Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 1490 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Garanzia per i vizi della cosa venduta

Dispositivo dell'art. 1490 Codice Civile

Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi [1491] che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata(1) o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore(2) [2922].

Il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto, se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa [1229].

Note

(1) L'uso di cui alla norma è, di regola, quello normale del bene. Se, però, ne è stato dedotto in contratto un uso diverso e specifico, potrebbe farsi riferimento anche ad esso.
(2) Se il vizio sorge dopo la conclusione del contratto (1326 c.c.) non si applica l'ipotesi in esame in quanto si ha inadempimento del venditore (1453, 1218 c.c.). Dal vizio si deve anche tenere distinta l'ipotesi di consegna di un bene totalmente diverso da quello pattuito. In tal caso si ha inadempimento cui è applicabile la disciplina ordinaria (1453 ss. c.c.).

Ratio Legis

La norma si giustifica considerando che il compratore ha acquistato un bene immune da vizi e, quindi, ha diritto a dolersi della loro presenza purché, però, abbiano una certa consistenza, in quanto la buona fede (1176 c.c.) gli impone di sopportare i difetti minimi del bene.
In quanto la garanzia è posta a tutela del compratore, questi può scegliere di diminuirla ma tale diminuzione opera solo se il venditore non è in malafede.

Spiegazione dell'art. 1490 Codice Civile

Vizi della cosa. Inidoneità all'uso normale

Nella nozione stessa del contratto di vendita è insito l'obbligo del venditore di garantire il compratore dai vizi della cosa: di dargli cioè la cosa venduta e non altra, la cosa venduta non solo nella sua identità fisica, ma anche nella sua individualità economica, cioè la cosa idonea all'uso normale cui è destinata.

Un cavallo da sella, un cavallo da tiro, un'automobile utilitaria, un'automobile per grande turismo, la caldaia per il termosifone sono entità economiche individuate dalla loro configurazione fisica, dall'insieme delle parti di cui constano. Nella mente del venditore e del compratore sono rappresentate come il mezzo di ottenere i servizi ed in genere l'utilità che normalmente, nell'uso comune, se ne attende.
È perciò inadempiente il venditore (e deve garantire il compratore) se la cosa venduta ha vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.

Perché il compratore possa accertare la qualità del genus offertogli dal venditore, al compratore non si può negare il diritto di prelevare un campione della merce offertagli.

Inidoneità all'uso prefisso, e apprezzabile diminuzione del valore possono anche identificarsi, ma sono due deficienze nettamente distinte.
L'inidoneità all'uso normale di regola dipende da difetti di costruzione. Ad es.: un motore che non possa essere raffreddato in maniera sufficiente, cuscinetti di appoggio mal proporzionati per il funzionamento delle macchine, cattiva ventilazione che fa salire la temperatura di regime, deficienze di isolamento per cui, nonostante la buona proporzione della macchina, vi sono cattivi isolanti che cederanno alle prime scariche atmosferiche ovvero alla prima sovratensione atmosferica.
L'inidoneità all'uso normale è data perciò generalmente da deficienze meccaniche, deficienze di isolamento; da imperfezioni insomma che rendono la macchina inidonea all'uso a cui è destinata.


Vizi che diminuiscono in modo apprezzabile il valore della cosa

Vizi che diminuiscono in modo apprezzabile il valore sono quelli costituiti dalla mancanza di qualche ulteriore congegno o da qualche meno appariscente imperfezione per cui ad es. un'automobile, pur sembrando perfetta e pur sviluppando notevole velocità, non raggiunge la velocità oraria del suo tipo né ha lo scarso consumo di carburante garantito per il tipo stesso: il cronometro presenta qualche pur lieve imperfezione, la macchina elettrica pur sviluppando la potenza contrattuale, al collaudo vien meno in modo che il rendimento è più basso di quel che dovrebbe essere, ecc.


Malafede del venditore

Anche nell'art. 1490 cod. civ. è punita la malafede del venditore se, nonostante il patto con cui si esclude o si limita la garanzia, ha taciuto al compratore i vizi della cosa.
Il criterio morale onde e partito l'art. 1490 cod. civ. interpreta esattamente la volontà delle parti.
Nell'escludere o limitare la garanzia hanno voluto le parti affidarsi alla sorte, ma questa parità di condizione vien meno, a tutto danno del compratore, se il venditore in malafede (conoscendo cioè i vizi della cosa) li ha taciuti al compratore. In tal caso, nonostante l'esclusione o limitazione della garanzia, resta la responsabilità del venditore, in pena della sua malafede.

Attesa l'eccezionalità della disposizione del capov. dell'art. 1490 cod. civ. che vuol punire la malafede del venditore, occorre che il venditore abbia positivamente avuto conoscenza dei vizi della cosa: non è sufficiente che abbia avuto ragione di dubitare. L'art. 1490 cod. civ. punisce la malafede e non la negligenza, comunque grave ed inescusabile del venditore.


Esclusione o limitazione della garanzia

Può valere l'esclusione o limitazione della garanzia se il compratore conosceva i vizi?
Siccome la malafede del venditore è punita in quanto diretta a trarre in inganno il compratore, non vi può essere inganno in danno di compratore a conoscenza dei vizi; e quindi vale l' esclusione o limitazione di garanzia a favore del venditore reticente in malafede, se i vizi erano noti al compratore.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

344 Circa la disciplina della garanzia per i vizi della cosa, si osserva anzitutto che il progetto semplifica nel termine generico «vizi» il tradizionale binomio «vizi e difetti».
La nozione del vizio è stata poi data nell'art. 374 senza ricorrere a quella estesa formula descrittiva del codice vigente (art. 1498) accolta dalla Commissione reale (art. 365).
Secondo i concetti generalmente ricevuti, intendesi per vizio qualsiasi anomalia, qualsiasi elemento perturbante della sostanza della cosa venduta che la renda inidonea o meno idonea all'uso cui è destinata o che ne diminuisca in modo apprezzabile il valore. È chiaro che le lievi o minime imperfezioni esulano dal campo della garanzia; ma, rispetto al sistema vigente mantenuto dalla Commissione reale, deve mettersi in rilievo che la enunciazione dell'art. 374 contiene l'aggiunta della ipotesi di diminuzione apprezzabile del valore, che vuole essere un rimedio contro quei casi in cui la cosa può ugualmente servire all'uso al quale è destinata, ma tuttavia ha dei difetti che riescono a deprezzarla rispetto alle originarie determinazioni contrattuali.
Sulle tracce dell'art. 367 cpv, del progetto del 1936 ho ammesso la esclusione convenzionale della garanzia purché il venditore non abbia fraudolentemente dissimulato al compratore i vizi della cosa: ho esteso la disposizione nel senso di richiamare espressamente pure la meno grave ipotesi di limitazione di garanzia, che nel testo della Commissione reale poteva risultare a fortiori e che va disciplinata con gli stessi principi concernenti il patto di non garanzia.
In ossequio alle regole di lealtà e di correttezza che devono osservare i privati nella conclusione dei contratti, e adottando una disposizione analoga a quella dell'art. 366 del progetto del 1936, ho, infine, nell'art. 375, mantenuto la garanzia per i vizi che il compratore poteva facilmente conoscere, se il venditore ha dichiarato che il vizio non esiste.

Massime relative all'art. 1490 Codice Civile

Cass. civ. n. 25417/2022

In tema di vendita di beni di consumo, in caso di difetto di conformità del bene la legge riconosce al consumatore due classi di rimedi subordinate ma non alternative, con la conseguenza che il consumatore che abbia dapprima richiesto al venditore la riparazione o sostituzione del bene può successivamente richiedere la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, ove il tentativo di riparazione compiuto non si sia rivelato idoneo a porre rimedio al difetto.

Cass. civ. n. 21188/2022

A differenza della vendita, di cui può essere chiesta la risoluzione, ex art. 1490 c.c., quando i vizi della cosa venduta siano tali da diminuire in modo apprezzabile il suo valore, la disciplina dettata dell'art. 1668 c.c., in materia di appalto, consente al committente di chiedere la risoluzione del contratto soltanto nel caso in cui i difetti dell'opera, incidendo in modo notevole sulla struttura e sulla funzionalità della stessa, siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione oggettiva ovvero all'uso particolare cui debba essere specificamente destinata in base al contratto, autorizzandolo, invece, a richiedere a sua scelta uno dei provvedimenti di cui al primo comma dell'art. 1668 c.c. nel caso in cui i vizi e le difformità siano facilmente eliminabili, salvo il risarcimento del danno in caso di colpa dell'appaltatore.

Cass. civ. n. 28069/2021

In tema di garanzia per vizi della cosa venduta, il giudice, chiamato a pronunciarsi su una domanda di accertamento dei vizi della cosa venduta, ha il compito di qualificare d'ufficio l'azione proposta in termini di vendita di bene privo delle qualità essenziali ovvero, sulla base delle circostanze acquisite al processo a tal fine rilevanti, di vendita di "aliud pro alio", la quale dà luogo all'azione contrattuale di risoluzione o di inadempimento ex art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizioni previsti dall'art. 1495 c.c..

Cass. civ. n. 33149/2019

Mentre la garanzia per vizi di cui all'art. 1490 c.c. ha la finalità di assicurare l'equilibrio contrattuale in attuazione del sinallagma funzionale indipendentemente dalla colpa del venditore, l'azione di cui all'art. 1497 c.c., rientrando in quella disciplinata in via generale dall'art. 1453 c.c., postula che l'inadempimento posto a base della domanda di risoluzione e/o di risarcimento del danno sia imputabile a colpa dell'alienante ed abbia non scarsa importanza, tenuto conto dell'interesse della parte non inadempiente; inoltre, poiché nell'ipotesi di cui all'art. 1497 c.c. assume rilievo decisivo il ruolo della volontà negoziale, l'indagine che il giudice deve compiere al riguardo ha necessariamente ad oggetto un elemento fattuale diverso ed estraneo rispetto alla fattispecie relativa alla presenza di un vizio o difetto che rendono la cosa venduta inidonea all'uso al quale è "normalmente" destinata.

Cass. civ. n. 24348/2019

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, eccepita dal venditore la tardività della denuncia rispetto alla data di consegna della merce, incombe sull'acquirente, trattandosi di condizione necessaria per l'esercizio dell'azione, l'onere della prova di aver denunziato i vizi nel termine di legge ex art. 1495 c.c.

C. giust. UE n. 11748/2019

In materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all'articolo 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all'articolo 1492 c.c. è gravato dell'onere di offrire la prova dell'esistenza dei vizi.

Cass. civ. n. 4826/2019

In tema di compravendita, la consegna del bene, dalla quale decorre il termine annuale di prescrizione ex art. 1495 c.c. per fare valere la garanzia per vizi della cosa ai sensi dell'art. 1490c.c. art. 1490 - Garanzia per i vizi della cosa venduta c.c., è quella effettiva e materiale, che pone il compratore a diretto contatto con il bene medesimo, essendo irrilevanti la data del successivo rilascio della documentazione di abitabilità e della formale comunicazione di fine lavori, nonché la necessità di effettuare meri lavori di rifinitura esterni. (Rigetta, CORTE D'APPELLO TORINO, 29/07/2013).

Cass. civ. n. 12116/2018

L'assunzione della garanzia per i vizi della cosa venduta ex art. 1490 c.c. è configurabile in capo ad un soggetto diverso dal venditore, laddove sia legato da particolari rapporti (di commissione, di preposizione institoria ecc.) con il venditore stesso e non, invece, con l'acquirente.

Cass. civ. n. 21927/2017

In tema di inadempimento del contratto di compravendita, è sufficiente che il compratore alleghi l'inesatto adempimento, ovvero denunci la presenza di vizi che rendano la cosa inidonea all'uso al quale è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, mentre è a carico del venditore, quale debitore di un'obbligazione di risultato ed in forza del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l'onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; ne consegue che, solo ove detta prova sia stata fornita, spetta al compratore di dimostrare l'esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore.

Cass. civ. n. 18947/2017

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, l’onere della prova dei difetti, delle conseguenze dannose e del nesso causale fra gli uni e le altre fa carico al compratore, mentre la prova liberatoria della mancanza di colpa, incombente al venditore, rileva solo quando la controparte abbia preventivamente dimostrato la denunciata inadempienza.

Cass. civ. n. 21204/2016

In tema di compravendita, la clausola contrattuale "vista e piaciuta", che ha lo scopo di accertare consensualmente la presa visione, ad opera del compratore, della cosa venduta, esonera il venditore dalla garanzia per i vizi di quest'ultima limitatamente a quelli riconoscibili con la normale diligenza e non taciuti in mala fede, sicché, anche in considerazione dei principi fondamentali della buona fede e dell'equità del sinallagma contrattuale, essa non può riferirsi ai vizi occulti emersi dopo i normali controlli eseguiti anteriormente l'acquisto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto che nella vendita di auto usate la clausola suddetta esonerasse il venditore dalla garanzia per i vizi occulti dell'auto oggetto del contratto).

Cass. civ. n. 9651/2016

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, l'art. 1490, comma 2, c.c., secondo cui il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa, presuppone che il venditore abbia raggirato il compratore tacendo consapevolmente i vizi della cosa venduta dei quali era a conoscenza, inducendolo così ad accettare la clausola di esonero dalla garanzia che altrimenti non avrebbe accettato, sicché la norma non si applica ove il venditore sia all'oscuro, anche per sua colpa grave, dell'esistenza dei vizi.

Cass. civ. n. 21949/2013

Gli artt. 1490 e 1492 del c.c. in tema di azione redibitoria, al pari dell'art. 1497 c.c., vanno interpretati con riferimento al principio generale sancito dall'art. 1455 c.c. con la conseguenza che l'esercizio dell'azione è legittimato soltanto da vizi concretanti un inadempimento di non scarsa importanza, i quali non sono distinti in base a ragioni strutturali, ma solo in funzione della loro capacità di rendere la cosa inidonea all'uso cui era destinata o di diminuirne in modo apprezzabile il valore, secondo un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito.

Cass. civ. n. 20110/2013

In tema di inadempimento del contratto di compravendita, è sufficiente che il compratore alleghi l'inesatto adempimento, ovvero denunci la presenza di vizi che rendano la cosa inidonea all'uso al quale è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, mentre è a carico del venditore, quale debitore di un'obbligazione di risultato ed in forza del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l'onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; ne consegue che, ove detta prova sia stata fornita, spetta al compratore di dimostrare l'esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore.

Cass. civ. n. 18125/2013

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, l'onere della prova dei difetti, delle conseguenze dannose e del nesso causale fra gli uni e le altre fa carico al compratore, mentre la prova liberatoria della mancanza di colpa, incombente al venditore, rileva solo quando la controparte abbia preventivamente dimostrato la denunciata inadempienza.

Cass. civ. n. 19702/2012

In tema di compravendita, la disciplina della garanzia per vizi si esaurisce negli artt. 1490 ss. c.c., che pongono il venditore in una situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all'iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla sua caducazione mediante l'esperimento, rispettivamente, della "actio quanti minoris" o della "actio redibitoria". Ne consegue che il compratore non dispone - neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica - di un'azione "di esatto adempimento" per ottenere dal venditore l'eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene.

Cass. civ. n. 23060/2009

La garanzia per i vizi della cosa venduta disciplinata dagli artt. 1490 e seguenti c.c. differisce da quella di buon funzionamento prevista dall'art. 1512 c.c. per il fatto che, mentre la seconda impone all'acquirente solo l'onere di dimostrare il cattivo funzionamento della cosa venduta, la prima - cui il venditore è tenuto anche se incolpevole, essendo la colpa di questi richiesta solo ai fini dell'obbligo del risarcimento del danno - impone all'acquirente anche l'onere di dimostrare la sussistenza dello specifico vizio che rende la cosa venduta inidonea all'uso cui essa è destinata; inoltre, la garanzia di cui all'art. 1512 c.c., che attua, con l'assicurazione di un determinato risultato - il buon funzionamento della cosa per il tempo convenuto - una più forte garanzia del compratore, in via autonoma ed indipendente rispetto alla garanzia per vizi ed alla responsabilità per mancanza di qualità, trova fondamento in un patto contrattuale e, pertanto, può essere invocata solo previa deduzione e dimostrazione dell'esistenza di un tale patto nel contratto di compravendita.

Cass. civ. n. 28984/2008

Nel caso in cui i beni mobili oggetto di vendita in sede fallimentare risultino affetti da vizi redibitori, non è configurabile la garanzia prevista dall'art. 1490 cod. civ., neppure se la vendita abbia avuto luogo ad offerte private, ma solo una responsabilità attinente alla custodia dei beni inventariati ed alla vendita degli stessi nell'ambito della procedura concorsuale, e dunque un'obbligazione risarcitoria che, in quanto correlata al compimento di atti tipici rientranti nelle attribuzioni del curatore, non è posta a carico di quest'ultimo come persona fisica, ma a carico del fallimento, iscrivendosi a tutti gli effetti nel novero di quelle elencate dall'art. 111 n. 1 della legge fall.. Qualora pertanto, a fondamento della domanda di risarcimento dei danni, il compratore abbia fatto valere l'erronea descrizione dei beni in sede di inventario, con l'attribuzione di caratteristiche tecniche non possedute e senza il rilevamento di difetto di funzionamento, costituisce una questione di legittimazione passiva, riproponibile anche con il ricorso per cassazione contro le sentenze pronunciate secondo equità dal giudice di pace, quella avente ad oggetto l'esistenza del dovere del curatore, convenuto in proprio, di subire il giudizio instaurato dall'attore, indipendentemente dall'effettiva titolarità passiva del rapporto controverso.

Cass. civ. n. 5202/2007

Il rimedio della garanzia per vizi, apprestato dall'art. 1490 c.c. a tutela del compratore, opera anche nell'ipotesi di vendita di cosa futura.

Cass. civ. n. 5251/2004

In ordine all'applicabilità delle norme sulla garanzia per vizi nella vendita di cose usate, il riferimento al bene (nella specie, un'imbarcazione) come non nuovo comporta che la promessa del venditore è determinata dallo stato del bene stesso conseguente al suo uso, e che le relative qualità si intendono ridotte in ragione dell'usura, che non va considerata (onde escludere la garanzia) come quella che, astrattamente, presenterebbe il bene utilizzato secondo la comune diligenza, bensì come quella concreta che scaturisce dalle reali vicende cui il bene stesso sia stato sottoposto nel periodo precedente la vendita.

Cass. civ. n. 8578/1997

La garanzia convenzionale inserita come clausola di un contratto di compravendita che comporti l'obbligo, per il venditore, di «fornitura a titolo gratuito dei pezzi difettosi, per ben accertato difetto del materiale, della cosa venduta» deve ritenersi normalmente integrativa, e non sostitutiva, della garanzia legale per vizi (art. 1490 c.c.), dovendo la sua eventuale alternatività a quest'ultima risultare espressamente da pattuizione contenuta nella convenzione negoziale ed esplicitamente approvata per iscritto dall'acquirente.

Cass. civ. n. 806/1995

Anche nella vendita di cose mobili usate, è operante la garanzia per i vizi prevista dall'art. 1490 c.c., dovendo essere distinto il vizio della cosa dal logorio di essa dovuto al normale uso.

Cass. civ. n. 1424/1994

In tema di compravendita, si hanno vizi redibitori, che danno luogo alla garanzia di cui all'art. 1490 c.c., quando nella cosa venduta sussistono imperfezioni concernenti il processo di produzione, di fabbricazione e di formazione, che rendono la cosa inidonea all'uso al quale è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, non anche allorché vi siano imperfezioni che lungi dall'interessare la natura della cosa compravenduta, si risolvono in manchevolezze nel tipo del materiale consegnato, da cui deriva soltanto un maggior aggravio per il compratore, per le maggiori spese occorrenti al momento della messa in opera.

Cass. civ. n. 12759/1993

Le clausole che limitano la garanzia dovuta dal venditore ai sensi dell'art. 1490 c.c. sono vessatorie e debbono pertanto essere specificamente approvate per iscritto ai sensi dell'art. 1341 c.c.

Cass. civ. n. 7986/1991

In tema di azione di garanzia per i vizi della cosa venduta, il principio secondo cui l'onere della prova dei difetti che rendono la cosa inidonea all'uso o ne diminuiscono il valore incombe sul compratore, non trova deroga con riguardo alla presunzione di colpa che in tema di inadempimento della obbligazione è a carico del debitore, atteso che quest'ultimo è tenuto a giustificare l'inadempimento che il creditore gli attribuisce, solo quando lo stesso creditore abbia preventivamente dimostrata l'inesatta esecuzione della prestazione stessa.

Cass. civ. n. 1522/1989

L'obbligo di garanzia stabilito a carico del venditore dagli artt. 1490. e 1497 c.c. riguarda esclusivamente i vizi e la mancanza di qualità essenziali intrinseci alla cosa venduta e non può quindi trovare riferimento in dati estrinseci alla cosa stessa. Nel caso pertanto di una fornitura di beni (nella specie, valvole deviatrici per impianti elettrici di riscaldamento) riconosciuti privi di vizi intrinseci e conformi al tipo dedotto in compravendita, l'inidoneità a funzionare in concreto in relazione alle peculiari caratteristiche del tipo di impianto, in cui siano stati inseriti dal compratore, non può farsi ricadere sul venditore, trattandosi di fatto estrinseco rispetto alle qualità essenziali del prodotto e restando la responsabilità di una scelta errata dell'acquirente a carico del venditore solo ove questi abbia promesso l'idoneità del prodotto fornito a soddisfare le particolari esigenze prospettate dal compratore.

Cass. civ. n. 452/1982

Nel caso di vendita di un oggetto pregiato o di lusso (nella specie, una pelliccia di visone) ove il pregio è determinato non solo dalla qualità della materia prima impiegata, ma anche dalla particolare accuratezza delle operazioni di trasformazione o confezione, nonché della funzione di prestigio sociale e di investimento economico, qualsiasi imperfezione attinente alla materia prima od alle modalità di trasformazione odi confezione (purché non così lieve da non essere agevolmente percepita) incide in maniera determinante sul valore e, in definitiva, sulla destinazione della cosa compravenduta, integrando gli estremi del vizio redibitorio. La relativa indagine assorbe quella sull'importanza dell'inadempimento occorrente per l'azione di risoluzione di cui agli artt. 1453 e ss. c.c., rispetto alla quale l'azione redibitoria si configura come speciale e rafforzativa della tutela del compratore.

Cass. civ. n. 3137/1981

La garanzia dovuta dal venditore per la mancanza delle qualità promesse ovvero di quelle essenziali per l'uso, al pari della garanzia per i vizi e per la consegna di aliud pro alio, è suscettibile di divisione in rapporto alla diversa condizione, materiale o giuridica, in cui vengano a trovarsi più cose che furono oggetto di un unico rapporto contrattuale. Pertanto, quando solo una parte delle cose sia stata rivenduta a terzi dall'acquirente ovvero sia risultata priva delle qualità promesse, il compratore può esperire l'azione di risoluzione, rispettivamente, per le cose ancora in suo possesso, che sia perciò in grado di restituire, ovvero per la sola quantità di cose prive delle qualità pattuite.

Cass. civ. n. 2188/1978

In tema di azione redibitoria per i vizi della cosa venduta l'importanza dell'inadempimento deve essere valutata non secondo la norma generale dell'art. 1455 c.c., bensì secondo la norma speciale dell'art. 1490 c.c., e pertanto, a tal fine, è necessario e sufficiente accertare se i vizi denunciati rendano la cosa inidonea all'uso o ne diminuiscano il valore in modo apprezzabile, senza, cioè, che possa distinguersi tra vizi più gravi, che consentirebbero l'azione redibitoria, e vizi meno gravi, che consentirebbero soltanto l'azione di riduzione del prezzo.

Cass. civ. n. 3345/1976

La clausola, contenuta nel contratto di vendita di una macchina, limitante l'obbligo del venditore alla sostituzione dei pezzi rotti per accertato difetto del materiale, ed escludente il diritto del compratore di chiedere la risoluzione ed il risarcimento dei danni, integra non già una clausola solve et repete, di cui all'art. 1462 c.c., ma una limitazione della garanzia per vizi, ammessa dall'art. 1490, secondo comma c.c.

Notizie giuridiche correlate all'articolo

Tesi di laurea correlate all'articolo

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

SEI UN AVVOCATO?
AFFIDA A NOI LE TUE RICERCHE!

Sei un professionista e necessiti di una ricerca giuridica su questo articolo? Un cliente ti ha chiesto un parere su questo argomento o devi redigere un atto riguardante la materia?
Inviaci la tua richiesta e ottieni in tempi brevissimi quanto ti serve per lo svolgimento della tua attività professionale!

Consulenze legali
relative all'articolo 1490 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. M. chiede
martedì 01/10/2024
“Premetto che In data 13/06/2008 mia nonna R.L. acquistò dal costruttore nel Comune di Milano la porzione di un sottotetto, allo stato grezzo, in un edificio di 2 piani +. Piano sottotetto costituito da circa 25 appartamenti.
In tutti gli atti di vendita stipulati dall’impresa costruttrice risulta specificato il diritto dei proprietari di porzioni del sottotetto a trasformare i medesimi in mansarde abitabili senza richiedere consenso agli altri condomini salvo richiedere le autorizzazioni comunali prescritte dalla vigente normativa edilizia e farsi carico delle relative spese. (Vedi allegato contenente la dicitura riportata in tutti gli atti di vendita effettuati dal costruttore)
Nell’assemblea condominiale dell’11/03/2013, mia nonna unitamente ad altri proprietari dei sottotetti comunico ai convenuti la decisione di dare corso ai lavori per la trasformazione del sottotetto in mansarda abitabile. (Allegato stralcio dell’assemblea condominiale dell’11/03/2013)
in data 21/06/2013 mia nonna presentò allo Sportello Unico per l’edilizia del Comune di Milano apposita D.I.A. (Dichiarazione di Inizio Attività) per recuperare il sottotetto e trasformarlo in Mansarda abitabile.
In data 11/11/2014 a completamento dei lavori presentò al Comune di Milano la dichiarazione di fine lavori.
In data 26/04/2015, mia nonna è deceduta e la proprietà della mansarda è passata allo scrivente per disposizione testamentaria.
In data 24/05/2016 ho venduto la proprietà della mansarda ad una terza persona.
Non facendo più parte del condominio sono venuto indirettamente a conoscenza che l’acquirente e attuale proprietario della mansarda, nel corso di varie assemblee condominiali ha più volte lamentato infiltrazioni d’acqua provenienti dalla copertura dell’edificio e gli amministratori protempore hanno eseguito diversi interventi parziali che purtroppo non si sono dimostrati risolutivi del problema.
Nel corso dell’ultima assemblea condominiale (30/09/2024) si è discusso sull’opportunità di eseguire un intervento radicale sulla porzione di tetto soprastante la mansarda venduta dallo scrivente all’attuale proprietario. I condomini, in considerazione del costo particolarmente elevato, hanno fatto notare che tale spesa non è di competenza del condominio ma del condomino proprietario della mansarda in quanto la parziale modifica della copertura è stata eseguita direttamente dal proprietario protempore dell’unità immobiliare. (La mia nonna)
Conseguentemente alla decisione assembleare il proprietario della mansarda mi ha fatto pervenire una lettera raccomandata contenente l’invito a farmi carico della spesa per la riparazione del tetto.
Tanto premesso, anche in considerazione degli anni trascorsi dalla vendita e del fatto che finora l’attuale proprietario della mansarda aveva mai avanzato direttamente nei miei confronti formale denuncia dei vizi riscontrati nell’immobile, chiedo di conoscere quale possa essere la mia responsabilità e in che misura posso essere chiamato a farmi carico della spesa per la riparazione della copertura.
Cordiali saluti

Consulenza legale i 07/10/2024
A parere di chi scrive le richieste di controparte appaiono piuttosto pretestuose. L’ art. 1490 del c.c. prevede che il venditore sia tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore. Tale azione è tuttavia soggetta a termini decadenziali piuttosto stringenti: il successivo art. 1495 del c.c. prevede un termine di prescrizione di un anno dalla consegna del bene, anche nel caso in cui l’acquirente riscontrasse sul bene vizi occultati dal venditore.

Per quanto ci è dato capire nel caso specifico il termine annuale di prescrizione è abbondantemente decorso ed in ogni caso i vizi riscontrati non possono considerarsi occulti. In questo senso è molto interessante una recente pronuncia della Corte di cassazione: "In caso di vendita di un immobile di risalente costruzione, la cui datazione non sia stata celata dalla parte alienante, i difetti materiali conseguenti allo stato di vetustà non integrano un vizio occulto, essendo facilmente individuabili con l'ordinaria diligenza, anche quando siano relativi a parti strutturali dell'edificio immediatamente non percepibili con il senso della vista, quali, per esempio, il tetto, i solai o le fondamenta." (Cass.Civ.Sez. 2 - , Ordinanza n. 13425 del 15/05/2024, Rv. 671132 - 01).

Posto che l’immobile in cui è ricompresa l’unità immobiliare venduta ha già una certa datazione e sicuramente tale circostanza è emersa in sede di rogito, troviamo piuttosto difficile che controparte, se mai lo farà, possa difendersi sostenendo la non conoscenza del vizio e delle infiltrazioni, fermo restando che rimarrebbe comunque per loro il problema del decorso del termine prescrizionale.

M. P. chiede
mercoledì 20/12/2023
“Buongiorno, nel Giugno 2022 volendo acquistare un'auto usata per nostro figlio, ci siamo rivolti ad un autosalone plurimarche, in quanto comprare dal privato ci sembrava poco sicuro. Da questo Autosalone, con annessa officina, abbiamo acquistato una X del 2018, con quotazione del prezzo in linea con Quattroruote. L'auto ci sembrava in ottimo stato, tettuccio panoramico, interni nuovi, gomme nuove, appena revisionata e, a detta del venditore da unico proprietario non incidentata. L'auto ritirata a luglio 2022 è rimasta in garage sino ad agosto e dopo averla usata solo due volte c'è stato un problema con le luci e durante la marcia si è staccato lo specchietto retrovisore interno. Contattato il venditore il tutto è stato riparato presso la loro officina con giustificazioni in verità non del tutto convincenti. Ma a febbraio 2023 la comparsa di un allarme metteva in luce un problema all airbag che a detta del concessionario era stato male impostato. L'auto è rimasta ferma sino al mese di giugno perché nostro figlio a febbraio è partito per Milano e l'auto è stata poi usata da noi occasionalmente. A giugno 2023 è scaduta la garanzia di un anno data dal venditore. A fine estate abbiamo portato l'auto dal nostro carrozziere di fiducia insospettiti perché usandola in autostrada si sentiva uno spiffero consistente in corrispondenza di un vetro deflettore anteriore che non veniva percepito in città. Dopo un controllo sotto la guarnizione e sulla carrozzeria, il carrozziere constatava che sotto le guarnizioni c'erano delle saldature grossolane, arrivando alla conclusione che tutta la parte superiore e il tettuccio non apparteneva a quell'auto. Portata alla concessionaria Renault della mia città ci confermavano che quel modello di Clio non prevede il tettuccio panoramico e che l'auto non risultava avesse mai fatto i tagliandi presso una Officina X.
Consultato lo storico dell'auto scopriamo che dopo l'immatricolazione ci sono stati due passaggi aziendali, uno a privato e poi il passaggio all'autosalone dal quale è stata acquistata. Nominato quindi un perito per essere certi sulle condizioni reali dell'auto, questi ha confermato con la sua perizia quanto sospettato: l'auto risulta gravemente incidentata. Quindi, in conclusione, ci è stato venduto un bene diverso da quanto pattuito, quindi un bene che avrebbe dovuto avere un costo ben diverso e che rivenduta ora varrebbe la metà e che non avremmo mai comprato se correttamente informati.
Alla luce di questi fatti chiediamo a voi un consiglio legale sul modo più corretto per affrontare questo problema e come possiamo agire legalmente ma senza arrivare ad una denuncia per truffa in tribunale.Vorremmo sapere se possiamo chiedere al venditore la restituzione dell'auto con risoluzione del contratto e risarcimento di quanto pagato per vizio grave dolosamente nascosto svincolato dai limiti di garanzia.
E qualora non acconsentisse, segnalare quanto accaduto alla Polizia non sapendo tra l'altro se dietro questa modalità di vendita si nasconda un giro di malaffare.
Allego:
Perizia dello Studio Tecnico
Garanzia di conformità rilasciata dal venditore
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 03/01/2024
Quando si acquista un’auto usata, pur sforzandosi di utilizzare tutti gli accorgimenti possibili - primo fra tutti, quello di rivolgersi a un venditore considerato affidabile, come peraltro si è cercato di fare in questo caso - è piuttosto frequente incappare comunque in brutte sorprese.
Prima di capire come procedere è necessario fare chiarezza sulle possibili norme da applicare.

In primo luogo, abbiamo la garanzia per i vizi nella vendita, prevista dagli artt. 1490 e ss. del codice civile. La garanzia copre i cosiddetti vizi occulti, cioè quei difetti che il compratore non conosceva al momento della conclusione del contratto.
Inoltre, la garanzia non opera per i vizi facilmente riconoscibili: ora, nel nostro caso, ammesso che si tratti di “semplici” vizi, qualche dubbio può sorgere dalla lettura della perizia allegata, ove si parla di saldature e di un ri-assemblaggio grossolano. Tuttavia, anche quando i vizi sono facilmente riconoscibili, la garanzia si applica comunque, se il venditore ha dichiarato che la cosa era esente da vizi: ora, nel nostro caso non è stato possibile esaminare il contratto di vendita, tuttavia risulta che il venditore avesse dichiarato che l’auto, oltre ad essere di seconda e non di terza mano, fosse “non incidentata” (sarebbe interessante capire se queste dichiarazioni siano state fatte per iscritto, perché non è chiaro).

Ad ogni modo, la problematica maggiore che si pone quando si vogliono far valere i vizi della cosa ex artt. 1490 e ss. c.c. è l’esistenza di stretti termini per denunciare i vizi al venditore e per agire in giudizio, rispettivamente di decadenza (la denuncia dei vizi va fatta entro otto giorni dalla loro scoperta) e di prescrizione (l’azione va proposta entro un anno dalla consegna), come previsto dall’art. 1495 c.c.
Però - come correttamente rilevato anche nel quesito - la denuncia non è necessaria, se il venditore ha riconosciuto l'esistenza del vizio o l'ha occultato, cioè nascosto: e nel nostro caso sembra proprio che il venditore abbia insabbiato ben bene le condizioni disastrose in cui si trovava il veicolo e che sono emerse a seguito della perizia.

Quali sono gli effetti della garanzia per vizi? Il codice civile attribuisce al compratore il diritto di ottenere, a seconda delle circostanze e ovviamente in via alternativa, la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo. Inoltre, in ogni caso può essere chiesto dall'acquirente il risarcimento del danno (a meno che il venditore provi di aver incolpevolmente ignorato i vizi: ma nel caso che ci occupa sarebbe veramente difficile sostenerlo…).

Attenzione, però, perché l’azione di garanzia per vizi della cosa non è l’unico rimedio astrattamente possibile per chi non abbia fatto un acquisto conforme alle proprie legittime aspettative.
Dobbiamo ora prendere in esame la mancanza di qualità promesse, o le qualità essenziali per l’uso cui la cosa è destinata: in questo caso l’art. 1497 c.c. prevede che il compratore possa chiedere la risoluzione del contratto. Si applicano, però, gli stessi termini di decadenza e di prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c. in caso di vizi occulti.


Per completezza, nel nostro caso risulta applicabile, almeno in astratto, anche la normativa contenuta negli artt. 129 e ss. del Codice del Consumo, per cui il venditore è responsabile dei difetti di conformità del bene venduto, che si manifestino entro due anni dalla consegna e in presenza di tutti i presupposti stabiliti dalle norme a difesa del consumatore.

Nel quesito, tuttavia, si prospetta anche una ulteriore possibilità: ovvero che sia stato venduto non un veicolo “semplicemente” (per quanto gravemente) difettoso, e neppure un veicolo mancante di alcune caratteristiche promesse o essenziali, ma proprio un veicolo diverso da quello pattuito e che il compratore credeva di acquistare.
Si tratterebbe della c.d. vendita di aliud pro alio, cioè, letteralmente, di una cosa per un’altra. L’azione per far valere questo tipo di inadempimento del venditore sarebbe, peraltro, svincolata dal rispetto dei termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c.
Occorre capire, a questo punto, se le numerose e gravi problematiche riscontrate nell’auto possano costituire un vero e proprio aliud pro alio.
Si tratta di una valutazione non sempre scontata e per la quale non possiamo a meno di fare riferimento alla casistica affrontata in giurisprudenza, soprattutto in quella della Corte di Cassazione.
Ora, proprio una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 08/04/2022, n. 11438) ha ribadito che “la consegna di aliud pro alio, che dà luogo all'azione contrattuale di risoluzione o di adempimento ex art. 1453 cod. civ., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c., si verifica nei casi in cui il bene venduto sia completamente diverso da quello pattuito, in quanto si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della res venduta e, quindi, a fornire l'utilità richiesta”.
Nel caso affrontato dalla Suprema Corte, era stato accertato che l'autovettura acquistata “non poteva essere utilizzata in condizioni di sicurezza per il difetto che presentava al telaio traversa, alle sospensioni anteriori, elementi decisivi ai fini della tenuta di strada [...]. Con la conseguenza che era stata venduta una cosa diversa da quella pattuita”.
Ora, nel nostro caso la perizia ha evidenziato che non solo il veicolo acquistato era di terza mano e tutt’altro che “non incidentato”, ma che addirittura la sua parte superiore era stata montata da un veicolo di modello diverso anche se “similare”.

Aggiungiamo anche che la giurisprudenza a volte non è così rigorosa nel distinguere tra aliud pro alio e mancanza di qualità; si veda Cass. Civ., Sez. II, 31/03/2006, n. 7630: “ricorre la ipotesi di cosa radicalmente diversa (aliud pro alio) e non di cosa viziata o mancante delle qualità promesse quando il bene sia totalmente difforme da quello dovuto e tale diversità sia di importanza fondamentale e determinante nella economia del contratto. Tale situazione può verificarsi sia quando la cosa si presenti priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell'acquirente, sia quando la cosa appartenga ad un genere del tutto diverso”.

A parere di chi scrive, dunque, nel caso che ci occupa è possibile sostenere fondatamente l’esistenza di una vendita di aliud pro alio.
Tuttavia, si consiglia di rivolgersi comunque a un legale, evitando il “fai da te”: la situazione si presenta piuttosto ingarbugliata e il venditore ha ampiamente dimostrato di essere persona poco affidabile. In accordo con un avvocato di fiducia sarà possibile scegliere la strategia difensiva più corretta.

S. D. D. R. . chiede
martedì 24/10/2023
“Garanzie a mio favore (in qualità di venditore) su in immobile che sto per vendere con pertinenze, Nuovo mai utilizzato con utenze da allacciare per la prima volta. L'immobile è stato realizzato più di dieci anni fa, realizato con rifiniture di pregio per uso prsonale, ma che non ho mai utilizzato i locali per motivi di lavoro presso altra Regione. Quali garanzie a mio favore potrei aggiungere nell'atto di compravendita per garantirmi se per ipotesi deprecabilmente l'impianto idrico o termoidraulico mai allacciato dovesse presentare problemi o gli inqilini al piano di sopra ( che io non ho mai udito ) dovessero dare delle noie. So che esiste la clausola "visto e piaciuto" ma ho l'impessione che che ciò potrebbe mettere in allarme l'acquirente, mentre nella realtà quanto sopra detto sono delle ipotesi che però non vanno tralasciate visto la garanzia di vizi che debbo necessariamente adempiere. Aspetto VS consiglio Grazie”
Consulenza legale i 30/10/2023
La c.d. clausola "visto e piaciuto" è assolutamente uno standard nei rogiti notarili e nei compromessi di vendita immobiliare e trova la sua ragion d’essere principalmente negli artt. 1490 e 1491 del c.c. disciplinanti la garanzia per vizi. Secondo tale garanzia il venditore nel momento in cui effettua la consegna della cosa è tenuto a garantire che il bene ceduto sia immune da vizi che lo rendano inidoneo all’uso per cui esso è destinato o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore: tale garanzia tuttavia non è dovuta nel momento in cui si dimostra che l’acquirente era a conoscenza della esistenza dei vizi o essi potevano essere da egli riconosciuti utilizzando l’ordinaria diligenza. In questo contesto normativo quindi la clausola "visto e piaciuto" ha lo scopo di accertare consensualmente la presa visione, ad opera del compratore, della cosa venduta, ed esonera nel contempo il venditore dalla garanzia per i vizi di quest'ultima limitatamente a quelli riconoscibili con la normale diligenza e non taciuti in mala fede (Cass.Civ. 21204/2016).

Essa, quindi, non è una semplice clausola di stile, in quanto comunque ha l’effetto di andare a tutelare il venditore per quei vizi che possano essere facilmente riconoscibili dall’acquirente con un grado di diligenza media: è anche vero da un altro lato che, secondo una giurisprudenza assolutamente costante, essa non esonera il venditore dalla responsabilità per vizi occulti. In presenza di vizi occulti tuttavia l’acquirente per poter pretendere dal suo venditore la risoluzione della vendita e muovere una qualsivoglia pretesa risarcitoria nei confronti di costui, deve dimostrare in giudizio che tali vizi sono stati ignorati per colpa del venditore stesso o da lui artificiosamente e volutamente taciuti in mala fede.

Stante il quadro giurisprudenziale descritto e stante anche il fatto che non si ha motivio particolari per ritenere che gli impianti siano malfunzionanti, non si consiglia in alcun modo di andare a modificare la clausola "visto e piaciuto". Si deve infatti tener conto che ogni clausola di un qualsiasi contratto deve trovare l’accordo e l’assenso della nostra controparte contrattuale: in questo caso l’acquirente del nostro immobile. Non è detto infatti che l’inserimento di clausole deroganti a quelle solitamente utilizzate nella prassi possa trovare il consenso di colui che è fortemente interessato a ciò che stiamo vendendo: anzi, tale circostanza potrebbe far sorgere in lui ingiustificati sospetti, che lo potrebbero portare a ritirarsi dall’affare.

Viceversa, è molto più efficace in sede di rilascio dell’Attestato di Prestazione Energetica o dell’ Attestato di Regolarità Edilizia (documenti oggi necessari per procedere a cedere un immobile di nostra proprietà e che devono essere forniti da chi vende), richiedere al tecnico incaricato di rilasciare tali documenti un parere sullo stato degli impianti del nostro appartamento e magari richiedere a professionista la possibilità di rilasciare un breve parere preliminare scritto. Tale breve parere, il quale non necessariamente deve essere consegnato all’acquirente in sede di trattativa, infatti, potrebbe essere molto utile nel caso in cui si dovesse in futuro ricevere una qualche contestazione per l’esistenza di vizi occulti di ciò che è stato venduto: esso infatti proverebbe in un ipotetico contenzioso che vi era all’epoca dell’affare una totale buona fede nel venditore e non sono stati da lui volutamente taciuti vizi occulti di qualsivoglia natura.


G. G. chiede
venerdì 15/09/2023
“Buongiorno
Vi scrivo per un problema di fornitura B2B
Ho consegnato a Giugno 25.000 borse ad un mio cliente.
Dopo circa 2 settimana il cliente lamenta che un manico della borsa si apre.
Verifichiamo a vediamo che anche il campione approvato aveva lo stesso problema, ma nessuno lo aveva notato.
Ritiro tutto il materiale che il cliente riesce a restituirmi (16800 borse circa) lo faccio selezionare e faccio incollare tutti i manici con il problema, restituisco in circa 1 settimana le 16800 borse senza problemi.
Le 8200 borse che non abbiamo potuto ritirare sono state distribuite dal cliente come articolo regalo prima e durante la nostra rilavorazione. Il cliente non ha interrotto la distribuzione nemmeno un giorno.
Ora il cliente mi chiede uno sconto di 9000 euro. Lamentando spese di gestion , perdita di immagine ...
In pratica sto subendo un ricatto sottinteso, se non accetto di applicare lo sconto di 9000 euro dovremo andare in causa e attendere il pagamento dell intera fattura 36250 + IVA fino alla fine di un eventuale causa.
Faccio notare che:
- non ci è stato restituito nessun materiale difettoso, tutto è stato distribuito e utilizzato
- sto proponendo a titolo di chiusura della pratica uno sconto di 6000 euro, ma non lo accettano e ne chiedono uno di 9000 euro
- ho una fattura dell azienda che ha fatto la rilavorazione che identifica 16875 borse cernite e 8716 ganci aggiustati
- la contestazione è stata fatta oltre 8 giorni dalla consegna, ma in questo caso immagino che il difetto possa essere considerato occulto, perché compare solo caricando la borsa in un utilizzo

Quali sono i miei diritti in questa situazione ?

Grazie”
Consulenza legale i 22/09/2023
A norma dell'art. 1490 del c.c., il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'utilizzo cui è destinata ovvero ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.
L'inidoneità all'uso normale di regola dipende da difetti di costruzione; al contempo, per vizi che diminuiscono in modo apprezzabile il valore si intende quelli costituiti dalla mancanza di qualche ulteriore elemento o dalla presenza di un’imperfezione.
Di norma il compratore potrà reclamare solo i vizi occulti, definiti dalla dottrina come quelli di cui l'acquirente, al momento della stipula del contratto, non era effettivamente a conoscenza e che non avrebbe potuto rilevare utilizzando l'ordinaria diligenza.

Va segnalato, tuttavia, che l’art. 1491 del c.c. esclude la garanzia se al momento del contratto il compratore conosceva i vizi della cosa, o se questi erano facilmente riconoscibili, salvo, in quest’ultimo caso, che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi.
In tali casi l’art. 1492 del c.c. conferisce al compratore la facoltà di domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione.
Nell’eventualità si opti per la risoluzione, il venditore dovrà restituire il prezzo e rimborsare al compratore le spese e i pagamenti legittimamente fatti per la vendita; mentre il compratore dovrà restituire la cosa, se questa non è perita in conseguenza dei vizi.
In ogni caso il venditore è tenuto ai sensi dell’art. 1494 del c.c. al risarcimento del danno subito dal compratore se non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa.

L'art. 1497 del c.c. dispone che la risoluzione possa essere domandata anche quando la cosa venduta non abbia le qualità promesse o quelle essenziali per l'uso a cui è destinata, sempre che il difetto di qualità vada oltre i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi.
Il termine stabilito dall’art. 1495 del c.c. per la denuncia del vizio è di 8 giorni a decorrere dalla scoperta; l'azione si prescrive, in ogni caso, in un anno dalla consegna.

Nel caso di specie, si precisa che il termine per la denuncia del vizio va calcolato a decorrere dalla scoperta, non dalla consegna, pertanto la circostanza che siano decorsi oltre 8 giorni dalla consegna non è rilevante.

Il contegno del compratore porta a mostrare l’intenzione di non avvalersi del rimedio della risoluzione del contratto, scelta comunque modificabile sino alla eventuale proposizione di una domanda giudiziale.
Di certo non potrà chiedere la risoluzione per i prodotti già messi in circolazione, posto che in detta eventualità avrebbe l’obbligo di restituire la merce.

In merito alle borse restituite e riconsegnate senza vizi, sarà dovuto soltanto un risarcimento per i danni effettivamente derivanti dall’operazione, quali spese di spedizione, eventuale perdita di chances di vendita del prodotto (non rilevabili nel caso esposto, poiché si tratta di un articolo da regalo), danni a persone o cose derivanti dal vizio stesso.

Per quanto concerne la quantificazione dello sconto preteso, la riduzione del prezzo è legittima esclusivamente in relazione al materiale già distribuito, poiché la residua quota di merce è stata riconsegnata senza vizi; le ulteriori voci di danno lamentate devono, in ogni caso essere dimostrate.
La riduzione del prezzo offerta appare correttamente ponderata, se commisurata alla quantità di merce presumibilmente fallace.
Nell’eventualità in cui il cliente non dovesse corrispondere quanto dovuto, anche eventualmente ridotto di un importo pari allo sconto praticato, Lei potrà agire in via monitoria avanzando ricorso per decreto ingiuntivo.

S. B. chiede
sabato 01/07/2023
“Buongiorno,
verso la fine del 2020 abbiamo iniziato un'opera di abbattimento e ricostruzione a retta del muro di confine con altre 2 proprietà poichè il precedente muro presentava segni di cedimento e cominciava a inclinarsi pericolosamente.
La nostra proprietà risulta posizionata più in alto rispetto alle altre due di circa 3 metri che è più o meno l'altezza del muro che si estende per una lunghezza di 40m. Il nuovo muro è stato realizzato in cemento armato e presenta dei "buchi" di scolo per le acque meteoriche superficiali ogni 1,5 metri (scoli che ne precedente muro non c'erano).
Questi scoli si sono resi necessari date le dimensioni dell'opera e la composizione del terreno, rilevata dopo la relazione geologica precendente ai lavori, per impedire il ristagno dell'acqua e consentirne il naturale deflusso poichè in assenza di questo, con il passare del tempo, si sarebbero potuti provocare dei danni sul muro pregiudicandone la sicurezza.Sul bordo del muro,sul terreno delle proprietà confinanti, sotto i buchi di scarico, abbiamo fatto costruire una canalina, a nostre spese,per far defluire meglio l'acqua seguendo la naturale pendenza del terreno verso un campo incolto. I lavori sono terminati "fisicamente" a marzo 2021 e con comunicazione di fine lavori a giugno 2021.Successivamente, ad ottobre 2021 abbiamo venduto l'immobile fornendo a suo tempo tutta la documentazione tecnica in nostro possesso relativa all'immobile al nuovo proprietatio che ha visionato l'immobile piu volte e che era a conoscenza della costruzione, realizzazione ed esito finale dell'intervento.
Adesso, a 2 anni di distanza dal tutto, una delle 2 proprietà confinanti ci chiede di intervenire nuovamente sul muro poichè, a seguito dei buchi di scarico delle acque meteoriche superficiali, ha un angolo di giardino dove è presente un ristagno d'acqua.Ipotizziamo che, visto non ci sia stato comunicato niente nell'arco di questi due anni, questo sia il primo caso avvenuto in tutto questo tempo e probabilmente, ipotizzo, che essendo stato un periodo di pioggie molto intenso (l'immobile si trova in toscana e la segnalazione ci è arrivata durante i giorni dell'alluvione in emilia romagna) la canalina non ha "retto" la quantità d'acqua più elevata del solito.
Posto che non siamo più proprietari dell'immobile e quindi non credo possa rivalersi su di noi, quello che vorremmo sapere è se poi, il nuovo proprietario, avrebbe titolo o potrebbe rifarsi su di noi oppure rientra nel caso di normale deflusso delle acque che il proprietario del fondo inferiore deve accettare ed eventualmente deve,a sue spese, "allargare" le canaline o porre altri interventi sulla sua proprietà.”
Consulenza legale i 13/07/2023
L’indicazione, in casi come questi, è quella di invitare la proprietà confinante a rivolgere le proprie doglianze verso l’attuale proprietario, che è l’unico legittimato a godere e disporre del bene (cfr. art. 832 del c.c.), oltreché tenuto a sobbarcarsi i relativi oneri di manutenzione. Questo per quanto riguarda i rapporti tra il vecchio proprietario e la proprietà confinante che chiede di intervenire sul muro. Come correttamente intuito, infatti, la proprietà confinante non può vantare alcun diritto nei confronti del vecchio proprietario.

Si potrebbe tuttavia prospettare effettivamente la possibilità, in concreto, che il nuovo proprietario, interpellato dal confinante, si faccia vivo successivamente con il vecchio proprietario, cercando di vantare una sorta di “rivalsa” per i costi da sostenere per i lavori da effettuare sulla canalina. Tuttavia, tale richiesta non sarebbe giuridicamente fondata.

La disciplina dei vizi nella vendita (art. 1490 e ss. c.c.) prevede - sul punto - un onere di denuncia dei vizi occulti - in capo all’acquirente - entro otto giorni dalla scoperta. Se dei vizi esistono, e la denuncia è tempestiva, il compratore potrà chiedere, a sua scelta, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto (sono le cosiddette "azioni edilizie": l'azione estimatoria e quella redibitoria).
Per capire se tale disciplina sia applicabile al caso di specie, è bene preliminarmente comprendere cosa si debba intendere per “vizi occulti”.
Il vizio, infatti, è quella imperfezione o difetto che rende inidoneo il bene all’uso, in quanto ne esclude la normale adeguatezza alla sua funzione come, per esempio, i difetti di fabbricazione o di produzione. Inoltre, il vizio, per dare spazio alla garanzia per vizi, deve essere "occulto". Infatti, l’art. 1491 del c.c. afferma che “Non è dovuta la garanzia se al momento del contratto il compratore conosceva i vizi della cosa; parimenti non è dovuta, se i vizi erano facilmente riconoscibili, salvo, in questo caso, che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi”.

Dalla descrizione effettuata nel quesito, oltreché dall’analisi della documentazione tecnica allegata, emerge come i lavori di intervento sul muro siano stati eseguiti - a suo tempo - correttamente, rispettando la regola dell’arte e tutti gli accorgimenti tecnici del caso. Non sembra, quindi, potersi ravvisare alcun vizio del bene immobile compravenduto, il quale è stato appunto oggetto di compravendita così come da ultimo ristrutturato. Più verosimile, come correttamente affermato, è possibile che la canalina “non abbia retto” a causa delle gravi emergenze meteorologiche avvenute nel mese di maggio.
Il vizio che consente al compratore di attivare la garanzia per vizi attiene, viceversa, a vizi di carattere congenito, o comunque materiale o strutturale del bene oggetto di compravendita. Non sembra essere questo il caso.
Inoltre, al momento della sottoscrizione del contratto di compravendita, al compratore è stata consegnata tutta la documentazione tecnica relativa alla corretta effettuazione dei lavori.

La rottura o il danneggiamento della canalina, dovuti all’evento meteorologico verificatosi, pertanto, non potrebbero essere ragionevolmente configurabili come vizi occulti del bene (immobile) compravenduto.
Anche nella denegata e non creduta ipotesi in cui il vecchio venditore dovesse evidenziare un difetto della canalina astrattamente riconducibile all’istituto del “vizio occulto”, nondimeno egli avrebbe l’onere di denunciare tale vizio al venditore entro e non oltre il brevissimo termine di otto giorni dalla scoperta di suddetto vizio (e avrebbe poi un anno di tempo per esercitare l’azione giudiziale in Tribunale). Sarebbe quindi - in tal caso - necessario controllare il rispetto di tale brevissimo termine di decadenza per la denuncia degli asseriti vizi.

Tuttavia, come anticipato, dall’analisi del quesito e della documentazione, non pare possa parlarsi di vizio occulto, poiché i lavori sono stati correttamente realizzati secondo la regola dell’arte e la problematica occorsa sembra piuttosto dovuta a cause di forza maggiore che hanno danneggiato la canalina, danni di cui deve essere il proprietario a farsi carico, in quanto unico ed esclusivo titolare del bene.

D. C. chiede
mercoledì 16/11/2022 - Puglia
“Salve il 7 ottobre ho venduto la mia auto da privato, una XXX del 2006 con 207.000 km a prezzo di 2000€. L'auto è stata acquistata da un signore (senza redigere nessun contratto privato, effettuando semplicemente il passaggio di proprietà) che al momento della visione dell' auto non ha voluto fare un giro di prova, non ha voluto che accendessi la macchina per far sentire il motore come suona, insomma ha comprato la macchina in modalità vista e piaciuta.Sì è semplicemente basato sullo stato esterno della macchina, e semplicemente chiedendomi: la macchina ha qualche problema? La mia risposta è stata "no". Dopo circa 1 mese dal passaggio, avendo utilizzato l'auto normalmente e avendo percorso anche un po di km, mi chiama dicendomi che l'impianto di riscaldamento non funziona (con me era perfettamente funzionante) e che la lancetta che segna la temperatura nel momento in cui si accelerava tendeva a muoversi , per poi ritornare su 90. Questo "problema" era stato riscontrato da me circa un anno fa, cioè quando acquistai l'auto. Chiedendo spiegazioni al mio meccanico di questo problema, mi fu detto che anche cambiando alcuni pezzi il problema non si sarebbe risolto, dato che è un problema di serie dell'auto. Non contento della risposta del mio meccanico, andai dall'elettrauto e lui mi disse la stessa cosa. Mi feci convinto di questo "problema" e continuai ad utilizzare l'auto normalmente, infatti non ho mai avuto nessun tipo di problema (come già mi avevano rassicurato i due esperti da me interpellati). Questa cosa dentro di me risultava come una normalità dell'auto e quindi alla domanda: "ha problemi l'auto?" Risposi di no. L'acquirente pertanto mi ha accusato di aver nascosto questi vizi (da me non è stato nascosto niente dato che se si fosse fatto un piccolo giro di prova, avrebbe potuto riscontrare questi "problemi" con molta facilità, e avrei spiegato a lui quanto detto prima sopra) citandomi l'art. 1490 cc chiedendo di pagargli le spese per la sistemazione dell'auto. Nel caso io non volessi pagare le spese dell' auto si rivolgerà ad un avvocato. In questo caso come dovrei comportarmi? Devo pagare le spese per la riparazione dell'auto, oppure non sono spese che mi competono dato che il riscaldamento può rompersi da un momento all'altro?”
Consulenza legale i 25/11/2022
Posto in premessa che il contratto di compravendita dell’auto usata sia stato regolarmente stipulato attraverso il deposito della documentazione presso il PRA (ad es. dichiarazione dei vendita con firma autenticata da parte del venditore redatta sul retro del certificato di proprietà con apposizione di marca da bollo), per riscontrare il quesito del cliente è necessario un breve richiamo all’art. 1490 del c.c., che disciplina l’istituto della garanzia per vizi nell’ambito del contratto di compravendita.

Ai sensi del primo comma di tale disposizione “il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore”.


Pertanto, il venditore è tenuto a garantire dai vizi il bene ceduto se il venditore è a conoscenza del vizio del bene e non ne abbia informato il proprietario antecedentemente alla vendita. La garanzia per vizi copre solo il valore del bene e non eventuali danni ulteriori.

Il diritto di garanzia per vizi può essere escluso dalle parti solo mediante un accordo scritto e espresso, sottoscritto dalle stesse.
In ogni caso, la garanzia, ai sensi dell’art. 1491 del c.c., è esclusa qualora al momento della conclusione dell’affare il compratore della cosa conosceva i vizi, oppure nel caso in cui tali vizi erano facilmente riconoscibili.

Qualora il compratore abbia diritto alla garanzia, può alternativamente scegliere di:
- risolvere il contratto, (chiedendo la restituzione della somma pagata contro la restituzione dell’autovettura)
- la riduzione del prezzo pagato

Ai nostri fini, è d’uopo stabilire:
  1. se l’eventuale apposizione nell’atto di vendita della clausola di "vista e piaciuta" esoneri a prescindere il venditore dall’obbligo di garanzia;
  2. se il vizio riscontrato dall’acquirente sia riconducibile ai vizi riconducibili al novero di quelli garantiti ai sensi del precitato articolo, in quanto tale da rendere inidonea l’autovettura all'uso a cui è destinata ovvero a diminuirne in modo apprezzabile il valore.
Con riferimento al punto n. 1, si segnalano due orientamenti giurisprudenziali contrastanti invalsi in materia di compravendita di beni usati:
  • il primo reputa che, non avendo carattere di clausola di stile, la clausola "vista e piaciuta" determina una limitazione della garanzia per vizi della cosa rep ( T. Casale Monferrato 31.7.2000);
  • il secondo, e più recente, che non esonera invece il venditore dal prestare la garanzia per i vizi occulti (A. Bologna 22.4.2004; T. Catania 12.2.2018).
Il secondo orientamento è stato adottato anche dalla Corte di Cassazione: nello specifico con la Sentenza sez. VI, 19/10/2016, n. 21204: “Il venditore di una vettura usata è tenuto alla garanzia per i vizi occulti, anche se la vendita sia avvenuta «nello stato come vista e piaciuta» e ciò a prescindere dal fatto che la presenza di essi non sia imputabile ad opera del venditore, ma esclusivamente a vizi di costruzione del bene venduto”.
Pertanto, è ragionevole ritenere che l’acquisto dell’autovettura usata in modalità “vista e piaciuta” non esonera di per sé il venditore alla prestazione della garanzia per vizi.

Fermo restando quanto sopra esposto, con riferimento al secondo punto, i vizi in relazione ai quali il compratore è sempre garantito consistono in “imperfezioni materiali della cosa”, concernenti il processo della sua produzione, fabbricazione e formazione, ed incidenti sulla sua utilizzabilità, rendendola inidonea all'uso cui è destinata ovvero diminuendone il valore in modo apprezzabile (C. 19199/2004; C. 5153/2002; C. 8537/1994; C. 1424/1994; C. 6988/1986; C. 24343/2017).

A nostro giudizio, l'impianto di riscaldamento è parte dell'autovettura soggetta a possibile usura (motore delle ventola). Se è stata venduta con il riscaldamento funzionante, allora il fatto che si sia in seguito rotto fa parte della normale usura. Poteva capitare prima come dopo. Potrebbe essere accaduto lo stesso ad un alzacristalli elettrico. Sono parti che si usurano e si rompono senza ... preavviso. Hanno un ciclo di vita non precisamente definito, che dipende da molte variabili (intensità utilizzo, clima, etc.) e possono usararsi, fino a rompersi, in un momento non precisato.

Riguardo la spia, trattasi di difetto congenito dell'autovettura, probabilmente di tutte le autovetture di quel medesimo modello. Non ne inficia l'uso, basta essere a conoscenza dell'anomalia.

Si suggerisce di appurare cosa si è esattamente guastato dell'impianto di riscaldamento (banalmente, potrebbe essere anche soltanto un fusibile).


A. M. G. chiede
domenica 14/08/2022 - Marche
“Buongiorno, vorrei acquistare un appartamento sito al piano terra di una palazzina di tre piani. Detto immobile ha la dichiarazione di agibilità ma nel bagno ho notato che non vi sono sbocchi esterni ed è privo di finestre. Ho contattato l'ufficio tecnico del comune ( della provincia autonoma di Bolzano) e mi ha confermato che gli sfiati dei bagni devono arrivare a tetto. Fatto presente il problema alla agenzia immobiliare e alla proprietaria ho ottenuto risposta che il prezzo dell'immobile era tale proprio per questo motivo e che come condizione di acquisto dovevo sottoscrivere della conoscenza di questa problematica.Ora,informandomi qua e la mi pare di aver capito che il condominio non dovrebbe opporsi alla realizzazione di questo allaccio e' vero? Se un domani dovessi avere grosse problematiche per realizzare questo sfiato avrei comunque la possibilità di rivalsa nei confronti della agenzia e della proprietaria pur avendo rogitato con la consapevolezza scritta in atto? Grazie”
Consulenza legale i 22/08/2022
L’ immobile che si intende acquistare presenta un vizio che lo rende meno idoneo all’uso per cui è destinato. Il fatto che nel rogito di acquisto, o anche nel compromesso, vi sarà una clausola con la quale si prenderà atto dell’esistenza di questo vizio e si accetterà il bene nello stato in cui si trova, fa si che lei non avrà poi in futuro modo di rivalersi nei confronti del venditore, neppure se il condominio farà delle resistenze per l’esecuzione dei lavori di sistemazione di questo vizio. A maggior ragione il discorso vale per l’agenzia che ha compiuto la sua attività di intermediazione nell’affare.

Purtroppo in questa sede non si può escludere con certezza che il condominio in un prossimo futuro possa muovere contestazioni in merito alla realizzazione dell’allaccio: in linea di massima si esclude questa possibilità, ma molto dipende da come verranno realizzati i lavori e dalla voglia degli altri proprietari di mettere il bastone tra le ruote. In altre parole non vi è una norma che possa mettere al riparo da possibili future contestazioni. Sotto questo ultimo aspetto, non vi sono allo stato attuale sufficienti elementi per fornire una risposta più precisa.

Certamente, la cosa più saggia da fare, sarebbe quella di interpellare previamente il condominio, a mezzo del suo amministratore, per capire i margini di fattibilità dell'intervento desiderato.





L. M. chiede
venerdì 22/07/2022 - Friuli-Venezia
“Salve, abbiamo venduto casa il giorno 14/07/2022, e entro 8 giorni i compratori hanno inviato una raccomandata affermando che stanno subendo un vizio occulto descritto come un cigolio proveniente dal soffitto della stanza da letto, udibile SOLO nelle ore notturne.

io vorrei sapere se un cigolio può rientrare nella categoria di vizio occulto, nel senso , a non non dava alcun fastidio.

Grazie”
Consulenza legale i 29/07/2022
La questione oggetto del quesito - se, cioè, un rumore percepibile in un immobile possa essere considerato quale “vizio” ai fini della garanzia prevista dall'art. 1490 del c.c. - è abbastanza controversa.
Da un lato, infatti, si potrebbe argomentare che per “vizio”, ai sensi e per gli effetti delle norme citate, debba intendersi un “difetto intrinseco” del bene (si veda Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 21/09/2017, n. 21927).
Tuttavia è possibile che un giudice la pensi diversamente.
Ora, dalla documentazione allegata al quesito e dai chiarimenti forniti si desume che i rumori lamentati dagli acquirenti provengono dall’appartamento situato al piano superiore.
In proposito, Cass. Civ., Sez. II, 22/08/1998, n. 8338 ha affermato che, nel caso di vendita di immobile soggetto a rumori derivanti da quello del vicino, il venditore risponde della garanzia per i vizi della cosa venduta, senza che rilevi il fatto che la sua responsabilità possa concorrere con quella del vicino a titolo di immissioni.
Ricordiamo che le immissioni (previste dall’art. 844 del c.c.) sono quelle “emanazioni” - ivi comprese quelle sonore - provenienti dalla proprietà del vicino; chi le subisce ha il diritto di impedirle (dunque, di chiederne la cessazione) solo quando superino la “normale tollerabilità”.
Va precisato (come fa la sentenza in esame) che il requisito della normale tollerabilità “è specificamente richiesto solo per la proponibilità dell'azione ex art. 844 c.c.”, ma non ai fini dell’azione per far valere la garanzia, mentre per l'azione di garanzia “è richiesto il diverso requisito dell'inidoneità della res vendita all'uso cui è destinata ovvero quello della apprezzabile diminuzione del suo valore a causa del vizio.
Naturalmente, per poter stabilire se, in concreto, sia operativa la garanzia per i vizi, occorre approfondire ulteriori aspetti: ad esempio, il vizio che dà luogo alla garanzia deve essere, oltre che occulto (cioè non conosciuto né facilmente riconoscibile dal compratore: v. art. 1491 del c.c.), anche preesistente alla conclusione del contratto. Inoltre, è necessario verificare se il rumore sia tale da diminuire in maniera apprezzabile il valore dell’immobile.

S. O. chiede
giovedì 06/01/2022 - Sardegna
“Ho stipulato una proposta d’acquisto con una Società immobiliare per la compravendita di un appartamento e di un box auto, versando un assegno di €10.000 a titolo di caparra.
L'appartamento al momento della vendita non era di proprietà della Società venditrice ex art. 1478 C. C.
La proposta d'acquisto mi obbligava sin da subito alla stipula del contratto preliminare con versamento della caparra da farsi entro 7 giorni.

Alcuni giorni dopo, sono venuta a conoscenza che il box auto non è stato mai idoneo all’uso, perché non ha mai ottenuto il Certificato Prevenzioni Incendi (CPI) da parte dei VVFF, certificazione attualmente sostituita dalla SCIA.

Pertanto, 4 giorni dopo, ho inviato una PEC alla Società immobiliare per richiedere la revoca della proposta d’acquisto e la restituzione dell’assegno versato, il tutto entro i termini fissati per la stipula del compromesso.

La Società immobiliare ha respinto la mia istanza, incassando l’assegno bancario.

Si chiede se esistono i presupposti giuridici per agire nei confronti della Società immobiliare per ottenere la rescissione della proposta d’acquisto e la restituzione della caparra versata, considerata la non idoneità all’uso di uno degli immobili oggetto della proposta di acquisto.”
Consulenza legale i 11/01/2022
Occorre premettere che la normativa in materia di prevenzione incendi (D.P.R. 151/2011) si applica soltanto alle “autorimesse pubbliche e private, parcheggi pluriplano e meccanizzati di superficie complessiva coperta superiore a 300 m2” (punto 75 dell’allegato 1 al predetto D.P.R.).
Laddove invece la superficie sia inferiore vi sono solo delle indicazioni tecniche non cogenti contenute nella circolare n.17496/2020 emessa dal Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco a seguito della abrogazione del DM del 01.02.1986.

Ciò posto, in linea di principio laddove la cosa venduta ha vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore (art. 1490 c.c.) è consentito al compratore di domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo (art. 1492 c.c.).
In merito a tale aspetto, vi è giurisprudenza costante di legittimità secondo cui "le disposizioni degli art. 1490 e 1492 c. c. in tema di esercizio dell'azione redibitoria vanno interpretate con riferimento al principio generale sancito dall'art. 1455 c. c. in materia di risoluzione del contratto; pertanto, l'esercizio dell'azione redibitoria è legittimato soltanto da vizi concretanti un inadempimento di non scarsa importanza, i quali non sono distinti in base a ragioni strutturali ma solo in funzione della loro capacità di rendere la cosa inidonea all'uso cui era destinata o di diminuirne in modo apprezzabile il valore, secondo un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito" (Cfr. Cass. n.914/1986).
In materia di certificato di prevenzione incendi, la Cassazione già nella risalente pronuncia n.6882/91 aveva evidenziato che tale certificato “non può ritenersi necessario per l'uso della res venduta e non rientra, quindi, fra i documenti da consegnare all'acquirente a norma dell'art. 1477 ultimo comma”.

Nella presente vicenda, il garage in questione laddove sia in una autorimessa inferiore ai 300 mq non avrebbe alcuna difformità non essendo applicabile la normativa di cui al DPR 151/2011. In tal caso, non potrebbe richiedersi né la risoluzione né la riduzione del prezzo di acquisto non essendo il bene inidoneo all’uso cui è destinato.
Nell’ipotesi in cui invece fossimo di fronte ad una autorimessa con le caratteristiche di cui al sopra citato d.p.r., piuttosto che una risoluzione parrebbe preferibile (anche alla luce della giurisprudenza di legittimità sul punto) una richiesta di riduzione del prezzo corrispondente alle spese necessarie (comprese anche eventuali sanzioni) per adeguare il garage alla normativa in materia di antincendio.

Luigi O. chiede
mercoledì 13/10/2021 - Lazio
“Atto notarile per compravendita appartamento a rate mensili.
Dopo 5 anni dal terrazzo condominiale sovrastante è penetrata acqua piovana.
Gli inquilini pretendono dal proprietario tutto il dato.
Il condominio ha provveduto alla riparazione.
Atto Notarile: "L’immobile viene consegnato alla parte conduttrice dalla data odierna e ne acquista il materiale godimento e ne assume i rischi , compresi i rischi per eventuali vizi sopravvenuti e per il perimento del bene sempreché non dovuti a cause imputabili alla parte concedente."
"L’immobile viene concesso in buono stato di conservazione come la parte conduttrice attesta e conferma".
In caso di richiesta effettiva chi è il responsabile: il concedente o il condominio?”
Consulenza legale i 26/10/2021
Il rent to buy è una nuova tipologia contrattuale introdotta dall’art. 23 del Decreto Sblocca Italia (D.L. 133/2014 convertito con Legge n 164/2014), con cui il proprietario di un bene immobile (detto concedente), concede in locazione il predetto bene dietro pagamento di un canone ad un soggetto interessato al suo acquisto (detto conduttore), e quest’ ultimo acquisisce il diritto non solo di occupare l’immobile ma anche il diritto (ma non l’obbligo) di poterlo successivamente acquistare alla scadenza del periodo di locazione (o anche prima) ad un prezzo già predeterminato. Il prezzo della futura ed eventuale vendita verrà in tutto o in parte pagato dall’ obbligato imputando parte dei canoni già medio tempore versati dal conduttore occupante.

Il rent to buy quindi si compone di due fasi: la prima è una fase certa che può tranquillamente assimilarsi ad un contratto di locazione classico in cui non vi è un passaggio di proprietà del bene dal proprietario al futuro acquirente; la seconda, è una fase del tutto eventuale in cui si concretizza la vendita, e la cessione del diritto di proprietà sul bene.

Per quanto è dato capire, nel caso specifico siamo nel pieno della prima fase in cui non vi è ancora stato il passaggio di proprietà dell’appartamento dal concedente all’utilizzatore, pertanto dal punto di vista della compagine condominiale l’unico referente deve essere l’attuale proprietario, a nulla rilevando gli accordi che intercorrono tra il proprietario e l’utilizzatore. L’amministratore, tra l’altro, ha adempiuto perfettamente ai suoi obblighi riparando la causa delle infiltrazioni, coinvolgendo con ogni probabilità l’assicurazione condominiale.
L’utilizzatore dovrà quindi rivolgere eventuali lamentele direttamente al proprietario, in particolare se egli ritiene che nell’abitazione oggetto del contratto vi siano dei vizi occulti

Anche se la prima fase del rent to buy è del tutto assimilabile ad un contratto di locazione, esso rimane comunque finalizzato ad una futura vendita anche se potenziale, motivo per cui molti interpreti ritengono già applicabile in questa fase le garanzie per la vendita ed in particolare la garanzia per vizi di cui agli artt. 1490 e ss. del c.c. e la giurisprudenza e le prassi notarili ad essa riconducibile.
Il 1° co. dell’art. 1490 del c.c. detta il contenuto di tale garanzia e ci dice: “il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore”. Nulla vieta, tuttavia, che tale comma possa essere derogato dalla volontà delle parti e questo accade nella stragrande maggioranza delle compravendite immobiliari con l’inserimento nei rogiti da parte del notaio della clausola comunemente denominata: “visto e piaciuto”, con la quale l’acquirente dichiara di prendere in consegna l’immobile nello stato in cui si trova e di accettarlo così come è.

Tale clausola è tranquillamente applicabile anche al contratto di rent to buy, e quello dato in visione non fa eccezione. Nel momento in cui infatti si dice che il conduttore dichiara che l’appartamento è in buono stato manutentivo e assume su di se i rischi del materiale godimento in particolare quelli per i vizi sopravvenuti, non si fa altro che dire che il conduttore accetta l’immobile nello stato in cui si trova e si assume il rischio per vizi che possano sopravvenire e dovuti al suo utilizzo del bene.
Tale clausola derogativa della responsabilità per vizi non opera però nel caso di vizi occulti, ovvero quei vizi che non possono essere scorti da chi acquista utilizzando la normale diligenza. Tra i casi più frequenti riconducibili nella categoria di vizi occulti vi è sicuramente la presenza di infiltrazioni provenienti dal piano superiore e ricadenti nell’ appartamento acquistato, ma in questo caso la garanzia per vizi non opera se il concedente prova che comunque le infiltrazioni erano riconoscibili dall’utilizzatore utilizzando la normale diligenza o che erano a lui note.

Visto che si ritiene applicabile la normativa sulla garanzia dei vizi sulla cosa venduta al rent to buy, è ben possibile per l’acquirente richiedere ai sensi dell’art. 1492 del c.c. la risoluzione del contratto con restituzione dei canoni finora pagati, quantomeno la parte di esso che si considera acconto sul futuro prezzo di vendita, o in alternativa una riduzione del prezzo sulla futura vendita. Tali pretese per i motivi che si sono già detti potranno essere fatte valere solo nei confronti dell’attuale proprietario dell’appartamento.

V.P. chiede
mercoledì 23/06/2021 - Puglia
“Buonasera ho una concessionaria di macchine agricole, ho un problema per quando riguarda l’usato. Visto che nel mondo delle auto quando si parla di auto con iva esposta per legge non prevede la garanzia da parte della concessionaria perché trattasi di mezzo da lavoro, volevo sapere se questa legge è prevista anche per le macchine agricole visto che i nostri clienti non sono privati ma tutti con partita iva. Ho provato a chiedere a qualche avvocato ma nessuno mi ha saputo dare una risposta.
Ho provato anche a chiedere anche ad un importatore nel settore del movimento terra è mi ha detto che non è prevista la garanzia.
Sapete darmi maggiori delucidazioni in merito?
Saluti”
Consulenza legale i 30/06/2021
Per rispondere al quesito è necessario sgombrare il campo da un equivoco. La legge, infatti, prevede in via generale che il venditore sia tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, secondo le norme ed entro i limiti stabiliti dagli artt. 1490 e ss. c.c.
La garanzia è operante anche in riferimento alla vendita di cose usate, sia pure con le precisazioni dovute al carattere “non nuovo” del bene. Come ha chiarito da tempo la giurisprudenza, infatti, “anche nella vendita di cose mobili usate, è operante la garanzia per i vizi prevista dall'art. 1490 c.c., dovendo essere distinto il vizio della cosa dal logorio di essa dovuto al normale uso” (così Cass. Civ., Sez. II, 24/01/1995, n. 806).
Ed ancora, secondo Cass. Civ., Sez. II, 15/03/2004, n. 5251, “in ordine all'applicabilità delle norme sulla garanzia per vizi nella vendita di cose usate, il riferimento al bene [...] come non nuovo comporta che la promessa del venditore è determinata dallo stato del bene stesso conseguente al suo uso, e che le relative qualità si intendono ridotte in ragione dell'usura, che non va considerata (onde escludere la garanzia) come quella che, astrattamente, presenterebbe il bene utilizzato secondo la comune diligenza, bensì come quella concreta che scaturisce dalla reali vicende cui il bene stesso sia stato sottoposto nel periodo precedente la vendita”.
La legge prevede un duplice termine affinché la garanzia per i vizi possa operare: il vizio deve essere denunciato, a pena di decadenza, entro otto giorni dalla scoperta, e la relativa azione si prescrive in un anno dalla consegna (art. 1495 c.c.).
Accanto alla generale garanzia per vizi nella compravendita, prevista dal codice civile, il nostro ordinamento prevede, all’art. 130 del Codice del Consumo (D. Lgs. 206/2005), la responsabilità del venditore per difetto di conformità.
Ai sensi dell'art. 132 del D. Lgs. n. 206/2005, la responsabilità del venditore sussiste quando il difetto di conformità si manifesta entro due anni dalla consegna del bene; anche qui, però, è previsto un termine di decadenza per la denuncia del difetto, che è di due mesi dalla data della sua scoperta.
Tuttavia, le norme del codice del consumo si applicano quando una delle parti contraenti sia, appunto, un consumatore, ovvero “la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”, secondo la definizione contenuta nell’art. 3 del Codice del Consumo. Stando a quanto riferito nel quesito, pertanto, la garanzia prevista dal Codice del Consumo non risulta applicabile nel caso in esame, in cui gli acquirenti sono soggetti, dotati di partita IVA, che acquistano i mezzi per la loro attività imprenditoriale.


STEFANO Z. chiede
martedì 18/05/2021 - Sardegna
“Documentazione già inviata per consulenza Q202128281
RIPROPONGO QUESITO Q202128281 (SCUSATE C'E' STATO UN MALINTESO)
“In data 10/04/202, in qualità di promissario acquirente, propongo formale proposta di acquisto relativa a un appartamento ad uso civile abitazione composto da soggiorno, cucina abitabile, disimpegno, due camere da letto, bagno, scala interna, soggiorno scala interna balcone locale di sgombero con terrazza a livello. Per la proposta di acquisto utilizzo un prestampato fornito dalla agenzia immobiliare che ha curato la vendita. Nel prestampato firmato è presente la seguente clausola: “L’immobile in oggetto verrà trasferito al momento dell’atto notarile nello stato di fatto e di diritto in cui attualmente si trova, con particolare riferimento all’agibilità, alla classe energetica nonché agli impianti tecnologici di cui all’art. 1 del DM n. 37 del 22/01/2008 dei quali impianti l’eventuale adeguamento a norma delle leggi vigenti sarà a carico dell’acquirente.” In stessa data la mia proposta viene accettata e controfirmata da parte promittente venditrice.
Successivamente, in data 17/04/2021, viene stipulato il contratto preliminare. Nel preliminare non si fa alcun riferimento alla proposta di acquisto e non viene specificato nulla relativamente agli impianti tecnologici. Sono presenti solo formule di rito come: la parte promissaria acquirente dichiara di aver accuratamente visionato gli immobili e di averli trovati privi di vizi apparenti.
Pochi giorni dopo la firma del preliminare parte promissaria acquirente “scopre” che i tubi che portano l’acqua alla cucina sono stati dismessi dal venditore circa 25 anni fa (i tubi sono stati tagliati all’origine). Di fatto quindi ad oggi il locale cucina è privo dell’impianto idrico sanitario e conseguentemente non utilizzabile per il suo scopo.
Il rogito dovrà essere effettuato entro il 30/09/2021.
In relazione a quanto sopra esposto pongo i seguenti quesiti:
- Parte promissaria acquirente è obbligata all’adeguamento degli impianti a norma di legge così come statuito nella proposta di acquisto o la proposta d’acquisto è priva di qualsiasi efficacia in quanto superata dal preliminare di acquisto stipulato in data successiva nel quale non si fa alcun riferimento alla proposta di acquisto e soprattutto non si parla assolutamente di obblighi di adeguamento di impianti a carico di parte acquirente? (preciso che l’impianto idrico sanitario della cucina è completamente inesistente).
- Per tutelarmi sarebbe necessario registrare il preliminare di compravendita?
- Posso obbligare parte promittente venditrice a ripristinare la situazione ripristinando l'impianto idrico sanitario della cucina prima dell’atto definitivo con spese a suo carico?
Nel caso decidessi di non concludere l'affare perchè l'immobile di fatto non è a norma potrò richiedere indietro il doppio della caparra oltre all'acconto già dato?
Potrò infine richiedere indietro i soldi versati a titolo di provvigione all'agenzia?
- Quali strade seguire per tutelarmi adeguatamente?”
Consulenza legale i 21/05/2021
In risposta alla prima domanda contenuta nel quesito si osserva quanto segue.
La proposta d’acquisto è un atto che vincola soltanto il promissario acquirente ossia la parte che ha sottoscritto la proposta.
Di contro, il preliminare è un contratto con effetti obbligatori (la stipula del contratto definitivo) che vincola entrambe le parti.
Tuttavia, pur essendo cronologicamente successivo alla prima, il contratto preliminare non rende privi di efficacia gli impegni assunti nella proposta di acquisto.
Ciò posto, nella presente vicenda né la proposta di acquisto né il contratto preliminare fanno riferimento alla ASSENZA di impianto idrico nella cucina dell’immobile.
L’obbligo di adeguamento a norma dell’impianto a carico del promissario acquirente presuppone l’ESISTENZA di detto impianto.
Nel caso di specie, esso invece è risultato essere del tutto assente.
A tal proposito, occorre tenere presente che il venditore -ai sensi dell'art. 1490 c.c.- è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.
La mancanza di un impianto idrico in una parte dell’immobile è evidente che se non lo rende inidoneo all’uso, costituisce di sicuro un vizio occulto che ne diminuisce in modo apprezzabile il valore.
Come ha evidenziato la Corte di Cassazione con la sentenza n.21204/2016: “In tema di compravendita, la clausola contrattuale "vista e piaciuta", che ha lo scopo di accertare consensualmente la presa visione, ad opera del compratore, della cosa venduta, esonera il venditore dalla garanzia per i vizi di quest'ultima limitatamente a quelli riconoscibili con la normale diligenza e non taciuti in mala fede, sicché, anche in considerazione dei principi fondamentali della buona fede e dell'equità del sinallagma contrattuale, essa non può riferirsi ai vizi occulti emersi dopo i normali controlli eseguiti anteriormente l'acquisto.
Riteniamo dunque che la parte promissaria sarebbe stata tenuta ad un adeguamento dell’impianto laddove fosse stato presente anche se vetusto.
Essendo questo mancante si tratta di un vizio occulto di cui deve rispondere il promissario venditore.

Con riguardo la seconda domanda relativa alla opportunità di registrare o meno il contratto preliminare si osserva quanto segue.
La registrazione non è un atto facoltativo ma obbligatorio costituendo un adempimento fiscale previsto per legge (combinato disposto degli artt. 2 e 10 tariffa del T.U. 26 aprile 1986 n. 131).
Probabilmente, con il termine “registrazione” si voleva in realtà fare riferimento alla “trascrizione”. Quest’ultima (art. 2645 bis c.c.) consente di anticipare gli effetti della trascrizione del contratto definitivo in modo tale da evitare che nel frattempo possano essere costituiti diritti di terzi opponibili al promissario acquirente.
Nella presente vicenda, non appare esservi il rischio che il bene possa essere nel frattempo ceduto a terzi e, comunque, la trascrizione non fornirebbe tutela sotto il profilo degli adempimenti dovuti da parte del promissario acquirente.
Quindi, in risposta alla domanda, possiamo affermare che trascrivere il contratto è una Sua facoltà non indispensabile.

Riguardo la domanda se lei possa obbligare parte promittente venditrice a ripristinare l'impianto idrico sanitario della cucina prima dell’atto definitivo con spese a suo carico, si osserva quanto segue.
L’art. 1492 del codice civile stabilisce che nei casi indicati dall'articolo 1490 il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo.
La norma dunque non prevede un obbligo a carico del venditore di ripristinare il bene a sue spese.
Tuttavia, tale opzione potrebbe rientrare nell’ambito degli accordi tra le parti per definire la bonariamente la questione.
Nella presente vicenda dunque si può proporre al promissario acquirente tale soluzione per risolvere la controversia tenendo però presente che laddove non accetti e non si arrivi ad un accordo tale richiesta non potrà essere oggetto di domanda giudiziale non rientrando nelle opzioni previste dal predetto art. 1492 c.c.

In merito poi alla domanda “Nel caso decidessi di non concludere l'affare perchè l'immobile di fatto non è a norma potrò richiedere indietro il doppio della caparra oltre all'acconto già dato?”, possiamo rispondere quanto segue.
L’art. 1385 c.c. relativo alla caparra confirmatoria stabilisce che se inadempiente la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
Come ha evidenziato la Suprema Corte con la sentenza n.5095/2015: “Il recesso previsto dal secondo comma dell'art. 1385 cod. civ. configura una forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone l'inadempimento della controparte ed è destinata a divenire operante con la semplice sua comunicazione a quest'ultima, sicché la parte non inadempiente, provocata tale risoluzione mediante diffida ad adempiere, ha diritto di ritenere quanto ricevuto a titolo di caparra confirmatoria come liquidazione convenzionale del danno da inadempimento.”.
Alla caparra confirmatoria va dunque “riconosciuta la funzione di una preventiva e convenzionale liquidazione del danno per inadempimento, e di derogare, nel contempo, sia pure in forma non definitiva, essendo sempre salva la facoltà per la parte non inadempiente di avvalersi del diverso rimedio della risoluzione, la disciplina generale in materia di inadempimento contrattuale.” (Cass.6463/2008).
Ciò premesso, se Lei non stipulasse il definitivo significherebbe in sostanza che richiede la risoluzione contrattuale.
Tuttavia, per costante giurisprudenza, pur essendo questa uno dei rimedi previsti in caso di vizi (V. il sopra citato art. 1492 c.c.) è possibile richiederla soltanto a fronte di un grave inadempimento (art. 1455 c.c.).
Nella presente vicenda, a parere di chi scrive, tale inadempimento -seppur sussistente- non appare così determinante da giustificare una risoluzione contrattuale che comporterebbe la richiesta del doppio della caparra e la restituzione dell’acconto.
Come aveva osservato la Suprema Corte con la sentenza n.24003/2004Ai fini della risoluzione del contratto nel caso di parziale o inesatto adempimento della prestazione, l'indagine circa la gravità della inadempienza deve tener conto del valore complessivo del corrispettivo pattuito in contratto, determinabile mediante il criterio di proporzionalità che la parte dell'obbligazione non adempiuta ha rispetto ad esso, e non rispetto alla sola caparra.”
Ciò non toglie comunque che in fase stragiudiziale, possa comunque essere proposto in via transattiva a parte promissaria venditrice.

Quanto all’aspetto relativo alla provvigione versata all’agenzia, occorre fare un discorso a parte.
L’art. 1755 del codice civile prevede che il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l'affare è concluso per effetto del suo intervento. Nell’interpretazione della Suprema Corte è sufficiente anche la sola accettazione della proposta per far sorgere il diritto alla provvigione.
Nell’ordinanza n.21559 del 2018 la Cassazione ha infatti ribadito che: “per "conclusione dell'affare" deve intendersi il compimento di un'operazione economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti (Cass. n. 8676 del 2009), come quella posta in essere nella fattispecie in esame con l'accettazione della proposta.”
Da ciò ne consegue che anche laddove non si dovesse addivenire alla stipula del definitivo, non si potrà richiedere la restituzione della provvigione versata.

Da ultimo, circa la domanda su quali siano le strade migliori per avere tutela, suggeriamo in conclusione ed in sintesi quanto segue.

Come per ogni controversia, è sicuramente preferibile cercare di trovare un accordo anziché rivolgersi ad un giudice ed iniziare un lungo contenzioso dagli esiti incerti.
Chiedere la risoluzione contrattuale, seppur in linea teorica possibile, lo riteniamo un po’ “rischioso” per i motivi sopra evidenziati.
Appare dunque preferibile insistere per una riduzione del prezzo di vendita alla luce della mancanza di impianto idrico in cucina, circostanza del tutto taciuta da parte promissaria venditrice.
Suggeriamo che questa o altre proposte risultino in corrispondenza scritta (mail o pec) in modo che in caso di controversia giudiziale si abbiano dei riscontri probatori.

Gianfranco S. chiede
martedì 02/02/2021 - Friuli-Venezia
“Buongiorno, in data 29 maggio 2020 ho acquistato un natante inserzionato sul sito subito.it dalla ditta N.S. la quale descriveva il natante in perfette condizioni con MOTORI COMPLETAMENTE REVISIONATI e piedi revisionati, veniva inoltre evidenziato tra le righe che la barca non è aziendale ma di nostra proprietà.
Attratto da queste dichiarazioni dei motori e dei piedi decidevo di acquistare la barca e in data 29 maggio 2020 all'interno della N. in presenza dei proprietari della ditta firmavo un contratto di acquisto in cui il venditore dichiara che i lavori eseguiti sul natante sono quelli riportati sulla scheda inserzionata su subito.it. Il prezzo concordato è stato euro 14.000 in quanto il natante aveva bisogno di interventi alla carena e alla tappezzeria per circa euro 10.000,00 e io ne ero cosciente. Al contratto veniva appunto allegata la scheda di Subito.it e controfirmata. In data 12 giugno 2020 ritiravo il natante percorrevo il canale che porta all'uscita del Mose a Venezia per circa un'ora praticamente a passo d'uomo in quanto è vietato correre. Usciti dal canale entravo in mare aperto e dopo pochissimo mi accorgevo che i motori accusavano problemi di temperature di acqua e olio, insomma non funzionavano a dovere. La sera stessa informavo il venditore del problema, inviavo ben 6 raccomandate al venditore lamentando i vizi e difetti del natante invitandolo a riparare quanto da me lamentato. Nel mese di settembre 2020 ho incaricato un meccanico autorizzato Volvo il quale mi relazionava che i motori avevano i seguenti problemi: i scambiatori olio e acqua, iniettori, pulegge, sterzo, pompa acqua e pompa iniettori oltre che problemi ai piedi, la prova compressione dei motori mostra valori bassi. Il preventivo totale per la sistemazione euro 15000,00.
Volevo quindi avere un vostro parere su i seguenti punti:
Il venditore poteva inserzionare una barca con la pubblicità della sua azienda e poi venderla come privato per non dare la garanzia dei due anni?
Secondo voi alla luce di quanto sopra esposto posso richiedere i danni al venditore?
Su richiesta posso allegare contratto di acquisto del natante con allegata scheda subito.it
Grazie”
Consulenza legale i 15/02/2021
La garanzia del codice del consumo è applicabile anche ai beni usati come previsto espressamente dall’art. 134 che dispone che in tal caso le parti possano limitare la durata della responsabilità ad un periodo di tempo in ogni caso non inferiore ad un anno.
Nella presente vicenda, leggiamo che l’inserzione era stata fatta dalla ditta ma il contratto di vendita è stato sottoscritto tra privati.
Per come è stato formulato l’annuncio, in effetti, la pubblicità è piuttosto ingannevole dato che il nome della ditta è messo ben in evidenza.
Di contro, però, nel contratto firmato il soggetto venditore è chiaramente un privato.
Riteniamo dunque che in caso di controversia giudiziale sarebbe difficoltoso sostenere l’applicazione della normativa del codice del consumo.
Ad ogni modo, anche laddove non fosse applicabile quest’ultima che riguarda esclusivamente le transazioni commerciali tra professionisti e privati, si potrà comunque invocare la garanzia e la tutela previste dagli articoli 1490 e seguenti del codice civile.
Facendo dunque riferimento a questi ultimi, si osserva quanto segue.
Il privato che vende un oggetto usato non è tenuto a fornire una garanzia per un periodo determinato. E’ comunque responsabile per i difetti esistenti e non prevedibili al momento della vendita.
Come ha osservato la Suprema Corte sul punto con la sentenza n.8285/2017:“in ordine all'applicabilità delle norme sulla garanzia per vizi nella vendita di cose usate, il riferimento al bene come non nuovo comporta che la promessa del venditore è determinata dallo stato del bene stesso conseguente al suo uso, e che le relative qualità si intendono ridotte in ragione dell'usura, che va considerata come quella concreta che scaturisce dalla reali vicende cui il bene stesso sia stato sottoposto nel periodo precedente la vendita”.
Ciò significa appunto che il venditore deve garantire tutti i difetti, anche se venuti alla luce dopo la vendita, che dipendono da vizi dell’oggetto già presenti e non facilmente rilevabili al momento del contratto (art.1491 c.c.).
Come previsto dall’art. 1492 c.c., nei casi indicati dall'articolo 1490 il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, oltre il risarcimento del danno (art. 1494 c.c.).
Come disposto dall’art. 1495 c.c. il compratore decade dalla garanzia se non denuncia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta. L'azione si prescrive, in ogni caso, in un anno dalla consegna.

Ciò premesso, nel caso che ci occupa, leggiamo che i vizi sono stati fatti immediatamente presenti al venditore al quale sono state inviate ben sei raccomandate.
Pertanto, il termine di otto giorni per la denuncia dei vizi appare pienamente rispettato.
La consegna del bene era avvenuta nel giugno 2020 e quindi anche l’eventuale azione legale non è ancora decaduta.
Da quello che leggiamo la situazione rappresentata nella scheda dell’annuncio e nel contratto di vendita non corrispondeva alle reali condizioni del natante.
Considerato anche i che i vizi sono stati scoperti il giorno stesso del ritiro dell’imbarcazione a seguito di un giro di prova nel canale, sicuramente non possono essere attribuiti all’usura del bene usato (secondo l’interpretazione giurisprudenziale sopra riportata).

Alla luce quindi delle predette considerazioni, rispondendo quindi in via definitiva alle domande contenute nel quesito possiamo affermare che:
1) Il venditore non è stato molto corretto ( o comunque ambiguo) ad inserzionare una barca con la pubblicità della sua azienda e poi venderla come privato. Tuttavia, dal momento che il contratto è stato sottoscritto chiaramente tra privati in un eventuale giudizio sarà difficoltoso invocare la tutela del codice del consumo. In ogni caso, come sopra già evidenziato, sarà possibile l’applicazione della garanzia prevista dagli articoli 1490 e seguenti del codice civile;
2) Al venditore si potrà chiedere o la risoluzione del contratto (restituzione del bene e dei soldi versati) oppure la riduzione del prezzo.
Considerato che la spesa preventivata in sede di acquisto per la sistemazione era pari ad euro 10mila soltanto per la carena e la tappezzeria mentre sono emersi vizi ai motori e ai piedi per euro quindicimila (V. preventivo del meccanico), riteniamo preferibile chiedere direttamente la risoluzione del contratto; a meno che non si voglia comunque tenere il natante e chiedere il risarcimento per il danno emergente pari al costo che si dovrà sostenere per le riparazioni ai motori.
La richiesta di riparazione diretta a carico del venditore può aversi soltanto in caso di tutela del codice del consumo che nella presente vicenda, come sopra specificato, appare di incerta applicazione.

Carmine R. chiede
martedì 04/08/2020 - Lombardia
“Ho acquistato una casa della seconda metà dell'800 in Besana in Brianza, con all'interno una corticina, in cui insistono un pozzo in disuso, un pozzo perdente e una vasca d'acqua naturale. Tutte situazioni non evidenti all'occhio, ma occulte e ben nascoste sotto la pavimentazione della corticina; nominate dai venditori e dall'agenzia immobiliare in maniera generica e nella misura di un solo pozzo, con dichiarazione di salubrità sia per le mura della casa che per le persone, in sede di rogito. Iò rogito è avvenuto il 22 Luglio 2020 e ad oggi posso confermare sulla mia pelle, che al piano terra, sostando più ore in un giorno, si respira un'aria che affatica le vie respiratorie, comprime il petto e crea cerchi alla testa molto forti. Le contropareti dello stesso piano nascondono le pareti originali che verranno prossimamente analizzate da una ditta specialista nella risalita dell'umidità e non ho idea dopo l'analisi di quali altri costi mi dovrò sobbarcare. La casa è antica e bella, a me e alla mia convivente è piaciuta subito e ad un prezzo conveniente che doveva servirci da campanello d'allarme; ma se non si riesce a viverci serenamente, allora tutto è stato presentato per come non era. Io ho investito tutte le mie risorse e ora non riesco a viverci perché insalubre. Inoltre ho timore di coinvolgere l'Asl che potrebbe chiudere l'immobile e io avrei un mutuo da pagare senza una casa dove andare, così come mia figlia e mia moglie. Le sto pensando tutte, ma non è possibile dover essere raggirato in questa maniera con la pretesa di un visto e piaciuto che non tuteli gli interessi della mia famiglia. Vi chiedo un aiuto. Cordialmente”
Consulenza legale i 26/08/2020
È buona norma, prima di acquistare casa, che la stessa venga visionata dal potenziale compratore in modo da determinare non soltanto se il prezzo d’acquisto richiesto dal venditore corrisponda realmente al valore dell’immobile, ma anche per verificare che l’immobile risulti costruito a norma e senza difetti strutturali.
Tuttavia, per quanta attenzione si possa prestare in questa fase preliminare all’acquisto, accade abbastanza di frequente che ci si accorga di alcuni vizi e difetti solo dopo la stipula dell’atto pubblico di compravendita, possibilmente quando si inizia ad abitare l’immobile.

Questo è proprio ciò che è accaduto nel caso di specie, ed è per situazioni di tale tipo che il legislatore ha disciplinato agli artt. 1490 e ss. c.c. la c.d. “garanzia per vizi della cosa venduta”, garanzia che il venditore è tenuto a prestare al compratore in quanto rientrante nelle obbligazioni principali che sullo stesso incombono, quali risultanti dall’art. 1476 del c.c. (in particolare al n. 3 di tale norma).

Tuttavia, malgrado il carattere estremamente generico dell’espressione usata dal legislatore nelle norme sopra citate, vi sono delle condizioni ben precise che occorre rispettare perché possa farsi valere tale garanzia.
In particolare, deve trattarsi di vizi che:
  1. rendono inidoneo il bene all’uso per il quale è stato acquistato (è questo il caso della presenza di vizi strutturali tali da renderlo inabitabile);
  2. devono comportare una notevole diminuzione del valore dell’immobile.

Il ricorrere di una sola di tali condizioni legittima il compratore a chiedere la risoluzione del contratto di compravendita e la restituzione del prezzo, oltre al rimborso delle spese e dei pagamenti legittimamente fatti per la vendita.

Al contrario, se si tratta di difetti dell’immobile di lieve entità e facilmente eliminabili, senza che ciò comprometta il valore dello stesso immobile, il compratore avrà soltanto il diritto ad agire in giudizio per pretendere la riduzione del prezzo, come previsto dal primo comma dell’art. 1492 del c.c..

Il problema che si pone, a questo punto, è quello di capire quali difetti o vizi dell’immobile devono essere considerati di tale entità da legittimare il compratore a chiedere la risoluzione dell’intero contratto e la restituzione del prezzo, ed a tal fine la giurisprudenza ha generalmente fatto ricorso a quanto disposto dall’art. 1669 del c.c. in tema di appalto.
Dalla lettura di tale norma, infatti, si evince che possono considerarsi tali i difetti derivanti dall’uso di materiali non idonei o, meglio, tutti quei difetti che vengono definiti strutturali, in quanto nascosti nella struttura e non visibili all’occhio nudo.

In particolare, attingendo alla casistica giunta al vaglio della Corte di Cassazione, sono stati qualificati come vizi gravi quelli che riguardano:
  1. gli impianti idrici, se ad esempio risultano sotto dimensionati e tali da creare infiltrazioni che, con il passare del tempo, possono anche causare cedimenti strutturali dell’immobile;
  2. gli impianti di riscaldamento non a norma o non isolati correttamente;
  3. gli impianti fognari.

In tutti i casi in cui, invece, il difetto di cui si è venuti successivamente a conoscenza non può essere in grado di intaccare la struttura dell’immobile ovvero può essere facilmente eliminato, il compratore avrà soltanto diritto a pretendere dal venditore la riduzione del prezzo di acquisto (o il suo rimborso parziale se il prezzo è già stata interamente corrisposto).

Affinché ci si possa avvalere di tale forma di tutela, è altresì necessario non soltanto, come sicuramente può essere evidente, che i vizi siano preesistenti al momento dell’acquisto (o della stipula del preliminare), ma anche che si tratti di vizi non evidenti o non facilmente individuabili da parte del compratore con l’uso della normale diligenza.
Una volta scoperti, devono essere denunciati entro il termine di otto giorni, pena la decadenza dal diritto di garanzia come disposto dall’art. 1495 del c.c..

Ebbene, applicando adesso i principi giuridici sopra visti al caso di specie, si ritiene, intanto, che sussistano i presupposti per poter dimostrare che si tratti di vizi non facilmente individuabili dal compratore, neppure con l’uso dell’ordinaria diligenza, e per di più taciuti in mala fede dal venditore.
La mala fede si ritiene che possa intravedersi nella circostanza che sia lo stesso venditore che l’agenzia immobiliare si sono premurati di denunciare in sede di atto pubblico la presenza di un solo pozzo, possibilmente nella speranza di distogliere l’acquirente dall’effettuare ulteriori indagini su quanto si potesse realmente trovare al di sotto della pavimentazione della corte interna.
La non facile individuabilità, invece, si ritiene che possa evincersi dalla circostanza che pozzo in disuso, pozzo perdente e vasca d'acqua naturale sono stati scoperti al di sotto della pavimentazione della corticina e, di certo, non si può addossare su chi compra il non aver ispezionato al di sotto della pavimentazione alla ricerca di possibili vizi occulti.

Stando così le cose, dunque, ciò che si consiglia nell’immediato è di denunziare formalmente al venditore la presenza di tali vizi, per non incorrere nella decadenza prevista dal primo comma dell’art. 1495 c.c., tenendosi conto che, una volta effettuata la denuncia, si dispone di un termine di un anno dalla consegna per agire in giudizio.
Per denunciare correttamente i vizi è necessario utilizzare la forma scritta e in particolare una raccomandata con ricevuta di ritorno oppure la PEC (Posta Elettronica Certificata).

Il passo successivo che si consiglia di compiere è quello di chiedere l’intervento di un tecnico (un ingegnere o un architetto) al fine di munirsi di una perizia attestante non solo la presenza di tali vizi nascosti, ma anche una valutazione sulle conseguenze strutturali che la presenza di tali opere può avere sull’immobile nel corso del tempo.
Una volta in possesso di tale perizia e qualora soprattutto la stessa sia in grado di accertare che da quei pozzi ne può derivare un danno alla struttura dell’immobile (che si è cercato di camuffare con le contropareti), sarà il momento di prendere nuovamente contatti con la parte venditrice.
Ciò che andrà chiesto a quest’ultima dipende essenzialmente dalle proprie intenzioni, ossia se continuare ad abitare l’immobile o meno.
Se non si ha più alcuna intenzione di viverci, allora si potrà manifestare al venditore la propria volontà di avvalersi della risoluzione del contratto, con conseguente restituzione del prezzo e delle spese sostenute per effettuare l’acquisto.
Se, al contrario, si ha intenzione di continuare ad abitarlo, perché si tratta di una casa bella ed antica, allora ci si potrà avvalere del rimedio della riduzione del prezzo, per la cui rideterminazione si dovrà tener conto del costo che si renderà necessario sopportare per eseguire le opere volte ad eliminare quei vizi.

Se a tali richieste, avanzate in un primo momento in via bonaria, non dovesse seguire alcun riscontro da parte del venditore, non resta altra scelta, purtroppo, che quella di procedere per le vie legali, instaurando una vera e propria azione giudiziaria.


Giorgio Q. chiede
domenica 12/07/2020 - Lazio
“In data 26 marzo 2018 veniva stipulato un atto pubblico per la compravendita di in immobile sito in (omissis) tra il venditore A e l'acquirente B per un prezzo indicato nel Rogito di Euro 100.00,00, completamente arredato, climatizzato e dotato di antifurto. Le spese notarili, fiscali e di Agenzia Immobiliare sono state pagate dal venditore A per Euro 15.000,00, e detratte dal mutuo di 100.00,00 concesso all'acquirente, il venditore ha incassato solo 85.000,00. L'unità immobiliare situata al piano terra è composta da tre vani, da giardino di circa 100 mq e da un Box doppio sottostante l'immobile e nel garage condominiale. Al riguardo l'11/04/2017, prima della stipula del Rogito del 26/03/2018, l'Agenzia Immobiliare aveva ricevuto brevi manu dal venditore una dichiarazione dell'Amministratore del Condominio, datata 14/03/2018, indicante che le spese condominiali ordinarie e straordinarie e scadute per l'unità di proprietà di A, erano state regolarmente pagate. Nella stessa, inoltre, veniva indicato che tutte le spese riguardanti la causa in corso con l'Impresa costruttrice del complesso immobiliare, rimanevano totalmente a carico di A (venditore). Al riguardo si fa presente che in primis il prezzo della compravendita era stato fissato in Euro 95.000,00 e poi per permettere all'acquirente di concludere l'acquisto il prezzo era stato concordato in euro 85.000,00. Il venditore incassava l'ammontare del mutuo di 100.000,00 euro, ma sostenendo esso stesso le spese fiscali, IVA, Agenzia e notarili per un importo di 15.000,00, materialmente incassava 85.000,00 euro. In data 21/05&2018 l'acquirente B (ormai proprietaria) inviava al venditore A una Racc., con la quale denunciava vizi del bene acquistato in data 26/03/2018, per il fatto che, il giorno 12/04/2018, dopo forti piovaschi, riscontrava delle infiltrazioni meteoritiche nel sottostante Box, nella stessa missiva faceva presente di non essere stata mai informata della suddetta situazione e, della conseguente azione legale contro l'Impresa costruttrice il complesso residenziale, ne in sede di visite del box, ne in sede di rogito. Concludeva l'acquirente denunciando formalmente e ad ogni effetto di legge i predetti vizi del bene compravenduto, chiedendo di intervenire al fine di ripristinare/riparare/sostituire il bene Box auto viziato, o di riconoscere la riduzione del prezzo di vendita per l'ammontare del valore del box. In risposta alla sopracitata lettera, il venditore A, tramite il proprio legale contestava, con Racc. diretta anche all'Agenzia Immobiliare, la sussistenza del problema e della pendenza di un giudizio presso il Tribunale di Busto Arsizio avverso la Società Costruttrice, responsabile delle cattive realizzazioni dei giardini soprastanti. Menzionava, inoltre, l'avvocato di A, la consegna giorni prima del rogito di una comunicazione dell'Amministratore del Condominio, inerente il giudizio pendente presso il Tribunale di Busto Arsizio contro la Ditta Costruttrice e quindi respingeva ogni richiesta avanzata dall'acquirente B, eccependo sia la tardività ed infondatezza della denuncia, che l'impossibilità della prestazione richiesta.
In data 24/07/2019 tramite il proprio legale, l'acquirente B con lettera Racc. AR , rivendicava le stesse pretese del 21/05/2018 chiedendo una bonaria composizione della vicenda, essendo necessario esperire pregiudizialmente la procedura di Negoziazione Assistita, estesa anche al mediatore immobiliare. Il legale del venditore A, in un primo momento accettava l'invito, che il legale dell'acquirente rispondeva soltanto il 29/04/2020, dopo circa otto mesi dall'adesione, chiedendo di fissare un giorno per discutere la vertenza, al che il legale del venditore A rispondeva inviando la Sentenza del tribunale di Busto Arsizio, con la quale condannava la Ditta costruttrice a corrispondere a parte attrice (Condominio) la somma di Euro 51.340,91 oltre interessi al saldo, per i danni procurati al Condominio, relativamente ai difetti di costruzione e delle infiltrazioni idriche nei sottostanti box ed altro. Nonostante ciò il legale dell'acquirente in data 01/07/2020 insisteva nelle richieste, precisando che la Sentenza era stata appellata e che la ditta costrittrice era di dubbia solvibilità. Ritengo quindi non attuale procedere alla procedura di negoziazione Assistita, alla luce della Sentenza sopracitata, considerando le pretese dell'acquirente temerarie al solo scopo di lucrare a suo favore somme di denaro, già ampiamente ridotte nella fase di compravendita.”
Consulenza legale i 26/07/2020
Il parere sul caso descritto deve essere reso partendo da un principio molto importante previsto dall’art. 1337 del c.c., secondo il quale le parti nello svolgimento delle trattative e nella conclusione del contratto devono comportarsi secondo buona fede. Visto l’importanza che tale norma riveste nel nostro sistema codicistico e la frequenza con la quale la stessa trova applicazione nella vita quotidiana, la Corte di Cassazione si è trovata più volte ad occuparsi di tale importante principio, pubblicando sul tema diverse pronunce. Riassumendo in poche righe la copiosa giurisprudenza sul tema, possiamo dire che l’obbligo di comportarsi secondo buona fede durante le trattative contrattuali viene adempiuto dal venditore di un immobile quando egli si astiene da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o anche solo conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto (si veda ad esempio Cass. Civ., Sez. I, n.19024 del 29.09.2005).

Gli obblighi previsti dall’art. 1337 del c.c. devono essere tenuti ben presenti nel momento in cui si svolgono le trattative per la vendita-acquisto di un immobile, in quanto la loro violazione giustifica la possibilità di richiedere un risarcimento innanzi al giudice. Sempre la sentenza che si è sopra citata, ha precisato che la violazione del suddetto obbligo di comportarsi, nel corso delle trattative, secondo buona fede, assume rilevanza anche nel caso in cui il contratto, ancorché concluso validamente, “risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima” della condotta scorretta. In tale ipotesi, il risarcimento viene ragguagliato “al minor vantaggio o al maggior aggravio economico” determinato da tale comportamento. Ciò, salvo la prova dell’esistenza di ulteriori danni che risultino collegati alla condotta in questione “da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto”.

Applicando tali importanti principi al caso prospettato è evidente che il venditore avesse l’obbligo di informare l’acquirente circa l’esistenza nello stabile condominiale di difetti costruttivi tali da comportare episodi di infiltrazioni nel box auto che sarebbe stato oggetto di vendita. Sul punto però è anche importante citare la giurisprudenza che si è formata in merito ai vizi della cosa venduta. Secondo tali pronunce, per far sì che l’acquirente di un immobile possa ottenere, a causa di vizi strutturali, la riduzione del prezzo di compravendita di un vecchio immobile ai sensi degli artt. 1492 e 1494 del c.c., tali vizi non devono essere riconoscibili attraverso l’uso dell’ordinaria diligenza, a nulla rilevando se essi siano visibili (si veda in questo senso Cass.Civ., Sez. II, n. 3348 del 12.02.2018).

Tentando di coordinare quanto detto dalle pronunce in tema di responsabilità ex art 1337 del c.c., con quanto detto dalle pronunce in tema di azione di riduzione del prezzo (anche detta redibitoria), si può concludere che in caso di presenza di vizi sulla cosa che ci si appresta a porre sul mercato, è opportuno rendere edotto il potenziale acquirente dalla esistenza degli stessi, se essi non sono immediatamente percepibili ed evidenti allo sguardo di un individuo di media diligenza; tale obbligo informativo è, senza dubbio, molto più attenuato se il vizio è facilmente percepibile e se non è stato celato ad arte dal venditore in fase di trattative.
Tornando ad esaminare gli obblighi informativi scaturenti dall’art. 1337 del c.c. nel caso di vendita di una unità immobiliare in condominio, è importante che il venditore informi il potenziale acquirente sia dello stato dei pagamenti dei contributi condominiali inerenti all’immobile oggetto di trattativa, sia della esistenza di eventuali contenziosi di natura condominiale che potenzialmente possono essere ereditati dal nuovo proprietario.

In merito alle liti condominiali è giusto ricordare come Cass. Civ. Sez.II, n.12013 del 01.07.2004, abbia sottolineato come il condomino creditore che intenda agire in executivis contro il singolo partecipante al condominio per il recupero delle spese di conservazione dell'immobile accertato con sentenza, deve rivolgere la propria pretesa, sia per il credito principale, che per il credito relativo alle spese processuali, contro chi rivestiva la qualità di condomino al momento in cui l'obbligo di conservazione è insorto, e non contro colui che tale qualità riveste nel momento in cui il debito viene giudizialmente determinato. A fronte di questa giurisprudenza, la mancata informativa circa l’esistenza di liti condominiali in corso diventa meno pregiudizievole per il futuro acquirente, dal momento che ogni conseguenza in caso di soccombenza nel giudizio rimarrebbe in capo al precedente proprietario.

Questa lunga premessa si è resa necessaria affinché l’autore del quesito possa essere correttamente informato degli orientamenti rilevanti della giurisprudenza in merito al caso prospettato, e possa capire in autonomia se è il caso o meno di aderire all’invito di negoziazione assistita che gli è stato rivolto dalla controparte.
Sulla base di quanto riferito, ci si sente di dire che nel caso in cui si decidesse di andare in giudizio rifiutando qualsiasi tentativo conciliatorio antecedente allo stesso l’autore del quesito abbia buone possibilità di ottenere un esito favorevole.
Tale considerazione, però, rimane valida se si abbia la ragionevole certezza di riuscire a raggiungere in giudizio la prova che: l’acquirente sia stato informato in sede di trattativa della esistenza di vizi di infiltrazioni nel box auto venduto; la lettera dell’amministratore datata 14.03.2018 sia giunta a conoscenza dell’acquirente prima della stipula del rogito definitivo di acquisto.

In merito al contenzioso ancora pendente, si ritiene che l’acquirente non possa accampare la sussistenza di danni o comunque di pregiudizi di qualsiasi natura per non essere stato informato della sua esistenza: sulla base della giurisprudenza che si è citato, eventuali esiti pregiudizievoli derivanti dalla soccombenza del condominio in Appello o in Cassazione rimarranno comunque in capo alla parte venditrice. Tale circostanza viene, tra l’altro, puntualmente precisata nella lettera dell’amministratore che si è dato in visione.
Concludendo il parere, è giusto ricordare come anche se si abbia delle buone chance di vittoria, un contenzioso giudiziario reca sempre in sé un certo rischio di soccombenza, rischio che si deve accettare e si deve tenere ben presente nel momento in cui si rifiutano a priori ipotesi transattive: sta alle prove che abbiamo in mano, e all’avvocato che ci assiste fare in modo che tale rischio rimanga calcolato e non si trasformi in un pericoloso azzardo.


Giovanni B. chiede
venerdì 03/05/2019 - Lombardia
“Da due anni abito in un appartamento con terrazzo ad uso esclusivo mio che però fa da copertura a due negozi sottostanti con lucernario in vetrocemento.La pavimentazione di questo lastrico solare è di tipo GALLEGGIANTE ma solo dopo due anni di abitazione senza aver usufruito mai di questo spazio, mi trovo muschio che cresce ovunque tra una piastrella e l'altra.Non solo, foglie e acqua di bagnatura che scendono dai balconi degli appartamenti sovrastanti si insediano nelle fessure.Consideriamo pure che i due pluviali del condominio scaricano in questo terrazzo e sembra che l'acqua ristagni sotto le piastrelle. Considerando tutto ciò, la domanda è:
Vorrei rifare questa pavimentazione e quindi desidero sapere se il Condominio non sia responsabile di questa situazione che si è creata e che sicuramente faro' ispezionare da un tecnico. Se il condominio scarica in questo terrazzo perché io dovrei provvedere alla manutenzione e per il rifacimento dello stesso con 1/3 a mio carico se la situazione che si è creata non è per mia causa?
Inoltre il proprietario che mi ha venduto l'appartamento è responsabile del fatto che non abbia mai fatto una manutenzione? Ringrazio e saluto.”
Consulenza legale i 09/05/2019
Sulla base di quanto descritto nel quesito parrebbe di trovarsi di fronte ad una terrazza a livello che funge da copertura di alcune unità sottostanti. Così come il lastrico solare anche la terrazza a livello, se non risulta diversamente dal titolo di acquisto, deve considerarsi pertinenza dell’appartamento alla quale accede e quindi parte dell’edificio in proprietà esclusiva.
Proprio perché tale parte dell’edificio ha una doppia natura condominiale e di bene esclusivo in quanto assolve sia ad una funzione di copertura delle unità ad esse sottostanti, rimanendo comunque un bene privato del singolo condomino, i lavori di rifacimento e di ricostruzione sono ripartiti secondo l’art. 1126 del c.c. Tale norma, come noto, attribuisce le spese di riparazione del lastrico solare per un 1/3 al suo proprietario o a chi ne ha l’uso esclusivo, i restanti 2/3 devono essere suddivisi tra i condomini che usufruiscono della copertura di tale parte dell’edificio.

Tuttavia è opportuno segnalare che tale criterio di suddivisione non è applicabile ad ogni tipo di riparazione: tutti i lavori di rifacimento della zona di calpestio o ricollegati alla sua sicurezza (ad. es. rifacimento delle ringhiere o dei parapetti), proprio perché non ricollegati alla funzione tipica di copertura sfuggono al criterio di ripartizione sopra descritto, rimanendo completamente a carico del proprietario o utilizzatore esclusivo della terrazza a livello o del lastrico solare (si veda Cass.Civ. sez.II, n.2726 del 25.02.2002). Per quello che viene riferito nel quesito, quindi, non essendo coinvolta la funzione di copertura della terrazza, i lavori di rifacimento della pavimentazione sono a totale carico della sua utilizzatrice esclusiva.
Fatta tale doverosa precisazione, è assolutamente opportuno che venga chiarita per mezzo di una perizia la causa dei danni derivanti alla zona di calpestio della terrazza, in quanto se essi sono derivati o da una non corretta manutenzione delle terrazze sovrastanti o dei canali di scolo condominiali, potrebbero essere chiamati a rispondere di tali danni o i proprietari delle terrazze sovrastanti o il condominio.

Veniamo ora a trattare eventuali profili di responsabilità del venditore dell’appartamento. Generalmente, nel momento in cui si acquista un appartamento da privato e, quindi, non direttamente dal costruttore, viene inserita nel rogito di acquisto la clausola definita:” visto e piaciuto”, in forza del quale l’acquirente acquista l’unità immobiliare nello stato in cui si trova accettando di fatto e facendosene quindi carico, dei vizi che lo stesso può presentare sia relativi alle parti in proprietà esclusiva, sia alle parti più propriamente condominiali.
L’unico caso in cui il venditore privato può rispondere dei difetti dell’appartamento ceduto è nel caso in cui i vizi siano occulti. Si definiscono occulti quei vizi di cui il compratore non solo non ne aveva conoscenza durante la stipula del rogito di vendita, ma non avrebbe potuto neppure rilevarli utilizzando l'ordinaria diligenza. Tuttavia se il venditore nel rogito di vendita ha dichiarato che l’immobile è immune da qualsiasi difetto, ai sensi dell’art.1490 del c.c. la garanzia è comunque dovuta anche se i vizi erano facilmente riconoscibili.
Secondo quanto riferito nel quesito sarebbe piuttosto arduo muovere al precedente proprietario dell’appartamento una qualche contestazione, in quanto i difetti che caratterizzano la pavimentazione della terrazza erano comunque facilmente rilevabili anche da un occhio non esperto, salvo che, direi piuttosto incautamente, il venditore non abbia espressamente garantito nel rogito che l’abitazione era completamente esente da difetti.


Antonino R. chiede
lunedì 18/09/2017 - Sicilia
“Nel Dicembre 2016 ho acquistato un'auto 2.0 mjet del 2014 con 20.000 km.
In questi 8 mesi ho fatto personalmente altri 25.000 km soddisfattissimo della vettura ma 2 settimane fà una bella sorpresa! un guasto che sembrava da niente ed invece mi hanno diagnosticato una lesione del monoblocco e quindi praticamente ci vuole il motore nuovo... a soli 42.000 km!!!
La vettura è stata portata presso una officina autorizzata nella speranza che essendo senza dubbio un difetto di fabbrica (fusione difettosa del materiale) potessero intervenire.
La casa-madre sta facendo dei problemi seri per intervenire in garanzia in quanto ha trovato 2 vizi su cui si appellano e cioè che il vecchio proprietario nei 2 anni di garanzia legale non ha fatto il tagliando previsto, ma purtroppo il signore ha venduto la macchina a me con 20.000 km ignaro del fatto che il tagliando si doveva fare si a 30.000 km ma se non avesse raggiunto il chilometraggio avrebbe dovuto cmq farlo all'anno! altro difetto di forma è che la vettura è stata inizialmente smontata da un'officina non autorizzata, se pur sempre qualificata ed autorizzata per altri marchi.
Ammetto che possano esserci dei vizi di forma in tutto ciò ma mi sembra poco professionale che la casa-madre non voglia intervenire in un evidente danno di fabbrica su una vettura di livello medio alto, con soli 3 anni di vita e con 42.000 km, anche se hanno visto questi 2 vizi di forma.
Cosa mi consigliate? posso appellarmi a qualcosa? grazie anticipatamente.”
Consulenza legale i 24/09/2017
Il venditore di un autoveicolo è tenuto a garantire all’acquirente la conformità del bene al contratto per due anni dalla consegna, come espressamente sancito dall’art. 130 del Codice del Consumo; la garanzia di conformità consente all’acquirente di richiedere al venditore, alternativamente, la riparazione del guasto, la sostituzione del veicolo, una congrua riduzione del prezzo, ovvero la risoluzione del contratto di vendita.

Per quanto riguarda le automobili, e come giustamente rilevato dall’officina autorizzata, tale garanzia viene negata dai venditori e dalle case produttrici quando non viene effettuato il tagliando secondo la periodicità prescritta, in quanto la mancanza di manutenzione ordinaria del mezzo farebbe venir in rilievo la colpa dell’acquirente.
Non è tuttavia necessario che le riparazioni ed i tagliandi vengano effettuati presso le officine autorizzate, purché l’officina sia parimenti qualificata ai sensi del Reg. Europeo 1400/02, e sia in grado di rilasciare un’adeguata certificazione di conformità dei lavori eseguiti alle prescrizioni della casa-madre.

Chiaramente, anche se la circostanza che le operazioni di riparazione siano iniziate presso un’altra officina non autorizzata dalla casa-madre non è rilevante ad escludere la garanzia, l’azienda produttrice ben potrà sostenere che in quella sede siano stati commessi errori o siano state manomesse parti del veicolo.
Dunque l’azienda produttrice difficilmente le accorderà la riparazione, avendo dalla sua parte buone giustificazioni per sottrarsi alle riparazioni in garanzia.

Peraltro la casa-madre non è tenuta alla riparazione dell’auto oltre al periodo di garanzia, successivamente ai due anni prescritti dalla normativa, anche se si tratta di difetti di fabbrica.
La riparazione del veicolo per riconosciuti difetti di produzione è peraltro una buona pratica commerciale delle aziende automobilistiche, spesso attuata sia per finalità commerciali sia poiché sono comunque responsabili dei danni che il prodotto difettoso potrebbe arrecare a persone e/o cose (non all’auto stessa), per dieci anni dalla vendita, ma non è un diritto del consumatore.
La disciplina in materia è dettata dal DPR n. 224/88: l’art. 14 sancisce che “è risarcibile in base alle disposizioni del presente decreto: a) il danno cagionato dalla morte o da lesioni personali; b) la distruzione o il deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso [omissis]”, non invece il danno al veicolo stesso del quale, quindi, non potrà esserne pretesa la riparazione.


Se la vendita è avvenuta tra privati, invece, non trova applicazione il Codice del Consumo ma le norme previste dal codice civile.
Il venditore ai sensi degli artt. 1490 c.c. e seguenti, è tenuto a garantire il compratore per i vizi che rendono il bene inidoneo all’uso o ne diminuiscano apprezzabilmente il valore.

Si noti che il venditore non è tenuto a tenere indenne dai vizi conosciuti o conoscibili dall’acquirente, come ad esempio il cattivo stato manutentivo dovuto alla mancata revisione periodica, in quanto è onere del compratore prestare diligenza negli acquisti e nelle pratiche commerciali e si dovrebbe presumere che avesse visionato il mezzo e la relativa documentazione.
Parimenti il venditore non sarà tenuto alla garanzia quando i vizi dipendono, non da un difetto intrinseco dell’oggetto, ma dal naturale stato di vetustà del bene.

Quindi, se effettivamente si tratta di un difetto di fabbrica, e non riesce a trovare un accordo con l’officina autorizzata sarà più opportuno rivolgersi al privato venditore dell’auto.
L’acquirente ex art. 1492 c.c. potrà richiedere una riduzione del prezzo proporzionale al diminuito valore del bene, ovverosia alla somma che presumibilmente occorrerà per la riparazione, oppure potrà chiedere la restituzione del prezzo pagato e la risoluzione del contratto.

Ciò a prescindere dalla sussistenza in contratto della cosiddetta clausola “visto e piaciuto”.
Solitamente, quando si acquista un’auto usata presso un soggetto organizzato imprenditorialmente (ad esempio un autosalone) nel contratto è presente una clausola in virtù della quale l’acquirente espressamente rinuncia alla garanzia per vizi, anche occulti, accettando senza riserva il bene nello stato in cui appare, visto e piaciuto appunto.
Tuttavia la Suprema Corte nella sentenza n. 124120/2016 ha chiarito che “il venditore di vettura usata, pertanto, è tenuto alla garanzia per i vizi occulti, anche se la vendita sia avvenuta “nello stato come vista e piaciuta” e, ciò, a prescindere dal fatto che la presenza di essi non sia imputabile ad opera del venditore, ma, esclusivamente, a vizi di costruzione del bene venduto".
Una siffatta clausola, ove convenuta, potrebbe escludere dalla garanzia solo i vizi facilmente riscontrabili dall'acquirente, ma non potrebbe avere l'effetto di escludere la garanzia legale di cui all'art. 1490 c.c. per i vizi occulti.

Pertanto dovrà rivolgere le sue richieste al privato venditore.

Si noti che il vizio andava denunciato all'alienante entro 8 giorni dalla sua scoperta e l’azione estimatoria (riduzione proporzionale del prezzo) o redibitoria (risoluzione del contratto) andranno proposte entro un anno dalla consegna del bene: trascorso tale periodo non potrà più far valere i suoi diritti.

Mario M. chiede
lunedì 19/06/2017 - Valle d'Aosta
“Buongiorno,
ho firmato un preliminare di vendita per un alloggio in una palazzina tot. 5 alloggi,versato caparra e registrato all'agenzia delle entrate. sul preliminare vengo autorizzato ad accedere da subito ai locali per effettuare le migliorie necessarie.
Durante la prima visita con il venditore dell'agenzia immobiliare, mi viene detto che l'intero stabile non è collegato all'acquedotto perché manca il contatore, staccato per non pagare le varie tasse.
Fatta richiesta in comune per il riallaccio, necessario per poter eseguire i piccoli lavori interni, mi viene rigettata la domanda in quanto non ho titolo per richiedere l'allaccio, e mi viene comunicato che comunque lo stabile non può essere allacciato alla rete in quanto il tubo di adduzione risulta essere marcio e con vistose perdite, quindi è necessario realizzare una nuova rete dal pozzetto più vicino.
Avvisato a voce il proprietario, vorrebbe far pagare ai nuovi acquirenti la nuova opera, chiaramente non sono d'accordo. come posso difendermi?”
Consulenza legale i 20/06/2017
La questione da lei posta concerne la possibilità per il promissario acquirente di un immobile, che abbia stipulato un contratto preliminare di compravendita, di far valere la garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui agli artt. 1490 e s.s. c.c.

L'art. 1495 c.c. stabilisce, in particolare, che il compratore (il quale, dunque, sia già divenuto titolare del diritto di proprietà) ha la possibilità di esercitare il suo diritto alla garanzia per i vizi, purché ne denunci l'esistenza entro il termine di decadenza di 8 giorni dalla scoperta. L'azione, poi, si prescrive in un anno dalla consegna.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha analizzato la questione relativa alla possibilità per il soggetto che abbia stipulato un contratto preliminare (e che, pertanto, non sia ancora divenuto proprietario del bene) di esercitare ugualmente il diritto alla garanzia summenzionato.

In particolare, con la sentenza n. 23162 del 2013, la Cassazione ha precisato che nel caso in cui venga stipulato un contratto preliminare e l'immobile oggetto di contratto venga consegnato al promissario acquirente prima della stipula del contratto definitivo (come nel caso di specie), la consegna del bene non determina la decorrenza né del termine di decadenza per denunciare i vizi, di cui all'art. 1495 c.c., né del termine di prescrizione, in quanto "l'onere della tempestiva denuncia presuppone che sia avvenuto il trasferimento del diritto".

La Cassazione, inoltre, ha precisato che il promissario acquirente ha, comunque, la possibilità di denunciare i vizi che abbia riscontrato sull'immobile che ha già preso in consegna, così come può opporre al promissario venditore la c.d. "eccezione di inadempimento" (art. 1460 c.c.), rifiutandosi di procedere alla stipula del contratto definitivo e di pagare contestualmente il saldo del prezzo.

In alternativa, secondo la Cassazione, il promissario acquirente che abbia scoperto la sussistenza di vizi della cosa promessa in vendita può chiedere anche la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento (art. 1453 c.c.) del promittente venditore, o la condanna di quest'ultimo ad eliminare a proprie spese i vizi della cosa.

Ebbene, nel caso di specie, siamo in presenza proprio della fattispecie presa in esame dalla citata sentenza della Suprema Corte, in quanto:
- è stato stipulato un contratto preliminare di compravendita;
- il bene è già stato consegnato al promittente acquirente, in attesa della stipula del contratto definitivo;
- il promittente acquirente ha scoperto la sussistenza di vizi occulti (non conosciuti né conoscibili al momento della stipula del contratto) del bene oggetto di preliminare.

Di conseguenza, lei avrà due possibilità:
a) potrà esercitare il proprio diritto alla garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui all'art. 1490 c.c., chiedendo, in alternativa, la risoluzione del contratto di compravendita o la condanna del venditore a rimuovere, a proprie spese, i vizi della cosa (con la precisazione che non si applicano i termini di decadenza e prescrizione di cui all'art. 1495 c.c., che presuppongono l'intervenuto trasferimento del diritto di proprietà, che si verifica solo con la stipula del contratto definitivo);

b) potrà opporre al promittente venditore l'eccezione di inadempimento, di cui all'art. 1460 c.c., rifiutandosi di stipulare il contratto definitivo e di corrispondere il saldo del prezzo della compravendita.



Vincenzo M. chiede
lunedì 08/08/2016 - Puglia
“Parere: nel 2015 ho comprato un locale uso deposito al piano cantinato dell'appartamento in cui vivo esente da tutti i vizi oltre la parte venditrice garantisce l'esistenza di tutte le licenze in conformità in materia di sicurezza degli impianti esistenti.
Sta di fatto che nel corso del tempo il bene compravenduto è risultato affetto da vizi, quando piove, dalle grate del marciapiede anche se chiuse entra l'acqua piovana, di conseguenza il bene acquistato non può essere adibito ad uso deposito, cioè risulta inutilizzabile, non affittabile a nessuno in quanto non lo vuole nessuno.
Oltre il locale non ha mai avuto la conformità alle norme vigenti in materia di certificato prevenzione incendi a norma della nuova legge tant'è che i VVF hanno sequestrato tutti i locali vietando l'accesso ai veicoli di parcheggiare e ritenendo responsabile l'amministratore di condominio in quanto ha omesso di chiedere la certificazione prevenzione incendi, prescrivendo che nelle more dell'adempimento all'adeguamento è vietato parcheggiare gli autoveicoli.
In questo periodo di tempo ho dovuto trovare altro sistemazione per l'autovettura, la domanda è se l'amministratore è responsabile per la omessa richiesta del CPI chi paga tutte le spese di adeguamento? che ammontano a circa 10.000,00 €. ( non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo), chi dovrebbe pagare tutte le spese? ritenendo l'amministratore unico responsabile , tra l'altro nel 2015 avevo già chiesto per iscritto di consegnarmi il CPI ma non me lo ha consegnato perché non ne era in possesso e non l'aveva mai richiesto. cosa posso fare nei confronti dell'amministratore e nei confronti del venditore che mi ha venduto un immobile non adatto all'uso convenuto?
grazie per la risposta.”
Consulenza legale i 10/08/2016
Da ciò che emerge dal quesito, parrebbe sussistere la responsabilità del venditore per aver venduto un immobile con dei vizi tali da renderlo inidoneo all’uso cui è destinato. Ciò configura la garanzia per vizi, che, ai sensi degli artt. 1490 e 1492 c.c., consentono al compratore di richiedere larisoluzione del contratto e il risarcimento dei danni.
Si badi però che l’art. 1495 c.c. sottopone a brevi termini di decadenza e prescrizione tale tipo di responsabilità: il compratore decade dall’azione se non denuncia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, e l’azione si prescrive entro un anno dalla denuncia. Resta salvo il caso in cui il venditore abbia dolosamente occultato i vizi – come pare essere accaduto nel caso di specie – poiché in tal caso non è necessaria la denuncia.
In altre parole, entro un anno dal giorno in cui il compratore ha scoperto la mancanza delle licenze/autorizzazioni il compratore potrà decidere se risolvere il contratto o richiedere una riduzione del prezzo, fatto salvo il diritto al risarcimento del danno.

Per ciò che concerne, invece, l’amministratore di condominio, è prassi consolidata che il rapporto fiduciario che si genera tra l’amministratore e il condominio possa essere inquadrato nella fattispecie del contratto di mandato: pertanto, ogniqualvolta l’amministratore non adempia con la diligenza al suo incarico, potrà essere chiamato a risarcire i danni provocati al condominio, sol che si dimostri l’esistenza di una omissione da parte sua.
Nel caso di specie, appare palese la sussistenza di un’omissione e conseguente danno subito dal condominio e dai singoli condomini: essi ben potranno agire per chiedere la revoca dell’amministratore e il risarcimento del danno da egli provocato nei loro confronti.

Giovanni M. D. chiede
martedì 05/04/2016 - Puglia
“Salve, sono un collega e mi trovo a gestire la seguente questione:
1)Tizio acquista nel Dic. 2007 immobile ad uso abitativo;
2)Nel Gen. 2016, a seguito del propagarsi di un piccolo incendio lungo l’impianto elettrico, scopre che quest’ultimo non era a norma, ovvero, conforme alla L. 46/1990, a dispetto di quanto garantito dal venditore (“immobile completamente ristrutturato a nuovo”);
3)Il perito di parte, incaricato di redigere perizia dell’impianto in parola, concludeva sconsigliando l’utilizzo dell’immobile in oggetto, dichiarandone, di fatto, l’inagibilità e quantificando in circa 8.000 euro la spesa necessaria per la ‘messa a norma’;
4)Tizio denunciava immediatamente, per iscritto, i suddetti vizi, senza ricevere alcun riscontro da parte del venditore.
Nella veste di legale di Tizio, vi pongo il seguente quesito:
Atteso lo spirare del termine annuale per l’esperimento dell’azione per il riconoscimento dei vizi redibitori, ex artt. 1490-1495 c.c., ritenete applicabile alla fattispecie l’istituto dell’ALIUD PRO ALIO’ che, come noto, è soggetto al termine decadenziale decennale.
In attesa, invio cordiali saluti”
Consulenza legale i 13/04/2016
Ad avviso di chi scrive la fattispecie può essere ricondotta all’ipotesi di consegna di “aliud pro alio” e ciò sulla base, essenzialmente, della definizione che nel corso degli anni la giurisprudenza ha elaborato in merito a quest’ultima fattispecie (normativamente non contemplata) per distinguerla dalla garanzia per i vizi redibitori ex art. 1490, nonché dell’esame complessivo delle sentenze che si sono pronunciate su casi che si possono ritenere analoghi a quello in esame.

Sotto il primo profilo, si ritiene che si abbia consegna di “aliud pro alio” quando la cosa o appartenga ad un genere del tutto diverso da quello pattuito oppure quando la cosa difetti di quelle qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione economico-sociale o a quella particolare funzione che le parti abbiano assunto contrattualmente come essenziale.

Tra le tante e più recenti pronunce si cita, a tal proposito Cassazione civile, sez. II, 19/12/2013, n. 28419, la cui massima recita: “In tema di compravendita, vizi redibitori e mancanza di qualità si distinguono dall'ipotesi della consegna di “aliud pro alio”, che dà luogo a un'ordinaria azione di risoluzione contrattuale svincolata dai termini e dalle condizioni di cui all'articolo 1495 c.c., la quale ricorre quando la diversità tra la cosa e quella consegnata incide sulla natura e, quindi, sull'individualità, consistenza e destinazione di quest'ultima sì da potersi ritenere che essa appartenga a un genere del tutto diverso da quello posto a base della decisione dell'acquirente di effettuare l'acquisto, o che presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti, facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto”.

Ciò detto, è interessante, per individuare una soluzione al caso concreto proposto, esaminare norme e pronunce giurisprudenziali in materia, in particolare, di immobile privo di agibilità, poiché si tratta di condizione sostanzialmente del tutto assimilabile a quella di un immobile che sia successivamente divenuto, ad esempio proprio per l’esistenza di impianti non a norma, del tutto inagibile e di conseguenza inidoneo proprio ad assolvere alla funzione economico-sociale (abitazione) che l’acquirente a suo tempo ha ritenuto essenziale per decidersi a contrarre.

Nel Testo Unico in materia edilizia (D.P.R. n. 380/2001) il legislatore ha unificato i termini di agibilità–abitabilità, ed ha sostanzialmente spiegato che il certificato di agibilità, rilasciato dal Comune, ha la funzione precipua di attestare la sussistenza delle condizioni di sicurezza, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati e non solo la regolarità urbanistica del bene. Si ritiene che il concetto di agibilità ricomprenda, quindi, tutti i controlli e le verifiche sulla sicurezza dell’immobile, introdotte negli anni dal legislatore, dovendo, il relativo concetto, intendersi in senso ampio in quanto attinenti non solo alla igiene e alla salubrità dell’immobile e degli impianti in esso installati, ma anche alle condizioni qualitative dell’edificio come pure alla statica dello stesso, valutata alla luce di indagini a carattere geognostico (si veda la relazione al T.U.).

Quindi, il certificato di agibilità va a tutelare l’interesse particolare dell’acquirente, perché attesta la capacità del bene di assolvere alla funzione economico-sociale cui è destinato, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità.

La Corte di Cassazione, anche recentemente, ha ribadito che “il certificato di agibilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, poiché (per l’appunto) vale ad incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere alla sua funzione economico-sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità”. “Pertanto, il compratore può far valere la responsabilità contrattuale del venditore che si configura per la consegna aliud pro alio, permettendogli di richiedere il risarcimento danni per la ridotta commerciabilità del bene” (Cass. Civ. n. 629 del 14/01/2014 e la citata Cass. Civ. n. 23157 del 11/10/2013).

Ora, è evidente che il difetto di un impianto rientra senza dubbio nella più ampia fattispecie di mancanza di agibilità dell’immobile: di fatto, se un impianto non è a norma, l’agibilità non può essere rilasciata.

Si tenga presente, peraltro, che non è tanto la mancanza del certificato formale che determina la responsabilità del venditore per consegna di aliud pro alio quanto piuttosto la inidoneità intrinseca dell’immobile ad essere agibile: “Il c.d. “aliud pro alio” sussiste allorquando la “res tradita” sia completamente diversa da quella pattuita, come tale del tutto inidonea ad assolvere la destinazione economico-sociale di quest’ultima e, comunque, a soddisfare in concreto i bisogni che determinarono l'acquirente ad effettuare l'acquisto (nella fattispecie il tribunale ha ritenuto, tra l'altro, che l'ipotesi non può dirsi integrata dalla mera mancanza dei certificati di abitabilità e/o agibilità dell'immobile, ma solamente dall'intrinseca inidoneità dello stesso a soddisfare i requisiti richiesti al fine di ottenere tale certificazione)“ (Tribunale Torino, 24/05/2002).

Nel caso di specie, si noti bene, non si tratta in effetti di impianto “formalmente” non a norma, ma di un impianto che, già in funzione, ha rivelato gravi difetti di produzione/conservazione atti a renderlo inidoneo all’uso e – per l’effetto – a rendere inidoneo al suo precipuo uso (abitazione) altresì l’immobile a suo tempo acquistato.

Per il ragionamento sopra esposto, si può ritenere del tutto logica e giuridicamente fondata la riconduzione del caso di specie ad un’ipotesi di responsabilità per aliud pro alio.

E’ comunque doveroso ed importante tenere presente che la materia è stata ed è ancora oggetto di forte discussione tra i Giudici e che non sono mancate negli anni anche pronunce di segno contrario rispetto a quelle sopra richiamate. Ciò è bene evidenziare al cliente sotto il profilo del rischio di causa.

Anonimo chiede
lunedì 08/02/2016 - Lazio
“Buongiorno,
avrei bisogno di un parere da parte del Vostro Spettabile Studio.
Ho venduto da poco la mia macchina OMISSIS ad un privato cittadino. Dopo ca 20 gg questa persona mi ha contattato dicendo che dalla macchina entrava acqua dal tetto.
Basito di quanto riferitomi ho consigliato di portare la macchina alla casa madre in quanto la stessa è coperta da garanzia per altri 8/9 mesi.
Dopo aver fatto ciò questa persona mi contatta dicendo che la macchina è stata “riparata” in garanzia (quindi senza richiesta di denaro) ma nonostante tutto rivendica l’annullamento della vendita, più tutta una serie di “accuse” per il fatto di non averlo messo al corrente dell’inconveniente, facendo riferimento ai vizi occulti, all’articolo 1490 c.c. e seguenti, ecc., inconveniente di cui peraltro non ero a conoscenza neanche io, in quanto in 3 anni in mio possesso non mi è mai accaduto nulla di quanto dichiarato dall’acquirente.
Cosa devo fare? Come devo comportarmi? Può lui richiedere soldi come risarcimento? Per quanto tempo può avanzare pretese?

grazie

P.S. è possibile avere la risposta solo sulla mail, senza pubblicazione sul sito?”
Consulenza legale i 15/02/2016
L'acquisto di un'auto usata tra privati è soggetta alle "sole" garanzie previste dal codice civile, cioè degli articoli 1490 e ss. del codice civile.
Infatti, differentemente rispetto alla vendita di auto tra concessionario e privato, non si applica la disciplina prevista dal D.L. n. 24 del 2 febbraio 2002 (attuazione della direttiva CE n. 44 del 1999) in materia di tutela dei consumatori, poiché essa si applica solo agli scambi tra "consumatore" e "professionista".
Pertanto, nel caso di specie l'art. 1490 del c.c. prevede che "Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore", come reclamato dall'acquirente.
Tuttavia, si ritiene che si possa sostenere quanto segue: non risulta inverosimile che in un'auto cabrio usata possa, da un momento all'altro (quindi successivamente alla vendita del bene), entrare dell'acqua dal tettuccio, proprio a causa dell'usura; il vizio che si è manifestato non è tanto rilevante da renderle impossibile l'uso a cui è destinata l'auto (il trasporto); il vizio, in relazione al valore dell'auto, presumibilmente non raggiunge un valore apprezzabile.
Tra l'altro, nel caso di specie, il venditore ha comunque tenuto indenne l'acquirente per il vizio che si è manifestato poiché quest'ultimo ha riparato l'auto a costo zero; pertanto, il danno effettivamente subìto dall'acquirente equivale al solo "fastidio" della riparazione.
Si ritiene che difficilmente l'acquirente possa convenire in giudizio il venditore - e sostenere i costi legali di una controversia giudiziale - al fine di richiedere la risoluzione del contratto, ai sensi dell'art. 1492 del c.c. (il quale richiama l'art. 1453 del cc.), proprio perché sarebbe difficile sostenere e dimostrare che il vizio che si è manifestato, considerando che si tratta di auto usata, possa determinare la risoluzione del contratto.

Isabella P. chiede
martedì 07/07/2015 - Piemonte
“Spett. Le Redazione, sono a sottoporvi il mio caso. Volendo acquistare una casa per le vacanze con i proventi derivanti dall’alienazione di un immobile di mia proprietà, a marzo di quest’anno mi sono recata in loco a visitarne alcune tramite un’agenzia immobiliare. Avendo trovato un alloggio inserito in un contesto gradevole abbiamo iniziato le prime trattative di rito. Nei giorni successivi abbiamo richiesto tramite l’agente immobiliare la documentazione relativa alla situazione urbanistica e catastale dell’immobile e proceduto a fare personalmente le visure catastali e ipotecarie. Successivamente richiedevo per iscritto ad un collaboratore dell’agenzia la conformità urbanistica edilizia e catastale. Mi rispondeva la titolare dell’agenzia stessa garantendomi per iscritto che avrebbe fatto sanare eventuali irregolarità che avrebbero potuto emergere dopo aver effettuato un sopralluogo e che comunque l’immobile sarebbe stato venduto in regola con le norme edilizie ed urbanistiche. L’immobile è risultato gravato da ipoteca giudiziale e per tale motivo, avendo la proprietà, dei termini di scadenza da rispettare con la banca creditrice occorreva per chiudere la trattativa procedere celermente. Per questo dovendo io chiedere il mutuo per una parte del valore che avrei utilizzato per la ristrutturazione, l’agente mi consigliava di pagare per contanti e richiedere il mutuo successivamente. Così ho fatto, facendomi assistere da un legale per la questione dell’ipoteca. A seguito di una seconda visita dell’immobile è emerso che la cantina di pertinenza dell’alloggio, pur essendo accatastata, non esisteva di fatto. Abbiamo concordato a fronte di uno sconto di 1000 euro sulla base di un preventivo fornitoci dall’agente per la costruzione della stessa, di accollarci tale incombenza . Sottoponendo la questione cantina ad un tecnico, venivo informata che non si trattava della semplice presentazione di una Cil ma occorreva una sanatoria in quanto il locale cantina non era presente nella licenza edilizia (fabbricato costruito ante 1967) ma al suo posto c’era un unico grande ambiente. Essendo che i tempi della sanatoria erano lunghi l'agente ha proposto come soluzione un nuovo accatastamento con tratteggio a carico del venditore trasformando la cantina da costruita ad ancora da costruire. Il notaio accettava questa soluzione. In seguito il notaio stesso mi portava a conoscenza che il certificato di agibilità era non rintracciabile o assente. Al punto in cui eravamo ho accettato di richiederlo successivamente. Nel frattempo ho avuto conferma di concessione del mutuo. In data 25/05/15 il perito della banca ha effettuato il sopralluogo con l’agente immobiliare che facendo seguito alla visita mi conferma il buon esito della stessa. In data 28/05/15 è stato stipulato l’atto e la modalità di pagamento è avvenuta tramite un assegno circolare per la quasi totalità dell’importo a favore della banca e in piccola parte al proprietario. In data 22/06/15 a seguito di un incontro tra l’ingegnere che avrebbe dovuto occuparsi della ristrutturazione con il tecnico comunale per la presentazione della Cil sono emerse due difformità edilizie all’interno dell’appartamento (allegato 5) di cui una ha bloccato di fatto i lavori perché interessa l’apertura di una porta su di un muro portante. Ciò ha comportato che l’ appartamento non potesse più venire pronto per le vacanze. Nel frattempo ho avuto comunicazione dalla banca che avendo riscontrato il perito tali difformità mi vedevo negata l’erogazione del mutuo. Avendo io nell’arco temporale tra l'atto e tali comunicazioni provveduto all’ acquisto del mobilio e posto come condizione consegna tassativa per fine luglio, mi trovo anche a dover corrispondere al mobiliere una cifra di cui non sono in possesso per via del blocco del mutuo e a dover chiedere la custodia degli arredi stessi per un tempo non ancora determinato. Prima di me vengono messe al corrente della situazione dall’ingegnere(mi era stato presentato dall’agente) l’intermediario e la parte venditrice. Quest’ultima mi telefona e si dice disposta ad accollarsi la pratica della sanatoria e ciò che ne consegue e a rendersi disponibile a dare un contributo per le vacanze, mentre la seconda si limita a dirsi dispiaciuta. Di fronte ad una formale richiesta di risarcimento danni nella quale mi dimostravo disposta ad accettare la proposta della venditrice, quest’ultima consulta il suo legale e cambia la situazione scrivendole zia consultarmi, all’ingegnere che doveva occuparsi della sanatoria ribadendo che si sarebbe fatta carico solo di una parte di essa. A quel punto le scrivo ricordandole il fatto che ha firmato il falso in atto cagionandomi tutti i danni di cui sopra e in giornata ricevo la lettera via e-mail dal suo avvocato (allegato 6) nella quale disconosce ogni responsabilità ‘. Vengo anche a conoscenza che la cantina nello stato in cui dovrebbe essere costruita come da nuovo accatastamento, risulta difforme dalla concessione edilizia per via di una porta indicata come esistente nell’accatastamento ma che di fatto non esiste e nella licenza edilizia addirittura si trova ubicata su altra parete.

Vorrei avere un parere legale ai seguenti quesiti:
1) Quali sono le responsabilità civili e penali dell’agente e di parte venditrice
2) Quali danni posso richiedere per una situazione che si sta complicando sempre più anche perché qualora il mutuo non mi venisse concesso non potrei beneficiare del bonus ristrutturazione in quanto non sono al momento in grado di portare economicamente a termine i lavori senza il supporto del mutuo stesso. Stesso problema per i mobili acquistati.
3) Inoltre avrei dovuto chiedere la residenza per l’acquisto come prima casa ed ora sono costretta dalle circostante a dover pagare la imu come seconda casa invece della tasi
4) Ovviamente dovrò anche accollarmi la spesa delle vacanze o rinunciarvi assieme a tutta la mia famiglia.
5) Posso richiedere anche i danni morali in quanto la situazione sta avendo conseguenze negative sul mio stato di salute e sul lavoro.
Grazie”
Consulenza legale i 09/07/2015
Nel caso di specie, abbiamo l'acquisto di un immobile, preceduto da una fase di trattative, tramite agenzia immobiliare, che ha sempre tenuto i contatti tra parte venditrice e parte acquirente. Solo dopo il rogito, sono emerse irregolarità edilizie.

Responsabilità del venditore
Il venditore assume le garanzie previste dalla legge nei confronti del debitore. In particolare, egli è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore (art. 1490 del c.c.). Il contenuto della garanzia consiste nella possibilità per il compratore di chiedere a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo (ma per determinati vizi, meno gravi, gli usi escludono la risoluzione). Resta salvo in ogni caso il risarcimento del danno.
Nel caso di specie, il problema più rilevante è dato dal fatto che una difformità edilizia sta causando dei ritardi nell'erogazione di un mutuo al compratore, il quale, di conseguenza, sta subendo altri pregiudizi (ritardo nella consegna del mobilio, mancato godimento delle vacanze, ...).
La parte venditrice si è già resa disponibile a sostenere gli oneri della regolarizzazione edilizia, che certamente le competono vista la garanzia per i vizi dell'immobile (in ogni caso, ora che ha riconosciuto il vizio per iscritto, non servono altre prove).

Le "limitazioni" della garanzia evidenziate dal legale della controparte non sembrano poter operare, posto che l'art. 1490 al secondo comma sancisce chiaramente che l'eventuale patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto, se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa: circostanza che sembra essersi verificata nel caso di specie.

Quanto al risarcimento dei pregiudizi cagionati al compratore, l'art. 1494 del c.c. stabilisce che, in ogni caso, il venditore è tenuto verso il compratore al risarcimento del danno, se non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa; il venditore deve altresì risarcire al compratore i danni derivati dai vizi della cosa.
Pertanto, ogni danno che risulti essere conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento del venditore - cioè, della presenza dei vizi - dovrebbe essere risarcito al compratore. Naturalmente, se il venditore non adempie spontaneamente, sarà necessario proporre una causa giudiziale, in cui potrà chiedersi il risarcimento sia del danno patrimoniale (esborsi economici, ad esempio, per la custodia del mobilio che non può essere ancora collocato nell'appartamento) sia del danno non patrimoniale (il c.d. danno biologico). Attenzione, però, che quest'ultimo deve essere rigorosamente provato: il più recente orientamento della giurisprudenza (anche se la questione è stata nuovamente rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione) ha elaborato la nozione di "personalizzazione" del danno, in modo tale da consentire una congrua liquidazione equitativa del danno biologico, con riferimento alle sue componenti di danno morale e di danno esistenziale.

Responsabilità dell'agenzia immobiliare
Si deve richiamare la disciplina della figura del "mediatore" (artt. art. 1754 del c.c. ss. c.c.).
Ai sensi dell'art. 1759 del c.c., il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note (conosciute o che avrebbe dovuto conoscere con la diligenza ordinaria), relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso.
Si ritiene che il mediatore non sia tenuto a compiere indagini tecniche al fine di individuare circostanze rilevanti ai fini della conclusione dell'affare a lui non note, tuttavia ciò non significa che egli possa fornire informazioni non veritiere, oppure delle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato: nel caso di specie, l'agente immobiliare sembra aver rassicurato il compratore sulla regolarità dell'immobile, forse non in mala fede, ma certamente in modo negligente, perché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli avrebbero imposto di astenersi dal dare informazioni inesatte, se non ne era sicuro.
In questo caso, può configurarsi una responsabilità per i danni sofferti dal cliente per effetto delle falsità a lui raccontate (v. Cass. civ., 24.10.2003, n. 16009; Cass. Civ., sez. III, 16.7.2010 n. 16623, "Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’art. 1759 c.c., comma 1 – che impone al mediatore l’obbligo di comunicare alle parti le circostanze a lui note circa la valutazione e la sicurezza dell’affare che possano influire sulla sua conclusione – deve essere letto in coordinazione con gli artt. 1175 e 1176 c.c., nonché con le disposizioni specifiche della materia – a partire dalla L. n. 39 del 1989, applicabile, ratione temporis, alla fattispecie dedotta in giudizio, fino al recente D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59 – che hanno dato particolare risalto alla natura professionale dell’attività del mediatore, subordinandone l’esercizio all’iscrizione in un apposito ruolo (ora sostituito, D.Lgs. n. 59 del 2010, ex art. 73, dalla iscrizione nel registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economiche e amministrative, c.d. REA), che richiede determinati requisiti di cultura e competenza e che è condizione per la stessa spettanza del compenso (L. n. 39 del 1989, artt. 2 e 6, non abrogati dalla nuova fonte). In tale prospettiva è stato significativamente stabilito che il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico specifico, a svolgere, nell’adempimento della sua prestazione, particolari indagini di natura tecnico – giuridica (come l’accertamento della libertà dell’immobile oggetto del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali e ipotecarie), al fine di individuare fatti rilevanti ai fini della conclusione dell’affare, è pur tuttavia gravato, in positivo, dall’obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, e, in negativo, dal divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su fatti dei quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle. Ne consegue che, qualora il mediatore infranga tali regole di condotta, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l’effetto, dal cliente").
Ne consegue che, a seconda della gravità dell'inadempimento del mediatore, da valutarsi nel caso concreto, il cliente avrà diritto a chiedere la ripetizione della provvigione pagata, integrale o parziale, nonché il risarcimento del danno che possa provarsi essere ricollegato alla condotta colpevole del mediatore.

Tiziana chiede
giovedì 10/03/2011 - Toscana
“Ho da poco acquistato una auto usata, dopo pochi giorni ho riscontrato che aveva problemi abbastanza importanti al motore, posso chiedere i danni al venditore?”
Consulenza legale i 11/03/2011

La garanzia sulle auto anche usate, per qualsiasi difetto di conformità esistente alla consegna, è un diritto del consumatore che trova fondamento nel Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 conosciuto come Codice del consumo, agli artt. 130 e ss.

Nel nostro ordinamento esiste, inoltre, una norma che regola la vendita delle macchine e stabilisce che il venditore può garantire, per un determinato periodo di tempo, il buon funzionamento del mezzo (art. 1512 del c.c.).

Nel caso delle autovetture si precisa che certe Case Costruttrici offrono la c.d. Garanzia della Casa. Essa inerisce all’auto stessa, quando è nuova e segue l’auto per un determinato periodo di tempo, per tutelare l'acquirente su qualsiasi difetto di fabbricazione. Se l’auto viene alienata, tuttavia, subentra la garanzia legale detta anche Garanzia Europea perché recepita dagli stati membri sulla spinta della normativa della Comunità Europea. Dunque per eventuali anomalie presentatesi dopo l’acquisto ne risponde inderogabilmente il venditore di auto usate (professionista), trattandosi di un obbligo di legge non sostituibile ed irrinunciabile che lega un qualsiasi venditore al consumatore.


A. C. chiede
martedì 16/01/2024
“Buongiorno,
abbiamo acquistato un immobile a Maggio 2022. A Giugno 2023 abbiamo ricevuto un conguaglio straordinario dell'acqua ( probabilmente dovuto ad un errore di calcolo negli anni precedenti o ad una perdita) relativo al periodo Gennaio 21-Febbraio 23. L'anno contabile nel nostro condominio va da Ottobre a Settembre. Nel rogito non è stata fatta menzione circa il pagamento di conguagli straordinari. L'amministrazione ha comunicato che il pagamento spetta interamente a noi e che non è possibile richiedere al precedente proprietario il pagamento del consumo relativo ai mesi a lui spettanti. Mi chiedo se la richiesta dell'amministrazione sia corretta trattandosi di un conguaglio straordinario e se così fosse ho diritto a richiedere un rimborso ( trattandosi di consumi non preventivati nè deliberati) al precedente proprietario.
Ringrazio anticipatamente per la risposta
Cordiali saluti

Consulenza legale i 21/01/2024
Ciò che dice l’amministratore è purtroppo corretto. L’ obbligo di corrispondere gli oneri condominiali sussiste nel momento in cui ricorrono due presupposti:
  1. uno è quello di essere proprietari di una unità immobiliare in condominio;
  2. l’altro è la presenza di un rendiconto condominiale regolarmente approvato dalla assemblea.
Per ovvie ragioni temporali, la spesa attinente ad un conguaglio straordinario di acqua dovrà essere inserita nel bilancio di condominio che verrà approvato nella prossima riunione annuale, oppure in un riparto straordinario approvato da una riunione appositamente convocata dall’amministratore. In tutti i modi, il rendiconto verrà approvato in un momento successivo al perfezionamento dell’acquisto da parte del nuovo proprietario e quindi sarà lui, in quanto attuale condomino, il soggetto obbligato a corrispondere le somme in esso ripartite: sotto questo aspetto non ha alcuna rilevanza la circostanza che il consumo conguagliato dalla società idrica sia riferibile in un periodo in cui l’autore del quesito non era ancora proprietario del bene. Nel caso specifico non può trovare applicazione neppure quanto previsto dal terzo comma dell’art. 63 disp. att. del c.c.: a quanto pare la spesa inerente al conguaglio straordinario di acqua, infatti, non era mai stata in precedenza preventivata e quindi deliberata dalla assemblea in un’epoca in cui rivestiva la qualifica di condomino il precedente proprietario.
È molto difficile inoltre pretendere che sia il precedente proprietario a far fronte a tale spesa imprevista: come già detto infatti l’obbligo di corrispondere il conguaglio straordinario di acqua è sorto solo successivamente alla cessione dell’appartamento, in un momento in cui il venditore già non rivestiva più la qualifica di condomino. In un ipotetico giudizio sarebbe anche molto complicato sostenere che un conguaglio straordinario di acqua come quello descritto possa integrare ai sensi dell’art. 1490 del c.c. un vizio della cosa venduta, in quanto comunque non vi è un apprezzabile diminuzione del valore di quanto acquistato e certamente una spesa straordinaria per quanto non preventivata non rende il bene inidoneo all’ uso per cui esso è stato destinato.


Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.