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Articolo 1759 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Responsabilità del mediatore

Dispositivo dell'art. 1759 Codice Civile

Il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note(1), relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso [1746](2).

Il mediatore risponde dell'autenticità della sottoscrizione delle scritture e dell'ultima girata dei titoli trasmessi per il suo tramite [2008].

Note

(1) Si tratta delle circostanze che il mediatore conosce e di quelle che avrebbe dovuto conoscere con la diligenza ordinaria (1176 c.c.).
(2) Il mediatore deve comunicare le circostanze di carattere economico attinenti all'affare (tra le quali importante è la solvibilità delle parti) nonché quelle relative alle condizioni personali delle parti stesse (come ad esempio l'eventuale incapacità di una di esse che renda il contratto annullabile, v. 1425 c.c.) o del bene.

Ratio Legis

Il dovere di informazione che incombe sul mediatore è espressione del generale dovere di buona fede e correttezza che incombe sulle parti del rapporto obbligatorio (1175 c.c.), qui relativo, nello specifico, alla fase delle trattative tra i soggetti che si accingono a contrarre (1337, 1338 c.c.).

Spiegazione dell'art. 1759 Codice Civile

Responsabilità del mediatore. Norme generali applicabili anche al contratto di mediazione. Doveri particolari del mediatore

Sotto la precedente legislazione si riteneva generalmente che il mediatore, oltre agli obblighi particolari stabiliti a suo carico dal codice di commercio o dalle leggi speciali, era soggetto, in base al contratto intervenuto con coloro che gli avevano conferito l'incarico, alle norme generali che il codice civile dettava per il caso d'inadempimento. La mediazione, infatti, era compresa fra i contratti bilaterali, con obblighi del mediatore verso le parti, e delle parti verso il mediatore, salvo la libertà di recesso. Obblighi, la cui inosservanza importava, nei casi congrui, l'applicazione delle sanzioni relative alla responsabilità. Si affermava perciò, in particolare per quanto riguarda il mediatore, che, nell'esplicazione della sua attività, ed in relazione alle sue funzioni, doveva prestare la diligenza dell'oculato mediatore.

Questi principi, con miglior ragione, devono applicarsi anche rispetto al codice in vigore, nel quale, come ovvio, anche il rapporto di mediazione, al pari di tutti i contratti, resta soggetto alle disposizioni generali contenute nel libro quarto.
Le particolari funzioni, tuttavia, spesso delicate per l'affidamento delle parti, ed importanti per l'andamento del commercio e per la sicurezza delle operazioni di borsa con i necessari riflessi sull'economia generale, hanno consigliato di inserire, anche nella nuova legislazione, vari obblighi speciali; aumentandone anzi il numero rispetto alla legislazione precedente. Questi obblighi sono appunto indicati negli articoli 1759 e 1760. Alcuni, e precisamente quelli contenuti nell'art. 1759, sono comuni a tutti i mediatori, siano o no professionisti. Altri, menzionati nell'art. 1760, riguardano soltanto i mediatori professionali.


Notizie in ordine alla valutazione e sicurezza dell'affare. Capacità, identità e solvenza delle parti. Identità, quantità e qualità delle cose contratte

Il codice di commercio abrogato, nell'art. 29, considerava esplicitamente un solo caso di responsabilità particolare del mediatore: quello inerente alla verità dell'ultima sottoscrizione delle carte che passavano per le sue mani e che riguardavano gli affari da lui trattati. Onde, sotto l'impero del detto codice e delle leggi ad esso precedenti, si discuteva se i doveri del mediatore si estendessero ad assicurare reciprocamente i futuri contraenti circa la loro identità, capacità e solvenza; nonché a garantire l'identità, la quantità e la qualità delle cose oggetto della contrattazione principale. E la maggioranza degli autori era d'opinione che le accennate garanzie non entravano nelle funzioni del mediatore, salvo il caso di un patto specifico e salvo una contraria disposizione di legge. Si aggiungeva, peraltro, che il mediatore incorreva in responsabilità solo quando, conoscendo, o potendo conoscere, la non identità, o l'incapacità di alcuno dei contraenti l'avesse taciuta all'altro.

Ora, nella prima parte dell'art. 1759, si stabilisce che il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione ed alla sicurezza dell'affare. La disposizione è indubbiamente un riflesso dell'opinione dottrinale testé accennata. Ma è certo che, nella precisazione legislativa, il concetto ha ricevuto una limitazione, la quale appare più aderente alla posizione che assume l'intermediario ed alle funzioni che gli sono affidate. La limitazione cioè che egli incorre in responsabilità soltanto quando non dà comunicazione delle circostanze che sono a lui note. Questo significa che, se non vi è patto o disposizione in contrario, egli non ha alcun obbligo di fare indagini per assicurare reciprocamente le parti circa il buon fine dell'affare; essendo tali indagini riservate alla sagacia dei futuri contraenti che a ciò sono direttamente interessati.

Occorre aggiungere che l'indicazione, piuttosto generica, delle circostanze relative alla valutazione ed alla sicurezza dell'affare, autorizza a ritenere che vi rientrino tutte le notizie che riguardano sia, subiettivamente, i futuri contraenti, sia, obiettivamente, l'affare in sé considerato. Anche in ordine a questo punto si può trarne conferma dall'ultimo comma dell'art. 1764; in quanto contempla l'insolvenza e la capacità delle parti, portando a ritenere che vi si comprenda implicitamente anche l'identità: elemento non facilmente scindibile dalle situazioni anzidette.


Autenticità delle sottoscrizioni e dell'ultima girata

Il 2°comma dell'art. 1759 riproduce, con migliore formulazione, la disposizione già contenuta nell'art. 29 del codice di commercio abrogato.
Nell'art. 29 la sanzione fu estesa a tutti i mediatori; ed, in tal senso, deve pure intendersi in relazione all'articolo che si commenta. Questo precisa che la responsabilità, riguarda l'autenticità della sottoscrizione delle scritture e dell'ultima girata dei titoli. Precisazione senza dubbio opportuna per eliminare le discussioni che erano sorte in relazione alla formulazione non troppo chiara dell'art. 29. La quale, dalla dottrina prevalente, era stata intesa nel senso che la parola «carte» dovesse riguardare non soltanto i titoli di credito nominativi ed all'ordine, ma anche ogni altro documento che passasse per il tramite dell'intermediario relativamente all'affare da lui trattato. Né, a quanto sembra, la portata della norma ha subito spostamento nel codice attuale; restandone soltanto esclusi, come era già pacifico nella dottrina, i titoli al portatore, data la mancanza di qualsiasi formalità nella circolazione dei medesimi.
A questo dovere del mediatore è stato ricollegato, in questo caso, l'altro relativo alla garanzia dell'identità dei futuri contraenti; in quanto praticamente l'indagine sull'autenticità della firma è strettamente connessa a quella sull'identità personale della persona che ha firmato.

Appena è il caso di aggiungere che, in ordine agli estremi della responsabilità, ed agli effetti della medesima, si applicano le norme generali.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

726 Come l'agente (art. 1746 del c.c. e art. 1747 del c.c.), il mediatore deve informare le parti di ogni circostanza relativa all'affare che possa influire sulla valutazione della sua convenienza (art. 1759 del c.c., primo comma); a suo carico rimangono le responsabilità per le sottoscrizioni delle scritture e per l'autenticità dell'ultima girata dei titoli di credito, già previste nell'art. 29 cod. comm. (art. 1759, secondo comma); inoltre si considerano strettamente inerenti al contratto taluni obblighi professionali, di cui qualcuno era già menzionato nell'art. 2 cod. comm., altri derivano da leggi speciali e dall'attività normalmente professionale del mediatore (art. 1760 del c.c.). Infine il mediatore risponde per l'esecuzione dell'affare, quando non ha manifestato il nome del contraente (art. 1762 del c.c.) o se ha assunto fideiussione (art. 1763 del c.c.). Il mediatore, anche se non rivela il nome dell'altro contraente, conserva veste di intermediario e non si trasforma in diretto contraente; la sua responsabilità si giustifica per la possibilità, che il contraente, rimasto originariamente ignoto all'altro, con crea in questo la fiducia dì un esatto adempimento. In base ad una pretesa incompatibilità tra la figura del mediatore e quella del fideiussore, la giurisprudenza aveva negato che il mediatore potesse assumere fideiussione per uno dei contraenti. E' chiaro invece che l'incompatibilità non sussiste, sia perché la fideiussione rientra nel compito, proprio del mediatore, di agevolare la conclusione dell'affare, sia perché il contratto di fideiussione, per quanto accessorio, rimane tuttavia diverso e distinto da quello principale; soltanto in quest'ultimo il mediatore non può essere parte. Sanzioni penali vengono stabilite a carico del mediatore che non adempie agli obblighi dell'art. 1760 o che presta la sua attività nell'interesse di persona notoriamente insolvente o della quale conosce lo stato d'incapacità (art. 1764 del c.c.).

Massime relative all'art. 1759 Codice Civile

Cass. civ. n. 24534/2022

In caso di mediazione immobiliare, il mediatore è tenuto, secondo il criterio della media diligenza professionale, a rendere le informazioni sul rendimento energetico (cd. classe energetica) dell'immobile oggetto dell'affare intermediato fin dal momento in cui ne effettua la relativa pubblicità, con la possibilità di visionare la relativa documentazione, trattandosi di informazioni funzionali alla determinazione dell'acquirente in ordine all'acquisto dell'immobile

Cass. civ. n. 20512/2020

Nel perimetro della responsabilità ex art. 1759 c.c. del mediatore professionale e del correlato onere di corretta informazione delle parti rientra il profilo della capacità patrimoniale delle parti stesse, costituendo un elemento influente sulla sicurezza dell'affare, specie in presenza della dazione di una somma a titolo di anticipo di pagamento o di caparra.

Cass. civ. n. 29229/2019

Nella stipula di un preliminare di vendita il mediatore ha l'obbligo di comunicare al promissario acquirente le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza richiesta in relazione al tipo di prestazione, non essendo egli tenuto, in difetto di uno specifico incarico, a svolgere particolari indagini di natura tecnico-giuridica. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha condiviso la decisione della corte territoriale che, in una fattispecie in cui l'immobile promesso in vendita era risultato edificato in assenza di concessione edilizia e la domanda di sanatoria allegata al titolo d'acquisto della promittente venditrice era stata falsificata, aveva escluso la responsabilità del mediatore sul presupposto che la falsificazione non fosse agevolmente riscontrabile).

In tema di preliminare di vendita, la provenienza del bene da donazione, anche se non comporta per sé stessa un pericolo concreto e attuale di perdita del bene, tale da abilitare il promissario ad avvalersi del rimedio dell'art. 1481 c.c., è comunque circostanza influente sulla sicurezza, la stabilità e le potenzialità dell'acquisto programmato con il preliminare. In quanto tale essa non può essere taciuta dal promittente venditore, pena la possibilità che il promissario acquirente, ignaro della provenienza, rifiuti la stipula del contratto definitivo, avvalendosi del rimedio generale previsto dell'art. 1460 c.c., se ne ricorrono gli estremi.

Cass. civ. n. 27482/2019

Il mediatore - tanto nell'ipotesi tipica in cui abbia agito in modo autonomo, quanto nell'ipotesi in cui si sia attivato su incarico di una delle parti (c.d. mediazione atipica) - ha, ai sensi dell'art. 1759, comma 1, c.c., l'obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede, nel cui ambito è incluso l'obbligo specifico di riferire alle parti le circostanze dell'affare a sua conoscenza, ovvero che avrebbe dovuto conoscere con l'uso della diligenza da lui ordinariamente esigibile, includendosi in queste ultime, nel caso di mediazione immobiliare, le informazioni sull'esistenza di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli sull'immobile oggetto della trattativa, come quella relativa all'iscrizione precedente di ipoteca

Cass. civ. n. 965/2019

In caso di mediazione immobiliare, il mediatore, sia nell'ipotesi tipica in cui abbia agito in via autonoma, sia nell'ipotesi in cui si sia attivato su incarico delle parti, è tenuto, ai sensi dell'art. 1759 c.c., a riferire ai contraenti la circostanza, conosciuta o conoscibile con l'uso della diligenza da lui esigibile, relativa alla provenienza da donazione del titolo di acquisto del promittente alienante, in quanto afferente alla valutazione e alla sicurezza dell'affare. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la provenienza da donazione del titolo di acquisto della figlia dei promittenti venditori, coniugi tra loro e quindi reciprocamente legittimari in concorso con la figlia, avrebbe reso instabile l'acquisto dei promissari acquirenti, esponendolo all'eventuale azione di riduzione e rendendo difficile l'accesso al credito garantito da ipoteca). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 22/08/2013).

Cass. civ. n. 8849/2017

Non rientra nella comune ordinaria diligenza, alla quale il mediatore deve conformarsi nell'adempimento della sua prestazione, ai sensi dell'art. 1176 c.c., lo svolgimento, in difetto di particolare incarico, di specifiche indagini di tipo tecnico giuridico. Pertanto, in caso di intermediazione in compravendita immobiliare, non è ricompreso nella prestazione professionale del mediatore l'obbligo di accertare, previo esame dei registri immobiliari, la libertà del bene oggetto della trattativa da trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli.

Cass. civ. n. 18140/2015

In tema di compravendita immobiliare, il mediatore che abbia fornito alla parte interessata alla conclusione dell'affare informazioni sulla regolarità urbanistica dell'immobile, omettendo di controllare la veridicità di quelle ricevute (nella specie, la natura abusiva della veranda, adibita a cucina e in posizione centrale rispetto agli altri locali, e, quindi, neppure condonabile), non ha assolto l'obbligo di corretta informazione in base al criterio della media diligenza professionale, che comprende non solo l'obbligo di comunicare le circostanze note (o conoscibili secondo la comune diligenza) al professionista, ma anche il divieto di fornire quelle sulle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, sicché è responsabile per i danni sofferti dal cliente.

Cass. civ. n. 6926/2012

In difetto di una diversa ed espressa richiesta del cliente in tal senso, il mediatore professionale immobiliare non è tenuto ad esaminare le conservatorie dei registri immobiliare per verificare in quale categoria catastale rientri l'immobile, e, di conseguenza, se l'acquisto di esso consentirà all'acquirente il godimento dei benefici fiscali previsti per l'acquisto della prima casa.

Cass. civ. n. 16623/2010

In tema di responsabilità del mediatore, la mancata informazione del promissario acquirente sull'esistenza di una irregolarità urbanistica non ancora sanata relativa all'immobile oggetto della promessa di vendita, della quale il mediatore stesso doveva e poteva essere edotto, in quanto agevolmente desumibile dal riscontro tra la descrizione dell'immobile contenuta nell'atto di provenienza e lo stato effettivo dei luoghi, legittima il rifiuto del medesimo promissario di corrispondere la provvigione.

Cass. civ. n. 18515/2009

L'azione di risoluzione del contratto per inadempimento e la relativa azione risarcitoria hanno differenti presupposti applicativi, perché la prima esige che l'inadempimento di una delle parti non sia di scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra, mentre l'azione risarcitoria presuppone che l'inesatta esecuzione della prestazione abbia prodotto al creditore un danno; ne consegue che, in tema di mediazione, la condanna del mediatore al risarcimento del danno nei confronti di una delle parti per inadempimento del proprio dovere di informazione non implica automaticamente che il contratto debba essere risolto e che il mediatore perda il diritto alla provvigione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che - dopo aver condannato il mediatore al risarcimento del danno nei confronti del cliente per non averlo informato dell'esistenza di una locazione ultranovennale, regolarmente trascritta, sull'immobile che questi aveva poi acquistato - aveva nel contempo stabilito che al mediatore spettasse il pagamento della provvigione, poiché l'avvenuta conclusione del contratto dimostrava la scarsa importanza dell'inadempimento).

Cass. civ. n. 16382/2009

Il mediatore, nel caso in cui agisca come mandatario, assume su di sé i relativi obblighi e, qualora si comporti illecitamente arrecando danni a terzi, è tenuto, a favore di questi ultimi, al risarcimento dei danni (Mass. redaz. ). 

Cass. civ. n. 19951/2008

Il mediatore ha, nei confronti dell'intermediato, il duplice obbligo di dichiarare le circostanze rilevanti dell'affare delle quali sia a conoscenza, e di tacere le circostanze delle quali egli non abbia sicura contezza. Viene, pertanto, meno a tali obblighi il mediatore che, richiesto dal venditore, dichiari la sicura affidabilità del compratore pur non avendolo mai conosciuto.

Cass. civ. n. 16009/2003

L'art. 1759, comma primo, codice civile che impone al mediatore l'obbligo di comunicare alle parti le circostanze a lui note circa la valutazione e sicurezza dell'affare che possano influire sulla sua conclusione deve essere letto in coordinazione con gli artt. 1175 e 1176 dello stesso codice, nonché con la disciplina dettata dalla legge n. 39 del 1989 che ha posto in risalto la natura professionale dell'attività del mediatore, subordinandone l'esercizio all'iscrizione in un apposito ruolo, che richiede determinati requisiti di cultura e competenza (art. 2 ), condizionando all'iscrizione stessa la spettanza del compenso (art. 6 ) . Ne consegue che il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere, nell'adempimento della sua prestazione (che si dipana in ambito contrattuale ), specifiche indagini di natura tecnico giuridica (come l'accertamento della libertà dell'immobile oggetto del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali ed ipotecarie ) al fine di individuare circostanze rilevanti ai fini della conclusione dell'affare a lui non note, è pur tuttavia tenuto ad un obbligo di corretta informazione secondo il criterio della media diligenza professionale, il quale comprende, in positivo, l'obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, nonché, in negativo, il divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su circostanze delle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle. Ne consegue che, qualora il mediatore dia informazioni su circostanze di cui non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, le quali si rivelino poi inesatte e non veritiere, ovvero ometta di comunicare circostanze da lui non conosciute ma conoscibili con l'ordinaria diligenza professionale, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l'effetto, dal cliente.

Cass. civ. n. 3437/2002

In caso di submediazione, la parte che in origine abbia dato incarico al mediatore ha — in applicazione analogica dell'art. 1595 c.c. — azione diretta nei confronti del submediatore, senza pregiudizio dei suoi diritti verso il mediatore originariamente indicato, che continua, perciò, ad essere tenuto anche alle obbligazioni di informazione, di comunicazione e di avviso, derivanti dall'art. 1759 c.c., se di tale norma sussistano le condizioni di applicabilità in relazione alle circostanze a lui note. 

Cass. civ. n. 6714/2001

In tema di mediazione, il limite dell'obbligo d'informazione che l'art. 1759, primo comma, c.c. pone a carico del mediatore non esclude affatto la possibilità di configurare la sua responsabilità per avere dato ad uno dei contraenti informazioni obiettivamente non vere, segnatamente se esse vertano su circostanze d'indubbio rilievo, quali quelle attinenti tra l'altro all'affermata ed inveridica assenza d'iscrizioni ipotecarie sull'immobile. Il generale dovere di correttezza, cui fa riscontro l'affidamento della parte nella veridicità delle affermazioni del mediatore sullo stato e sulle caratteristiche essenziali dell'immobile, gli impone per contro d'informare chi sia interessato all'acquisto della propria inconsapevolezza in ordine alla verità di quanto egli affermi, chiarendo che le notizie fornite sono incontrollate. Infatti l'affermazione di un fatto ne presuppone normalmente la conoscenza e non certo l'ignoranza; per converso, un fatto ignorato è normalmente taciuto e non anche affermato (necessariamente come vero, giacché la sua affermazione sarebbe altrimenti inutile).

Cass. civ. n. 4126/2001

Nell'attuale sistema normativo, quale risulta delineato dalla legge 3 febbraio 1989, n. 39, il mediatore è un operatore specializzato e, come tale, è tenuto nello svolgimento della sua attività ad osservare la diligenza qualificata richiesta all'operatore professionale. Ne consegue che l'obbligo di informazione gravante sul mediatore ex art. 1759 c.c. comprende non soltanto l'obbligo di comunicare alle parti le circostanze a lui note, ma anche quelle conoscibili con l'uso della diligenza richiesta ad un operatore professionale. Il grado di diligenza richiesto al mediatore professionale deve essere commisurato sia alle caratteristiche dell'affare che al livello di organizzazione del mediatore. Pertanto, se «l'affare» presenta particolari caratteristiche, il mediatore è tenuto ad una più penetrante verifica degli elementi rilevanti sulla valutazione e sicurezza dell'affare, soprattutto se, potendo avvalersi di mezzi e di una organizzazione propria, può agevolmente procurarsene la conoscenza. (Nella specie il mediatore professionale aveva procurato e ricevuto una proposta irrevocabile di acquisto, immediatamente vincolante per l'acquirente, relativa ad un immobile che era risultato gravato da iscrizioni e trascrizione pregiudizievoli in sede di stipula del contratto definitivo. Le trattative si erano svolte al «buio», essendosi ciascuna parte impegnata a sottoscrivere il preliminare di compravendita immobiliare senza conoscere l'altra ed il mediatore, nel corso delle stesse trattative, aveva avuto un ruolo di attiva assistenza. La Corte ha confermato l'affermazione di responsabilità del mediatore professionale, fondata anche sul rilievo che quanto emerso implicava, secondo un criterio di buona fede, un ampliamento dell'ambito di affidamento del cliente sulla correttezza e diligenza del professionista e l'assunzione implicita da parte di costui dell'obbligo di procurarsi, anche con mezzi propri, la conoscenza delle circostanze relative alla sicurezza dell'affare).

Cass. civ. n. 5107/1999

L'art. 1759, comma primo, codice civile, laddove impone al mediatore di comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e sicurezza dell'affare, che possono influire sulla sua conclusione, deve essere letto in coordinazione con gli artt. 1175 e 1176 dello stesso codice, nonché al lume della disciplina dettata dalla L. n. 39 del 1989, ché ha posto in risalto la natura professionale dell'attività del mediatore, subordinandone l'esercizio all'iscrizione in un apposito ruolo, che richiede determinati requisiti di cultura e competenza (art. 2), e condizionando all'iscrizione stessa la spettanza del compenso (art. 6). Ne consegue che il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere, nell'adempimento della sua prestazione (che si svolge in un ambito contrattuale), specifiche indagini di natura tecnico-giuridica (come l'accertamento della libertà dell'immobile oggetto del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali ed ipotecarie), al fine di individuare circostanze rilevanti ai fini della conclusione dell'affare a lui non note, è gravato, tuttavia, di un obbligo di corretta informazione, secondo il criterio della media diligenza professionale, il quale comprende, in senso positivo, l'obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, nonché, in senso negativo, il divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su circostanze delle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle. Qualora, pertanto, il mediatore dia informazioni su circostanze di cui non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, le quali si rivelino poi inesatte e non veritiere, si può configurare una sua responsabilità per i danni sofferti dal cliente. (Nell'affermare tali principi la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza d'appello, la quale, pur avendo il cliente provato che il mediatore gli aveva erroneamente comunicato l'inesistenza di ipoteche sull'immobile acquistato, aveva rigettato la domanda risarcitoria dello stesso, per non avere il medesimo provato la conoscenza da parte del mediatore della presenza di iscrizioni ipotecarie).

Cass. civ. n. 4791/1999

Poiché la legge n. 39 del 1989 subordina l'esercizio dell'attività di mediazione al possesso di specifici requisiti di capacità professionale, configurandola come attività professionale, l'obbligo di informazione gravante sul mediatore a norma dell'art. 1759 c.c. va commisurato alla normale diligenza alla quale è tenuto a conformarsi nell'adempimento della sua prestazione il mediatore di media capacità e pertanto deve ritenersi che il suddetto obbligo deve riguardare non solo le circostanze note, ma tutte le circostanze la cui conoscenza, in relazione all'ambito territoriale in cui opera il mediatore, al settore in cui svolge la sua attività ed ad ogni altro ulteriore utile parametro sia acquisibile da parte di un mediatore dotato di media capacità professionale con l'uso della normale diligenza. Non rientra tuttavia nella comune ordinaria diligenza, alla quale il mediatore deve conformarsi nell'adempimento della prestazione ai sensi dell'art. 1176 c.c., lo svolgimento, in difetto di particolare incarico, di specifiche indagini di tipo tecnico giuridico. (Nella specie si è ritenuto che in caso di intermediazione in compravendita immobiliare, non può ritenersi compreso nella prestazione professionale del mediatore l'obbligo di accertare previo esame dei registri immobiliari la libertà dell'immobile oggetto della trattativa, le trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli.)

Cass. civ. n. 1102/1996

La domanda risarcitoria proposta nei confronti del promittente venditore perle circostanze o i vizi che diminuiscono il valore della cosa venduta non impedisce al promittente compratore di far valere nei confronti del mediatore che era a conoscenza delle predette circostanze o dei predetti vizi, l'inadempimento dell'obbligo di informazione al quale lo stesso è tenuto nei confronti delle parti, trattandosi di responsabilità afferenti a due diversi rapporti, quello nascente dal contratto preliminare con il promittente venditore e quello di mediazione con il mediatore.

Cass. civ. n. 5938/1993

Poiché nella mediazione, che consiste nel mettere in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, i soggetti del contratto sono tenuti all'obbligo generale è reciproco della buona fede, il quale si concreta a norma dell'art. 1759 c.c. nel dovere del mediatore di fornire tutte le informazioni di cui egli sia a conoscenza (compreso lo stato d'insolvenza dell'altra parte), la parte tenuta al pagamento della provvigione può far valere, secondo i principi di cui all'art.1218 c.c., l'inadempimento del mediatore rispetto agli obblighi nascenti dalla mediazione ed indicati nell'art. 1759, primo comma, cit., per sottrarsi al pagamento della stessa provvigione.

Cass. civ. n. 5183/1988

L'azione di risoluzione per difetto, nella cosa venduta, delle qualità promesse ovvero di quelle essenziali per l'uso a cui è destinata (art. 1497 c.c.) e l'azione di responsabilità contro il mediatore per mancata comunicazione alle parti di circostanze a lui note relative alla valutazione ed alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso (art. 1759 c.c.), configurano istituti autonomi privi di qualsiasi relazione di continenza, dipendenza o necessaria concorrenza, concernendo rapporti ed obblighi contrattuali patologicamente diversi e non interscambiabili. (Nella specie il compratore aveva agito contro il mediatore imputandogli di non avere comunicato al venditore di una partita di piastrelle in gres che queste, essendo destinate anche ad una pavimentazione all'aperto, dovevano essere resistenti al gelo).

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Consulenze legali
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Andrea P. chiede
mercoledì 25/10/2023
“Buongiorno,
vorrei gentilmente chiedere il vostro consulto in merito ad una nota dolente che con mia moglie ci troviamo ad affrontare in questi giorni. Abbiamo da poco concluso l'acquisto in un immobile e siamo venuti a conoscenza solo ora di costi di gestione condominiale decisamente più alti rispetto a quelli precedentemente dichiarati dalla stessa agenzia immobiliare. In fase di trattativa e dopo una nostra richiesta verbale l'agenzia ci invia una mail con quanto di seguito riporto:
[...]di seguito specifica delle spese come richiesto.
• RISCALDAMENTO euro 333,00 ogni sei mesi;
• CONDOMINIO euro 218,5 bimestrale [...]

Con questi numeri la spesa mensile su base annua si aggira sui 160 euro. Da vecchi bollettini nella cassetta delle lettere della nuova casa veniamo a sapere che le spese del condominio sono:
• RISCALDAMENTO euro 333,00 PER sei mesi (mesi invernali);
• CONDOMINIO euro 318,5 bimestrali
Questo porterebbe esattamente ad un raddoppio delle spese mensili arrivando, di media, a oltre 320 euro. Sottolineo che le spese corrette sono state confermate dell'amministratore di condominio e che risultano invariate da anni (almeno dal 2020) quindi non ci sono stati aumenti nei mesi scorsi (le informazioni dell'agenzia sono di giugno 2023 e il rogito è di ottobre 2023) o almeno non si sono riflettuti sulle quote rate mensili considerate fisse. Mi è stato chiarito che, come solito fare, eventuali disallineamenti di consumi verranno aggiustati a fine anno con conguagli. In questi giorni siamo al telefono con l'agenzia e la vecchia proprietaria per capire di chi sia la responsabilità di queste informazioni errate che non solo ci pesano parecchio su un bilancio familiare ma soprattutto hanno influenzato (e non di poco) la nostra scelta nell'acquisto.
Ho trovato una sentenza (la 19095 – 2011 della Corte di cassazione) in cui si condanna l'agenzia per informazioni date non verificate. L'oggetto della disputa non riguarda le spese condominiali ma certamente mi viene da pensare che fornire dettagli così importanti come la gestione ordinaria di un immobile sia di cruciale importanza, ripeto sia per il costo in sé sia per la scelta o meno verso l'offerta e acquisto. Per il momento è nostra intenzione recuperare quante più informazioni possibili in merito e ricostruire la "storia" di queste informazioni errate per poi muoverci molto probabilmente per vie legali per un risarcimento.
Probabilmente è stata una mia mancanza ma di fronte ad un prospetto di spese così dettagliato non mi sono spinto oltre nel verificare la veridicità delle informazioni anche perché per privacy il nuovo amministratore di condominio non poteva fornire questi dati prima di diventare proprietari.
Ritengo invece che sia compito dell'agenzia, in quanto mediatore, verificare quanto viene comunicato ad un possibile acquirente.
Come mi consiglia di procedere? Grazie

Consulenza legale i 01/11/2023
A parere di chi scrive non si possono ravvisare responsabilità in capo al mediatore immobiliare per la mancata comunicazione dell’ammontare delle spese condominiali riconducibili all’appartamento acquistato.
E’ vero che la giurisprudenza rinvenuta (Cass.Civ.,Sez.II, n.19095 del 19.09.2011), ha chiarito come il mediatore sia tenuto ai sensi dell’art. 1759 del c.c. a dare una corretta informazione secondo il criterio della media diligenza professionale sulle circostanze dell’affare da lui mediato, tuttavia è necessario tener presente come l’ amministratore di condominio non possa rilasciare a persone estranee alla compagine condominiale (per esempio, mediatore immobiliare oppure promissario acquirente) informazioni riguardanti la situazione condominiale di una unità immobiliare ricompresa nello stabile da lui amministrato.

Il n.9 dell’ art. 1130 del c.c. dice chiaramente infatti come l’amministratore possa fornire l’attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle liti in corso solo al condomino che ne faccia richiesta, quindi solo a chi è attualmente proprietario del bene.
Con tali motivazioni del tutto condivisibili il Tribunale di Bologna per esempio con sentenza n.1561 del 14.06.2022 ha proprio escluso la responsabilità di un mediatore immobiliare per non aver fornito corrette informazioni circa l’ammontare delle spese condominiali relativamente ad un appartamento venduto per suo tramite.

Rifacendosi alla pronuncia della Corte di Cassazione citata in precedenza la situazione sarebbe diversa qualora si riuscisse a dimostrare in giudizio che il mediatore immobiliare fosse effettivamente a conoscenza del corretto ammontare delle spese condominiali riconducibili all’appartamento venduto tramite la sua agenzia (perché, ad esempio, tale ammontare gli è stato fornito dal venditore) e poi abbia omesso di fornire tale informazione a colui che era interessato all’acquisto. Per la verità raggiungere tale tipo di prova nell’ambito di un ipotetico contenzioso promosso nei confronti del mediatore immobiliare è piuttosto arduo ed è difficile pensare che una tale tipologia di giudizio possa concludersi favorevolmente.

Non sarebbe neppure facile muovere una eventuale contestazione in capo al venditore e precedente proprietario del bene. È vero che l’art. 1137 del c.c. fonda la c.d responsabilità precontrattuale prevedendo l’obbligo incombente su entrambe le parti di comportarsi correttamente e secondo buona fede durante le trattative che inevitabilmente precedono la conclusione di qualsiasi contratto, e quindi anche la vendita immobiliare. Tuttavia quest’ obbligo di buona fede non significa che le parti hanno l’obbligo di dirsi tutto. Come infatti ben precisa il successivo art.1138 del c.c. sussiste responsabilità precontrattuale in capo ad una delle parti contraenti nel caso in cui quest’ ultima ometta di fornire informazioni che possono incidere sulla validità ed efficacia del contratto: certamente però il fatto che il venditore non abbia fornito l’esatto ammontare delle spese condominiali non è una circostanza che incide sulla validità del contratto di vendita e quindi non si ravvisano anche in questo caso ipotesi di responsabilità.



Egizia V. chiede
venerdì 02/04/2021 - Toscana
“Preg.mo Avv., la presente per richiedere una consulenza nel diritto assicurativo, causa un diniego a me rivolto, da parte della mia Compagnia Assicurativa (con cui sono assicurata per i rischi professionali dal 2004) relativo alla richiesta di apertura di un sinistro accaduto nell’espletamento dell’attività professionale di agenzia immobiliare, di cui faccio parte nella qualità di titolare.

Nell'anno 2014 effettuai una mediazione nella locazione e stipulai un contratto di locazione di natura concordata con una cliente; lo stesso venne regolarmente registrato, ma omisi per dimenticanza di depositare una copia del contratto di locazione presso l’ufficio casa e tributi del comune di XXX, il cui deposito permette al locatore di usufruire della riduzione relativa all’IMU.

La suddetta omissione non ha permesso l’agevolazione fiscale di cui sopra per cui il Comune ha fatto richiesta al locatore della somma dovuta.

Il legale del locatore tramite pec mi ha fatto richiesta del rimborso della somma già pagata dalla sua assistita; a tal proposito è stata inviata all’intermediario Alfa del Gruppo Beta tutta la documentazione dove richiedevo la copertura del sinistro.

L’assicurazione risponde: “L'analisi effettuata ha infatti evidenziato trattarsi di danni esclusi dall'assicurazione, ai sensi dell'art. Art. 13 delle Condizioni Generali di Assicurazione. Impregiudicato ogni ulteriore aspetto sull'occorso, le operazioni poste in essere non si configurano come necessarie per la conclusione dell'affare di intermediazione, ossia del rischio assicurato in Polizza, dovendosi per l'appunto ricondurre ad operazioni volontarie e successive che, seppur legittimamente poste in essere, non sono coperte dalla garanzia assicurativa”.

Successivamente ho dato una lettura al fascicolo informativo, il quale riporta nei RISCHI COMPRESI all’art. 13 lettera e), “le sanzioni di natura fiscale amministrative e/o pecuniarie in genere, inflitte ai Clienti dell'Assicurato per errori imputabili all'Assicurato stesso”.

In attesa di un Vs. riscontro,

porgo distinti saluti.


Consulenza legale i 21/04/2021
Esaminata la documentazione che ci è stata trasmessa, si osserva quanto segue.
L’assicurazione ha ad oggetto la responsabilità civile professionale degli agenti di affari in mediazione.
Per comprendere se la risposta della assicurazione sia corretta, occorre verificare quali siano gli obblighi di legge per tale figura professionale.
La normativa generale di riferimento è contenuta negli articoli 1754 e seguenti del codice civile.
In particolare, in base all’art. 1759 c.c. il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso. Il mediatore risponde inoltre dell'autenticità della sottoscrizione delle scritture e dell'ultima girata dei titoli trasmessi per il suo tramite.
Come ha evidenziato la Suprema Corte con l’ordinanza n. 27482 del 2019: ”Il complessivo obbligo gravante sul mediatore comprende, quindi, in senso positivo, quello di comunicare le circostanze a lui note o conoscibili con la diligenza tipica della professione esercitata (che - ove omesse - potrebbero sortire un'incidenza causale contraria all'interesse effettivo delle parti), e, in senso negativo, il divieto di fornire informazioni non veritiere o informazioni su circostanze delle quali non abbia consapevolezza o che non abbia controllato.
A tali obblighi informativi, si aggiunga “ogni l’attività complementare o necessaria per la conclusione dell'affare”, come espressamente previsto dall’art. 3 della L.39/89 (richiamata anche nel contratto di assicurazione).
Su tale aspetto, la Corte di Cassazione con la pronuncia n.17360 del 2018 aveva evidenziato che è possibile che: “nel mirare alla conclusione dell’affare, ci si spinga a consigli su profili tecnici, come quelli catastali o urbanistici, ma se anche ciò avvenga, si tratta pur sempre di aspetti marginali, che, qualora non giungano fino alla cura diretta di pratiche in tal senso, appartengono al completo dispiegarsi della diversa professionalità del mediatore, finalizzata al buon fine dell’affare. Si delinea quindi, nel caso di svolgimento dell’attività mediatoria, una posizione professionale munita di spiccata autonomia, il cui esercizio secondo le modalità di cui si è detto, per quanto siano possibili talune sovrapposizioni, non trasmoda nell’esercizio dell’attività di geometra e resta connotato da tratti caratterizzanti ed unificanti, costituiti dal fine di condurre parti tra loro estranee alla conclusione di un affare.”

Ciò premesso, venendo al caso specifico si osserva quanto segue.

Il fatto di consegnare la copia del contratto in comune rientra in un obbligo assunto in forza del contratto di conferimento di incarico di locazione. Infatti, all’art. 12 è specificato appunto che il mediatore si obbliga a depositare copia del contratto di locazione presso l’ufficio casa e tributi del comune. Tale adempimento, tuttavia, ha soltanto origine contrattuale non essendo espressamente previsto tra gli obblighi di legge sopra indicati.
Si potrebbe, tutt’al più, considerare questa come una attività complementare di cui al predetto art.3 L.39/89.
Tuttavia, si tratta di una mera interpretazione opinabile.
In effetti, l’art. 20 delle condizioni generali di polizza prevede espressamente che: “l’assicurazione non vale per la responsabilità volontariamente assunta dall'Assicurato e non direttamente derivantigli dalla Legge”.
Di contro, è anche vero che l’art. 13 comprende nel rischio assicurato “le sanzioni di natura fiscale amministrative e/o pecuniarie in genere, inflitte ai Clienti dell'Assicurato per errori imputabili all'Assicurato stesso”. Tuttavia, quest’ultima disposizione -alla luce delle esclusioni di cui all’art.20 – potrebbe comunque intendersi nell’ambito degli obblighi di legge dell’assicurato.

Fermo quanto precede, visto che si tratta di una questione non così chiara ed univoca ma rimessa sostanzialmente all’interpretazione, suggeriamo comunque di contestare formalmente la risposta della compagnia assicurativa (preferibilmente a mezzo di un legale) evidenziando che l’attività posta in essere rientra tra quelle complementari di cui all’art. 3 della L.39/89 richiamato dal punto a) dell’art.13 del contratto di assicurazione.
A ciò si aggiunga che il medesimo articolo comprende nel rischio assicurato “le sanzioni di natura fiscale amministrative e/o pecuniarie in genere, inflitte ai Clienti dell'Assicurato per errori imputabili all'Assicurato stesso”.
Se anche a fronte di una contestazione formale di un legale, la compagnia resta dello stesso avviso occorrerà valutare se sia opportuno o meno intraprendere una azione giudiziaria dall’esito quanto mai incerto considerato, appunto, che si tratta di una questione di dubbia interpretazione.

F. R. chiede
mercoledì 13/01/2021 - Piemonte
“Buongiorno,
Chiedo vostra consulenza, in veste di compratore, in merito ad acquisto di immobile con certificazione energetica APE non corretta. La trattativa è stata condotta tramite mediatore iscritto all’albo che ha sostenuto l’intera trattativa puntando sul buono stato dell’immobile e sulla classe energetica molto alta, sostenendo che era una proposta unica nel suo genere. L’immobile proposto è una casa indipendente edificata negli anni ’50, che non ha subito negli anni ristrutturazioni importanti tali da cambiarne le caratteristiche energetiche, ed è stata classificata da un professionista abilitato in classe energetica A1 con APE del 2016. Il mediatore ha prodotto a me copia del documento APE come ricevuto dal venditore che riporta effettivamente la classe energetica A1 dichiarata. Dopo avere concordato il prezzo si è proceduto alla registrazione del compromesso indicante anche le principali caratteristiche energetiche e la relativa classe A1. Successivamente, mi sono rivolto ad un tecnico professionista per discutere delle modifiche che avrei voluto implementare come futuro proprietario. Sin da subito, il professionista ha evidenziato incongruenza tra la data di costruzione dell’immobile, lo stato in cui verte attualmente e la classe energetica attribuita, indicando come sia improbabile secondo la sua esperienza che un immobile del genere avesse attribuita una classe così elevata. Analizzando la copia del documento APE ricevuto è apparso evidente che i dati tecnici e le informazioni ivi contenute fossero completamente errate, diverse dalla realtà e prive di criterio logico e cronologico. Nonostante questo l’indicazione finale della classe sul documento era effettivamente A1. A titolo esemplificativo, e allego copia dell’APE:
• Era indicata una potenza di impianto di riscaldamento troppo elevata (paragonabile ad un condominio di 5 piani)
• Gli estremi della caldaia non erano presenti, tant’è che si è appurato che non era stata né registrata né accatastata.
• La classe raggiungibile indicata nel paragrafo dedicato agli interventi da svolgersi per aumentare la prestazione energetica era E se fossero stati cambiato i serramenti, peraltro già presenti e di ultima generazione alla data odierna. Questa indicazione porta a dedurre che la classe originale non potesse eventualmente essere superiore a E.
• La mancanza poi di qualunque intervento di carattere energetico (es. cappotto termico, isolamento tetti e solai, fotovoltaico e pompa di calore) non poteva indurre a considerare l’immobile in classe A1.
Esposti i problemi sia a mediatore che venditore, quest’ultimo ha subito regolarizzato la situazione della caldaia e si è poi rivolto al tecnico che aveva redatto l’APE che ha confermato l’erroneità del documento.
In funzione della situazione appurata e della nuove caratteristiche dell’immobile, ho richiesto una riduzione del prezzo di acquisto e contestato la mediazione.
È stato raggiunto un accordo con il venditore per una riduzione del prezzo, inferiore a quella da me richiesta, ed egli ha incaricato di condurre un nuovo studio sull’immobile che ha portato la classe energetica da A1 a G oltre ad evidenziare la mancanza di alcuni documenti tecnici quali i calcoli strutturali.
Per quanto riguarda il mediatore, questi ritiene di aver assolto i suoi compiti e pretende l’intera provvigione.
Risulta che l’APE sia un documento obbligatorio e siccome rappresenta importanti caratteristiche e qualità dell’immobile costituisce anche un parametro economico su cui fare il prezzo. Ho ragione di ritenere quindi che la diligenza professionale del mediatore sia più volte venuta meno, in particolare avendo sostenuto come punto di forza e qualità dell’immobile una condizione erronea e da lui non verificata. Date le caratteristiche e l’esperienza professionali di cui si vanta, essendo iscritto all’albo, è mia convinzione che il mediatore si sarebbe dovuto accorgere dell’incongruenza data l’entità, quindi quantomeno informare le parti circa i suoi dubbi e comunque non sponsorizzare e utilizzare queste caratteristiche a convincimento e per sostenere il prezzo e valore dell’immobile.
E’ giusto quindi che mi opponga a corrispondere la provvigione? Inoltre, come conseguenza di questi problemi, la discussione e la finalizzazione dell’atto si è protratta per molti mesi (il compromesso è stato firmato a Giugno), periodo in cui ho dovuto sostenere le spese di affitto non programmate, oltre alla consulenza del tecnico per la verifica dell’APE. Ho ragione di chiedere anche i danni economici al mediatore?
Vi ringrazio per l’attenzione e qualora vi occorrano ulteriori dati posso senz’altro fornirli.
Attendo vostro riscontro e vi auguro buon lavoro.
Saluti
F. R.”
Consulenza legale i 21/01/2021
Occorre innanzitutto escludere che, in questo caso, l’acquirente possa legittimamente rifiutarsi di corrispondere l’intero importo della provvigione al mediatore. Infatti l'art. 1755 c.c. subordina il sorgere del diritto alla provvigione alla condizione che l'affare sia stato concluso per effetto dell’intervento del mediatore: nel nostro caso, ciò è indubbiamente avvenuto, anzi se ne dà espressamente atto nel contratto di compravendita dell’immobile, come riferito nel quesito.
Occorre poi esaminare la diversa eventualità di una riduzione della provvigione in considerazione di un presunto comportamento inadempiente del mediatore.
Sarebbe stato certamente più facile fornire una risposta, qualora fosse stata pattuita una provvigione in misura percentuale rispetto al prezzo di acquisto dell’immobile: tuttavia, nel nostro caso non risulta sottoscritta alcuna pattuizione (nel senso di atto bilaterale) di questo tipo. Abbiamo solo una dichiarazione unilaterale del proponente l’acquisto, con cui questi si impegna a corrispondere una provvigione “per l’attività di mediazione prestata”, mediante indicazione di un importo in misura fissa. Tale dichiarazione può semmai essere inquadrata nell’ambito della promessa di pagamento o della ricognizione di debito di cui all’art. 1988 c.c.
La fissazione di un importo certo per la provvigione rende di per sé problematica la pretesa (sia pure ragionevole) di ridurre la provvigione in considerazione dell’effettivo prezzo di acquisto dell’immobile, inferiore rispetto a quello originario proprio in considerazione della diversa classe energetica in cui è risultato rientrare l’immobile.
Altra questione da considerare è se sia davvero configurabile un inadempimento a carico del mediatore. Nel quesito si afferma peraltro che la certificazione (redatta da un professionista) attestante la classificazione energetica sarebbe stata fornita dal venditore: il mediatore era veramente tenuto a verificare l’attendibilità e, in definitiva, la veridicità dell’attestazione redatta da un tecnico?
In materia di responsabilità del mediatore, l’art. 1759, comma 1 c.c. impone al mediatore l’obbligo di comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso.
La questione dell’ampiezza e dei limiti della diligenza professionale richiesta al mediatore è stata spesso dibattuta in giurisprudenza, ed è stata risolta sulla base di principi che comunque, nella pratica, occorre verificare caso per caso.
Ad esempio, secondo Cass. Civ., Sez. III, n. 16009/2003, l'art. 1759, comma 1, c.c. “deve essere letto in coordinazione con gli artt. 1175 e 1176 dello stesso codice, nonché con la disciplina dettata dalla legge n. 39 del 1989 che ha posto in risalto la natura professionale dell'attività del mediatore, subordinandone l'esercizio all'iscrizione in un apposito ruolo, che richiede determinati requisiti di cultura e competenza (art. 2), condizionando all'iscrizione stessa la spettanza del compenso (art. 6)”.
Pertanto, prosegue la Corte, “ne consegue che il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere, nell'adempimento della sua prestazione (che si dipana in abito contrattuale), specifiche indagini di natura tecnico-giuridica (come l'accertamento della libertà dell'immobile oggetto del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali e ipotecarie) al fine di individuare circostanze rilevanti ai fini della conclusione dell'affare a lui non note, è pur tuttavia tenuto a un obbligo di corretta informazione secondo il criterio della media diligenza professionale, il quale comprende, in positivo, l'obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, nonché, in negativo, il divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su circostanze delle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle. Ne consegue che, qualora il mediatore dia informazioni su circostanze di cui non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, le quali si rivelino poi inesatte e non veritiere, ovvero ometta di comunicare circostanze da lui non conosciute ma conoscibili con l'ordinaria diligenza professionale, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l'effetto, dal cliente”.
Ed ancora, per la più recente Cass. Civ., Sez. II, n. 784/2020, “il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico specifico, a svolgere nell'adempimento della sua prestazione particolari indagini di natura tecnico - giuridica (come l'accertamento della libertà da pesi dell'immobile oggetto del trasferimento, mediante le cd. visure catastali ed ipotecarie) allo scopo di individuare fatti rilevanti ai fini della conclusione dell'affare, è pur tuttavia gravato, in positivo, dall'obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che è richiesta in relazione al tipo di prestazione, nonché, in negativo, dal divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su fatti dei quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle; cosicché, qualora il mediatore infranga tali regole di condotta, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l'effetto, dal cliente”.
Ora, nel nostro caso la vetustà e la “storia” dell’immobile avrebbero potuto far presagire una erroneità della classificazione riportata nell’APE del 2016; è parimenti evidente che la prestazione energetica influisce sul prezzo di vendita dell’immobile, come il prosieguo della vicenda ha dimostrato. Tuttavia, risulterebbe rischioso sostenere in un eventuale giudizio che il mediatore, che pure deve essere dotato di preparazione e competenze professionali, sarebbe dovuto entrare nel merito di una valutazione di tipo tecnico, sia pure “sospetta”, tenuto conto che la certificazione APE viene redatta da un certificatore a ciò specificamente abilitato.
Oltretutto, nel nostro caso, proprio perché, nelle more della trattativa, ci si è accorti dell’incongruenza, il prezzo di acquisto originariamente pattuito è stato ridotto (non viene detto però in quale misura). Quindi non sussiste un “danno” per l’acquirente sotto questo profilo, da far valere come responsabilità del mediatore.
Quanto alla distinta ipotesi prospettata nel quesito, di un pregiudizio di carattere economico conseguente al ritardo nella conclusione del contratto nonché alla necessità di ricorrere alla consulenza di un tecnico di fiducia, occorre rilevare, oltre alla necessità di provare i presunti danni in maniera rigorosa, che il punto nodale rimane pur sempre quello della configurabilità di una responsabilità del mediatore per non aver “contestato” la certificazione fornita da un tecnico accreditato, fornitagli dall’acquirente.
Con ciò non si intende affermare che la tesi sostenuta nel quesito sia in linea di principio errata: ma ogni consulenza giuridica che si rispetti dovrebbe evidenziare anche i margini di rischio che una data iniziativa comporta, ed eventualmente consigliare di evitare, per quanto possibile, un giudizio che si preannuncia particolarmente incerto nel suo esito.
Aggiungiamo che sarebbe rilevante conoscere anche il prezzo di acquisto finale dell’immobile, dal momento che, fermo restando quanto sopra, una differenza poco rilevante rispetto a quello originariamente stabilito renderebbe più difficilmente giustificabile una richiesta di riduzione della provvigione.
In merito alla misura di quest’ultima, poi, la legge attribuisce valore preminente alla volontà espressa dalle parti: così l’art. 1755, comma 2 c.c., secondo cui la misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti, in mancanza di patto, di tariffe professionali o di usi, sono determinate dal giudice secondo equità. Anche la L. 3 febbraio 1989, n. 39, recante la regolamentazione della professione di mediatore, prevede che “la misura delle provvigioni e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti, in mancanza di patto, sono determinate dalle giunte camerali, sentito il parere della commissione provinciale di cui all'art. 7 e tenendo conto degli usi locali”. Nel nostro caso vi è comunque la prova di un impegno dell’acquirente a corrispondere la provvigione al mediatore, e si tratta, come abbiamo visto, di un importo determinato.
In conclusione, si consiglia di tentare di raggiungere un accordo con il mediatore, prospettando gli svantaggi derivanti ad entrambe le parti da un eventuale giudizio, e proponendo una congrua riduzione della provvigione che tenga conto anche dei ritardi che si assumono dovuti alla necessità di “riclassificare” l’immobile sul piano energetico. Si potrebbe puntare sulla necessaria esperienza e competenza del mediatore in campo immobiliare, che avrebbe dovuto "metterlo in guardia" così da suggerire al venditore ulteriori accertamenti. Si sconsiglia, invece, vivamente di contestare il diritto del mediatore di ricevere una qualsivoglia provvigione, il che esporrebbe al rischio di un giudizio per il pagamento della provvigione stessa.

Maurizio S. chiede
venerdì 18/10/2019 - Lombardia
“Desideravamo acquistare come seconda casa un appartamento con piccolo giardino. La nostra scelta è caduta su un appartamento di cui l’agenzia immobiliare vantava “….completa la proprietà posto auto coperto e una porzione di giardino di 100 mq”: ci hanno anche mostrato l’impianto di innaffiatura automatica e un deposito degli attrezzi da giardino in muratura ma il tutto secondo il Condominio sarebbe abusivo.
La pubblicità ingannevole dell’agenzia è tuttora visibile in internet:
Nella Proposta di acquisto di parlava di “In complesso residenziale con parco, appartamento a piano terra composto da soggiorno, cucina, due camere e bagno. Posto auto coperto e piccola cantina, inoltre parte di proprietà condominiale” per cui ci hanno fatto credere che si riferisse proprio al giardino.
Dopo il compromesso, nel quale purtroppo non è citato il giardino (ci hanno fatto credere che rientrasse nel termine generico di “pertinenze”), ci è stato detto che in realtà il giardino era solamente in “uso esclusivo”. Avendo chiesto al notaio 3 giorni prima del rogito copia della bozza abbiamo scoperto che non c’era nemmeno l’uso esclusivo.
Ritenendoci truffati, abbiamo subito chiesto al venditore di restituirci la caparra di 30000 €, ma ha rifiutato appellandosi anche al principio del “visto e piaciuto” ma mi sembra evidente che l’esistenza di un diritto di reale di proprietà non può essere “visto”. Pertanto considerato anche il rischio di dover pagare il doppio della caparra, come male minore abbiamo deciso di presentarci al rogito (13 luglio) per non avere la caparra bloccata per lungo tempo in una causa legale e poter comunque usare la casa.

Dopo aver visto la bozza dell’atto, ho contestato anche il fatto che non si facesse comunque riferimento nemmeno al vasto parco-giardino condominiale. In risposta il 12/07 ho ottenuto dall’Agenzia una mail che afferma “con la presente siamo a comunicarvi che il Notaio andrà ad inserire in atto le particelle che riguardano i terreni condominiali, come da Vs. gentile richiesta.”
In effetti quando il notaio ha dato lettura del rogito ricordo che aveva citato numerose particelle per cui io avevo interloquito chiedendo perché non venisse riportata anche la consistenza effettiva in mq dei terreni condominiali. Il notaio rispose che avrebbe provveduto, poi si è ritirato con la sua assistente per correggere questa ed altre informazioni ad es. relativa alla professione degli acquirenti. Dopo il rogito mi sono accorto che non compaiono più le particelle ma l’unica differenza rispetto alla bozza che avevo ricevuto consiste comunque nel paragrafo dove si afferma che le “unità immobiliari fanno parte di un complesso costruito sull’area di circa 5200 mq”.

Una settimana dopo il rogito, all’assemblea condominiale l’Amministratore ci ha consegnato un documento da cui risulta che ci sarebbero delle irregolarità catastali (già note ai venditori) per cui “occorrerebbe fare atti di integrazione (successioni ed atto notarile)” mentre il compromesso afferma “La parte promittente venditrice dichiara che gli immobili in oggetto sono di sua piena proprietà e libera disponibilità e che gli stessi sono liberi da privilegi , pignoramenti , trascrizioni pregiudizievoli , ipoteche e oneri di qualsiasi sorta” e poi anche il rogito (che è solo una copia di quello fatto dallo stesso notaio 14 anni prima) garantirebbe la piena proprietà del bene.
Abbiamo poi accertato che questo problema era ben noto ai venditori fin dal 2014 ma hanno taciuto la cosa a noi e al notaio, nonostante che nella Proposta di acquisto si affermasse: “Il compendio immobiliare dovrà essere garantito di piena proprietà e disponibilità dei Venditori, esente da vincoli, gravami, privilegi evizioni e ipoteche. I Venditori, ove fosse necessario, si obbligano a rettificare qualsiasi anomalia catastale che riguarda il compendio immobiliare entro il rogito notarile.

In pratica dalle visure catastali delle particelle costituenti il parco-giardino non compare il nome dei venditori ma solo quello della sig.ra B. prima proprietaria dell’immobile che lo aveva venduto ad altri a loro volta venditori ai nostri venditori.
In pratica noi, come già i nostri venditori, abbiamo una proprietà immobiliare isolata in mezzo a terreni su cui non abbiamo alcun diritto. In pratica per oltre 20 anni la B. sarebbe rimasta “condomina” all’insaputa del Condominio.
Il notaio contattato dal geometra che ha scoperto gli errori catastali, ha ammesso che bisognerebbe fare un nuovo rogito con la sig.ra B. per la corretta attribuzione delle quote di terreno condominiale.

Infine nonostante che il rogito preveda che “La proprietà e il possesso degli immobili in oggetto si trasferiscono alla parte acquirente, per ogni effetto utile e oneroso, con la conclusione del presente contratto”, poiché dall’assemblea successiva al rogito dall’approvazione del consuntivo è risultato anche un credito di 500 €, secondo i venditori dovremmo versarlo a loro e al nostro rifiuto ci ha inviato una diffida tramite un avvocato loro parente. Si noti che aveva rilasciato ai venditori una “liberatoria” che attestava il regolare pagamento delle spese condominiali “salvo conguaglio” con preghiera di inoltralo agli acquirenti e al notaio. Noi non l’abbiamo ricevuta e il notaio si è limitato a scrivere che i pagamenti erano regolari.

Che possibilità ci sono di ottenere la nullità del rogito? E anche di fare causa all’Agenzia immobiliare per violazione ad es. dell’art. 1759? A chi spetta il credito?”
Consulenza legale i 28/10/2019
Il quesito è veramente corposo e ricco di diverse problematiche che si tenterà di analizzare punto per punto attraverso una scaletta, che si spera essere il più chiara ed esauriente possibile. Per comodità espositiva si tratterà per primo della questione che si ritiene centrale: la non intestazione agli acquirenti della quota di giardino condominiale, per poi trattare del comportamento della società di mediazione durante le trattative e si finirà col parlare della vicenda del credito condominiale.

La mancata titolarità delle quote del giardino condominiale.

Prima di entrare nel merito, si precisa che l’argomento di questo paragrafo deve essere tenuto distinto da una altra vicenda: il fatto che sia stato fatto credere che il giardino era in proprietà esclusiva e, invece, ci si è ritrovati ad avere un giardino in comproprietà con altri. Tale aspetto verrà trattato nel paragrafo riguardante la responsabilità dei mediatori.

Da quello che viene riferito nel quesito e dalla documentazione allegata, si evince che i vari notai che hanno rogato le successive vendite dell’immobile dalla originaria proprietaria (la Sig.ra B.) in poi, si sono dimenticati di trasferire ai via via nuovi acquirenti la quota di comproprietà che la Signora B. vantava sul giardino condominiale. Questa svista ha comportato che di fatto per l’ordinamento giuridico la B. risulti ancora proprietaria di una quota del terreno.
Questa circostanza ci induce a fare due considerazioni:
1) come i nuovi proprietari, autori del quesito, possano acquisire la proprietà di tale quota;
2) Come tale errore possa riflettersi sulle responsabilità del soggetto che ha venduto l’appartamento.
Affrontiamo intanto il primo aspetto. Sicuramente il suggerimento del notaio è il più ovvio: contattare la Sig.ra B. o i suoi eventuali eredi, magari attraverso l’ausilio dell’amministratore di condominio o di qualche condomino che possa conoscere la famiglia, spiegargli il problema e farsi trasferire le quote del giardino ancora in sua proprietà. Se tuttavia la Signora B. e i suoi eredi non sono più contattabili, l’unica strada che rimane da percorrere è quella di iniziare contro la Signora B o suoi eventuali[Def ref=avente causa] aventi causa[/def] un contenzioso volto a farsi riconoscere dal giudice l’acquisto della quota di comproprietà del giardino per usucapione.
Ora, stante la corposità del quesito, non è possibile entrare troppo nel merito di tale aspetto. In questa sede è sufficiente dire che visto che la B non è più condomina da oltre 20 anni e che la quota di sua proprietà è stata posseduta, oltre che dagli attuali proprietari, anche da quelli precedenti, è possibile sommare ai sensi del 2° comma dell’art. 1146 del c.c. il loro periodo di possesso con quello dell’attuale proprietario e se, attraverso questa somma algebrica, matureranno i termini indicati dagli artt. 1158 e ss. del c.c., si potrà acquisire la quota del giardino condominiale a titolo originario per usucapione.

Vi è da dire che da quanto riferito nel quesito i termini per usucapire sono oramai trascorsi da tempo, la B. infatti non è più condomina da oltre un ventennio. È anche giusto dire che se la Sig.ra B è ancora in vita o vi sono degli eredi, è molto facile pensare che si riuscirà a trovare con loro un accomodamento bonario senza percorrere tutto l’iter di un contezioso (che comporterebbe per loro spese se tentassero di resistere illegittimamente alle richieste): che interesse ha, infatti, la B, o i suoi eredi, a mantenere la proprietà di una minuscola quota di un giardino condominiale che è pertinenza di un immobile verso cui oramai non può avere alcun interesse in quanto venduto da anni e, sopratutto, non utilizzato più da anni?

Ora veniamo a trattare il secondo aspetto: stante tale errore, che lamentele possiamo avanzare nei confronti di chi ci ha venduto l’immobile?
A parere di chi scrive il fatto che all’epoca del rogito i venditori non risultassero comproprietari del giardino (circostanza a loro tra l’altro ben nota), costituisce una ipotesi di vendita di cosa parzialmente altrui ai sensi dell’art.1480 del c.c.: il giardino è infatti una naturale pertinenza del bene venduto.
A mente di tale articolo gli acquirenti: se dimostrano che non si sarebbe proceduto all’acquisto dell’appartamento se avessero conosciuto l’altruità della quota del giardino, possono pretendere la risoluzione del contratto di vendita e il risarcimento del danno; se non riescono a dimostrare tale circostanza possono pretendere solo una riduzione del prezzo di vendita fermo restando il risarcimento del danno.

Ora, al di là del fatto che si riesca a dimostrare in giudizio che non si sarebbe proceduto all’acquisto dell’immobile se si fosse conosciuta la problematica del giardino (cosa possibile, ma non scontata), chiedere la risoluzione del contratto di vendita, ad avviso di chi scrive, presenta dei grossi svantaggi economici.
Il primo, è che comunque una volta che il giudice accolga la domanda di risoluzione si perderà la proprietà dell’immobile comunque acquisito, il secondo è che i venditori si vedranno condannati a restituire tutto il prezzo incassato, cosa che se non faranno spontaneamente: si dovrà costringerli a farlo attraverso delle azioni esecutive nei loro confronti. Tali procedure presentano tempistiche lunghe ed incerte ed esiti non sempre scontati, soprattutto se i venditori non godono di una buona stabilità economica e hanno già speso il denaro incassato con la vendita.
Per tale motivo è consigliabile richiedere direttamente ai venditori la riduzione del prezzo e il risarcimento del danno, mantenendo comunque fermo l’acquisto già concluso. In tale modo si manterrà la proprietà dell’immobile acquisito, si potrà chiedere la restituzione parziale del prezzo di vendita e si potrà chiedere il rimborso di tutte le somme spese per regolarizzare la vicenda del giardino sopra descritta.


La responsabilità del mediatore ex art.1759 del c.c.

L’art. 1754 del c.c. definisce il mediatore come colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di uno specifico affare, senza essere collegato con alcuna di esse da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza.
L’ obbligazione che assume il mediatore è appunto quella di mettere in relazione le parti, ed è nel momento in cui tale relazione si concretizza che sorge il suo diritto ad avere il proprio compenso, non nel momento, che può anche non avvenire, in cui lo specifico affare si conclude.
Nell’ambito delle vendite immobiliari la messa in relazione delle parti, solitamente avviene nel momento in cui viene sottoscritta dall’acquirente la proposta di acquisto, poi accettata dal venditore, o nel momento in cui viene sottoscritto il compromesso di vendita. Tutte le attività compiute dal mediatore successive al compromesso, volte ad accompagnare le parti verso il rogito di acquisto, è un qualcosa di ulteriore che i mediatori garantiscono per prassi commerciale consolidata, ma che non è strettamente richiesta dalla normativa del codice civile.

Vi sono dei casi, però, in cui seppur il mediatore adempia all’obbligo di mettere in relazione le parti la provvigione non è dovuta: questi sono i casi in cui vi sia la violazione degli obblighi di cui all’art. 1759 del c.c.
Il co. 1 dell’art. 1759 del c.c. dispone che il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso.
A proposito di tale importante articolo è intervenuta di recente la Cass. Civ., Sez. II, n. 4415 del 21.02.17 che ha ribadito importanti principi oramai acquisti dalla giurisprudenza.
Innanzitutto il mediatore ha nei confronti del cliente un obbligo preciso di informarlo di tutte quelle circostanze a lui note, o comunque conoscibili con l’ordinaria diligenza, tali da influenzare la sicurezza dell’affare e che possono influire sulla sua conclusione. Ovviamente tale obbligo si estende anche in negativo, in quanto il mediatore non può fornire informazioni false, o a lui non note, per indurre una parte a concludere il negozio oggetto di mediazione.

La responsabilità di cui all’art. 1759 del c.c., invece, non può estendersi, e va esclusa, per quelle indagini di carattere tecnico, come la verifica della regolarità urbanistico catastale dell’immobile, che esulano dalla competenza del mediatore, a meno che lo stesso abbia taciuto circostanze di cui era a conoscenza, o abbia fornito informazioni false rispetto a quelle lui note, oppure, incaricato da una delle parti di effettuare indagini sul punto, non le abbia svolte oppure abbia male eseguito l’incarico ricevuto. Solitamente non rientra, quindi, tra gli obblighi del mediatore verificare che chi vende sia anche effettivamente proprietario dell’immobile, compito che, invece, deve essere assolto dalla istruttoria notarile (si veda Cass. Civ. n. 19075 del 06.11.2012.)
Nel caso di violazione degli obblighi informativi di cui all’art. 1759 del c.c. il cliente può legittimamente rifiutare il pagamento della provvigione al mediatore, o chiedere il risarcimento del danno, affiancandosi la responsabilità del mediatore a quella del venditore.

Ora, è palese, sulla base di quello che è stato riferito nel quesito, che il mediatore ha violato gli obblighi informativi, mentendo in maniera evidente sulla situazione giuridica del giardino. Il professionista ha infatti spacciato il giardino come un bene in proprietà esclusiva e accessoria alla unità abitativa oggetto di vendita, quando in realtà esso aveva natura condominiale.
Tuttavia, seppur la violazione rimanga evidente, si sconsiglia di coltivare una qualche azione giudiziaria nei confronti dell’agenzia di mediazione immobiliare, a causa del comportamento che gli acquirenti hanno tenuto durante le fasi di acquisto dell’immobile. Essi, infatti, pur resosi conto dell’inganno perpetrato dalla agenzia, hanno di fatto accettato la natura condominiale del giardino presentandosi davanti al notaio e concludendo l’acquisto. Tale condotta chiude le porte ad ogni lamentela che si sarebbe potuta muovere alla società di mediazione se, invece di concludere l’affare, gli acquirenti si fossero ritirati da esso, rifiutando di acquistare l’immobile e richiedendo al venditore la restituzione della caparra anticipata. In questo caso sarebbe stato assolutamente legittimo rifiutarsi di pagare la provvigione al mediatore e si sarebbe altresì potuto richiedere a quest’ ultimo a titolo di risarcimento del danno l’importo della caparra, qualora la stessa non fosse stata restituita dal venditore.

Per completezza bisogna dire che la responsabilità della società di mediazione tornerebbe in gioco se si riuscisse a dimostrare che la stessa fosse stata a conoscenza non solo della natura condominiale dell’area giardino, ma anche delle problematiche di intestazione delle quote condominiali che sono state trattate nel paragrafo precedente. Se si riuscisse a raggiungere la prova che l’agenzia conosceva tali circostanze e che le ha taciute agli acquirenti, ecco che si potrebbe richiedere a loro, oltre alla restituzione della provvigione anche il risarcimento del danno, la cui responsabilità si andrebbe ad affiancare a quella del venditore. È superfluo dire che l’assolvimento di un tale onere probatorio in giudizio è piuttosto arduo, e, comunque, il quesito sul punto non fornisce elementi sufficienti per una completa valutazione.


La spettanza del credito condominiale risultante dall’ultimo bilancio.

Prima di entrare nel merito di tale ultimo aspetto, è opportuno premettere che in questo paragrafo si cercherà di capire se la pretesa di restituzione del credito condominiale richiesto con intervento legale del 17.09.2019 possa avere di per se un qualche fondamento: ovviamente, però, una lettera in risposta alle richieste avanzate dai venditori dovrà gioco forza tenere conto di tutte le considerazioni fatte finora.

E’ opportuno inoltre chiarire anche un altro aspetto. Generalmente i condomini risultano essere debitori del condominio degli oneri condominiali necessari per la manutenzione dei beni e servizi condominiali. Può capitare, per motivi vari che non è il caso di chiarire in questa sede, che in un determinato anno di bilancio un condomino possa versare una somma maggiore rispetto alle spese che si sono preventivate l’anno prima: quando questo succede la voce "saldo esercizio precedente" del bilancio consuntivo approvato risulta a credito del condomino.
In questo caso non succede mai che il condominio paghi il suo condomino, ma tale credito viene messo a compensazione con le spese preventivate e che il proprietario creditore deve versare per l’anno successivo. È questo il caso che si è verificato ai venditori dell’immobile oggetto del quesito, solo che in questo caso essi, non essendo più proprietari, non potranno più vedersi riconosciuto tale credito per le future spese condominiali, da qui l’idea del loro legale di richiedere il rimborso di detto credito, sostenendo che la somma versata in eccedenza costituisca un arricchimento senza causa ex art. 2041 del c.c. a favore del condominio e degli acquirenti dell’immobile.

L’azione di ingiusto arricchimento ex art. 2041 del c.c. mira a far riconoscere una[def ref=indennità (o indennizzo) indennità[/def] al soggetto che ha subìto un determinato depauperamento patrimoniale a vantaggio di un altro soggetto che se ne è conseguentemente arricchito, e quindi si è avvantaggiato di detto depauperamento, senza una effettiva giustificazione giuridica (esempio: un contratto, una sentenza, una norma di legge ecc. ecc.).
A parere di chi scrive, la richiesta avanzata non può trovare fondamento in quanto in questo caso manca uno dei requisiti fondamentali dell’azione di ingiusto arricchimento: ovvero l’assenza di giustificazione.

È assolutamente acquisito il concetto che il pagamento degli oneri condominiali trovi la sua giustificazione giuridica e causale nell’essere condomino, ovvero nell’essere proprietario di una unità abitativa in condominio. Ragionando al contrario anche il credito che il singolo proprietario vanta nei confronti del condominio perché ha versato più oneri condominiali di quanto preventivati, trova la sua giustificazione nell’essere proprietario, nell’essere appunto condomino, e tale credito non può che trasferirsi all'acquirente unitamente alla proprietà a cui si riferisce, divenendo una caratteristica di essa.
Una volta venduto l’immobile in condominio, quindi, saranno i nuovi proprietari che legittimamente si troveranno ad usufruire del credito condominiale. Vi è da dire, inoltre, che fino al trasferimento dell'unità abitativa, avvenuta nel luglio del 2019, i venditori erano proprietari a tutti gli effetti e quindi obbligati, proprio perché proprietari, a corrispondere gli oneri condominiali.

Salvatore B. chiede
domenica 03/01/2016 - Piemonte
“buongiorno, se nella proposta di acquisto è presente una cantina che invece non esiste, quali sono le responsabilità dell'agente immobiliare? All'agente immobiliare in caso di conclusione dell'affare deve venire riconosciuta ugualmente la provvigione? Si può richiedere un risarcimento danni? Grazie”
Consulenza legale i 08/01/2016
Ai sensi dell'art. 1755 del c.c. il diritto alla provvigione del mediatore sorge se l'affare è concluso per effetto del suo intervento. La giurisprudenza ha precisato, a riguardo, che per "affare" deve intendersi ogni operazione economica che genera un rapporto obbligatorio tra le parti, di modo che il diritto sorge quando vi è identità tra affare proposto ed affare concluso (anche se poi le parti sostituiscano a sé altri nella stipulazione conclusiva) (v. Cass. 20549/2004). Affinché il diritto nasca non è però sufficiente che l'affare sia concluso, essendo necessario che la conclusione avvenga per effetto dell'intervento del mediatore (Cass. 15880/2010).

Il mediatore deve adempiere l'incarico con diligenza (art. 1176 del c.c.). Altresì, l'art. 1759 co. 1 c.c. prevede che "Il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso". Tale disciplina è poi completata da quella della l. 39/1989, che è volta a porre in risalto la natura professionale dell'incarico del mediatore. Da tutto ciò la Cassazione ha dedotto che l'obbligo di informazione del mediatore (pur se non è egli tenuto a svolgere indagini tecnico giuridiche particolari, salvo incarico apposito) comprende sia il dovere positivo di comunicare le circostanze note o conoscibili con la diligenza professionale richiesta sia quello negativo di non fornire informazioni non veritiere o di cui non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, perché il dovere di diligenza gli impone, in tal caso, di astenersi; la violazione dell'obbligo, come descritto, è idonea a configurare sua responsabilità per i danni patiti dal cliente (Cass. 6926/2012, Cass. 16009/2003).

Nel caso di specie, sembra potersi affermare che l'esistenza o meno di una cantina integri una circostanza conoscibile con l'ordinaria diligenza da parte del mediatore (è sufficiente che egli effettui un sopralluogo sul posto). Di conseguenza, si può ritenere che questi fosse tenuto nel corso delle trattative a fornire la relativa informazione alle parti ovvero a non pronunciarsi se ne conosceva l'inesistenza o se non ne aveva consapevolezza perché non aveva controllato.

Secondo la Cassazione, inoltre, la descritta condotta del mediatore, che viola il dovere di informazione che su di lui incombe, è idonea a giustificare da un lato una valida ragione per opporsi alla sua richiesta di corrispondere la provvigione, dall'altro una altrettanto valida ragione per avanzare contro di lui istanza di risarcimento dei danni subiti (Cass. 6926/2012).

D. S. chiede
lunedì 07/08/2023
“Domanda: L’agenzia immobiliare ha diritto al pagamento della provvigione per l’acquisto della casa?


Il caso è il seguente:

In data 01/09/2022 ho firmato con un'agenzia immobiliare una proposta di acquisto (con stipula fissata entro il 30/9/2023) per un immobile composto da un appartamento al secondo piano e di un garage al piano terra. Tale proposta viene accettata dai venditori il 27/09/2022.

- Nella proposta l’immobile è dichiarato conforme alle normative edilizio-urbanistiche e che la planimetria catastale corrisponde esattamente allo stato di fatto;
- L’appartamento si dichiara locato fino al 01/08/23 (prima scadenza).

Per i motivi sottoelencati, nei mesi successivi l’agenzia immobiliare mi chiede di prorogare per ben tre volte la proposta accettata (nuove scadenze 30/10/2022 – 31/12/2022 – 30/03/2023).

La mia proposta di acquisto era subordinata:

- A) alla liberazione dell’appartamento precedentemente affittato dai proprietari con incarico dato alla medesima agenzia, con un contratto 4+4 (scadenza dei primi 4 anni il 31/07/2023).
- B) alla concessione del mutuo per il pagamento del prezzo dell’immobile.

1) Dopo l’accettazione chiedo all’agenzia i documenti necessari da presentare in banca per la domanda di mutuo, guardando la documentazione mi accorgo che la concessione edilizia e la planimetria catastale dell’appartamento al secondo piano non erano conformi allo stato di fatto, pertanto chiedo che la difformità urbanistica venga sanata al più presto.

2) L’agenzia, d’accordo con i venditori, incarica un tecnico che presenta al Comune la SCIA di sanatoria, la pratica si chiude positivamente in data 8/12/2022.

3) Ricontrollando la documentazione tecnica, mi accorgo che il locale al piano terra era classificato in Catasto come magazzino e non come garage, così come dichiarato nell’annuncio di vendita della agenzia. Quindi chiedo di procedere alla variazione della destinazione d’uso che viene presentata al Catasto in data 19/12/2022.

4) A Gennaio i venditori, tramite l’agenzia, inviano agli inquilini con raccomandata la richiesta di liberazione della casa che dovrà avvenire entro e non oltre il 31/7/2023.

5) A Febbraio, dopo aver ricevuto dall’agenzia tutti i documenti necessari, presento alla mia banca la domanda di mutuo, in quanto l’agenzia mi rassicura del fatto che gli inquilini avrebbero lasciato a breve la casa (la banca valutato il merito creditizio mi assicura che l’acquisto è finanziabile).

6) A Marzo il perito incaricato procede al sopralluogo dell’immobile e rileva delle difformità non lievi nel vano veranda e nella zona balcone dell’appartamento. La perizia viene sospesa con richiesta di sanare le difformità (per questo pago la somma di 280 euro).

7) A Maggio i venditori decidono di effettuare le modifiche necessarie per rendere conforme l’immobile per consentirne la vendita, con una spesa di circa 1500 euro. L’agenzia mi informa però che tali modifiche si potranno fare solo dopo che la casa si sarà liberata. L’Agenzia mi garantisce che gli inquilini lasceranno la casa a Giugno perché loro stessi si erano occupati di trovare una nuova casa da affittare agli stessi, e quindi si potrà procedere ai lavori di ripristino ed alla prosecuzione della pratica di mutuo.

8) A fine Giugno l’Agenzia mi informa che per problemi sopravvenuti con ritardo gli inquilini lasceranno sicuramente la casa il 3 Luglio. Questo non accade perché, la casa verrà liberata il 31 Luglio (esattamente alla scadenza dei primi 4 anni). In questi 28 giorni l’agenzia non si preoccupa assolutamente di informami di nulla. Ricevo un messaggio il 2 Agosto con cui mi avvisano che la casa finalmente è vuota.

Pertanto, per quanto sopra enunciato e determinato che ho subito danni economici e disagi abitativi in quanto:

1) dovrò pagare due volte la perizia;
2) subirò l’innalzamento dei tassi sul mutuo rispetto a quelli vigenti a settembre 2022;
3) dal primo agosto ho dovuto frettolosamente trasferirmi da dove ero ospitato in una casa in affitto per cui dovrò pagare un canone di 380 euro, in attesa di comprare la mia prima casa dove trasferirò la residenza;

CHIEDO

SE CI SONO I PRESUPPOSTI DI LEGGE PER NON PAGARE, QUANDO MI VERRA’ RICHIESTO PRIMA DELLA STIPULA NOTARILE, LA PROVVIGIONE DEL 3% ALLA AGENZIA IMMOBILIARE.

Distinti saluti.


Allegati:
1) Proposta di acquisto accettata e successive proroghe
2) SCIA del 7.10.2022
3) Rilievo tecnico delle difformità - perizia banca
4) Relazione del perito”
Consulenza legale i 16/08/2023
Risponderemo in questa sede alla specifica domanda formulata nel quesito: se, cioè, vi siano i presupposti di legge per non pagare la provvigione all’agenzia immobiliare.
Per ogni altra considerazione riguardante la vicenda, ivi compresa la valutazione dell’inadempimento dell’agenzia immobiliare, è inevitabile invitare chi pone il quesito a rivolgersi a un legale con cui concordare la strategia difensiva da adottare.

Il codice civile stabilisce, all’art. 1755, che il diritto alla provvigione del mediatore sorge per effetto della conclusione dell’affare, purché quest’ultima sia la conseguenza dell’intervento del mediatore.
La giurisprudenza, anche in tempi recentissimi (si veda Cass. Civ., Sez. II, 26/01/2023, n. 2385), ha precisato che, ai fini del diritto alla provvigione, “l'affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all'art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato”.
Da ciò si evince che anche la conclusione di un contratto preliminare può far sorgere il diritto alla provvigione, non dovendosi necessariamente attendere la stipula del rogito.

Il secondo presupposto del diritto alla provvigione è costituito dal nesso di causalità tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare.
Anche qui abbiamo giurisprudenza consolidata.
La Cassazione ha chiarito più volte che “il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, che sussiste quando il mediatore abbia messo in relazione le parti, si da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto” (così anche la recente Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 08/04/2022, n. 11443).
La Suprema Corte ha specificato anche che, ai fini della sussistenza del nesso di causalità e dunque del diritto alla provvigione, non occorre neppure che il mediatore abbia partecipato in maniera attiva e diretta a tutte le fasi della trattativa (cfr. Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 16/01/2018, n. 869).

Nel nostro caso, stando alle informazioni fornite, non sembra neppure contestato che il mediatore abbia messo in relazione le parti e che ciò abbia portato alla conclusione di un affare, nel senso sopra specificato. Per cui difficilmente chi pone il quesito potrà semplicemente rifiutarsi di corrispondere la provvigione.
Discorso diverso è quello dell’esistenza di eventuali inadempimenti dell’agenzia immobiliare, tali da causare, secondo la ricostruzione operata nel quesito, veri e propri danni all’acquirente.
Si tratta di una valutazione da effettuare con attenzione, e che verrà probabilmente contestata da controparte, ovvero dall’agenzia immobiliare.

In ogni caso, va ricordato che l’art. 1759 c.c. pone a carico del mediatore precisi obblighi informativi.
Sul punto la Cassazione (Sez. II Civile, ordinanza 02/05/2023, n. 11371) ha ribadito che "il mediatore, ai sensi dell'art. 1759, comma 1, c.c., deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, o che avrebbe dovuto conoscere con l'uso della diligenza impostagli dalla natura professionale dell'attività esercitata, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possano influire sulla conclusione di esso o determinare le parti a perfezionare il contratto a diverse condizioni; ne consegue che, ove l'affare sia concluso, può sussistere la responsabilità risarcitoria del mediatore in caso di mancata informazione del promissario acquirente circa l'esistenza di irregolarità urbanistiche o edilizie non ancora sanate relative all'immobile oggetto della promessa di vendita”; aggiunge tuttavia la Corte che l'adempimento di tale dovere di informazione da parte del mediatore deve essere, comunque, verificato “con esclusivo riferimento al momento stesso della conclusione dell'affare”.

Appare dunque necessario, come si diceva in premessa, il confronto diretto con un legale, il quale potrà anche prospettare alla controparte l’eventuale richiesta risarcitoria e tentare, se del caso, un accordo.

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