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Articolo 1476 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Obbligazioni principali del venditore

Dispositivo dell'art. 1476 Codice Civile

Le obbligazioni principali del venditore sono:

  1. 1) quella di consegnare la cosa al compratore [1477](1);
  2. 2) quella di fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto, se l'acquisto non è effetto immediato del contratto [1376, 1377, 1378, 1472, 1478, 1523](2);
  3. 3) quella di garantire il compratore dall'evizione e dai vizi della cosa(3).

Note

(1) La consegna del bene consente all'acquirente di ottenerne la disponibilità materiale. Essa è diversa dal trasferimento del diritto: nei contratti consensuali quest'ultimo avviene con la conclusione del contratto (1376 c.c.) mentre la prima è, appunto, obbligazione del venditore; nei contratti reali, invece, i due momenti coincidono perché tali fattispecie, per definizione, si perfezionano quando al consenso è accompagnata la dazione del bene.
La consegna può essere materiale, ad esempio se ha ad oggetto un'automobile; ovvero fittizia, come nel caso di traditio brevi manu (si pensi al caso del proprietario che vende l'immobile all'inquilino) o di costituto possessorio (come nell'ipotesi in cui un soggetto vende un immobile che però continua ad occupare in qualità di conduttore).
(2) In tal caso la vendita è obbligatoria in quanto l'effetto traslativo non è immediato (1376 c.c.) ma dal contratto sorge un obbligo per le parti, come accade, ad esempio, in caso di vendita di cosa futura (v. 1472 c.c.).
(3) L'evizione (1483 c.c.) si configura quando il proprietario di un bene perde il proprio diritto a causa delle pretese di un terzo. Il vizio (1490 c.c.), invece, è quel difetto del bene che lo rende inservibile rispetto all'uso cui è destinato ovvero che ne diminuisce considerevolmente il valore.

Ratio Legis

La norma si spiega considerando che funzione del contratto di compravendita (1470 c.c.) è quella di consentire all'acquirente di ottenere la titolarità del diritto trasferito e la sua piena disponibilità.

Brocardi

Evictio

Spiegazione dell'art. 1476 Codice Civile

Consegna della cosa

Il contenuto dell'art. 1476 cod. civ. è già implicito nella nozione della vendita.
Se la vendita ha per oggetto il trasferimento della proprietà d'una cosa, è evidente che il venditore deve consegnarla; cioè farne acquistare la proprietà al compratore e garantirlo dall'evizione e dai vizi della cosa.
La triplice obbligazione scritta nell'art. 1476 cod. civ. in sostanza si riduce all'unica obbligazione scritta nell'art. 1470 cod. civ.: poiché se il venditore non trasferisse al compratore la proprietà della cosa o il diritto che è oggetto del contratto, del contratto verrebbe meno la causa; il compratore non avrebbe ragione di pagare il prezzo.


Fallimento dei contraenti

Nelle vendite a consegne ripartite se fallisce il compratore, il curatore può assumersi il contratto adempiendolo integralmente, o sciogliersene; e il venditore può metterlo in mora perché scelga entro otto giorni la via che crede di dover seguire: ma il curatore che subentra nel contratto deve pagare integralmente il prezzo anche delle consegne già avvenute: giusto riconoscimento dell'unicità del contratto, comunque le consegne siano dilazionate in varie epoche.

Se fallisce invece il venditore, per le cose non ancora passate in proprietà del compratore, il curatore può anch'egli mantenere o sciogliersi dal contratto, e se se ne scioglie il compratore non può insinuare al passivo il credito per il risarcimento dei danni perché generalmente - anche per semplificare gl'ingarbugliati rapporti nascenti dal dissesto - la legge preferisce che tali crediti non concorrano con altri.


Fisica disponibilità della cosa

La consegna della cosa al compratore è il fatto del trasferimento fisico della cosa: è semplicemente la fisica disponibilità della cosa in pro del compratore.
Bisogna che il venditore gliela consegni autorizzandolo a tenerla ormai come propria: consegna non necessaria quando, ad es., il compratore ad altro titolo (poniamo come usufruttuario o come creditore pignoratizio o come depositario o come conduttore o come comodatario) tiene già, la cosa.

La tradizione, la consegna della cosa venduta può esser fatta senza menzione della vendita di cui è momento esecutivo; come senza riferimento alla vendita se ne può versare il prezzo al venditore; come una cambiale, un cheque si possono consegnare ad altri (o ad altri si può cedere un credito o il rango ipotecario, o cancellare un'ipoteca) senza menzione della causale. Alla consegna della cosa o del prezzo, all'atto del trasferimento di diritti o di crediti se ne può astrarre dalla causale ; ma la consegna o il trasferimento sempre dipendono da una causa, poiché la dimostrazione della causa falsa o inesistente autorizza chi pagò, cedette o consegnò una cosa indebitamente, a riavere quanto dato senza ragione.
Se perciò in taluni rincontri non si tien conto della causa ed il negozio appare astratto, la dimostrazione dell'inesistenza d'una causa fa revocare l'indebito trasferimento: il che significa che di regola non si può mai tener conto del perché del trasferimento.

La tradizione — al pari della specificazione (art. 1378 cod. civ.) — non è un negozio autonomo: è solo un momento esecutivo della vendita: esecutivo come l'imputazione del pagamento e un momento dell'obbligazione che si adempie.


Vendita di diritti e vendita di genus

Deve il venditore far acquistare la proprietà della cosa o il diritto se l'acquisto non è effetto immediato del contratto, dice it n. 2 dell'art. 1476 cod. civ. riferendosi evidentemente alla vendita di diritti ed alla vendita di genus: poiché nella vendita di species non v'e bisogno di altra attività del venditore per far acquistare la proprietà al compratore che l'ha acquistata per il solo fatto del contratto, dato che la vendita ha effetto reale quando si tratta di vendita di species per cui non si richiede specificazione.
Ma anche nella vendita di species il trasferimento della proprietà richiede (oltre il consenso manifestato nel contratto) qualche ulteriore attività del venditore.
Nonostante l'efficacia normalmente reale della compravendita, spesso occorre qualche ulteriore atto del venditore (trasferimento del possesso, domanda presso uffici pubblici o privati, ecc.) perché la proprietà si acquisti al compratore.
Talvolta la materiale consegna della cosa non è possibile: come se ho venduto cose mobili possedute dal mio creditore pignoratizio: in tal caso devo trasferire proprietà e possesso giuridico, notificando al creditore pignoratizio che per effetto della vendita il pegno ormai dev'essere restituito al compratore.


Garanzia dall'evizione o dai vizi della cosa

Pure dall'effetto reale della vendita, o meglio dalla sua nozione (che è l'obbligo di trasferire la proprietà al compratore) discende l'obbligo del venditore di garantire il compratore dall'evizione e dai vizi della cosa.
Se pure l'obbligo di garantire dall'evizione non fosse tassativamente scritto nella legge, non se ne potrebbe dubitare perché è indubbiamente inadempiente il venditore che vendendo cosa non sua non trasferisce la proprietà al compratore; viene meno cioè alla prestazione che e il contenuto del contratto.
Lo stesso dicasi della garanzia dei vizi palesi od occulti poiché il compratore deve avere la cosa contrattata e non cosa affetta da vizi e cioè di notevolmente minor valore.

Può dirsi perciò che già nella nozione medesima della vendita è insito l'obbligo del venditore scritto nell'art. 1876 cod. civ. di consegnare la cosa al compratore, di fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto, se l'acquisto non è effetto immediato del contratto; e di garantire il compratore dall'evizione e dai vizi della cosa.


Impossibilità della consegna

L'obbligazione del venditore di consegnare viene meno solo se vi è impossibilità. Nella vendita di genus non vi può mai essere impossibilità perché genus nunquam perit. Nonostante la perdita incolpevolmente sofferta dal venditore delle cose da lui comprate o commissionate per esser consegnate al compratore, deve il venditore sempre consegnare.


Genus limitatum

Vendita di genus limitatum è la vendita di genus di una zona limitata: genus che perciò può facilmente perire perché ad esempio: per sfavorevoli condizioni atmosferiche o per malattia non si è prodotto vino di Capri o pomodoro lungo S. Marzano. In tal caso il venditore è liberato perché per forza maggiore impossibilitato ad adempiere: può esser questione di fatto, d'interpretazione di volontà vedere se le parti non vollero che in mancanza fosse dovuto vino analogo (ad. es.: vino d'Ischia) ovvero pomodoro avente le stesse caratteristiche del lungo S. Marzano.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

328 Nell'art. 353 si precisa il momento in cui il trapasso di proprietà si verifica.
E' ovvio che una vendita con efficacia reale simultanea al perfezionamento del contratto può aversi quando il venditore abbia il potere di disposizione della cosa e questa costituisca già un corpus certum, poiché altrimenti non è concepibile un immediato acquisto del diritto reale da parte del compratore. A questi concetti, che ormai costituiscono ius receptum, risponde il primo comma dell'articolo, nel quale si stabilisce che, quando la vendita ha per oggetto una cosa di proprietà del venditore che sia certa e determinata, la proprietà della cosa venduta passa al compratore nel momento in cui le parti si sono accordate sulla cosa e sul prezzo.
Se invece la cosa venduta è determinata soltanto nel genere, l'effetto traslativo è differito al momento della specificazione. In questi sensi dispone il secondo comma dell'articolo, aggiungendo l'opportuna precisazione che la individuazione della cosa deve essere fatta d'accordo tra le parti.
Nell'ultimo comma infine si pone una riserva per tutte le possibili eccezioni alle regole precedentemente stabilite, sia risultanti dalle pattuizioni delle parti che dalle disposizioni della legge: sono le eccezioni che ho richiamato a proposito dell'art. 351 come casi abnormi, in cui il momento obbligatorio della vendita non coincide con quello reale.
335 Fra le obbligazioni principali del venditore l'art. 360 nn. 2 e 3 considera l'obbligo di fare acquistare la proprietà al compratore quando l'acquisto non derivi immediatamente dal contralto e l'obbligo di garantire il compratore dall'evizione.
Per quanto le due obbligazioni abbiano qualche aspetto funzionale comune e si risolvano spesso negli stessi effetti pratici, tuttavia è innegabile la loro autonomia.
Il progetto tiene chiaramente distinte le fattispecie della vendita reale, nella quale il trasferimento si produce con il solo consenso e non può quindi qualificarsi come adempimento di un obbligo di trasferire, e della validità obbligatoria nella quale l'effetto traslativo si ricollega ad un comportamento dovuto dal venditore. A tal uopo si dice chiaramente nell'art. 360 che l'obbligo di dare in senso tecnico, nel senso cioè di obbligo di trasferire, sorge solo quando, per non essere la cosa certa e determinata o per non essere questa in proprietà del venditore, non si verifica l'effetto traslativo immediato. Si supera così la vecchia concezione che il trasferimento è, anche nella vendita reale, l'adempimento di un obbligo che si esaurisce appena sorto, e si prende partito contro qualche tendenza, poco conforme alla nostra tradizione, che vorrebbe scindere in ogni vendita un contratto obbligatorio da un atto di disposizione.

Massime relative all'art. 1476 Codice Civile

Cass. civ. n. 7182/2023

Nel contratto di compravendita di beni immobili, l'obbligo gravante sull'alienante di trasferire il possesso materiale del bene può essere oggetto di pattuizione, essendo la disposizione di cui all'art. 1476 c.c. derogabile; ne consegue che, laddove l'acquirente si sia obbligato a riconoscere il potere di detenzione o il possesso sul bene da parte di un terzo, la mancata sua immissione nel possesso di fatto non dà luogo ad inadempimento da parte del venditore.

Cass. civ. n. 14025/2018

La vendita di un'autovettura designata solo per marca, tipo e accessori, non è una vendita di cosa altrui o cosa futura, ma una vendita di cosa appartenente a genere limitato, che fa sorgere a carico del venditore il duplice obbligo di individuare la "res" e di consegnarla nel luogo pattuito. L'individuazione necessaria all'effetto reale deve essere fatta col concorso di entrambe le parti, sicché la mancata importazione del veicolo dal luogo di produzione a quello di consegna rende il venditore inadempiente ad entrambe le dette obbligazioni.

Cass. civ. n. 7171/2018

Il venditore deve trasferire al compratore non soltanto la proprietà ed il possesso giuridico, ma anche il possesso reale o di fatto del bene venduto, essendo la consegna dello stesso l'atto con cui il compratore è posto nella condizione non solo di disporre materialmente della cosa trasferita nella sua proprietà, ma anche di goderla secondo la funzione e destinazione in considerazione della quale l'ha comprata. Ne consegue che costituisce obbligo del venditore, tenuto ai principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, adoperarsi fattivamente perché l'acquirente ottenga la materiale consegna del bene compravenduto.

Cass. civ. n. 13793/2017

Il venditore, che non abbia consegnato la cosa venduta al compratore, non può fare valere contro quest'ultimo, che ne è divenuto proprietario ex art. 1376 c.c., il suo possesso della "res" anteriore all'atto di trasferimento, al fine di contrastare la domanda di rivendicazione del compratore stesso o di fondare una domanda di acquisto per usucapione, potendo a tale scopo allegare soltanto il proprio eventuale possesso successivo al suddetto atto di trasferimento.

Cass. civ. n. 5561/2015

Gli effetti della garanzia per evizione, che sanziona l'inadempimento da parte del venditore dell'obbligazione di cui all'art. 1476 c.c., conseguono al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato, indipendentemente dalla colpa del venditore e dalla stessa conoscenza da parte del compratore della possibile causa della futura evizione, in quanto detta perdita comporta l'alterazione del sinallagma contrattuale e la conseguente necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica del compratore quale era prima dell'acquisto.

Cass. civ. n. 14025/2014

La vendita di un'autovettura designata solo per marca, tipo e accessori, non è una vendita di cosa altrui o cosa futura, ma una vendita di cosa appartenente a genere limitato, che fa sorgere a carico del venditore il duplice obbligo di individuare la "res" e di consegnarla nel luogo pattuito. L'individuazione necessaria all'effetto reale deve essere fatta col concorso di entrambe le parti, sicché la mancata importazione del veicolo dal luogo di produzione a quello di consegna rende il venditore inadempiente ad entrambe le dette obbligazioni.

Cass. civ. n. 6893/2014

Non è ravvisabile un costituto possessorio implicito nel negozio traslativo del diritto di proprietà o di altro diritto reale, nel senso che ad esso segua automaticamente il trasferimento del possesso della cosa all'acquirente, poiché tale trasferimento rappresenta, ai sensi dell'art. 1476 cod. civ., l'oggetto di una specifica obbligazione del venditore, per la quale non sono previste forme tipiche. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui l'alienante trattenga la cosa presso di sé, occorre accertare caso per caso, in base al comportamento delle parti ed alle clausole contrattuali che non siano di mero stile, se la continuazione, da parte dell'alienante stesso, dell'esercizio del potere di fatto sulla cosa sia accompagnata dall' "animus rem sibi habendi" ovvero configuri una detenzione "nomine alieno".

Cass. civ. n. 7957/2013

In tema di compravendita, grava sul venditore, in quanto tenuto a consegnare la cosa al compratore, ai sensi dell'art. 1476, n. 1), c.c., altresì l'obbligo strumentale di custodire la stessa fino al momento del suo effettivo trasferimento all'acquirente, conservandola nella consistenza materiale e giuridica sussistente all'epoca del contratto; ne consegue che il medesimo venditore è passivamente legittimato con riguardo all'azione proposta dal compratore per il risarcimento dei danni derivanti dal mancato godimento del bene compravenduto, quale effetto dell'alienazione della cosa a terzi operata prima della sua consegna all'originario acquirente. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che aveva negato la pretesa risarcitoria azionata nei confronti del venditore dal compratore di un appartamento, il quale, ottenuta la declaratoria giudiziale di nullità della clausola negoziale di riserva di proprietà dell'area destinata a parcheggio condominiale, non aveva potuto fruire del diritto d'uso riconosciutogli, essendo stata detta area già trasferita ad altri soggetti).

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Consulenze legali
relative all'articolo 1476 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Giuseppe G. chiede
sabato 29/02/2020 - Lazio
“Buongiorno,
ad ottobre 2019 ho acquistato un immobile avente una corte esclusiva il cui confine è delimitato da un muro ed una recinzione.
La corte è annessa ai fabbricati di mia proprietà.

Dopo l'acquisto abbiamo scoperto che lo stato dei luoghi non corrisponde alla planimetria allegata all'atto e depositata al comune.

In particolare:
1) una porzione di angolo posta all'interno della mia proprietà NON è presente nella mia planimetria ed è presente nella planimetria terreni di in un bene comune non censibile intestato ad un'altra persona fisica.
2) un'altra porzione di corte posta all'interno della mia proprietà è presente NELLA mia planimetria del catasto fabbricati e nella planimetria depositata al comune, ma al catasto terreni risulta all'interno del frazionamento corrispondente al bene comune non censibile dell'altro proprietario.

In ogni caso lo stato dei luoghi (presenza del muro e del cancello) è lo stesso da oltre 30 anni. La prova di questo è una foto aerea della società SARA NISTRI, datata e certificata.

Il proprietario del bene rivendica a voce sia quanto indicato al punto 1) che quanto indicato al punto 2)
Quanto indicato al punto 2 oltre che essere presente nella mia planimetria ed in tutte le planimetrie degli atti di provenienza a partire dal condono ( è sempre la stessa rappresentazione ) negli atti anche i distacchi sono descritti con una via pubblica, e non con il bene comune non censibile di cui il vicino è proprietario.


Non sappiamo come inquadrare questo caso. Vorremmo iniziare citando chi ha venduto, per evizione parziale, ma l'evizione si realizza se qualcuno rivendica un confine e non abbiamo nulla di scritto dai vicini, solo minacce verbali e da qualche giorno, noto inoltre, alcuni sgradevoli episodi di incursioni nella corte, aprendo il cancello ed oltrepassando il muro e per dispetto stanno accantonando dei vasi e oggetti nella porzione che non risulta nella mia planimetria. (c'è un cancelletto con una serratura che è rotta)

Abbiamo offerto soldi, proposto di dividere la parte contesa ma non c'è nessun accordo. Loro sostengono che quel pezzo è di loro proprietà.

Come conviene procedere? Contro i vicini o chi mi ha venduto?
Un ultimo dettaglio: L'immobile è stato venduto attraverso una procura irrevocabile di vendita stipulata presso un notaio. Chi mi ha venduto l'immobile è comparso nell'atto di compravendita dichiarando che "il venditore dichiara e l'acquirente ne prende atto che la planimetria è conforme allo stato dei luoghi". I proprietari reali, sono citati ed anche le rispettive mogli (comunione dei beni) ma non sono intervenuti fisicamente nell'atto. Chi ne risponde? Il procuratore o il proprietario della mancata rispondenza planimetrica?”
Consulenza legale i 09/03/2020
La garanzia per evizione costituisce l’oggetto di una delle obbligazioni del venditore, prevista dal n. 3 dell’art. 1476 del c.c. In sostanza, il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta non sia, in tutto (evizione totale) o in parte (evizione parziale), di altri, con conseguenze differenziate nei due casi.
Tuttavia, come del resto correttamente rilevato nel quesito, per invocare la garanzia non è sufficiente un generico pericolo di evizione.
Vi è, innanzitutto, l’ipotesi in cui l’evizione sia compiuta, quando un terzo abbia vittoriosamente rivendicato la proprietà del bene (o di parte di esso), e nel relativo giudizio sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato.
Vi è poi la minaccia di evizione (art. 1485 del c.c.), che non significa però minaccia verbale: occorre che un terzo, il quale pretenda di avere diritti sulla cosa venduta, ne abbia citato in giudizio il compratore. In tal caso quest’ultimo è tenuto a chiamare in causa il venditore, pena la perdita del diritto alla garanzia. In altre parole, se il compratore non cita a sua volta in giudizio il venditore e perde la causa con sentenza passata in giudicato, perderà anche il diritto alla garanzia, se il venditore prova che esistevano ragioni sufficienti per far respingere la domanda.
Inoltre, anche il compratore che ha spontaneamente riconosciuto il diritto del terzo perde il diritto alla garanzia, se non prova che non esistevano ragioni sufficienti per impedire l'evizione.
Da ultimo, il codice civile (artt. 1481 - 1482) consente al compratore di sospendere il pagamento del prezzo in caso di pericolo di evizione: detto pericolo deve essere “effettivo e cioè non meramente presuntivo o putativo, onde esso non può risolversi in un mero timore soggettivo che l’evizione possa verificarsi, ma, anche quando si abbia conoscenza che la cosa appartenga ad altri, occorre che emerga da elementi oggettivi o comunque da indizi concreti che il vero proprietario abbia intenzione di rivendicare, in modo non apparentemente infondato, la cosa” (Cass. Civ., Sez. II, 8571/2019).
Ciò premesso, in merito alla riscontrata difformità dello stato di fatto rispetto alle planimetrie, il comma 1-bis dell’art. 29 L. n. 52/1985, come modificato dal D.L. n. 78/2010, conv. in L. n. 122/2010, stabilisce che “gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari".
Attenzione, però: la sanzione di nullità prevista dalla norma (che persegue una finalità di natura fiscale) si applica - contrariamente a quanto spesso sostenuto - in caso di mancanza della dichiarazione, e non di sua non rispondenza alla realtà.
D’altra parte, non si verte neppure nell’ipotesi di cui all’art. 1497 del c.c., cioè di mancanza, nella cosa venduta, delle qualità promesse o essenziali per l'uso a cui è destinata, né, tantomeno, nell’ipotesi definita come aliud pro alio, che ricorre “quando la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso o presenti difetti che le impediscano di assolvere alla sua funzione naturale o a quella ritenuta essenziale dalle parti”: così Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 6596/2016.
Concludendo, possiamo affermare che, allo stato, non vi sono i presupposti per far valere una garanzia per evizione parziale, non essendovi neppure un giudizio in corso.
Rimane da verificare attentamente la possibilità di sospendere il pagamento del prezzo (se non ancora avvenuto) nei confronti del venditore (ad esempio, nel quesito non viene chiarito se le pretese dei vicini sono state espresse verbalmente o se esiste una corrispondenza scritta tra le parti).
Considerato che lo stato dei luoghi sarebbe immutato da oltre 30 anni, occorre valutare la possibilità di promuovere un'azione di rivendicazione della proprietà, eventualmente provando l'avvenuta usucapione. In proposito va tenuto presente che i diritti reali rientrano tra le materie oggetto di mediazione obbligatoria previste dal D. Lgs. 28/2010 (che disciplina la Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali): la proposizione di un’istanza di mediazione, che produce effetti anche sull’eventuale successivo giudizio, potrebbe magari ricondurre alla ragione i vicini ostili.
Un ultimo, breve cenno va fatto alle molestie descritte nel quesito, anche se non costituiscono oggetto specifico dello stesso. Tali comportamenti, ove provati, possono dar luogo, in sede civile, ad azioni possessorie come l’azione di manutenzione, prevista dall’art. 1170 del c.c., ed anche a conseguenza di natura penale laddove si ravvisi la sussistenza di un reato, come la violazione di domicilio di cui all’art. 614 del c.p.

Lino P. chiede
sabato 09/07/2016 - Calabria
“Avendo acquistato un abitazione nel 2000 (ed avervi apportato migliorie ed adeguamenti nella struttura, ecc.) oggi volendola rivenderla ho scoperto che ciò non mi è possibile.
A suo tempo (nel carteggio) mi era stata anche, data dal venditore relativa copia della regolare "concessione edilizia di condono in sanatoria", ecc. come "riportato anche, nel relativo preliminare di vendita e successivo atto notarile stipulato. Adesso ho scoperto che il venditore si era a "parte" impegnato anni prima, con un atto d'obbligo (registrato anche, presso un notaio) con il comune stesso e per un periodo di 30 anni a pagare un "oblazione integrativa" se lo stesso immobile fosse stato venduto prima del 2005 pena la nullità dell'atto stesso di vendita.
Non so se lo ha fatto in cattiva fede o dimenticato, ecc. ma, tutto ciò non è mai stato fatto determinando tale attuale situazione! Comunque, il punto e che per cortesia, vorrei mi fosse chiarito e questo:
Potrei in via bonaria, ecc. (sempre se la cosa fosse possibile, ecc.) a riproporre (alle parti interessate) nel rifare un nuovo rogito pagando l'oblazione debitoria e chiedendo un indennizzo al venditore (come danno, ecc.) pari ad un terzo del valore attuale di mercato dell'immobile in questione? Visto anche l'ipotesi di un usucapione ventennale (impegnandosi a non vendere l'immobile prima del 2020)oppure, nel caso ciò non fosse possibile o diniego da parte del venditore ottenere almeno la restituzione della somma pagata in lire e a suo tempo (espressa nel preliminare di vendita relativo e comprovata da ricevute
di pagamento con assegni bancari versati allo stesso) rivalutata ad oggi in euro ed, in base al relativo valore di mercato dell'immobile in questione ? In attesa di una vostra gradita risposta in merito vi porgo i miei più cordiali saluti”
Consulenza legale i 26/07/2016
Vanno preliminarmente chiariti un paio di aspetti sul contenuto dell’atto d’obbligo che il venditore dell’immobile aveva a suo tempo siglato con il Comune e che attengono all’esatta interpretazione da dare al medesimo.

In primo luogo va detto che la durata trentennale degli obblighi ivi previsti non riguarda l’intero contenuto dell’atto ma solamente gli obblighi di natura strettamente economica fissati nel paragrafo in cui viene disposto il vincolo trentennale in questione. Più chiaramente: Il Comune impone sia un prezzo massimo di vendita che un canone annuo di locazione in una determinata percentuale sul predetto prezzo e poi aggiunge: “e gli obblighi fissati in questo punto avranno la durata di anni 30”.
Tale frase deve intendersi, quindi, strettamente legata a quanto appena indicato sul prezzo da praticare e sul canone da determinare e non anche su quanto specificato di seguito, al paragrafo successivo; e ciò anche in virtù della frase immediatamente successiva: “ogni pattuizione che violi gli stessi è nulla per la parte eccedente”.

Ulteriore e fondamentale precisazione riguarda, poi, il paragrafo successivo relativo all’obbligo di non vendere l’immobile prima del 2005, pena il pagamento dell’oblazione integrativa in forza di una determinata norma, l’art. 39 della legge n. 724/1994, comma 15. Ebbene, tale norma recita come segue: “Ove l'immobile sanato, ai sensi del comma 14, venga trasferito, con atto inter vivos a titolo oneroso a terzi, entro dieci anni a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, è dovuta la differenza tra l'oblazione corrisposta in misura ridotta e l'oblazione come determinata ai sensi del comma 3, maggiorata degli interessi nella misura legale. La ricevuta del versamento della somma eccedente deve essere allegata a pena di nullità all'atto di trasferimento dell'immobile.
Com’è evidente, pertanto, la compravendita non è nulla a motivo della vendita ante termine ma solamente a motivo della mancata allegazione della ricevuta del pagamento.

Ciò premesso e chiarito, nella sostanza il problema di cui al quesito rimane, ovvero risulta evidente che il precedente venditore non abbia ancora provveduto al pagamento (e quindi non abbia allegato alcunché in merito nel rogito).

Ora, la nullità di cui alla norma e la corretta interpretazione della stessa in merito alle conseguenze di tale nullità costituiscono un problema assai dibattuto sia in dottrina che in giurisprudenza e che allo stato non ha ancora trovato una soluzione condivisa ed unanime.
Il punto fermo sul quale sembra si sia convenuto da parte di tutti è che il legislatore – con le varie leggi succedutesi nel tempo in materia di condono edilizio – ha voluto essere molto severo e repressivo nei confronti degli abusi, più o meno gravi, ed ha stabilito come conseguenza degli stessi sanzioni pesanti, come la nullità che ci occupa: dalle norme, in generale, si desume un principio di nullità sostanziale degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica e di nullità solamente formale per quelli non in regola ma di cui è in corso la regolarizzazione, qualora tale circostanza non risulti dagli stessi.

Nel caso in esame, il titolo c’è (concessione in sanatoria) ma manca l’allegata ricevuta di intervenuto pagamento dell’oblazione, perché di fatto il pagamento non è mai avvenuto.
Poco importa, tuttavia, che il diritto del Comune a richiedere l’oblazione si sia ormai prescritto (la P.A. ha tempo 3 anni per farlo), perché trattasi di nullità non più “sanabile” a mezzo di un’eventuale regolarizzazione (questa non è più possibile e ciò determina, di fatto, il rimanere dell’“abuso”, cioè un’avvenuta violazione della normativa edilizia, con la conseguente sanzione di cui stiamo parlando).

Va chiarito, si noti bene, che la nullità non opera automaticamente, nel senso che la situazione di abuso evidenziata nel quesito si traduce in pratica nel diritto dell’acquirente (o del venditore o di chiunque vi abbia interesse: la nullità, infatti, può essere fatta valere in ogni tempo e, appunto, da chiunque, anche al di fuori delle parti, vi abbia interesse) di rivolgersi al Giudice per far accertare la nullità dell’atto.

In quest’ultimo caso, allora, se l’azione viene intentata dall’acquirente, ad avviso di chi scrive quest’ultimo potrà senz’altro richiedere al precedente venditore la restituzione integrale di quanto indebitamente pagato con gli interessi nonché il risarcimento di ogni danno subìto a causa dell’atto d’obbligo con il Comune non specificato all’atto del rogito.

Nel caso, invece, in cui la situazione rimanesse invariata, senza alcuna iniziativa da parte dell’una o dell’altra delle parti (né di un terzo estraneo interessato a far valere la nullità), dopo vent’anni maturerebbe sicuramente l’acquisto per usucapione della proprietà dell’immobile a favore del presunto acquirente. E’ evidente che – fino a che non maturerà il termine per l’usucapione – il bene non potrà essere rivenduto a terzi, dal momento che manca il titolo per il trasferimento.

Purtroppo, per quanto riguarda qualsiasi eventuale responsabilità da ascriversi al notaio (di natura extracontrattuale o, come più correttamente dovrebbe essere, di natura contrattuale) sarebbe ad oggi preclusa a motivo delle intervenute prescrizioni (5 anni la prima e 10 anni la seconda).

Giacinto L. P. chiede
mercoledì 26/05/2021 - Lazio
“Spett. redazione:
Sono proprietario (e residente) a Roma di un appartamento il cui palazzo è costituito da due blocchi di appartamenti con scale di accesso comuni, uno che chiamerò Blocco A e l’altro Blocco B.
L’Amministratore E** BO** del palazzo ha contrattualizzato per € 400.000,00 l’esecuzione di lavori di manutenzione ordinaria in data 11/05/2012 con la soc. Gruppo M****lindo.
Tali lavori sono stati parzialmente realizzati dall’Impresa, e corrispondono solo al 50% del capitolato sottoscritto. Praticamente sono stati eseguiti solo lavori sul Blocco A e non sul Blocco B.
Preciso che i lavori descritti in capitolato e i prezzi erano praticamente paritari tra i due blocchi.
Alla fine, in data 13 marzo 2017 (dopo 5 anni del contratto e a due circa dall’abbandono dei lavori da parte dell’impresa) il contratto è stato risolto con scrittura privata tra l’amministratore e il sig. David P**NA liquidatore della soc. esecutrice lavori, in liquidazione.
In tale risoluzione risulta che il Gruppo M****lindo. aveva ricevuto dalla contabilità del direttore lavori Ing. CRU***ANI maggiori somme per un importo di €. 28,000,00 successivamente restituiti al condominio tramite ulteriori prestazioni dell’impresa.
Naturalmente l’amministratore per tutto il periodo lavori ha emesso fatture a tutti i condomini per pagare le spese in rapporto ai vari stati di avanzamento emessi da D.L., in importo proporzionale ai singoli millesimi di ogni condomino.
Quindi tutti i condomini (Blocco A + Blocco B) hanno pagato le quote dei lavori effettivamente eseguiti e contabilizzati (ripeto solo sul Blocco A) in proporzione dei propri millesimi e non come è giusto “in relazione ai beni dei quali il singolo condomino usufruisce”. In pratica non c’è stata una equa ripartizione delle spese nella contabilità condominiale perché una parte ha pagato senza che nessun lavoro fosse stato eseguito sulla propria facciata o copertura, e l'altra parte ha pagato solo la metà delle opere di cui direttamente gode. In definitiva il 50% dei condomini ha usufruito anche dei soldi versati da altri condomini che non hanno goduto e non godono di nessun lavoro in modo diretto come impermeabilizzazione e sostituzione del proprio tetto e intonaco e riverniciatura di balconi e facciata.
CHIEDO:
1: La parte creditrice ha diritto alla restituzione delle spese ingiustamente pagate, oltre agli interessi legali, a partire dalla data dei versamenti a saldo?
2: La situazione debitoria e creditizia allargata, deve essere resa nota a eventuali acquirenti degli appartamenti, e una volta nota potrebbe incidere sulla possibilità di contrazione mutui, sui rapporti con le banche e con l’agenzia delle entrate, sulla possibilità di ottenere bonus del 100, 90%, e fino a mettere in discussione i contratti di compra-vendita già stipulati anche da tempo e che non abbiano tenuto conto del debito o del credito condominiale automaticamente contratto?”
Consulenza legale i 12/06/2021
Come è noto le norme del codice civile disciplinanti la ripartizione delle spese condominiali ed in particolar modo l’art. 1123 del c.c., il quale troverebbe diretta applicazione nel caso specifico, possono essere derogati da diverse convenzioni sottoscritte tra i proprietari. Tali convenzioni sono nella stragrande maggioranza dei casi racchiusi nei regolamenti di condominio di natura contrattuale allegati ai rogiti di acquisto delle singole unità immobiliari. In questi casi, infatti, le norme che l’amministratore deve seguire per un corretto riparto degli oneri condominiali sono quelle racchiuse nel regolamento, e non quelle previste dal codice civile. Se, in presenza di norme convenzionali derogatorie, l’amministratore applicasse nel ripartire le spese condominiali ciò che prevedono gli artt.1123 e ss. del c.c., la delibera che approva il bilancio di condominio conseguente sarebbe sul punto nulla e impugnabile in ogni tempo anche oltre i rigidi termini previsti dall’art.1137 del c.c.

Nel caso specifico l’art. 8 del regolamento condominiale prevede che tutte le spese attinenti alla conservazione, manutenzione, funzionalità e decoro delle parti comuni indicati dal precedente art. 1 devono essere sopportati dalla interezza dei proprietari e ripartiti secondo le tabelle millesimali allegate. Non ci è dato capire che tipologie di lavoro furono a suo tempo approvate, ma da una prima lettura il riparto operato dall’amministratore pare corretto alla luce delle disposizioni regolamentari vigenti nel complesso, se tali lavori coinvolgono espressamente le parti degli edifici indicati al’art.1 del regolamento.

Venendo a trattare della seconda parte del quesito, tra gli obblighi del venditore vi è quello di consegnare la cosa venduta previsto dal n.1) dell’art.1476 del c.c. Nel caso di vendita di una unità immobiliare tale obbligo si realizza non solo consegnando all’acquirente le chiavi dell’appartamento, ma anche di tutti i documenti ad esso attinenti, tra cui rientra sicuramente l’obbligo di consegnare il regolamento di condominio a cui il nuovo proprietario deve attenersi. Durante la trattativa poi, l’obbligo di buona fede che incombe sulle parti ai sensi dell’art.1377 del c.c., imporrebbe al venditore di rendere edotto il potenziale acquirente della situazione contabile del condominio, della presenza di eventuali situazioni debitorie e delle norme racchiuse nel regolamento. In altri termini se durante la trattativa l’acquirente chiede di prendere visione del regolamento di condominio, essa è una richiesta più che legittima a cui il venditore dovrebbe dare corso.
Posto questo, la situazione descritta non impedisce all’acquirente di contrarre mutui con gli istituti bancari, sulla base della normativa oggi vigente non incide sull’ottenimento di bonus fiscali e sicuramente non va ad incidere sui contratti di vendita già stipulati.