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Articolo 1755 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Provvigione

Dispositivo dell'art. 1755 Codice Civile

Il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, [2950] se l'affare(1) è concluso [1173] per effetto del suo intervento(2).

La misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti(3), in mancanza di patto, di tariffe professionali o di usi, sono determinate dal giudice secondo equità [2225, 2233](4).

Note

(1) L'affare si identifica con ogni operazione economica di contenuto patrimoniale frutto dell'accordo di due o più parti, che si conclude con il sorgere di obbligazioni. Pertanto, è tale, ad esempio, anche un contratto preliminare (1351 c.c.).
(2) Le parti messe in contatto dal mediatore sono libere di concludere o meno la stipula. Se, però, la concludono egli ha diritto al compenso se il suo intervento è stato rilevante e tale concetto deve essere inteso in senso lato. Infatti, non è necessario che l'opera del mediatore incida sulla conclusione del contratto in sé, ma è sufficiente che si inserisca in tale processo causale, anche solo in un momento anteriore. Tuttavia, non ha rilevanza una mediazione indiretta, ad esempio perché il mediatore notizia altri dell'affare ed è questi a mettere in comunicazione le parti.
(3) La misura della provvigione è determinata sul volume dell'affare concluso. Tuttavia, le parti possono accordarsi nel senso che essa sia dovuta anche se non si è giunti alla stipula, quindi per la sola attività prodromica. Ai sensi della norma, inoltre, essa grava su entrambe le parti.
(4) Dispone l'art. 6 della L. 3 febbraio 1989, n. 39: "1. Hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli. 2. La misura delle provvigioni e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti, in mancanza di patto, sono determinate dalle giunte camerali, sentito il parere della commissione provinciale di cui all'art. 7 e tenendo conto degli usi locali."

Ratio Legis

La mediazione è naturalmente onerosa: il mediatore ha diritto ad un compenso, la provvigione. Essendo questo un elemento essenziale del contratto, il legislatore detta anche i requisiti per determinarla, al fine di evitare una possibile nullità (1418 c.c.) della stipula.

Spiegazione dell'art. 1755 Codice Civile

Diritto del mediatore al compenso. Quando si perfeziona. Storno e risoluzione del contratto principale. Impossibilità della prestazione per caso fortuito

Fondamentale diritto del mediatore è il diritto al compenso, che la legge, seguendo la terminologia usuale, chiama provvigione.
Secondo la dottrina tradizionale condizione indispensabile perché si maturi tale diritto è che l'affare abbia raggiunto la sua definizione: che cioè le parti abbiano stipulato il negozio, per la conclusione del quale l'intermediario ha prestato la sua opera. Se ciò non si verifica o perché le parti hanno abbandonato le trattative, o per qualsiasi altro motivo indipendente dalla loro volontà, viene meno il risultato utile che si ricollega, e deve ricollegarsi, spiegata dal mediatore; e viene meno, per conseguenza, anche il diritto alla provvigione.

Il principio anzidetto era codificato nell'art. 32 del codice di commercio, il quale, con disposizione piuttosto precisa, disponeva che al mediatore non competeva diritto di mediazione se l'affare non era concluso.
Ora, che il principio sia rimasto anche rispetto alla nuova legislazione non sembra si possa porre in dubbio. Nonostante, invero, la formulazione della legge sia diversa da quella più incisiva contenuta nel ricordato art. 32, essa tuttavia, col riconoscere il diritto alla provvigione se l'affare è concluso, lascia chiaramente intendere che la perfezione giuridica del negozio principale, costituisce condizione indispensabile per far sorgere il diritto dell'intermediario. Ciò, del resto, è confermato da quanto dispone il primo comma del successivo articolo 1757, stabilendo che, se il contratto è sottoposto a condizione sospensiva, il diritto alla provvigione sorge nel momento in cui si verifica la condizione. È quindi agevole argomentare che se, in tale ipotesi, perché il diritto si maturi non basta che il negozio principale si sia giuridicamente perfezionato, ma occorre altresì che esca dallo stato di pendenza e spieghi compiutamente la sua efficacia, a maggior ragione nessun compenso potrebbe pretendere il mediatore, qualora il negozio principale non abbia raggiunto la conclusione.

Ma, una volta maturato il diritto, esso non viene meno anche se il contratto principale sia stato stornato d'accordo fra le parti; se sia stato risoluto per inadempienza di alcuna di esse; o se sia stato posto nel nulla per impossibilità della prestazione. Tali situazioni, infatti, attendono non già al perfezionamento giuridico dell'affare, bensì alla fase esecutiva del contratto, alla quale il mediatore resta normalmente estraneo.
Questa soluzione è perfettamente ammissibile anche rispetto alle nuove norme, in quanto non hanno apportato modificazioni né all'essenza del rapporto di mediazione, né, come si è ora chiarito, al presupposto fondamentale perché sorga il diritto al compenso.


Condizioni necessarie perché il contratto principale possa ritenersi concluso

Il diritto alla provvigione si matura dunque quando si con­clude l'affare principale.
Questa è la regola. La quale deve essere ulteriormente precisata nel senso che detto affare (in ordine al quale la mediazione funziona come mezzo a fine) sia da considerare come entrato nel campo giuridico con i prescritti requisiti di sostanza e di forma; di guisa che ciascuno dei contraenti abbia titolo per agire al fine di ottenerne l'esecuzione.

Su questo punto vi era perfetto accordo nella dottrina formatasi nel vigore delle disposizioni precedenti; né si può essere dubbio circa la perfetta coerenza anche con quelle attuali. Difatti, anche sotto l'impero del codice di commercio abrogato, la parola « affare » era ormai pacificamente tesa nel senso di contratto. Onde, concludere l'affare non poteva non significare concludere (in senso tecnico) il contratto. Ora, il fatto che nelle disposizioni si usi il termine « affare » nell'art. 1755 riguardante il diritto del mediatore al compenso e il termine "contratto" in altri articoli (ad esempio nell'art. 1757), non può far ritenere che, con le due espressioni, si sia inteso alludere a situazioni giuridiche diverse. Ciò importerebbe che, all'incongruenza formale, se ne aggiungerebbe un'altra ben più grave di indole sostanziale, che nulla autorizza a ritenere nelle disposizioni in vigore. Tanto più se si tiene conto dell'accordo, già esistente in dottrina e nella giurisprudenza.


Necessità di un nesso causale fra l'opera del mediatore e la conclusione del contratto. Mediatore occasionale o professionale. Desistenza fraudolenta delle parti

La conclusione del contratto, nel senso appena precisato, costituisce quindi, anche per l'art. 1755, il presupposto indispensabile perché si maturi il diritto del mediatore alla provvigione. Tale presupposto però non è sufficiente. La legge ne richiede anche un altro: che la conclusione del contratto sia avvenuta per effetto dell'intervento del mediatore.
Si è così colmata, con disposizione espressa, una lacuna che si riscontrava nel cessato codice di commercio. Per altro la dottrina e la giurisprudenza della Cassazione avevano già concordemente riconosciuto la necessità dell'accennato requisito, precisandone la portata giuridica nel senso che esso deve riferirsi ad un rapporto di causalità fra l'opera prestata dal mediatore e il contratto. Si era, infatti, posto in luce che, tra l'attività del mediatore e il negozio giuridico, in seguito stipulato, vi dovesse essere un necessario collegamento; così da far ritenere che il vincolo altro non fosse, almeno nel suo contenuto essenziale, che il risultato utile dell'attività stessa, quando, naturalmente, le parti, in relazione all'autonomia della loro volontà, si fossero determinate a contrattare.

Ma, ammesso il principio, la varietà dei casi pratici ha reso necessario che di volta in volta se ne precisasse la portata. Si è quindi ritenuto che il diritto alla provvigione a favore del mediatore resta integro, purché si riscontri l'accennato rapporto di connessione causale, anche se l'intermediario non ha preso parte a tutte le trattative ed alla redazione definitiva delle clausole contrattuali; ed anche se, fra l'opera del mediatore e la conclusione del contratto, è intervenuto un intervallo di tempo più lungo. In altri termini occorre che l'influenza dell'opera spiegata sia valutata non quantitativamente, ma piuttosto qualitativamente; tenendo presente al riguardo il criterio, già indicato dal Vivante che il contratto principale deve essere una conseguenza (prossima o remota non conta) dell'attività del mediatore; onde possa dirsi che, senza di essa, secondo l'ordine normale delle cose, il contratto non si sarebbe concluso.

Accertato perciò, con apprezzamento del giudice del merito, insindacabile in sede di cassazione, che il mediatore ha prestato la sua opera, con le caratteristiche in precedenza accennate; ed accertato altresì che, mercé quest'opera, il contratto cui tendeva l'interposizione è stato stipulato, null'altro è necessario perché il mediatore possa pretendere la provvigione. Non occorre, in particolare, che il contratto abbia avuto esecuzione, o che le parti abbiano adempiuto agli obblighi assunti, perché tutto ciò resta al di fuori dell'attività di interposizione e non può quindi pregiudicare i diritti dell'intermediario.
Le cose, tuttavia, possono, anche sotto quest'aspetto, andare diversamente, qualora fra mediatore e parti vi siano state al riguardo speciali pattuizioni.

La provvigione inoltre spetta indistintamente a qualunque mediatore occasionale o professionista, sia l'affare di natura civile, o di natura commerciale. Spetta ai mediatori liberi in affari di borsa, o agli agenti di cambio regolarmente iscritti e ciò specialmente per la considerazione che, chiunque si intromette fra altre persone per la conclusione di affari ed è autorizzato a livellare gli opposti interessi, è un mediatore, e perché la disciplina di questo rapporto deve essere unica.
Queste ragioni trovano piena conferma nelle norme del codice vigente. Ciò è reso anzitutto palese dalla formulazione stessa dell'art. 1755, il quale riguarda il mediatore, considerato per se stesso, indipendentemente dalla natura dell'affare, o dalla qualità professionale del medesimo.
È da tener presente, d'altra parte, che la mediazione, come si è già accennato, è stata inquadrata fra i contratti regolati nel libro delle obbligazioni, e quindi con riferimento generico alle materie civili ed a quelle commerciali.

Chiarito dunque come, anche rispetto alle nuove disposizioni, il risultato utile dell'opera prestata abilita l'intermediario a pretendere il compenso, per coerenza di sistema, è necessario ritenere operanti due altre notevoli conseguenze, pur esse riannodantesi al concetto del nesso di causalità, fondamentale per stabilire il diritto alla provvigione.
La prima è che, una volta dimostrato il nesso anzidetto, il diritto si perfeziona, non soltanto quando sia stato stipulato il contratto definitivo (per esempio la vendita); ma anche quando le parti abbiano concluso un contratto preliminare. L'altra conseguenza di grande rilievo è che il compenso non può essere rifiutato quando le parti maliziosamente abbiano interrotto le trattative, o revocato l'incarico, per sottrarsi agli obblighi verso l'intermediario. Si è ritenuto in quest'ipotesi, che l'intento fraudolento impedisce che rimanga spezzato il rapporto di causalità fra l'opera del mediatore ed il risultato, che si sarebbe certamente prodotto senza l'illegittimo comportamento di coloro che si sono avvalsi dell'opera stessa.


Pagamento della provvigione. Inesistenza di obbligo solidale fra le parti

Perfezionato il diritto alla provvigione, il mediatore, salvo patto contrario, può senz'altro agire per ottenerne il pagamento dalle parti, senza che, per altro, tra esse vi sia vincolo di solidarietà. Questo punto era finora pacifico. Si osservava, in proposito, che ogni contraente tratta col mediatore avendo di mira il proprio interesse; ond'era da escludere l'esistenza di una coobbligazione contrattuale, che, se di natura commerciale, faceva presumere la solidarietà, ai termini dell'art. 40 del codice di commercio.

Ora queste stesse ragioni, in sostanza, giustificano l'identica soluzione da dare al quesito rispetto al codice in vigore, nonostante l'articolo 1294, con norma di carattere generale, stabilisca che i condebitori sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente. Occorre sempre tener presente come, nella mediazione, l'incarico è conferito da persone che hanno interessi divergenti. Questo impedisce manifestamente che possa comunicarsi, dall'una all'altra, il vincolo obbligatorio assunto verso il mediatore, in guisa da farne scaturire la presunzione di solidarietà. Tale concetto è coerente con quanto si legge nella Relazione, nella quale si è posto in rilievo: «che la disposizione del citato art. 1294 non è altro che l'estensione di quella dell'art. 40 del codice di commercio; che l'estensione è giustificata dal considerare che assai di frequente là dove più debitori sono obbligati per un solo debito, essi sono legati intimamente da una connessione di interessi; e che la presunzione di solidarietà è stata esclusa in quei casi (articoli 1268, 1295 e 1408) nei quali la connessione di interessi tra più debitori non si sarebbe potuta legittimamente supporre come normale». Uno di questi casi si ha indubbiamente in dipendenza dell'incarico conferito al mediatore. In tal senso, del resto, è pure il testo legislativo, il quale, con lo stabilire, nel secondo comma dell'articolo 1755, che o il patto, o le tariffe professionali, o gli usi, o, in fine, il giudice, debbano determinare non soltanto la misura della provvigione, ma altresì la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti, esclude implicitamente la solidarietà. La cui caratteristica invece, rispetto a più debitori, consiste, ai termini dell'art. 1292, nell'essere costoro obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all'adempimento per l'intero.

Peraltro al carattere parziario dell'obbligazione delle parti si faceva eccezione per il caso in cui si fosse accertata la frode a danno del mediatore. Eccezione che si giustificava considerando che le parti, col simulare l'abbandono dell'affare, pongono in essere un comportamento fraudolento, il quale fa sorgere a loro carico la responsabilità per il danno subito dall'intermediario, e consistente nella permanenza dell'obbligo di pagare la senseria. Donde il carattere solidale che veniva ad assumere l'obbligo stesso ai termini dell'art. 1156 del codice civile del 1865.

L'anzidetta eccezione può essere mantenuta, con le stesse argomentazioni, anche rispetto al codice in vigore; poiché, nell'ipotesi ora profilata, si esce dall'ambito dell'art. 1755, per entrare nel campo di applicazione dell'art. 2055, prima parte, relativo all'obbligo solidale del risarcimento del danno, nel caso di fatto illecito imputabile a più persone.
In base alle norme abrogate si riteneva inoltre che il credito del mediatore per la riscossione del compenso non era assistito da alcun privilegio, non essendo a lui applicabile la disposizione dell'art. 362 del codice di commercio, scritta a favore del mandatario. Ciò per il motivo che il mediatore rimane, di regola, estraneo alla conclusione del contratto e quindi non detiene merci, titoli, o denaro di spettanza del mandante, che siano a lui affidati per l'esecuzione dell'incarico, cioè per contrattare in nome e per conto del rappresentato.

Il principio rimane integro anche in relazione alle disposizioni del codice. L'art. 2764, infatti, accorda il privilegio soltanto per i crediti a favore del mandatario, che derivano dall'esecuzione del mandato, e per quelli derivanti dal deposito e dal sequestro convenzionale, a favore rispettivamente del depositario e del sequestratario; mentre il mediatore non è compreso fra queste tre categorie. Né potrebbe a lui applicarsi la disposizione più generale dell'art. 2756, perché questo prevede il caso di spese e prestazioni relative alla conservazione o al miglioramento di beni immobili. Prestazioni e spese che non si ricollegano alle funzioni proprie del mediatore; giacché esse, come si è detto in precedenza, nella fase delle trattative fra futuri contraenti, nella quale si esplica tipicamente il fenomeno dell'interposizione, non possono consistere se non nell'intervento imparziale fra le parti, e non tollerano perciò, senza snaturare il rapporto di mediazione, che l'intermediario agisca nell'interesse di alcuna delle parti stesse.

Il principio anzidetto sta però fino a quando il mediatore agisce in tale qualità. Se questa venisse meno, non si potrebbe disconoscere l'applicabilità, a seconda dei casi, delle disposizioni sopra citate. La stessa legge (art. 1761) fa l'ipotesi che il mediatore, successivamente alla conclusione del contratto, sia incaricato da una delle parti di compiere gli atti relativi all'esecuzione; ed, in tal caso, attribuisce al mediatore la veste di rappresentante. È quindi logico ritenere che, rispetto ai crediti, (per spese e compensi) derivanti da questo particolare incarico, che esce indubbiamente dall'ambito della mediazione, sussistano i privilegi sopra accennati.
Il 2°comma dell'art. 1755 stabilisce il modo di determinare la misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti. Il sistema è quello già indicato dalla dottrina ed accolto dalla giurisprudenza. Nel senso cioè che, in primo luogo è da tenere presente la volontà delle parti; in secondo luogo occorre riferirsi alle tariffe, oppure agli usi locali o di piazza; ed infine, in mancanza dei riferimenti anzidetti, provvede il giudice con apprezzamento equitativo.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

725 La provvigione spetta al mediatore solo ad affare concluso per effetto del suo intervento (art. 1755 del c.c., primo comma); però, se il mediatore subisce l'effetto della condizione sospensiva apposta al contratto che egli ha fatto concludere (art. 1757 del c.c., primo comma), rimane invece indifferente alle conseguenze della condizione risolutiva (art. 1757, secondo comma). E' ovvio poi che la nullità del contratto principale fa venir meno il diritto alla provvigione; l'annullabilità o la rescindibilità si può invece opporre al mediatore solo se egli ne conosceva la causa (art. 1757, terzo comma). La provvigione è dovuta al mediatore da ciascuna delle parti (art. 1755, primo comma), perché entrambe ne accettano necessariamente l'opera e usufruiscono di essa, anche se una sola abbia dato preventivamente l'incarico. Non c'è solidarietà per quest'obbligo, perché l'uso, a cui la legge rinvia espressamente (art. 1755, secondo comma), di solito divide l'importo complessivo della provvigione fra i contraenti del rapporto conclusosi per l'intervento del mediatore. Se si siano intromessi più mediatori, ciascuno ha diritto ad una quota (art. 1758 del c.c.); è chiaro però che il diritto di quota si esercita, nei confronti delle parti contraenti sole se i vari mediatori sono entrati in relazione con le parti stesse. Altrimenti si tratterà di un semplice rapporto interno tra i mediatori, a cui rimangono estranei i contraenti; e questi saranno liberati pagando la provvigione a quello o a quelli dei mediatori con cui hanno trattato. Quanto al rimborso delle spese, l'art. 1755 lo riconosce dovuto solo allorché le spese siano state sostenute dal mediatore in base ad incarico di una delle parti, che ne sopporta, da sola, le conseguenze.

Massime relative all'art. 1755 Codice Civile

Cass. civ. n. 3165/2023

Al fine del sorgere del diritto alla provvigione ex art. 1755, comma 1, c.c., è necessario che tra l'intervento del mediatore e la conclusione dell'affare vi sia un nesso di causalità adeguata, senza che l'aver messo le parti in relazione tra loro sia di per sé sufficiente a conferire all'intervento il carattere dell'adeguatezza e senza che l'intervento di un secondo mediatore sia in sé idoneo a recidere il nesso di causalità tra l'operato del primo mediatore e la conclusione dell'affare. L'esistenza del nesso di causalità tra l'intervento del mediatore e la conclusione dell'affare è soggetta a verifica in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 24486/2022

In tema di mediazione, ha diritto alla provvigione il mediatore che abbia intermediato la conclusione di un contratto preliminare di vendita, avente ad oggetto un immobile acquistato dal promittente venditore in seguito a procedura di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali ex l. n. 335 del 1995, attuata con d.lgs. n. 104 del 1996, atteso che la sanzione della nullità derivante dalla violazione del divieto di porre in essere atti di disposizione prima del decorso dei cinque anni dall'acquisto, ai sensi dell'art. 3, comma 14, d.l. n. 351 del 2001, come modificato dalla l. n. 410 del 2011, attiene ai soli atti aventi efficacia traslativa, ma non anche a quelli aventi efficacia obbligatoria, sicché il vincolo giuridico tra le parti è validamente costituito.

C. giust. UE n. 20132/2022

Nel contratto di mediazione, il diritto alla provvigione di cui all'art. 1755 c.c. sorge nel momento in cui può ritenersi intervenuta la conclusione di un affare, ossia quando fra le parti messe in contatto dal mediatore si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna ad agire per l'esecuzione (o risoluzione) del contratto stesso; ne consegue che la provvigione spetta al mediatore anche quando sia intervenuto per consentire la stipula tra le parti di un contratto preliminare di vendita di un immobile privo della concessione edificatoria e non regolarizzabile urbanisticamente, posto che la sanzione di nullità prevista dall'art. 40 della legge n. 47 del 1985 si applica ai soli atti di trasferimento comportanti effetti reali e non a quelli con efficacia obbligatoria.

Cass. civ. n. 15577/2022

In tema di mediazione, il mediatore, sia quando agisca in modo autonomo (mediazione c.d. tipica), sia su incarico di una delle parti (mediazione c.d. atipica, costituente in realtà mandato), è tenuto a comportarsi secondo buona fede e correttezza e a riferire, perciò, alle parti le circostanze, da lui conosciute o conoscibili secondo la diligenza qualificata ex art. 1175 c.c. propria della sua categoria, idonee ad incidere sul buon esito dell'affare, senza che le eventuali più penetranti verifiche a ciò necessarie postulino il previo conferimento di specifico incarico, tali essendo, in caso di mediazione immobiliare, tutte quelle afferenti alla contitolarità del diritto di proprietà, all'insolvenza di una delle parti, all'esistenza di elementi atti a indurre le parti a modificare il contenuto del contratto, ad eventuali prelazioni ed opzioni, al rilascio di autorizzazioni amministrative, alla provenienza di beni da donazioni suscettibili di riduzione, alla solidità delle condizioni economiche dei contraenti, alle iscrizioni o trascrizioni sull'immobile e alla titolarità del bene in capo al venditore.

Cass. civ. n. 11443/2022

In tema di mediazione, il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, che sussiste quando il mediatore abbia messo in relazione le parti, così da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipulazione del contratto, sempre che questo possa ritenersi conseguenza prossima o remota dell'opera dell'intermediario tale che, senza di essa, secondo il principio della causalità adeguata, il contratto stesso non si sarebbe concluso. (Affermando tale principio, la S.C. ha dato rilievo causale all'intervento del mediatore che aveva posto in relazione i contraenti e fatto visitare l'immobile agli interessati i quali, dopo alcuni mesi dalla visita ed una volta rifiutata un prima offerta di acquisto, avevano collocato dei bigliettini nelle cassette postali di tutti i condomini così da riaprire le trattative e giungere all'acquisto dell'unità immobiliare, sia pure per un prezzo inferiore a quello inizialmente richiesto).

Cass. civ. n. 11127/2022

In tema di mediazione, la misura della provvigione dovuta al mediatore è determinata dal giudice solo in assenza di specifica previsione delle parti, secondo le fonti di integrazione previste in ordine successivo dall'art. 1755, comma 2, c.c.; di conseguenza, la mancata prova degli usi normativi non comporta, per ciò solo, il rigetto della domanda, dovendosi ricorrere al criterio subordinato dell'equità.

Cass. civ. n. 20556/2021

Ai fini fini del riconoscimento del diritto del mediatore al compenso per l'attività prestata, l'onere della prova dell'iscrizione all'albo dei mediatori, così come previsto nella l. n. 39 del 1989, può essere assolto anche mediante l'indicazione del numero d'iscrizione nel ruolo degli agenti di affari in mediazione tenuto presso la locale Camera di Commercio, non essendo impedito alla parte di fornirne detta prova per presunzioni.

Cass. civ. n. 22426/2020

In tema di mediazione, non sussiste il diritto alla provvigione, quando una prima fase delle trattative avviate con l'intervento del mediatore non dia risultato positivo e la conclusione dell'affare, cui le parti siano successivamente pervenute, sia indipendente dall'intervento del mediatore che le aveva poste originariamente in contatto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso un effettivo contributo causale, in ordine al perfezionamento di un contratto di compravendita immobiliare, nel contegno di un mediatore il quale, dopo aver fatto visionare alla potenziale acquirente il complesso edilizio oggetto di negoziazione, non era stato in grado di indicargliene il prezzo e si era rifiutato di accettare la sua proposta, tanto che l'affare si era poi concluso grazie all'intervento di altro intermediario).

Cass. civ. n. 11776/2019

Nel rapporto di mediazione, il diritto alla provvigione insorge soltanto quando le parti siano state messe in grado di conoscere l'opera di intermediazione svolta dal mediatore, grazie alla cui attività hanno concluso l'affare, nonché di valutare l'opportunità o meno di avvalersi della relativa prestazione, soggiacendo ai conseguenti oneri; ne consegue che la prova di tale conoscenza incombe, ai sensi dell'art. 2697 c.c., sul mediatore che voglia far valere in giudizio il diritto alla provvigione

Cass. civ. n. 4107/2019

Affinché sorga il diritto del mediatore alla provvigione è necessario che l'attività di mediazione sia da questi svolta in modo palese, rendendo note ai soggetti intermediati la propria qualità e terzietà. Ove, per contro, il mediatore celi tale sua veste, presentandosi formalmente come mandatario di una delle parti (cosiddetta "mediazione occulta") egli non ha diritto alla provvigione e l'accertamento della relativa circostanza, demandato al giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato. (Nella specie, il mediatore aveva avuto contatti con un soggetto che, al momento della trattativa, non intratteneva alcun rapporto con la società che aveva poi acquistato l'unità immobiliare, essendone divenuto legale rappresentante soltanto successivamente alla stipula del rogito). (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 10/06/2014).

Cass. civ. n. 11656/2018

Ai fini della configurabilità del rapporto di mediazione, non è necessaria l'esistenza di un preventivo conferimento di incarico per la ricerca di un acquirente o di un venditore, ma è sufficiente che la parte abbia accettato l'attività del mediatore avvantaggiandosene.

Cass. civ. n. 869/2018

Il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, non occorrendo un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare, poiché è sufficiente che il mediatore - pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo - abbia messo in relazione le stesse, sì da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata.

Cass. civ. n. 1735/2016

In tema di mediazione, ove l'iscrizione all'albo dei mediatori professionali sia intervenuta dopo l'inizio dell'attività, il mediatore ha diritto al compenso solo dal momento dell'iscrizione e, pertanto, è tenuto a restituire l'acconto percepito quando ancora non possedeva la qualifica, non potendo la sopravvenienza della stessa nel corso del rapporto, né l'unitarietà del compenso spettante al mediatore, legittimare "ex post" un pagamento non consentito dalla legge al momento della sua effettuazione.

Cass. civ. n. 24397/2015

La conclusione dell'affare, quale fonte del diritto del mediatore alla provvigione, è il compimento dell'atto che dà all'intermediato il diritto di agire per l'adempimento o il risarcimento, sicché anche una proposta di acquisto integrante "preliminare di preliminare" può far sorgere il diritto alla provvigione.

Cass. civ. n. 25851/2014

Ai fini della configurabilità del rapporto di mediazione, non è necessaria l'esistenza di un preventivo conferimento di incarico per la ricerca di un acquirente o di un venditore, ma è sufficiente che la parte abbia accettato l'attività del mediatore avvantaggiandosene.

Il diritto del mediatore alla provvigione non postula una coincidenza totale tra oggetto iniziale delle trattative ed oggetto conclusivo dell'affare, sicché va riconosciuto anche quando la variazione oggettiva concerna il bene, più compiutamente identificato, e il prezzo, a condizione che l'opera del mediatore sia valsa a far intavolare trattative, poi confluite nella conclusione di un vincolo giuridico relativa a un bene univocamente, anche se non totalmente, riferibile a quello dedotto nella iniziale messa in relazione delle parti.

In tema di contratto di mediazione, qualora l'affare sia stato concluso tra persone giuridiche, il mediatore ha diritto alla provvigione anche quando la "messa in relazione", causalmente rilevante ai sensi degli artt. 1754 e 1755 cod. civ., sia inizialmente intervenuta tra soggetti che, seppur sprovvisti di poteri di legale rappresentanza, abbiano intrapreso e partecipato alle trattative per conto e nell'interesse delle persone giuridiche.

Cass. civ. n. 762/2014

In tema di mediazione, l'art. 73 del d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59 ha soppresso il ruolo dei mediatori, previsto dall'art. 2 della legge 3 febbraio 1989, n. 39, ma non ha abrogato quest'ultima legge, prescrivendo invece che l'attività sia soggetta a dichiarazione di inizio di attività, da presentare alla Camera di commercio territorialmente competente, la quale, previa verifica dei requisiti autocertificati, iscrive i mediatori nel registro delle imprese, se esercitano l'attività in forma di impresa, e, altrimenti, nel repertorio delle notizie economiche e amministrative assegnando ad cui la qualifica di intermediario per le diverse tipologie di attività previste dalla legge n. 39 del 1989. Ne consegue che l'art. 6 della legge n. 39 del 1989, secondo cui "hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli", va interpretata nel senso che, anche per i rapporti di mediazione sottoposti alla normativa prevista dal d.lgs. n. 59 del 2010, hanno diritto alla provvigione solo i mediatori che siano iscritti nei registri delle imprese o nei repertori tenuti dalla camera di commercio.

Cass. civ. n. 26781/2013

In tema di mediazione, qualora l'attività di intermediazione sia svolta in forma societaria, è necessario, ai fini del riconoscimento del diritto alla provvigione, che siano iscritti nell'albo di cui alla legge 3 febbraio 1989 n. 39 (nel testo applicabile "ratione temporis") la società o il suo legale rappresentante. Ne consegue che l'iscrizione nel ruolo dei mediatori del legale rappresentante a titolo personale (come persona fisica) non è sufficiente a far sorgere in capo alla società il diritto alla provvigione.

Cass. civ. n. 11539/2013

In tema di mediazione, ai fini del riconoscimento del diritto al compenso per l'attività prestata, l'onere della prova dell'iscrizione nell'albo dei mediatori, così come previsto nella legge 3 febbraio 1989, n. 39, può essere assolto mediante la prova per testimoni o anche per presunzioni; a tal fine, può valere il modulo di proposta di acquisto predisposto dal mediatore, dal quale risulti la suddetta iscrizione.

Cass. civ. n. 4758/2012

Il diritto del mediatore alla provvigione si ricollega all'efficacia del suo intervento nel favorire la conclusione dell'affare, non alle forme giuridiche mediante le quali l'affare medesimo è concluso, né alla coincidenza soggettiva tra fase delle trattative e formalizzazione del negozio; ne consegue che il mediatore può domandare la provvigione alla persona che gli ha affidato l'incarico e ha condotto le trattative, la quale risponde in proprio, tranne che abbia dichiarato fin dall'origine di agire in rappresentanza di un terzo.

Cass. civ. n. 24445/2011

La stipula di un patto di opzione, nel quale vi sono due parti che convengono che una di esse resti vincolata dalla propria dichiarazione mentre l'altra rimanga libera di accettarla o meno, non fa sorgere un vincolo giuridico che abiliti ciascuna delle parti ad agire per l'esecuzione specifica del negozio o per il risarcimento del danno, con la conseguenza che non matura il diritto del mediatore alla provvigione.

Cass. civ. n. 15473/2011

Anche in relazione alla mediazione atipica sussiste la necessità dell'iscrizione nell'albo professionale ai fini dell'insorgenza del diritto alla provvigione, secondo quanto previsto dall'art. 6 della legge 3 febbraio 1989, n. 39. Dalla mancata iscrizione non deriva, però, la nullità di tale contratto, perché la violazione di una norma imperativa, ancorché sanzionata penalmente, non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto, comportando quella violazione solo la non insorgenza del diritto alla provvigione e l'applicazione della sanzione amministrativa ovvero, in caso di recidiva, l'applicazione della pena prevista per l'esercizio abusivo della professione. Sicché, ove tra le parti del contratto di mediazione atipica intervenga una transazione al fine di definire i relativi rapporti, la mancata iscrizione del mediatore nel rispettivo albo professionale potrà comportare non già l'applicazione del primo comma dell'art. 1972 c.c. - posto che la transazione non trova preclusione nella nullità dell'intero contratto - bensì quella del secondo comma dello stesso art. 1972, con conseguente annullabilità della transazione medesima qualora essa si sia perfezionata nell'ignoranza della causa di nullità concernente l'obbligazione relativa alla spettanza della provvigione, potendo in tale caso ravvisarsi nella detta nullità la sussistenza del cd. "titolo nullo" di cui al secondo comma della norma indicata.

Cass. civ. n. 22273/2010

Il mediatore ha diritto al pagamento della provvigione in tutti i casi in cui le parti, per effetto del suo intervento, abbiano concluso un "affare" (nella specie, contratto preliminare di vendita immobiliare non sottoposto ad alcuna condizione), a nulla rilevando che, successivamente, le parti stesse decidano concordemente di modificare i termini nell'accordo o di sottoporre lo stesso a condizione sospensiva.

Cass. civ. n. 21836/2010

In tema di mediazione, costituisce affare, ai sensi dell'art. 1754 c.c., al fine del riconoscimento del diritto del mediatore alla provvigione, qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra due parti. Tale operazione, benché da intendersi in senso generico ed empirico, deve, tuttavia, essere sufficientemente individuata nella sua consistenza storica.

Cass. civ. n. 15880/2010

In tema di mediazione, per aversi diritto alla provvigione non basta che l'affare sia stato concluso, ma, in forza dell'art. 1755 c.c., occorre che la conclusione sia avvenuta per effetto dell'intervento del mediatore. L'accertamento sull'esistenza del rapporto di causalità tra la conclusione dell'affare e l'attività svolta dal mediatore o di concausalità, se più furono gli intermediari che prestarono la loro opera, si riduce ad una questione di fatto rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, insindacabile in Cassazione, se informato ad esatti criteri logici e di diritto.

Cass. civ. n. 12527/2010

In tema di contratto di mediazione, l'affare - da intendersi nel senso di qualsiasi operazione economica generatrice di un rapporto obbligatorio - deve ritenersi concluso, per effetto della "messa in relazione" da parte del mediatore, quando si costituisca un vincolo giuridico che abiliti ciascuna delle parti ad agire per l'esecuzione specifica del negozio o per il risarcimento del danno; ne consegue che, ai fini del riconoscimento al mediatore del diritto alla provvigione, è sufficiente che la sua attività costituisca l'antecedente necessario per pervenire, anche attraverso fasi e atti strumentali, alla conclusione dell'affare, rimanendo irrilevante che le parti originarie sostituiscano altri a sé nell'operazione conclusiva, ovvero una parte sia receduta dal preliminare. (Nella specie, la S.C. ha, perciò, accolto il ricorso del mediatore e cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva negato il diritto del ricorrente alla percezione della provvigione malgrado avesse messo in relazione le parti per la stipula del preliminare, non potendosi ritenere ostativi in proposito né il successivo recesso di una delle parti originarie né la circostanza che l'affare fosse stato poi definitivamente concluso con altro soggetto).

Cass. civ. n. 12283/2009

In tema di mediazione, ai sensi dell'articolo 1755 c.c. la conclusione dell'affare, che dell'azione dal mediatore promossa per ottenere la provvigione costituisce condizione, non deve necessariamente sussistere al momento dell'introduzione della domanda, ben potendo sopravvenire nel corso del giudizio stesso, che, in tale caso, deve proseguire per la decisione nel merito.

Cass. civ. n. 9547/2009

Il mediatore acquista il diritto alla provvigione solo quando l'affare sia stato concluso per il tramite della sua opera, a nulla rilevando che l'incarico unilateralmente conferitogli preveda una clausola di esclusiva e che questa sia stata violata dall'intermediato, a meno che il contratto non preveda espressamente l'obbligo di quest'ultimo di corrispondere la provvigione anche nel caso di violazione del patto di esclusiva, essendo inapplicabile, in via analogica, alla mediazione la diversa regola dettata con specifico riferimento al contratto di agenzia dall'art. 1748 c.c. 

Cass. civ. n. 8126/2009

In tema di contratto di mediazione, per il riconoscimento del diritto alla provvigione non rileva se l'affare si sia concluso tra le medesime parti o tra parti diverse da quelle cui è stato proposto, allorché vi sia un legame, anche se non necessariamente di rappresentanza, tra la parte alla quale il contratto fu originariamente proposto e quella con la quale è stato successivamente concluso, tale da giustificare, nell'ambito dei reciproci rapporti economici, lo spostamento della trattativa o la stessa conclusione dell'affare su un altro soggetto.

Cass. civ. n. 7994/2009

Al fine del riconoscimento del diritto del mediatore alla provvigione, l'affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio o per il risarcimento del danno. Ne consegue che, se anche la stipula di un contratto preliminare può legittimamente considerarsi come "atto conclusivo dell'affare", ai sensi dell'art. 1755 c.c., non altrettanto può esserlo un preliminare i cui effetti siano condizionati dalle parti ad avvenimenti passati o presenti (cosiddetta condizione impropria): in tal caso, qualora si accerti che la condizione non si è verificata, il mediatore non ha diritto alla provvigione. (Principio enunciato dalla S.C. in riferimento ad un caso in cui il preliminare di compravendita di un immobile stipulato per effetto dell'intervento del mediatore prevedeva la risoluzione automatica ove fosse stata riscontrata, prima della stipula del contratto definitivo, una preesistente difformità del bene rispetto agli strumenti urbanistici).

Cass. civ. n. 5348/2009

Affinché sorga il diritto del mediatore alla provvigione è sufficiente che la conclusione dell'affare possa ricollegarsi all'opera dello stesso svolta per l'avvicinamento dei contraenti, purché, però, tale attività costituisca il risultato utile della condotta posta in essere dal mediatore stesso e, poi, valorizzata dalle parti, senza che abbia rilievo in proposito, quando il conferimento dell'incarico sia avvenuto con patto di esclusiva per un determinato periodo di tempo, la circostanza che l'opera prestata dal mediatore sia stata ultimata in modo idoneo ed efficiente alla conclusione dell'affare successivamente alla scadenza del termine previsto, poiché la stipula di detto patto non è indicativa anche della volontà del preponente di rifiutare l'attività del mediatore profusa oltre il termine medesimo. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell'enunciato principio, ha cassato la sentenza impugnata rilevando che la conclusione dell'affare era stata integrata dalla stipula del contratto preliminare di vendita intervenuta fra le parti, rimanendo indifferenti, ai fini del riconoscimento del diritto alla provvigione, le vicende successive che avevano condotto le parti alla mancata conclusione del contratto definitivo, indipendentemente dalla scadenza o meno del mandato conferito).

Cass. civ. n. 23842/2008

Il diritto del mediatore alla provvigione, ai sensi dell'art. 1754 cod. civ., nasce sulla sola base della conclusione di un affare e a condizione che quest'ultimo risulti in rapporto causale con l'attività svolta dal mediatore, il quale potrà assolvere il suo compito sia secondo il modello della "mediazione di contratto" (favorendo, cioè, l'utile contatto tra le parti), sia attraverso fattispecie mediatizie che non presuppongono un formale accordo tra le parti e si caratterizzano per la loro atipicità negoziale, si da doversi ritenere non esaustivo il sintagma "contratto di mediazione".

Il tema di mediazione, ai fini del diritto del mediatore alla provvigione, non rileva che la conclusione dell'affare sia avvenuta dopo la scadenza dell'incarico conferitogli, purché il mediatore abbia messo in relazione i contraenti con un'attività causalmente rilevante ai fini della conclusione del medesimo affare.

Cass. civ. n. 11521/2008

Affinché sorga il diritto del mediatore alla provvigione è necessario che l'attività di mediazione sia da questi svolta in modo palese, e cioè rendendo note ai soggetti intermediati la propria qualità e la propria terzietà. Ove, per contro, il mediatore celi tale sua veste, presentandosi formalmente come mandatario di una delle parti (cosiddetta «mediazione occulta») egli non ha diritto alla provvigione e l'accertamento della relativa circostanza è demandato al giudice di merito che è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato.

Cass. civ. n. 6292/2008

A seguito dell'entrata in vigore della legge n. 39 del 1989, l'attività di mediazione può essere svolta solo in presenza dei requisiti prescritti dalla predetta legge e, pertanto, il mediatore consegue il diritto al compenso solo se iscritto nei registri da essa contemplati. In relazione alle attività di mediazione iniziate prima ma concluse dopo l'entrata in vigore della suddetta normativa, il mediatore può far valere il diritto al compenso solo se abbia chiesto l'iscrizione nei nuovi registri, ai sensi dell'art. 9, comma secondo, della citata legge n. 39 del 1989; quanto meno entro la data di conclusione del contratto intermediato, pur se l'iscrizione non sia ancora avvenuta. A tal riguardo è onere del mediatore dimostrare di aver proposto tale domanda mentre, qualora l'iscrizione nei nuovi registri non sia ancora avvenuta, spetta alla parte che contesti il diritto al compenso dimostrare l'eventuale insussistenza dei requisiti per l'iscrizione medesima.

Cass. civ. n. 26292/2007

In tema di mediazione, ai fini del riconoscimento del diritto al compenso per l'attività prestata, l'onere della prova dell'iscrizione all'albo dei mediatori così come previsto nella legge n. 39 del 1989 può essere assolto, anche mediante l'indicazione del numero d'iscrizione nel ruolo degli agenti di affari in mediazione tenuto presso la locale Camera di Commercio, non essendo impedito alla parte di fornire la prova per presunzioni.

Cass. civ. n. 22859/2007

Ai sensi dell'art. 9, comma 2, legge 3 febbraio 1989, chi poteva esercitare l'attività di mediazione prima dell'entrata in vigore della stessa legge, perché iscritto nei ruoli di cui all'art. 2 della legge n. 253 del 1958, doveva, essere iscritto nel ruolo previsto dalla nuova legge, sicché, sin dall'entrata in vigore della legge n. 39 del 1989, poteva continuare a svolgere l'attività, chiedendo l'iscrizione nei nuovi ruoli, sino a quando tale iscrizione non gli fosse stata rifiutata per una legittima ragione. (Nella specie, in applicazione del riferito principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di condanna al pagamento della provvigione per la mediazione svolta dalla società attrice per non aver questa dato prova di versare già prima dell'entrata in vigore della legge n. 39 del 1989 nella condizione di poter esercitare l'attività di mediazione, tramite un suo rappresentante legale iscritto nel precedente ruolo.

Cass. civ. n. 14582/2007

È configurabile il diritto alla provvigione del mediatore per l'attività di mediazione prestata in favore di una delle parti contraenti quando egli sia stato contemporaneamente procacciatore d'affari dell'altro contraente. Infatti, se è vero che, normalmente, il procacciatore d'affari ha diritto al pagamento solo nei confronti della parte alla quale sia legato da rapporti di collaborazione, è anche vero che tale «normale» assetto del rapporto può essere derogato dalle parti, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, ben potendo il procacciatore, nel promuovere gli affari del suo mandante, svolgere attività utile anche nei confronti dell'altro contraente con piena consapevolezza e accettazione da parte di quest'ultimo. Di conseguenza, essendo il procacciatore di affari figura atipica, i cui connotati, effetti e compatibilità, vanno individuati di volta in volta, con riguardo alla singola fattispecie, occorre avere riguardo, in materia, al concreto atteggiarsi del rapporto, e in particolare alla natura dell'attività svolta e agli accordi concretamente intercorsi con la parte che non abbia conferito l'incarico. (Nella fattispecie, relativa alla domanda di pagamento della provvigione per l'intermediazione nell'acquisto da parte del terzo di macchinari prodotti dalla società convenuta, si era doluto il ricorrente, che secondo la corte di merito, egli, in quanto procacciatore d'affari per la ditta acquirente, non avesse potuto svolgere contemporaneamente attività mediatoria in favore della venditrice, conseguendo il diritto al compenso nei confronti di quest'ultima: la S.C. ha cassato con rinvio, per errata applicazione dell'articolo 1755 c.c., l'impugnata sentenza di rigetto).

Cass. civ. n. 20749/2004

Ai fini del riconoscimento del diritto al compenso in favore di chi assume di avere svolto attività di mediatore, la prova dell'iscrizione nel relativo ruolo costituisce una condizione dell'azione la cui sussistenza deve essere provata in giudizio da chi agisce per il pagamento della provvigione, mentre l'eccezione di nullità del contratto per la mancanza di tale iscrizione costituisce un'eccezione in senso lato rilevabile dal giudice d'ufficio e non soggetta al divieto di ius novorum in appello sancito dall'art. 345 c.p.c.

Cass. civ. n. 13590/2004

Al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l'affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio o per il risarcimento del danno, con la conseguenza che anche la conclusione di un'opzione, contratto nel quale vi sono due parti che convengono che una di esse resti vincolata dalla propria dichiarazione mentre l'altra resta libera di accettarla o meno, può far sorgere tale diritto. (Nella specie, avendo il promissario acquirente sottoscritto una proposta irrevocabile d'acquisto sottoscritta a sua volta, per accettazione, dal promittente venditore, la S.C., ritenuto configurabile un contratto d'opzione, ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva escluso il diritto del mediatore alla provvigione). 

Cass. civ. n. 13067/2004

In tema di mediazione, il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui, tra le parti avvalsesi della sua opera, si sia validamente costituito un vincolo giuridico che consenta a ciascuna di esse di agire per l'esecuzione del contratto, con la conseguenza che mentre un contratto preliminare di compravendita deve considerarsi atto conclusivo dell'affare, idoneo, per l'effetto, a far sorgere in capo al mediatore, il diritto alla provvigione, non cosa avviene per la puntuazione. L'accertamento relativo alla natura dell'accordo stipulato, che si traduce nella interpretazione della volontà negoziale delle parti secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., implica un apprezzamento demandato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata: motivazione immune da vizi logici. (Nella specie la S.C., ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato l'avvenuta conclusione dell'affare in una proposta d'acquisto, accettata dalla controparte, contenente l'indicazione del prezzo, delle modalità di pagamento, della data di stipula del definitivo e della consegna dell'immobile all'acquirente, ancorché raccordo stabilisse la data della stipula del «contratto preliminare» davanti al notaio, previsione ritenuta mirante soltanto a riprodurre in forma più sicura un preliminare già concluso).

Cass. civ. n. 12022/2002

In tema di mediazione, il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui, tra le parti avvalesi della sua opera, si sia validamente costituito un vincolo giuridico che consenta a ciascuna di esse di agire per l'esecuzione del contratto, con la conseguenza che anche un contratto preliminare di compravendita deve considerarsi «atto conclusivo dell'affare», idoneo, per l'effetto, a far sorgere in capo .al mediatore il diritto alla provvigione, senza che, in senso contrario, spieghi influenza la circostanza che, al preliminare, non sia poi seguita la stipula del contratto definitivo.

Cass. civ. n. 11911/2002

In tema di determinazione della provvigione dovuta al mediatore, tenuto conto del carattere sussidiario dei criteri previsti in ordine successivo dall'art. 1755 c.c., soltanto qualora le parti non abbiano stabilito la misura di detta provvigione, questa è determinata in base alle tariffe professionali o, in mancanza, agli usi, o, ancora dal giudice secondo equità.

Cass. civ. n. 10553/2002

Ai fini del riconoscimento del diritto del mediatore alla provvigione, può essere considerata atto conclusivo dell'affare la stipula di un contratto preliminare, ma non allorché quest'ultimo, relativo ad una compravendita immobiliare, sia nullo per difetto del requisito della forma scritta.

Cass. civ. n. 9380/2002

In tema di mediazione, la necessità del-l'iscrizione nell'albo professionale è prevista per l'insorgenza del diritto alla provvigione e costituisce un'innovazione introdotta dalla legge n. 39 del 1989 (art. 6), finalizzata a porre in risalto la natura professionale dell'attività del mediatore. Dalla mancata iscrizione non deriva, però, la nullità di tale contratto, perché la violazione di una norma imperativa, ancorché sanzionata penalmente, non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto, dato che l'art. 1418 c.c., con l'inciso «salvo che la legge disponga diversamente», impone all'interprete di accertare, se anche in caso di inosservanza del precetto, il legislatore abbia previsto la validità del contratto, predisponendo un meccanismo idoneo a realizzare gli effetti voluti dalla norma. Il contratto de quo, pertanto, in assenza di iscrizione all'albo, non è viziato da nullità, comportando quella violazione solo la non insorgenza del diritto alla provvigione e l'applicazione della sanzione amministrativa ovvero, in caso di recidiva, l'applicazione della pena prevista per l'esercizio abusivo della professione.

Cass. civ. n. 4635/2002

Il mediatore non iscritto nei ruoli degli agenti di affari in mediazione, che, ai sensi dell'art. 6 della legge 3 febbraio 1989, n. 39 non ha diritto alla provvigione, non può pretendere alcun compenso neppure con l'azione generale di arricchimento senza causa, atteso che l'art. 8 della stessa legge — secondo cui il mediatore non iscritto è tenuto a restituire alle parti contraenti le provvigioni percepite — comporta l'esclusione, di ogni possibilità di conseguire un compenso per l'attività di mediazione svolta da soggetto non iscritto.

Cass. civ. n. 3438/2002

In tema di mediazione, non può ritenersi nulla per contrarietà a norme imperative la clausola relativa alla previsione della misura pattizia della provvigione inserita in un modulo a stampa contenente le condizioni di contratto predisposte dal mediatore la cui copia non sia stata depositata secondo le modalità previste dall'art. 5 comma quarto della legge 39/1989, atteso che le norme contenenti obblighi o divieti, anche se sanzionati penalmente o in sede amministrativa, possono essere considerate imperative, in difetto di un'espressa sanzione civilistica di invalidità, solo se dirette alla tutela di un interesse pubblico generale.

Cass. civ. n. 11467/2001

L'affare, la cui conclusione per effetto dell'intervento del mediatore genera il diritto di quest'ultimo alla provvigione, deve intendersi in senso generico ed empirico, come qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, anche se articolatasi in una concatenazione di più atti strumentali, purché diretti nel loro complesso a realizzare un unico interesse economico, anche se con pluralità di soggetti. Condizione perché sorga il diritto alla provvigione è l'identità dell'affare proposto con quello concluso, che non è esclusa quando le parti sostituiscano altri a sé nella stipulazione conclusiva, sempre che vi sia continuità tra il soggetto che partecipa alle trattative e quello che ne prende il posto in sede di stipulazione negoziale. (Nella specie, il mediatore aveva messo in contatto due società per la vendita di un immobile, successivamente detto bene era stato venduto ad una terza società, che lo aveva poi concesso in leasing alla prima aspirante compratrice. Il giudice del merito ha ritenuto insussistente il diritto del mediatore alla provvigione, non ravvisando dell'identità tra l'affare intermediato e quello concluso, essendo irrilevante che la prima società avesse la disponibilità dell'immobile, traendo questa origine da locazione finanziaria; la Suprema Corte, in applicazione del suesposto principio ha confermato detta decisione).

Cass. civ. n. 10606/2001

Il diritto del mediatore alla provvigione sorge quando la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'opera dello stesso volta, e, pur non essendo richiesto che tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo, è tuttavia necessario che — anche quando il processo di formazione della volontà delle parti sia complesso e protratto nel tempo e altri soggetti si adoperino per la conclusione dell'affare — la «messa in relazione» da parte del mediatore costituisca pur sempre l'antecedente necessario per pervenire, anche attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione dell'affare. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza d'appello che aveva escluso il diritto a provvigione in un caso in cui una prima fase di trattative avviate con l'intervento del mediatore era stata interrotta senza conclusione dell'affare, e la ripresa delle trattative era intervenuta successivamente, per effetto di iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate).

Cass. civ. n. 9078/2001

Il diritto del mediatore alla provvigione deve essere riconosciuto anche quando l'attività da lui svolta in concreto non sia qualificabile quale fattore esclusivo e determinante la conclusione dell'affare, risultando sufficiente invece che, rispetto al negozio concluso dalle parti, l'attività di intermediazione assume il carattere indefettibile della completezza e non venga per contro in rilievo, una volta stipulato il negozio medesimo, la contestazione dell'esistenza di originari ripensamenti di una delle parti del rapporto di mediazione, da ritenersi inidonei ad incidere sull'efficienza causale, esclusiva o concorrente dell'opera del mediatore, ovvero dell'eventuale successivo intervento di altro intermediario nel corso delle stesse trattative.

Cass. civ. n. 8850/2001

Il diritto del mediatore alla provvigione, ex art. 1755 c.c.. deve essere riconosciuto in relazione alla conclusione dell'affare e non già in relazione alla conclusione del relativo negozio giuridico tra le stesse parti, e permane anche se le parti sostituiscano altri a sé stesse nella stipulazione del contratto. In tal caso, peraltro, debitore della provvigione resta pur sempre la parte originaria (essendo costei la persona con cui il mediatore ha avuto rapporti), con la conseguenza che nessuna efficacia interruttiva della prescrizione del diritto alla provvigione stessa può attribuirsi, rispetto alla nuova parte, all'eventuale atto di costituzione in mora compiuto nei confronti della parte originaria, in assenza di ogni vincolo di solidarietà tra le predette.

Cass. civ. n. 6963/2001

Il consenso necessario per ritenere concluso il contratto di mediazione ove non sia frutto di uno specifico incarico conferito al mediatore, può essere manifestato validamente anche per facta concludentia come quando la parte si avvalga consapevolmente dell'opera del mediatore ai fini della conclusione dell'affare.

Cass. civ. n. 6827/2001

Al fine di riconoscere il diritto del mediatore alla provvigione l'affare deve ritenersi concluso quando tra le parti, poste in relazione dal mediatore, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione del contratto; pertanto, anche un contratto preliminare di cosa altrui deve essere considerato atto conclusivo dell'affare, in quanto tale tipo di contratto non è né nullo né annullabile, importando solo l'obbligo a carico del venditore di acquistare dal proprietario il bene per trasmetterlo al compratore che ne diventa proprietario nel momento in cui il venditore ne consegue la proprietà.

Cass. civ. n. 6705/2001

La previsione di un compenso in caso di vendita diretta da parte del proprietario preponente entro i termini di efficacia dell'incarico, seppure si colloca al di fuori della mediazione tipica come non integrante la forfettaria determinazione di un rimborso di spese ai sensi dell'art. 1756 c.c., non è incompatibile con un incarico di mediazione.

Cass. civ. n. 6160/2001

In tema di mediazione, la legge n. 39 del 1989 ha stabilito (art. 6, comma primo) che, per l'insorgenza del diritto alla provvigione, il mediatore debba risultare iscritto nell'apposito ruolo professionale (istituito, ex art. 2, presso la Camera di commercio), ed ancora (art. 9, secondo comma) che le commissioni provinciali «hanno il compito di iscrivere nel nuovo ruolo tutti gli agenti già iscritti nei ruoli costituiti in base alla legge n. 253 del 1958», mentre il relativo regolamento di attuazione, n. 452 del 1990, ha ulteriormente specificato (art. 5) che, per ottenere l'iscrizione all'albo, l'interessato «deve presentare domanda», ed ancora (art. 11) che, qualora l'attività di mediazione sia esercitata da una società, i requisiti per l'iscrizione nel ruolo «devono essere posseduti dal legale rappresentante della società stessa» (ovvero da colui che sia preposto a tale ramo di attività). Ne consegue che l'iscrizione nel vecchio ruolo di cui alla legge n. 253/1958, pur costituendo titolo per l'iscrizione automatica in quello istituito ex novo dalla legge n. 39/1989, e pur abilitando, nelle more di tale nuova iscrizione, le singole persone fisiche a svolgere l'attività di mediazione, non estende, per converso, i suoi effetti al di là della sfera giuridica del soggetto/ persona fisica considerato, con la conseguenza che il soggetto stesso, se legale rappresentante di una società di mediazione, non può ritenersi ipso facto abilitato, anche in tale ulteriore qualità, a svolgere legittimamente l'attività predetta (svolgimento che postula, pertanto, l'adempimento di tutte le formalità di iscrizione previste della legge n. 39/1989 e dal relativo regolamento di attuazione), atteso che l'iscrizione nel ruolo dei mediatori della società non consegue automaticamente all'iscrizione (reale o virtuale) di una persona fisica che rivesta, nel contempo, la qualità di rappresentante legale della società stessa.

Cass. civ. n. 4111/2001

In tema di contratto di mediazione, il diritto del mediatore alla provvigione resta insensibile alle vicende successive alla stipula, riguardanti sia lo stesso contratto, sia il rapporto da esso generato, salvo che le parti, nell'ambito della loro autonomia, non abbiano subordinato il diritto alla provvigione al buon andamento dell'affare. Ne deriva che, qualora dopo la stipula del contratto preliminare il curatore del fallimento di una delle parti eserciti la facoltà discrezionale di sciogliere il contratto (art. 72 1. fall.), non viene meno il diritto alla provvigione dal mediatore acquistato per effetto della stipula, posto che l'esercizio di quella facoltà del curatore costituisce un fatto successivo, inidoneo ad incidere sul diritto medesimo.

Cass. civ. n. 1290/2001

In tema di mediazione, ove sia concluso l'affare tra le parti comunque messe in contatto da un intermediario, il diritto di quest'ultimo alla provvigione sorge in assenza di un incarico espresso o ricostruibile, purché l'attività svolta dal richiedente detta provvigione abbia avuto efficacia concausale ai fini della conclusione dell'affare.

Cass. civ. n. 15849/2000

Dopo l'entrata in vigore della legge n. 39 del 1989, che disciplina la professione di mediatore (ed il cui art. 6 dispone che hanno diritto alla provvigione solo coloro che sono iscritti nei ruoli degli agenti di affari in mediazione), il contratto di mediazione stipulato con soggetti non iscritti negli appositi ruoli è affetto da nullità per contrarietà a norma integrativa, con conseguente obbligo, per il soggetto non iscritto, di restituzione della provvigione percepita. Tale obbligo di restituzione può essere, poi, legittimamente invocato da chiunque vi abbia interesse — e, pertanto, anche dal terzo che adempiuto a diverso titolo l'obbligazione di pagamento della provvigione —, alla luce dei principi generali in tema di azione di nullità.

Cass. civ. n. 15014/2000

Né l'intervallo di tempo tra la conclusione del contratto e le prime trattative, né il successivo interessamento anche di altri soggetti, sono, in sé, circostanze idonee ad escludere che l'attività iniziale, espletata da colui che pretende la provvigione, costituisca l'antecedente necessario della conclusione dell'affare, e perciò non interrompono il nesso di causalità tra quella e questa.

Cass. civ. n. 2136/2000

Il diritto del mediatore alla provvigione sorge quando la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'opera dallo stesso svolta, senza che sia necessario il suo intervento in tutte le fasi delle trattative, fino all'accordo definitivo, con la conseguenza che anche la semplice attività consistente nel reperimento e nella indicazione dell'altro contraente, o nella segnalazione dell'affare, legittima il diritto alla provvigione, sempre che la descritta attività costituisca il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore, e poi valorizzata dalle parti. Né, una volta concluso l'affare, assume rilevanza, sotto il profilo della incidenza sulla efficienza causale esclusiva o concorrente dell'opera di detto mediatore, la assoluta identità delle condizioni alle quali la trattativa sia stata portata a termine solo successivamente, e con l'intervento di altro mediatore, non essendo un unico elemento di parziale differenziazione, da solo, idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra l'attività originariamente svolta dal soggetto che per primo aveva messo le parti in relazione tra loro e l'affare tra le stesse concluso. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che, in difformità dalla decisione di primo grado, aveva escluso la sussistenza del diritto alla provvigione in capo al mediatore che aveva messo in relazione, per la compravendita di un appartamento, due soggetti, i quali, per iniziale disaccordo sul prezzo, avevano concluso l'affare solo in un momento successivo, e dopo aver affidato la trattativa ad altro mediatore, a seguito di una modesta riduzione, da centotrenta a centoventitre milioni, del prezzo dell'immobile).

Cass. civ. n. 2135/2000

In tema di mediazione, la necessità della iscrizione nel ruolo professionale per l'insorgenza del diritto alla provvigione costituisce una innovazione introdotta nella disciplina della materia dalla legge n. 39 del 1989 (art. 6), finalizzata a porre in risalto la natura professionale dell'attività del mediatore. Pertanto, per il periodo anteriore alla entrata in vigore di detta legge, non può negarsi il diritto alla provvigione in favore del mediatore non iscritto nell'albo professionale in caso di conclusione dell'affare per effetto del suo intervento, non assumendo alcun rilievo in contrario l'esistenza della generale previsione di una sanzione penale per le attività svolte senza la necessaria autorizzazione, che si colloca su di un piano diverso da quello privatistico, per il quale, di regola, l'esercizio della mediazione è libero (forme particolari di mediazione essendo regolate da leggi speciali), e non potendosi applicare al mediatore professionale un trattamento irrazionalmente deteriore rispetto a quello riservato al mediatore occasionale non iscritto, pacificamente titolare del diritto al compenso.

Cass. civ. n. 1233/2000

Il diritto alla provvigione spetta a chi abbia prestato effettivamente opera di mediazione e, quindi, abbia cooperato a mettere in relazione i soggetti del contratto principale; tale cooperazione non si esplica — e pertanto non sussiste la fattispecie contrattuale della mediazione — nel caso in cui un soggetto si limiti a segnalare l'affare ad altri, il quale poi provvede a ricercare il contraente ed a stabilire il contatto tra le parti.

Cass. civ. n. 5108/1999

Il valore dell'affare ai fini del calcolo della provvigione del mediatore con riferimento ad una compravendita corrisponde al prezzo effettivamente pagato e pertanto, qualora l'oggetto della compravendita mediata sia la totalità delle quote o delle azioni rappresentanti ii capitale di una società ed il prezzo sia stato convenuto considerando la situazione di rilevante esposizione debitoria della società e, quindi, in misura notevolmente più bassa di quanto sarebbe stato possibile (anche in relazione al notevole patrimonio immobiliare della società) ove quella esposizione debitoria non vi fosse stata, il mediatore non può pretendere che la sua provvigione sia calcolata non già con riguardo al prezzo convenuto, bensì al prezzo che sarebbe stato adeguato senza l'esposizione debitoria ed in particolare considerando come componente del valore dell'affare l'ammontare della esposizione debitoria. (Nella specie la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza d'appello che aveva, invece, provveduto in tale senso).

Cass. civ. n. 5080/1998

Al fine di riconoscere il diritto del mediatore alla provvigione, l'affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l'adempimento del contratto, indipendentemente dal fatto che, a tal fine, siano formulate concrete rivendicazioni in via giudiziale o no. Il mediatore ha diritto al pagamento della provvigione nei confronti delle parti che conclusero l'affare, ove si verifichi la sostituzione di una di esse nella stipulazione del contratto, indipendentemente dal concreto coinvolgimento della parte sostituita nella ricerca e nella sostituzione del diverso contraente.

Cass. civ. n. 4196/1996

A norma dell'art. 1755 c.c., l'affare che costituisce il diritto alla provvigione del mediatore è quello che dal mediatore stesso è stato proposto alle parti, sicché, nel caso che queste ultime concludano successivamente un affare diverso da quello originariamente proposto dal mediatore, viene meno ogni nesso di causalità tra l'attività da quest'ultimo espletata e l'affare ed il conseguente obbligo delle parti di pagare la provvigione. (Nella specie, il mediatore aveva proposto un contratto di leasing back relativamente ad un immobile, ma la proposta era stata immediatamente respinta dal proprietario del bene e le parti, dopo tre anni, avevano concluso un contratto di vendita. La Suprema Corte, in applicazione dell'enunciato principio, ha escluso il diritto del mediatore alla provvigione).

Cass. civ. n. 6814/1994

La mediazione presuppone la volontà delle parti di avvalersi dell'opera del mediatore con la conseguenza che il rapporto, ed il diritto alla provvigione, non sorge nei confronti della parte che non è stata posta in grado di conoscere l'opera di intermediazione, senza che ciò pregiudichi il diritto del mediatore alla provvigione nei confronti dell'altra parte.

Cass. civ. n. 8587/1993

Il principio fissato dall'art. 1755 c.c., secondo cui il diritto del mediatore alla provvigione consegue alla conclusione dell'affare per effetto del suo intervento, essendo derogabile, non esclude la possibilità che la parte che ha conferito l'incarico di promuovere la conclusione di un contratto per un periodo determinato, avvalendosi dei poteri che ad essa derivano dalla sua autonomia contrattuale, si impegni a pagare la provvigione anche nel caso di conclusione diretta dell'affare nell'arco del predetto periodo.

Cass. civ. n. 7400/1992

Per «conclusione dell'affare», dalla quale a norma dell'art. 1755 c.c. sorge il diritto alla provvigione del mediatore e con la quale coincide ex art. 2935 il dies a quo della relativa prescrizione, deve intendersi il compimento di un'operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, di un atto cioè in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l'adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno, sicché anche la stipulazione di un contratto preliminare è sufficiente a far sorgere tale diritto, sempre che si tratti di contratto definitivo o preliminare validamente concluso e rivestito dei prescritti requisiti e quindi di forma scritta ove richiesta ad substantiam (artt. 1350 e 1351 c.c.). Diversamente, per la prova dell'avvenuta conclusione dell'affare, sia al fine di rivendicare il diritto del mediatore alla provvigione; sia al fine di individuare il termine dal quale decorre la prescrizione di tale diritto, non trovano applicazione al riguardo le limitazioni di cui agli artt. 2725 e 2729 c.c., in ordine alla prova dei contratti dei quali sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem, le quali operano soltanto quando il contratto sia invocato come tale, cioè come fonte di diritti e di obblighi tra le parti contraenti, e non anche quando esso sia dedotto da un terzo, o dalle parti stesse, come fatto storico dal quale pur discendono conseguenze in ordine alla decisione.

Cass. civ. n. 4003/1986

La pattuizione in favore del mediatore di una provvigione corrispondente al supero (rispetto ad una cifra stabilita) ricavabile dalla vendita di un immobile, ove conclusa, entro una certa data, sia con l'intervento del mediatore, sia direttamente da parte del proprietario, è lecita e conciliabile con l'imparzialità che deve caratterizzare il contratto di mediazione. Essa comporta tra l'altro, per il principio di buona fede che governa l'esecuzione (anche) di tale contratto, l'obbligo per il proprietario — che intenda vendere direttamente, prima della fissata scadenza, ad un prezzo che escluda la detta provvigione — di comunicare immediatamente tale risoluzione al mediatore, onde non incorrere in responsabilità contrattuale in relazione alla successiva inutile attività di ricerca del compratore eventualmente effettuata dal medesimo mediatore.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1755 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. I. chiede
mercoledì 16/10/2024
“A luglio 2024 ho fatto una proposta di acquisto ad un mediatore immobiliare per un appartamento, proposta che non è stata accettata dal venditore. Per decadenza della proposta ho quindi ritirato l’assegno dato in garanzia alla agenzia. Ho poi contattato personalmente il venditore con cui ad ottobre 2024 ho concluso l’affare tramite un compromesso ad un prezzo molto più alto di quello proposta dalla agenzia. L’agenzia non è al corrente di questa transazione.
L’atto di compravendita definitivo sarà effettuato tra un anno e oltre.
Se la agenzia non viene informata della transazione da me o dal venditore (il contratto preliminare non viene trascritto dal notaio) da quando decorre il termine di prescrizione?
Incorro in sanzioni qualora l’agenzia dovesse comunque accertare la stipula del compromesso ?”
Consulenza legale i 25/10/2024
Per rispondere ai quesiti posti è necessario fare riferimento alla disciplina in materia di mediazione.
Brevemente, l’art. 1754 c.c. definisce il mediatore come “colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”.
Quanto ai presupposti del diritto alla provvigione, l’art. 1755 c.c. stabilisce che "il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l'affare è concluso per effetto del suo intervento”.
Dunque, affinché il mediatore possa pretendere la provvigione, è necessario che sussista un nesso di causalità tra l’attività svolta del mediatore e la conclusione dell’affare.
Nel nostro caso non si può escludere che l’agenzia sostenga di aver diritto alla provvigione; naturalmente spetterà al mediatore dimostrare l’esistenza del citato nesso causale.

Analizziamo, in particolare, la giurisprudenza della Corte di Cassazione sull’argomento.
Ad esempio, secondo Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 08/04/2022, n. 11443, “il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, che sussiste quando il mediatore abbia messo in relazione le parti, si da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata”.
Ancora, per Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 16/01/2018, n. 869, “il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, non occorrendo un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare, poiché è sufficiente che il mediatore - pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo - abbia messo in relazione le stesse, sì da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata”.

È dunque possibile, almeno in astratto, che l’agenzia immobiliare - qualora venga a conoscenza dell’avvenuta stipula del preliminare - faccia valere il proprio asserito diritto alla provvigione, e ciò anche se, nel nostro caso, le parti hanno interrotto il rapporto con l’agenzia e si sono accordate successivamente in separata sede e per un prezzo diverso.
Come abbiamo già detto, comunque, l’onere della prova del nesso causale - ossia il compito di dimostrare che l’affare è stato concluso per effetto dell’attività del mediatore - grava sull’agenzia immobiliare.

Per quanto riguarda l’eventuale prescrizione del diritto del mediatore, l’art. 2950 c.c. stabilisce un termine annuale, che decorre dalla conclusione dell’affare.
Per “conclusione dell’affare” deve intendersi (si veda Cass. Civ., Sez. III, 16/06/1992, n. 7400) “il compimento di un'operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, di un atto cioè in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l'adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno, sicché anche la stipulazione di un contratto preliminare è sufficiente a far sorgere tale diritto”.
Rispetto al caso in cui - come spesso accade - il mediatore sia all’oscuro della conclusione dell’affare, la giurisprudenza afferma che “l'ignoranza circa l'avvenuta conclusione determina una mera impossibilità materiale di esercizio del credito e, pertanto, può assumere rilievo non ai sensi dell'articolo 2935 del c.c. ma come causa di sospensione della prescrizione ai sensi dell'articolo 2948, n. 1, del c.c. ove la detta ignoranza sia attribuibile a dolo o frode dei soggetti dell'affare intermediato, coincidendo in tal caso la cessazione dell'effetto sospensivo della prescrizione con la data in cui il mediatore ha acquistato consapevolezza della conclusione dell'affare. Ai fini della possibile sospensione della prescrizione è dunque necessaria la prova da parte del mediatore, da un lato, della mancanza della conoscenza dell'avvenuta conclusione dell'affare, dall'altro, del dolo o della frode da parte dei soggetti tenuti al pagamento della provvigione” (così ad esempio Tribunale di Bologna, 18/01/2005).

F. D. P. chiede
mercoledì 18/10/2023
“Ho dato a una agenzia immobiliare incarico per vendita mia mansarda fornendo tutti i documenti richiesti.
Durante le visite un possibile cliente ha mostrato dubbi circa altezze nella norma e l'agente mi ha chiesto se avevo agibilità.
Quando ho acquistato nel 2009 non esisteva obbligo di fornire certificato quindi ho risposto che non ne avevo idea (06/09) e mi sarei rivolto al Comune, scoprendo che la mansarda non possiede i requisiti necessari, premetto che avevo fatto acquisto di casa di abitazione.
Dopo questa mia risposta l'agente ha trovato un possibile compratore (12/09) senza attendere risultato mia verifica.
Domanda: l'agente immobiliare ha diritto comunque alla sua provvigione? Contratto prevede penale in caso di ritiro incarico.”
Consulenza legale i 25/10/2023
Il diritto del mediatore (rappresentato, nel nostro caso, dall’agenzia immobiliare) alla provvigione è regolato dall’art. 1755 c.c., che stabilisce la necessità di un nesso di causalità tra attività del mediatore e conclusione di un affare. In termini più semplici, il diritto del mediatore alla provvigione sorge quando l’affare è concluso per effetto del suo intervento.
Ma cosa si intende, esattamente, per conclusione di un “affare”?

La giurisprudenza, anche recentissima, ha chiarito che “al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l'affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all'art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. È invece da escludere il diritto alla provvigione qualora tra le parti si sia costituito soltanto un vincolo idoneo a dare impulso alle successive articolazioni del procedimento di conclusione dell'affare” (così Cass. Civ., Sez. II, 26/01/2023, n. 2385).

In quest’ottica, anche la stipula di un contratto preliminare (quello che nel linguaggio comune, ma impropriamente, viene chiamato “compromesso”) può dare luogo al diritto del mediatore alla provvigione, indipendentemente dalla successiva stipula del rogito, quindi del contratto definitivo.

Nel nostro caso, tuttavia, almeno stando a quanto riferito, risulta semplicemente che l’agenzia abbia trovato un “potenziale compratore”, ovvero una persona interessata all’acquisto.
Allo stato, dunque, il diritto alla provvigione non appare (ancora) sorto.
Se, però, chi pone il quesito desidera sapere se vi sia la possibilità di sciogliersi dal vincolo contrattuale con l’agenzia immobiliare, sarà necessario esaminare il contratto con cui è stato conferito l’incarico a quest’ultima.

D. S. chiede
lunedì 07/08/2023
“Domanda: L’agenzia immobiliare ha diritto al pagamento della provvigione per l’acquisto della casa?


Il caso è il seguente:

In data 01/09/2022 ho firmato con un'agenzia immobiliare una proposta di acquisto (con stipula fissata entro il 30/9/2023) per un immobile composto da un appartamento al secondo piano e di un garage al piano terra. Tale proposta viene accettata dai venditori il 27/09/2022.

- Nella proposta l’immobile è dichiarato conforme alle normative edilizio-urbanistiche e che la planimetria catastale corrisponde esattamente allo stato di fatto;
- L’appartamento si dichiara locato fino al 01/08/23 (prima scadenza).

Per i motivi sottoelencati, nei mesi successivi l’agenzia immobiliare mi chiede di prorogare per ben tre volte la proposta accettata (nuove scadenze 30/10/2022 – 31/12/2022 – 30/03/2023).

La mia proposta di acquisto era subordinata:

- A) alla liberazione dell’appartamento precedentemente affittato dai proprietari con incarico dato alla medesima agenzia, con un contratto 4+4 (scadenza dei primi 4 anni il 31/07/2023).
- B) alla concessione del mutuo per il pagamento del prezzo dell’immobile.

1) Dopo l’accettazione chiedo all’agenzia i documenti necessari da presentare in banca per la domanda di mutuo, guardando la documentazione mi accorgo che la concessione edilizia e la planimetria catastale dell’appartamento al secondo piano non erano conformi allo stato di fatto, pertanto chiedo che la difformità urbanistica venga sanata al più presto.

2) L’agenzia, d’accordo con i venditori, incarica un tecnico che presenta al Comune la SCIA di sanatoria, la pratica si chiude positivamente in data 8/12/2022.

3) Ricontrollando la documentazione tecnica, mi accorgo che il locale al piano terra era classificato in Catasto come magazzino e non come garage, così come dichiarato nell’annuncio di vendita della agenzia. Quindi chiedo di procedere alla variazione della destinazione d’uso che viene presentata al Catasto in data 19/12/2022.

4) A Gennaio i venditori, tramite l’agenzia, inviano agli inquilini con raccomandata la richiesta di liberazione della casa che dovrà avvenire entro e non oltre il 31/7/2023.

5) A Febbraio, dopo aver ricevuto dall’agenzia tutti i documenti necessari, presento alla mia banca la domanda di mutuo, in quanto l’agenzia mi rassicura del fatto che gli inquilini avrebbero lasciato a breve la casa (la banca valutato il merito creditizio mi assicura che l’acquisto è finanziabile).

6) A Marzo il perito incaricato procede al sopralluogo dell’immobile e rileva delle difformità non lievi nel vano veranda e nella zona balcone dell’appartamento. La perizia viene sospesa con richiesta di sanare le difformità (per questo pago la somma di 280 euro).

7) A Maggio i venditori decidono di effettuare le modifiche necessarie per rendere conforme l’immobile per consentirne la vendita, con una spesa di circa 1500 euro. L’agenzia mi informa però che tali modifiche si potranno fare solo dopo che la casa si sarà liberata. L’Agenzia mi garantisce che gli inquilini lasceranno la casa a Giugno perché loro stessi si erano occupati di trovare una nuova casa da affittare agli stessi, e quindi si potrà procedere ai lavori di ripristino ed alla prosecuzione della pratica di mutuo.

8) A fine Giugno l’Agenzia mi informa che per problemi sopravvenuti con ritardo gli inquilini lasceranno sicuramente la casa il 3 Luglio. Questo non accade perché, la casa verrà liberata il 31 Luglio (esattamente alla scadenza dei primi 4 anni). In questi 28 giorni l’agenzia non si preoccupa assolutamente di informami di nulla. Ricevo un messaggio il 2 Agosto con cui mi avvisano che la casa finalmente è vuota.

Pertanto, per quanto sopra enunciato e determinato che ho subito danni economici e disagi abitativi in quanto:

1) dovrò pagare due volte la perizia;
2) subirò l’innalzamento dei tassi sul mutuo rispetto a quelli vigenti a settembre 2022;
3) dal primo agosto ho dovuto frettolosamente trasferirmi da dove ero ospitato in una casa in affitto per cui dovrò pagare un canone di 380 euro, in attesa di comprare la mia prima casa dove trasferirò la residenza;

CHIEDO

SE CI SONO I PRESUPPOSTI DI LEGGE PER NON PAGARE, QUANDO MI VERRA’ RICHIESTO PRIMA DELLA STIPULA NOTARILE, LA PROVVIGIONE DEL 3% ALLA AGENZIA IMMOBILIARE.

Distinti saluti.


Allegati:
1) Proposta di acquisto accettata e successive proroghe
2) SCIA del 7.10.2022
3) Rilievo tecnico delle difformità - perizia banca
4) Relazione del perito”
Consulenza legale i 16/08/2023
Risponderemo in questa sede alla specifica domanda formulata nel quesito: se, cioè, vi siano i presupposti di legge per non pagare la provvigione all’agenzia immobiliare.
Per ogni altra considerazione riguardante la vicenda, ivi compresa la valutazione dell’inadempimento dell’agenzia immobiliare, è inevitabile invitare chi pone il quesito a rivolgersi a un legale con cui concordare la strategia difensiva da adottare.

Il codice civile stabilisce, all’art. 1755, che il diritto alla provvigione del mediatore sorge per effetto della conclusione dell’affare, purché quest’ultima sia la conseguenza dell’intervento del mediatore.
La giurisprudenza, anche in tempi recentissimi (si veda Cass. Civ., Sez. II, 26/01/2023, n. 2385), ha precisato che, ai fini del diritto alla provvigione, “l'affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all'art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato”.
Da ciò si evince che anche la conclusione di un contratto preliminare può far sorgere il diritto alla provvigione, non dovendosi necessariamente attendere la stipula del rogito.

Il secondo presupposto del diritto alla provvigione è costituito dal nesso di causalità tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare.
Anche qui abbiamo giurisprudenza consolidata.
La Cassazione ha chiarito più volte che “il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, che sussiste quando il mediatore abbia messo in relazione le parti, si da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto” (così anche la recente Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 08/04/2022, n. 11443).
La Suprema Corte ha specificato anche che, ai fini della sussistenza del nesso di causalità e dunque del diritto alla provvigione, non occorre neppure che il mediatore abbia partecipato in maniera attiva e diretta a tutte le fasi della trattativa (cfr. Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 16/01/2018, n. 869).

Nel nostro caso, stando alle informazioni fornite, non sembra neppure contestato che il mediatore abbia messo in relazione le parti e che ciò abbia portato alla conclusione di un affare, nel senso sopra specificato. Per cui difficilmente chi pone il quesito potrà semplicemente rifiutarsi di corrispondere la provvigione.
Discorso diverso è quello dell’esistenza di eventuali inadempimenti dell’agenzia immobiliare, tali da causare, secondo la ricostruzione operata nel quesito, veri e propri danni all’acquirente.
Si tratta di una valutazione da effettuare con attenzione, e che verrà probabilmente contestata da controparte, ovvero dall’agenzia immobiliare.

In ogni caso, va ricordato che l’art. 1759 c.c. pone a carico del mediatore precisi obblighi informativi.
Sul punto la Cassazione (Sez. II Civile, ordinanza 02/05/2023, n. 11371) ha ribadito che "il mediatore, ai sensi dell'art. 1759, comma 1, c.c., deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, o che avrebbe dovuto conoscere con l'uso della diligenza impostagli dalla natura professionale dell'attività esercitata, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possano influire sulla conclusione di esso o determinare le parti a perfezionare il contratto a diverse condizioni; ne consegue che, ove l'affare sia concluso, può sussistere la responsabilità risarcitoria del mediatore in caso di mancata informazione del promissario acquirente circa l'esistenza di irregolarità urbanistiche o edilizie non ancora sanate relative all'immobile oggetto della promessa di vendita”; aggiunge tuttavia la Corte che l'adempimento di tale dovere di informazione da parte del mediatore deve essere, comunque, verificato “con esclusivo riferimento al momento stesso della conclusione dell'affare”.

Appare dunque necessario, come si diceva in premessa, il confronto diretto con un legale, il quale potrà anche prospettare alla controparte l’eventuale richiesta risarcitoria e tentare, se del caso, un accordo.

G. G. chiede
giovedì 11/05/2023
“Spett.li Avvocati, sono intestataria al 50% insieme a mio fratello di un appartamento che ci è pervenuto per testamento da parte di un genitore, pertanto in caso di vendita a un terzo vige la prelazione del cointestatario alla stessa cifra. Mio fratello vuole venderlo tramite agente immobiliare. Io, se ho inteso correttamente,a fronte di una proposta scritta da parte dell'agente immobiliare, che ritengo non congrua, potrò esercitare la prelazione. Le chiedo : l'agente immobiliare in caso di mia prelazione del 50% cioè della quota di mio fratello ha diritto a quale provvigione ? (Lui però non ha interesse che venga esercitata la prelazione perchè ci rimette la provvigione che avrebbe ottenuto in caso di vendita sul mercato dell'immobile al 100% sia del venditore che del compratore... )
Consulenza legale i 25/05/2023
La situazione che qui si ipotizza ha formato oggetto di esame da parte della Corte di Cassazione, la quale si è pronunciata su tale tema con sentenza n. 19226 del 28.09.2016.
L’analogo caso di cui si è occupata la Corte di Cassazione attiene al compenso spettante al mediatore ex art. 1755 c.c. in caso di acquisto di immobile locato da parte del conduttore (anch’egli titolare del diritto di prelazione), a cui sia stato notificato l’invito previsto ex lege ad esercitare il diritto di acquistare a condizioni pari a quelle offerte dal terzo reperito dall’agente immobiliare a seguito dello svolgimento della sua attività.
Ebbene, fa osservare la S.C. che in questi casi l’agente immobiliare, pur avendo diligentemente adempiuto al suo incarico e riuscito così a reperire un terzo promissario acquirente (con il quale sono state perfino pattuite le condizioni economiche della trattativa e poi della vendita), di fatto poi rischia, senza alcuna sua colpa od omissione, di non poter incamerare le provvigioni cui avrebbe diritto, o quantomeno di non poterle percepire in misura piena, se poi ad acquistare l’immobile non sia il terzo dallo stesso agente reperito, bensì l’inquilino che esercita la prelazione.

Ciò perché, sussistendo un diritto di prelazione (tale è il caso, oltre che del conduttore, anche del coerede ex art. 732 del c.c.), il contratto tra il venditore ed il terzo potenziale acquirente deve intendersi sospensivamente condizionato al mancato esercizio della prelazione da parte dell’avente diritto, con la naturale conseguenza che potrà essere portato ad esecuzione soltanto nel caso in cui il titolare del diritto di prelazione non intenda esercitarla nei modi e termini previsti dalla legge.
Pertanto, una volta eseguita la c.d. denuntiatio (ossia la notifica dell’invito ad esercitare il diritto di prelazione), qualora il prelazionario, che magari in un primo momento aveva espresso l’intenzione di non voler acquistare, decida di cambiare idea e di volersene al contrario avvalere, il mediatore, che ha correttamente adempiuto al suo incarico, si trova giuridicamente privo di ogni titolo per poter reclamare la provvigione, non essendosi venuto a perfezionare l’affare tra le pari da lui messe in contatto.
Infatti, ad una sua eventuale richiesta di pagamento, il prelazionario potrà legittimamente eccepire che il suo acquisto non deriva dalla trattativa condotta per il tramite del mediatore, bensì in forza dell’esercizio di un diritto allo stesso spettante ex lege.

In applicazione dei principi sopra enunciati, fatti propri dalla giurisprudenza che si è in diverse occasioni occupata della questione, l’agente immobiliare ha visto sempre sacrificati i propri interessi.
Pertanto, anche nel caso in esame, rispondendo a quanto viene chiesto, può dirsi che se il coerede, a cui dovrà essere notificata la denuntiatio, dovesse manifestare la volontà di esercitare il proprio diritto di prelazione, l’agente immobiliare nulla potrà pretendere dal prelazionario, avendo soltanto titolo per riscuotere la provvigione dalla parte che a lui si è rivolta (il promittente venditore) ed in misura pari al 50%.

La sentenza sopra segnalata, tuttavia, assume rilievo anche per aver fatto riferimento ad un particolare strumento di cui potrebbe avvalersi il mediatore per tutelare in modo pieno i suoi diritti.
In particolare la S.C. fa osservare che i diritti del mediatore potrebbero comunque essere garantiti allorchè il promittente venditore inserisca, tra le condizioni economiche dell’acquisto da notificare al prelazionario, oltre al prezzo con le sue modalità di pagamento, anche l’obbligo in capo alla parte acquirente di corrispondere all’agenzia immobiliare, nominata con i suoi estremi nella denuntiatio, una somma pari ad un determinata percentuale (solitamente si tratta del 3%) sul prezzo di compravendita, quale provvigione mediatoria.
Ovviamente si tratta di un’escamotage a cui potrebbero fare ricorso i mediatori e che ha trovato l’avallo da parte della Cassazione nella sentenza citata, ma ciò non esclude che in giurisprudenza possa svilupparsi un diverso e contrario orientamento, volto a negare al mediatore il diritto a riscuotere la provvigione da parte del prelazionario perché trattasi di soggetto con cui non è stato mai instaurato alcun rapporto giuridico.

In ogni caso, ritornando al caso in esame, è bene precisare che se nella denuntiatio notificata non è stata inserita alcuna clausola di questo tipo, il mediatore nulla potrà pretendere dal coerede nel momento in cui deciderà di avvalersi del diritto di prelazione.

L. M. chiede
lunedì 24/10/2022 - Lazio
“Ho conferito l'incarico a vendere il mio appartamento stabilendo che il prezzo di vendita da pubblicare fosse di euro 335.000 (per esempio) e che la commissione dovuta al mediatore sarebbe stata di euro 15.000 in modo che mi venisse riconosciuto un netto di euro 320.000. L'annuncio di vendita pubblicato, invece è stato fatto per euro 349.000. E' regolare oppure devono essere rivisti i parametri previsti nell'incarico a vendere?”
Consulenza legale i 21/11/2022
A seguito di un’analisi della documentazione fornita, si rileva che l’Agenzia non risulta obbligata a pubblicizzare la vendita dell’immobile ad un prezzo determinato, dal momento che la lettera “I” (“Pubblicità”) dell’incarico reca la seguente disposizione: “l'Agenzia incaricata è autorizzata a pubblicizzare l’immobile con le modalità, la descrizione ed il prezzo più opportuni al fine di ottenere la realizzazione dell’affare così come richiesto (…)”.
Inoltre, alla lettera “A” (“Compenso per l’Agenzia incaricata”), il compenso provvigionale dell’Agenzia è stabilito in misura fissa in Euro 15.000,00 iva esclusa.

La provvigione è disciplinata, nell’ambito della disciplina dedicata al contratto di mediazione, dall’art. 1755, ai sensi del quale: “Il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l'affare è concluso per effetto del suo intervento. La misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti, in mancanza di patto, di tariffe professionali o di usi, sono determinate dal giudice secondo equità”.

La disposizione del codice civile non richiede che l’ammontare del compenso provvigionale sia ancorato in maniera strettamente proporzionale al valore dell’affare. D’altro canto, gli approfondimenti dottrinari non escludono che la provvigione sia determinata in misura fissa, ma si limitano ad individuare nel valore dell’affare il parametro di consuetudine utilizzato per la determinazione della provvigione.

Di conseguenza, si deve escludere ogni dubbio sulla legittimità dei parametri dell’incarico.

Fermo restando l’ammontare della provvigione dovuta all’Agenzia, il Cliente potrebbe richiedere all’agenzia di pubblicizzare l’immobile con il prezzo inferiore di Euro 335.000,00 solo qualora la relativa pattuizione tra Cliente ed Agenzia sia avvenuta per iscritto in data successiva a quella dell’accettazione dell’incarico da parte dell’Agenzia (es. scambio di corrispondenza via mail o pec). In mancanza, bisognerà far riferimento esclusivamente al testo dell’incarico inviatoci.

Potrebbe peraltro essere, perché così spesso accade nella pratica, che l'agenzia abbia messo in pubblicità l'immobile ad un prezzo più alto per tenersi un margine di trattativa ed andare poi a chiudere al prezzo da lei indicato (335.000). In pratica riconoscerebbe uno sconto "fittizio" al potenziale acquirente di euro 14.000. Si sa, infatti, che chi compra desidera sempre "spuntare" uno sconto. Così pare di aver fatto un migliore affare.



G. V. chiede
mercoledì 24/08/2022 - Estero
“Un'agenzia ha un mandato esclusivo con i proprietari per la vendita di una casa per una provvigione del 3%.
Un compratore visita la proprietà tramite l'agenzia.
L’agenzia dà al compratore le informazioni chieste, redige una proposta d'acquisto che include uno dei proprietari, ma il compratore non prosegue perché non vuole pagare una commissione del 4%. Nessuna trattativa coi venditori.

Qualche mese dopo la proprietà invenduta non è più pubblicizzata, i proprietari l’hanno tolta dal mercato, il mandato dell’agenzia è scaduto.
Il compratore ricontatta la stessa agenzia per chiedere di quella proprietà e l’agenzia si offre di ricontattare i proprietari. il compratore offre una commissione del 2%, l’agenzia non accetta e chiede il 3%, non si mettono d’accordo e quindi non se ne fa niente.

L'anno dopo il compratore, fatta una visura catastale, trova il nome di tutti i proprietari, ne rintraccia uno su internet e lo contatta per la prima volta. I proprietari non erano a conoscenza del nome del compratore prima di questo contatto. I proprietari, che stavano per incaricare un'altra agenzia, accettano di trattare, fanno un preliminare e poi il rogito, senza l’intervento dell’agenzia.

L’anno seguente l'agenzia se ne accorge e chiede la provvigione al compratore prima, ed al venditore dopo.

L’agenzia ha diritto alla provvigione dal compratore, dal venditore, da entrambi o da nessuno?”
Consulenza legale i 09/09/2022
Innanzitutto è necessario stabilire se effettivamente, nel nostro caso, il mediatore abbia diritto alla provvigione.
Secondo giurisprudenza anche recentissima (Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 08/04/2022, n. 11443), tale diritto “sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, che sussiste quando il mediatore abbia messo in relazione le parti, sì da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata”.
Sempre la Cassazione (Sez. II Civ., ordinanza 16/01/2018, n. 869) ha chiarito che, a tal fine, non occorre un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare, poiché la "messa in relazione" delle parti può avvenire anche in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa e in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo.
Ancora, secondo Cass. Civ., Sez. III, sentenza 21/05/2010, n. 12527: “in tema di contratto di mediazione, l'affare - da intendersi nel senso di qualsiasi operazione economica generatrice di un rapporto obbligatorio - deve ritenersi concluso, per effetto della "messa in relazione" da parte del mediatore, quando si costituisca un vincolo giuridico che abiliti ciascuna delle parti ad agire per l'esecuzione specifica del negozio o per il risarcimento del danno; ne consegue che, ai fini del riconoscimento al mediatore del diritto alla provvigione, è sufficiente che la sua attività costituisca l'antecedente necessario per pervenire, anche attraverso fasi e atti strumentali, alla conclusione dell'affare”.
Chiaramente, in caso di contestazione, sarà un giudice a dover decidere: ora, alla luce della casistica giurisprudenziale sopra esaminata, è astrattamente possibile che un giudice consideri il contributo dato dall’agenzia (la quale aveva ricevuto un mandato esclusivo dai proprietari) come “antecedente necessario” per la conclusione dell’affare.
Per quanto riguarda, invece, l’individuazione dei soggetti obbligati, la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. III, 19/07/2002, n. 10558) ha chiarito tra l’altro che “obbligati al pagamento della provvigione ex art. 1754 e 1755 c.c. sono, in solido, i soggetti che hanno partecipato alla sua conclusione”.
Occorre comunque ricordare che, ai sensi dell’art. 2950 del c.c., il diritto del mediatore al pagamento della provvigione si prescrive in un anno, che decorre dal giorno della conclusione dell’affare.
Dunque, è necessario verificare se l'eventuale diritto alla provvigione possa ritenersi prescritto. In proposito il mediatore potrebbe obiettare di non essere stato a conoscenza dell'avvenuta conclusione del contratto: tuttavia, come ha precisato Tribunale Bologna, 18/01/2005, “l'ignoranza circa l'avvenuta conclusione determina una mera impossibilità materiale di esercizio del credito e, pertanto, può assumere rilievo non ai sensi dell'articolo 2935 del c.c. ma come causa di sospensione della prescrizione ai sensi dell'articolo 2948, n. 1, del c.c. ove la detta ignoranza sia attribuibile a dolo o frode dei soggetti dell'affare intermediato, coincidendo in tal caso la cessazione dell'effetto sospensivo della prescrizione con la data in cui il mediatore ha acquistato consapevolezza della conclusione dell'affare. Ai fini della possibile sospensione della prescrizione è dunque necessaria la prova da parte del mediatore, da un lato, della mancanza della conoscenza dell'avvenuta conclusione dell'affare, dall'altro, del dolo o della frode da parte dei soggetti tenuti al pagamento della provvigione”.

C. C. chiede
venerdì 19/11/2021 - Lombardia
“Buongiorno,
nel maggio 2020 mi sono rivolto ad un'agenzia immobiliare e le ho dato mandato IN ESCLUSIVA per un anno per vendere il mio immobile a 210.000 euro, prezzo suggerito dalla stessa agenzia.
Dopo un anno non ho concluso la vendita.
Il mandato è terminato a maggio 2021.

Ad agosto 2021 ho acquistato un appartamento ad un buon prezzo e pertanto voglio concludere la vendita del mio vecchio appartamento entro un anno dal rogito per evitare di perdere i benefici prima casa.

Non essendo però stato soddisfatto dalla prima agenzia (A), che tra l'altro ritengo mi abbia proposto di vendere ad un prezzo superiore a quello di mercato, mi sono rivolto ad una nuova agenzia (B), dandole l'ESCLUSIVA per un anno, da settembre 2021 a settembre 2022, per vendere il mio appartamento a 170.000 euro.

Il problema è che è venuto a visitare l'appartamento Tizio, che già era venuto con l'agenzia A un anno fa, ma che tuttavia non aveva concretizzato l'acquisto in quanto Tizio aveva offerto 165.000 euro, ma ai tempi io non ero disposto a scendere sotto i 180.000 euro.
Ora, vedendo l'annuncio con un prezzo fortemente ribassato, si è ripresentato con l'agenzia B.


Nel contratto con l'agenzia A, ora scaduto, era inserita la presente clausola: "Per patto espresso il compenso provvigionale sarà altresì dovuto anche nel caso di conclusione dell'affare successiva alla scadenza dell'incarico nei confronti di soggetti messi in relazione con il venditore dall'agente immobiliare, come risultanti da apposita comunicazione scritta".

Il mio dubbio è: se adesso vendessi l'appartamento a Tizio, rischierei di dover pagare la provvigione due volte?
Sia all'agenzia A che all'agenzia B?
Se l'agenzia A volesse la provvigione, farebbe causa a me e sarei io a dover successivamente fare causa all'agenzia B affinché si divida il compenso con l'agenzia A, considerato che l'articolo 1758 Codice Civile precisa che “Se l'affare è concluso per l'intervento di più mediatori, ciascuno di essi ha diritto a una quota della provvigione”?

In caso di contenzioso, quale sarebbe il Giudice competente? Il Giudice ordinario oppure il Giudice di Pace?


L'articolo 1758 Codice Civile precisa che “Se l'affare è concluso per l'intervento di più mediatori, ciascuno di essi ha diritto a una quota della provvigione”

Sul Vostro sito, nella pagina web relativa all'articolo 1758 Codice Civile, si precisa che

- “può anche accadere che i mediatori svolgano la loro attività indipendentemente l'uno dall'altro, pur convergendo l'attività stessa a far concludere un unico affare. Si è ritenuto allora dalla giurisprudenza che, constatata l'efficienza dell'apporto di ciascuno, il compenso spetti per intero ad ogni mediatore, quando però vi sia stato l'impegno di corrispondere compensi distinti”
- non sussiste, invece, il diritto al compenso quando, dopo una prima fase di trattative avviate con l'intervento del mediatore senza risultato positivo, le parti siano successivamente pervenute alla conclusione dell'affare per effetto d'iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate, sicché possa escludersi l'utilità dell'originario intervento del mediatore (Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 16157 del 8 luglio 2010)

In caso di contenzioso, quale sarebbe il Giudice competente? Il Giudice ordinario oppure il Giudice di Pace?

Grazie”
Consulenza legale i 03/12/2021
In materia di diritto del mediatore alla provvigione, se da un punto di vista teorico è abbastanza facile affermare - come fa l’art. 1755 c.c. - che è necessario un nesso di causalità tra intervento del mediatore e conclusione dell’affare, nella pratica può non essere semplice stabilire quando ciò accada: si tratta, semmai, di una valutazione da compiersi caso per caso.
Ma procediamo con ordine.
Sulle caratteristiche del rapporto di causalità, la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (Sez. II Civ., ordinanza 16/01/2018, n. 869) ha precisato che non occorre “un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare, poiché è sufficiente che il mediatore - pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo - abbia messo in relazione le stesse, sì da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto”.
Anche secondo Cass. Civ., Sez. II, 05/12/2014, n. 25799, non è necessario l’intervento del mediatore in tutte le fasi delle trattative, fino all'accordo definitivo. “Ne consegue - prosegue la Corte - che anche la semplice attività consistente nel reperimento e nella indicazione dell'altro contraente, ovvero nella segnalazione dell'affare, legittima il diritto alla provvigione, sempre che la descritta attività costituisca il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore e poi valorizzata dalle parti. Né, una volta concluso l'affare, assume rilevanza, sotto il profilo dell'incidenza sulla efficienza causale esclusiva o concorrente dell'opera dello stesso, l'assoluta identità delle condizioni alle quali la trattativa sia stata portata successivamente a termine e con l'intervento di altro mediatore (come nella specie), non essendo un unico elemento di parziale differenziazione da solo idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra l'attività originariamente svolta dal soggetto che per primo ha messo in relazione le parti tra di loro e l'affare tra esse concluso”.
Il nesso di causalità non è interrotto neppure dalla eventualità per cui - come nel nostro caso rispetto al primo mediatore - la conclusione dell’affare avvenga dopo la scadenza dell’incarico. Si veda ad esempio Cass. Civ., Sez. III, 18/09/2008, n. 23842: “ai fini del diritto del mediatore alla provvigione, non rileva che la conclusione dell'affare sia avvenuta dopo la scadenza dell'incarico conferitogli, purché il mediatore abbia messo in relazione i contraenti con un'attività causalmente rilevante ai fini della conclusione del medesimo affare”.
Ed ancora, per Cass. Civ., Sez. III, 11/04/2003, n. 5762, è “sufficiente che il mediatore abbia messo in relazione tra loro acquirente e venditore, in modo che la conclusione dell'affare possa ricollegarsi all'opera da lui svolta, anche se la conclusione è avvenuta dopo la scadenza dell'incarico, senza che le determinazioni interne di una delle parti possano essere ritenute idonee ad incidere sul nesso causale; l'accertamento del nesso causale costituisce apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto il diritto alla provvigione all'agenzia immobiliare, il cui incaricato aveva fatto visitare l'immobile, tra gli altri, a persona che, successivamente e dopo la scadenza del mandato all'agenzia, si era determinata ad acquistare contattando direttamente il venditore)”.
Come si vede, dunque, al di là delle affermazioni di principio, non esistono criteri certi per escludere o ammettere in anticipo la sussistenza del nesso di causalità e dunque il diritto del mediatore alla provvigione, anche per gli affari conclusi dopo la scadenza del mandato eventualmente conferito. Si tratta, in sostanza, di una valutazione rimessa all’apprezzamento del giudice. Certo, nel nostro caso potrebbero deporre a sfavore del primo mediatore sia il periodo di tempo (seppur breve) intercorso tra i due successivi incarichi, sia il prezzo, a quanto consta, considerevolmente inferiore all’importo richiesto dalla prima agenzia immobiliare: ma si tratta di elementi che potrebbero non essere considerati decisivi in un eventuale giudizio. Vi è dunque il rischio che l'agenzia incaricata per prima possa richiedere il pagamento della provvigione per la vendita successivamente conclusa.
Quanto alla possibilità di dividere la provvigione tra i due mediatori, va precisato che, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (v. Cass. Civ., Sez. II, 21/06/2000, n. 8443), “il diritto alla divisione della provvigione tra più mediatori sorge, a norma dell'art. 1758 c.c., soltanto quando essi abbiano cooperato simultaneamente e di comune intesa, ovvero autonomamente, ma giovandosi l'uno dell'attività espletata dall'altro, alla conclusione dell'affare, in modo da non potersi negare un nesso di concausalità obiettiva tra i loro interventi e la conclusione dell'affare, e sempre che si sia trattato dello stesso affare, sia sotto il profilo soggettivo, che oggettivo”.
Conforme Cass. Civ., Sez. III, sentenza 08/07/2010, n. 16157, la quale aggiunge però che “non sussiste, invece, il diritto al compenso quando, dopo una prima fase di trattative avviate con l'intervento del mediatore senza risultato positivo, le parti siano successivamente pervenute alla conclusione dell'affare per effetto d'iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate, sicché possa escludersi l'utilità dell'originario intervento del mediatore”.
Sempre in caso di pluralità di mediatori, Cass. Civ., Sez. III, 17/03/2005, n. 5766 afferma che “occorre distinguere a seconda che tutti o alcuni soltanto siano entrati in relazione con le parti o almeno una di esse, nel primo caso ciascun mediatore avendo azione diretta per il pagamento della provvigione e, nel secondo, il mediatore che non ha preso contatto potendo agire in rivalsa nei confronti del mediatore o dei mediatori che hanno ottenuto il pagamento dell'intera provvigione”.
Anche sotto il profilo della possibilità di suddividere la provvigione tra i due successivi mediatori, dunque, sarà necessario valutare attentamente tutte le circostanze e il contributo causale apportato da ciascuno alla conclusione dell’affare.
Quanto alla competenza per l’eventuale giudizio, essa dipende dal valore della controversia, ovvero, in questo caso, dall’importo della provvigione richiesta (ai sensi dell'art. 7 c.p.c., il giudice di pace è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a cinquemila euro).

F.A. chiede
lunedì 26/07/2021 - Lombardia
“Buonasera ho bisogno di sapere a livello legale se il foglio da me firmato a seguito di una proposta di acquisto d'immobile presso una agenzia dove la commissione al 4%+IVA sarebbe stata pagata alla sottiscrizione del rogito notarile che non è stato concluso per rifiuto del venditore alla posticipazione del rogito da me richiesta, senza voler modificare il prezzo di vendita, per problematiche sorte che richiedevano una perizia esterna successiva.
Non essendo concluso il rogito l'agenzia immobiliare ha diritto a richiedere per intero l'importo della commissione o solo semplicemente le spese documentabili effettuate?
Non è stato fatto il rogito per i seguenti motivi.
1- ho personalmente fatto un errore nell'assegno circolare da consegnare al rogito riguardante il nome del venditore casa, mentre erano giusti i nomi del notaio e dell'immobiliare. Purtroppo gli assegni erano stati fatti poco prima dell'incontro risolutivo e poco prima del rogito ne ho riscontrato il mio errore e conseguentemente non poteva essere concluso il rogito. Avvisato il notaio questi tranquillizzandomi era disponibile per una successiva data. La venditrice invece non ha compreso ed ha inveito nei miei confronti pertanto mio figlio che era l'intestatario del rogito ha preteso un ulteriore controllo, da parte di un consulente esterno, per le macchie di perdita acqua del piano superiore, non risolte dal venditore ma di cui l'agenzia si era fatta garante per la risoluzione al momento della firma per il suo compenso.
Il giorno precedente il rogito a tali macchie NON era stata fatta alcuna modifica e come confermato il giorno stesso dall'amministratore dello stabile (abito nello stesso condominio) il venditore lo aveva precedentemente avvisato di una espansione delle macchie nell'appartamento. A seguito di ciò constatando che le macchie non erano state risolte il venditore e l'agente immobiliare in via amichevole avevano convenuto alla consegna di un assegno a copertura per le eventuali spese al momento del rogito.
Il giorno del rogito purtroppo le invettive del venditore nei miei confronti hanno indotto mio figlio a non accettare l'assegno ed a pretendere una consulenza esterna per la reale valutazione dei danni in quanto nell'appartamento erano presenti controsoffitti che non erano stati controllati e pertanto, era da stabilire conseguentemente una nuova data per il rogito.
2- Il venditore non ha accettato la proroga del rogito ed attraverso un whatsapp della agenzia immobiliare mi veniva comunicato che se non mi presentavo entro la data inizialmente indicata per il rogito si sarebbe trattenuto l'assegno di caparra di 10.000euro. Evidentemente non c'era il tempo per la consulenza richiesta ed il rogito non è stato fatto. L'agenzia mi chiede 10800 euro +IVA avvalendosi del foglio fattomi firmare contestualmente al momento della proposta d'acquisto. Preciso che l'agente mi ha fatto firmare due volte la stessa proposta ma in mano non mi ha mai rilasciato una copia con la firma del venditore per accettazione.(dichiara che cl'ho persa ma come mai ho due copie in mano identiche?)
Ora considerando che comunque l'immobiliare ha certamente diritto alla copertura delle spese e che inoltre ha immediatamente rimesso su web la vendita dell'appartamento stesso con richiesta di un importo abbassato di 8000 euro (parte di quanto trattenuto a mio parere indebitamente dal venditore?) può comunque chiedermi un importo così alto ? IL venditore può trattenere la caparra anche se è lui che non ha voluto portare a temine la vendita?
Grazie in anticipo per le risposte ed attendo riscontro.”
Consulenza legale i 10/08/2021
I problemi che il caso in esame richiede di affrontare sono sostanzialmente due, ossia stabilire:
  1. se l’agenzia immobiliare ha diritto alla provvigione pattuita;
  2. se è legittima la pretesa della parte promittente venditrice di trattenere per sé la caparra ricevuta.

Per quanto concerne la prima questione, i dubbi nascono dal documento allegato alla proposta di acquisto a firma della parte promittente acquirente, nella parte in cui quest’ultima assume l’obbligazione di pagare alla società di intermediazione immobiliare la provvigione del 4% oltre IVA sul prezzo di acquisto, con espressa pattuizione che il pagamento sarebbe avvenuto “al momento della sottoscrizione del rogito notarile”.
Ebbene, in effetti quest’ultima dicitura può indurre a pensare che l’agenzia immobiliare avrebbe acquisito il diritto alla provvigione soltanto se si fosse giunti alla stipula del contratto definitivo di trasferimento della proprietà.
Tuttavia, una lettura nel suo insieme di quel documento offre lo spunto per una diversa interpretazione, ossia nel senso che le parti hanno voluto distinguere il momento in cui doveva considerarsi sorta l’obbligazione per la parte promittente acquirente da quello in cui la stessa doveva essere adempiuta (facendosi coincidere questo secondo momento con la sottoscrizione del rogito notarile).

In favore di questa seconda interpretazione può essere richiamata la prevalente giurisprudenza di legittimità, ed in particolare merita di essere segnalata l’ordinanza n. 77814/2020 della Corte di Cassazione, nella quale la S. C., dopo aver confermato l’orientamento secondo cui, affinché possa dirsi sorto il diritto del mediatore alla provvigione, non può ritenersi sufficiente un semplice accordo preparatorio (finalizzato a regolamentare il successivo svolgimento del contratto definitivo), essendo necessaria la conclusione dell’affare, ha affermato il seguente principio di diritto :
Al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l'affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all'art. 2932 del c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato”.

Sempre secondo la S.C., invece, nessun diritto alla provvigione compete al mediatore allorché tra le parti non sia stato concluso un "affare" in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo destinato a regolare le successive fasi del procedimento formativo dell'affare, come ad esempio nel caso di stipula di un patto di opzione (idoneo a vincolare soltanto una parte) ovvero di un cd. "preliminare di preliminare", trattandosi di fattispecie negoziali con effetti esclusivamente obbligatori, non assistiti dall'esecuzione in forma specifica ex art. 2932 del c.c..

Il ragionamento della S.C. si fonda essenzialmente sul testo dell’art. 1755 c.c., norma che attribuisce al mediatore immobiliare il diritto di pretendere la provvigione da ciascuna delle parti se l’affare è concluso per effetto del suo intervento.
Proprio da questa norma la giurisprudenza dominante ne trae il convincimento che la maturazione del diritto alla provvigione non derivi tanto dalla conclusione del contratto, ma dalla conclusione di un “affare”, ossia tutte le volte in cui fra le parti messe in contatto dal mediatore si sia costituito un vincolo giuridico, che abiliti ciascuna ad agire per l’esecuzione o la risoluzione del contratto stesso (cfr. Cass. Civ. 13260/2009).

Ritornando adesso al caso di specie, può osservarsi preliminarmente che, malgrado nel quesito si dica che il promittente acquirente non abbia mai avuto una copia della proposta di acquisto con la firma per accettazione del venditore, in realtà dal documento scansionato e fatto pervenire a questa Redazione si evince che la parte venditrice ha apposto la propria firma per accettazione in data 23.04.2021.
Inoltre, esaminando nel dettaglio il contenuto di quella proposta di acquisto accettata, ci si può agevolmente rendere conto del fatto che in essa si rinvengono tutti gli elementi essenziali del futuro contratto definitivo; in particolare, le clausole contenute ai punti nn. 3 e 4 di essa (relative rispettivamente alla non necessità della stipula di un contratto preliminare ed alla determinazione del termine finale per la stipula del definitivo), inducono ad attribuire alla stessa natura di vero e proprio contratto preliminare, con formale costituzione di un vincolo giuridico (il che consente, secondo quanto detto prima, di considerare esaurita l’attività del mediatore e maturato il suo diritto alla provvigione).

Per quanto concerne la seconda questione, ossia quella relativa alla pretesa della parte promittente venditrice di trattenere per sé la caparra ricevuta, si ritiene che tale pretesa possa essere legittimamente avanzata in forza di quanto previsto ai punti 1 e 2 della proposta di acquisto.
In particolare, tralasciando quanto riferito in ordine all’errore commesso nella predisposizione dell’assegno (che si ritiene non possa avere particolare rilevanza nella questione in esame), ciò che qui assume rilievo è quanto si dice al punto 1 della proposta di acquisto, nella parte in cui il promittente acquirente “dichiara di aver visitato l’immobile e di averlo trovato di proprio gradimento”, nonché la clausola contenuta al punto 2, relativo al “Prezzo”, ove le parti convengono quanto segue: “Con la comunicazione di avvenuta accettazione la presente proposta costituirà contratto preliminare di compravendita immobiliare…..L’importo versato ai sensi del presente art. 2 costituirà caparra confirmatoria ex art. 1385 del c.c.”.

Stando a quanto viene riferito nel quesito, invece, sembrerebbe che non sia mai stata formalizzata alcuna contestazione in ordine alla sussistenza di macchie di perdita d’acqua dal piano superiore, avendo invece la stessa costituito soltanto oggetto di una semplice denunzia verbale, di cui ne era stata messa al corrente anche l’agenzia immobiliare.
Ebbene, per quanto riguarda la posizione che l’agenzia immobiliare può assumere in tale circostanza, deve osservarsi che nessuna responsabilità può addossarsi in capo alla stessa.
Infatti, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che mentre la violazione del criterio della diligenza professionale ex art. 1759 del c.c. scatta se, ad esempio, l'agenzia immobiliare tace in ordine alla esistenza di opzioni, prelazioni o ipoteche sul cespite promesso in vendita, lo stesso non può dirsi nei casi in cui venga sottoscritto un preliminare di vendita per un immobile privo di concessione edificatoria e non regolarizzabile sul piano urbanistico.
Con ciò si intende dire che la responsabilità dell'agenzia non può considerarsi estesa a indagini di carattere tecnico che, obiettivamente, esulano dal novero delle cognizioni specialistiche esigibili in relazione alla categoria professionale di appartenenza; al contrario, lo stop alla provvigione scatta tutte le volte in cui il mediatore fornisce informazioni inveritiere oppure non assolve l'incarico di verificare che il cespite sia in regola perché omette di procedere o provvede in modo erroneo.
A tal proposito, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 4415/17 ha stabilito che può configurarsi una violazione del dovere d'informazione soltanto nel caso in cui l'agenzia abbia taciuto informazioni in suo possesso oppure sia venuta meno all'incarico conferito ad hoc per verificare la regolarità urbanistica dei locali.
Nel caso di specie non sembra che l’agenzia immobiliare si trovi in tale posizione, considerato che dei difetti lamentati (le infiltrazioni derivanti dall’immobile poste al piano superiore) non si era neppure accorta la parte promittente acquirente, avendo riconosciuto al punto 1 sopra richiamato di aver visitato l’immobile e di averlo considerato di proprio gradimento.

A questo punto, non resta che cercare di adoperarsi per tentare di non perdere la caparra già versata.
Il consiglio che può darsi, richiamando un caso deciso da ultimo dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 3348 del 12.02.2018, è quello di far pervenire alla promittente venditrice una lettera di intenti e di contestuale diffida, con la quale manifestare la propria disponibilità a procedere alla conclusione del contratto definitivo di vendita, diffidando nel contempo la stessa parte venditrice ad adoperarsi per eliminare i vizi lamentati e le cause da cui tali vizi discendono, facendosi anche riserva di agire in giudizio per chiedere una riduzione del prezzo di vendita convenuto ovvero, a seconda della gravità del vizio (all’esito della perizia che intanto si sta cercando di effettuare), per la risoluzione del contratto.


Anonimo chiede
lunedì 15/03/2021 - Lombardia
“Buongiorno,

un amico ha affidato la vendita della propria casa ad un'agenzia immobiliare in forma ESCLUSIVA (divieto per il venditore di vendita diretta - divieto di vendita tramite agenzia immobiliare).

L'agenzia aveva prospettato un valore tra 165.000 e 175.000 euro ed aveva proposto come primo prezzo di vendita 185.000 euro.

Nel contratto è indicato: "Per patto espresso il compenso provvigionale sarà altresì dovuto anche nel caso di conclusione dell'affare successiva alla scadenza dell'incarico nei confronti di soggetti messi in relazione con il venditore dall'agente immobiliare, come risultanti da apposita comunicazione scritta".

L'agenzia aveva prospettato verbalmente che è una bella casa e che sicuramente entro un anno la si sarebbe venduta.

A distanza di quasi un anno nessuno ha fatto una proposta ad eccezione di un cugino dell'amico.

Il problema è che l'amico ha detto al cugino di passare tramite l'agenzia, poiché aveva firmato un incarico in forma ESCLUSIVA.

L'amico al momento non è intenzionato a venderla al cugino, in quanto lo stesso ha offerto euro 140.000 e pertanto molto meno rispetto alla valutazione fatta inizialmente dall'agenzia.

A fine maggio scadrà l'incarico con l'agenzia.


Se a distanza di qualche mese l'amico dovesse trovare un accordo su un prezzo intorno a 155.000 euro e dovesse vendere al cugino, dovrebbe versare comunque la provvigione all'agenzia?

E' vero che l'agenzia è venuta a mostrare l'appartamento al cugino... PERO' non si tratta di “soggetti messi in relazione con il venditore dall'agente immobiliare”... qui è il contrario... è l'amico che ha indirizzato il cugino all'agenzia.

La clausola ha senso per evitare "furbate" da parte del venditore... del tipo... ricontatta la persona presentata dall'agenzia e le dice di aspettare la scadenza del mandato per non pagare la provvigione...

Qui però la situazione è molto diversa...

E se allo scadere del mandato con l'agenzia X, l'amico affidasse la vendita ad altra agenzia (Y) ed il cugino si rivolgesse all'agenzia Y, l'amico rischierebbe di dover pagare due provvigioni, sia all'agenzia X che all'agenzia Y?

Cosa ne pensate?


Grazie”
Consulenza legale i 22/03/2021
La portata e l’efficacia di una clausola quale quella evidenziata nel quesito (punto 8 del contratto), secondo cui “il compenso provvigionale [...] sarà altresì dovuto anche nel caso di conclusione dell’affare successiva alla scadenza dell’incarico nei confronti di soggetti e/o società messi in relazione con il venditore dall’agente immobiliare”, va pur sempre valutata con riferimento all’art. 1755 c.c.
Tale norma subordina, infatti, il diritto del mediatore alla provvigione alla circostanza che l'affare venga concluso “per effetto del suo intervento”. Come ha precisato Cass. Civ., Sez. III, 18/09/2008, n. 23842, “ai fini del diritto del mediatore alla provvigione, non rileva che la conclusione dell'affare sia avvenuta dopo la scadenza dell'incarico conferitogli, purché il mediatore abbia messo in relazione i contraenti con un'attività causalmente rilevante ai fini della conclusione del medesimo affare”.
Dunque, è necessario che tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare sussista un nesso di causalità.
Secondo la giurisprudenza, tuttavia, non occorre che tale nesso di causalità sia diretto ed esclusivo, essendo sufficiente che l’opera prestata dal mediatore “abbia avuto efficacia concausale ai fini della conclusione dell'affare” (così Cass. Civ., Sez. III, 30/01/2001, n. 1290).
Ancora, secondo la più recente Cass. Civ., Sez. III, 22/01/2015, n. 1120, “non sussiste il diritto alla provvigione quando una prima fase delle trattative avviate con l'intervento di un mediatore non dia risultato positivo e accada che la conclusione dell'affare, cui le parti siano successivamente pervenute, sia indipendente dall'intervento del mediatore che le aveva poste originariamente in contatto”.
Nel nostro caso, peraltro, come correttamente rilevato nel quesito, non è stata l’agenzia immobiliare a mettere in contatto venditore e potenziale acquirente: semmai si è verificato l’inverso (è stato il proprietario dell’immobile ad indirizzare verso quest’ultima un soggetto interessato all’acquisto).
In proposito, è utile ricordare altra pronuncia, Cass. Civ., Sez. II, 05/12/2014, n. 25799, secondo cui non è necessario l'intervento del mediatore in tutte le fasi delle trattative, fino all'accordo definitivo; ne consegue - prosegue la Corte - che anche la semplice attività consistente nel reperimento e nella indicazione dell'altro contraente, ovvero nella segnalazione dell'affare, legittima il diritto alla provvigione, “sempre che la descritta attività costituisca il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore e poi valorizzata dalle parti”.
Ciò, appunto, non è avvenuto nel nostro caso.
Attenzione, però, perché l’agenzia immobiliare potrebbe essere di diverso avviso, e consegnare, come previsto dalla citata clausola contrattuale, all’atto della scadenza del contratto un elenco di potenziali acquirenti in cui compaia anche il nostro “cugino”, onde poter reclamare la corrispondente provvigione in caso di successiva vendita a quest’ultimo. Qualora ciò avvenisse, sarà necessario mettere subito le cose in chiaro con l’agenzia senza attendere che si accorga dell'avvenuta vendita.

Amore F. chiede
venerdì 07/08/2020 - Emilia-Romagna
“Ho avuto il dispiacere di incontrare un mediatore negligente ed omissivo. Davanti al notaio feci presente che l'altezza dell'immobile non corrispondeva alla piantina catastale! per ben 20 centimetri circa - cioè risultava di 2.52 m ! contro i 2.70 m. indicati . E il notaio sbottò cosi' "ma come è fiscale lei! NON c'è neppure l'abitabilità!". Per farla breve presi tempo per vederci diciamo più chiaramente, e nel frattempo il preliminare di vendita venne a decadere. Il Proprietario si ritirò ma il mediatore imputa il sottoscritto responsabile della provvigione NON incassata da ambo le parti.”
Consulenza legale i 25/08/2020
Secondo quanto espressamente disposto dall’art. 1755 c.c. il diritto del mediatore alla provvigione sorge nel momento in cui un affare viene concluso per effetto del suo intervento (diritto che egli può vantare nei confronti di ciascuna parte contrattuale).
Costituisce opinione pacifica quella secondo cui per “conclusione di un affare” deve intendersi qualunque operazione economica che sia in grado di costituire un rapporto obbligatorio tra le parti e che ponga ciascuna di esse in condizione di agire per il rispetto del vincolo.

Per tale ragione, viene considerato “affare” anche la sola conclusione di un contratto preliminare, in quanto tale contratto consentirà a ciascun contraente di agire in giudizio, ex art. 2932 del c.c., per far valere gli effetti del contratto non concluso.

Nella pratica commerciale si verifica abbastanza di rado che le parti, attraverso l’intervento del mediatore, stipulino direttamente un contratto preliminare, mentre l’ipotesi più frequente vede il venditore rilasciare una proposta di vendita (o di locazione) al mediatore, il quale, oltre a ricevere l’incarico, assumerà la posizione di nuncius dell’intermediato e sarà così legittimato a cercare una controparte (promittente acquirente) che sottoscriva per accettazione.

Nel momento in cui alla proposta così formulata seguirà l’accettazione e di questa si darà comunicazione al proponente, il preliminare si intenderà perfezionato ex art. 1326 del c.c. e ciò farà nascere il diritto del mediatore alla provvigione.
Da tale momento non avranno alcun rilievo le vicende successive alla valida conclusione dell’accordo, ovvero non è necessario che l’accordo sia andato a buon fine.
In tal senso si argomenta dal secondo comma dell’art. 1757 del c.c., il quale dispone che il mediatore ha diritto alla provvigione anche nel caso di contratti sottoposti a condizione risolutiva e se tale condizione si verifica.
Il terzo comma dello stesso art. 1757 c.c. aggiunge che il diritto alla provvigione non viene meno neppure nel caso di contratto annullabile o rescindibile, precisando, tuttavia, che tale regola non può trovare applicazione se il mediatore era a conoscenza della causa di invalidità.

Nel caso di specie alla conclusione dell’affare si è giunti secondo un procedimento inverso a quello prima descritto.
Infatti, in un primo momento il mediatore ha fatto sottoscrivere una proposta di acquisto al promissario acquirente; in conseguenza di tale sottoscrizione, si considera che il promittente acquirente abbia accettato l’attività di mediazione, obbligandosi altresì a versare il prezzo dell’immobile che si è impegnato ad acquistare.
In un momento successivo è intervenuta l’accettazione del venditore, mediante sottoscrizione in calce a quella medesima proposta.
In questo preciso momento il contratto preliminare può considerarsi concluso e l’agente immobiliare (mediatore) potrà vantare il suo diritto alla provvigione ex art. 1755 c.c.

Tuttavia, se fin qui ci si è occupati di esaminare se lo stato delle trattative possa configurare la conclusione di un affare e se, pertanto, il mediatore abbia diritto alla sua provvigione, il passaggio successivo è quello di verificare se sussistono, nella fattispecie concreta, presupposti ostativi al diritto di pretendere quella provvigione.
In diverse occasioni la giurisprudenza ha affermato che il mediatore non deve svolgere indagini particolari a tutela delle parti, ma nello stesso tempo ha valorizzato il suo ruolo di professionista diligente, ritenendo l’intermediato legittimato a sollevare l’eccezione di inadempimento.
Così, per Cass. 15.03.2006 n. 5777 il mediatore deve informare il cliente di eventuali rischi nell’acquisto dei beni, mentre per Cass. 26.05.1999 n. 5107 e Cass. 16.07.2010 n. 16618 “la mancata informazione del promissario acquirente sull’esistenza di una irregolarità urbanistica non ancora sanata, della quale il mediatore doveva e poteva essere edotto, giustifica il rifiuto di detto promissario di corrispondere la provvigione”.

Tutte le volte in cui il mediatore non adempie ai suoi obblighi informativi e di buona fede, quali previsti dall’art. 1759 del c.c. e dall’art. 1175 del c.c., la parte intermediata può legittimamente contestare il suo diritto al compenso.

E’ pur vero che l’art. 1759 c.c. parla di circostanze note e non di circostanze conoscibili, il che comporta che non si può eccessivamente estendere l’obbligo informativo del mediatore, anche perché in ogni caso si potrà far valere la responsabilità del venditore verso il compratore per vizi e difetti del bene venduto secondo le norme di cui agli artt. 1482-1497 c.c.
Tuttavia, una cosa è il dovere di controllare aspetti tecnici, quali sono quelli urbanistici (che in effetti non sono da considerare di competenza dell’intermediario), altra cosa è la circostanza nota che viene taciuta o l’informazione che viene data in modo errato.

Sotto questo profilo, e ritornando al caso che ci occupa, mentre sicuramente non si può addossare in capo al mediatore l’assenza, per l’immobile oggetto del preliminare, del certificato formale di abitabilità (ossia quello a cui ha fatto riferimento il notaio), allo stesso, invece, si ritiene sia addebitabile l’aver colposamente taciuto al promittente compratore la mancanza di agibilità sostanziale dell’immobile, sicuramente desumibile dalla circostanza (ben visibile anche agli occhi di un inesperto) che i tetti erano al di sotto di ben 20 centimetri rispetto al limite dei metri 2,70, stabilito quale altezza interna minima per la sussistenza dei requisiti di igienicità e abitabilità (richiesti dai regolamenti locali e dalle norme edilizie) e come peraltro risultante dalla piantina catastale allegata al preliminare.

Costituisce tesi prevalente in dottrina quella secondo cui la responsabilità del mediatore ex art. 1759 c.c. comma 1, consegue ad un comportamento dello stesso che abbia indotto i contraenti a stipulare un contratto sulla base di una fuorviata rappresentazione della realtà, fattuale o normativa, tale per cui se le parti avessero conosciuto la verità non avrebbero stipulato il contratto.

E’ sulla applicazione di questa norma, dunque, in combinato disposto con l’ultima parte del terzo comma dell’art. 1757 c.c., che si consiglia di fondare le proprie ragioni per negare al mediatore il diritto a pretendere la liquidazione della provvigione.
A ciò si aggiunga che, in ogni caso, il mediatore non potrà in alcun modo pretendere che sia soltanto il promittente acquirente a versargli la provvigione a cui ritiene di aver diritto, in quanto trattasi di obbligo che, ex art. 1755 c.c., grava su entrambi i contraenti, di solito in maniera paritaria, senza che gli stessi debbano ritenersi obbligati in solido nei confronti del mediatore, fatta eccezione per il caso di mediazione c.d. unilaterale, in cui l’obbligo di pagare la provvigione graverà solo sulla parte che ha conferito l’incarico.

Ovviamente, tale norma è derogabile per volontà delle parti, le quali potrebbero anche pattuire di ripartire l’onere del pagamento della provvigione in misura diversa fino ad escluderlo per una di esse (ipotesi che, nel caso di specie, sembra sia da escludere).


V.l U. chiede
martedì 14/01/2020 - Liguria
“Buongiorno,
volendo di comprare un appartamento ci siamo mesi di cercare e vedere le offerte che errano nelle agenzie. In una agenzia abbiamo visto e firmato un foglio di visita di un appartamento che a noi piaceva però senza magari fare una proposta perché l’agenzia ci ha detto di non fare la proposta se è bassa rispetto al prezzo richiesto, prezzo che era fuori il nostro budget. Dopodiché ci siamo tornati di nuovo a cercare altri appartamenti. Tempo di un anno abbiamo fatte delle proposte per altri appartamenti però senza successo. E di nuovo alla ricerca e ricercando abbiamo trovato l’appartamento visto quasi un anno fa con l’agenzia solo che stavolta era su internet senza nessuna agenzia. Il prezzo del appartamento era più bassa rispetto l’anno scorso e ci siamo messi in contato con il proprietario, tutto ha portato al acquisto del appartamento. Adesso l’agenzia con quale abbiamo solo visto l’appartamento chiedono la provvigione.
La mia domanda è, hanno il diritto di chiedere sti soldi e farci la causa se non paghiamo?
Devo precisare che il proprietario ha tolto l’appartamento dal agenzia mesi prima, quindi noi quando l’abbiamo comprato, l’agenzia non l’aveva più.
Grazie”
Consulenza legale i 17/01/2020
L'attività dell'agenzia immobiliare va inquadrata nell'ambito della mediazione, prevista e disciplinata dal codice civile.
In particolare, l'art. 1754 del c.c. definisce il mediatore come "colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza".
Secondo il successivo art. 1755 del c.c., il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l'affare è concluso per effetto del suo intervento.
In altri termini, non basta che il contratto (in questo caso, compravendita dell'immobile) sia stato concluso, ma il mediatore, per avere diritto alla provvigione, dovrà dimostrare anche che la conclusione dell'affare è avvenuta grazie alla sua attività.
In questo caso, anche se il cliente ha avuto modo di visitare l'appartamento per la prima volta a seguito del contatto con l'agenzia immobiliare, appare difficile sostenere che ciò abbia portato alla successiva stipula del contratto.
Infatti - stando a quanto riferito nel quesito - in quell'occasione non fu nemmeno condotta alcuna trattativa (addirittura l'agenzia immobiliare scoraggiò la formulazione di proposte troppo basse).
L'acquisto è stato, invece, concluso a distanza di tempo, e solo dopo che il cliente aveva visto lo stesso immobile in vendita su un sito internet estraneo all'agenzia.
In conclusione, la richiesta di pagamento di provvigione, avanzata dall'agenzia immobiliare, non appare fondata.

Marco R. chiede
mercoledì 14/06/2017 - Puglia
“Buongiorno, avrei necessità di sapere quale deve risultare la base imponibile per il calcolo delle provvigioni relativo alla vendita di opere d'arte soggette al cosiddetto regime del margine che viene abitualmente applicato dai galleristi nel caso cessione di beni usati e pertanto già in precedenza fatturati. E' da tener presente che in questi casi le fatture emesse relative a tali vendite non prevedono alcuna imposizione fiscale (IVA) che pertanto risultano essere pari a zero. Vi chiedo perciò se in questi casi la base imponibile, per il calcolo provvigionale, debba essere tutto l'importo della fattura (con il valore dell'Iva pari a zero) oppure la quota costituita dalla parte non soggetta all'IVA del margine più la quota a margine al netto dell' IVA.

Inoltre, gradirei sapere nel caso di vendita sempre di beni artistici in cui si preveda una corresponsione di una parte in denaro e una parte attraverso una permuta di un'opera d'arte, se il calcolo provvigionale debba essere effettuato attraverso la somma dei due valori (denaro + permuta) o solo sul valore in denaro.

In attesa di un vostro riscontro, cordialmente.”
Consulenza legale i 17/06/2017
E’ improprio sostenere che la vendita di opere d’arte, abitualmente effettuata dai galleristi, non prevede alcuna imposizione fiscale IVA, dal momento che il fatto che la fattura di vendita debba indicare il corrispettivo comprensivo dell’IVA e senza separata indicazione di quest’ultima (né tantomeno del margine), non vuol dire che il suddetto tributo non si applichi. È evidente, infatti, che, per effetto dell’opzione per l’applicazione dell’imposta con il metodo del margine, l’IVA va comunque applicata sulla differenza tra il prezzo di vendita, al lordo dell’IVA ed, il prezzo di acquisto, anch’esso al lordo dell’IVA ed eventualmente maggiorato delle spese accessorie e di riparazione (anch’esse al lordo dell’IVA). Se tale differenza è positiva, l’IVA dovuta si calcola mediante scorporazione; se, invece, è negativa non è dovuta alcuna imposta e, in sede di liquidazione periodica, il margine è considerato uguale a zero.

Fatta questa breve premessa è evidente che, dal momento che la provvigione è il compenso che spetta per l’attività di intermediazione e che la stessa va calcolata sul corrispettivo, escludendo l’IVA dovuta, occorrerà distinguere tra il caso in cui l’IVA sia dovuta ed il caso in cui l’IVA non sia dovuta.

Per i soggetti che svolgono la vendita di opere d’arte, il metodo naturale di determinazione del margine è quello analitico: in tal caso il margine è determinato in relazione ad ogni singola cessione e, pertanto, per ogni singola cessione il gallerista dovrà stabilire se l’IVA è dovuta oppure no. Tenuto conto di ciò, la soluzione al quesito che si propone è di:
1) determinare per ogni singola cessione se l’IVA è dovuta, operando la differenza tra il prezzo di vendita, al lordo dell’IVA ed, il prezzo di acquisto, anch’esso al lordo dell’IVA (maggiorandolo, eventualmente, delle spese accessorie e di riparazione, anch’esse al lordo dell’IVA);
2) se l’IVA è dovuta, calcolare la provvigione sul corrispettivo, ossia sul prezzo di cessione al netto dell’IVA dovuta;
3) se l’IVA non è dovuta, calcolare la provvigione sull’intero prezzo di vendita che, in assenza di IVA dovuta, costituisce il corrispettivo.

Esempio n. 1: Vendita a 300 (prezzo finale) di un’opera d’arte acquista a 200 (comprensivo di IVA). In questo caso la differenza tra il prezzo di cessione (con IVA) ed il prezzo di acquisto (con IVA) è pari a 100 (300 – 200). Si rende dovuta l’IVA che andrà calcolata sulla differenza con il metodo della scorporazione:
100 : 1,22 (ipotizzando una cessione ad aliquota del 22%) = 81,98
81,98 (imponibile) x 22% = 18,04 (IVA scorporata sul margine)
In questo caso la provvigione andrà, quindi, calcolata su 300 – 18,04, ossia su 281,96.

Esempio n. 2: Vendita a 200 (prezzo finale) di un’opera d’arte acquista a 200 (comprensivo di IVA). In questo caso la differenza tra il prezzo di cessione (con IVA) ed il prezzo di acquisto (con IVA) è pari a zero (200 – 200); pertanto, non si rende dovuta alcuna IVA.
In questo caso, così come nei casi un cui il margine sia negativo, la provvigione andrà, quindi, calcolata su 200 poiché il prezzo finale costituisce allo stesso tempo il corrispettivo.

In relazione al secondo quesito, si conviene con il richiedente sul fatto che la provvigione debba essere calcolata sia sulla somma di denaro che sul valore dell’opera d’arte permutata dal momento che, stante la particolarità delle operazioni permutative, il corrispettivo è costituito oltre che dalla somma di denaro, come normalmente avviene, anche dal valore attribuito all’opera permutata. Quest’ultimo valore, ovviamente, deve essere preso in considerazione anche ai fini del calcolo del margine per stabilire se sussiste un’IVA dovuta oppure no e, nel primo caso, la provvigione andrà calcolata sul prezzo di vendita al netto dell’IVA, per come in precedenza indicato nell’esempio n. 1, escludendo il tributo poiché non costituisce corrispettivo.

Roberto Z. chiede
giovedì 17/12/2015 - Lombardia
“Una ditta individuale è debitore verso l'erario.Fornisce attualmente servizio ad un solo cliente, e mensilmente emette fattura. Non vi è nessun contratto scritto tra la ditta individuale ed il cliente. Il servizio consta bel reperire altri soggetti che poi facciano affari con il cliente. La ditta ha diritto ad una commissione finché questi soggetti fanno affari con il cliente.
Domanda:
Il cliente può essere considerato tout court terzo debitore e quindi pignorato?
Il terzo debitore lo diventa al momento dell'emissione della fattura, o lo è a prescindere anche in mancanza di fattura emessa? (tenuto conto che non vi è contratto tra ditta e cliente, ma solo un gentleman Agreement)
Nel caso sia terzo debitore, quale soluzione si potrebbe approntare?”
Consulenza legale i 24/12/2015
L'espropriazione verso terzi riguarda due distinte ipotesi (art. 543 del c.c.):
a) beni mobili del debitore di cui il terzo sia in possesso;
b) crediti che il debitore vanti verso terzi.

Per verificare se, nella fattispecie di cui al quesito, il terzo cliente sia debitore della ditta (in ipotesi Alfa) è necessario stabilire quando sorge il diritto di credito di quest'ultima verso il cliente.

Preliminare è, a tal fine, inquadrare giuridicamente il rapporto che intercorre tra Alfa ed il cliente.
In tal senso, si ritiene che il contratto a cui ricondurre il rapporto sia quello di procacciamento di affari. Si tratta di una fattispecie atipica, perché non prevista espressamente dal codice civile, ma ammissibile ex art. art. 1322 del c.c. co. 2 c.c.. Come affermato anche dalla giurisprudenza, tale atipicità ha come conseguenza la necessità di individuare i caratteri e gli effetti della figura di volta in volta, in relazione al modo in cui il rapporto si sviluppa concretamente (Cass. 25260/2008).

Quanto all'oggetto del contratto, esso è individuato nell'attività di intermediazione che serve a favorire la conclusione di affari tra terzi (Cass. 4327/2000). In tal senso, il procacciatore è assimilabile alla figura del mediatore, qualificato dall'art. 1754 del c.c. come "colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza".

La giurisprudenza individua, però, anche la differenza che vi è tra le due figure, statuendo che "In tema di rapporti tra mediazione e procacciamento di affari, costituisce elemento comune a dette figure la prestazione di un attività di intermediazione diretta a favorire tra terzi la conclusione di un affare, con conseguente applicazione di alcune identiche disposizioni in materia di diritto alla provvigione, mentre l'elemento distintivo consiste nel fatto che il mediatore è un soggetto imparziale, e nel procacciamento d'affari l'attività dell'intermediario è prestata esclusivamente nell'interesse di una delle parti; ne consegue che sono applicabili al procacciatore d'affari, in via analogica, le disposizioni del contratto d'agenzia, ivi comprese quelle in materia di prescrizione del compenso spettante all'agente, diverse da quelle sulla prescrizione del compenso spettante al mediatore" (Cass. 4422/2009).
Inoltre, si riscontrano alcune analogie anche con il contratto di agenzia (art. 1742 del c.c.), rispetto al quale la differenza sta nel fatto che il procacciatore opera in modo occasionale, mentre l'agente lo fa in modo stabile (Cass. 18736/2003).

Nel caso sottoposto, si evince che l'attività di Alfa è finalizzata a favorire la conclusione di affari tra il cliente ed i terzi, e che è prestata solo nell'interesse del cliente stesso (infatti i dati indicano che i rapporti sussistono solo con questa parte). Pertanto, si può concludere che la fattispecie descritta vada ricondotta al procacciamento di affari. Quanto al carattere della occasionalità, esso può rinvenirsi nel fatto che manca un rapporto stabile tra Alfa ed il cliente.

Come premesso, la giurisprudenza ritiene che alcune delle norme dettate per il mandato si applichino anche al procacciatore di affari, e tra queste include quelle relative al diritto alla provvigione. Viene in rilievo, pertanto, l'art. 1755 del c.c., ai sensi del quale tale diritto nasce se l'affare è concluso per l'intervento del mediatore. Quindi, è sufficiente allo scopo che il procacciatore metta in contatto le parti e che queste concludano un affare per effetto di questo intervento, cioè stipulino il contratto da egli promosso (Cass. 4327/2000). Il cliente, pertanto, diviene debitore di Alfa in questo momento, ciò che rileva anche per stabilirne la natura di terzo debitore ex art. 543 del c.p.c.. Naturalmente, perché il creditore possa pignorare il terzo è necessario che abbia conoscenza dell'esistenza del credito.

In conclusione, sulla scorta delle considerazioni svolte, si ritiene che il cliente sia terzo debitore (rispetto ai creditori di Alfa) quando ed ogni volta che, concludendo egli affari con terzi, sorge il diritto di credito di Alfa.

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