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Articolo 1754 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Mediatore

Dispositivo dell'art. 1754 Codice Civile

È mediatore(1) colui che mette in relazione due o più parti [1321]per la conclusione di un affare(2), senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza(3).

Note

(1) Il mediatore deve essere iscritto in apposito albo per poter esercitare la propria attività e ciò anche in caso di esercizio occasionale, pena l'irrogazione di sanzioni amministrative e l'obbligo di restituire la provvigione (v. art. 2, 3, 8 legge 3 febbraio 1989, n. 39; art. 40, legge 12 dicembre 2002, n. 273; art. 1764 c.c.). Tale albo è istituito presso ogni Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura.
(2) Si noti che tale figura rappresenta una delle rare ipotesi in cui il legislatore sceglie di dettare una definzione soggettiva, incentrata, cioè, sulla parte e non sul contratto (v. 1936, 2094 c.c.). Questo ha aperto la questione se si tratti o meno di un contratto e, di riflesso, se il diritto alla provvigione (1755 c.c.) sorga per il solo fatto che le parti giungono alla stipula grazie alla sua iniziativa ovvero se sia necessario che almeno una gli conferisca l'incarico.
(3) Il mediatore deve essere imparziale: anche se riceve un incarico da una delle parti, egli non si obbliga a promuovere, per suo conto, la conclusione del contratto. Ciò distingue il mediatore dall'agente (1742 c.c.) e dal lavoratore subordinato (2094 c.c.).

Ratio Legis

Il mediatore esercita la propria attività in vista di un lucro. A loro volta, le parti ottengono un beneficio proprio dall'essere messe in relazione, atteso che il mediatore, terzo, conosce la situazione di domanda ed offerta ed è in grado di soddisfarla al meglio, mettendo in contatto soggetti che, altrimenti, potrebbero non conoscersi mai.

Spiegazione dell'art. 1754 Codice Civile

Caratteristiche fondamentali del rapporto di mediazione. Interposizione neutrale. Distinzione dal mandato e da altre figure di prestazione d'opera

L'articolo non dà una definizione del rapporto di mediazione. Indica invece in che cosa consiste l'attività specifica del mediatore; precisando tuttavia come tale attività debba mantenersi distinta da altre forme di prestazione di opere con o senza rappresentanza.
Per altro le indicazioni contenute nella prima parte della disposizione sono sufficienti per chiarire la posizione intermedia che assume l'intermediario rispetto ai futuri contraenti, e la finalità cui è diretta la sua attività. Posizione intermedia che è posta in rilievo anche nelle definizioni tradizionali, perché si riconnette ad un elemento fondamentale del rapporto. Al quale elemento si ricollega, poi, necessariamente, dell'imparzialità escludente, a sua volta, qualsiasi legame di dipendenza del mediatore rispetto alle parti; in quanto un tale legame snaturerebbe la configurazione giuridica del rapporto medesimo.

Anche l'obbligo dell'imparzialità rientra nella configurazione tradizionale. Tale obbligo, infatti, già ricordato fin negli statuti delle città italiane, è pure menzionato in alcune legislazioni moderne. Il nuovo codice non ne fa cenno esplicito; ma questo non può significare che si sia inteso escluderlo, dato che la dottrina lo ha sempre ritenuto connaturale all'istituto; e dato che, nella disposizione che si commenta, si è tenuto a precisare che il mediatore non deve essere legato alle parti da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza. Il che significa, quanto meno per implicito, che egli non può agire nell'interesse particolare di alcuno dei futuri contraenti; ma deve operare nell'interesse di tutti.

Che il mediatore non si debba confondere col mandatario, con o senza procura, era già concordamente ritenuto dalla dottrina italiana; la quale precisava inoltre che il mediatore resta altresì distinto dalle altre figure ausiliarie, come il procacciatore di affari, l'agente di commercio, e il nuncius, appunto perché costoro, nel prestare la loro opera, sono legati, più o meno intensamente, a colui che conferisce l'incarico ed agiscono quindi nel suo esclusivo interesse.

Questi concetti sono riassunti, con sufficiente chiarezza, nella disposizione del codice vigente. In quanto, per integrare la figura del mediatore, oltre al requisito positivo, ne pone uno negativo, richiedendo, come si è già detto, che il mediatore non deve trovarsi in alcun rapporto di dipendenza, di collaborazione o di rappresentanza con alcuna delle parti.
Circa poi il requisito positivo all'espressione della legge "mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare" deve essere attribuito il significato di un'interposizione attiva, qual è ritenuta tradizionalmente l'opera del mediatore, al cui intervento è dovuto il contratto, com'è chiarito, del resto, nel successivo art. 1755.


Norme generali applicabili anche alla mediazione. Momento in cui il contratto si perfeziona

L'inquadramento della mediazione fra i contratti disciplinati nel libro quarto, importa, come ovvia conseguenza, che deve ritenersi soggetta alle regole generali contenute nei titoli primo e secondo, in ordine, tra l'altro, ai requisiti di essenza e di validità. Peraltro, vari problemi che si riferiscono particolarmente all'istituto, non appaiono risolti dal codice. Problemi concernenti la struttura stessa del rapporto, già discussi dalla dottrina in relazione alla cessata legislazione; e per alcuni dei quali si sono avute pure decisioni della giurisprudenza. A quest'elaborazione quindi occorre riferirsi, anche attualmente, quando si tratta di questioni non regolate.

Un punto su cui la dottrina non era concorde riguarda il momento in cui sorge il rapporto di mediazione. Se cioè, alla perfezione giuridica del medesimo, sia sufficiente il consenso di uno soltanto dei futuri contraenti (nel caso più semplice che le parti siano due); oppure se sia anche necessario il consenso dell'altro. Quest'ultima opinione non fu accolta dalla dottrina prevalente. Rilevò il Vivante essere vero che il mediatore, appunto perché tale, non potrebbe esplicare in concreto, con le caratteristiche inerenti alla mediazione, l'attività di intermediario se non entrasse in rapporto con tutte le parti che intendono trattare per suo mezzo. Ma, ad una tale situazione pratica si perviene agevolmente anche se si parte dal presupposto che il contratto fra il mediatore e le parti dipenda da compiuti rapporti giuridici a sè stanti, quante sono le persone che hanno conferito l'incarico. Perché questi rapporti confluendo nella persona dell'unico mediatore, o di più mediatori che agiscono congiuntamente, vengono ad unificarsi in relazione all'unicità di scopo cui tendono, cioè la conclusione dell'affare.

Sempre in relazione al momento in cui il rapporto acquista giuridica efficienza, si è pure ritenuto che tale momento debba riportarsi alla conclusione dell'affare principale, la quale fa sorgere il diritto del mediatore alla provvigione.
Quest'opinione, specialmente sostenuta dalla dottrina tedesca, ha avuto qualche eco anche in Italia, ma è stata respinta dalla dottrina prevalente. La quale ha accolto invece il concetto che il rapporto di mediazione si perfeziona quando l'intermediario ha accettato l'incarico conferito dalle parti, se queste hanno preso l'iniziativa; ovvero quando le parti stesse hanno espressamente, o anche tacitamente, accettato l'opera del mediatore, qualora l'iniziativa sia partita da quest'ultimo.


Libertà di recesso delle parti e del mediatore

Altra questione, discussa dalla dottrina e che si può ripresentare anche rispetto alle nuove norme, è quella riferentesi alla libertà, per le parti da un lato e per il mediatore dall'altro, di recedere dall'incarico, già esplicitamente o implicitamente accettato.

La dottrina formatasi, rispetto alle disposizioni del codice di commercio abrogato, riteneva concordemente la perfetta libertà delle parti di abbandonare le trattative, e quindi di non concludere il negozio principale, senza essere tenute a giustificare il loro comportamento, e senza l'obbligo di corrispondere il compenso, salvo patto contrario, ed eccettuato il caso in cui il recesso fosse determinato dall'intento di frodare il mediatore.
Le disposizioni del codice del '42 non risolvono esplicitamente la questione anzidetta. Sembra, tuttavia, che, per accogliere la soluzione già seguita sotto l'impero della legge precedente, offra argomento favorevole l'articolo 1756. Il quale, quando l'affare non è stato concluso, riconosce al mediatore, nel caso ivi indicato, soltanto il diritto al rimborso delle spese. Ora la mancata conclusione può dipendere anche dal fatto che le parti hanno abbandonato le trattative.
Il codice in vigore, invece, non porta alcun chiarimento in ordine all'altro lato del problema concernente la libertà di recesso da parte del mediatore.


Carattere accessorio della mediazione. In quale senso debba intendersi

Nell'art. 1754 si legge che l'opera del mediatore si esplica per la conclusione di un affare. Si è così precisato il carattere, in certo senso, accessorio della mediazione. Si è detto in un certo senso perché la dottrina ha già posto in luce che l'accessorietà non è identica a quella che si riscontra in altri contratti che così pure si definiscono. Difatti si tratta piuttosto di un rapporto di connessione con un altro negozio giuridico, considerato come principale: connessione derivante soprattutto da ciò che la mediazione non è fine a se stessa, ma serve essenzialmente per porre in essere un altro contratto. Ed intanto appunto apporta un'utilità al mediatore mediante il conseguimento del compenso, in quanto questo contratto venga concluso.
Ciò non toglie, tuttavia, che la mediazione conservi la propria autonomia ed indipendenza rispetto al contratto principale; le quali, nelle nuove norme, appaiono accentuate, date le disposizioni contenute nel secondo e nel terzo comma dell'art. 1757. Difatti, il diritto al compenso non viene meno a favore del mediatore neppure col verificarsi di quelle situazioni, come la condizione risolutiva, l'annullamento e la rescissione che fanno venir meno il contratto principale.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1754 Codice Civile

Cass. civ. n. 4921/2023

In tema di mediazione, l'attività volta a mettere due o più parti in relazione al fine di concludere un affare, pur potendo assumere in concreto le forme più eterogenee, non può che ridursi a due attività principali: individuare la persona con cui contrattare oppure l'oggetto della contrattazione; la prima, a sua volta, può teoricamente avvenire con due modalità diverse: il reperimento, allorché il mediatore favorisca la conoscenza di due persone che in precedenza erano ignote l'una all'altra e l'avvicinamento, laddove il mediatore appiani le divergenze esistenti tra due soggetti che già si conoscevano, in ragione del fatto che dette divergenze avevano fino ad allora impedito la conclusione dell'affare. (Nella specie, la S.C. ha escluso che il contratto con il quale una società aveva richiesto consulenza e assistenza ad altra società, al fine di predisporre la domanda volta ad ottenere un contributo pubblico, potesse ricondursi ad un'ipotesi di mediazione stante l'assenza, tra l'altro, dell'attività di reperimento dell'ente erogatore, già noto e individuato, e di componimento di divergenze tra le parti).

Cass. civ. n. 11443/2022

In tema di mediazione, il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, che sussiste quando il mediatore abbia messo in relazione le parti, così da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipulazione del contratto, sempre che questo possa ritenersi conseguenza prossima o remota dell'opera dell'intermediario tale che, senza di essa, secondo il principio della causalità adeguata, il contratto stesso non si sarebbe concluso. (Affermando tale principio, la S.C. ha dato rilievo causale all'intervento del mediatore che aveva posto in relazione i contraenti e fatto visitare l'immobile agli interessati i quali, dopo alcuni mesi dalla visita ed una volta rifiutata un prima offerta di acquisto, avevano collocato dei bigliettini nelle cassette postali di tutti i condomini così da riaprire le trattative e giungere all'acquisto dell'unità immobiliare, sia pure per un prezzo inferiore a quello inizialmente richiesto).

Cass. civ. n. 11127/2022

Il diritto del mediatore alla provvigione consegue non alla conclusione del negozio giuridico, ma dell'affare, inteso come qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, anche se articolatasi in una concatenazione di più atti strumentali, purché diretti nel loro complesso a realizzare un unico interesse economico, anche se con pluralità di soggetti: pertanto, la condizione perché il predetto diritto sorga è l'identità dell'affare proposto con quello concluso, che non è esclusa quando le parti sostituiscano altri a sé nella stipulazione finale, sempre che vi sia continuità tra il soggetto che partecipa alle trattative e quello che ne prende il posto in sede di stipulazione negoziale, e la conclusione dell'affare sia collegabile al contatto determinato dal mediatore tra le parti originarie, che sono tenute al pagamento della provvigione.

Cass. civ. n. 20556/2021

Ai fini fini del riconoscimento del diritto del mediatore al compenso per l'attività prestata, l'onere della prova dell'iscrizione all'albo dei mediatori, così come previsto nella l. n. 39 del 1989, può essere assolto anche mediante l'indicazione del numero d'iscrizione nel ruolo degli agenti di affari in mediazione tenuto presso la locale Camera di Commercio, non essendo impedito alla parte di fornirne detta prova per presunzioni.

Cass. civ. n. 22426/2020

In tema di mediazione, non sussiste il diritto alla provvigione, quando una prima fase delle trattative avviate con l'intervento del mediatore non dia risultato positivo e la conclusione dell'affare, cui le parti siano successivamente pervenute, sia indipendente dall'intervento del mediatore che le aveva poste originariamente in contatto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso un effettivo contributo causale, in ordine al perfezionamento di un contratto di compravendita immobiliare, nel contegno di un mediatore il quale, dopo aver fatto visionare alla potenziale acquirente il complesso edilizio oggetto di negoziazione, non era stato in grado di indicargliene il prezzo e si era rifiutato di accettare la sua proposta, tanto che l'affare si era poi concluso grazie all'intervento di altro intermediario).

Cass. civ. n. 12651/2020

È configurabile il diritto alla provvigione del mediatore per l'attività di mediazione prestata in favore di una delle parti contraenti quando egli sia stato contemporaneamente procacciatore d'affari dell'altro contraente. Infatti, se è vero che, normalmente, il procacciatore d'affari ha diritto al pagamento solo nei confronti della parte alla quale sia legato da rapporti di collaborazione, è anche vero che tale "normale" assetto del rapporto può essere derogato dalle parti, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, ben potendo il procacciatore, nel promuovere gli affari del suo mandante, svolgere attività utile anche nei confronti dell'altro contraente con piena consapevolezza e accettazione da parte di quest'ultimo. Di conseguenza, essendo il procacciatore di affari figura atipica, i cui connotati, effetti e compatibilità, vanno individuati di volta in volta, con riguardo alla singola fattispecie, occorre avere riguardo, in materia, al concreto atteggiarsi del rapporto, e in particolare alla natura dell'attività svolta e agli accordi concretamente intercorsi con la parte che non abbia conferito l'incarico.

Cass. civ. n. 29229/2019

Nella stipula di un preliminare di vendita il mediatore ha l'obbligo di comunicare al promissario acquirente le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza richiesta in relazione al tipo di prestazione, non essendo egli tenuto, in difetto di uno specifico incarico, a svolgere particolari indagini di natura tecnico-giuridica. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha condiviso la decisione della corte territoriale che, in una fattispecie in cui l'immobile promesso in vendita era risultato edificato in assenza di concessione edilizia e la domanda di sanatoria allegata al titolo d'acquisto della promittente venditrice era stata falsificata, aveva escluso la responsabilità del mediatore sul presupposto che la falsificazione non fosse agevolmente riscontrabile).

Cass. civ. n. 11776/2019

Nel rapporto di mediazione, il diritto alla provvigione insorge soltanto quando le parti siano state messe in grado di conoscere l'opera di intermediazione svolta dal mediatore, grazie alla cui attività hanno concluso l'affare, nonché di valutare l'opportunità o meno di avvalersi della relativa prestazione, soggiacendo ai conseguenti oneri; ne consegue che la prova di tale conoscenza incombe, ai sensi dell'art. 2697 c.c., sul mediatore che voglia far valere in giudizio il diritto alla provvigione

Cass. civ. n. 4107/2019

Affinché sorga il diritto del mediatore alla provvigione è necessario che l'attività di mediazione sia da questi svolta in modo palese, rendendo note ai soggetti intermediati la propria qualità e terzietà. Ove, per contro, il mediatore celi tale sua veste, presentandosi formalmente come mandatario di una delle parti (cosiddetta "mediazione occulta") egli non ha diritto alla provvigione e l'accertamento della relativa circostanza, demandato al giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato. (Nella specie, il mediatore aveva avuto contatti con un soggetto che, al momento della trattativa, non intratteneva alcun rapporto con la società che aveva poi acquistato l'unità immobiliare, essendone divenuto legale rappresentante soltanto successivamente alla stipula del rogito). (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 10/06/2014).

Cass. civ. n. 482/2019

Il conferimento di un incarico per la ricerca di una persona interessata alla conclusione di un affare a determinate condizioni prestabilite dà luogo a un mandato e non a una c.d. mediazione atipica unilaterale (riguardante una soltanto della parti interessate) o a una mediazione creditizia, allorché il pagamento della provvigione sia svincolato dall'esito dell'operazione, l'attività demandata abbia natura giuridica e sia insussistente il connotato dell'imparzialità. In tal caso, l'incaricato ha l'obbligo e non la facoltà di attivarsi per la conclusione dell'affare e può pretendere il pagamento della provvigione dalla sola parte che gli ha attribuito l'incarico, senza necessità della sua iscrizione all'albo ex art. 2 l. n. 39 del 1989, restando indifferente l'effettiva conclusione dell'affare. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che rientrasse nello schema del contratto di mandato, l'incarico unilaterale conferito dalla ricorrente, nel suo esclusivo interesse, per la vendita di alcune azioni societarie, comprensivo dell'assistenza in sede di redazione dei relativi contratti e per la ricerca di banche e intermediari disponibili all'erogazione dei necessari finanziamenti, valorizzando l'inscindibilità del rapporto in quanto proteso alla realizzazione di un risultato unitario). (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 05/08/2013).

Cass. civ. n. 11656/2018

Ai fini della configurabilità del rapporto di mediazione, non è necessaria l'esistenza di un preventivo conferimento di incarico per la ricerca di un acquirente o di un venditore, ma è sufficiente che la parte abbia accettato l'attività del mediatore avvantaggiandosene.

Cass. civ. n. 25851/2014

In tema di contratto di mediazione, qualora l'affare sia stato concluso tra persone giuridiche, il mediatore ha diritto alla provvigione anche quando la "messa in relazione", causalmente rilevante ai sensi degli artt. 1754 e 1755 cod. civ., sia inizialmente intervenuta tra soggetti che, seppur sprovvisti di poteri di legale rappresentanza, abbiano intrapreso e partecipato alle trattative per conto e nell'interesse delle persone giuridiche.

Cass. civ. n. 28283/2011

In tema di mediazione, prevedendo il regime transitorio dettato dall'art. 9 della legge 3 febbraio 1989, n. 39 l'automatica iscrizione nel nuovo ruolo di tutti gli agenti già iscritti nei ruoli costituiti in base alla legge previgente e stabilendo, invece, in regime ordinario, l'art. 11 del d.m. 21 dicembre 1990, n. 452 che, in presenza dei previsti requisiti soggettivi in capo al legale rappresentante, anche la società può domandare l'iscrizione nel nuovo ruolo, ne consegue che il principio dell'efficacia soggettiva dell'iscrizione è valido pure per le fattispecie regolate dalla disciplina transitoria e, pertanto, anche in tal caso, l'automatica iscrizione nel nuovo ruolo di chi era già iscritto nel vecchio e, comunque, la possibilità, per il medesimo, di continuare l'attività mediatoria, non può giovare alla società di cui lo stesso iscritto sia legale rappresentante. Risultano, tuttavia, manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale della ricordata normativa transitoria, in relazione agli artt. 2, 3, 4, 25 e 41 Cost., essendo giustificata la diversità della disciplina dalla diversità dei soggetti e delle situazioni cui essa si applica (persone fisiche già iscritte nei precedenti albi dei mediatori, e, pertanto, già sottoposte ai controlli prescritti dalla legge, e persone giuridiche, per la prima volta iscritte in proprio, con la necessità del compimento dei prescritti controlli prima dell'iscrizione) e trattandosi di disciplina dettata a fini sociali e a tutela dell'interesse pubblico, affinché l'attività di mediatore sia svolta esclusivamente da persone in possesso di particolari cognizioni tecniche, anche alla luce della responsabilità del mediatore quanto all'obbligo sullo stesso gravante - a norma dell'art. 1759 c.c. - di comunicare alle parti circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare.

Cass. civ. n. 16732/2011

Ai fini della iscrizione nel nuovo ruolo degli agenti di affari in mediazione, anche in relazione alle fattispecie alle quali si applichi il regime transitorio dettato dalla legge 3 febbraio 1989, n. 39, non è sufficiente l'esistenza dell'iscrizione del mediatore nei precedenti ruoli previsti dalla legge n. 253 del 1958, ma è necessario il controllo, ad opera delle commissioni provinciali istituite allo scopo, della sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge n. 39 del 1989 per la permanenza in ruolo. In relazione alle attività di mediazione iniziate prima ma concluse dopo l'entrata in vigore della suddetta normativa, il mediatore può far valere il diritto al compenso solo se abbia chiesto l'iscrizione nei nuovi registri, ai sensi dell'art. 9, comma secondo, della citata legge n. 39 del 1989, quanto meno entro la data di conclusione del contratto intermediato, pur se l'iscrizione non sia ancora avvenuta. Peraltro, il mediatore iscritto nel vecchio ruolo può continuare ad operare, per effetto dell'istituto della "prorogatio" dello stesso, fino a quando non sia sostituito dal nuovo, conseguendo egualmente il diritto alla provvigione, ma, a tal fine, è suo onere addurre e provare che, al momento dell'esercizio dell'attività mediatoria, il nuovo ruolo non sia stato ancora costituito dalle competenti commissioni provinciali.

Cass. civ. n. 10205/2011

A norma dell'art. 8, comma 1, della legge 3 febbraio 1989, n. 39, chiunque eserciti l'attività di mediazione senza essere iscritto al ruolo è tenuto, oltre al pagamento della relativa sanzione amministrativa, anche alla restituzione alle parti contraenti delle provvigioni percepite; tale espressa previsione esclude la possibilità di agire nei confronti dei contraenti, ai sensi dell'art. 2033 c.c., a titolo di indebito oggettivo, perché, mentre quest'ultimo trova il proprio fondamento giuridico nell'assenza di causa dell'attribuzione patrimoniale effettuata, l'obbligo di restituzione del compenso previsto dal citato art. 8 costituisce una sorta di sanzione per lo svolgimento dell'attività senza previa iscrizione all'albo.

Cass. civ. n. 16030/2010

L'intermediazione nella cessione di quote sociali, per gli effetti di cui alla legge 3 febbraio 1989, n. 39, richiede l'iscrizione non già nella sezione "sub" a) del ruolo di cui all'art. 3, comma 2, del d.m. 21 dicembre 1990, n. 452, relativo agli agenti che svolgano attività per la conclusione di affari relativi a immobili ed aziende, ma in quella "sub" d), riservata non solo agli agenti che svolgono attività per la conclusione di affari relativi al settore dei servizi, ma anche a tutti quegli altri agenti che non trovano collocazione in una delle sezioni precedenti: il trasferimento da un soggetto all'altro di una quota di partecipazione ad una società commerciale non è infatti qualificabile come trasferimento della proprietà e del godimento di un'azienda, indipendentemente dall'attività e dal patrimonio della stessa.

Cass. civ. n. 16382/2009

La mediazione tipica, disciplinata dagli artt. 1754 e seguenti c.c., è soltanto quella svolta dal mediatore in modo autonomo, senza essere legato alle parti da alcun vincolo di mandato o di altro tipo, e non costituisce un negozio giuridico, ma un'attività materiale dalla quale la legge fa scaturire il diritto alla provvigione. Tuttavia, in virtù del "contatto sociale" che si crea tra il mediatore professionale e le parti, nella controversia tra essi pendente trovano applicazione le norme sui contratti, con la conseguenza che il mediatore, per andare esente da responsabilità, deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile nell'adempimento degli obblighi di correttezza ed informazione a suo carico, ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, c.c., e di non aver agito in posizione di mandatario.

Cass. civ. n. 8374/2009

In tema di mediazione, il mediatore deve comportarsi in modo da non ingenerare equivoci sulla veridicità delle notizie rilevanti per la conclusione dell'affare, non potendo limitarsi a riferirle senza averne controllato la rispondenza a realtà, dal momento che, anche per effetto della legge 2 marzo 1989, n. 39, chi si rivolge al mediatore per concludere un affare fa legittimo affidamento sul suo dovere di imparzialità, ogniqualvolta egli non sia agente di una sola parte, essendo tenuto a riequilibrare l'asimmetria informativa dell'una parte rispetto all'altra sulla sicurezza e convenienza dell'affare. (Nell'enunciare il suddetto principio, relativo ad un caso in cui la parte venditrice aveva dichiarato, contrariamente al vero, che l'immobile era provvisto del certificato di abitabilità, la S.C. ha precisato che questo, attestando la rispondenza dell'immobile ai requisiti igienici, sanitari e urbanistici e la conformità al progetto approvato ovvero alla concessione in sanatoria, costituisce requisito giuridico essenziale per il legittimo godimento e la commerciabilità del bene, sì che la sua mancanza, pur non impedendo in sé la conclusione del contratto di vendita, può indurre una parte a non ritenere suo interesse obbligarsi alla stipula dell'atto, quanto meno alle condizioni predisposte, anche in considerazione del rischio che l'abitabilità non sia ottenuta).

Nel contratto di mediazione atipica - configurabile nelle ipotesi in cui il mediatore, evitando l'alea intrinseca alla mediazione, si garantisce la provvigione con l'acquisizione di una proposta di acquisto conforme alle condizioni previste e predefinite nell'incarico di vendita, senza necessità di conclusione dell'affare - la prestazione caratterizzante del mediatore è pur sempre quella di mettere in relazione due o più parti in vista della conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza, sicché non viene meno l'obbligo del mediatore di compiere l'attività demandatagli in modo esauriente e funzionale all'interesse della parte alla conclusione dell'affare, e quindi con diligenza adeguata alla sua professionalità, ragionevolmente esigibile, in rapporto alla sua organizzazione concreta, in modo che la controparte non sia legittimata a rifiutarsi di concluderlo per non essere stata informata su circostanze (nella specie, riguardanti il rilascio del certificato di abitabilità) influenti sulla sua conclusione o esecuzione, conosciute o agevolmente conoscibili, poiché in tal caso può essere giustificato il rifiuto di corrispondere il compenso, anche se la parte che ha conferito l'incarico abbia ricevuto un'accettazione delle sue condizioni prestabilite di conclusione dell'affare.

Cass. civ. n. 7332/2009

Poiché le acque pubbliche costituiscono beni immobili, l'attività di intermediazione su mandato ed a titolo oneroso finalizzata alla conclusione di un contratto avente ad oggetto il rilascio o la cessione di una concessione di derivazione di acque, anche se esercitata in modo occasionale o discontinuo, non può essere svolta da chi non sia iscritto al ruolo dei mediatori, in virtù della previsione di cui all'art. 2, comma quarto, della legge 3 febbraio 1989 n. 39.

Cass. civ. n. 25260/2008

È configurabile il diritto alla provvigione del mediatore per l'attività di mediazione prestata in favore di una delle parti contraenti quando egli sia stato contemporaneamente procacciatore d'affari dell'altro contraente. Infatti, se è vero che, normalmente, il procacciatore d'affari ha diritto al pagamento solo nei confronti della parte alla quale sia legato da rapporti di collaborazione, è anche vero che tale «normale» assetto del rapporto può essere derogato dalle parti, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, ben potendo il procacciatore, nel promuovere gli affari del suo mandante, svolgere attività utile anche nei confronti dell'altro contraente con piena consapevolezza e accettazione da parte di quest'ultimo. Di conseguenza, essendo il procacciatore di affari figura atipica, i cui connotati, effetti e compatibilità, vanno individuati di volta in volta, con riguardo alla singola fattispecie, occorre avere riguardo, in materia, al concreto atteggiarsi del rapporto, e in particolare alla natura dell'attività svolta e agli accordi concretamente intercorsi con la parte che non abbia conferito l'incarico. (Nella specie, in cui i giudici di merito avevano accertato il conferimento del mandato dalla ricorrente ad un terzo per l'acquisto di un'autovettura e la riconducibilità del rapporto tra il resistente e il terzo alla figura del procacciatore di affari, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata sul rilievo che la corte territoriale aveva però omesso di qualificare giuridicamente il rapporto scaturito dal contatto che pacificamente vi era stato tra la ricorrente e il resistente ed aveva, altresì, omesso di considerare gli elementi probatori indicati in ricorso che, valutati congiuntamente, avrebbero potuto giustificare l'esistenza di un mandato conferito dalla ricorrente al resistente e comportare l'apprezzamento della condotta di quest'ultimo alla stregua degli artt. 1710 e 1713 c.c.).

Cass. civ. n. 24333/2008

Il rapporto di mediazione non è incompatibile con la sussistenza di un rapporto contrattuale di altro tipo tra il mediatore ed uno dei soggetti messi in contatto, come accade allorché al mediatore sia affidato l'incarico unilaterale di attivarsi per la ricerca del partner commerciale. È, pertanto, viziata da motivazione insufficiente la sentenza che escluda la natura mediatizia del rapporto in base alla mera circostanza che il mediatore si sia attivato per espresso incarico di una delle parti.

Cass. civ. n. 23842/2008

In tema di mediazione, non è sufficiente a configurare un conflitto di interessi tra il mediatore e una delle parti (con conseguente difetto del requisiti di imparzialità e neutralità di cui all'art. 1754 cod. civ.) il rapporto di parentela o di affinità fra il mediatore ed una delle parti che hanno concluso l'affare.

Cass. civ. n. 22859/2007

La disciplina dettata dalla direttiva 86/653/ CEE, che osta ad una normativa nazionale che subordini la validità di un contratto di agenzia all'iscrizione di un agente in un apposito albo, è posta a protezione del diritto alla retribuzione di chi, secondo la stessa direttiva, è incaricato, in maniera permanente, di trattare o concludere per il preponente la vendita o l'acquisto di merci; pertanto, all'ambito dei rapporti tutelati dalla detta direttiva è estraneo l'esercizio della mediazione, che può svolgersi in base ad un incarico (art. 1756 c.c.) ma non presuppone e, anzi, esclude una relazione permanente tra il mediatore (art. 1754 c.c.) ed i soggetti che egli cura di mettere in rapporto per la conclusione di un affare.

Cass. civ. n. 19066/2006

È configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale). Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un affare, incarichi altri di svolgere un'attività intesa alla ricerca di un persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni. Essa rientra nell'ambito di applicabilità della disposizione prevista dall'art. 2, comma quarto, della legge n. 39 del 1989, che, per l'appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione, stante la rilevanza, nell'atipicità, che assume il connotato della mediazione, alla quale si accompagna l'attività ulteriore in vista della conclusione dell'affare. Pertanto, anche per l'esercizio di questa attività è richiesta l'iscrizione nell'albo degli agenti di affari in mediazione di cui al menzionato art. 2 della citata legge n. 39 del 1989, ragion per cui il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell'art. 6 della stessa legge, il diritto alla provvigione. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha confermato l'impugnata sentenza che aveva, per l'appunto, ravvisato la sussistenza di un caso di mediazione atipica nell'ipotesi in cui un soggetto aveva, da un lato, ricevuto mandato in esclusiva da parte di alcuni soggetti a reperire acquirenti per il ristorante di loro proprietà e, dall'altro, da un terza persona ad acquistare lo stesso ristorante, così escludendo il diritto alla provvigione in favore del mediatore non iscritto nell'apposito albo). 

In virtù della testuale previsione contenuta nell'art. 33, comma quinto, della Costituzione secondo la quale è prescritto un esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale, è legittima, costituendo diretta attuazione di tale regola, la disposizione contenuta nell'art. 2 della legge 3 febbraio 1989, n. 39, alla stregua della quale è prevista l'istituzione, presso ciascuna camera di commercio, del ruolo degli agenti in affari di mediazione, nel quale devono iscriversi, previo superamento di apposito esame o previo conseguimento del titolo abilitativo di cui alla lett. e) del comma terzo dello stesso art. 2 anche coloro che svolgono l'attività di mediazione, pure se esercitata in modo discontinuo od occasionale, così come individuati nel comma quarto della medesima norma. Tale normativa, a prescindere dalla considerazione per cui rientra nella discrezionalità del legislatore introdurre nuove categorie di «professionisti», obbedisce al soddisfacimento di un interesse pubblico affinché l'attività del mediatore sia svolta esclusivamente da persone in possesso di particolari cognizioni tecniche, anche alla luce della disciplina della responsabilità del mediatore quanto all'obbligo sullo stesso gravante, a norma dell'art. 1759 c.c., di comunicare alle parti circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare.

Cass. civ. n. 12106/2003

Per integrare uno degli elementi essenziali del contratto di mediazione è necessario che il mediatore sia un soggetto imparziale e che la sua attività consista nel mediare fra le parti poste in contatto per la conclusione dell'affare. Qualora, invece, l'attività dell'intermediario è prestata esclusivamente nell'interesse di una delle parti si rientra nell'ambito del procacciamento oneroso d'affari che non è soggetto all'applicazione del disposto dell'art. 6 della legge 3 febbraio 1989, n. 39.

Cass. civ. n. 17628/2002

Accanto al rapporto di mediazione «tipico» è configurabile un rapporto di mediazione «atipico» a favore di un terzo, che ricorre allorché l'attività intermediatrice sia svolta in favore di un soggetto diverso da colui il quale ha conferito il relativo incarico, in quanto anche un terzo — purché abbia un interesse pure solo morale o effettivo a che altri concluda un affare — può validamente richiedere al mediatore di svolgere la sua opera, obbligandosi a corrispondere l'eventuale provvigione. In questo caso, colui il quale ha conferito l'incarico di mediazione è obbligato a pagare la provvigione, allorché il terzo in cui favore è stata svolta la attività intermediatrice ha concluso l'affare, anche se egli sia rimasto ad esso estraneo. 

Cass. civ. n. 14076/2002

L'attività di mediazione può essere esercitata anche da una società purché la stessa sia iscritta nell'albo degli agenti di commercio in applicazione dell'art. 6 legge n. 39 del 1989 o sia iscritto in detto ruolo il suo rappresentante legale in quanto tale: peraltro, se alcuno dei soci o lo stesso rappresentante legale sono iscritti nell'albo professionale a titolo personale, questi possono delegare le funzioni relative all'esercizio della mediazione solo ad altro agente di affari in mediazione iscritto nel ruolo, stante il disposto dell'art. 3 legge cit. Pertanto, il legale rappresentante di una società di mediazione, iscritto a titolo personale, non può ritenersi ipso facto abilitato, anche in tale ulteriore qualità, a svolgere legittimamente l'attività predetta anche per la società, atteso che l'iscrizione nel ruolo dei mediatori della società non consegue automaticamente all'iscrizione di una persona fisica che rivesta, nel contempo, la qualità di rappresentante legale della società stessa. 

Cass. civ. n. 7067/2002

Costituisce ipotesi di mediazione tipica la fattispecie in base alla quale una parte manifesti ad un mediatore il proprio interesse a vendere un bene immobile, incaricandolo di ricercare un potenziale acquirente, senza peraltro al medesimo conferire per iscritto mandato a vendere ovvero il potere di vendere a nome suo, né impegnandosi a versargli comunque un corrispettivo per l'attività svolta, anche in caso di mancata conclusione dell'affare.

Cass. civ. n. 6959/2000

Ai sensi dell'art. 1754 c.c., carattere essenziale della figura giuridica del mediatore è la sua imparzialità, intesa come assenza di ogni vincolo di mandato, di prestazione d'opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto che renda riferibile al dominus l'attività dell'intermediario. (Nel caso di specie la S.C. ha escluso il requisito dell'imparzialità ritenendo sussistente un mandato costituito dall'affidamento dell'incarico di trattare la vendita dell'immobile in nome e per conto del preponente)

Cass. civ. n. 1231/2000

Colui che agisce in rappresentanza di una delle parti nella conclusione di un negozio non può pretendere la provvigione, assumendo di avere svolto anche attività di mediazione, né dalla parte rappresentata, perché ad essa legato da un rapporto di mandato, né dall'altra parte, perché nei confronti di questa agisce in veste di parte, pur se nell'interesse altrui, e non come mediatore. Viceversa il mediatore soltanto ad attività esaurita può esser incaricato da una delle parti di rappresentarla negli atti relativi al contratto concluso con il suo intervento.

Cass. civ. n. 10419/1997

Nell'ipotesi in cui un contratto d'appalto venga sottoscritto dai singoli condomini, sia per le parti di loro esclusiva proprietà che per le parti comuni, la partecipazione al negozio di un soggetto nella duplice qualità di condomino e di amministratore del condominio fa venir meno il requisito dell'imparzialità richiesto dall'art. 1754 c.c. per la giuridica esistenza del contratto di mediazione, i cui effetti vengano fatti valere in giudizio da quel soggetto stesso.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1754 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G. B. chiede
martedì 13/02/2024
“Volevo sapere se, operando come agente immobiliare, posso trattare la vendita dell'apparatemento di mia madre (intestata quindi a lei) richiedendo la provvigione al potenziale cliente eventualmente anche a mia madre oppure ci può essere un conflitto di interessi?

Tale appartamento acquistato in asta presso il Tribunale deriva dal cambio di destinazione d’uso dei locali al piano seminterrato da locali box e ripostigli in abitazione, così come da concessione in sanatoria in seguito a istanza di condono edilizio legge 47/85.

" Questo appartamento è privo di certificazione di abitabilità per requisiti igienico sanitari al di sotto dei minimi in deroga, in termini di insufficiente rapporto aero illuminante dei locali costituenti l'immobile."

La dicitura sopra menzionata è sufficiente per essere riportata in una eventuale proposta d'acquisto/preliminare/atto di trasferimento a tutela della parte venditrice? Oppure deve essere formulata diversamente?

Ovviamente l'acquirente sarà informato da subito su tutto ciò.

Grazie.
Distinti saluti.”
Consulenza legale i 21/02/2024
L’esercizio della professione di mediatore è disciplinato da tutta una serie di norme, contenute sia nel codice civile che nella legislazione speciale, nessuna delle quali vieta, sia direttamente che indirettamente, che il mediatore possa svolgere la sua attività nell’interesse di parenti e/o amici.
Innanzitutto deve osservarsi che, in forza di quanto disposto dall’art. 1754 c.c., tre sono gli elementi che caratterizzano la mediazione, e precisamente:
  1. la messa in relazione di due o più parti;
  2. il fine della conclusione di un affare;
  3. la mancanza di vincoli di qualsiasi genere con le parti interessate all'affare.
In relazione a quest’ultimo elemento, il legislatore esclude espressamente che il mediatore possa essere legato ad alcuna delle parti da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza, assurgendo la mancanza di tali legami a requisito imprescindibile per la giuridica esistenza del contratto di mediazione.

In particolare, per quanto riguarda il rapporto di rappresentanza la ragione dell'esclusione risiede nell'impossibilità di configurare un'attività di intermediazione da parte di chi, avendo veste di rappresentante, sia legittimato a concludere direttamente il contratto.
Lo stesso soggetto, infatti, non potrebbe, nella doppia veste di mediatore e rappresentante, segnalare a se stesso l'affare o convincere se stesso a concluderlo; solo nel momento in cui l'affare sia stato concluso e il rapporto di mediazione si sia estinto, viene meno l'incompatibilità delle posizioni, e pertanto colui che ha svolto attività di mediatore può essere incaricato da una delle parti di rappresentarla negli atti relativi all'esecuzione del contratto concluso con il suo intervento.

Un’ulteriore conferma della legittimità dell’attività di mediazione svolta da colui che sia legato da rapporti di parentela con una delle parti, si ricava dalla lettura dell’art. 5 della Legge Legge 3 febbraio 1989, n. 39, contenente modifiche ed integrazioni alla legge 21 marzo 1958, n. 253, concernente la disciplina della professione di mediatore.
Il comma 3 di tale norma dispone quanto segue:
L'esercizio dell'attività di mediazione è incompatibile con l'esercizio di attività imprenditoriale di produzione, vendita, rappresentanza o promozione dei beni afferenti al medesimo settore merceologico per il quale si esercita l'attività di mediazione ovvero con la qualità di dipendente di tale imprenditore, nonché con l'attività svolta in qualità di dipendente di ente pubblico o di dipendente o collaboratore di imprese esercenti i servizi finanziari di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, o con l'esercizio di professioni intellettuali afferenti al medesimo settore merceologico per cui si esercita l'attività di mediazione e comunque in situazioni di conflitto di interessi”.

Dato per ammesso, dunque, che sia possibile svolgere nel caso prospettato l’attività di mediatore, per quanto concerne il relativo compenso, vale quanto disposto dall’art. 1755 del c.c., norma che riconosce al mediatore il diritto di pretendere la provvigione da ciascuna delle parti.
Trattasi, tuttavia, di norma derogabile per volontà delle parti, le quali potranno pattuire di ripartire l'onere del pagamento della provvigione in misura diversa fino ad escluderlo per una di esse (in particolare, con la clausola “franco provvigione” le parti possono esonerare dal pagamento della provvigione colui a favore del quale la clausola è posta).

Ulteriore problema che qui si chiede di affrontare è quello relativo alle conseguenze che possono derivare in capo al mediatore per essere la sua attività finalizzata alla vendita di un immobile privo di certificazione di agibilità/abitabilità.
Ebbene, principio generale a cui va fatto riferimento è quello, desumibile peraltro dai codici di comportamento adottati per tale figura professionale, secondo cui sia il mediatore che il cliente devono porre in essere comportamenti trasparenti e/o non ingannevoli.
In particolare, il mediatore immobiliare, a seguito dell’incarico ricevuto, dovrà osservare nella gestione dell’affare il disposto di cui all’art. 1759 del c.c., norma dalla quale si fa discendere l’obbligo per il medesimo non soltanto di comunicare alle parti le circostanze a lui note relative alla valutazione ed alla sicurezza dell’affare, ma anche di fornire informazioni veritiere e comunque tali da indurre la parte a non concludere l’affare senza la necessaria consapevolezza circa le caratteristiche dell’affare medesimo.

Ora, ritornando al caso in esame, è ben noto che, in generale, un immobile privo di certificato di agibilità è economicamente incommerciabile, costituendo l’impossibilità da parte del venditore di presentare e/o ottenere una certificazione di agibilità causa per la risoluzione del contratto preliminare, con conseguente diritto da parte del promittente acquirente di rifiutarsi di sottoscrivere il contratto definitivo e di ottenere il rimborso della caparra.
Tuttavia, è anche vero che il compratore può avere interesse ad acquistare un immobile inagibile, nel qual caso la mancanza della predetta certificazione non può addursi quale causa per la risoluzione del contratto preliminare se il promittente compratore sia stato reso formalmente edotto di tale circostanza sin dall’inizio delle trattative.

Occorre tenere presente, infatti, che, seppure sussista il divieto d abitare un immobile privo del certificato di abitabilità, non esiste una norma che vieti espressamente la vendita di un immobile inagibile.
Per tale ragione si ritiene che il mediatore, nel proporre la vendita di un immobile privo di certificato di abitabilità, non violi alcuna norma di legge né comportamentale, a condizione che di tale circostanza se ne dia espressamente atto nel contratto preliminare che le parti, per il suo tramite messe in contatto, andranno a sottoscrivere.

A tal fine, si ritiene che la clausola, per come predisposta e trascritta nel quesito, possa essere sufficiente per poter dire che il promittente acquirente sia stato reso pienamente edotto di tale circostanza, accettandone le conseguenze.
Ad ogni modo, onde evitare ogni possibile ripensamento da parte del promittente acquirente, si suggerisce di formulare tale clausola nel seguente modo:

Il promittente acquirente dichiara di essere a conoscenza della circostanza che l’immobile promesso in vendita è privo di certificazione di abitabilità per requisiti igienico sanitari al di sotto dei minimi in deroga (in termini di insufficiente rapporto aero illuminante dei locali costituenti l'immobile) e che la suddetta certificazione non potrà mai essere conseguita permanendo la situazione di fatto in cui lo stesso viene oggi promesso in vendita e verrà successivamente trasferito.
Per tale ragioni, si conviene espressamente di voler escludere espressamente ogni garanzia discendente dalla sussistenza nell’immobile dei requisiti previsti dalla legge per la sua agibilità/abitabilità”.


P. L. Z. chiede
giovedì 09/02/2023 - Lazio
“Salve,
Nel giugno 2022 mia suocera conferiva formale incarico esclusivo di vendita ad agente immobiliare regolarmente iscritto al ruolo agenti CCIAA di XXX, relativamente ad un locale commerciale ubicato nel Centro Storico di XXX.
Nel settembre 2022 mia suocera è deceduta, gli eredi del locale (mia moglie e mia cognata) hanno informalmente comunicato il decesso all'agente, ma non è stato effettuato nessun aggiornamento formale dell'incarico di vendita, che quindi risulta attualmente controfirmato solo da mia suocera. L'incarico prevede alcune clausole che vorremmo modificare prima di accettare proposte irrevocabili di acquisto, mediante conferimento di nuovo incarico di vendita che annulli e sostituisca il precedente.
Il quesito che Vi pongo, pertanto, è se l'incarico controfirmato da mia suocera costituisce un obbligo in capo agli eredi o meno. A disposizione per ulteriori dettagli e chiarimenti.
Grazie e Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 15/02/2023
Il problema centrale che occorre affrontare per rispondere a quanto viene chiesto è quello relativo alla natura giuridica della mediazione.
Il codice civile non da una definizione della mediazione, ma soltanto del mediatore, qualificando come tale “colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza” (così art. 1754 c.c.).
In mancanza di una precisa definizione, si è a lungo discusso, sia in dottrina che in giurisprudenza, se il rapporto di mediazione debba ricondursi ad un vero e proprio contratto oppure se debba qualificarsi come un mero atto giuridico.

Secondo una prima tesi il rapporto di mediazione deve essere qualificato come un contratto, che richiede in quanto tale il consenso delle parti, il quale, a sua volta, può essere manifestato esplicitamente o tacitamente per facta concludentia.
Alla teoria contrattualistica si contrappone quella della natura non negoziale, secondo cui, invece, il rapporto di mediazione nasce ogni qual volta vi sia un’attività oggettivamente idonea a mettere in relazione le parti interessate ad un affare e strumentale alla conclusione dello stesso.
Altro aspetto che ha formato oggetto di particolare approfondimento è quello dei rapporti tra mediazione e mandato, facendosi rilevare che, mentre l’attività del mandatario è caratterizzata dal compimento di atti giuridici, quella del mediatore consiste in una cooperazione materiale.
In particolare, in giurisprudenza è stato ripetutamente affermato che mandato e mediazione si differenziano sia per la struttura dei rispettivi rapporti sia per la natura dell’attività esplicata.

Tuttavia, sempre con riferimento alla distinzione tra mediazione e mandato, la stessa giurisprudenza di legittimità ha chiarito che nel caso specifico di conferimento ad un mediatore professionale dell’incarico di reperire un acquirente o un venditore di un determinato immobile, è più corretto qualificare il rapporto giuridico che si instaura tra le parti come contratto di mandato piuttosto che di mediazione, essendo quest’ultima per sua natura incompatibile con qualsiasi vincolo tra il mediatore e le parti (in tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con ordinanza n. 27921 del 30.10.2019).

Tale inquadramento giuridico assume particolare rilevanza per la soluzione del caso in esame, tenuto conto che, come viene precisato nel quesito, l’agente immobiliare, a cui è stato conferito l’incarico, risulta essere un mediatore professionale e come tale regolarmente iscritto nel ruolo degli agenti immobiliari.
In particolare, dalla riconducibilità del rapporto instauratosi tra le parti allo schema del mandato negoziale ne consegue l’applicabilità, nei limiti della compatibilità, delle norme che il codice civile detta per tale ultimo contratto, e tra queste, per quanto qui interessa, dell’art. 1722 del c.c., rubricato “Cause di estinzione”.
Tra le ipotesi di estinzione elencate in tale norma, il n. 4 prevede la morte del mandante o del mandatario, evento che, per l’appunto, viene in considerazione nel caso di specie.
Ciò consente di poter affermare che alla morte della suocera il contratto concluso con l’agente immobiliare può ritenersi estinto ipso iure, con conseguente possibilità per gli eredi, se ne hanno interesse, di proporre all’agente immobiliare la conclusione di un nuovo e diverso contratto, alle condizioni che meglio riterranno opportune.

Non va, tuttavia, trascurato che, pur dovendosi riportare il rapporto intercorso tra le parti al contratto di mandato (si parla per tali casi, più precisamente, di mediazione atipica), la prestazione principale che ne costituisce l’oggetto deve in ogni caso ricondursi alla mediazione, il che significa che troveranno applicazione anche le norme che il codice civile detta per tale rapporto, e tra queste in particolare l’art. 1756 del c.c., norma che riconosce in capo al mediatore il diritto al rimborso delle eventuali spese sostenute per portare avanti l’incarico affidatogli, diritto che può far valere nei solo confronti di colei che gli ha conferito l’incarico ed anche se l’affare non sia stato concluso (la conclusione dell’affare, invece, determina in favore dello stesso mediatore il diritto a pretendere la provvigione).

M. P. chiede
martedì 14/06/2022 - Lombardia
“Buonasera, avendo il patentino di agente immobiliare volevo sapere se è possibile costituire una srl che come oggetto sociale operi sia nella mediazione immobiliare che nel campo degli affitti brevi? E' possibile o sono incompatibili?
Di seguito i codici ateco e le descrizioni:

OGGETTO SOCIALE

68.31.00 Attività di mediazione immobiliare

DESCRIZIONE

intermediazione nell’acquisto, nella vendita e nell’affitto di immobili per conto terzi
servizi di consulenza e di stima nell’acquisto, nella vendita e nell’affitto di immobili per conto terzi
agenti immobiliari che operano per conto terzi

55.20.51 Affittacamere per brevi soggiorni, case ed appartamenti per vacanze, bed and breakfast,
residence

Grazie

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 06/07/2022
Si premette che l’art. 2 della L. 37/2019 tra le cause di incompatibilità per gli agenti di affari in mediazione ricomprende le attività imprenditoriali di produzione, vendita, rappresentanza o promozione dei beni afferenti al medesimo settore merceologico per il quale si esercita l'attività di mediazione, l’esercizio di professioni intellettuali afferenti al medesimo settore merceologico per cui si esercita l'attività di mediazione (architetti, ingegneri…) e le situazioni di conflitto di interessi.
Dal quesito posto non è chiaro se chi scrive abbia già una posizione individuale e l’intenzione sia quella di mantenere sia la posizione individuale sia aprire la s.r.l., oppure se l’intenzione sia quella di operare solo per il tramite della s.r.l. Ad avviso di chi scrive, in questa seconda ipotesi, non esiste nessuna incompatibilità, grazie alle modifiche intervenute con la Legge n. 37/2019 sopra richiamata. Non si ravvisa, infatti, nessuna delle ipotesi di incompatibilità richiamate dalla Legge. Si consiglia in ogni caso di consultare preventivamente la Camera di Commercio di riferimento.

R. A. P. chiede
mercoledì 15/12/2021 - Molise
“Scrivo in merito ad una difficoltà su una compravendita immobiliare.

Ieri ho fatto il rogito di vendita di un mio immobile, oggi mi richiama l'agenzia dicendo che a seguito di una ispezione di un geometra sugli appartamenti per permettere al condominio di usufruire del super bonus, c'è una difformità tra la cartina e stato dell'appartamento.

Tale difformità è un muro interno dell'appartamento che è stato demolito. Tale modifica era antecedente il mio acquisto dell'appartamento, in sede di acquisto mi era stato detto che la cartina al catasto era stata aggiornata, cosa poi non risultata vera.

Adesso il nuovo proprietario, che in sede di rogito, dopo aver avuto in possesso l'appartamento per più di 20 giorni, ha firmato la cartina difforme, ma mi chiede di sobbarcarmi il costo dell'aggiornamento della cartina presso il catasto, nonostante siano già 20 giorni che è dentro l'appartamento.

Volevo sapere se la richiesta è legittima, a quali rischi incorriamo per aver firmato in sede di rogito una cartina difforme rispetto allo stato dell'appartamento, e se in alternativa posso, a mio carico, piuttosto che sobbacarmi questo costo, fare i lavori di muratura necessari per riportare l'appartamento allo stato originale.

Infine volevo sapere se ho la possibilità di rivalermi sulla vecchia agenzia che ha gestito l'acquisto e che mi ha mentito (aspetto del quale ovviamente non ho nulla di scritto), o sui vecchi proprietari... anche se ormai sono passati 6 anni.

Cordialmente

Consulenza legale i 30/12/2021
Per iniziare, può essere utile fare un po’ di chiarezza terminologica.
Per conformità urbanistica si intende la corrispondenza tra lo stato di fatto dell’immobile e l’insieme dei titoli edilizi abilitativi rilasciati in tutta la storia costruttiva dell’edificio.
La conformità catastale, che occupa nel caso di specie, rappresenta invece la corrispondenza tra lo stato di fatto dell’unità immobiliare ed i relativi dati catastali e planimetrici depositati in catasto.

Dal punto di vista normativo, viene in rilievo innanzitutto l’art. 29, comma 1-bis, della L. 52/1985 - introdotto dal D.L. 78/2010, art. 19, comma 14 - il quale prevede che: “Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale”.
Tale norma va letta assieme alla circolare dell’Agenzia del Territorio n. 2/2010 che specifica quali sono le variazioni che non hanno rilevanza catastale (ossia che non incidono sulla rendita catastale) e che non comportano l’obbligo di presentare la dichiarazione di variazione della planimetria catastale.
Tale circolare afferma, in particolare, che: “non hanno rilevanza catastale le lievi modifiche interne, quali lo spostamento di una porta o di un tramezzo che, pur variando la superficie utile dei vani interessati, non variano il numero di vani e la loro funzionalità. Comportano, invece, l’obbligo di presentazione della dichiarazione di variazione, l’effettuazione di interventi con cui si realizza una rilevante redistribuzione degli spazi interni, oppure si modifica l’utilizzazione di superfici scoperte, quali balconi o terrazze. Analogamente, per le unità immobiliari ordinarie per le quali la consistenza è calcolata in metri quadrati o metri cubi, le modifiche interne di modesta entità, non incidenti sulla consistenza dei beni iscritti negli atti catastali oppure sulla destinazione dei singoli ambienti, non comportano l’obbligo della presentazione di una nuova planimetria in catasto. Di contro, è necessaria la presentazione della dichiarazione di variazione nei casi in cui la mutazione incide sulla consistenza o sulla classe (esempi tipici sono la realizzazione di soppalchi, servizi igienici, ecc.)”.

Fatte queste premesse normative, e difettando di elementi tecnici più approfonditi in merito all’entità e alla natura della difformità, si può ipotizzare che:
  • se l’abbattimento del muro in questione non ha comportato un mutamento della consistenza o della classe dell’immobile, non sussiste obbligo per il proprietario (venditore) di presentare un aggiornamento catastale ai sensi della normativa vigente;
  • viceversa, nel caso in cui l’abbattimento del muro abbia comportato una “rilevante redistribuzione degli spazi interni”, allora vi sarebbe effettivamente stato un obbligo per il venditore di presentazione della dichiarazione di variazione.

È anche vero che il compratore, visionando l’immobile prima di acquistarlo, ha potuto prendere atto dello stato dei luoghi e rendersi quindi conto della non corrispondenza tra la planimetria catastale e lo stato dell’immobile, determinandosi comunque all’acquisto nello “stato di fatto” in cui si trovava.
Spesso, infatti, negli atti di compravendita è presente la clausola con la quale si attesta che l’acquirente accetta l’immobile “nello stato in cui si trova” e, quindi, anche, eventualmente, con delle difformità catastali.
Il fatto che il compratore, in sede di rogito notarile, abbia sottoscritto per accettazione la planimetria allegata all’atto, ha in un certo qual modo avallato la dichiarazione del venditore, per cui, anche a fronte di una giurisprudenza non pacifica sul punto, risulta più “equo” dividere tra entrambe le parti la spesa per la sanatoria della difformità, della quale entrambe erano all’oscuro.
Si ritiene, inoltre, che il lavoro per il ripristino del muro non sarebbe comunque equivalente ad una sanatoria formale della difformità catastale, poiché il compratore potrebbe legittimamente esigere l’immobile nello stato di fatto in cui l’ha comprato, ma regolarizzato dal punto di vista catastale.

In ogni caso, il fatto di aver sottoscritto una planimetria difforme rispetto allo stato dei luoghi non comporta alcun rischio, dal punto di vista legale, avendo l’attestazione di conformità solo un’efficacia dichiarativa tra le parti stesse.

Per quanto riguarda, poi, la responsabilità della prima agenzia, la Suprema Corte, con ordinanza n. 784/2020, si è espressa sul punto affermando che il mediatore (agente immobiliare), pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico specifico, a svolgere nell’adempimento della sua prestazione particolari indagini di natura tecnico – giuridica, è tuttavia gravato dall’obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza, nonché dal divieto di fornire informazioni non veritiere o in merito alle quali non abbia consapevolezza, e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle. Se il mediatore infrange tali regole di condotta, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti dal cliente.

Per quanto riguarda, infine, la responsabilità dei vecchi proprietari, si potrebbe in astratto configurare una responsabilità di tipo precontrattuale, ai sensi dell'art. 1337 del c.c., solo se però emerga una loro mala fede durante le trattative di vendita, circostanza tutta da accertarsi nel caso concreto.
Tuttavia, per una risposta più precisa ed esauriente, soprattutto su quest’ultimo aspetto, sarebbe necessario essere a conoscenza di una serie di altri elementi, di natura oggettiva e soggettiva, che allo stato non si possiedono.

M.R. chiede
domenica 12/09/2021 - Emilia-Romagna
“Buongiorno. Ho un quesito composto ma sempre inerente lo stesso argomento.
Vorrei aprire una agenzia immobiliare.
Sono imprenditore quindi ho gia altre due imprese in altri settori di cui sono socio e amministratore, ma nel mondo marketing e informatica.

Vorrei sapere se si può aprire quindi una nuova srl che tra le varie attività dello statuto avrà quella della mediazione immobiliare oltre a marketing, pubblicità e corsi di formazione.
Io non condurrei nessuna attività di mediazione ma assumerei agenti immobiliari iscritti regolarmente e con patentino per concludere affari di mediazione. Io vorrei solo essere socio di maggioranza e a.d. o unico. Devo per forza conseguire anche il patentino di agente per essere amministratore?

La seconda parte del quesito è se, una volta aperta la società di cui sopra, sempre in qualità di a.d o presidente e socio, posso costruire una società immobiliare che acquista ristruttura e rivende.
In caso non fosse possibile per incompatibilità come mi consigliate di aprirla e come posso operare?
Grazie”
Consulenza legale i 23/09/2021
I requisiti di idoneità per l’accesso alla professione di agente immobiliare posti dalla legge 21 marzo 1958, n. 253, modificata e integrata dalla Legge n. 39 del 3 febbraio 1989, sono di ordine morale e professionale.
I requisiti morali constano in: non essere interdetto o inabilitato, fallito, condannato per reati contro la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, l’economia pubblica, l’industria e il commercio ovvero per delitto di omicidio volontario, furto, rapina, estorsione, truffa, appropriazione indebita, ricettazione, emissione di assegni a vuoto e per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commini la pena della reclusione non inferiore, nel minimo a due anni e, nel massimo, a cinque anni, salvo riabilitazione; non essere stato sottoposto a misure di prevenzione, divenute definitive, a norma della leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57, 31 maggio 1965, n. 575, 13 settembre 1982, n. 646.
I Requisiti professionali consistono nell’aver conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado oppure il diploma di qualifica triennale rilasciato da istituti professionali oppure il diploma di laurea (nel caso di diploma conseguito all'estero, è necessario ottenere l'equipollenza del titolo posseduto e aver superato apposito esame presso la Camera di commercio a cui sono ammessi coloro che hanno un apposito corso di formazione specifico per il settore richiesto, istituito e riconosciuto dalla Regione).

I requisiti devono essere posseduti dal titolare dell'impresa individuale, da tutti i legali rappresentanti di impresa societaria (compresi i consiglieri delegati), dagli eventuali preposti e da tutti coloro che esercitano, a qualsiasi titolo, l’attività di mediazione per conto dell’impresa.

L’art 5, legge 21 marzo 1958, n. 253, così come modificato e integrato dalla Legge n. 39 del 3 febbraio 1989, prevede che l’attività di agente di affari in mediazione sia incompatibile con: attività imprenditoriali di produzione, vendita, rappresentanza o promozione dei beni afferenti al medesimo settore merceologico per il quale si esercita l'attività di mediazione; attività svolta in qualità di dipendente di ente pubblico o privato, o di dipendente di istituto bancario, finanziario o assicurativo ad esclusione delle imprese di mediazione; esercizio di professioni intellettuali afferenti al medesimo settore merceologico per cui si esercita l'attività di mediazione; situazioni di conflitto di interessi.

Sussistono, pertanto, delle specifiche incompatibilità che, al di là dell'elencazione della norma, sottendono la volontà del legislatore di evitare situazioni di conflitto di interesse, quale quella che si verrebbe a creare nel caso in cui il mediatore intervenisse nella vendita di un immobile proprio o di un soggetto giuridico, direttamente o indirettamente, allo stesso riconducibile.
In questa situazione, infatti, mancherebbe quella terzietà che dovrebbe caratterizzare, invece, il ruolo del mediatore dal momento che lo stesso, oltre a mediare, costituirebbe anche la controparte contrattuale.

Tanto premesso, rispondendo al primo quesito avanzato, possiamo affermare che per Lei è possibile aprire una nuova s.r.l. finalizzata all’attività di mediazione, purché le precedenti società (soprattutto quella di marketing) non siano inerenti allo stesso settore merceologico, o non sussistano generali situazioni di conflitto di interessi.

Per svolgere la carica di amministratore unico o delegato, tuttavia, sarà necessario per acquisire il titolo di agente immobiliare.

Venendo all’ultimo quesito, va evidenziato come le specifiche incompatibilità, nonché la citata volontà del legislatore di evitare situazioni di conflitto di interesse, rendono difficile rinvenire soluzioni che, implicando una partecipazione diretta o indiretta in un soggetto giuridico che realizza gli immobili per i quali viene svolta l'attività di mediazione, potrebbero assicurare l'assenza di conflitto di interesse che, invece, la citata disposizione normativa imporrebbe.
Di conseguenza, riteniamo che l’attività che si propone di esercitare con la seconda società che intenderebbe aprire sia incompatibile con quella di agente immobiliare (di cui alla prima società).

M.R. chiede
domenica 29/08/2021 - Emilia-Romagna
“Buon giorno. Sono in imprenditore e vorrei aprire un’altra azienda che sarà una agenzia immobiliare evoluta e molto digitale.
Non entro nel modello di business perché in questo momento non è importante.
Voglio però basare le acquisizioni sul concetto della segnalazione fatta dal “popolo” cioè dal cittadino privato. Il concetto su cui si deve basare l’acquisizione dell’immobile da vendere è che un qualunque cittadino, tramite un portale web certificato, possa lasciare una segnalazione di un suo amico, conoscente, collega, parente, che poi darà la casa in mandato all’agenzia, con lo scopo di vendita.
Quindi diciamo che il segnalatore non si occuperà mai di mostrare l’immobile, di trattare cifre, di firmare contratti e nulla di tutto questo in quanto la segnalazione si deve limitare al “porre a conoscenza” registrando le info sul portale.
Ora, io sono diverse settimane che, nonostante non sia la mia professione (quella dell’avvocato), studio sentenze, leggo forum e cerco di documentarmi, ovviamente dove posso, per capire come poter raggiungere il mio obiettivo.
Ho studiato bene le differenze tra procacciatore d’affari, agente e mediatore e ho capito che il settore immobiliare è quello più “particolare”. Ho anche letto che il procacciare affari immobiliare può portare ad far assomigliare il segnalatore al mediatore iscritto, ma nel mio caso dobbiamo trovare la soluzione!
So, perché ho letto sentenze della Cassazione, che la normativa non “tratta” a dovere il ruolo del segnalatore ma lo assimila al procacciatore d’affari occasionale atipico, che però quando tratta immobili, dovrebbe essere iscritto al REA ed avere il patentino e l’iscrizione al ruolo appunto.
Però, nel mio caso, i miei segnalatori non fanno nulla di tutto quello che fa un mediatore. Diciamo che potremmo stipulare con loro degli “incarichi” nella forma e nel modo che potrete consigliarmi, e poi retribuirli al buon fine dell’affare.
Io inizialmente pensavo di sfruttare la modalità della prestazione occasionale, ovvero fino a 5.000 euro anno, senza rapporto di continuità, naturalmente in maniera legale, facendo emettere dal segnalatore ricevute in ritenuta d’acconto con tassazione al 23% sul 50% dell’importo.
Però voglio trovare la soluzione corretta ed essere legalmente inattaccabile (sia io che la rete di segnalatori) in caso di controlli o verifiche.
Ovviamente poi so che se il segnalatore diventasse meno occasionale o superasse gli importi consentiti, dovrebbe poi aprire la partita IVA e regolarizzare le sue posizioni. In futuro poi eventualmente iscriversi al ruolo e diventare agente con tutti gli oneri e onori del caso.

Questo a grandi linee è il problema da risolvere. Avere segnalatori di immobili che possano percepire un fee per il lavoro occasionalmente svolto, senza “trattare” nulla ne mettere mai piede in nessuno degli immobili in vendita.
Può aiutarmi?
La ringrazio e le porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 09/09/2021
Il c.d. segnalatore immobiliare è riconducibile alla figura del procacciatore d’affari.

L’attività del procacciatore d’affari consiste nel trovare e segnalare opportunità commerciali e potenziali clienti, interessati ai prodotti o ai servizi offerti dal preponente, che può essere una persona fisica o una società.

E questo è ciò che fa il segnalatore immobiliare, che appunto segnala potenziali clienti all’agente immobiliare.

L’attività del procacciatore d’affari non risulta regolamentata da norme di legge. Il contratto di procacciamento può essere definito atipico, in quanto non risulta disciplinato da specifica normativa.

Ad ogni modo, occorre tenere in considerazione la legge n. 39/89, che ha indicato tre sezioni del ruolo degli "agenti in affari e mediazione", nello specifico: gli agenti immobiliari, gli agenti merceologici e gli agenti con mandato a titolo oneroso.

L’art. 2, comma 4, della predetta legge prevede che “l'iscrizione al ruolo deve essere richiesta anche se l'attività viene esercitata in modo occasionale o discontinuo, da coloro che svolgono, su mandato a titolo oneroso, attività per la conclusione di affari relativi ad immobili od aziende”.

Successivamente, il D.lgs n. 59/2010 ha modificato le regole d’accesso al Registro delle Imprese o ai Repertori delle notizie economiche e amministrative (Rea), che hanno sostituito i precedenti ruoli e sezioni. In particolare, l’art. 73 prevede che “le attività disciplinate dalla legge 3 febbraio 1989, n. 39, sono soggette a segnalazione certificata di inizio di attività”.

Tale decreto legislativo, però, non ha abrogato le norme relative alla corresponsione della provvigione, che in assenza di iscrizione non è dovuta.

Sul punto è intervenuta, recentemente, anche la sentenza n.19161/2017 delle Sezioni Unite della Cassazione che ha confermato l’obbligo di iscrizione anche per il procacciatore d’affari occasionale che si occupi di immobili e aziende.

Per far luce sulla questione è, innanzitutto, necessario mettere in luce la differenza tra mediatore e procacciatore d’affari.

Ai sensi dell’art. 1754 c.c., mediatore è colui che “mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza”.

Il mediatore svolge, pertanto, la propria attività senza vincoli ed incarichi, in una posizione di imparzialità ed autonomia.

Contrariamente, il procacciatore d’affari agisce in quanto incaricato da una delle parti, venendo così meno il requisito dell’indipendenza.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 26370/2016, che conferma un orientamento ormai consolidato, distingue le due figure asserendo che:
la mediazione ed il contratto atipico di procacciamento d’affari si distinguono sotto il profilo della posizione di imparzialità del mediatore rispetto a quella del procacciatore il quale agisce su incarico di una delle parti interessate alla conclusione dell’affare e dalla quale, pur non essendo a questa legato da un rapporto stabile ed organico (a differenza dell’agente) può pretendere il compenso”.
La Corte prosegue, analizzando anche ciò che accomuna tali figure, ossia:
“l’elemento della prestazione di una attività di intermediazione finalizzata a favorire fra terzi la conclusione degli affari.

In sostanza, la giurisprudenza ha considerato che entrambe le figure svolgono di fatto attività di “intermediazione”, ha inquadrato il procacciatore d’affari come mediatore “atipico”, che si distingue dal mediatore c.d. tipico, appunto per il carattere della “parzialità”.

Con riferimento all’obbligo di di comunicazione di inizio attività sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione, che con sentenza n. 19161/2017, in primo luogo hanno confermato essere:
configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche a una sola soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale).
In secondo luogo, hanno affermato che:
“proprio per il suo estrinsecarsi in attività di intermediazione, rientra nell’ambito di applicabilità della disposizione prevista dall’art. 2, comma 4, della legge 39/89, che, per l’appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione per il caso il cui oggetto dell’affare siano beni immobili o aziende.
Contrariamente, ove oggetto dell’affare siano i beni mobili:
l’obbligo di iscrizione sussiste solo per chi svolga la detta attività in modo non occasionale e quindi professionale o continuativo.

Pertanto, l’obbligo di iscrizione ai registri dei mediatori, si estende anche a tutti i procacciatori d’affari che svolgono attività di intermediazione di beni immobili o aziende (anche occasionalmente e in modo discontinuo), ovvero di beni mobili (in via professionale).

In sostanza, chiariscono le S.U., poiché nella nozione di mandato a titolo oneroso deve ritenersi rientrare anche l’incarico conferito ad un soggetto o ad una impresa finalizzato alla ricerca di altri soggetti interessati alla conclusione di un determinato affare, anche i procacciatori di affari, che su incarico di una parte svolgono attività di intermediazione per la conclusione di un affare concernente beni immobili od aziende, devono essere iscritti nel ruolo di cui alla L. 39/1998 con la conseguenza che la mancata iscrizione esclude il diritto alla provvigione.

Alla luce della normativa e della giurisprudenza richiamate, la figura del procacciatore immobiliare occasionale (c.d. segnalatore immobiliare occasionale), nonostante nella prassi sia molto diffusa, non è ammessa.
Infatti, la prestazione occasionale ben potrebbe essere una soluzione per un procacciatore d’affari che tratti beni mobili, mentre non è ammissibile per un procacciatore d’affari immobiliare che dovrebbe comunque essere iscritto nel registro delle imprese.

Pur non rinvenendosi giurisprudenza sul punto e quindi non potendo confermare che una tale impostazione supererebbe il vaglio giurisprudenziale (che, come visto, va in direzione opposta), si potrebbe sostenere che nel caso in cui l’attività del segnalatore si limiti alla mera segnalazione di nominativi, senza che ciò comporti alcuna attività di intermediazione, non si rientri nella figura della mediazione atipica e quindi non sia necessaria l’iscrizione nel registro delle imprese.

Si tratterebbe, quindi, di stilare una lettera di incarico con cui l’agenzia immobiliare affida al segnalatore immobiliare occasionale il compito di individuare e segnalare i nominativi di potenziali clienti.
Naturalmente, nella lettera dovrà essere specificato che il segnalatore non svolgerà alcuna attività di intermediazione.

Ribadendo l’assenza di una conferma giurisprudenziale e tantomeno normativa della legittimità di tale impostazione, il segnalatore potrebbe essere quindi inquadrato come un lavoratore autonomo occasionale.

Così inquadrata la figura del segnalatore, è corretta l’impostazione fiscale secondo cui il segnalatore emette una ricevuta del compenso percepito applicando una ritenuta d’acconto pari al 23% del 50% del compenso. Conferma sul punto ci giunge dal combinato disposto dell’art. 25-bis del DPR 600/73 e dall’art. 11 del T.U. imposta sui redditi D.P.R., 22/12/1986 n° 917.

Ai sensi dell’art. 25 bis DPR 600/73 infatti "(...) I soggetti indicati nel primo comma dell'art. 23, escluse le imprese agricole, i quali corrispondono provvigioni comunque denominate per le prestazioni anche occasionali inerenti a rapporti di commissione, di agenzia, di mediazione, di rappresentanza di commercio e di procacciamento di affari, devono operare all'atto del pagamento una ritenuta a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche o dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche dovuta dai percipienti, con obbligo di rivalsa. L'aliquota della suddetta ritenuta si applica nella misura fissata dall'articolo 11 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, per il primo scaglione di reddito. La ritenuta è commisurata al cinquanta per cento dell'ammontare delle provvigioni indicate nel primo comma. Se i percipienti dichiarano ai loro committenti, preponenti o mandanti che nell'esercizio della loro attività si avvalgono in via continuativa dell'opera di dipendenti o di terzi, la ritenuta è commisurata al venti per cento dell'ammontare delle stesse provvigioni.

A sua volta l’art. 11 del D.P.R., 22/12/1986 n° 917 prevede che “L'imposta lorda è determinata applicando al reddito complessivo, al netto degli oneri deducibili indicati nell'articolo 10, le seguenti aliquote per scaglioni di reddito: a) fino a 15.000 euro, 23 per cento”.

E’ tuttavia obbligatorio segnalare che il committente dovrà accertarsi che il rapporto con il segnalatore non diventi di natura continuativa e/o abituale, diversamente il segnalatore sarà costretto ad operare con partita iva e dovrà dunque emettere fattura includendo l’iva e l’importo dovuto a contributi previdenziali.


Armando T. chiede
mercoledì 17/06/2020 - Lombardia
“Gent.mi, ho recentemente avanzato una proposta per un immobile tramite un'agenzia, la quale però non l'ha notificata al proprietario, facendo invece sopravanzare alla mia quella di un'altra persona arrivata dopo di me, pari nell'importo. Il contratto stipulato con l'agenzia immobiliare faceva esplicito riferimento al loro obbligo di segnalare la mia proposta ai proprietari. La sola discriminante tra la mia proposta e quella dell'altra persona è che la mia era vincolata al mutuo. I proprietari non hanno espresso problemi di sorta in tal senso (ho avuto modo di parlare con loro, essendo conoscenti), questo mi induce a pensare che il bisogno di liquidità immediata fosse dell'agenzia e non dei diretti interessati, e che per questa ragione sia stata taciuta loro la mia proposta. Mi domandavo se queste condizioni mi dessero o meno il diritto a un risarcimento, come mi è stato detto telefonicamente dalla Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali.”
Consulenza legale i 23/06/2020
Senza avere a disposizione copia della proposta di acquisto sottoscritta né degli accordi intercorsi tra mediatore e promittente venditore ma soltanto sulla base di quanto riferito nel quesito possiamo affermare in via di ipotesi quanto segue.
L’attività dell’agente immobiliare laddove si trovi in una situazione di imparzialità e debba soltanto mettere in contatto il venditore ed i potenziali acquirenti rientra nell’ambito della mediazione di cui all’art. 1754 del codice civile.
In base al successivo art. 1759 relativo alla responsabilità del mediatore, quest’ultimo “deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso.“
Pertanto, il comunicare tempestivamente la proposta di acquisto se non rientra tra gli obblighi informativi previsti dalla predetta norma rientra comunque nell’attività che deve svolgere il mediatore in base al sopra citato art. 1754 c.c. nonché nell’uso della diligenza richiesto dall’art. 1176 del codice civile.

Nel quesito leggiamo che per i proprietari sarebbe stata indifferente una proposta di acquisto vincolata o meno alla concessione di un mutuo.
Chiaramente ciò sulla base di quanto Le è stato riferito verbalmente.
Quindi in realtà non sappiamo con certezza quali siano stati gli effettivi accordi con il mediatore.

Per come sono stati esposti i fatti, si potrebbe in effetti in astratto ipotizzare una qualche responsabilità del mediatore per non aver tempestivamente girato la Sua proposta di acquisto ai proprietari.
Tuttavia, per poter richiedere un qualsiasi risarcimento occorrerebbe fornire prova dei danni effettivamente subiti.
Infatti, nel diritto civile, uno dei principi basilari è quello relativo all’onere della prova sancito nell’art. 2697 c.c secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Quando si tratta di risarcimento danni “Ai fini dell’affermazione della responsabilità, sia in materia contrattuale che extracontrattuale, si richiede il nesso di causalità tra l'inadempimento o il fatto illecito e il danno e l'onere della dimostrazione di tale nesso, sia in materia contrattuale che extracontrattuale, è a carico di colui che agisce per il risarcimento.” (Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza n. 28995/17).
Insomma, non basta affermare di aver avuto un danno ma bisogna anche dimostrare che quel danno sia conseguenza di un inadempimento contrattuale oppure di un comportamento contrario alla legge.

Orbene, nella presente vicenda occorrerebbe in primo luogo individuare il tipo di danno risarcibile e, successivamente, se esso sia conseguenza diretta del comportamento del mediatore.
A parere di chi scrive, appare quanto mai improbabile riuscire a dare prova in un ipotetico giudizio che laddove il mediatore avesse presentato tempestivamente la proposta di acquisto ai proprietari questa sarebbe stata accettata con conseguente stipula di contratto definitivo dell’immobile.
Tutto al più, si potrebbe ipotizzare un risarcimento per eventuali spese sostenute per effettuare la proposta di acquisto la quale non è stata poi presentata dall’agente immobiliare ai proprietari.
Ma anche in questo caso, appare una tesi difficilmente sostenibile in un ipotetico giudizio.

Quindi, possiamo suggerire soltanto di contattare semmai la camera di commercio competente per territorio (organo di controllo ai sensi della L.39/89 e del DM 452/90) ed illustrare la vicenda onde valutare se possano esservi o meno degli estremi per eventuali sanzioni a carico dell’agente immobiliare.

Giancarlo F. chiede
domenica 06/05/2018 - Toscana
“Buon giorno. Mi riferisco all' "Incarico di mediazione per vendita immobiliare " concesso in esclusiva ad agenzia immobiliare per la vendita di un appartamento. Nel caso in esame il proprietario ha firmato l'incarico della durata di quasi un anno con un compenso del 3% per l'agente immobiliare sull'importo della vendita, importo esagerato trattandosi altresì di un incarico in esclusiva. Il "colpo" dell'agente imm. riuscì non solo per l'età avanzata del proprietario (70 anni) ma anche dal fatto di averLo attirato telefonicamente con una proposta di affitto interessante. Nella mente del proprietario l'affitto era preferito anche se la vendita era contemplata in subordine . Il proprietario giunse stanco in agenzia dopo un viaggio in macchina stressante in una giornata calda. Ciò favorì l'accettazione della vendita dell'appartamento. Il proprietario anche per la stanchezza del momento e per il desiderio di tornare immediatamente a casa, decise non solo la vendita ma ma non prestò la dovuta attenzione sui termini dell'incarico firmato, limitandosi a chiedere l' importo del compenso per l'agente imm. (3%). Solo giunto a casa il proprietario si rese conto della durata annuale dell'incarico e del pasticcio in cui si era messo. Non solo per un anno non avrebbe avuto la disponibilità dell'appartamento che è tra l'altro è sfitto ed inutilizzato ma l'agente non si sarebbe messo subito a lavorare seriamente, avendo l'interesse a ritardare la vendita per aver tempo di trovare un compratore "Giusto" con il quale accordarsi per chiedere uno sconto di prezzo al proprietario , dividendosi nel caso di riuscita il profitto. E' ovvio che la riuscita di tale piano dipenda dalla stanchezza del proprietario provocata da una lunga e infruttuosa attesa. Pertanto si chiede se l'incarico di mediazione possa essere rivisto per il compenso e la durata. In particolare se possa essere ALMENO rinegoziata (Diminuita) la durata dell'incarico che non lederebbe l'interesse legittimo dell'agente ma garantirebbe almeno in parte i diritti del Proprietario.
Inoltre si chiede se il proprietario possa affittare già da adesso (dopo la firma dell'incarico) l'appartamento, tenuto conto che l'incarico prevede che esso alla vendita debba essere libero da cose e persone salvo " il caso che sia occupato da inquilini" . Ciò non lederebbe i diritti dell'agente che potrebbe vendere ugualmente l'appartamento con l'inquilino ad acquirente investitore. Distinti saluti.”
Consulenza legale i 17/05/2018
Preliminarmente, occorre qualificare la fattispecie giuridica.
Siamo nell’ambito della cd. mediazione unilaterale atipica.
Infatti, in base all’art. 1754 c.c. il mediatore è colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza.
Nel caso in esame, vi è un espresso incarico unilaterale di vendita (prassi peraltro quanto mai frequente nella compravendita immobiliare). Tale circostanza, tuttavia, non va venire meno l’applicabilità della normativa in tema di mediazione (anziché quella sul mandato) come recentemente stabilito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 24950 del 2016 dove si è ribadito che: “La circostanza che colui il quale si assuma mediatore non si sia interposto autonomamente tra le parti, ma abbia ricevuto da una sola di esse l'incarico di reperire un contraente per un determinato affare, non muta la natura mediatoria dell'attività svolta ove riconosciuta od oggettivamente riconoscibile come tale dall'altra parte. [...] L'incarico a svolgere la medesima attività che il mediatore svolgerebbe d'iniziativa propria può originare da un mandato interno con una delle parti, che tuttavia non muta l'attività che il mediatore svolga poi ai fini della conclusione dell'affare. Dunque, ciò che è decisivo non è tanto l'imparzialità del suo operare quanto la riconoscibilità esterna della posizione terza - che egli assume nel successivo rapporto con entrambe le parti, posizione che gli deriva, appunto, dall'assenza di collaborazione, dipendenza o rappresentanza con una sola di esse.”

Ciò posto, in risposta alla prima domanda contenuta nel quesito ("se l'incarico di mediazione possa essere rivisto per il compenso e la durata"), si osserva quanto segue.
La durata ed il compenso del mediatore possono essere liberamente determinati dalle parti contrattuali, non essendovi alcun obbligo di legge in tal senso.
Infatti, con riguardo alla misura della provvigione, il secondo comma dell’art. 1755 c.c. si limita a stabilire che “la misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti , in mancanza di patto, di tariffe professionali o di usi, sono determinate dal giudice secondo equità”. Pertanto, è lo stesso legislatore che rimette la determinazione del compenso alla libera trattativa tra le parti.
Tra l’altro, la percentuale del 3% appare essere nella media delle percentuali richieste dai mediatori.

Analogo discorso quanto alla durata dell’incarico di mediazione, rimessa anche essa all’accordo delle parti non essendovi una durata minima o massima previste dalla legge.
Quanto precede, chiaramente, non toglie che le parti possano decidere di rivedere quanto previsto nel contratto. Tuttavia, laddove manchi un consenso congiunto in tal senso, non vi è alcun obbligo in capo al mediatore di modificare le condizioni contrattuali, ivi compresa la durata dell’incarico.

Ciò posto, suggeriamo comunque di verificare le clausole contenute nel contratto di conferimento incarico, in particolare quelle relative al diritto di recesso.
Se infatti non sono previste penali o termini particolari, occorre tenere presente la possibilità di esercitare il diritto di recesso anticipato con invio di lettera raccomandata a/r.
In alcuni contratti, il venditore non può revocare l’incarico prima della scadenza oppure a volte è prevista una penale in caso di revoca. In tal caso, l’importo della penale deve essere proporzionato rispetto all'attività svolta dall'agente. A tal proposito, la giurisprudenza ritiene applicabile la normativa prevista dal Codice del Consumo agli artt. 33 e seguenti in materia di clausole vessatorie (si veda, ad esempio, la sentenza n.10118/2016 del Tribunale di Roma).

Quanto alla domanda relativa alla locazione dell’immobile posto in vendita, la risposta è sicuramente positiva. Infatti, nulla impedisce al proprietario di concedere in locazione l’immobile di sua proprietà durante la vigenza dell’incarico di mediazione (considerato anche che tale facoltà è espressamente enunciata nel contratto di incarico, come leggiamo nel quesito).

E' peraltro chiaro che questa circostanza potrebbe rendere meno appetibile l'immobile per vendita. Di solito chi acquista preferisce acquistare senza locazioni in essere. Potrebbe essere una strada da praticare qualora l'agente non volesse scendere a miti consigli.

Per una risposta definitiva andrebbe certamente analizzato l'incarico dato.




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