oggetto proprio la possibilità di tenere le piante a distanza inferiore.
Diversa è la questione della potatura degli alberi e, in genere, delle piante situate sul confine, comunque disciplinata dal codice civile, all’art. 896.
In ogni caso, come anticipato all’inizio, è opportuno che la questione delle azioni da intraprendere venga esaminata con il supporto di un legale, congiuntamente a quella relativa alla proprietà delle piante stesse, onde evitare di incorrere in scelte sbagliate o, quanto meno, controproducenti. Inoltre, nel quesito si accenna anche al fatto che vi sarebbe un condominio, altro fattore che rende indispensabile valutare la situazione nella sua interezza.

E. C. chiede
lunedì 22/07/2024
“Espongo il mio problema: ho un muro di confine proprio e comune, che delimita la mia proprietà con quella del vicino.
Il muro ha un'altezza di cm. 80, alternato da colonne di 1,5 cm. ed è sormontato da una griglia metallica a maglie quadre, dello spessore di circa 1 cm. (foto 1). Il confinante proprietario ha piantato delle piante di rampicante per la precisione piante di Plumbiago, che coprono completamente la rete metallica e sporgono nella mia proprietà (foto 2). Inoltre detto muro finisce con una parete di vetro cemento (larga cm. 125 e alta 125 cm.) che risulta essere stata totalmente ricoperta dal cespuglio di corbezzolo, piantato dal vicino, dell'altezza di oltre 2 metri (foto 3), privando totalmente l'emissione di luce (art. 902 cod.civ). Posso richiedere al confinante il taglio di predette siepi e in che misura, rispetto alla diversificazione del muretto. Come posso adoperare la manutenzione del muretto da poco pitturato. Invio inoltre oltre alle foto, breve relazione del Geometra. In attesa di riscontro, saluto cordialmente.”
Consulenza legale i 06/08/2024
La questione che si sottopone ad esame trova espressa disciplina all’art. 892 c.c., norma che stabilisce le distanze e le altezze da rispettare nel caso di alberi o siepi piantati presso il confine.
In particolare, nel caso in esame dovrà farsi applicazione del n.3 del primo comma di tale norma, il quale dispone che in caso di siepi piantate presso il confine va osservata una distanza di cm. 50 dal fondo del vicino, a meno che sul confine non vi si trovi un muro (poco importa se comune o di proprietà esclusiva di uno dei due confinanti) ed a condizione che le piante siano potate in modo da non superare l’altezza del muro.

Il riconoscimento della possibilità di tenere piante ad una distanza inferiore a quella legale, nell'ipotesi in cui il confine tra i due fondi sia costituito da un muro divisorio, è fondato sulla considerazione che in tal caso il confinante non può vedere le piante e, di conseguenza, non subisce alcuna diminuzione di aria, luce, soleggiamento e panoramicità (Cass. 18439/2018; Cass. 12956/2000).
Pertanto sarà irrilevante la presenza di una rete metallica collocata sul muro, in quanto ratio della norma è appunto quella di nascondere le piante alla vista del vicino.
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 968 del 14.03.1975, così massimata:
“La nozione di muro divisorio, proprio o comune, che a norma del 4° comma dell'art. 892 c.c., consente di non osservare le distanze stabilite per chi vuole piantare alberi presso il confine, coincide con quella di muro divisorio risultante dall'art. 881 c.c.; muro, a tali effetti, è soltanto quel manufatto che impedisce al vicino di vedere le piante altrui, in quanto la ratio della norma è appunto quella di nascondere le piante stesse alla vista del vicino (nella specie: è stato escluso che, al fine di accertare se alcune piante fossero tenute ad altezza non eccedente la sommità di un muro divisorio esistente sul confine, potesse tenersi conto di una rete metallica collocata sopra il muro)”.

Da ciò se ne deduce che, essendo stata la siepe piantata ad una distanza dal confine inferiore a quella prescritta per legge (nel documento inviato in allegato al quesito si dice che la distanza risulta pari a circa 20/30 cm.), la stessa non potrà superare l’altezza del muro e delle colonne che lo intermezzano (compresa la parte di muro in vetrocemento, essendo questo assimilabile al muro divisorio), mentre per la parte in cui vi si trova la rete metallica dovrà in ogni caso essere rispettata la distanza di cm. 50 prescritta dalla norma sopra citata.

Per quanto concerne le piante che sporgendo invadono la proprietà altrui, vale il disposto di cui all’art. 896 del c.c., norma che attribuisce, al proprietario del fondo su cui si protendono i rami delle piante del vicino, il diritto di costringerlo in qualunque tempo a tagliargli.

Occorre precisare che mentre il diritto a mantenere le piante a distanza dal confine inferiore a quella legale può acquistarsi per usucapione (il relativo termine decorre dalla data di piantatura, come si può desumere dal fatto che il 3° comma dell’art. 892 c.c. fa riferimento al “tempo della piantagione”, cfr. Cass. n. 26418/2014), lo stesso non vale per il diritto di far protendere i rami sul fondo altrui.
Il diritto di recisione, infatti, è imprescrittibile, con la conseguenza che la servitù di protendere i rami delle piante del proprio fondo in quello del confinante può costituirsi per titolo ovvero per destinazione del padre di famiglia ma non per usucapione, in quanto l'art. 896 c.c. implicitamente lo esclude, riconoscendo espressamente al proprietario del fondo, nel quale si protendono i rami degli alberi del vicino, il potere di costringere quest'ultimo a tagliarli in qualunque tempo (così Cass. 14632/2012; Cass. 4361/2002; Cass. 5928/1999; Cass. 1788/1993).

In conclusione, si suggerisce di diffidare formalmente il vicino:
  1. a rispettare la distanza di cm. 50 dal confine ovvero a tagliare le piante all’altezza del muro, compresa la parte in vetrocemento;
  2. ad arretrare alla distanza legale la siepe in corrispondenza della rete metallica, non potendo questa essere assimilata ad un muro;
  3. a tagliare i rami che si protendono sul proprio fondo.
Tale diffida è essenziale per impedire che possa decorrere in suo favore il tempo per usucapire il diritto di tenere quelle piante a distanza non legale.


L. S. chiede
mercoledì 17/04/2024
“Qualche anno fa io e il mio attuale vicino abbiamo acquistato due proprietà condominiali con due giardini confinanti. Su un lato del mio giardino c’è un filare di alberi sulla recinzione che separa la mia proprietà da una strada comunale. L’ultimo di questi alberi (acacia per la precisione) ha una piccola parte di chioma e quindi di rami che si protrudono per circa un metro su una piccola porzione del giardino del vicino (circa un metro quadro). Il vicino mi chiede di abbattere tale albero perchè alcune foglie e fiori cadono nella sua proprietà in certi periodi dell’anno).
Essendo questa una situazione già esistente, che cioè abbiamo ereditato al momento dell’acquisto delle nostre proprietà, mi chiedo se il vicino può esigere tale abbattimento o la caduta di qualche foglia può essere considerato un inconveniente normale associato alla presenza degli alberi.
Ho già concesso al vicino di potare tutti i rami più fastidiosi, ma non è soddisfatto perchè “alcune foglie continuano a cadere dalla parte più alta della chioma”. Potare anche questi rami significherebbe demolire l’albero stesso.
Grazie dell’attenzione!

Consulenza legale i 23/04/2024
Gli aspetti che il caso in esame richiede di prendere in considerazione sono due, ovvero quella della distanza di un albero dal confine e quello della caduta di foglie sul fondo del vicino.
Della prima questione si occupa l’art. 892 c.c., dalla cui lettura si desume che vanno distinte due diverse situazioni: quella in cui gli alberi devono essere piantati e quella in cui gli alberi già esistono sul terreno.
E’ evidente che il caso di specie rientra nella seconda di queste situazioni, la quale, a differenza della prima, dà origine a problematiche più complesse, in quanto occorre distinguere i casi in cui si è acquisito il diritto di tenere la pianta a distanza minore di quella legale, da quelle in cui il diritto non è stato ancora acquisito.
Il suddetto diritto, che da un punto di vista tecnico non è altro che una servitù, può essere acquisito per contratto, per destinazione del padre di famiglia ovvero per usucapione ventennale.
Sulla base di ciò che viene riferito nel quesito, sembrerebbe che il diritto di mantenere quell’albero a confine con la proprietà del vicino, anche possibilmente a distanza minore da quella fissata ex art. 892 c.c., possa dirsi acquisito per destinazione del padre di famiglia, considerato che le due proprietà sono state acquistate nello stato di fatto in cui attualmente si trovano, ovvero con il filare di alberi già impiantato (si tenga presente che, ai fini della determinazione della distanza legale, l’albero di acacia deve farsi rientrare tra gli alberi di alto fusto, potendo raggiungere anche un’altezza di 25-30 metri).

Dato per ammesso, comunque, che al vicino sia ormai del tutto precluso il diritto di pretendere che l’albero venga reciso, avendo il proprietario di esso acquisito il diritto di mantenerlo alla distanza in cui si trova per destinazione del padre di famiglia, l’altra questione che si chiede di risolvere è quella relativa alla caduta di fogliame da quel medesimo albero.
Ebbene, principio di carattere generale in tema di rapporti di vicinato è quello secondo cui il godimento e l’utilizzazione della propria cosa incontra il limite rappresentato dalla necessità di non menomare la proprietà del vicino, il quale, secondo la regola generale del c.d. “neminem laedere”, ha diritto ad essere risarcito dell’eventuale danno ingiusto subito.

In particolare, tutte le volte in cui i confinanti non riescano a raggiungere, come sta accadendo nel caso in esame, un accordo amichevole, la parte che asserisce di aver subito e di continuare a subire un danno può invocare a tutela della sua posizione l’art. 844 del c.c., norma che vieta appunto le immissioni provenienti dal fondo confinante (dovendosi far rientrare nel concetto di immissioni anche la caduta di foglie morti o similari).
In tal caso incomberà su chi si avvale di tale tutela l’onere di dimostrare che le immissioni superano la normale tollerabilità e chiedere al giudice che ne ordini con sentenza la cessazione, fatto salvo anche il diritto di chiedere il risarcimento dell’eventuale danno nel frattempo subito.

Si tenga presente che la giurisprudenza, ed in particolare la Corte di Cassazione, è costante nel negare la responsabilità del proprietario di un albero per la caduta delle foglie nel terreno confinante dovendosi considerare come un fenomeno del tutto naturale ed in genere inoffensivo, a condizione, tuttavia, che il proprietario dell’albero abbia cura di provvedere alla sua ordinaria e necessaria manutenzione, effettuando una regolare potatura dello stesso (cfr. Cass. civ. Sez. II, ord. n. 21694 del 26.08.2019).
Il rispetto di tale condizione, peraltro, risulta del tutto aderente a quel principio di carattere generale secondo cui ciascuno, in adempimento del proprio obbligo di custodia, risponde dei danni cagionati a terzi che siano conseguenti alla detenzione di un proprio bene (su cui grava l’obbligo di custodia), a condizione che ne siano conseguenza diretta e prevedibile in relazione alla natura del bene stesso e agli obblighi di manutenzione che vi sono connessi.

Nel particolare caso degli alberi, in generale il proprietario ha il dovere di eseguire sempre una corretta manutenzione del suo verde, effettuando potature regolari, così da evitare, per quanto possibile, inconvenienti per i vicini.
La stessa S.C., con riguardo alla questione delle foglie nei giardini altrui, si è espressa nel senso che, tenendo conto che si tratta di un processo naturale da parte delle piante, non c’è nulla che il proprietario di un albero possa fare per impedirlo, se non quello di mantenerlo a dovere.
Solo se i rami dell’albero dovessero espandersi nell’altrui proprietà andando ad arrecare dei danni (quello più comune è l’intasamento delle grondaie), allora il proprietario della pianta dovrà:
  • risarcire il vicino per i lavori necessari a sistemare i danni;
  • potare l’albero per quanto possibile in modo che non arrechi disturbo;
  • mantenerlo potato e curarlo per evitare ulteriori problemi.

Facendo applicazione dei suddetti principi al caso di specie, può dirsi che se, come viene detto nel quesito, l’albero da cui cadono le foglie è stata regolarmente potato e non vi sono più rami che invadono il fondo altrui, il confinante non ha più nulla da pretendere dal proprietario dell’albero, considerato che, come sostiene anche la S.C., è dato per scontato che le foglie cadono dagli alberi ed essendo queste facilmente biodegradabili nonché conseguenza di un effetto naturale, devono generalmente essere considerate come un’immissione tollerabile.


M. C. chiede
giovedì 08/02/2024
“Buongiorno
proprietaria di una villetta indipendente con grande giardino e vari alberi, ho ricevuto dal mio vicino, tramite raccomandata, una richiesta di intervento per danni causati da anomala caduta di foglie di una quercia che li induce a lavoro straordinario per la raccolta delle foglie e pulizia delle grondaie.
Premetto che la quercia dista 7 metri dal confine ed ha una cinquantina di anni. E' in ottimo stato e l'ho lasciata crescere con naturalezza, essendoci lo spazio, evitando quindi di ridurla ma solo togliere eventuali rami secchi. Due anni fa ho provveduto ad una leggera potatura verificando quindi la sua integrità e che le fronde non sconfinassero sul suo giardino. Ora a distanza di 2 anni dalla potatura i rami ovviamente privi di foglie sono proprio a filo del suo confine.
Il vicino ha acquistato il terreno circa 24 anni fa.
Chiedo quindi a voi come devo comportarmi e cosa rispondere al vicino.

Consulenza legale i 28/02/2024
Si rileva, in primo luogo, che non è chiara la natura e la quantità delle piante che possano arrecare disturbo ai vicini.
Infatti, nel quesito proposto, viene citata una quercia, pare posta alla distanza legale di 7 m.
Nella raccomandata inviata dai vicini, invece, oltre alla quercia, si fa riferimento generico anche “ad alberi a foglia caduca” che sembra siano piantati a distanza inferiore rispetto a quella legale.
Inoltre non è chiaro se tra i due fondi ci sia un muro divisorio.

È necessario innanzitutto analizzare le norme di legge in materia di distanze di alberi, rami e radici dal fondo vicino.

L’art. 892 comma 1 n. 1, n. 2 e n. 3 del c.c., prevede che le piante siano poste alla distanza minima rispettivamente di tre metri dal confine per gli alberi ad alto fusto, di un metro e mezzo per quelli di non alto fusto e mezzo metro per le viti, gli arbusti, siepi vive e piante da frutto di altezza non maggiore di due metri e mezzo.
Se tra i due terreni esiste un muro divisorio le piante possono essere poste a qualsiasi distanza basta che non eccedano la sommità del muro (art. 892 comma 4 c.c.).
La quercia del presente quesito pare che sia stata piantata alla distanza di 7 metri, quindi rispetta la prescrizione della norma e non è possibile chiederne l’abbattimento.
Di tutte le altre piante citate genericamente dai vicini nella raccomandata non si hanno informazioni ma per loro stessa ammissione sembra che il proprietario del terreno abbia ottenuto il diritto di piantarle ad una distanza inferiore rispetto a quella legale, non è chiaro se con la costituzione di un diritto di servitù.
In ogni caso, visto che sono trascorsi più di 20 anni, è possibile sostenere di aver usucapito la servitù a mantenere gli alberi a distanza inferiore.

Non sembra, quindi, che ci siano margini per i vicini per chiedere l’abbattimento delle piante che erano già presenti al momento dell’acquisto del terreno da parte loro.

Nel caso in cui, però, la quercia (o le altre piante) sia posta alla distanza minima prevista dalla legge ma abbia rami o radici che invadono o protendono sul fondo del vicino, l’art. 896 del c.c. prevede la possibilità per il proprietario che subisce l’invasione, di chiedere di recederli.
Tale diritto è imprescrittibile e permette sempre al proprietario del fondo su cui protendono i rami, di chiederne la potatura.
Nel caso di specie non è chiaro se ci sono rami che sovrastano la proprietà altrui.
In caso affermativo, i vicini hanno diritto di chiederne la potatura.
Infatti non sembra che si possa sostenere di aver acquistato per usucapione il diritto di servitù di protensione rami perché la quercia - e si suppone anche le altre piante - sono sempre state potate affinché non sconfinassero.

In caso negativo, invece, a parere dello scrivente i vicini possono solo cercare di ottenere l’abbattimento della pianta qualora essa costituisca un pericolo.

La giurisprudenza ha escluso che la caduta delle foglie sul fondo del vicino sia lesiva ai sensi dell’art. 2051 del c.c. per responsabilità da cose in custodia e dia quindi vita ad un diritto al risarcimento del danno, perché l’evento (caduta) è un fenomeno naturale e inoffensivo e la cosa (pianta) non costituisce un pericolo (Cass. civ. n. 17493/2007).
Se la pianta dovesse però mostrare segni di malattia o instabilità diventerebbe si un pericolo e in quel caso i proprietari del terreno confinante potrebbero instaurare un procedimento per denuncia di danno temuto ai sensi dell’art. 1172 del c.c..

Viste le contestazioni dei vicini si consiglia di fare analizzare la pianta da un esperto per verificare lo stato e redigere una relazione che potrà poi essere inviata ai confinanti per rassicurali sul fatto che non si corrono rischi.

Per quanto riguarda l’ asserita copiosa caduta delle foglie, è necessario verificare se i rami invadono o meno la proprietà altrui e se le piante poste a distanza inferiore rispetto a quella legale superino o meno l’eventuale muro divisorio tra i due terreni.
In caso positivo, come già detto, i rami andranno potati o le piante che eccedono la sommità del muro andranno ridotte.

M. V. chiede
lunedì 20/11/2023
“Buonasera!
Un quesito che vorrei porre riguarda la possibilità per me, proprietario di un terreno confinante con un lotto su cui esistono alberi di pregio, di impedire l'abbattimento di detti alberi a seguito della richiesta da parte dei proprietari del terreno confinante su cui sporgono le piante. Ciò perché temo che da ciò possa derivare una perdita di valore della mia proprietà. Preciso che non trattasi di proprietà rurali, ma di giardini di pertinenza di lotti edificati, una rara oasi di verde nel tessuto cittadino.
Un secondo quesito riguarda la libertà, per lo stesso proprietario, di non curarsi che ben poco, non certo in misura sufficiente, della manutenzione del suo lotto, parte asfaltato (vialetto) parte a giardino; si tenga presente che sul vialetto insiste una servitù di passaggio; la manutenzione riguarda l'evitare la crescita spontanea di vegetazione erbacea ed a basso fusto, l'impianto di illuminazione del vialetto, etc. Insomma, il lotto non andrebbe lasciato praticamente incolto.
Sicuramente, per maggior chiarezza, invierò successivamente una memoria su tutta la questione.”
Consulenza legale i 28/11/2023
Per dare una risposta al presente quesito è necessario analizzare la normativa in materia di distanze degli alberi dai terreni altrui.
L’art. 892 c.c. stabilisce a quale distanza devono essere poste le piante rispetto al confine.
Per gli alberi di alto fusto (come nel caso di specie) la distanza prescritta è di 3 metri a meno che ci sia un muro divisorio e in questo caso la distanza non deve essere rispettata ma le piante non devono superare la sommità del muro.

Nel quesito non è indicata la distanza a cui sono poste le piante e dalle fotografie allegate non si distingue se ci sia un muro tra le due proprietà ma è evidente che gli alberi superino ampiamente la sommità di qualsiasi eventuale divisorio.
È quindi chiaro che, a meno che si sia acquisita una servitù di tenere gli alberi a distanza inferiore rispetto a quella legale, i proprietari del fondo vicino hanno diritto di chiedere che vengano abbattuti ai sensi dell’art. 894 del c.c., salvo l’esistenza della servitù per titolo, destinazione del padre di famiglia o per avvenuta usucapione.
A quanto pare di capire gli alberi sono presenti da molto tempo quindi è probabile che si sia acquisito per usucapione il diritto di servitù di tenerli alla distanza non stabilita dalla legge.
Nel qual caso, però, l’interessata, in caso di disaccordo con i vicini sul punto, dovrebbe intraprendere un procedimento di mediazione e poi eventualmente un’azione giudiziaria per fare accertare l’avvenuta usucapione.

Rimane comunque la possibilità che i vicini pretendano che la proprietà recida i rami che protendono sul loro fondo ai sensi dell’art. 896 del c.c..

Tale diritto è imprescrittibile e permette sempre al proprietario del fondo su cui protendono i rami, di chiederne la potatura.
La Corte di Cassazione ha stabilito che, poiché la norma espressamente dice che l’azione può essere intrapresa “in qualunque tempo”, non sia configurabile una servitù per usucapione (Cass. civ. n. 14632/2012).

È evidente, quindi, che nessun terzo possa impedire, sostenendo l’eventuale perdita di valore dei terreni circostanti, che gli alberi presenti in una proprietà altrui e piantati ad una distanza inferiore rispetto a quella legale, vengano abbattuti.
Lo stesso discorso vale per i rami che protendono sulla proprietà altrui.
L’ordinamento, infatti, tutela espressamente il diritto di proprietà dei confinanti di non vedersi danneggiati, per qualsiasi motivo, da piante poste ad una distanza inferiore rispetto a quella legale oppure da rami che sovrastano la loro proprietà.

Qualora le piante rispettassero, invece, i criteri degli art. 892 c.c. e 896 c.c., la richiesta dei vicini di abbatterle potrebbe essere giustificata solo in caso sussista il rischio concreto di un danno a causa, ad esempio, delle condizioni di salute degli alberi o della loro instabilità.
In mancanza di qualsiasi altro pericolo, l’abbattimento non sarebbe giustificato e la proprietaria potrebbe rifiutarsi di eseguirlo.

Per quanto riguarda, invece, l’incuria in cui versa il terreno su cui si esercita la servitù di passaggio, si segnalano le disposizioni di legge che pare possano essere calzanti per il caso di specie.

L’art. 1030 del c.c. stabilisce che il proprietario del fondo servente non ha alcun obbligo di compiere atti o opere per rendere possibile l’esercizio della servitù da parte del titolare del diritto.
La proprietaria del terreno, quindi, non è tenuta a curare il proprio giardino, nemmeno per garantire al proprietario del fondo servente di godere del proprio diritto di servitù.

L’art. 1069 del c.c., però, garantisce al titolare del diritto di intraprendere opere a proprie spese per conservare la servitù.
Se le opere giovano anche al fondo servente, le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi.
Pare che già attualmente ci sia un accordo di questo tipo tra i proprietari ma che gli interventi che vengono svolti siano di lieve entità.

Si consiglia, in conclusione, di valutare con gli altri titolari del diritto di servitù, di prendere in carico l’esecuzione di maggiori opere per tenere ordinato e pulito il giardino e il vialetto dove si esercita la servitù di passaggio.
Per la suddivisione dei costi con la proprietaria del terreno occorrerà valutare in concreto a chi giovino questi interventi ulteriori.

N. P. chiede
sabato 17/12/2022 - Puglia
“Ho una villa in zona sottoposta a vincolo paesaggistico. Al confine con il terreno incolto del vicino ho recinzione metallica. A distanza di circa 2,50 mt. da recinzione ho siepe di cipressi di circa 30 anni e circa 5 mt. di altezza i cui rami non vanno nel terreno del vicino e che non sono stati da me piantati. È arrivato nuovo proprietario del terreno che mi chiede di eliminare i cipressi perché non a distanza di 3 metri da confine e di mettere i nuovi a distanza e ad altezza massima di 2 metri per non togliere luce a piantagione che deve fare. Come posso muovermi?”
Consulenza legale i 23/12/2022
Va premesso che, ai sensi dell’art. 892 del c.c., gli alberi di alto fusto - tra i quali la norma menziona espressamente proprio i cipressi - devono essere tenuti a distanza di almeno tre metri dal confine.
L’art. 894 del c.c. attribuisce al vicino il diritto di ottenere che vengano estirpati gli alberi e le siepi piantati o nati a distanza inferiore a quella legale.
Tuttavia, considerata l’età delle piante, occorre tenere conto del fatto che è possibile acquistare, anche per usucapione, la servitù di tenere gli alberi a distanza minore di quella di legge; sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che “ai fini dell'usucapione del diritto a tenere alberi a distanza dal confine inferiore a quella di legge, il termine decorre dalla data del piantamento, perché è da tale momento che ha inizio la situazione di fatto idonea a determinare, nel concorso delle altre circostanze richieste, l'acquisto del diritto per decorso del tempo” (Cass. Civ., Sez. II, 18/10/2007, n. 21855).

I. D. chiede
martedì 06/12/2022 - Emilia-Romagna
“Buonasera,

con al presente sono a richiedere una consulenza.
La questione e' la seguente:
ho acquistato un immobile lo scorso anno. l'immobile ha un lato confinante con un parco pubblico.
all'epoca della costruzione dell'edificio il parco ancora non esisteva e vi erano sterpaglie (ho le foto che mi ha passato il costruttore). anno di abitabilità dell' immobile 1996/97.
A circa 2m dal confine della mia proprietà' , dentro il parco, vi e' un fosso che corre lungo tutto il parco.
A ridosso di questo fosso sono cresciute spontaneamente delle piante ( credo siano aceri) su entrambe le sponde . le piante sono molto alte ( quanto la mia casa di due piani) e sono tutte entro i 5m dal confine con la mia proprietà'.
Il precedente proprietario dell' immobile, mi disse, che all'epoca, prese accordi con il comune affinché' le piante nate stonatamente venissero lasciate crescere al fine di avere piu' privacy.
a settembre ho fatto richiesta al comune di eliminare le piante o di rilasciarmi permesso per procedere con taglio al colletto delle piante, per i seguenti motivi:
- entro i 5m dalla mia proprietà'
- i rami delle piante entrano nel mio giardino ( piante infestanti comprese)
- le radici delle piante stanno alzando gli argini del fosso ( che per onor del vero l'ho sempre asciutto)
- le piante non sono pre-esistenti all'edificio.
il comune dopo 2 mesi di solleciti telefonici ha mandato una squadra a tagliare i rami che si protraevano sulla mia proprietà . il responsabile della squadra mi disse che quelle erano le disposizioni che gli erano state date.
quindi ho parlato con la dirigente , proponendomi di accollarmi io la spesa di taglio al colletto delle suddette piante.
quindi il comune mi ha mandato autorizzazione per la sola capitozzatura delle piante con diametro del tronco inferiore a 10cm ad 1m di altezza ( in questo modo una delle piante, la piu grande; rimarrebbe intatta).
ho richiamato per chiarimenti e mi hanno risposto che essendo verde pubblico:
- non si possono tagliare le piante al colletto
- che con le loro disposizioni si otterrebbe un risultato estetico piu' gradevole.
- se mi fosse concesso di tagliare le piante al colletto queste ricrescerebbero disordinate

La mia domanda e' la seguente:
posso pretendere che il comune mi autorizzi , o che provveda, al taglio al colletto di tutte le piante se non all'eradicazione delle stesse?
se si come devo procedere? fare un altra richiesta protocollata presentandogli gli articoli 892,893 e 894 del codice civile? si da in mano tutto ad un avvocato? se si di che tipo? avete un nominativo a cui posso rivolgermi?
se invece dovessi accondiscendere alla loro autorizzazione riducendo le piante a boschetto, perderei poi il diritto a richiederne la rimozione?
se poi loro non vengono a fare manutenzione su questi boschetti ( cosa molto probabile visto la situazione generale del parco) , essendo solo boschetti perderei comunque il diritto a richiederne il contenimento?”
Consulenza legale i 19/12/2022
Per rispondere ai suoi quesiti occorrerà partire dalla disciplina generale in tema di distanze dettata dal Codice Civile applicabile anche se gli alberi, posti al confine siano ricompresi, da quanto ci viene riferito, nel verde pubblico.
L’ art. 892 c.c. stabilisce quanto alle distanze tra il fondo e gli alberi che, salve le diverse distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, dagli usi locali, devono essere osservate le seguenti distanze dal confine:
1) tre metri per gli alberi di alto fusto. Rispetto alle distanze, si considerano alberi di alto fusto quelli il cui fusto, semplice o diviso in rami, sorge ad altezza notevole, come sono i noci, i castagni, le querce, i pini, i cipressi, gli olmi, i pioppi, i platani e simili;
2) un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto. Sono reputati tali quelli il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami;
3) mezzo metro per le viti, gli arbusti, le siepi vive, le piante da frutto di altezza non maggiore di due metri e mezzo.

Quanto all’identificazione degli alberi di alto fusto, la giurisprudenza ha chiarito che “vanno identificati con riguardo alla specie della pianta, classificata in botanica coma “di alto fusto”, ovvero con riguardo allo sviluppo comunque da essa assunto in concreto, quando il tronco si ramifichi ad un’altezza superiore a tre metri” (ex multis Corte di Cassazione Civile n. 3232 del 18 febbraio 2015

Ciò posto, l’art. 894 del c.c. stabilisce che il vicino ha il diritto di domandare l’estirpazione degli alberi posti a distanza inferiore della legale, e ciò tanto nel caso che vi siano stati piantati quanto se vi siano nati spontaneamente: Il proprietario non potrebbe evitare l'estirpazione degli alberi che si trovano a distanza minore della legale offrendo di scapezzarli o di ridurli per innesto, e ciò, quand'anche si pratichi di farlo per la consuetudine locale. Il diritto di chiedere l'estirpazione degli alberi situati ad una distanza diversa da quella legale, è, inoltre, una modalità di esplicazione del diritto di proprietà, e, come tale, è imprescrittibile, fatta, in ogni caso, salva l'esistenza di una servitù contraria.
Infatti, il vicino non ha il diritto di esigere l'estirpazione degli alberi e delle siepi nati a distanza minore della legale se il proprietario, in questo caso il Comune, ha acquistato la servitù di mantenerli a tale distanza inferiore. Tale servitù può essere costituita per titolo, per destinazione del padre di famiglia o per usucapione ventennale. In altri termini, il Comune, nei modi previsti dalla legge, potrebbe aver maturato il diritto a mantenere gli alberi a distanza inferiore da quella legale.
Pertanto, occorre innanzitutto chiarire se vi sia o meno una servitù a favore del Comune a mantenere gli alberi, ancorché cresciuti spontaneamente, ad una distanza inferiore di legge con conseguente impossibilità di imporre l’estirpazione.
Quanto alla decorrenza del termine utile per l’acquisito della servitù, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire come “Ai fini dell'usucapione del diritto a tenere alberi a distanza dal confine inferiore a quella di legge, il termine decorre dalla data del piantamento ( n.d.r. dalla crescita spontanea), perché è da tale momento che ha inizio la situazione di fatto idonea a determinare, nel concorso delle altre circostanze richieste, l'acquisto del diritto per decorso del tempo, come è desumibile dall'art. 892, terzo comma, cod. civ., che fa riferimento, ai fini della misurazione della distanza di un albero dal confine, alla base esterna del tronco "nel tempo della piantagione"” (ex multis Cass. civ. n. 26418, 16 dicembre 2014).
Nel quesito proposto non è precisata la data in cui tali alberi siano cresciuti spontaneamente e, quindi, non è stato possibile determinare se sia o meno maturato tale diritto.
Ad ogni modo, nell’ipotesi in cui dovesse essere maturata la servitù in parola il vicino non è del tutto privo di tutela, in quanto può esercitare le facoltà che gli sono riconosciute dall’ art. 896 del c.c., e quindi potrà costringere il Comune a tagliare in qualunque momento i rami dei suoi alberi che si protendono sul proprio fondo e tagliare anche autonomamente le radici che sconfinano nel proprio fondo come, de resto, ci è stato riferito essere una delle motivazione che è stata portata all’attenzione del Comune.
Un ulteriore limite alla possibilità di chiedere ed ottenere il taglio degli alberi posti a distanza inferiore deriva dall’apposizione su di essi di un vincolo di natura paesaggistica o anche di altre specie, come previsto dall’ art. 866 del c.c.. Tuttavia, l’esistenza di una tale tipologia di vincolo non sembrerebbe essere stata richiamata nelle interlocuzioni avute sin ora con il Comune (che ci è stato riferito abbia indicato una mera esigenza di garantire “un risultato estetico piu' gradevole”).
Diversamente, se il diritto del Comune a mantenere una distanza legale inferiore non è maturato e non sussiste un vincolo paesaggistico di tutela, la rimozione degli alberi posti ad una distanza inferiore potrà essere ottenuta ai sensi dell’art. 894 del c.c. sia chiedendo la rimozione al Comune, in via stragiudiziale e, in assenza di adempimento spontaneo, chiedendo al Giudice di Pace, in quanto autorità giudiziaria competente, la pronuncia di una sentenza che obblighi il Comune alla rimozione.
Concludendo, in risposta ai suoi quesiti si rileva che:
  • Quanto alla possibilità di procedere autonomamente o obbligando il comune al taglio al colletto degli alberi o all’estirpazione, nel caso in cui sia maturato il diritto del Comune a mantenere le piante ad una distanza inferiore a quella legale, non sarà possibile estirpare gli alberi ma unicamente rimuovere i rami che protendono nel fondo oppure eliminare le radici sconfinanti. Diversamente, nel caso in cui non fosse maturato detto diritto, si potrebbe agire ex art. 894 del c.c..
  • Quanto alla perdita del diritto alla rimozione nel caso in cui acconsenta al taglio al colletto richiesto dal Comune, non sussiste alcuna limitazione preclusiva a chiedere ed ottenere la successiva rimozione sempre che nel frattempo non sia maturato il diritto sopra richiamato;
  • Quanto alla manutenzione sul bosco, anche in questo caso rimane fermo il diritto alla rimozione degli alberi posti a distanza inferiore nei limiti già indicati sopra.
Infine, qualora dalla crescita incontrollata di tali alberi possa derivare un danno grave e prossimo per il fondo, rimane ferma l’esperimento delle ordinarie forme di tutela petitorie previste come, ad esempio, l’azione di danno temuto di cui all’art. 1172 del c.c..
Ed inoltre, qualora detti alberi creino un pericolo per l’incolumità pubblica, così, ad esempio, nel caso in cui l’albero sia pericolante, si potrebbe valutare la possibilità di chiedere al Sindaco l’adozione di un’ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dell’art. art. 54 del T.U.E.L. che disponga, in via d’urgenza, la rimozione degli alberi.
Si tratta, tuttavia, di un’ipotesi remota che necessita di una prova rigorosa in ordine ai profili di urgenza e di pericolosità attuale e concreta derivanti direttamente dalla presenza di detti alberi.
Si segnala, infatti ,una recente sentenza del Consiglio di Stato che, nel dichiarare illegittima una tale tipologia di ordinanza ha precisato che non esistendo un “rischio zero” nella possibile caduta degli alberi, l’ordinanza di rimozione sarebbe stata legittima “solo a fronte di una puntuale rappresentazione della situazione di grave pericolo attuale che minacci l’incolumità dei cittadini” in quanto solo in questo caso “potrebbe giustificarsi l’eccezionale deroga al principio di tipicità degli atti amministrativi ed alla disciplina vigente, attuata mediante l’utilizzazione di provvedimenti extra ordinem.” (Consiglio di Stato – sezione V – 7 ottobre 2022 - n. 9178).

U. G. chiede
domenica 23/10/2022 - Campania
“Buongiorno,<br />
ho un casa al mare con giardino al centro del quale il costruttore oltre 30 anni fa ha piantato un albero di Tiglio ad una distanza inferiore ai tre metri.<br />
Il proprietario del piano superiore che si affaccia sul mio giardino, lamenta nonostante gli interventi del condominio che periodicamente pota gli alberi, che non gode del panorama e mi ha inviato una richiesta tramite legale.<br />
Premetto che nel parco la maggior parte dei proprietari ha fatto innalzare con il tempo gli alberi per concedere sia ombra che visuale a tutti come mi consigliate di agire<br />
Grazie e saluti<br />
<br />
Consulenza legale i 31/10/2022
Seppur non espressamente previsto dalle norme del codice civile giurisprudenza oramai consolidata riconosce il c.d. diritto di panorama, definito come: il diritto di ciascuno di godere dello spazio, della luce e, per quanto possibile, del verde nella prossimità della propria abitazione. Non avendo tale diritto espresso riconoscimento nel nostro ordinamento, la giurisprudenza riconduce la sua tutela nella stessa normativa delle luci e le vedute agli artt. 900 e ss. del c.c.

Secondo Cass. Civ.,Sez II, n. 8572 del 12.04.2006 la panoramicità del luogo consiste in una situazione di fatto derivante dalla bellezza dell'ambiente e dalla visuale che si gode da un certo posto, e riconduce il diritto di panorama nelle servitù altius non tollendi, ovvero nelle servitù di non costruire oltre una certa altezza. Tale servitù rientrano nelle tipologie di servitù non apparenti, nelle quali rientrano tutte le tipologie di servitù che per il loro esercizio non richiedono la costruzione di opere particolari.

Seppur da un lato la giurisprudenza riconosca il diritto di godere del panorama che si scorge dalla terrazza-balcone del nostro appartamento, dall’altro però si deve precisare che esso non ha una tutela assoluta, in particolare in merito alla costituzione di barriere naturali come, appunto, gli alberi. A tal proposito la Corte di Cassazione con sentenza n. 12051 del 17.05.2013 ha precisato che affinché vi sia una lesione del diritto al panorama e alla servitus altius non tollendi vi deve essere una modifica dell’assetto dei luoghi richiedente un’attività costruttiva, e pertanto detta lesione non può essere rappresentata dalla creazione di barriere naturali (come gli alberi), a cui è applicabile la diversa disciplina dettata dagli artt. 892 e ss. c.c., ossia la disciplina in materia di distanze.

In merito poi alle distanze per gli alberi indicate dall’art. 892 del c.c., è necessario precisare che la giurisprudenza ha chiarito come tale norma abbia un carattere dispositivo: può quindi tranquillamente usucapirsi il diritto a piantare alberi ad una distanza inferiore a quella legislativamente prevista. Il termine per usucapire un simile diritto, che è di durata ventennale ai sensi dell' art. 1158 del c.c., decorre tra l’altro dal momento in cui il vegetale è stato piantato (Cass.Civ. 21855 del 18.10.2007). Da quanto riferito quindi, pare che i termini per usucapire siano già decorsi da tempo, e quindi si avrebbero buone argomentazioni per evitare l’estirpazione della pianta.
È ovvio però, che in un ipotetico contenzioso rimarrebbe sempre l’onere in capo a chi fa valere l’acquisto per usucapione di dimostrare che sono maturati i termini richiesti dall’art. 1158 del c.c. e, parimenti, si dovrebbe dimostrare che sul vegetale viene eseguita una corretta manutenzione annuale.


A. R. chiede
lunedì 05/09/2022 - Calabria
“Salve,
il mio vicino di casa ha piantumato degli arbusti di Viburno lucido a circa 50 cm dalla parete di casa mia che reputa essere una siepe anche se alti 4 metri circa (devo considerarla siepe viva ?) .
Papà aveva costruito la casa sfruttando tutta l'estensione del mio terreno andando a parete cieca sul confine, ove vi sono gli arbusti; non ho ancora potuto dotare la casa di tetto per cui l'altezza della stessa è di circa 3 metri avendo sulla sommità una soletta.
Gli arbusti coprono totalmente la parete togliendo a mio parere luce ed aria alla stessa, inoltre, quando vengono annaffiati, con il tubo, l'acqua arriva nella parete ed anche sotto creando una zona molto umida.
Mi sono lamentato più volte a voce chiedendo o di abbassare gli alberi a siepe (1,25 m) annaffiandoli con appropriato sistema a goccia nelle radici o spostandoli ad una distanza più congrua ma il vicino sostiene che può tenerli a 50 cm e potarli a 3 metri di altezza ( in pratica mi trovo sempre un muro davanti alla parete).
Come posso tutelarmi da tutto ciò? Ho effettivamente il diritto di chiedere lo spostamento o la potatura molto più importante con diverso sistema di annaffiatura? Ho il diritto di chiedere l'immediata rimozione degli arbusti per prevenire danni al mio immobile?
Premetto che non abbiamo muri divisori ma la stessa separazione è stata fatta dalla parete della casa.
A disposizione qualora servisse altro, cordialmente

Consulenza legale i 16/09/2022
La distanza di mezzo metro è prevista dall’art. 892 del c.c., comma 1, n. 3 per “le viti, gli arbusti, le siepi vive, le piante da frutto di altezza non maggiore di due metri e mezzo”.
Ora, il vicino, a fronte dell’altezza raggiunta dalle proprie piante, non può invocare la loro eventuale natura di arbusti per sottrarsi al rispetto delle distanze legali.
Infatti la Cassazione (Sez. II Civ., sentenza 18/02/2015, n. 3232) ha chiarito che “gli alberi di alto fusto che, ai sensi dell'art. 892, primo comma, n. 1, cod. civ., devono essere piantati a non meno di tre metri dal confine, vanno identificati con riguardo alla specie della pianta, classificata in botanica coma "di alto fusto", ovvero con riguardo allo sviluppo comunque da essa assunto in concreto, quando il tronco si ramifichi ad un'altezza superiore a tre metri”; occorre, dunque, fare riferimento alle caratteristiche effettive delle piante. Queste ultime, se di altezza maggiore di quella stabilita, dovranno essere arretrate alla distanza di legge oppure ridotte all’altezza massima prevista dalla norma.
Nel quesito non viene specificata l’epoca di piantamento, importante ai fini di un’eventuale usucapione: si veda Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 30/05/2017, n. 13640: “il diritto di mantenere una siepe a distanza dal confine inferiore rispetto a quella legale può essere usucapito nel termine previsto per i beni immobili”.

N. D. M. chiede
giovedì 21/07/2022 - Toscana
“Salve, da qualche anno ho un problema con il mio vicino di casa e vorrei capire meglio quali siano i miei obblighi. Il mio giardino confina con il suo, a separarli c'è uno dei muri del suo garage, sopra il quale il vicino ha una grande terrazza che ospita dei pannelli solari. Il suddetto muro si estende poi, oltre il garage, per tutta la lunghezza del mio giardino ed è più basso ad un'estremità del mio pezzo di terreno e per tal motivo in tale parte è corredato da un'alta rete. Nel mio giardino ho dei grandi e alti salici che non ho piantato io stessa ma ho trovato al momento dell'acquisto della casa, quando erano già molto alti. Poco dopo il mio trasferimento il vicino ha iniziato a lamentarsi perché le foglie dei salici, che già al momento di trasferirmi avevano raggiunto e superato il muro confinante, sporcano la sua terrazza e oscurano i suoi pannelli solari che tale terrazza ospita. Mi sono così affidata a una ditta che ogni anno, in autunno, pota i miei salici concentrandosi soprattutto sui rami che più si avvicinano e, talvolta, oltrepassano il muro. Già la prima volta che gli operai sono venuti per la potatura, dunque, ho esposto loro le richieste dei vicini, chiedendo di potare il più possibile i rami a ridosso della sua terrazza e mi è stato detto che avrebbero fatto il possibile, però nel rispetto degli alberi, per evitare che una potatura selvaggia potesse farli ammalare. Ogni anno, dunque, a novembre, faccio potare i miei alberi, ma, già in primavera, i vicini cominciano a contattarmi lamentandosi e chiedendo di potare ulteriormente o addirittura far tagliare gli alberi, minacciandomi di procedere per via legale. Vorrei sapere, dunque, se effettivamente sono tenuta a tagliare i miei alberi che finora ho tentato di salvare perché sani, o se posso continuare con la potatura annuale come la ditta mi ha consigliato senza essere nel torto e quindi non rischiando niente da un punto di vista legale. Grazie”
Consulenza legale i 27/07/2022
Il caso prospettato va risolto in forza di quanto disposto dall’art. 892 c.c., norma che disciplina appunto le distanze che deve osservare colui che vuole piantare alberi presso il confine.
La ratio di tale norma viene individuata, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, nell’esigenza di evitare al fondo vicino i possibili danni derivanti dal propagarsi delle radici, dalla caduta delle foglie ovvero da diminuzione di aria, luce, soleggiamento o panoramicità (così Cass. n. 6497/1988, Cass. n. 2865/2003).

L’ultimo comma della stessa norma dispone che le distanze fissate nella prima parte non devono essere osservate quando sul confine vi è un muro, ovviamente senza aperture, poco importa se “proprio” o “comune”.
Per quanto concerne l’altezza del muro, vale quanto disposto dall’art. 878 del c.c. secondo cui il muro sul confine può essere alto fino a tre metri, dovendosi anche precisare che se si ha il diritto di tenere sul confine un muro di maggiore altezza, anche le piante possono essere fatte crescere vicino ad esso fino alla sua altezza.
Al muro sul confine, inoltre, può essere assimilato anche il muro di una costruzione qualsiasi, purchè si tratti di muro privo di aperture, mentre la regola fissata dall’ultimo comma dell’art. 892 c.c. non vale in presenza di altro tipo di recinzione, quali una rete, filo spinato o una staccionata.

Ulteriore precisazione che si ritiene di dover fare, prima di giungere ad una soluzione del caso in esame, è che in tema di distanze degli alberi vanno distinte due diverse situazioni.
La prima è quella regolata dal primo comma dell’art. 892 c.c., il quale fa appunto riferimento a chi “vuol piantare” alberi presso il confine.
La seconda situazione è quella delle piante già esistenti, la quale dà origine a situazioni più complesse, in quanto si rende necessario distinguere il caso in cui si sia già acquisito il diritto di tenere la pianta a distanza minore di quella legale da quello in cui il diritto non sia stato ancora acquisito.

Nel primo caso l’acquisto del diritto determina il nascere, in termini tecnici, di una servitù, e questo può avvenire per contratto o per destinazione del padre di famiglia (ad esempio a seguito di divisione di un fondo appartenente in origine ad un unico proprietario) oppure per usucapione ventennale.
Quest’ultima è la fattispecie che si presenta con maggiore frequenza e si realizza quando il confinante non reagisce per almeno venti anni al fatto che una pianta sul fondo vicino cresca a distanza non legale (secondo l’orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità il termine iniziale deve farsi decorrere dal piantamento dell’albero).
Al contrario, se il diritto non è stato ancora acquisito, il confinante può richiedere in qualunque momento che l’albero venga reciso o ridotto fino all’altezza del muro di confine.

Ebbene, dandosi per presupposto che i salici in questione non siano stati piantati nel rispetto delle distanze fissate dal primo comma dell’art. 892 c.c. e facendo applicazione delle regole giuridiche sopra esposte, il comportamento che si suggerisce di adottare è il seguente:
a) se si è in grado di dimostrare che i salici sono stati piantati da più di venti anni, si può considerare ormai acquisito il diritto di servitù attiva di tenere gli stessi alla distanza in cui si trovano e ad una altezza superiore al muro del vicino, potendo così sopraelevarsi fino alla rete e anche oltre;
b) se, invece, i salici a distanza non legale sono stati piantumati da meno di venti anni, il vicino potrà pretendere che gli stessi vengano ridotti all’altezza del muro di confine, secondo quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 892 c.c., non potendo la rete essere assimilata al muro, secondo quanto detto nella prima parte di questa consulenza;
c) per quanto concerne i rami che si protendono sul fondo altrui, provocando sporcizia ed ombreggiamento, vale quanto disposto dall’art. 896 del c.c., norma che riconosce al proprietario di un fondo il potere di costringere il vicino, i cui rami si protendono nel suo fondo, a tagliarli, mentre egli stesso può tagliare direttamente le radici che vi si addentrano (il fondamento di tale distinzione si ritrova nel maggior pregiudizio che potrebbe arrecare all’albero il taglio dei rami fatto non a regola d’arte rispetto al taglio delle radici, la cui recisione può anche avvenire accidentalmente durante l’aratura).
Va precisato che il diritto di recisione è imprescrittibile (la norma usa l’espressione “in ogni tempo”), con la conseguenza che un’eventuale servitù di protendere i rami degli alberi del proprio fondo in quello confinante può costituirsi per titolo ovvero per destinazione del padre di famiglia, ma non per usucapione.

Se, invece, i salici si trovano piantati nel rispetto delle distanze fissate dal primo comma dell’art. 892 c.c. (ossia tre metri dal confine, trattandosi di alberi di alto fusto), non si pone alcun problema di altezza ed il vicino può soltanto pretendere il taglio dei rami che si protendono sul suo fondo.

G. D. F. chiede
domenica 17/07/2022 - Puglia
“In merito all'art.892 c.c. si chiede:
- se il muro di confine non è proprio e neanche in comunione (quindi, è del vicino) è possibile piantare una siepe in giardino senza rispettare la distanza di 50 cm ma rispettando l'altezza della sommità del muro (150 cm)?
- è in regola con la norma del c.c. il vicino confinante, proprietario del muro di 150 cm, che nel suo giardino ha un albero, non di alto fusto, che non rispetta la distanza dal confine di 1,5 mt? inoltre, i rami dell'albero sporgono nella mia proprietà. Posso far valere i miei diritti e come?
preciso che i regolamenti locali non hanno normato la questione "distanza degli alberi".
Grazie, cordiali saluti”
Consulenza legale i 21/07/2022
Il primo dubbio che si chiede di aver chiarito attiene alla sussistenza o meno di un diritto a piantare sul proprio fondo una siepe senza il rispetto delle distanze fissate dall’art. 892 c.c. per la presenza di un muro sul confine.
Il dubbio nasce dalla stessa espressione utilizzata dal legislatore nell’ultimo comma di tale norma, ove si fa riferimento all’esistenza sul confine di un muro “proprio o comune”.

Per rispondere a quanto viene chiesto occorre innanzitutto analizzare la stessa ratio della norma, la quale viene individuata dalla dottrina nell’esigenza di evitare al fondo vicino i possibili danni derivanti dal propagarsi delle radici, dalla caduta delle foglie ovvero dall’immissione di ombra e umidita.
In senso conforme si pone anche la giurisprudenza, ritenendo che la norma in esame sia volta ad impedire che la parte fuori terra degli alberi possa riuscire di danno ai vicini per diminuzione di aria, luce, soleggiamento o panoramicità (così Cass. n. 6497/1988, Cass. n. 2865/2003).

Precisato ciò, il legislatore all’ultimo comma dispone appunto che le distanze fissate nella prima parte dell’art. 892 c.c. non devono essere osservate quando sul confine vi è un muro, ovviamente senza aperture, poco importa se “proprio” o “comune”.
Alcuni interpretano il termine “proprio” nel senso che si può piantare un albero a ridosso del muro solo se questo è di proprietà esclusiva di chi pianta l’albero oppure comune.
In realtà, si ritiene preferibile la tesi secondo cui la norma deve intendersi riferita all’esistenza di un muro comune o di proprietà esclusiva di uno qualunque dei due confinanti, dovendosi soltanto rispettare la condizione che le piante siano potate in modo da non superare l’altezza del muro.
Del resto, questa seconda interpretazione si pone perfettamente in linea con la ratio della norma a cui prima si è fatto riferimento, in quanto se le piante non superano l’altezza del muro il confinante non può lamentare alcuna diminuzione di aria, luce, soleggiamento o panoramicità.

Per quanto concerne l’altezza del muro, si ritiene opportuno ricordare che ex art. 878 del c.c. il muro sul confine può essere alto fino a tre metri, dovendosi anche precisare che se si ha il diritto di tenere sul confine un muro di maggiore altezza, anche le piante possono essere fatte crescere vicino ad esso fino alla sua altezza.
Al muro sul confine, inoltre, può essere assimilato anche il muro di una costruzione qualsiasi, purchè si tratti di muro privo di aperture, mentre la regola fissata dall’ultimo comma dell’art. 892 c.c. non vale in presenza di altro tipo di recinzione, quali una rete, filo spinato o una staccionata.

L’altra situazione che si chiede di prendere in esame è quella che riguarda questa volta il confinante, il quale ha nel suo giardino un albero, non di alto fusto, che non rispetta la distanza di metri 1,5 dal muro di proprietà esclusiva dello stesso ed i cui rami sporgono nella proprietà altrui.
Ebbene, per comprendere come ci si deve comportare in un questo caso occorre precisare che in tema di distanze degli alberi vanno distinte due diverse situazioni.
La prima è quella regolata dal primo comma dell’art. 892 c.c., il quale fa appunto riferimento a chi “vuol piantare” alberi presso il confine, e per la quale vale quanto fin qui detto.
La seconda situazione è quella delle piante già esistenti (come l’albero del vicino), la quale dà origine a situazioni più complesse, in quanto si rende necessario distinguere i casi in cui si sia già acquisito il diritto di tenere la pianta a distanza minore di quella legale da quelli in cui il diritto non sia stato ancora acquisito.

Nel primo caso l’acquisto del diritto determina il nascere, in termini tecnici, di una servitù, e questo può avvenire per contratto o per destinazione del padre di famiglia (ad esempio a seguito di divisione di un fondo appartenente in origine ad un unico proprietario) oppure per usucapione ventennale.
Quest’ultima è la fattispecie che si presenta con maggiore frequenza e si realizza quando il confinante non reagisce per almeno venti anni al fatto che una pianta sul fondo vicino cresca a distanza non legale (secondo l’orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità il termine iniziale deve farsi decorrere dal piantamento dell’albero).
Al contrario, se il diritto non è stato ancora acquisito, il confinante può richiedere in qualunque momento che l’albero venga reciso o ridotto fino all’altezza del muro di confine.

Pertanto, applicando le regole sopra esposte al caso di specie, la soluzione sembra molto lineare, in quanto se la situazione lamentata si protrae da parecchio tempo (o meglio da più di vent’anni)), ci sarà ben poco da fare, avendo il vicino acquisito un vero e proprio diritto di servitù di tenere l’albero a distanza non legale, pur se supera l’altezza del muro di confine.
Per i rami che si protendono sul proprio fondo vale quanto disposto dall’art. 896 del c.c., norma che riconosce al proprietario di un fondo il potere di costringere il vicino, i cui rami si protendono nel suo fondo, a tagliarli, mentre egli stesso può tagliare direttamente le radici che vi si addentrano (il fondamento di tale distinzione si ritrova nel maggior pregiudizio che potrebbe arrecare all’albero il taglio dei rami fatto non a regola d’arte rispetto al taglio delle radici, la cui recisione può anche avvenire accidentalmente durante l’aratura).

Va precisato che il diritto di recisione è imprescrittibile (la norma usa l’espressione “in ogni tempo”), con la conseguenza che un’eventuale servitù di protendere i rami degli alberi del proprio fondo in quello confinante può costituirsi per titolo ovvero per destinazione del padre di famiglia, ma non per usucapione.

Se, invece, l’albero a distanza non legale è stato piantumato da meno di venti anni, si potrà pretendere che lo stesso venga ridotto all’altezza del muro di confine, secondo quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 892 c.c.

P. S. chiede
sabato 09/04/2022 - Friuli-Venezia
“oggetto: art 892 CC - alberi medio fusto.

Stim. Brocardi,

nel mio giardino ho delle piante di non alto fusto (ligustro, alloro) sorte spontaneamente, che alla base si trovano a distanza di almeno 1.5 metri dal confine con il vicino. Sono alte circa 6 metri ma i rami distano almeno 1 metro dal confine, vedasi foto allegata (INVIERO' DOPO VS RICHIESTA).

Dall' Avvocato del mio vicino ho ricevuto una lettera-diffida che dice: "Trattasi di piante / arbusti che sono stati piantati a 1.5 metri dal confine e di conseguenza ai sensi e per gli effetti dell' art 892 punto 2 del c.c. siffatte piante di NON alto fusto POSSONO ESSERE FATTE CRESCERE AD
UN'ALTEZZA MASSIMA DI 3 METRI.
Per quanto esposto, La si DIFFIDA a procedere al taglio ... etc. etc.. ..omissis .... verrà prodotta in Tribunale."

A me pare che una volta chiarito-assodato che le piante sono di NON alto fusto, addirittura arbusti (e lo dice la lettera stessa dell Avvocato!)
basta che siano a distanza di almeno 1.5 m dal confine, senza limiti all'altezza. Mi pare anche che la sentenza di Cass.civ. n. 15016/2000 sia
utile come chiarimento ulteriore.

Gradirei da Voi un parere al riguardo.

Distinti saluti”
Consulenza legale i 13/04/2022
La tesi del vicino è, purtroppo, fondata.
Infatti l’art. 892 c.c., comma 1, n. 2), nel prescrivere la distanza dal confine di un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto, precisa che sono reputati tali quelli il cui fusto non superi un’altezza di tre metri.
La pronuncia della Cassazione citata nel quesito, ovvero la n. 15016 del 21/11/2000, non fa che confermare il principio secondo cui la pianta, per essere considerata non di alto fusto, non deve superare in concreto l’altezza di tre metri (così recita la massima: “l'albero il cui tronco - e cioè il fusto che va da terra alla prima imbracatura - e le cui branche principali - ossia escluse quelle diffondentesi in rami, portatori di frutti e/o foglie, che costituiscono la chioma dell'albero - non superano i tre metri non è di alto fusto, e pertanto per la distanza dal confine si applica l'art. 892, comma 1, n. 2, c.c.”).
Ad ulteriore riprova di quanto sopra affermato, Cass. Civ., Sez. II, 26/02/2003, n. 2865 ha chiarito che “gli alberi di alto fusto che, a norma dell'art. 892, n. 1, c.c., debbono essere piantati a non meno di tre metri dal confine, vanno identificati con riguardo alla specie della pianta, classificata in botanica come «di alto fusto», ovvero, se trattisi di pianta non classificata come di alto fusto, con riguardo allo sviluppo da essa assunto in concreto, quando il tronco si ramifichi ad un'altezza superiore a tre metri”.
Peraltro, nella vicenda esaminata da tale ultima sentenza, le piante oggetto di controversia erano proprio arbusti di alloro. Si legge in proposito nella motivazione: “premesso che la pianta oggetto di causa, appartenente alla famiglia delle "lauracee", è in grado di raggiungere altezze anche superiori ai dieci metri e che sono alberi di alto fusto tutti quelli il cui fusto, superata l'altezza di tre metri da terra, si diffonde in rami, ha rilevato il giudice d'appello che, nel caso di specie, l'albero di alloro alla cui estirpazione è stata condannata la dante causa delle attuali ricorrenti, per le sue caratteristiche di altezza e dimensioni (quattro tronchi, due dei quali presentanti, al momento della espletata CTU, la diramazione ad altezza da terra rispettivamente di mt 3,30 e 3,60, con una altezza complessiva di m 6,80) non poteva che esser considerato albero di alto fusto, soggetto, quindi, all'obbligo della distanza di metri tre dal confine della altrui proprietà ai sensi dell'art. 892 del codice civile, obbligo non rispettato atteso che la distanza intercorrente tra la sua base ed il confine della proprietà dei [...] era di mt 1,60”.

T. A. chiede
lunedì 14/02/2022 - Lombardia
“Ho acquistato un terreno dove sto costruendo una palazzina di 5 piani con regolare permesso di costruire. Il mio vicino ha due pini di vecchia data a due metri dal confine, ora i pini hanno rami che sporgono nella mia proprietà, che lui si ostina a tagliare, ma gli stessi hanno raggiunto oramai una altezza di 18 metri.
Può tenerli così o deve abbassarli? tenga presente che la mia costruzione non vedrà il sole
Grazie mille
Consulenza legale i 01/03/2022
Il codice civile non disciplina l’altezza massima degli alberi posti tra due fondi confinanti, bensì la loro distanza dal confine in relazione proprio all'altezza.
In particolare, l’art. 892 c.c. stabilisce distanze diverse in relazione a differenti tipologie di piante.
Ma procediamo con ordine.
La norma in esame prevede, innanzitutto, che nel piantare alberi presso il confine debbano essere osservate, innanzitutto, le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, dagli usi locali. In mancanza di previsioni da parte di regolamenti e usi locali, per gli alberi di alto fusto, tra cui i pini, dovrà essere rispettata la distanza di tre metri dal confine.
Nel nostro caso risulta che tale distanza non sia rispettata; tuttavia, considerando anche la risalente età degli alberi e il fatto che l’acquisto del terreno vicino sembra essere recente, occorre verificare che il proprietario del fondo confinante non abbia acquistato il diritto di mantenere gli alberi a distanza inferiore, ovvero una vera e propria servitù a carico del fondo di chi pone il quesito.
Tale servitù potrebbe essere stata acquistata, oltre che per contratto o per destinazione del padre di famiglia, anche per usucapione: in proposito, Cass. Civ., Sez. II, 18/10/2007, n. 21855 ha chiarito che “ai fini dell'usucapione del diritto a tenere alberi a distanza dal confine inferiore a quella di legge, il termine decorre dalla data del piantamento, perché è da tale momento che ha inizio la situazione di fatto idonea a determinare, nel concorso delle altre circostanze richieste, l'acquisto del diritto per decorso del tempo”.

E. C. chiede
mercoledì 29/12/2021 - Piemonte
“Casa indipendente in Centro Storico, confinante con vicini su tre lati e su vicolo comunale.
Muro semi-perimetrale in cemento che, nel lato interessato, è alto 1,4m più ringhiera di altrettanti 1,4m; Il livello del terreno del confinante è +1m rispetto al mio e quindi dalla loro parte il muretto è circa 0,4m più ovviamente la ringhiera.
Non esiste normativa comunale che si rifà quindi all’articolo 892 del c.c.
Domanda:
Quale può/deve essere l’altezza massima della siepe, e a quale distanza minima dalla ringhiera questa deve essere mantenuta al fine anche di effettuare eventuali manutenzioni alla ringhiera in ferro.
Come da foto allegate la finestra della mia cucina è a di circa tre metri dal muretto.”
Consulenza legale i 05/01/2022
Per rispondere al quesito dobbiamo partire proprio dall’art. 892 c.c., le cui disposizioni si applicano laddove né i regolamenti né gli usi locali prevedano distanze diverse.
Per l’esame delle diverse distanze indicate in relazione alle varie specie di piante rimandiamo alla lettura dell’articolo; infatti, la previsione che ci interessa è quella contenuta nell’ultima comma della norma, che esonera dal rispetto delle distanze nel caso in cui sul confine esista un muro divisorio, proprio o comune, purché le piante siano tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro.
Nel nostro caso, risulta che sul muro vero e proprio sia presente una inferriata in metallo: si pone dunque il problema di stabilire se, per calcolare l’altezza massima della siepe, sia possibile tenere conto anche dell’inferriata stessa.
La giurisprudenza anche recente ha chiarito che costituisce "muro", ai fini della norma in esame, “solo quel manufatto che impedisca al vicino di vedere le piante altrui” (così Cass. Civ., Sez. VI - 2, ordinanza 12/07/2018, n. 18439); conforme Cass. Civ., Sez. II, 01/08/2008, n. 21010, secondo cui “l'art. 892 c.c., comma 4, può trovare applicazione soltanto nel caso in cui la siepe non superi il muro, atteso che soltanto in tal caso il vicino non la vede e non subisce la diminuzione di aria, luce e veduta”.
Anche Cass. Civ., Sez. II, 29/09/2000, n. 12956, ha precisato che “soltanto se il confine tra due fondi è costituito da un muro divisorio, proprio o comune, è consentito di mantenere una siepe di alberi di alto fusto a meno di tre metri da esso, perché in tal caso il vicino non la vede e non subisce la diminuzione di aria, luce soleggiamento e panoramicità”.
Del resto la meno recente Cass. Civ., 14/03/1975, n. 968, nell’enunciare gli stessi principi, aveva escluso che, al fine di accertare se alcune piante fossero tenute ad altezza non eccedente la sommità di un muro divisorio esistente sul confine, potesse tenersi conto di una rete metallica collocata sopra il muro.
Pertanto, nel nostro caso, la siepe potrà essere mantenuta anche a distanza inferiore da quella stabilita (per la corrispondente specie di piante) dall’art. 892 c.c., a condizione che la sua altezza non superi quella del muro divisorio, calcolata senza tenere conto della soprastante inferriata.

R. U. chiede
giovedì 02/12/2021 - Lombardia
“Buongiorno,

sono proprietario di un appartamento all’ultimo piano del mio condominio con terrazzo di proprietà a livello (equiparabile a un lastrico solare) nel comune di Milano di circa 120mq

due anni fa ho piantumato tutto il perimetro di gronda (quindi fronte strada) con piante e alberelli in contenitori di alluminio avente misure 150cm l x 70cm h x 50 cm prof in alcun modo fissati alla pavimentazione in klinker o ad altre parti dell’edificio, in più per una parte di questo perimetro ho creato un telaio in rete di nylon supportata da profili metallici del diametro di 49 mm anche loro non infissi al pavimento né ad alcuna parte dell’edificio (essendo conficcati solo nel substrato di coltivazione all’interno dei vasi o semplicemente in appoggio col loro stesso peso sul pavimento, senza alcun bullone, vite o altro fissaggio, sulla quale rete ho fatto crescere dei rapicanti fino ad altezza 240.

il mio appartamento è confinante con un altro condominio costruito in aderenza al mio e l’unità immobiliare posta all’ultimo piano di quel condominio ha un terrazzo allo stesso livello del mio.

i due terrazzi sono separati da un muro di esclusiva proprietà del mio condominio avente altezza 210 ovviamente cieco in ogni sua parte essendo i due condomini diversi.

tengo a precisare che parallelamente a quel muro (di confine?) non ho messo né piante né vasi, proprio per non disturbare il vicinato (quindi le piante, i supporti non infissi e i relativi vasi sono solo sul perimetro prospiciente la strada (quindi perpendicolari al muro di cinta per i soli 50 cm della loro profondità.

ora alcuni alberi sono cresciuti e la vicina lamenta la mancata applicazione dell’art 892 cc in quanto a distanza di piantagione dal confine (tengo a precisare che le piante entro i 3 metri dal confine non sono considerate ad alto fusto ma sono arbustive e comunque sono alte circa 250 cm (compresi i 70 del vaso)

la mia domanda è:

- leggendo giurisprudenza in merito pare che l’art in questione non sia applicabile ai contenitori mobili non infissi al suolo e non interrati per ovvi motivi, potete darmi evidenza di ciò?
- i supporti dei rampicanti non fissati in alcun modo se non con il loro stesso peso eventualmente sarebbero irregolari?
- se anche fosse applicabile l’art in questione al caso in oggetto le piante non ad alto fusto (quindi arbustive) che sviluppano h 2,50 compresi i vasi (a fronte di un muro perpendicolare h.210) sarebbero irregolari?


eventualmente posso produrre planimetrie e fotografie

ringraziando anticipatamente porgo

CORDIALI SALUTI”
Consulenza legale i 09/12/2021
Le lamentele della vicina possono avere fondamento solo in minima parte per le ragioni che adesso verranno illustrate.
Come sicuramente sarà ben noto, in materia di alberi e piante il codice civile contiene delle regole ben precise, le quali stabiliscono con esattezza a quale distanza dal confine gli stessi possono essere piantati.
Norma principale di riferimento nel caso in esame non può che essere l’art. 892 c.c., a cui si fa cenno nel quesito stesso.
Tale norma, infatti, stabilisce con esattezza quali sono le distanze da osservare per gli alberi piantati o da piantare al confine tra due diverse proprietà.
Si tratta di una norma con carattere dispositivo e non imperativo, la cui ratio va individuata nell’esigenza, avvertita dal legislatore, di limitare il diritto del proprietario di piantare alberi a meno di una certa distanza dal confine, così da evitare al fondo vicino i possibili danni derivanti dal propagarsi delle radici, dalla caduta delle foglie o dall’immissione di ombra e umidità (così Cass. Civ. Sez. II n. 6497 del 30.11.1988; Cass. Civ. Sez. II sent. N. 2865 del 26.02.2003).

Come può agevolmente desumersi dalla sua lettura, ai fini del rispetto delle distanze la norma distingue gli alberi a seconda che siano di alto fusto, di medio fusto ovvero che si tratti di arbusti, distinzione che in realtà viene considerata poco corretta da un punto di vista botanico, in quanto non tiene conto del dato fattuale che lo sviluppo di una pianta non può essere determinato in astratto, ma solo in relazione alle concrete condizioni climatiche ed alle modalità di coltivazione.
Trascurando le considerazioni di natura botanica, deve a questo punto porsi in evidenza che l’ultimo comma della norma introduce un’eccezione alle distanze ivi previste, disponendo che si prescinde dal rispetto delle distanze minime se ricorrono, congiuntamente, le seguenti condizioni:
a) sul confine esiste un muro divisorio, proprio o comune (ovviamente deve trattarsi di un muro senza aperture, ossia senza finestre o vani luciferi);
b) le piante sono tenute ad un altezza che non eccede la sommità del muro, in quanto in questo caso il vicino non subisce diminuzione di aria, luce e veduta (così Cass. Civ. Sez. II sent. N. 21010 del 01.08.2008).

Per la nozione di muro divisorio occorre fare riferimento a quanto dettato dall'art. 881 del c.c., costituendo muro, a tali effetti, solo quel manufatto che impedisca al vicino di vedere le piante altrui.
Occorre evidenziare che, ai sensi dell’art. 878 del c.c., il muro sul confine può essere alto fino a tre metri, mentre qualora si dovesse avere il diritto di tenere sul confine un muro di altezza maggiore, anche le piante potrebbero essere fatte crescere vicino ad esso fino alla sua altezza.

Le regole appena elencate tendono a salvaguardare i rapporti di vicinato nel caso in cui si pongano a dimora alberi ed arbusti in piena terra, mentre non vanno sicuramente osservate allorchè le piante siano poste in vaso, in quanto sembra più che evidente che in quest’ultimo caso non può presentarsi alcuno dei problemi a cui sopra si è fatto riferimento, ossia il rischio che radici e umidità si propaghino verso il fondo del vicino.

Tuttavia, se può confermarsi che le distanze minime imposte dal codice civile non debbono essere osservate per le piante coltivate in vaso, non potendo in tal modo arrecare alcun danno al terreno confinante sotto il profilo prettamente botanico, a diverse conclusioni deve giungersi per ciò che concerne la loro altezza, tenuto conto di quanto detto prima (citando anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione), ossia che le norme sulle distanze sono altresì volte ad evitare che al fondo del vicino possano essere arrecati danni derivanti da diminuzione di aria, luce e veduta.
In particolare, con riferimento a quest’ultimo concetto, deve richiamarsi quanto disposto dall’art. 907 del c.c., norma che, sebbene rubricata “Distanza delle costruzioni dalle vedute” esprime alcuni principi di carattere generale, che si ritengono applicabili anche nel caso di specie.

Deve intanto precisarsi che il termine “costruzione” a cui tale norma fa riferimento, non va inteso in senso restrittivo di manufatto in calce o in mattoni o in conglomerato cementizio, ma in quello di qualsiasi opera che, qualunque ne sia la forma e destinazione, ostacoli, secondo l'apprezzamento insindacabile del giudice di merito, l'esercizio di una veduta.
Si tenga presente che il diritto di veduta è un diritto che si esercita non solo verso il basso ma anche verso l'alto, il che comporta che anche se le piante vengono coltivate in vaso, si potrà avere il diritto di mantenerle in aderenza alla proprietà altrui, ma le stesse non potranno superare l’altezza del muro che si trova sul confine, in quanto toglierebbero luce ed aria al fondo del vicino.
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, Sez. II civ., con sentenza n. 12956 del 29.10.2000, affermando che soltanto se il confine tra due fondi è costituito da un muro divisorio, proprio o comune, è consentito di mantenere una siepe di alberi di alto fusto a meno di tre metri da esso, perché in tal caso il vicino non la vede e non subisce la diminuzione di aria, luce soleggiamento e panoramicità.

Ripercorrendo poi la giurisprudenza che si è occupata più specificatamente di quest’ultimo tema (quello della diminuzione di aria, luce e panorama), si segnala la sentenza del Tribunale di Genova del 9 luglio 2005, in cui si afferma che le limitazioni di aria e luce derivanti da opere, installazioni di manufatti e piante non possono assumere giuridica rilevanza se non nella misura in cui da essi derivi una violazione delle norme codicistiche sulle distanze nelle costruzioni e sulle distanze dalle vedute.
Pertanto, tutte le volte in cui non sussista alcuna violazione delle distanze legali, non è possibile riconoscere una ben precisa tutela giuridica a colui che, a seguito di una costruzione o della installazione di piante, non possa più godere del panorama di cui fino a quel momento aveva beneficiato.
Tuttavia, è stato anche osservato che il panorama, oltre che come diritto, può venire in rilievo anche come servitù, ed in particolare come servitus altius non tollendi.
A tal proposito occorre constatare che non vi è nel nostro codice civile una norma che imponga in maniera espressa dei limiti ben precisi all’altezza degli alberi, a differenza di quanto previsto per la loro distanza dal confine.
Ciò comporta la necessità di doversi affidare agli orientamenti giurisprudenziali sviluppatesi in materia, ed una interessante sentenza si ritiene sia quella della Corte di Cassazione, Sez. II civile, n. 2973 del 27 febbraio 2012, nella quale la S.C. ha affermato che il diritto di veduta, che si pretende leso dalla chioma di uno o più alberi pur piantati a distanza legale, integra e può solo qualificarsi come servitus altius non tollendi (ossia servitù di non costruire oltre una certa altezza), la quale può essere acquistata anche per usucapione o destinazione del padre di famiglia.
Sempre sul tema dell’altezza delle piante, ed in particolare di alberi posti a distanza inferiore da quella legale, può segnalarsi Cass. civ. Sez. II sent. N. 9280 del 9 aprile 2008, nella quale la S.C. ha imposto al proprietario dell’albero di effettuarne la cimatura soltanto perché si trattava dell’ipotesi prevista dall’ultimo comma dell’art. 892 c.c., ossia esisteva un muro sul confine e l’altezza dell’albero superava quella del muro.

Volendo, dunque, adesso trarre le conclusioni di quanto fin qui osservato, si ritiene di poter sinteticamente fornire le seguenti risposte a ciascuna delle domande poste nel quesito:
a) l’art. 892 c.c. dettato in tema di distanze non trova applicazione nel caso di piante contenute in vasi per ciò che concerne la loro distanza;
b) i supporti dei rampicanti non fissati in alcun modo se non con il loro stesso peso non sono irregolari, né sotto il profilo civilistico e neppure sotto quello urbanistico (si tratta di opera amovibile);
c) se si vuole mantenere un’altezza delle piante superiore al muro divisorio, occorre attenersi alla distanza di mezzo metro dal confine fissata dal n. 3 del comma 1 dell’art. 892 c.c., in quanto per la parte eccedente la sommità del muro il vicino ha il diritto di reclamare quella mancanza di luce e aria alla cui tutela sono anche rivolte le norme dettate in tema di distanze.

Pertanto, se si vuole continuare a mantenere i vasi con le piante addossate al muro divisorio, una soluzione che può suggerirsi è quella di portare l’altezza delle piante, per i soli primi 50 centimetri dal confine (tanto quanto basta per soddisfare il requisito della distanza imposto dal n. 3 dell’art. 892 c.c.) alla stessa altezza del muro divisorio.
Per la rimanente estensione del perimetro di gronda occupato dai vasi non può sussistere alcun problema di altezza, in quanto non si trovano al confine con il vicino, ma perpendicolari ad esso.

PELLIZZARI W. chiede
martedì 03/08/2021 - Lombardia
“buonasera,
ho un problema con la nuova siepe del confinante; la siepe (lauro ceraso) e' posta a 50 cm dalla recinzione come da norma ed e' alta 2,50mt (per ora) rispetto alla quota del mio terreno che e' piu' basso di circa 25 cm rispetto a quello del vicino; quindi dovrebbe essere apparentemente a norma; il problema e' che la siepe fa' gia' effetto muro togliendomi ,luce,aria,vista ;girando su internet ho visto che a volte la recinzione potrebbe essere assimilata a muro e di conseguenza la siepe non potrebbe superare l'altezza del muro stesso; nella fattispecie la recinzione e' realizzata in pilastri in cemento murati e lastre in cemento prefabbricate fino a 50 cm di altezza ,poi paletti verticali murati nel pilastrino e rete plastificata per una altezza totale complessiva filo rete superiore di 180cm.. e' assimilabile a muro per la legge avendo parti murate a terra?vorrei che la siepe fosse tagliata almeno a quell'altezza di 180 cm ..come fare?inoltre quale sarebbe il piano di riferimento per valutare l'altezza di legge della siepe ? il piano del vicino oppure il mio che e' piu' basso di 25 cm? avrei bisogno di un vero esperto in merito,non generico, ,qualora lo abbiate ,sul foro di Monza.
grazie”
Consulenza legale i 09/08/2021
La norma che nel caso di specie trova immediata applicazione è l’art. 892 c.c., il quale impone l’obbligo di rispettare determinate distanze nel piantare un albero o una siepe, sia per evitare l’invasione del fondo altrui con radici sia per evitare che gli alberi possano togliere luce e aria al vicino.
Come può notarsi, tale norma, la quale trova applicazione in mancanza di appositi regolamenti comunali o di diversi usi locali, si preoccupa di fissare la distanza minima dal confine, mentre nulla dice in relazione all’altezza massima.

L’unico limite di altezza lo si trova imposto dal comma 1 n. 3 della predetta norma, ma con riferimento alle sole piante da frutto piantumate a mezzo metro dal confine, le quali non possono avere un’altezza maggiore di due metri e mezzo.
Per le altre piante la cui distanza dal confine viene fissata in mezzo metro, ossia gli arbusti, le viti, le piante rampicanti e le siepi vive, nulla viene detto, dal che se ne deve dedurre che queste possono anche superare i tre metri di altezza.

Pertanto, nel caso di specie, avendo il vicino osservato la distanza legale dal confine di mezzo metro, nessuna pretesa può legittimamente avanzarsi nei confronti dello stesso circa l’altezza della siepe.
Anche la presenza o meno di un muro di confine viene dal legislatore presa in considerazione ai soli fini del calcolo delle distanze, ma non per determinare l’altezza di una siepe.
Il muro sul confine, infatti, legittima a non rispettare le distanze fissate dall’art. 892 c.c. ed a far crescere le piante vicino ad esso, ma fino alla sua altezza (che ex art. 878 del c.c. non può superare i tre metri).
Occorre, però, che si tratti di un muro o di una qualsiasi costruzione priva di aperture, mentre la presenza di qualunque altro tipo di recinzione (quali rete, filo spinato, staccionata o anche quella presente nella situazione in esame, come visibile dalle foto inviate a questa Redazione) non incide sulle distanze.
Se invece la siepe fosse piantata a distanza legale dal muro di confine (50 cm.), la stessa potrebbe superare l’altezza massima di quel muro.

In conclusione, si ritiene che non sussistano i presupposti per protestare e pretendere che il vicino tagli la propria siepe all’altezza della recinzione esistente.
Per quanto riguarda le altre domande, posto che secondo quanto è stato sopra detto non sussiste alcun limite di altezza, in ogni caso l’altezza, così come del resto la distanza, vanno calcolate dal piano del vicino e non dal proprio.
In particolare, la distanza si misura a partire dal punto della semina o dalla base esterna dell’albero piantato, a livello del terreno su cui insiste.

Unica norma di cui eventualmente si può invocare l’applicazione è l’art. 896 del c.c., il quale riconosce al proprietario di un fondo il potere di costringere il vicino, i cui rami si protendono nel suo fondo, a tagliarli, mentre egli stesso può tagliare direttamente le radici che vi si addentrano.
Tale norma postula che gli alberi o le piante siano posti, come nel caso in esame, a distanza legale, in quanto, se fosse violata la distanza minima, ritornerebbe a trovare applicazione l’art. 894 c.c., con conseguente diritto di pretendere l'estirpazione dell'intero albero o pianta e non la sola recisione di una parte.

Si ritiene utile precisare che il diritto di recisione è imprescrittibile, il che comporta che una eventuale servitù di protendere i rami degli alberi del proprio fondo in quello confinante può costituirsi soltanto per titolo o per destinazione del padre di famiglia, ma non per usucapione (l'art. 896 del c.c., infatti, riconosce espressamente al proprietario del fondo, nel quale si protendono i rami degli alberi del vicino, il potere di costringere quest'ultimo a tagliarli in qualunque tempo).


Socrate M. chiede
giovedì 04/03/2021 - Sardegna
“Ho impiantato nel 2018 una pianta di fico, in terreno di cui ero comodatario e autorizzato dal proprietario, a 68 cm di distanza dal confine rappresentato da un muro alto 1,5 mt senza nessuna apertura. La confinante ha il possesso del terreno oltre il muro, terreno di proprietà di altra persona. La confinante nel muro citato ha successivamente aperto un cancello alto 2.08 mt e sollevato il muro con una grata per altri 93 cm; oscurando sia cancello che grata con un telo scuro che impedisce la visuale. La pianta di fico a tutt'oggi non supera l'altezza del muretto attuale (sempre 1,5 mt) anche perché qualcuno, non si sa chi, ha ripetutamente spruzzato, contro la pianta, del diserbante. Solo in alcune foto presentate dalla confinante, in una possessoria nei miei confronti, le fogli del fico vanno a incidere, per una decina di cm, sulla grata con telo oscurante. La confinante ha ricorso in giudizio chiedendo:

1 - "Immediata reintegrazione nella pienezza del possesso della servitù di passaggio". (considerata dal Giudice inammissibile)

2 - "immediata cessazione, da parte dello stesso resistente, delle molestie per gli ingressi in mapp. 2033 e 2035 e inibendo al medesimo gli ingressi nei citati mapp." (respinta in quanto all'epoca dei fatti il sig. Morlacchetti era comodatario.

3 - "immediata rimozione del cancello ivi descritto e conseguente immediato ripristino dello stato dei luoghi."
(non accolta in quanto deve essere considerata azione di manutenzione - art. 1170 cc e il ricorrente non ha il possesso. "In ogni caso anche se le ricorrenti avessero provato di essere in possesso della servitù di passaggio l'azione non avrebbe trovato parimenti accoglimento ecc. ecc.."

4 - " Immediato espianto dell'albero di fico."
a- Per non rispetto art. 892. (Accolta per sentenza cassazione n°12949 del23 giugno 2015 e perché non ricorrono i presupposti per la deroga da concedere se esiste un muro divisorio; "per le sue caratteristiche il muro presente in loco non può essere qualificato come muro divisorio e inoltre l'albero ha già superato l'altezza consentita. sotto il primo profilo è utile richiamare quanto al riguardo affermato da Corte di Cassazione, 29 settembre 2000, n. 12956: in merito questa corte , con sentenza 14 marzo 1975 n. 968, richiamata in corso, ha deciso che la nozione di muro divisorio, proprio o comune, che a seguito del quarto coma dell'art. 892 cc consente di non osservare le distanze stabilite per chi nel piantare alberi presso il confine, coincide con quella di muro divisorio risultante all'art. 881 cc. Muro, a tali effetti, è soltanto quel manufatto che impedisce al vicino di vedere le piante altrui, in quanto la ratio della norma è appunto quella di nascondere le piante alla vista del vicino.
In ragione di quanto esposto:
- il muro deve essere necessariamente proprio o comune.
- non è considerato muro l'inferriata sopra il muro per cui l'altezza delle piante deve essere inferiore
all'inferriata sovrastante il muro."
b- "Per impedimenti al passaggio": respinta; nessun impedimento al passaggio.


Il giudice mi ha condannato a: " sradicare l' albero di fico nell'arco di sette gg, a corrispondere la somma do 25 euro oltre il settimo gg e a rifondere le spese del provvedimento". Durante la possessoria sia il terreno ove ho impiantato il fico sia il terreno oltre il muro ove la confinante ha il possesso sono passate di proprietà del sott.to.
Il muretto originario di 1,5 mt è presumibilmente stato edificato dalla confinane; non ci sono prove ma racchiude anche altro terreno di sua proprietà.
La sentenza, per quanto riguarda il fico è impugnabile ?

In realtà la sentenza dello spoglio in questione ha condannato il sott.to oltre allo sradicamento anche a:
"rifondere alle ricorrenti 2935.05 euro (pari al 1/2 del totale oltre spese generali, cpa e iva ".
Il Giudice ha determinato il 50% della somma da rifondere con le seguenti argomentazioni :
"Quanto alle spese di lite, stante alla reciproca soccombenza e considerando che le domande proposte dalle ricorrenti hanno trovato solo in parte accoglimento, mentre quelle proposte dal resistente sono state rigettate, quest'ultimo è tenuto a rifondere......(vedi sopra)
Il sottoscritto ha proposto due domande riconvenzionali che sono state dichiarate inammissibili.

Per le condanne, relative alla percentuale di colpe 50% e al relativo importo (trattasi di causi senza determinazione di valore), ci sono gli estremi di un ricorso ?”
Consulenza legale i 15/03/2021
Va premesso che le risposte alle domande formulate nel quesito verranno fornite sulla base di quanto desumibile dall’esame della sola ordinanza del giudice, con esclusione di tutte quelle valutazioni che avrebbero implicato un confronto con le altre risultanze di causa (come ad esempio documentazione fotografica).
Fatta tale doverosa precisazione, la decisione assunta dal tribunale in merito all’espianto dell’albero di fico appare, nei limiti di cui sopra, giuridicamente corretta.
Infatti, non trova fondamento la tesi del resistente, secondo cui l’albero in questione rientrerebbe addirittura tra le categorie di piante di cui al n. 3 dell’art. 892, comma 1 c.c.: come correttamente rilevato dal tribunale e come ribadito dalla Corte di Cassazione (si veda ad es. Sez. II, 26/02/2003, n. 2865), “gli alberi di alto fusto che, a norma dell'art. 892, n. 1, c.c., debbono essere piantati a non meno di tre metri dal confine, vanno identificati con riguardo alla specie della pianta, classificata in botanica come «di alto fusto», ovvero, se trattisi di pianta non classificata come di alto fusto, con riguardo allo sviluppo da essa assunto in concreto, quando il tronco si ramifichi ad un'altezza superiore a tre metri”.
La stessa ordinanza in esame menziona una pronuncia della Suprema Corte emessa proprio in riferimento al caso specifico dell’albero di fico, la n. 12949/2015: “gli alberi di fico non possono considerarsi di alto fusto e rientrano, agli effetti delle distanze da osservarsi dal confine, nella categoria di cui all'art. 892, primo comma, n. 2, cod. civ., la quale comprende gli alberi il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami e che vanno piantati alla distanza di un metro e mezzo dal confine stesso”.
Va inoltre esclusa, nella vicenda in esame, l’operatività della deroga prevista dal 4° comma dell’art. 892 c.c., che esonera appunto dal rispetto delle distanze previste dalla norma in presenza di un muro divisorio, proprio o comune, sul confine, all’ulteriore condizione che le piante siano tenute ad altezza non eccedente la sommità del muro.
In proposito la recente Cass. Civ., Sez. VI - 2, ordinanza 12/07/2018, n. 18439, ha chiarito che “la nozione di muro divisorio rilevante, ai sensi dell'art. 892, comma 4, c.c., al fine dell'esenzione dalle prescrizioni relative alle distanze legali degli alberi e delle piante dal confine, coincide con quella di cui all'art. 881 c.c., costituendo muro, a tali effetti, solo quel manufatto che impedisca al vicino di vedere le piante altrui”. Simili condizioni, nel nostro caso, risultano (stando alla motivazione dell’ordinanza) insussistenti, proprio perché la recinzione di cui trattasi non impedisce affatto la visuale sulle piante altrui.
Quanto alla seconda domanda, va precisato che non si tratta di una ripartizione di “colpe”, ma di una compensazione delle spese processuali ai sensi e per gli effetti dell’art. 92, comma 2 c.p.c.
Secondo la norma in questione, la compensazione delle spese - che costituisce una deroga al principio generale della soccombenza, art. 91 c.p.c. - è ammessa sia in caso di soccombenza reciproca, sia in caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti. La compensazione può essere totale o (come nel nostro caso) parziale.
Nella fattispecie oggetto del quesito la compensazione al 50% è stata disposta in virtù della reciproca soccombenza. Tale decisione (che non è regolata da un criterio “matematico”, ma appare in buona parte rimessa alla discrezionalità del giudice) appare equa, alla luce del fatto che le ricorrenti avevano proposto diverse domande, due soltanto delle quali sono state accolte, mentre il resistente, oltre ad essere condannato all’espianto del fico, ha visto rigettate le riconvenzionali da lui proposte.
Al riguardo Cass. Civ., Sez. I, 26/05/2006, n. 12629, ha precisato che “il concetto di soccombenza reciproca, che consente la compensazione tra le parti delle spese processuali (art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.), sottende una pluralità di pretese contrapposte, rigettate dal giudice a svantaggio di entrambi gli istanti”.
Con riferimento, infine, alla quantificazione delle spese, il giudice ne ha specificato i criteri di liquidazione nella motivazione dell’ordinanza. I parametri per la liquidazione giudiziale delle spese sono quelli contenuti nel D.M. 55/2014.
Trattandosi di causa di valore indeterminabile, ma a complessità bassa (come correttamente ritenuto dal giudicante), deve farsi riferimento, per la determinazione degli onorari, allo scaglione di valore compreso tra euro 26.000,00 ed euro 52.000,00. La liquidazione operata nel caso concreto appare contenuta entro tali parametri.

Francesco T. chiede
domenica 20/09/2020 - Toscana
“Sono proprietario di un attico; il vicino adiacente (proprietario di un proprio attico), non facente parte dello stesso mio condominio, dopo 16 mesi che ho acquistato l'attico, ha posto delle piante (vasi con piantine) che ledono il mio diritto di panorama sul centro storico di Firenze. Di fatto, con le nuove piante, si ostruisce che dal mio attico si veda il centro storico di Firenze. Le piante sono state poste attaccate al muro divisorio. In realtà le piante sono state poste solo su una parte del muro divisorio, o meglio solo sulla parte del muro dove non arriva il mio attico (i due attici sono leggermente sfalsati orizzontalmente) come da foto che vorrei allegarvi). Le piante (dei vasi con piantine), non sono posti a 1,5 mt dal muro divisorio, come invece dovrebbero essere poste secondo la mia opinione. Il dubbio mio è che le piante sono state poste solo sulla parte del loro attico dove non arriva il mio attico, ma in grado comunque di ledere il panorama verso il centro storico. Dalle foto che vorrei inviarvi, si capisce meglio lo status quo ante, ma soprattutto dove arriva il mio attico rispetto a quello adiacente. Secondo voi, posso pretendere la rimozione delle piante o pretendere che la loro altezza non superi quella del muro? Attendo riscontro per potervi inviare le foto”
Consulenza legale i 24/09/2020
Per dare una risposta al quesito proposto è opportuno analizzare brevemente la disciplina delle luci e delle vedute. Il codice civile disciplina due fattispecie di aperture sul fondo del vicino: la luce e la veduta, entrambe previste all’art 900 del c.c. L’apertura che dà passaggio alla luce e all'aria, ma non permette di affacciarsi sul fondo del vicino è detta luce; la veduta o prospetto permette, viceversa, di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente i fondi altrui.
Le norme del codice civile e la giurisprudenza prevedono particolari caratteristiche per le luci e le vedute, ma per non annoiare troppo chi ci legge, sia consentita una esemplificazione: un esempio classico di luce è la finestrella che si trova nei pianerottoli delle scale di ogni condominio; la veduta è, invece, ciò che possiamo godere affacciandoci dal balcone del nostro appartamento.

Seppur non espressamente previsto dalle norme del codice civile giurisprudenza oramai consolidata riconosce il c.d. diritto di panorama, definito come: il diritto di ciascuno di godere dello spazio, della luce e, per quando possibile, del verde nella prossimità della propria abitazione. Non avendo tale diritto espresso riconoscimento nel nostro ordinamento, la giurisprudenza riconduce la sua tutela nella stessa normativa delle luci e le vedute agli artt. 900e ss. del c.c.
Secondo Cass. Civ.,Sez II, n. 8572 del 12.04.2006 la panoramicità del luogo consiste in una situazione di fatto derivante dalla bellezza dell'ambiente e dalla visuale che si gode da un certo posto, e riconduce il diritto di panorama nelle servitù altius non tollendi, ovvero nelle servitù di non costruire oltre una certa altezza. Tale servitù rientrano nelle tipologie di servitù non apparenti, nelle quali rientrano tutte le tipologie di servitù che per il loro esercizio non richiedono la costruzione di opere particolari.

Seppur da un lato la giurisprudenza riconosca il diritto di godere del panorama che si scorge dalla terrazza-balcone del nostro appartamento, dall’altro però si deve precisare che esso non ha una tutela assoluta, in particolare in merito alla costituzione di barriere naturali come, appunto, gli alberi. A tal proposito la Corte di Cassazione con sentenza n. 12051 del 17.05.2013 ha precisato che affinché vi sia una lesione del diritto al panorama e alla servitù altius non tollendi vi deve essere una modifica dell’assetto dei luoghi richiedente un’attività costruttiva, e pertanto detta lesione non può essere rappresentata dalla creazione di barriere naturali (come gli alberi), a cui è applicabile la diversa disciplina dettata dagli artt. 892 e ss. c.c., ossia la disciplina in materia di distanze.

Esaminando con attenzione l’art. 892 del c.c. ed in particolare il suo 4° comma, si può notare come lo stesso specifichi che le distanze previste dalla norma in commento, ed in particolare quella di un metro e mezzo per gli alberi non di alto fusto di cui al n.2) dell’art. 892 del c.c., non devono osservarsi se sul confine esiste un muro divisorio, proprio o comune, purché le piante siano tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro. In forza di tale norma, la Corte di Cassazione, Sez. II, con sentenza n. 9280 del 9 aprile 2008, ha imposto al proprietario dell’albero di effettuarne la cimatura proprio perché esisteva un muro sul confine e l’altezza dell’albero superava quella del muro.

In forza di quanto detto, e dopo aver esaminato la documentazione fotografica allegata al quesito, si può concludere che nel caso di specie difficilmente si potrà ottenere dal vicino la rimozione radicale delle piante, ma si ha dalla propria buona argomentazione per ottenerne una cimatura o un abbassamento al di sotto della cima del muro divisorio.




Claudio R. chiede
venerdì 04/09/2020 - Lombardia
“Egregio Avvocato,
Desidero sottoporre al vostro studio la seguente questione:
Il mio vicino di casa, da qualche anno, ha piantato, a circa 50 cm dal muro divisorio confinante con la mia proprietà, della canne di bambù che ora sono alte più di 4 metri.
le stesse, essendo cresciute e infoltite, oltre che generare sporco per la caduta di foglie anche all'interno della mia proprietà, impediscono la vista verso la strada, che prima avevo.
il muro divisorio, di mia proprietà, è alto mt. 2,5 e lungo circa 8 metri, lo stesso non presenta aperture o varchi tra le due proprietà.
Le canne di bambù dovrebbero essere assimilate agli arbusti e/o siepi; quindi, salvo mie errate interpretazioni riferite all'art. 892 cc libro terzo, titolo II capo II sezione VI, vorrei avere conferma, o meno se il mio vicino può tenere il canneto ad una altezza superiore a mt. 2,5, con distanza 50 cm. dal muro, o, se dovesse allontanare il canneto dal muro ad 1 metro o più, se la l'altezza di mt. 2,5 può essere elevata a piacere.
Se fosse possibile avere un vostro indirizzo email o contatto whatsapp, desidererei inviarvi un paio di foto a miglior esplicazione di quanto sopra descritto e, se il vostro parere fosse in mio favore, avere qualche riferimento di sentenza della cassazione.
Distinti saluti
Claudio R.

Consulenza legale i 10/09/2020
Norma di riferimento per la soluzione del caso non può che essere l’art. 892 c.c., correttamente citato nel quesito.
Tale norma, infatti, stabilisce con esattezza quali sono le distanze da osservare per gli alberi piantati o da piantare al confine tra due diverse proprietà, sempre che nulla venga specificamente disposto dai regolamenti o usi locali (la preferenza accordata alle fonti normative speciali si fonda sull’opportunità di non prescrivere un regolamento uniforme per tutto il territorio statale, in modo tale da consentire alle statuizioni locali di considerare la varietà di colture, terreno e clima).

Si tratta di una norma con carattere dispositivo e non imperativo, il che rende ammissibile la costituzione di una servitù contraria, sia per convenzione che per usucapione o destinazione del padre di famiglia.
La sua ratio va individuata nell’esigenza avvertita dal legislatore di limitare il diritto del proprietario a piantare alberi a meno di una certa distanza dal confine, così da evitare al fondo vicino i possibili danni derivanti dal propagarsi delle radici, dalla caduta delle foglie o dall’immissione di ombra e umidità (così Cass. Civ. Sez. II n. 6497 del 30.11.1988; Cass. Civ. Sez. II sent. N. 2865 del 26.02.2003).

Tuttavia, finalità di tale norma è, indirettamente, anche quella di determinare lo spazio normalmente occorrente a ciascun tipo di albero per espandere liberamente le proprie radici e quindi per crescere in condizioni di normale rigoglio.

Ai fini del rispetto delle distanze, dunque, la norma distingue gli alberi a seconda che siano di alto fusto, di medio fusto o che si tratti di arbusti, distinzione che in realtà viene considerata poco corretta da un punto di vista botanico, in quanto non tiene conto del dato fattuale che lo sviluppo di una pianta non può essere determinato in astratto, ma solo in relazione alle concrete condizioni climatiche ed alle modalità di coltivazione.

Ora, trascurando le considerazioni di natura botanica, e occupandoci sotto il profilo esclusivamente giuridico della questione posta, va detto che le canne di bambù, che interessano il caso di specie, si ritiene che possano e debbano farsi rientrare nel n. 3 di tale norma, il quale fissa la distanza in mezzo metro dal confine.
In tal senso si è chiaramente espressa la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con sentenza n. 20155 del 18.09.2006, nella quale la S.C. ha statuito che, in tema di distanza delle piante dal confine, i canneti vanno assimilati agli arbusti e non alle piante di alto o medio fusto (conformi Cass. N. 2830 del 1999; Cass. 9368 del 1994; Cass. N. 164 del 1981).
Precisa sempre la S.C. nella medesima sentenza, che, essendo i canneti assimilabili agli arbusti, la loro altezza è del tutto irrilevante, ai sensi dell'art.892, primo comma n.3, c.c., rispetto alla distanza da osservare.
Infatti, se si legge con attenzione il n. 3 della norma, ci si accorge che l’altezza massima di due metri e mezzo viene imposta per le solo piante da frutto che si trovino piantate a 50 cm. dal confine.

L’ultimo comma della norma introduce, invece, un’eccezione alle distanze ivi previste, disponendo che si prescinde dal rispetto delle distanze minime se ricorrono, congiuntamente, le seguenti condizioni:
  1. sul confine esiste un muro divisorio, proprio o comune (ovviamente deve trattarsi di un muro senza aperture, ossia senza finestre o vani luciferi);
  2. le piante sono tenute ad un altezza che non eccede la sommità del muro, in quanto in questo caso il vicino non subisce diminuzione di aria, luce e veduta (così Cass. Civ. Sez. II sent. N. 21010 del 01.08.2008).

Per la nozione di muro divisorio occorre fare riferimento a quella di cui all'art. 881 del c.c., costituendo muro, a tali effetti, solo quel manufatto che impedisca al vicino di vedere le piante altrui.
Si ricorda poi che, ai sensi dell’art. 878 del c.c., il muro di cinta, per essere considerato tale, non deve avere un’altezza superiore a tre metri, mentre se si ha il diritto di tenere sul confine un muro di maggiore altezza, anche le piante possono essere fatte crescere vicino ad esso fino alla sua altezza.

Applicando i principi sopra esposti al caso in esame, se ne devono trarre le seguenti conclusioni:
  1. poiché il canneto va equiparato agli arbusti, è corretta la distanza di mezzo metro dal confine in cui si trova piantato;
  2. dovendosi far rientrare nel n. 3 dell’art. 892 c.c., il vicino ha soltanto l’obbligo di rispettare la distanza e non anche l’altezza, in quanto l’obbligo di altezza di metri 2,5 posto da questo norma vale solo per gli alberi da frutto;
  3. anche se esiste un muro di confine, il canneto può superare tale muro, perché piantato a distanza legale.
L’altezza del muro, al contrario, non potrebbe essere superata se non fosse stata rispettata la distanza legale (cioè se il canneto si fosse trovato, ad esempio, a soli 10 cm dal muro di confine).


Diego P. chiede
giovedì 23/07/2020 - Lombardia
“Buongiorno, sono proprietario da circa 3 anni di una casa che confina con una proprietà ove sussiste un siepe alta circa 3,5mt (di cui 1,5mt oltre il muro di cinta) - il tronco è a circa 30-40cm dal muro mentre rami e foglie sono contro lo stesso e in parte entrano nella nostra proprietà. A fatica riusciamo a far potare la parte che entra nella nostra proprietà una volta l'anno.
Alla richiesta di abbassarla un po per permetterci di vedere un po' di luce ci hanno risposto che essendo passati oltre 30 anni da quando hanno piantato la siepe hanno usucapito il diritto a tenerla a tale altezza.
Il quesito è: come è possibile provare il raggiungimento dei 30 anni in modo certo? Esistono norme che ci permettano in qualche modo di richiedere un abbassamento di questa siepe?
P.S. Nel comune di Dairago, ove è locata la proprietà, non esiste un regolamento del verde.
Grazie”
Consulenza legale i 29/07/2020
La distanza degli alberi dal confine con il fondo vicino è espressamente regolata dal codice civile, che stabilisce alcune regole, piuttosto precise.
In particolare, l’art. 892 c.c., sancisce che devono essere osservate in primis le distanze stabilite dai regolamenti locali (comunali) e, in mancanza, quelle stabilite dagli usi locali.
In assenza di tali norme o usi, è il codice stesso a stabilire che:
- gli alberi di alto fusto (quelli il cui fusto, semplice o diviso in rami, sorge ad altezza notevole, come sono i noci, i castagni, le querce, i pini, i cipressi, gli olmi, i pioppi, i platani e simili) vanno piantati almeno a tre metri dal confine;
- un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto (quelli il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami) vanno piantati a un metro e mezzo;
- le viti, gli arbusti, le siepi vive, le piante da frutto di altezza non maggiore di due metri e mezzo, possono essere piantati fino a mezzo metro dal confine.
Le siepi di ontano, castagno, o simile, che si recidono periodicamente vicino al ceppo, devono essere alla distanza di un metro; le siepi di robinie, alla distanza di due metri.
Secondo quanto previsto dall’art. 892 c.c., la distanza si misura dalla linea del confine alla base esterna del tronco dell'albero nel tempo della piantagione, o dalla linea stessa al luogo dove fu fatta la semina.
Le distanze anzidette non si devono osservare se sul confine esiste un muro divisorio, proprio o comune, purché le piante siano tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro.

Il codice civile stabilisce anche la sanzione per chi pianta alberi a distanza minore da quella fissata nell'art. 892: il vicino può esigere che gli alberi o le siepi siano estirpati (art. 894 c.c.).

Le norme relative alla distanza degli alberi dal confine sono per loro natura derogabili: ciò significa che può esistere una servitù avente ad oggetto il diritto di mantenere gli alberi a distanza inferiore rispetto a quella legale. Questa servitù può essere costituita in modo volontario, mediante la concessione del titolare del fondo servente; oppure, può essere usucapita mediante l'esercizio continuato e pacifico della stessa per vent'anni.

Nel caso di specie, poiché la pianta è utilizzata come siepe, dovrebbe trovare applicazione il terzo caso indicato dall'art. 892, che dà la possibilità di piantare le siepi vive non più alte di due metri e mezzo a 0,50 metri dal confine.
La distanza a cui il vicino ha piantato la siepe risulterebbe troppo ravvicinata.

Tra l’altro, considerando l’altezza della siepe, si potrebbe tentare di ricondurre la pianta nel novero degli alberi di non alto fusto, per rientrare nel caso di cui al punto 2 dell'art. 892 (che prevede un metro e mezzo dal confine).
Tuttavia, secondo Cass. civ., 29/1/2015 n. 1682: “Ai fini della distanza dal confine, l'art. 892 c.c. distingue le siepi formate da arbusti, da piante basse, da canneti, escludendo gli alberi di alto e medio fusto, purché oggetto di periodica recisione vicino al ceppo, al fine di impedire la crescita in altezza e consentire l'avvicinamento dei rami e dei vari alberi e la formazione di una barriera contro gli agenti esterni. Non è escluso, quindi, che anche gli alberi di alto e medio fusto possano costituire siepe, come si desume dall'art. 892, comma 2, c.c. pur se appartengano a specie non contemplate espressamente dalla norma, come i cipressi. Consegue che, ove il giudice di merito abbia accertato che la collocazione di essi sia stata finalizzata a costituire una siepe che adempia alla sua naturale funzione di barriera contro gli agenti esterni, sussiste l'obbligo di rispettare la distanza di un metro dal confine”.

In ogni caso, il proprietario della siepe ben potrebbe aver usucapito la servitù di mantenere le sue piante a distanza inferiore da quella legale.
Non vi è, infatti, un limite di altezza per le siepi piantate a distanza regolare, e anche se la distanza non è stata rispettata, dopo 20 anni il vicino ha acquisito il diritto a mantenere la siepe per usucapione della relativa servitù.

In particolare, l’usucapione si concretizza quando il confinante, per almeno vent’anni, non oppone alcuna obiezione al fatto che una pianta cresca ad una distanza non legale sul fondo attiguo.
Il termine ventennale decorre dalla data del piantamento, perché è da tale momento che inizia la situazione di fatto idonea a determinare, nel concorso con le altre circostanze richieste, l’acquisto del diritto per decorso del tempo.

Nel caso di specie, considerando l’altezza della siepe, che supera i 2,5 metri previsti per le siepi, si potrebbe tentare di far considerare la siepe come albero non ad alto fusto o addirittura ad alto fusto, per cui sarebbe prevista una distanza maggiore.
Anche in questo caso, tuttavia, il vicino potrebbe aver usucapito il diritto a mantenere la pianta ad una distanza non legale.
Tuttavia, i vent’anni non decorrerebbero dal momento in cui l'albero germoglia dal seme, ma dal momento in cui è chiaro, in concreto, che diverrà una pianta superiore e tre metri.

Salvo tentare quest’ultima strada, in assenza di regolamenti più restrittivi del Comune in questione, sembrerebbe ormai usucapito il diritto del vicino a mantenere la siepe all’attuale altezza.

Per quanto riguarda, invece, i rami che si protendono sull’altrui proprietà, si ricorda che ai sensi dell’art. 896 c.c. “quegli sul cui fondo si protendono i rami degli alberi del vicino può in qualunque tempo costringerlo a tagliarli, e può egli stesso tagliare le radici che si addentrano nel suo fondo, salvi però in ambedue i casi i regolamenti e gli usi locali.
Pertanto, il vicino sarà tenuto a potare la siepe nella parte che si protende sull’altrui proprietà senza poter opporre alcunché.

Maria M. chiede
venerdì 29/11/2019 - Emilia-Romagna
“Abito in una villetta situata nel cortile di un palazzo antico in centro Bo. Mio vicino abita nel palazzo acanto, al piano terra con giardino, ove anni fa ha piantato degli alberi (tipo 2 del Art. 892) circa 20cm distante, lungo l'intero muro di mia proprietà di circa 11 metri, senza provvedere neanche di un intercapedine, ne isolando il muro. Causa del acqua eccessiva che traspare il muro, sia piovana sia quando annaffiano a volte con un annaffiatore automatico indipendente dal fatto se ce o no bisogno, eppure per la terra molto bagnato dal prato (in effetti i scalini che scendono nella loro cantina dal giardino sono coperte di un fitto manto di muschio) come pure altri piccole piante fra le alberi, sono costretta a fare lavori di bonifica lungo tutto il muro, sia fuori come pure dentro casa visto che la situazione ha portato parecchi danni, non solo ai muri del salotto e la camera del letto, ma anche al pavimento di parquet del salotto che si è gonfiato così staccando diversi pezzi che non possono essere più rimessi a posto.
Le attuale piante, alti circa 2.5metri e ora 10cm dal muro, dovrebbero essere spostati per permettere che i lavori vengono fatti al esterno. La padrona rifiuta ciò, in più, chiedendo danni per eventuale danneggiamento alle piante. Non essendo proprietaria di queste piante, non voglio avere a che fare con ciò, ne spostarle, ne pagare eventuale danni, ne ripiantarle.
Domanda: quali sono i miei diritti oltre a poter accedere alla loro proprietà per eseguire i lavori, e quali sono i miei dovere nei confronti dei miei vicini?
Devo rivolgermi ad un perito e a solo mie spese o ad un'altra fonte legale?
Vorrei iniziare i lavori questo inverno appena il tempo migliora, e chiedo come devo comunicarla ai vicini, scritto, a voce?
Grazie, e cordiale saluti.”
Consulenza legale i 05/12/2019
In materia di alberi e piante il codice civile contiene delle regole ben precise, le quali stabiliscono con esattezza a quanta distanza dal confine gli stessi possono essere piantati.
Ciò perché gli alberi piantati troppo vicino al confine potrebbero danneggiare la proprietà altrui, sia perché ne impediscono il passaggio di luce e aria, sia perché con il passare del tempo potrebbero invadere il fondo confinante, sia perché possono essere causa di tanti altri tipi di danno, quale quello che qui si lamenta.

In particolare, l’art. 892 c.c., che nello stesso quesito viene richiamato, dispone al n. 2 (a cui sempre si fa riferimento nel testo del quesito) che gli alberi di non alto fusto (cioè quelli il cui fusto, che si diffonde in rame, non superi i tre metri in altezza) debbono essere piantati ad un metro e mezzo dal confine.
E’ il caso di osservare che, da un punto di vista botanico, la distinzione e le espressioni usate dal legislatore in questa norma sono alquanto infelici, in quanto in realtà lo sviluppo di una pianta non può essere determinato in astratto, ma solo in relazione alle concrete condizioni climatiche ed alle modalità di coltivazione.
Ciò, sul piano giuridico assume una certa rilevanza, in quanto fa sì che l’obbligo di rispettare le distanze o il diritto di chiederne il rispetto non scatta nel momento stesso in cui la pianta viene messa a dimora nel terreno, ma solo nel momento in cui diviene palese che essa si avvia ad essere un albero piuttosto che un arbusto.

Deve anche aggiungersi che le distanze da tale norma previste non devono essere osservate quando sul confine vi è un muro senza aperture, sia esso comune o di proprietà esclusiva di uno dei due confinanti, purché le piante siano potate in modo tale da non superare l’altezza del muro.
Secondo il disposto dell’art. 878 del c.c. il muro sul confine può essere alto fino a tre metri, mentre se si ha diritto di tenere sul confine un muro di maggiore altezza, anche le piante possono esser fatte crescere vicino ad esso fino alla sua altezza.

Deve ancora precisarsi che, quando si parla di muro, il riferimento non deve farsi soltanto al muro isolato che funge da recinzione, ma anche al muro di una costruzione qualsiasi, privo di aperture: in quest’ultimo caso le piante devono soltanto rispettare la distanza dagli spigoli iniziali e finali del muro (ciò significa che non si può piantare un albero sullo spigolo dell’abitazione altrui).

Ebbene, la fattispecie descritta nel caso in esame sembra rispecchiare proprio quest’ultima situazione, in quanto viene fatto riferimento ai danni che quelle piante stanno provocando ai muri della casa (salotto, camera da letto), oltre che al parquet, lasciandosi così intendere che le piante si trovano addossate al muro di una costruzione.
Conseguenza di ciò sarà, come si presume possa essere facilmente intuibile, che il confinante avrà tutto il diritto di mantenere quelle piante a distanza inferiore a quella fissata dall’art. 892 c.c., e perfino addossate al muro, se le medesime piante vengono mantenute ad un’altezza inferiore o pari all’altezza della costruzione.

Nel momento in cui, invece, tale altezza dovesse essere superata, sorgerà il diritto di esigere che si estirpino le piante cresciute o piantate a distanza non legale; ovviamente il vicino, se vuole mantenere quelle piante, può, invece di estirparle, potarle in modo da dar loro una struttura definitiva che le possa far rientrare in una categoria inferiore.

Pertanto, per quanto concerne il problema della distanza, la prima cosa che occorre fare per avanzare eventuali pretese nei confronti dell’altra parte, è di accertarsi se dette piante superino l’altezza della propria costruzione, in quanto se non la superano non si potrà rimproverare nulla al vicino.
Sempre in ordine alla distanza, si impone un’ulteriore considerazione: occorre distinguere se nella situazione in cui ci si trova sia stato acquisito o meno il diritto di tenere la pianta a distanza minore di quella legale.
Tale diritto, infatti, costituisce una vera e propria servitù, e come tutte le servitù può essere acquisita per contratto, o per “destinazione del padre di famiglia” oppure per usucapione ventennale.

Quest’ultima ipotesi si realizza nel momento in cui chi avrebbe diritto di lamentarsi, non reagisca per almeno venti anni al fatto che la pianta o le piante del vicino crescano a distanza non legale (la Corte di Cassazione ha a tal proposito precisato che il termine ventennale decorre dal piantamento, pertanto occorre prestare attenzione a non lasciarlo trascorrere se ci si accorge che la pianta cresce oltre il dovuto o oltre quanto può aver asserito il confinante).

Con ciò vuol dirsi che, se nel caso che ci occupa non si è ancora costituita alcuna servitù, in quanto non sono trascorsi venti anni, allora si avrà tutto il diritto di chiedere (prima bonariamente e poi giudizialmente) in qualunque momento che l’albero venga reciso o mantenuto al di sotto del muro della propria costruzione.
Se, al contrario, sono trascorsi venti anni o più ed il diritto (ossia la servitù) è stato già acquisito, allora non si avrà alcun diritto di chiedere il rispetto delle distanze legali, ma se gli alberi muoiono o vengono abbattuti non potranno essere ripiantati nello stesso posto.

Tutto quanto finora visto attiene al problema delle distanze.
Diverse, invece, sono le considerazioni da fare in ordine alle infiltrazioni provenienti dal fondo del vicino e che hanno già procurato dei danni all’immobile di chi pone il quesito.
Per queste si ha infatti il diritto di pretendere dal vicino non solo che provveda con mezzi e materiali propri all’esecuzione di ogni opera necessaria per eliminare le infiltrazioni, ma anche di far valere nei suoi confronti la responsabilità per danni da cose in custodia.
In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza n. 15730 del 27 luglio 2015, la quale, nell’affrontare un caso analogo (lamentele di un confinante che subiva infiltrazioni provenienti dal giardino del condomino vicino) ha ritenuto applicabile l’art. 2051 del c.c. (disciplinante la responsabilità da cose in custodia) e sancito la responsabilità del possessore del giardino individuato come fonte delle infiltrazioni, e ciò malgrado quest’ultimo avesse tentato di far imputare le stesse infiltrazioni alla mancata impermeabilizzazione delle pareti ed al decorso del tempo (elementi che avrebbe determinato il progressivo cedimento dell’intonaco e l’indebolimento delle murature).
Poiché, poi, la responsabilità per i danni da cose in custodia ha carattere oggettivo, per ottenere il risarcimento sarà sufficiente dimostrare, mediante la perizia di un tecnico, i danni subiti ed il rapporto di casualità con il bene in custodia (il giardino); graverà, invece, sul danneggiante l’onere di provare che quei danni sono dovuti a caso fortuito.

Sul piano concreto, dunque, ciò che si consiglia è di diffidare il vicino a provvedere personalmente alla eliminazione di ogni possibile fonte di infiltrazione, anche mediante impermeabilizzazione del muro di confine (sempre nella sentenza sopra citata la Corte di Cassazione, confermando la decisione della Corte d’appello, ha tra l’altro affermato che sarebbe stato onere del proprietario del giardino farsi carico della impermeabilizzazione del muro ammalorato).
In difetto di alcun intervento, si potrà agire in giudizio contro lo stesso per far valere la responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c. e chiedere, in alternativa al risarcimento del danno per equivalente (cioè mediante corresponsione di una somma di denaro), il risarcimento in forma specifica, cioè un provvedimento giudiziale con il quale si imponga allo stesso l’obbligo di eseguire personalmente tutte le opere necessarie per eliminare i danni verificatisi.

Qualora, anche a seguito di tale provvedimento, non venga presa alcuna iniziativa, si dovrà agire esecutivamente, con l’ausilio dell’ufficiale giudiziario.


Bruno C. chiede
martedì 01/10/2019 - Friuli-Venezia
“Buon giorno

sono proprietario di una villetta con giardino nel comune di Cordenons (PN). Su un lato del giardino, separato da un muro divisorio alto tre metri, è stato piantato negli anni settanta un albero ad alto fusto (faggio rosso) a distanza inferiore a quella legale (precisamente a 2.60 metri).
Dando per acclarato che nella fattispecie è intervenuta usucapione ventennale del diritto di servitù e pertanto come da voi già chiarito sul sito..."il vicino non ha il diritto di esigere l'estirpazione degli alberi e delle siepi piantati o nati a distanza minore della legale se il proprietario ha acquistato la servitù di tenerveli".... avendo altresì ben chiaro che il proprietario dell'albero è tenuto al taglio dei rami protesi nella proprietà del vicino, rimane non chiaro se il vicino ha il diritto di richiedere al proprietario che l'altezza dell'albero non superi quella del muro di cinta.
Mi sarebbe inoltre utile sapere come si modifica la legislazione in materia se al posto del muro ci fosse stata una rete di recinzione
Distinti saluti”
Consulenza legale i 02/10/2019
La normativa principale in materia di distanze è contenuta, tra gli altri, negli articoli 892 e 896 del codice civile, aventi ad oggetto rispettivamente le distanze degli alberi e la recisione di rami protesi e radici.
Tuttavia, la predetta normativa, riguardo gli alberi di alto fusto (come il faggio rosso in esame), nel disciplinare la distanza dal confine e l’obbligo di tagliare i rami che invadono il fondo altrui, non prevede espressamente che il proprietario del fondo confinante possa richiedere che l’altezza non superi quella del muro di cinta. O meglio, è soltanto specificato all’ultimo comma dell’art. 892 c.c. che le distanze “non si devono osservare se sul confine esiste un muro divisorio, proprio o comune, purché le piante siano tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro”.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità non è univoca.
Infatti, con la sentenza n. 14632/2012 la Corte di Cassazione ha statuito che: “ai sensi dell’art. 892 c.c., u.c., le piante devono essere tenute, in ogni caso, ad un’altezza che non ecceda la sommità del muro stesso”.
Di contro, dalla sentenza della Suprema Corte n. 2973 del 2012 si evince che non può essere richiesto dal vicino il taglio dei rami che superino l’altezza del muro divisorio a meno che si vanti un diritto di veduta in forza di una servitù volontaria pattuita tra i due proprietari (detta servitus altius non tollendi) oppure in presenza di un diritto di veduta acquisito per usucapione ultraventennale.

Nella presente vicenda, sia che si aderisca all’una che all’altra posizione giurisprudenziale, riteniamo che non possa essere richiesto dal vicino di far si che l’altezza dell’albero non superi quella del muro.
Infatti, leggiamo nel quesito che detto albero si trova lì dagli anni ‘70.
Pertanto, da un lato il proprietario di quest’ultimo - come per l’aspetto relativo alle distanze - possiamo dire che abbia usucapito il diritto di mantenere l’albero all’altezza raggiunta; dall’altro, il vicino non Può vantare di aver acquisito (anche mediante usucapione) un diritto di veduta essendo presente in loco l’albero di alto fusto da più di quaranta anni.

Il tutto salva, ovviamente, l’eventuale disciplina prevista in materia da regolamenti locali.

Per quanto riguarda invece l’aspetto relativo al muro divisorio e alla rete di recinzione, laddove vi fosse stata quest’ultima, ai fini della problematica in esame (altezza dell’albero ad alto fusto) vale quanto sopra esposto sia dal punto di vista giurisprudenziale che normativo.

In merito, infine, alla diffida a Lei inviata si osserva brevemente quanto segue.
La richiesta di taglio dei rami protesi, ai sensi dell'art. 896 c.c., è sicuramente legittima.
Del resto, un taglio tempestivo impedisce la caduta di foglie all'interno del fondo del vicino.
Chiaramente, se questo non viene fatto, altrettanto legittimamente può essere chiesto un danno ai sensi dell'art. 2043 c.c., come correttamente evidenziato nella diffida medesima.
Quanto all'altezza dei predetti rami, come sopra illustrato, questa può anche superare l'altezza del muro/recinzione.
Infatti, il superamento in sé (considerato anche il tempo trascorso) non può essere oggetto di una richiesta di taglio da parte del vicino. Tuttavia, laddove ciò procuri un danno a quest'ultimo (intasamento di grondaie ecc.ecc.) allora correttamente -come è stato fatto con la lettera di diffida in esame- potrà essere richiesta una manutenzione che comprenda anche il taglio in altezza dell'albero.

G. S. chiede
lunedì 01/10/2018 - Veneto
“Il perimetro della mia abitazione confina parzialmente con un vicino, dal quale mi separa anche una recinzione(costruita di comune accordo) la cui altezza è di circa 1,5 metri.
A ridosso della recinzione il vicino ha installato una serie di siepi(lauro, edera, alloro).
Traendo profitto da una mia prolungata assenza di 6 anni, la siepe medesima è stata fatta crescere a dismisura, ed ora è arrivata a rasentare anche i 3 metri.
Anno dopo anno mi promettono di riportare le siepi a dimensioni ragionevoli.
Tuttavia, dicono ora che si dispiacerebbero molto se dovessi metter mano a fare pulizia, e mi hanno quindi diffidato (a voce) dal provvedere autonomamente.
Lo sporco prodotto da tali siepi è notevole, e le donne di servizio, richieste di ripulire il selciato, mi rispondono decisamente: “mi no me toca.”.

Chiedo quali azioni posso intraprendere (secondo legge) per ottenere il taglio delle siepi, oppure l’estirpazione dove il taglio non è ragionevolmente possibile.
Ringrazio per la cortese attenzione.

Distinti saluti.”
Consulenza legale i 02/10/2018
La norma principale di riferimento relativa al caso in esame è l’art. 892 c.c. che prevede che laddove vi sia un muro divisorio di confine (quindi, anche una recinzione) le piante devono essere tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro.
Nella presente vicenda, leggiamo nel quesito che la recinzione è alta circa un metro e mezzo.
Ne consegue, che l’altezza attuale della siepe eccede di circa il doppio tale limite.

Visto che le richieste verbali rivolte al vicino di voler procedere al taglio spontaneo della parte della siepe eccedente in altezza, non hanno sortito effetto, non resta altra via che quella giudiziale.
Suggeriamo quindi come prima mossa di inviare una diffida formale scritta (lettera raccomandata a/r o pec) con cui si richiede al vicino di provvedere entro un certo termine (ad esempio, quindici giorni) alla cimatura della siepe in modo che non superi l’altezza della recinzione posta a confine.
Nella diffida, si dovrà specificare anche che decorso inutilmente il termine concesso, si procederà con la tutela legale dei propri diritti ed interessi.

Laddove tale diffida non sortisca effetto dovrà essere esperito il tentativo di mediazione obbligatoria, che costituisce, ai sensi della normativa in materia di Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, condizione di procedibilità per l’eventuale giudizio.

Se anche il tentativo di mediazione avrà esito negativo, occorrerà quindi rivolgersi ad un Giudice affinché condanni il vicino alla potatura della siepe nel rispetto dei limiti di legge.
Per quanto riguarda il Giudice competente per materia, la Cassazione con ordinanza n.32/2006 ha statuito che: "appartiene alla competenza del giudice di pace la domanda volta ad ottenere la recisione di una siepe di alloro esistente nella proprietà del vicino a ridosso del muro di confine per la parte in cui essa superi, in verticale,l'altezza del muro, trattandosi di domanda riconducibile alla previsione dell'art. 892, ultimo comma, cod.civ., diversamente dalla domanda volta alla recisione dei rami protesi in orizzontale, invadenti l'altrui proprietà (regolata dall'art. 896 cod. civ.), rientrante nella competenza del giudice unico di tribunale."

Se il vicino verrà con sentenza condannato in tal senso e non rispetterà l’ordine del Giudice, si dovrà dare impulso all’esecuzione forzata dell’obbligo di fare intimando al vicino - tramite l’ufficiale giudiziario – di eseguire i lavori di cimatura della siepe.

Sia per la mediazione obbligatoria che per l’eventuale giudizio occorrerà l’assistenza di un avvocato.

Agostino S. chiede
martedì 07/11/2017 - Toscana
“Vorrei piantare una siepe di gelsomino e farla andare in altezza 4,50 metri. A che distanza devo stare dal muro di confine alto mt. 2 che delimita la mia proprietà dal confinante? E se le piante sono in vaso che distanza devo tenere?”
Consulenza legale i 13/11/2017
In primo luogo bisogna analizzare l'articolo 892 del Codice Civile, il quale prevede che chi intende piantare alberi nei pressi del confine deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, dagli usi locali, e se gli uni e gli altri nulla dispongono, devono essere osservate le distanze seguenti:
  • tre metri dal confine per gli alberi di alto fusto (si considerano alberi di alto fusto quelli il cui fusto, semplice o diviso in rami, sorge ad altezza notevole, come i noci, i castagni, le querce, i pini, i cipressi, gli olmi, i pioppi, i platani e simili);
  • un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto (sono reputati tali quelli il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami).
La distanza si misura dalla linea del confine alla base esterna del tronco dell'albero al tempo della piantagione.

L'articolo citato, tuttavia, prevede un'eccezione: non è necessario rispettare le distanze previste se sul confine esiste un muro divisorio, proprio o comune, purché le piante siano tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21865 del 26 febbraio 2003, ha precisato che gli alberi di alto fusto di cui all'art. 892 c.c. vanno identificati con riguardo alla specie della pianta, classificata in botanica come "di alto fusto", oppure, se trattasi di pianta non classificata come di alto fusto, con riguardo allo sviluppo da essa assunto in concreto, quando il tronco si ramifichi ad un'altezza superiore a tre metri.

Pertanto, se non sono previsti regolamenti, anche comunali, od usi locali, che dispongano diversamente, nel caso esposto nel quesito, visto che vi è un muro di 2 metri, la siepe può essere piantata a qualsiasi distanza - eventualmente anche addossata al muro di confine -, a patto che essa venga tenuta ad un'altezza non eccedente quella del muro, cioè a due metri nel caso specifico.

Qualora, come esposto nel quesito, si voglia far crescere la siepe oltre la soglia dei due metri del muro, come espresso nel quesito, rivivono le regole espresse dall'art. 892, primo comma, c.c., cioè bisogna rispettare la distanza di tre metri dal confine per gli alberi di alto fusto (quelli che superano i tre metri).

Per ciò che concerne, invece, le piante in vaso mobile, la disciplina sulle distanze non si applica, parlando la legge solo di alberi interrati, anche se contenuti all’interno di vasche; pertanto, il vaso può essere posizionato a qualsiasi distanza dal confine.

Thomas G. chiede
martedì 13/06/2017 - Lombardia
“Buon giorno
Io sono proprietario di un attività commerciale, davanti alla mia attività commerciale, c'è un terreno nel quale circa una settimana fa, i miei confinanti hanno piantato delle piante alte circa 1,5 metri. La mia domanda è: possono i miei confinanti piantare 4 piante davanti alla mia attività? Premetto che c'è un muro confinante alto circa 50cm, il problema è che mi coprono tutte le vetrine del negozio, e a lungo andare sarà sempre peggio.
Ringrazio per la disponibilità
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 14/06/2017
La norma principale di riferimento, nel caso di specie, è l’art. 892 cod. civ., il quale impone al proprietario del fondo confinante di piantare alberi o altre piante ad una certa distanza dal confine, a tutela del diritto del vicino a godere di sole, aria, luce ed altresì del panorama.

Tale distanza – dice la norma – deve essere quella stabilita, nell’ordine, dai regolamenti locali o dagli usi; solo in via residuale (ovvero qualora non operino le prime due fonti normative) dal codice civile, agli articoli, appunto, 892 e seguenti.

La distanza stabilita dal codice civile per gli alberi è diversa a seconda che questi ultimi siano ad altro fusto o meno: “Rispetto alle distanze, si considerano alberi di alto fusto quelli il cui fusto, semplice o diviso in rami, sorge ad altezza notevole, come sono i noci, i castagni, le querce, i pini, i cipressi, gli olmi, i pioppi, i platani e simili”. Questi alberi devono osservare una distanza dal confine di tre metri.
Gli alberi, invece, “il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami” possono mantenersi a distanza di soli due metri dal confine.

Nel quesito non è precisato se con la generica locuzione “le piante” si faccia riferimento, nello specifico, ad alberi o altro.
La norma in esame, in ogni caso, si occupa anche di “viti, gli arbusti, le siepi vive, le piante da frutto di altezza non maggiore di due metri e mezzo”, che devono osservare una distanza dal confine di mezzo metro, salvo il caso in cui le siepi “siano di ontano, di castagno o di altre piante simili che si recidono periodicamente vicino al ceppo, e di due metri per le siepi di robinie”.

Continua l’articolo precisando che “La distanza si misura dalla linea del confine alla base esterna del tronco dell'albero nel tempo della piantagione”: nel caso, invece, in cui l’albero sia già adulto, la distanza si misurerà dal centro del tronco fino al confine, o dalla linea stessa al luogo dove fu fatta la semina.
Attenzione, però, che la norma così conclude: “Le distanze anzidette non si devono osservare se sul confine esiste un muro divisorio, proprio o comune, purché le piante siano tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro”.
La legge è molto chiara: se c’è un muro di confine, le piante possono essere piantate anche a ridosso del muro, ma occorre che non sporgano oltre il muro stesso in altezza: nel caso di specie, dunque, in cui è presente un muro di confine, se quest’ultimo ha un’altezza di soli 50 cm, anche le piante a ridosso del medesimo dovranno avere la stessa altezza.

L’articolo che offre tutela specifica contro gli abusi è l’894 del cod. civ., il quale stabilisce che “Il vicino può esigere che si estirpino gli alberi e le siepi che sono piantati o nascono a distanza minore di quelle indicate dagli articoli precedenti”.
La norma parla espressamente di distanza inferiore rispetto a quella di legge ma si ritiene che la disposizione si applichi altresì alla fattispecie dell’albero che, pur trovandosi alla giusta distanza, sporga comunque al di sopra del muro divisorio.
Osserva la Cassazione in merito: “In tema di distanze degli alberi dal confine, in un giudizio instaurato per lo sradicamento di alberi posti a dimora dal confinante proprietario a distanza inferiore a quella legale non costituisce domanda nuova quella, proposta nel corso dello stesso giudizio, volta a mantenere le piante ad altezza non eccedente la sommità del muro di cinta, ai sensi dell'art. 892, comma 4, c.c., trattandosi di una diversa articolazione di minor contenuto della medesima ed unica pretesa all'osservanza del distacco previsto dalla legge.” (Cassazione civile, sez. VI, 17/09/2015, n. 18284).

Il titolare dell’esercizio commerciale, in conclusione, avrà il diritto di chiedere (eventualmente in via coattiva mediante ricorso all’Autorità Giudiziaria) la riduzione dell’altezza delle piante fino a quella del muro già esistente (50 cm).

Carmelo M. chiede
lunedì 20/02/2017 - Lazio
“Il mio vicino continua a chiedermi, tramite avvocato, di “arretrare” la linea di querce che si trova ad una distanza inferiore ai tre metri dal confine con il suo terreno.
Premesso che gli alberelli di quercia:
- Costituiscono una siepe lineare;
- Hanno il tronco tagliato all’altezza di mt. 2 ed un diametro di max 10 cm;
- Che la siepe è distante 120 cm dalla rete di confine;
- Che il muretto che sostiene rete e paletti (alto c.a. 30 cm) dista 90 cm dalla mia siepe.

Chiedo se si rientri nei casi previsti dalle sentenze di cassazione 1682/2015, 7896/1990 e 1412/1999, e se conti la distanza dalla rete o dal muretto.

Grazie”
Consulenza legale i 26/02/2017
Al fine di rispondere al quesito va attentamente esaminato il contenuto dell’art. 892 cod. civ., il quale se stabilisce, di regola, che gli alberi ad alto fusto, come le querce, devono osservare una distanza dal confine di almeno tre metri, qualora i medesimi alberi costituiscano tuttavia una siepe possono rimanere a distanza inferiore, pari ad un metro.

Pertinente rispetto al caso in esame è dunque Cass. civ., 29/1/2015 n. 1682, per la quale: “Ai fini della distanza dal confine, l'art. 892 c.c. distingue le siepi formate da arbusti, da piante basse, da canneti, escludendo gli alberi di alto e medio fusto, purché oggetto di periodica recisione vicino al ceppo, al fine di impedire la crescita in altezza e consentire l'avvicinamento dei rami e dei vari alberi e la formazione di una barriera contro gli agenti esterni. Non è escluso, quindi, che anche gli alberi di alto e medio fusto possano costituire siepe, come si desume dall'art. 892, comma 2, c.c. pur se appartengano a specie non contemplate espressamente dalla norma, come i cipressi. Consegue che, ove il giudice di merito abbia accertato che la collocazione di essi sia stata finalizzata a costituire una siepe che adempia alla sua naturale funzione di barriera contro gli agenti esterni, sussiste l'obbligo di rispettare la distanza di un metro dal confine”, così come applicabili alla fattispecie in esame sono anche le altre due sentenze citate nel quesito.

Parrebbe non essere applicabile, invece, l’ultimo comma di cui all’articolo in commento, in forza del quale in caso di muro divisorio sul confine si è esonerati dall’obbligo delle distanze: infatti la norma si riferisce ad un muro che impedisca al vicino di vedere le piante e, quindi, non subisca a causa di queste ultime una diminuzione di luce, aria e panoramicità. Sotto questo profilo, dunque, non può dirsi muro né la recinzione con rete metallica né, come nel caso in esame, un muro sormontato da rete metallica che mantenga un’altezza bassa (come 30 cm) e che quindi non impedisca la visione delle piante.
Lo spiega bene Cassa. Civ. sez. II, 29/09/2000, n. 12956, la quale si è occupata di un caso analogo (muretto con rete metallica posizionata sopra, dove il muro, tuttavia, era ben più alto – 1 m - e la rete alta circa 70-80 cm): “In materia questa Corte, con la sentenza 14 marzo 1975 n. 968, richiamata nel ricorso, ha deciso che la nozione di muro di muro divisorio, proprio o comune, che a norma del quarto comma dell'art. 892 cod. civ. consente di non osservare le distanze stabilite per chi nel piantare alberi presso il confine, coincide con quella di muro divisorio risultante dall'art. 881 cod. civ. Muro, a tali effetti, è soltanto quel manufatto che impedisce al vicino di vedere le piante altrui, in quanto la ratio della norma è appunto quella di nascondere le piante stesse alla vista del vicino (nella specie è stato escluso che, al fine di accertare se alcune piante fossero tenute ad altezza non eccedente la sommità di un muro divisorio esistente sul confine, potesse tenersi conto di una rete metallica collocata sopra il muro". Ha inoltre statuito, con la sentenza 30 novembre 1988 n. 6497, che "il divieto di tenere alberi di alto fusto a meno di 3 metri dal confine, stabilito dall'art. 892 comma primo n. 1 cod. civ...." mira ad impedire che la parte fuori terra degli alberi riesca di danno ai vicini, per diminuzione di aria, luce, soleggiamento o panoramicità. Da questi principi - formulati in pronunce non recenti, ma non contraddette, per quanto consta, da altre diverse, nè precedenti nè successive non vi è ragione di deflettere, stante la loro aderenza alla lettera e allo scopo della norma (…)".

Quindi, nella fattispecie in esame, non esiste libertà di piantare la siepe di querce alla distanza desiderata ma obbligo di rispettare la distanza legale di 1 m dal confine, nonostante il muretto con rete.

Per quanto riguarda, infine, la misurazione, va detto che se la lettera dell’art. 892 cod. civ. parla chiaramente di misura “dalla linea di confine”, tuttavia nel caso di specie siamo in presenza di un muretto che potrebbe rendere la risposta incerta.
Infatti, se si applicasse in tema di misurazione la stessa disciplina del muro divisorio vero e proprio (cioè completamente in muratura, come sopra spiegato), la giurisprudenza sul punto non lascerebbe dubbi: ”In tema di limitazioni legali della proprietà, ove due fondi siano delimitati da un muro comune, la linea di confine non si identifica con la linea mediana del muro medesimo, giacché su di esso, e sull'area di relativa incidenza, i proprietari confinanti esercitano la contitolarità del rispettivo diritto per l'intera estensione ed ampiezza. Ne consegue che, ai fini della misurazione della distanza legale di una siepe dal muro comune, si deve avere riguardo alla facciata del muro stesso prospiciente alla siepe, e non calcolarsi detta distanza rispetto alla linea mediana del muro comune” (Cassazione civile, sez. II, 27/04/2010, n. 10041).
Si è detto poc’anzi, tuttavia, che nel caso che ci occupa non si può parlare di muro ai sensi dell’art. 892 cod. civ. e che quindi – almeno in tema di distanze - non si applica la disciplina prevista per il muro divisorio ma quella prevista per le siepi.
Ebbene ad avviso di chi scrive è possibile e legittimo nel caso di specie, anche in ordine alla misurazione della distanza della siepe dal confine, ragionare in termini di “eccezione” alla disciplina del muro divisorio, e quindi sostenere che la distanza da osservarsi vada misurata non dalla facciata del muretto prospiciente la siepe (90 cm) ma dalla linea mediana del muretto che costituisce, di fatto, la linea di confine (120 cm).

RAFFAELE U. chiede
mercoledì 24/06/2015 - Campania
“art.892 cc.le distanze anzidette non si devono osservare se sul confine esiste un muro divisorio proprio o comune, purché le piante non superino il muro.
Vengo alla domanda, nel mio caso ho una siepe non a distanza legale, vicino a un muro non mio, ma di proprietà esclusiva del mio confinante, posso tenere la siepe che non supera la sommità del muro o devo estirparla, come chiesto dal mio vicino?
Voglio una risposta chiara, se vale la norma, anche quando il muro non è di mia proprietà. E se ha pure qualche sentenza. Voglio mi si spieghi chiaramente quel "proprio o comune", se vuol dire anche di uno solo che non sia il proprietario.”
Consulenza legale i 29/06/2015
Il dato letterale della norma è assolutamente chiaro: affinché non operi l'obbligo di tenere le piante alla distanza legale, il muro divisorio deve essere proprio o comune: per "proprio" si intende il muro di proprietà di colui che ha piantato l'albero; è, invece, "comune" quello in comproprietà tra chi ha piantato l'albero e il vicino. Se il muro è di proprietà esclusiva del vicino, il quarto comma dell'art. 892 non si applica.

La norma, in verità, sembra troppo rigida. Secondo la giurisprudenza, infatti, la nozione di muro divisorio di cui al quarto comma dell'art. 892 c.c. coincide con quella di muro divisorio risultante dall'art. 881 codice civile: la ratio della norma, infatti, è quella per cui, visto che il manufatto-muro impedisce al vicino di vedere le piante altrui, egli non potrebbe dirsi in tal caso "disturbato", né potrebbe subire la diminuzione di aria, luce, irraggiamento del sole e veduta panoramica (v. in tal senso Cass. civ., sez. II, 4.1.2013, n. 93).

Tuttavia, salvo che il giudice eventualmente adito nel caso concreto faccia propria una interpretazione particolarmente ardita dell'ultimo comma dell'art. 892, non sembra possibile attualmente applicare tale norma in caso di muro che non appartenga, nemmeno in compartecipazione, a chi ha piantato gli alberi o le siepi.

Anna R. chiede
lunedì 18/05/2015 - Veneto
“Sono proprietaria dall'11/02/15 dell'unità a destra a piano terra di una porzione di quadrifamiliare composta da due appartamenti a piano terra e due al primo piano. Dietro esiste un giardino di proprietà esclusiva della proprietaria del piano sopra al mio, su cui si affacciano le finestre delle mie camere da letto. A 80 cm. dal muro esiste una fila di tulie piantate a distanza più ravvicinata che costituiscono un "muro" verde alto circa 2,30 mt. che mi tolgono luce, aria, panorama.
La legge mi da il diritto di farle estirpare o abbassare?
Ringrazio e resto in attesa di una Vostra cortese e sollecita risposta.”
Consulenza legale i 20/05/2015
La distanza degli alberi dal confine con il fondo vicino è espressamente regolata dal codice civile, che stabilisce alcune regole, piuttosto precise.
In particolare, l'art. 892 del c.c., sancisce che devono essere osservate in primis le distanze stabilite dai regolamenti locali (comunali) e, in mancanza, quelle stabilite dagli usi locali.

In assenza di tali norme o usi, è il codice stesso a stabilire che:
- gli alberi di alto fusto (quelli il cui fusto, semplice o diviso in rami, sorge ad altezza notevole, come sono i noci, i castagni, le querce, i pini, i cipressi, gli olmi, i pioppi, i platani e simili) vanno piantati almeno a tre metri dal confine;
- un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto (quelli il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami) vanno piantati a un metro e mezzo;
- le viti, gli arbusti, le siepi vive, le piante da frutto di altezza non maggiore di due metri e mezzo, possono essere piantati fino a mezzo metro dal confine.
Le siepi di ontano, castagno, o simile, che si recidono periodicamente vicino al ceppo, devono essere alla distanza di un metro; le siepi di robinie, alla distanza di due metri.

Il codice civile stabilisce anche la sanzione per chi pianta alberi a distanza minore da quella fissata nell'art. 892: il vicino può esigere che gli alberi o le siepi siano estirpati (art. 894 del c.c.).

Le norme relative alla distanza degli alberi dal confine sono per loro natura derogabili: ciò significa che può esistere una servitù avente ad oggetto il diritto di mantenere gli alberi a distanza inferiore rispetto a quella legale. Questa servitù può essere costituita in modo volontario, mediante la concessione del titolare del fondo servente; oppure, può essere usucapita mediante l'esercizio continuato e pacifico della stessa per vent'anni.

Tutto ciò premesso, veniamo alla soluzione del caso proposto.
La tullia o tuia ("thuja") è una pianta che può raggiungere anche molti metri di altezza e che viene spesso utilizzata come siepe, poiché risulta piuttosto corposa (si tratta di conifera con fogliame persistente). Nel caso di specie, poiché la pianta è utilizzata come siepe, dovrebbe trovare applicazione il terzo caso indicato dall'art. 892, che dà la possibilità di piantare le siepi vive non più alte di due metri e mezzo a 0,50 metri dal confine.
Non sembra che si possa applicare la regola di un metro prevista per le piante simili a ontano o castagno. Neppure sembra di poterla equiparare ai cipressi (art. 892, n. 1).

La distanza a cui il vicino ha piantato la siepe appare quindi rispettosa del dettato del codice civile, ma si può comunque esaminare la normativa locale per individuare se vi siano norme più restrittive; oppure - chiedendo il parere di un esperto botanico - si può cercare di ricondurre la pianta di tuia nel novero degli alberi di non alto fusto, per rientrare nel caso 2 dell'art. 892 (che prevede un metro e mezzo dal confine).
In ogni caso, è bene accertare che il precedente proprietario dell'appartamento al piano terra non abbia concesso la servitù di veduta (che è opponibile anche al nuovo proprietario), oppure che il proprietario della siepe non abbia usucapito la servitù di mantenere le sue piante a distanza inferiore da quella legale.

Silvana C. chiede
domenica 23/11/2014 - Liguria
“Sono proprietaria di un giardino rettangolare (m. 3 x 10), che confina con quello di un condòmino situato in un diverso caseggiato (di fronte al mio). Entrambi i caseggiati sono stati costruiti nel 1951.
I due giardini non sono allo stesso livello. Il mio è più in alto di circa 50 cm.
Il confine tra i due giardini è delimitato da un muretto in mattoni alto, dalla mia parte, 45 cm. (a cui vanno aggiunti i 50 cm. di dislivello dell’altro fondo), con uno spessore complessivo di cm. 11 (5,5 cm. pro capite), dal quale si diparte una recinzione metallica alta circa 1,10 m. (totale 1,55 m.). Il muro e la rete sono intercalati da pilastri (tre in tutto) in cemento alti 2,10 m.
Il mio giardino è a nord rispetto all’altro, quindi gli alberi e il rampicante del confinante fanno ombra alle mie piante.
Credo che se il costruttore, nel 1951, non ha separato i due giardini con un muro alto 2 – 3 metri in cemento o mattoni, ma ha messo una rete, l’avrà fatto per far arrivare il sole anche nel mio fondo.
Il vicino ha le seguenti piante nel suo giardino:
- 1 limone, alto, calcolando a partire dal livello del mio giardino, circa 3,00 m. (forse piantato più di 20 anni fa, ma occorrerebbe una perizia per esserne certi; chiederò informazioni a chi abita lì da lungo tempo); il limone (alla base) dista 40 cm. dal muretto di confine;
- 1 alloro, alto circa 3,50 m. (sempre partendo dal livello del mio giardino), forse piantato solo da 2 o 3 anni; l’albero (alla base) dista circa 10 cm. dal muretto di confine;
- 1 rampicante (gelsomino), appena impiantato e appoggiato ad una struttura in legno per favorire lo sviluppo delle ramificazioni, posto a circa 5 cm. dal muro di confine. Inutile dire, che, nonostante il vicino abbia ricoperto il pannello grigliato con una rete a maglie molto piccole, i rami si infiltrano quotidianamente nella mia proprietà, anche scavalcando la griglia.
Tali piante e soprattutto il rampicante priveranno del sole per tutto il giorno il 50% del mio giardino, già in ombra per via dell’edificio antistante, danneggiando le mie colture e favorendo lo sviluppo di muschi, felci e l’invasione di lumache ed è per questo che voglio verificare quali sono i diritti del vicino.
Domanda:
- Secondo l’art. 892 (4° comma), posso chiedere che le piante (a distanza “non regolare”), vengano tagliate fino ad avere la stessa altezza del muro divisorio (esclusa la recinzione)? E cioè abbassarle a 0,95 m. di altezza (pari a 50 cm. di dislivello tra i due giardini + 45 cm. altezza del muretto dalla mia parte)? Oppure bisogna includere anche la rete (per un totale di 1,55 m.)?
- Oppure, sempre secondo l’art. 892 (1° comma sub 2 e sub 3), posso chiedere che il limone (se non più vecchio di 20 anni), l’alloro e il rampicante vengano spostati rispettivamente dal confine alla distanza di 50 cm., 1,50 m. e 50 cm.?
In pratica, il muretto di confine in mattoni alto 45 cm. dalla mia parte e circa 1 metro dall’altra è considerato dal codice civile un muro divisorio, oppure è troppo basso e serve solo come basamento? La rete è equiparabile ad un muro divisorio, secondo l’art. 878 C.C.? Sembrerebbe di no, e quindi valgono le norme dell’art. 892 previste nel caso non esista un muro divisorio?
Il dislivello tra i due terreni influisce sulle distanze da rispettare?
Ho visionato la ratio legis e le sentenze pubblicate sul Vostro sito nella pagina relativa all’art. 892. Molte sembrano tutelare i miei interessi (aria, luce, soleggiamento ecc.). Inoltre, ho visionato la sentenza Cass. Sez. II Civ., n. 93 del 4/1/2013, che ha condannato il confinante/convenuto a tenere gli alberi di alloro (in siepe) alti quanto il muretto divisorio, che nel caso in oggetto era alto 1 metro.
Ci sono forse norme, leggi e quant’altro che tutelano la privacy e consentono di coprire interamente una rete di recinzione (con piante naturali o prodotti artificiali), per impedire gli sguardi altrui? A tal proposito, preciso ( per quel che può valere) che entrambi i giardini non sono collegati con gli appartamenti (che si trovano al primo piano - il mio - e al secondo piano – il suo - dei rispettivi edifici), ma sono raggiungibili solo attraverso il piano delle cantine. Quindi il loro utilizzo è assai limitato, e i giardini sono “abitati” prevalentemente solo per le innaffiature e altri lavori di giardinaggio. Data l’infestazione di zanzare nelle giornate più miti è impossibile sostarvi per più di 5-10 minuti. Comunque, se il mio confinante voleva tutelare la privacy, avrebbe dovuto ricoprire tutto il perimetro del giardino (che è circondato da altri giardini di altri condòmini) e non solamente la parte che confina con il mio terreno. In più, dovrebbe impiantare strutture che impediscano gli sguardi anche dall’alto, perché i giardini sono circondati e sovrastati da numerose finestre e balconi a pochissima distanza. Sicché, la soluzione adottata si rivela totalmente inutile per lui (ai fini di impedire gli sguardi altrui), ma dannosa per me. Inoltre, nel suo giardino si affacciano direttamente, ad un’altezza di 1,5 m. dal terreno, le finestre del condòmino che abita al piano terra del suo palazzo.
E quanto può rientrare, nel mio caso, la normativa sulle distanze delle costruzioni (art. 873 e segg. C.C.), che consente di elevare un muro fino a 3 m., e quindi il mio vicino potrebbe oscurare fino a tale misura il mio fondo, anche con un manufatto in cemento?
Ho già accertato presso il Comune e la Camera di Commercio che non esistono regolamenti e usi in materia.
Inoltre, siccome il mio appartamento è stato affittato per 40 anni, sino al 2012, io ho avuto contezza dell’esistenza delle piante del vicino solo dal 2014, quando ho trasferito lì la mia residenza. Il vicino può opporre la decorrenza dei 20 anni per l’usucapione (in caso di distanza non regolare del limone), a partire dalla data della semina (effettuata da proprietari precedenti), oppure posso io far decorrere il termine dal giorno in cui ho potuto constatarne l’esistenza? Oppure, posso farlo decorrere da quando il limone ha superato l’altezza del muretto? Non ho acquisito io un diritto di veduta, visto che per oltre 60 anni la rete, che è in comune fra i due giardini, non è mai stata coperta né da piante né da altri rivestimenti? Il mio vicino ha acquistato l’immobile circa 2 anni fa. Il mio immobile è stato acquistato da mio padre nel 1952 ed è stato affittato per 40 anni sino al 2012.
E poiché il vicino ha installato il rampicante solo nella parte di rete dove entra il sole nel mio giardino e non altrove, è da considerarsi in difetto ai sensi dell’art. 833 C.C. (Atti di emulazione)? Sospetto che abbia voluto vendicarsi a seguito della mia richiesta scritta di potare il limone e l’alloro, perché i rami si protendevano nella mia proprietà. Il mio vicino non ha ricoperto la parte che confina con il suo condòmino in posizione sud rispetto al suo giardino, nemmeno quella che confina a ovest (peraltro già coperta da siepi dell’altro proprietario) e neanche la parte che confina con me(che sono a nord), dove non ho piante, ma ho un casotto porta-attrezzi. Come già detto, il rampicante, così come piantato tuttora, non ha per lui nessuna utilità (ai fini degli sguardi), se non quella di privare di sole le mie colture (pomodori e zucchine).
Cosa posso ragionevolmente chiedere davanti ad un Giudice di Pace?
Grazie e cordiali saluti.”
Consulenza legale i 01/12/2014
Il quarto comma dell'art. 892 del c.c. stabilisce che se esiste un muro divisorio non devono essere osservate le distanze stabilite nei commi precedenti.
Ma cosa si intende per muro divisorio? Secondo la maggioranza della dottrina e della giurisprudenza (vedi ad esempio Cass. civ., sez. II, 29.9.2000, n. 12956) il concetto di muro divisorio è quello dell'art. 881 del c.c., con esclusione dei muri divisori tra aree scoperte ed edifici. Il "muro" è solo quello che impedisce al vicino di vedere le piante. La ratio dell'esenzione è quella che, poiché in presenza del muro le piante sarebbero nascoste alla vista del vicino, questi non subirebbe diminuzione di aria, luce, soleggiamento e panoramicità. Proprio per questo motivo, non è considerato muro divisorio la recinzione con rete metallica (v. Cass. 14.3.1975 n. 968, richiamata dalla giurisprudenza successiva).

Pertanto, nel caso di specie, si ritiene che il muretto con recinzione che divide i due giardini non possa considerarsi "muro divisorio" ai sensi dell'art. 892, e che quindi le piante piantate dal vicino dovrebbero rispettare le appropriate distanze dal confine (in particolare, 1,5 metri per gli alberi non di alto fusto e 0,5 metri per gli arbusti, le siepi vive e le piante da frutto di altezza non maggiore di due metri e mezzo). La proprietaria del giardino leggermente rialzato potrà, ai sensi dell'art. 894 del c.c., chiedere che siano estirpati gli alberi e le siepi che sono piantati o nascono a distanza inferiore a quella legale. La giurisprudenza ha precisato che il diritto a chiedere l'estirpazione non è subordinato alla prova di aver subito un vero e proprio danno, in quanto "il compito del giudice di merito è limitato alla verifica del rispetto della distanza prescritta" (Cass. civ., 9.6.2008, n. 15236).

Nel nostro caso, il contenuto della sentenza Cass. Sez. II Civ., n. 93 del 4/1/2013, citata nel quesito, non trova alcuna applicazione in quanto in quella decisione si era constatata l'esistenza di un muro divisorio che qui invece non c'è.

Come osservato anche nel quesito, esiste però il diritto a mantenere gli alberi piantati a distanza inferiore a quella legale quando tale diritto sia stato acquistato per usucapione ventennale: il vicino, avendo piantato l'albero di limoni da più di vent'anni sul confine (circostanza di cui è bene accertarsi), avrebbe in tal modo fatto sorgere il diritto di servitù a mantenerlo in quella posizione, per l'inerzia del proprietario che non ne ha mai chiesto la rimozione/spostamento in tempo utile.
Ai fini dell'usucapione del diritto a tenere alberi a distanza dal confine inferiore a quella di legge, "il termine decorre dalla data del piantamento, perché è da tale momento che ha inizio la situazione di fatto idonea a determinare, nel concorso delle altre circostanze richieste, l'acquisto del diritto per decorso del tempo" (Cass. civ., 18.10.2007 n. 21855).
A nulla rileva:
- che il proprietario si sia accorto della situazione solo nel 2014 e che abbia acquistato negli anni un eventuale diritto di veduta, poiché l'usucapione del diritto a mantenere gli alberi a distanza irregolare lo avrebbe comunque superato;
- che il vicino di casa possieda il giardino da soli due anni, posto che ai fini dell'usucapione si possono sommare i possessi dell'attuale possessore con quello del suo dante causa (chi gli ha venduto la casa), ai sensi dell'art. 1146 del c.c..

Quanto all'eventualità che il vicino abbia posto in essere atti emulativi (art. 833 del c.c.), da un lato, si osserva, come già detto, che sussiste il diritto a chiedere l'estirpazione delle piante a distanza inferiore a quella legale, che quindi rende superfluo qualificare l'atto come emulativo (si tratta infatti di ipotesi residuale); dall'altro, si precisa che l’onere di provare l’atto emulativo è posto in capo a chi se ne lamenta e si tratta di prova non semplice (ad esempio, nel caso di specie - supponendo non vi sia un problema di distanze legali - come potrebbe provare la proprietaria dell'orto che il vicino abbia piantato alberi in una certa posizione per nuocerle e non perché quella era la migliore posizione per la loro illuminazione?).

Ci sembra, infine, che non esista alcuna norma in base alla quale il confinante possa vantare un diritto alla privacy tale da consentirgli di oscurare il giardino della vicina di casa.

Luigi chiede
sabato 05/05/2012 - Sicilia
“Salve.
Avrei una quesito da porre.
Dietro la mia casa c'è un terreno, confinante proprio col muro del mio immobile, il quale ha vari alberi da frutto (fico, nespolo, albicocco) ed anche alcune palme. Vorrei sapere a che distanza dovrebbero stare dal muro della mia casa.
In attesa di un vostro consiglio porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 05/05/2012

L'art. 892 del c.c. disciplina le distanze per gli alberi piantati lungo il confine tra diverse proprietà, indicando che è necessario rispettare quanto previsto dai regolamenti, e in mancanza, dagli usi locali.

Se tali fonti non dispongono alcunché in materia si devono osservare le seguenti distanze, calcolate dalla linea di confine alla base esterna del tronco dell'albero nel tempo della piantagione o dalla linea stessa al luogo dove fu fatta la semina:

1. tre metri per gli alberi di alto fusto. Rispetto alle distanze si considerano alberi d'alto fusto quelli il cui fusto, semplice o diviso in rami, sorge ad altezza notevole, come sono i noci, i castagni, le querce, i pini, i cipressi gli olmi, i pioppi, i platani e simili;

2. un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto. Sono tali gli alberi il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami;

3. mezzo metro per le viti, gli arbusti, le siepi vive, le piante da frutto di altezza non maggiore a due metri e mezzo.

Tuttavia, occorre precisare che le predette distanze non devono essere osservate se sul confine esiste un muro divisorio, proprio o comune, purché le piante siano tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro.


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