La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata in seguito alla decisione della società promittente venditrice, di convenire in giudizio il promissario acquirente che, dopo aver sottoscritto il contratto preliminare per l’acquisto di un immobile in corso di edificazione, corrispondendo la richiesta caparra confirmatoria, oltre ad un acconto, non si era, poi, recato dal notaio per la stipula del contratto definitivo, nonostante l’immobile gli fosse già stato consegnato. L’attrice chiedeva, quindi, che fosse accertato l’inadempimento della controparte, con la conseguente declaratoria del suo diritto a trattenere la caparra, nonché ad ottenere la restituzione dell’immobile, oltre al risarcimento del danno derivatole dall’occupazione abusiva dello stesso.
Il convenuto, nel costituirsi in giudizio, eccepiva l’inadempimento dell’attrice, stante la presenza di una serie di vizi nell’immobile oggetto del preliminare, chiedendo, pertanto, l’emissione di una pronuncia ai sensi dell’art. 2932 del c.c., oltre alla riduzione del prezzo convenuto per l’acquisto, in proporzione all’entità dei vizi lamentati.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello, tuttavia, accoglievano le istanze attoree. La Corte territoriale, in particolare, sosteneva come non fosse stata dimostrata la sussistenza dei vizi contestati dal convenuto, posto che le deposizioni testimoniali non avevano consentito né di individuare precisi e puntuali vizi dell’immobile, né di stabilire con certezza la data e le circostanze della relativa denuncia.
Gli stessi Giudici di secondo grado sottolineavano, inoltre, come le due raccomandate invocate dal promissario acquirente, oltre ad essere posteriori di oltre sei mesi alla presa di possesso dell’immobile, fossero del tutto generiche.
La Corte territoriale evidenziava, poi, come, concordemente con quanto deciso dal Tribunale, i vizi denunciati non fossero idonei a supportare l’eccezione di inadempimento, sottolineando, in ogni caso, come tale affermazione non fosse stata oggetto di specifica contestazione in appello.
Rimasto soccombente all’esito di entrambi i gradi del giudizio di merito, l’originario convenuto ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, denunciando, innanzitutto, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1495 del c.c. Egli, infatti, contestava la decisione d’appello in ordine all’intervenuta decadenza del suo diritto a far valere la garanzia per vizi dell’immobile perché non denunciati nei termini di legge, posto che la norma invocata presupponeva, in realtà, l’intervenuto trasferimento del diritto il quale, nel caso di specie, non aveva avuto luogo, vista la mancata conclusione del contratto definitivo.
Con un ulteriore motivo di doglianza, il ricorrente eccepiva, poi, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1490 e 1492 del c.c. A suo avviso, infatti, la Corte territoriale aveva errato sia nel ritenere i difetti da lui denunciati inidonei a suffragare la sua eccezione di inadempimento, sostenendo che gli stessi avessero uno scarso rilievo in relazione al valore dell’immobile, sia nell’affermare che tale circostanza non fosse stata contestata in appello.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso.
Quanto al primo motivo, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in materia di contratto preliminare, “la consegna dell’immobile, effettuata prima della stipula del definitivo, non determina la decorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi noti, né comunque di quello di prescrizione, presupponendo l’onere della tempestiva denuncia l’avvenuto trasferimento del diritto, sicché il promissario acquirente, anticipatamente immesso nella disponibilità materiale del bene, risultato successivamente affetto da vizi, può chiedere l’adempimento in forma specifica del preliminare, ai sensi dell’art. 2932 del c.c., e contemporaneamente agire con l’azione quanti minoris per la diminuzione del prezzo, senza che gli si possa opporre la decadenza o la prescrizione” (Cass. Civ., n. 7584/2016).
In relazione, poi, al secondo motivo di doglianza, gli Ermellini hanno evidenziato come il ricorrente, in sede di giudizio di merito, in aggiunta e come conseguenza logica rispetto alla domanda di pronuncia della sentenza ex art. 2932 del c.c., avesse chiesto anche la riduzione del prezzo di vendita, in proporzione all’entità dei vizi dell’immobile oggetto del contratto, da accertare nel corso del giudizio.
La Corte territoriale avrebbe, quindi, dovuto provvedere sulla domanda di riduzione del prezzo ex art. 1492 del c.c., rapportandone la definizione non ad un generico giudizio di non rilevanza dei vizi ai fini della fondatezza dell’eccezione di inadempimento, ma, piuttosto, all’esistenza degli stessi in relazione a tale domanda, la proposizione della quale risulta rimessa, dalla citata disposizione codicistica, alla facoltà dell’acquirente, quale alternativa alla risoluzione del contratto.