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Articolo 582 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Concorso del coniuge con ascendenti, fratelli e sorelle

Dispositivo dell'art. 582 Codice Civile

Al coniuge sono devoluti i due terzi dell'eredità se egli concorre con ascendenti(1) o con fratelli e sorelle anche se unilaterali, ovvero con gli uni e con gli altri. In quest'ultimo caso la parte residua è devoluta agli ascendenti, ai fratelli e alle sorelle, secondo le disposizioni dell'articolo 571(2), salvo in ogni caso agli ascendenti il diritto a un quarto della eredità [544 c.c.].

Note

(1) Comma così modificato dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(2) Se gli ascendenti sono di uguale grado, a ciascuna linea spetta la metà. Se sono di grado diverso, succede l'ascendente più vicino, senza distinzione di linea.

Ratio Legis

Al coniuge il legislatore del 1975 ha riservato un trattamento di favore, limitando il concorso con i collaterali [v. 75] fino al secondo grado (e ai loro discendenti che succedono per rappresentazione ai sensi dell'art. 467 del c.c.). Ante riforma, il concorso avveniva fino al quarto grado.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

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Consulenze legali
relative all'articolo 582 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. B. chiede
lunedì 24/06/2024
“Società Snc, costituita da mio fratello nel 1990 inizia attività nel 1995, capitale 1549€.
Aprile 2003 subentra quale unico socio accomandatario la moglie con capitale 929,62€
Successivamente mio fratello, nel giugno 2003 acquista quale legale rappresentante ed amministratore della società un immobile per uso ufficio, valutato all’epoca 32.000€ oggi 120.000€, pagato dalla società acquirente con dichiarazione nell’atto di compravendita che il prezzo è stato interamente pagato. In aggiunta risulta in capo alla società in autovettura dal valore attuale di 5000€ della quale sta facendo uso esclusivo la moglie.
Venuto a mancare mio fratello nel dicembre 2023( senza figli) rimaniamo eredi tre fratelli e la moglie.

Si può ritenere l’acquisto dell’immobile ad uso ufficio come donazione indiretta alla moglie?

Nel 2013 mio fratello ha fatto a me donazione della casa dove abitava, che era di mia madre( valore odierno 200.000€) e che noi fratelli per rispettare la sua volontà abbiamo simulato la vendita senza ricevere nulla pur avendo dichiarato di aver ricevuto la somma.

Oggi la moglie rivendica la legittima e pure abitando altrove, non vuole lascisre la casa ove risulta ancora residente.

Vi sono debiti per quasi 38.000€

Quali sono i diritti spettanti agli eredi e quali le quote?

Ps: I fratelli non possono rinunciare per la presenza di minori.

In caso di accettazione dell’eredità, come si suddividono i debiti, e le spese di chiusura della società?

Ringraziandovi per la disponibilità, attendo riscontro.”
Consulenza legale i 04/07/2024
La prima domanda alla quale si chiede di dare risposta è quella relativa alla configurabilità o meno di una donazione indiretta con riguardo all’acquisto di un immobile uso ufficio effettuato nel mese di giugno 2013 dal fratello adesso deceduto.
Sulla base di ciò che viene riferito nel quesito la risposta è negativa.
A prescindere dal fatto che nel rogito notarile le parti dichiarano che il prezzo è stato interamente versato in data antecedente, ciò che assume rilevanza, al fine di escludere la sussistenza di una donazione indiretta in favore della moglie, è la circostanza che a quell’atto di compravendita il fratello ha preso parte nella qualità di amministratore e legale rappresentante della società.
Ciò vale ad escludere ogni trasferimento, seppure indiretto, in favore del coniuge superstite, in quanto la proprietà di quel bene non può che ricondursi in capo alla società, in nome e per conto della quale il legale rappresentante ha dichiarato di agire.

Si ritiene utile precisare, a tale riguardo, che ricorre donazione indiretta ogni qual volta dal punto di vista economico, si raggiunge il medesimo risultato della donazione diretta, ovvero l’impoverimento della parte donante e l’arricchimento della parte donataria.
Classico esempio è quello dell’acquisto effettuato dal figlio con denaro dei genitori, ove, in un unico passaggio, si vengono a realizzare due distinti risultati, e precisamente:
  1. il venditore riceve l’intero pagamento del prezzo;
  2. il figlio non esborserà il denaro necessario per l’acquisto (o almeno parte di esso), in quanto sono i genitori a provvedere al pagamento del prezzo, senza ricevere nulla in cambio (per questo si assiste ad un loro impoverimento e ad un incremento del patrimonio del figlio).

Nel caso in esame non si vede come la moglie del legale rappresentante possa essersi arricchita, tenuto conto che l’acquisto dell’immobile, almeno secondo ciò che viene detto nel quesito, avviene in capo alla società di cui il defunto era legale rappresentante.

Diverso è il discorso, invece, per la donazione della casa dal de cuius ad uno dei fratelli, in quanto ai fini del calcolo della quota di riserva a cui il coniuge superstite ha diritto, occorre rispettare il disposto di cui all’art. 556 del c.c., ovvero sommare al relictun il donatum e detrarre i debiti (che sembrano sussistere ed essere pari a circa 38.000 euro)
Ciò significa che del valore di tale immobile, determinato con riferimento al momento dell’apertura della successione, si dovrà tener conto per stabilire se la quota di riserva del coniuge sia stata lesa o meno, con diritto, in caso di lesione, ad esperire l’azione di riduzione.

Il coniuge superstite, a sua volta, non potrà opporsi, se richiesto da parte del fratello del de cuius nonché legittimo proprietario, al rilascio di quell’abitazione, in quanto anche se trattasi dell’immobile ove veniva condotta la vita familiare, non può vantare in suo favore il diritto di abitazione e di uso dei mobili di cui all’art. 540 del c.c., diritti che il legislatore riconosce soltanto in caso di immobile di proprietà del defunto o comune con il coniuge superstite.

Per quanto concerne la determinazione dei diritti e delle quote spettanti agli eredi, escluso come si è appena detto il diritto di abitazione e di uso di cui all’art. 540 c.c., in assenza di testamento non potranno che trovare applicazione le norme dettate in tema di successione legittima, ed in particolare l’art.582 c.c., norma che disciplina l’ipotesi di concorso del coniuge superstite con ascendenti, fratelli e sorelle del de cuius.
In forza di tale norma, il coniuge superstite ha diritto a 2/3 del patrimonio ereditario, mentre i fratelli e le sorelle al restante terzo.
In ogni caso, il coniuge superstite, in assenza di altri legittimari (sono tali i figli e gli ascendenti) ha diritto ad una quota di riserva pari alla metà del patrimonio ereditario, per la cui determinazione, come si è visto prima, deve farsi applicazione dell’art. 556 c.c.

Qualora i fratelli avessero intenzione di rinunziare all’eredità del de cuius, tale loro volontà non può di certo essere preclusa dalla presenza di loro figli minori, in quanto anche questi possono manifestare la volontà di rinunciare.
E’ pur vero che per la rinunzia all’eredità da parte dei minori occorre munirsi della preventiva autorizzazione giudiziaria ex art. 320 del c.c., ma non si vede alcuna difficoltà nel poter conseguire tale autorizzazione, considerato che si tratterebbe di un acquisto sicuramente non vantaggioso per i minori in considerazione della presenza di debiti e, soprattutto, di una società su base personale da liquidare.

Infine, l’ultimo quesito concerne le corrette modalità di suddivisione dei debiti sociali e delle spese per la chiusura della società di persone.
In questo caso si ritiene che debba farsi applicazione dell’art. 2284 del c.c., il quale dispone che, in assenza di diverso patto sociale, gli altri soci possono decide di:
  1. liquidare la quota agli eredi;
  2. continuare la società con gli eredi;
  3. sciogliere la società.

Se i soci superstiti (che poi coincidono con gli stessi eredi del socio deceduto) preferiscono sciogliere la società, sembra evidente che le spese a tal fine occorrenti (ed in particolare quelle notarili) dovranno essere dagli stessi soci sostenute in misura proporzionale alle quote possedute (salvo sempre contraria previsione del contratto sociale).
Una volta deliberato lo scioglimento della società, si dovrà procedere alle conseguenziali operazioni di liquidazione del patrimonio sociale e pagamento di tutti i debiti sociali, con redazione del bilancio finale di liquidazione e relativo piano di riparto.
Nel corso della liquidazione trova applicazione l’art. 2304 del c.c., norma che sancisce il c.d. beneficio della preventiva escussione, imponendo ai creditori sociali di non poter pretendere il pagamento da parte dei singoli soci se non dopo aver escusso il patrimonio sociale.

Qualora, invece, dovesse essere decisa la continuazione della società e la liquidazione della quota del socio defunto agli eredi, si applica il secondo comma dell’art. 2289 del c.c., il quale dispone che tale liquidazione va fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto sociale.
Per la suddivisione della eventuale somma da liquidare si dovrà fare riferimento alle quote a ciascuno degli eredi spettanti ex art. 582 c.c., mentre per eventuali debiti sociali troverà applicazione l’art. 2290 del c.c., norma che disciplina appunto la responsabilità del socio uscente o dei suoi eredi.


B. A. chiede
martedì 16/04/2024
“Salve, ho una zia che purtroppo è venuta a mancare da poco, che a quanto pare non ha lasciato testamento. Mia zia era sposata quasi sicuramente in comunione di beni con mio zio ma non hanno avuto figli. Lei possedeva una piccola casa ereditata da mio nonno (suo padre) e un altra di sua proprietà (non so se rientra nella comunione dei beni) più un conto cointestato e alcuni buoni postali a suo nome e forse un altro conto a suo nome. Mio zio è sempre stato tenuto all'oscuro di tutto ciò che possedeva in banca poiché era mia zia che amministrava tutto quindi alcuni buoni cartacei credo che non siano stati ancora ritrovati col rischio che scadano. Mio padre non intende accettare l'eredità per non avere problemi con mio zio. Io ho altri due fratelli, e personalmente vorrei evitare almeno che la casa che era di mio nonno un giorno la ereditassero anche i nipoti dalla parte di mio zio. Non so come fare per accettare l'eredità e allo stesso tempo lasciare che mio zio abiti la casa a vita. Mi preme sapere come fare a non far andare in prescrizione l'accettazione. Grazie”
Consulenza legale i 22/04/2024
Le norme di cui deve farsi applicazione nel caso in esame sono gli artt. 582 e 540 c.c.
La prima di esse disciplina il caso in cui alla successione del de cuius concorrano, in assenza di testamento, il coniuge superstite con ascendenti, fratelli e sorelle, disponendo che al coniuge sono devoluti i due terzi del patrimonio ereditario, mentre la parte residua (1/3) è devoluta ad ascendenti, fratelli e sorelle.
A favore del coniuge, inoltre, sono riservati, anche in caso di concorso, il diritto reale di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni (così art. 540 c.c.).
Si ritiene che con quest’ultima norma il legislatore abbia voluto evitare che alla cessazione del rapporto matrimoniale, dovuta alla morte di uno dei coniugi, possa eventualmente far seguito anche una forzosa alterazione dell'ambiente di vita nel quale il medesimo rapporto era insediato.

Per quanto concerne il concetto di “casa familiare”, si ritiene che questa non possa che individuarsi in quella a cui fa riferimento la norma dell'art. 144 del c.c., ovvero quella casa nella quale i coniugi vi abbiano concretamente condotto la propria vita in comune.

Oltre alle norme sopra citate, nel caso di specie troveranno applicazione anche le norme dettate in materia di diritto di rappresentazione.
Si definisce tale quell’istituto giuridico grazie al quale i discendenti dei figli (nella linea retta) e dei fratelli e sorelle (nella linea collaterale) del de cuius, succedono al loro ascendente in tutti i casi in cui questi non possa (per premorienza) o non voglia (per rinunzia) accettare l’eredità o il legato.

Dal coordinamento, dunque, tra l’art. 570 c.c. e le norme sul diritto di rappresentazione ne discende che, alla morte dello zia, chiamati all’eredità nella qualità di eredi legittimi saranno il coniuge superstite ed i fratelli della zia deceduta, in concorso tra loro e secondo le quote fissate dall’art. 582 c.c.
Nel momento in cui uno dei fratelli della de cuius dovesse decidere di rinunziare all’eredità, subentrano per rappresentazione i figli del rinunziante, ovvero chi pone il quesito con i suoi fratelli, i quali a quel punto avranno dieci anni di tempo, sempre dall’apertura della successione, per decidere se accettare o rinunziare.

L’accettazione dell’eredità della zia, comunque, non farà venir meno il diritto del coniuge superstite di continuare ad abitare la casa in cui la coppia viveva e di far uso dei mobili che l’arredavano, in quanto si tratta di un diritto al medesimo spettante ex lege, in forza del sopra richiamato art. 540 c.c.
Si tenga pur sempre presente, in ogni caso, che su tale immobile, così come sul resto del patrimonio relitto dalla de cuius, i fratelli superstiti hanno diritto a concorrere in ragione di un terzo indiviso, da dividere a sua volta in parti eguali tra loro, e che i figli del fratello rinunciante subentreranno nella sola parte di quel terzo indiviso che sarebbe spettata al genitore rinunciatario.


A. B. chiede
giovedì 29/02/2024
“Buonasera,
Uomo 1 ha figlia 1 e figlia 2 da una relazione (senza matrimonio) in Germania, le figlie vengono riconosciute ma cresciute solo con la loro madre, Donna 1.
Uomo 1 torna in Italia e si sposa con Donna 2, e nascono figlio 3 e figlio 4, famiglia con cui vive per 40 anni.
Uomo 1 possiede 2 case di proprietà e qualche investimento in soldi.
Se Uomo 1 non lascia testamento, l'eredità va alla Donna 2?
Se anche Donna 2 decede, senza testamento, l'eredità va a figlio 3 e 4, ma anche ai figli 1 e 2 del marito defunto?”
Consulenza legale i 06/03/2024
Il caso in esame richiede di prendere in considerazione uno dei due diversi modi di devoluzione del patrimonio ereditario disciplinati dal nostro ordinamento giuridico, ovvero la successione ex lege.
Norme applicabili sono quelle dettate dagli artt. 565 e ss. c.c., disciplinanti appunto la successione legittima, ed in forza dei quali l’eredità, nel concorso di coniuge con più di un figlio, spetta per 1/3 al coniuge superstite e per i restanti 2/3 indivisi ai figli, in parti uguali tra loro.
Tra i discendenti, ovviamente, vanno incluse anche le figlie avute con Donna 1 fuori del matrimonio, ma riconosciute dal padre.

Le stesse regole si applicano nel caso in cui a morire per prima sia Donna 2, senza lasciare anche in questo caso alcun testamento.
Sempre in forza di quanto disposto dagli artt. 565 e ss. c.c., ed in particolare dall’art. 581 c.c., disciplinante il concorso di coniuge con figli, il patrimonio di Donna 2 spetterà a Uomo 1 in ragione di 1/3 indiviso ed ai figli della de cuius, figlio 3 e figlio 4, in ragione di 2/3 indivisi in parti eguali tra loro.

Se la morte di Donna 2 si verifica dopo la morte di Uomo 1, chiamati all’eredità (nella quale è compresa anche la quota di 1/3 del patrimonio di Uomo 1 pervenutale in morte di quest’ultimo) saranno soltanto i figli di costei, ovvero il figlio 3 ed il figlio 4.
Nessun diritto potranno vantare sulla sua successione le figlie 1 e 2, nate dall’unione di Uomo 1 con Donna 1, in quanto tra queste e Donna 2 non si instaura alcun tipo di legame, né di parentela e neppure di affinità (si tratta, in buona sostanza ed a tutti gli effetti di estranei).


F. G. chiede
domenica 04/02/2024
“Siamo due fratelli, io vivo in Germania lui e' sposato senza figli in Italia. Se mio fratello decede prima di me, mi spetta una quota del suo patrimonio? Oppure il suo patrimonio andra' per tutto alla moglie. I nostri genitori sono morti e mio fratello non ha fatto un testamento.
Grazie.”
Consulenza legale i 08/02/2024
La fattispecie qui descritta risulta espressamente disciplinata all’art. 582 c.c., rubricato appunto “Concorso del coniuge con ascendenti, fratelli e sorelle”.
Dispone innanzitutto l’art. 565 del c.c. che in caso di apertura della successione legittima, l’eredità si devolve al coniuge, ai discendenti, agli ascendenti, ai collaterali, agli altri parenti (entro il sesto grado) ed infine allo Stato, secondo le regole stabilite dagli articoli che seguono dello stesso codice.
L’art. 582 c.c. prevede proprio il caso in cui colui che muore non lascia figli, ma soltanto il coniuge e fratelli e/o sorelle, disponendo che al coniuge sono devoluti i due terzi dell’eredità, mentre il restante terzo si devolve in favore dei fratelli e/o delle sorelle, anche se unilaterali.

Pertanto, in caso di premorienza del fratello ed in presenza del solo coniuge quale altro erede legittimo, il fratello superstite rientrerà tra i chiamati all’eredità ed avrà diritto ad 1/3 del patrimonio del de cuius (i restanti 2/3 andranno alla moglie).
Tale regola vale a condizione che si apra la successione legittima, ovvero che il de cuius non disponga del suo patrimonio per testamento, nel quale caso potrebbe anche nominare quale suo unico erede universale la moglie, non rientrando il fratello superstite tra i c.d. legittimari, ovvero coloro a cui la legge riserva una quota di eredità (sono tali, ex art. 536 del c.c., il coniuge, i figli e gli ascendenti).


A. T. chiede
mercoledì 18/10/2023
“Nel mese di aprile a.c. dopo tre mesi di ricovero è defunta mia sorella con la quale, insieme a mio cognato (entrambi pensionati senza figli né genitori e proprietari di un immobile in comunione di beni), ho convissuto, in qualità di ospite/aiutante, da circa dieci anni durante i quali mi sono sempre occupato, oltre che della manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile, della pressoché totalità di tutte le altre incombenze: dalle pulizie alle necessità familiari più disparate.

Giacché, in quanto persone anziane estremamente malate e fragili, nel corso della loro esistenza hanno avuto frequentemente bisogno del supporto della mia famiglia (non solo in termini morali/psicologici ma anche pratici/concreti), in quanto quella di mio cognato viveva, e vive, a circa 1500 km di distanza e – anche nelle svariate volte in cui è stato ricoverato d’urgenza e sottoposto a delicati interventi - non si è mai fatta vedere.

Inoltre, è importante precisare che mio cognato non è mai stata una persona, per così dire, efficiente; sia nel senso pratico quanto intellettivo. Poiché, sebbene di carattere docile, è sempre stato un “semplicione” facilmente malleabile e col passare degli anni le sue capacità, pratiche e cognitive, peggiorarono inesorabilmente.


Dal che si evince che, nel percorso della loro vita coniugale, se accrescimento del patrimonio c’è stato, non c’è stato in virtù della sua intraprendenza ma esclusivamente per quella di mia sorella col supporto dei miei fratelli e anche del sottoscritto.

Orbene, dopo la morte di mia sorella, la vita in casa sembrava procedere tranquilla fino a che nel mese di luglio partì per le vacanze e al contempo ricongiungersi con la sua famiglia genitoriale (due sorelle e svariati nipoti con prole) con la quale, mi disse, avevano affittato una casa al mare e per la quale, previa comunicazione dell’importo, avrei dovuto fare un bonifico per la quota dell’affitto a lui spettante. N.B. quando lo accompagnai all’aeroporto, durante il tragitto mi chiese fino alla noia di fargli pervenire un biglietto aereo per il rientro ai primi di settembre.

Ebbene, per non dilungarmi oltremodo, verso la fine di luglio, inopinatamente, venni a sapere tramite una delle due sorelle che egli non sarebbe più rientrato nella sua dimora coniugale, ma che sarebbe rimasto a vivere il resto dei suoi giorni a casa sua (della sorella). Dopodiché venni anche a conoscenza che avevano già predisposto un legale e un agente immobiliare (entrambi parenti che svolgono la loro attività nella città della casa in oggetto) con, in primo luogo, l’incarico di farmi sloggiare istantaneamente perché la casa dev’essere messa in vendita immediatamente!

A tal proposito, possono cacciarmi così bellamente da una casa in cui ho convissuto per 10 anni, cui peraltro sono anche coerede?

Infine, domando come può una persona quale mio cognato di punto in bianco assumere un atteggiamento tanto subdolo e irrispettoso (circonvenzione di incapace?) da ritenersi assolutamente immorale e immeritevole di ereditare (oltre al già suo immeritato 50% della legittima) la quota più cospicua di un patrimonio non suo (la giustizia e la coscienza generale vorrebbe che ciascuno dei due coniugi senza figli sia libero di disporre della proprietà dei suoi beni) che, “a breve”, andrà tutto in eredità a degli estranei; ossia a sorelle e nipoti; il che, a mio avviso, equivale a un obbrobrio giuridico dell’Istituto della Legittima, in quanto, in virtù di una legge iniqua e coercitiva e lesiva della dignità e dei diritti della persona premorta, nella fattispecie si concretizza nella forma più empia di profanazione e usurpazione della memoria e del patrimonio del de cuius (mia sorella) e della sua famiglia.

Ergo, egr. avvocati, al di là delle mie personali considerazioni, sulla base dei fatti suesposti chiedo cortesemente se vi sono margini per intentare un’azione legale volta, - non dico, come meriterebbe, all’esclusione dall'eredità, in quanto credo non sia perseguibile - quantomeno a condannare un soggetto immeritevole di succedere sulla base di un giudizio di riprovazione sociale. Giacché ciò lede non solo la coscienza generale, ma anche l’ultima residua forma di morale e di giustizia.
Resto in attesa del Suo autorevole riscontro…

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 24/10/2023
Leggendo il quesito ci si rende conto che la de cuius non ha manifestato alcuna volontà testamentaria, con la conseguenza che la successione della medesima risulta regolata dalla legge.
Inoltre, poiché sembra che unici eredi chiamati per legge siano il coniuge ed un fratello, troveranno nel caso di specie applicazione l’art. 582 c.c. (in forza del quale al coniuge superstite sono devoluti i due terzi dell’eredità, mentre al fratello il restante terzo), nonché il secondo comma dell’art. 540 del c.c. (norma che riconosce al coniuge superstite, anche quando concorra con altri chiamati, i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano).
Dall’applicazione di tali norme, dunque, ne discende una situazione giuridica che si pone nettamente in contrasto con gli interessi del fratello superstite, a dimostrazione del fatto che, purtroppo, le regole del diritto sono ben diverse da quelle etiche che qui si vorrebbero invocare.
Infatti, il fratello superstite adesso risulta semplicemente titolare di una quota del patrimonio ereditario pari ad un terzo indiviso e per giunta in nuda proprietà (poiché gravata dal diritto di abitazione di cui si è detto prima).

Ciò, tuttavia, non può essere sufficiente per consentire al coniuge superstite (o a chiunque altri per lui) di pretendere che l’immobile caduto in successione venga immediatamente messo in vendita, trattandosi pur sempre di immobile in comunione ereditaria e dovendosi per forza di cose procedere prima allo scioglimento di quella comunione.
Troveranno, infatti, applicazione le norme dettate in tema di divisione, e precisamente gli artt. 713 e ss. c.c.
In particolare, dispone il primo comma dell’art. 713 del c.c. che ciascun coerede può in qualunque momento chiedere lo scioglimento della comunione ereditaria, mentre per il caso in cui nel compendio ereditario vi sia un immobile e questo non risulti divisibile, troverà applicazione l’art. 720 del c.c..
In forza di quest’ultima norma il coniuge superstite, avente diritto alla quota maggiore, potrà soltanto richiedere che l’immobile venga a lui assegnato per intero in sede di divisione, obbligandosi a versare un conguaglio in denaro in favore dell’altro coerede, mentre non potrà certamente imporre all’altro coerede che si proceda immediatamente alla vendita dello stesso, occorrendo per tale vendita il consenso unanime di tutti coloro che ne risultano comproprietari.

Sotto il profilo del godimento, il fratello invece non può vantare alcun diritto di continuare ad abitare l’immobile, e ciò perché il coniuge superstite, a seguito dell’apertura della successione, è divenuto titolare del diritto di abitazione e di uso dei mobili che la corredano (trattandosi, come si è detto prima, della casa coniugale); ciò pone il fratello nella condizione di nudo proprietario, come tale privo di poteri di godimento.
Peraltro, la circostanza che fino al momento dell’apertura della successione il fratello vivesse in quell’immobile non attribuisce a quest’ultimo alcuna posizione privilegiata né gli dà il diritto di continuare ad abitarvi.
Tale stato di cose può dirsi che abbia soltanto determinato in capo al medesimo (in forza di un negozio atipico di tipo familiare) il configurarsi di un diritto di detenzione qualificata ma precaria dell’immobile, assimilabile in termini di disciplina giuridica al comodato senza determinazione di durata (si veda in tal senso Cass. civ. sent. n. 7/2014; Cass. civ. sent. n. 7214/2017).
Una volta deceduta la sorella che lo ospitava, quel rapporto atipico familiare può considerarsi cessato, almeno dal momento in cui il coniuge superstite ha manifestato, avendone il pieno diritto, il proprio dissenso alla permanenza in quell’immobile.
Dal momento della manifestazione di tale dissenso, il godimento dell’immobile da parte del fratello diviene privo di alcun titolo giustificativo, con diritto per il coniuge superstite, titolare del diritto di abitazione, di chiederne la riconsegna, anche forzatamente (ovvero con ricorso all’autorità giudiziaria e ad esecuzione forzata).

Per quanto concerne la parte del quesito in cui si afferma “…nel percorso della loro vita coniugale, se accrescimento del patrimonio c’è stato, non c’è stato in virtù della sua intraprendenza ma esclusivamente per quella di mia sorella col supporto dei miei fratelli e anche del sottoscritto…”, anche sotto questo profilo non si intravvedono i presupposti per portare avanti alcun tipo di azione giudiziaria, considerato che risulterebbe estremamente complicato ricostruire le vicende patrimoniali della coppia, vigendo tra gli stessi il regime della comunione legale dei beni.
Peraltro, si tenga anche conto del fatto che fratelli e sorelle non vengono ricompresi dal legislatore nella categoria dei legittimari (si veda art. 536 del c.c.), e, pertanto, non sarebbe loro concesso di agire in riduzione e di far valere il diritto ad una quota di riserva.

In conclusione, se proprio si vogliono ostacolare le pretese del coniuge superstite e dei familiari che gli stanno alle spalle, ci si può senza alcun dubbio opporre alla vendita immediata dell’immobile, necessitando questa del consenso di tutti coloro che vantano un diritto sullo stesso (il fratello è titolare di un terzo in nuda proprietà).
Si può avanzare richiesta di procedere immediatamente allo scioglimento della comunione, nel corso della quale il coniuge superstite, in quanto titolare di una quota maggiore, può chiedere l’assegnazione per intero dell’immobile, versando al fratello una somma in denaro pari al valore della sua quota.
Non ci si può opporre alla richiesta di lasciare l’abitazione, poiché dal momento della morte della de cuius è venuto meno ogni titolo che ne legittimava la detenzione da parte del fratello.

G. P. chiede
martedì 10/01/2023 - Lazio
“Nel 2004 mia sorella fa un testamento olografo a favore del marito come erede universale.
Nell'anno 2015 mia sorella muore, sono senza figli ed io sono l'unico fratello.
Il marito subentra su tutto (io non ho mai saputo del testamento)
Nell'anno 2016 muore anche il marito senza fare testamento.
A quel punto il fratello di mio cognato interviene dicendo che lui è l'erede di tutto.

Poteva fare mia sorella testamento in quel modo, ci sono azioni per cui possiamo avvalerci io o le mie figlie per una azione di riduzione.”
Consulenza legale i 16/01/2023
Il nostro ordinamento giuridico consente a ciascun individuo di regolare la successione mediante testamento; soltanto se il defunto non ha disposto in tutto o in parte dei suoi beni, interviene la legge a stabilire come gli stessi devono essere assegnati e distribuiti.
I criteri a cui si ispira la legge sono regolarmente desunti dall’intensità del vincolo che unisce i vari congiunti al defunto, prevedendo che coloro che erano più prossimi a lui, presumibilmente i più cari e per il benessere dei quali egli aveva lavorato ed accumulato risparmi, escludono i più lontani.
Il fondamento della successione legittima, dunque, accanto alla presunta volontà del de cuius, sta nella solidarietà familiare.

Ora, nel rispetto dei criteri sopra detti, in caso di successione legittima l’art. 565 del c.c. individua, quali soggetti chiamati all’eredità, il coniuge, i discendenti, gli ascendenti, i collaterali, gli altri parenti fino al sesto grado e lo Stato.
Tuttavia, tale forma di successione non potrà operare allorchè il de cuius abbia deciso di disporre per testamento dei suoi beni.
In linea generale può dirsi che l’ordinamento giuridico consente al singolo individuo di disporre come meglio crede dei suoi beni, ammettendo anche che egli in vita possa fare dono a chi vuole delle sue sostanze.
Tale libertà testamentaria, però, incontra un limite ben preciso, ossia quello di non ledere i diritti che la legge assicura ai congiunti più stretti e che l’art. 536 c.c. individua nei seguenti soggetti: il coniuge, i figli, gli ascendenti.
La quota che la legge riserva a costoro si chiama appunto quota di legittima o c.d. riserva ed i successibili che vi hanno diritto sono designati con il nome di legittimari o riservatari o successori necessari (in quanto devono in ogni caso succedere).

Ora, nel caso in esame si dice che la de cuius, muore senza lasciare figli e si presume senza lasciare ascendenti, designando quale unico erede universale di tutti i suoi beni il coniuge superstite.
Avendo disposto di tutte le sue sostanze, non si realizza il presupposto necessario per l’apertura della successione legittima.
Inoltre, la sua volontà testamentaria non incontra alcun limite, considerato che la stessa non lascia alcuno dei soggetti tra quelli indicati all’art. 536 c.c.
Potendo il suo testamento trovare piena e completa attuazione, il coniuge superstite, al momento dell’apertura della successione, subentra legittimamente in tutti i beni e diritti facenti prima capo alla de cuius, con la conseguenza che gli stessi entreranno a pieno titolo ed in via esclusiva a far parte del suo patrimonio personale, secondo quanto disposto peraltro dalla lett. b) dell’art. 179 del c.c. (norma che, seppure dettata in tema di regime patrimoniale della famiglia, risulta abbastanza inequivoca nell’attribuire ai beni così conseguiti la natura di beni personali).

In conclusione, non rientrando i fratelli e le sorelle della de cuius nella categoria dei c.d. eredi necessari, non avranno alcun diritto di agire in riduzione, non potendo ravvisarsi nei loro confronti una lesione di quella quota di riserva a cui non hanno diritto.

R. R. chiede
lunedì 31/10/2022 - Umbria
“Buongiorno, lo scrivente fa presente che il giorno 9 Giugno di questo anno è deceduta la propria moglie , con la quale aveva i Conto Correnti bancari in comune. Con lei non ha figli e come erede, oltre lo scrivente, c' è solo la sorella della moglie-<br />
La decuius ha redatto un testamento olografo in cui ha specificato che la sua parte della nostra abitazione comprata in comunione dei beni è totalmente lasciata al proprio marito , così come i conti correnti cointestati.<br />
La sorella della decuius, per chiudere la successione si è rivolta ad un avvocato, il quale continua a chiedere :<br />
<br />
" quale è lo ammontare delle somme cadute in successione che il sottoscritto ha in deposito sui propri conti personali"<br />
<br />
Questa richiesta è lecita? può insistere a voler conoscere le somme dei C/C gestiti prima della morte di mia moglie ?<br />
<br />
o ha il diritto di conoscere solo i conti dal momento del "congelamento" dei C/C effettuati dalla banca stessa?<br />
<br />
Spero di essere stato chiaro nella richiesta, ringraziando porgo distinti saluti<br />
<br />
<br />
Consulenza legale i 07/11/2022
Una risposta più precisa alle domande poste potrebbe essere data a seguito della lettura del testamento, dal cui contenuto complessivo potrebbero magari trarsi ulteriori elementi capaci di spiegare su cosa possa trovare fondamento la richiesta della sorella della de cuius.
Dalla sola analisi di ciò che viene riferito nel quesito, invece, se ne deducono i seguenti elementi di cui tener conto al fine di giungere alla conclusione che si andrà a prospettare:
a) la de cuius non lascia figli né ascendenti, ma soltanto il coniuge ed una sorella;
b) il patrimonio ereditario è costituito da:
1. un mezzo indiviso di una casa di abitazione;
2. saldo attivo di conti correnti cointestati.

Per prima cosa, dunque, occorre stabilire quali sono i possibili soggetti chiamati all’eredità, dovendosi questi individuare nel coniuge superstite e nella sorella.
Soltanto il coniuge superstite, però, si trova nella posizione di legittimario, ovvero di soggetto in cui favore la legge vuole che venga riservata in ogni caso una quota ben precisa del patrimonio ereditario, variabile a seconda dei soggetti con cui è chiamato a concorrere.
Tra i c.d. legittimari, invece, non rientra, per espressa previsione dell’art. 536 c.c., la sorella, la quale è tuttavia chiamata a succedere per legge ex art. 565 c.c. (il successivo art. 582 c.c. disciplina, infatti, il concorso del coniuge con ascendenti, fratelli e sorelle).

La successione legittima, però, ha luogo tutte le volte in cui chi muore non abbia dettato alcuna disposizione testamentaria, ossia non abbia voluto disporre per testamento dei suoi beni in favore di determinati e particolari soggetti, con l’unico limite, come si è prima accennato, di non ledere le quote riservate per legge ai legittimari.
Questa è proprio la situazione a cui ci si trova difronte nel caso di specie, considerato che la de cuius ha voluto disporre per testamento dei suoi beni, lasciando sia il mezzo indiviso della casa di abitazione che il saldo attivo dei conti correnti cointestati al coniuge superstite.
La volontà così espressa, peraltro, non può dirsi lesiva della quota che, in assenza di testamento, sarebbe spettata alla sorella, tenuto conto che la sorella non rientra tra i legittimari e considerato che l’apertura della successione testamentaria impedisce che possa operare la successione legittima.

Pertanto, se con le disposizioni testamentarie la de cuius ha esaurito tutto il suo patrimonio, la sorella nulla potrà più reclamare.
Se, invece, dovessero residuare beni o diritti di cui la testatrice non ha disposto, su questi ultimi si aprirebbe la successione legittima, alla quale anche la sorella avrebbe il diritto di concorrere secondo le quote stabilite dall’art. 582 c.c.
In ogni caso, il patrimonio ereditario da prendere in considerazione, compresi eventuali saldi attivi di conti correnti, è quello esistente al momento dell’apertura della successione, ossia alla data della morte.
Al fine di accertare la consistenza di tale patrimonio e verificare se possono esservi beni o somme di denaro di cui la de cuius non ha disposto (sui quali, si ripete, si aprirebbe la successione legittima), la sorella superstite non può di certo vantare alcun diritto di effettuare indagini patrimoniali sul patrimonio del coniuge superstite, come sembrerebbe pretendere richiedendo a quest’ultimo di conoscere l’ammontare delle somme cadute in successione e che sono confluite sui suoi conti personali.
Oltretutto, non rivestendo la posizione di legittimaria, la legge non le consente neppure di agire in giudizio per far valere la propria posizione di erede pretermesso, giudizio nel corso del quale sarebbe stata legittimata a chiedere al giudice di ordinare agli istituti di credito, con cui la defunta intratteneva rapporti bancari, l’esibizione di copia delle movimentazioni bancarie e degli estratti conto relativi all’ultimo decennio.

Per le ragioni fin qui esposte, dunque, deve concludersi nel senso che la pretesa della sorella superstite, avanzata a mezzo del suo legale, deve ritenersi priva di ogni fondamento giuridico e come tale può essere disattesa dal coniuge superstite a cui è rivolta.

Mario R. chiede
domenica 18/10/2020 - Lombardia
“QUESITO
Successione senza testamento e senza figli.
Situazione esistente al momento del decesso della moglie:
-Coniuge superstite;
-padre, madre e fratello del de cuius;
-regolarmente sposati in comunione di beni;
-immobile di proprietà della moglie al 100% acquistato prima del matrimonio;
-l’atto notarile per l’acquisto dell’immobile non riporta nessun usufrutto;
-l’atto notarile non riporta nessun contributo in denaro o assegni da parte di terzi per l’acquisto;
-il coniuge superstite, per dimenticanza, non ha trasferito la propria Residenza Anagrafica sita in un altro Comune in detto immobile;
-il coniuge superstite lavora nello stesso Comune dove è situato l’immobile;
-il coniuge superstite coabitava in detto immobile da oltre cinque anni;
-tutte le utenze sono intestate alla moglie con domiciliazione bancaria.
Cortesemente, desidero conoscere, possibilmente con termini non giuridici, quanto segue:
-al coniuge superstite, non residente nell’immobile al momento del decesso della moglie, spetta o meno il Diritto di Abitazione sancito dall’art. 540 cc;
-al coniuge superstite, oltre al Diritto di Abitazione, spetta anche una quota di proprietà riferita all’immobile di proprietà del de cuius acquistata prima del matrimonio. In caso affermativo indicare sia le quote spettanti e sia se rientra o meno nella Comunione Legale dei coniugi;
-nel caso in cui il padre, la madre e il fratello dimostrassero che hanno versato al de cuius la somma necessaria all’acquisto dell’immobile, rientra o meno nei casi di Donazione Indiretta, quali sono sia le procedure che possono mettere in atto e sia le conseguenze, sotto tutti gli aspetti, a cui va incontro il coniuge superstite;
Inoltre, Vi chiedo se sia possibile allegare delle Sentenze inerenti il caso.”
Consulenza legale i 26/10/2020
Nella fattispecie descritta, al verificarsi della morte della moglie, in assenza di testamento, si apre la successione legittima, a seguito della quale soggetti chiamati all’eredità, in assenza di figli, risultano essere:
  1. il coniuge
  2. il padre e la madre
  3. un fratello.

Norma applicabile, dunque, è l’art. 582 c.c., secondo cui al coniuge, se concorre con ascendenti e con fratelli e sorelle, vanno i due terzi dell’eredità, mentre il restante terzo va agli ascendenti, ai fratelli ed alle sorelle.
Per la suddivisione tra ascendenti e fratelli si applica l’art. 571 del c.c., nella parte in cui dispone che la successione avviene per capi, purché in ogni caso agli ascendenti venga garantito un quarto del patrimonio ereditario.

Pertanto, se, ad esempio, il valore dell’immobile caduto in successione è pari a 120, di questi una quota pari ad 80 (2/3) va al coniuge, 30 agli ascendenti in parti eguali tra loro (1/4 del patrimonio) e 10 al fratello.

Occorre aggiungere che, essendo gli ascendenti anche legittimari, essi si trovano in una posizione diversa rispetto ai fratelli e alle sorelle che tale qualità non possiedono: infatti, l'art. 553 del c.c. dispone che, nel concorso tra legittimari e altri successibili, questi ultimi potranno subire la riduzione delle quote loro spettanti al fine di soddisfare la quota riservata al legittimario, in considerazione del fatto che tale quota deve essere calcolata non solo sul relictum, ma sull'intera massa ereditaria, comprensiva del donatum.
Supponendo che vi sia solo relictum e che il coniuge defunto non abbia effettuato in vita alcuna donazione, con l’attribuzione agli ascendenti di 30 (ossia ¼) viene rispettata anche la quota di riserva in loro favore prevista dall’art. 544 del c.c..

Al coniuge superstite, inoltre spetta il diritto di abitazione sulla casa familiare ex art. 540 del c.c., intendendosi per casa familiare quella nella quale i coniugi vi abbiano concretamente svolto il riflesso della propria vita in comune e nella quale la vita della famiglia si svolgeva con normalità e regolarità.
Circa il riconoscimento di tale diritto anche in caso di successione legittima, non sembra al riguardo che sussista alcun dubbio, potendosi a tal fine richiamare l’ordinanza della Cass. civ. Sez. VI n. 1588 del 27/01/2016, in cui si afferma che “Poiché i diritti d'abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e d'uso sui mobili che la corredano di cui all'art. 540 c.c. spettano al coniuge superstite anche nella successione ab intestato a titolo di legato ex lege, il possesso della casa familiare da parte di quest'ultimo non integra la fattispecie di "possesso dei beni ereditari da parte del chiamato all'eredità" ai sensi e per gli effetti dell'art. 485 del c.c.". (conforme anche Cass. civ. Sez. Unite, 27/02/2013, n. 4847)

Per individuare la casa familiare non occorre che i coniugi abbiano fissato presso quell’immobile la residenza anagrafica, ma ciò che occorre è che la famiglia vi abbia stabilmente dimorato.
Una conferma di ciò la si può trarre dalla sentenza della Comm. trib. prov. Emilia-Romagna Reggio Emilia Sez. II del 07/04/2017, in cui si afferma che “L'imposta dovuta a titolo di IMU in relazione ad immobili caduti in successione, è dovuta non dal proprietario, ma dal coniuge del de cuius, in quanto titolare del diritto di abitazione previsto dall'art. 540 c.c. a favore del coniuge superstite, non rilevando in senso contrario, la circostanza che tale soggetto risulti residente anagraficamente altrove. La norma in parola, invero, è diretta a costituire il diritto di abitazione nella casa adibita a residenza familiare non residenza anagrafica”.

Altra domanda che viene posta è se al coniuge superstite competa, oltre al diritto di abitazione, anche una quota di proprietà dell’immobile.
A tale domanda in effetti è già stata data risposta nella prima parte di questa consulenza, ove viene detto che in caso di concorso tra coniuge, ascendenti e parenti, si applica l’art. 582 c.c., in forza del quale il coniuge superstite ha diritto ad una quota pari a due 2/3 del patrimonio ereditario.
Per quanto concerne la titolarità dell’immobile, va detto che, essendo stato acquistato dal coniuge deceduto prima del matrimonio, trattasi di bene di cui la de cuius era proprietaria in via esclusiva, c.d. bene personale, e ciò in virtù di quanto espressamente disposto dall’art. 179 del c.c., lett. a).

Ultimo aspetto da prendere in esame è quello relativo alle modalità attraverso cui tale immobile potrebbe essere giunto al patrimonio della de cuius, ossia mediante donazione indiretta, e precisamente mediante l’apporto economico dei familiari della stessa.
In tale ipotesi, chiaramente tutta da dimostrare (soprattutto alla luce del fatto che l’atto pubblico di acquisto non farebbe alcun riferimento alla provenienza del denaro da parte di terzi diversi dalla stessa parte acquirente), il contributo economico da parte di coloro che avrebbero posto in essere una donazione indiretta potrebbe venire in rilievo soltanto nella misura in cui dovesse sussistere una lesione nella quota di riserva degli eredi legittimari della stessa parte donante.
Cerchiamo di fare un esempio per chiarire meglio il concetto:
poniamo il caso che muoia uno dei genitori e che lasci come erede l’altro coniuge ed il fratello, entrambi legittimari, cioè eredi con diritto ad una quota di riserva.
Se colui che muore lascia, come relictum un patrimonio di 50, ma aveva in vita donato 100 alla figlia per l’acquisto della casa di abitazione, per calcolare la quota di riserva che spettano all’altro coniuge ed al fratello occorre sommare i 50 di relictum (cioè di beni già presenti nel suo patrimonio) ed i 100 di donatum.
Si ottiene un patrimonio complessivo di 150.
Applicando l’art. 542 del c.c., si avrà che un terzo di quel patrimonio deve essere garantito al coniuge superstite (ossia 50) ed un altro terzo (ossia altri 50) al fratello.
Poiché questi trovano nel patrimonio del de cuius solo 50 (25 ciascuno), saranno legittimati ad agire in riduzione, avendo possibilità di conseguire, a seguito del positivo esperimento di tale azione, il riconoscimento di un diritto di credito in misura pari alla lesione subita della loro quota di riserva.

Si tenga, tuttavia, conto del fatto che, nella specifica ipotesi in esame, della donazione indiretta ne sono stati avvantaggiati anche gli ascendenti ed il fratello della de cuius, con la conseguenza che il diritto di credito che potrà vantarsi nei confronti del coniuge superstite dovrà essere commisurato alla quota di eredità dallo stesso ricevuta (in linea teorica legittimati passivi dell’eventuale azione di riduzione sarebbero, oltre al coniuge superstite, gli stessi ascendenti ed il fratello).

La complessità della vicenda successoria e le probabili difficoltà di provare in giudizio la sussistenza dei presupposti di una donazione indiretta (prova indispensabile, stante l’assenza di titoli di credito e di ogni riferimento nell’atto notarile), inducono a ritenere molto improbabile che i legittimari della de cuius possano decidersi ad agire in riduzione.


Andrea P. chiede
martedì 14/01/2020 - Lombardia
“Buongiorno
Ho due zii (zio e zia) ancora in vita e spostati. Non hanno mai avuto figli. Non c’è testamento. I miei zii avevano delle sorelle e dei fratelli, ma ora sono tutti già morti.
Rimangono i nipoti di tali fratelli e sorelle.
In caso di morte dello zio o della zia, a chi spetta l’eredità (non c’è testamento)? Tutta al coniuge?
Quando in un secondo momento morirà anche il secondo zio o zia, l’eredità spetta a nipoti (di zii) in parti uguali?

Ringrazio
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 20/01/2020
Il tipo di successione che qui si chiede di prendere in considerazione è la c.d. successione legittima, la quale ricorre tutte le volte in cui il de cuius non abbia voluto o potuto disporre con testamento del suo patrimonio.
In questi casi, infatti, è la legge ad individuare gli eredi nelle persone degli stretti congiunti del defunto e ad assegnare loro i beni dell’asse ereditario.

Nel caso in esame, i coniugi in relazione ai quali si ipotizza l’apertura della successione non hanno figli né fratelli o sorelle viventi, ma soltanto nipoti, ossia figli dei fratelli e delle sorelle premorti.

Ebbene, trattandosi come già detto di successione legittima, le norme applicabili saranno quelle dettate dagli artt. 565 e ss. c.c.
La prima di queste norme si preoccupa di individuare le categorie di successibili, disponendo che l’eredità si devolve al coniuge, ai discendenti, agli ascendenti, ai collaterali, agli altri parenti ed allo Stato, secondo l’ordine e le regole stabilite dalle norme successive.

Tra le norme successive quella che nel caso di specie deve trovare applicazione è l’art. 582 c.c., per effetto della quale se il coniuge concorre con fratelli e sorelle del de cuius, al coniuge sono devoluti i due terzi dell’eredità, mentre la parte residua è devoluta ai fratelli e sorelle per capi.

Se poi, come è avvenuto in questo caso, i fratelli e le sorelle del de cuius sono premorti, troveranno applicazione le norme sulla rappresentazione, contenute agli artt. 467 e ss. c.c.
Trattasi di un istituto per effetto del quale i discendenti subentrano nel luogo e nel grado del loro ascendente in tutti i casi in cui quest’ultimo non può o non vuole accettare l’eredità o il legato (un’ipotesi di impossibilità di accettare è proprio quella della premorienza).
Dal punto di vista soggettivo, tale istituto è soggetto a delle limitazioni ben precise, in quanto rappresentati possono essere nella linea retta i figli del de cuius, mentre nella linea collaterale i fratelli e le sorelle.

Ciò comporta che, alla morte dello zio, il patrimonio ereditario andrà per due terzi al coniuge superstite e per un terzo verrà diviso in parti eguali per il numero totale dei fratelli e delle sorelle (rappresentati) del de cuius; all’interno di ciascuna stirpe si dovrà ulteriormente dividere per capi, ossia secondo il numero dei figli di ciascuno dei fratelli e delle sorelle

Nel momento in cui morirà l’altro coniuge, invece, il suo patrimonio andrà, per intero e sempre per rappresentazione, ai figli dei suoi fratelli e sorelle, e verrà anche in questo caso diviso in parti eguali prima per stirpi (in base al numero di fratelli e sorelle) e poi per capi, secondo il numero dei figli che ciascuno di essi ha avuto.


Leonarda R. chiede
martedì 12/06/2018 - Veneto
“ARGOMENTO: successione

Mio fratello,che era già proprietario di un'abitazione anni prima,ha sposato una donna divorziata con un figlio, il quale, a sua volta, ha avuto due figlie. Dal matrimonio di mio fratello non sono nati figli.
Mio fratello è mancato e la sottoscritta è la sola discendente vivente.
Allo stato attuale non è dato sapere se il defunto ha lasciato testamento.
NEL CASO NON ESISTA UN TESTAMENTO,
e non essendoci altri famigliari con titolo da parte di mio fratello, gradirei sapere:
-se la moglie può essere la sola destinataria di tutti i beni o se invece, la legge vigente mi riconosce dei titoli, e se si, quali le procedure per farle valere.
SE INVECE ESISTE UN TESTAMENTO
con il quale mio fratello ha lasciato ogni suo bene alla moglie, ciò vuol dire che la sottoscritta è esclusa totalmente?
- può mio fratello aver lasciato tutto al figlio nato dal precedente matrimonio e/o alle 2 figlie di questo?
-nel caso in cui esista un testamento che mia cognata mi rifiuta di mostrare, a quali Autorità posso rivolgermi per avere conoscenza CERTA delle volontà espresse da mio fratello in merito alla destinazione dei suoi beni?
Per completamento aggiungo che da una verifica effettuata nell'aprile del 2018 presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari, risulta che l'abitazione acquistata da mio fratello prima del suo matrimonio, è ancora intestata SOLO a mio fratello.
Allo stato attuale non dispongo di ulteriori notizie, se non quella che mia cognata ha già avviato la pratica di successione presso un CAAF.
Chiedo quindi di conoscere come devo muovermi e di quanto tempo dispongo per conoscere le ultime volontà di mio fratello, dal momento che prima del decesso mi aveva confidato che avrebbe lasciato ogni cosa in modo tale che i miei diritti non mi sarebbero stati negati da alcuno.
Ringrazio.

Consulenza legale i 26/06/2018
Nel caso in cui non sia stato redatto un testamento, le norme sulle successioni ex lege prevedono la suddivisione del patrimonio ereditario come segue: 2/3 alla moglie del defunto ed 1/3 alla sorella ancora in vita.

Nel caso, invece, in cui sia stato redatto testamento, se il fratello defunto dovesse aver lasciato tutti i suoi beni solo alla moglie (oppure al figlio di lei o alle nipoti acquisite) nulla potrebbe purtroppo reclamare la sorella ancora in vita.
Infatti, per legge, solo i "discendenti" (che, attenzione, sono solo i figli del defunto, non altri parenti) o gli ascendenti (cioè i genitori) hanno diritto alla cosiddetta “quota di legittima”, ovvero ad una determinata quota del patrimonio ereditario, della quale non possono essere privati dal defunto con il testamento.
I fratelli e le sorelle, invece, non rientrano nella categoria dei “legittimari” (coloro che hanno diritto alla quota di legittima).

Ciò detto, in ordine alla possibilità di venire a conoscenza dell’eventuale testamento, è il codice civile che fornisce indicazioni sulle modalità per portare a conoscenza degli interessati il contenuto del medesimo.

Se si tratta di testamento cosiddetto “olografo” (ovvero redatto e firmato di pugno del testatore, come si ipotizza anche nel caso in esame, altrimenti non si porrebbe il problema), l’art. 620 c.c. stabilisce che esso va “pubblicato” (reso pubblico).
In particolare, chiunque ne sia in possesso deve portarlo ad un notaio per la pubblicazione non appena viene a conoscenza che il testatore è morto.

Quando il testamento viene presentato al notaio, quest’ultimo lo pubblica alla presenza di due testimoni e ne fa verbale, verbale che viene poi trasmesso – allo stesso modo che nel caso di testamento pubblico (cioè fatto dal testatore con atto notarile mentre è ancora in vita) – al Tribunale.
Una volta che è stato pubblicato, il testamento viene eseguito ed il notaio comunica l’esistenza del testamento agli eredi e/o ai legatari di cui conosce domicilio o residenza.

Tornando al quesito, dunque, la moglie del fratello defunto – qualora quest’ultimo avesse fatto testamento - avrebbe dovuto consegnarlo ad un notaio: il fatto che la sorella potenziale erede non sia stata contattata da alcun notaio in merito ad un testamento ed alla eventuale designazione come erede o legataria del fratello defunto lascia pensare che molto probabilmente un testamento non ci sia.

In ogni caso, per acquisire informazioni, potrebbe essere utile consultare il Registro generale dei testamenti, tenuto presso l’Ufficio Centrale degli archivi notarili presso il Ministero di Grazia e Giustizia, registro istituito allo scopo proprio di facilitare le ricerche dei testamenti e di impedire che essi siano ignorati o conosciuti tardivamente.
Il Registro generale dei testamenti consente, infatti, di conoscere se una persona deceduta ha fatto testamento, in Italia o all’estero. Gli interessati possono richiedere al Registro generale dei testamenti la certificazione delle iscrizioni risultanti a nome della persona defunta e l’indicazione dell'archivio notarile distrettuale presso il quale gli atti iscritti sono depositati, qualora il notaio sia cessato.

In alternativa, ci si potrà rivolgere alla Cancelleria del Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione (luogo dell’ultimo domicilio del defunto) per la consultazione (del tutto pubblica e gratuita) delle rubriche contenenti l’annotazione dei verbali di pubblicazione dei testamenti.

Se all’esito delle ricerche sopra effettuate non si troverà nulla, si avrà quantomeno la certezza che, se anche ci dovesse essere un testamento, quest’ultimo non è ancora stato presentato per la pubblicazione da chi ne è eventualmente in possesso. Ciò non significa, tuttavia, evidentemente, che questa persona (che, nel caso di specie, potrebbe essere la moglie del defunto) abbia intenzione di farlo, perché potrebbe essere al contrario interessata a tenerlo nascosto.
Se si ha, in questo caso, il fondato sospetto che un testamento ci sia si potrà eventualmente esercitare la facoltà che il citato art. 620 c.c. riconosce, ovvero si potrà fare ricorso al Giudice di pace perché fissi un termine entro il quale il testamento dovrà essere presentato al notaio da parte di chi lo possiede.
La mancata presentazione del testamento al notaio, purtroppo, non è sanzionata, né vi è un termine entro il quale provvedere in tal senso (ed infatti proprio per questo è prevista la possibilità di chiedere che sia il Giudice a fissarlo).


Lorenza G. chiede
venerdì 15/12/2017 - Toscana
“Zio senza figli, fratello di mia madre defunta molti anni fa, è morto 3 anni fa
Zia, moglie del suddetto zio, è morta il 30 ottobre scorso.
Ambedue hanno sempre dichiarato, a partire da poco tempo prima della morte di lui, di avere lasciato disposizioni testamentarie a un pronipote avvocato di cui si fidavano, figlio del figlio della defunta sorella (parecchi anni fa) della zia, in modo che una volta deceduti tutti e due il loro patrimonio fosse così ripartito: 50% dello zio suddiviso fra me e mio fratello, figli di sua sorella deceduta, e 50% della zia al figlio di sua sorella deceduta. La cosa era nota a tutti noi familiari coinvolti solo che questo testamento è sparito e il pronipote avvocato dichiara di non saperne niente e i suoi genitori pure.
Ora, il pronipote avvocato ci ha pure informato (me e mio fratello) di avere rinvenuto nella casa degli zii rimasta vuota un vecchio testamento olografo in cui lo zio, in caso di morte, avrebbe lasciato tutto alla zia e un altro vecchio testamento olografo nella medesima data, in cui la zia avrebbe lasciato tutto al marito in caso di morte.
Essendo morto prima lui di lei, si prefigura l'apertura, dapprima, di una successione testamentaria in "universum ius" dallo "Zio" in favore della "Zia" e, poi, da quest'ultima, per successione legittima, il tutto di conseguenza "sine testamento" in favore dell'unico parente ad essa più prossimo, ovvero suo nipote e padre dell'avvocato in questione.
Il testamento non è ancora stato pubblicato, ma in caso non avesse vizi di forma, non c'è proprio niente che potremmo fare?
Se è possibile fare qualcosa, cercheremo un valido legale del settore, altrimenti è inutile spendere soldi. Purtroppo siamo stati ingannati e lo sono stati anche gli zii.”
Consulenza legale i 22/12/2017
Dal quesito si evince che lo zio aveva moglie ed una sorella premorta.

Alla sua morte, alla successione concorrono la moglie e la sorella che, essendo premorta, ne succede il nipote in quanto erede in linea collaterale.

Il vero problema nel caso proposto, non è l’impugnazione del testamento oggi rinvenuto, ma capire come sia stata regolata la successione dello zio alla morte dello stesso avvenuta tre anni fa e, quindi, quell’arco temporale che va dalla morte dello zio alla morte della zia.

Contrariamente a quanto riportato nel quesito (essendo morto prima lui di lei si prefigura dapprima una successione testamentaria in universum ius dallo zio in favore della zia e poi da quest’ultima per successione legittima….), riteniamo, infatti, che, alla morte dello zio, si sia aperta una successione legittima ai sensi dell’art. 456 cod. civ.

Tale tipologia di successione prevede, fra le altre, ai sensi dell’art. 582 c.c., il concorso del coniuge con ascendenti, fratelli e sorelle disponendo che: “ Al coniuge sono devoluti i due terzi dell’eredità se egli concorre con ascendenti o con fratelli e sorelle anche se unilaterali, ovvero con gli uni e con gli altri…”.

Alla luce di tale norma, riteniamo che, già alla morte dello zio si sarebbe dovuto devolvere 2/3 dell’eredità alla zia e 1/3 ai fratelli dello zio o ai successori dei fratelli.

Questo in quanto nel quesito si intuisce che, all’epoca della morte dello zio, non vi era nessun testamento che, invece, pare, sia stato rinvenuto solo dopo la morte della zia.

Pertanto, già dalla morte dello zio Lei avrebbe dovuto trovarsi nella disponibilità di 1/3 dei beni dello zio.

Potrebbe, dunque, adesso far valere i Suoi diritti di erede nei confronti dei successori della zia in quanto hanno ereditato anche 1/3 dei beni di suo zio.

In ogni caso riteniamo anche che i due testamenti olografi, quello con il quale lo zio, in caso di morte, avrebbe lasciato tutto alla zia e quello con il quale la zia avrebbe lasciato tutto al marito, potrebbero essere impugnati facendo valere la nullità degli stessi.

Premesso che bisognerebbe leggere il contenuto dei due testamenti, riteniamo che, essendo scritti anche nella medesima data, gli stessi possano configurare un patto successorio o un testamento congiunto e reciproco vietati dalla legge ai sensi degli artt. 458 e 589 c.c.

Ai sensi dell'art. 458 del codice civile è nulla qualsiasi convenzione o accordo con cui si dispone della propria successione. Del pari, è nullo qualsiasi atto con cui si dispone dei diritti che possono spettare su una successione non ancora aperta o si rinunzia ai medesimi.

I patti successori sono le convenzioni stipulate tra due o più soggetti con cui si di dispone della propria successione, o i patti con cui un futuro erede o legatario dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi

La giurisprudenza, sul punto, ritiene che sussiste un patto successorio, vietato ai sensi dell’art. 458, allorquando le disposizioni testamentarie, redatte da più persone, pur essendo contenute in testamenti separati, si integrano a vicenda, dando luogo ad un accordo con il quale ciascuno dei testatori provvede alla sua successione in un determinato modo, in correlazione con la concordata disposizione dei propri beni da parte degli altri (Cassaz. 2623/1982), anche se non può escludersi che il patto successorio trovi formale estrinsecazione proprio in un testamento reciproco.

Così quando due testatori dispongano l’uno a favore dell’altro con due distinti testamenti, di pari data e di identico contenuto, deve ritenersi che i testatori si siano reciprocamente influenzati e che, sebbene i testamenti siano distinti, le loro volontà siano in sostanza racchiuse in un unico atto, in violazione degli artt. 589 e 458, nel senso che quando due testamenti sono contenuti in un medesimo atto o quando le disposizioni sono reciproche deve presumersi che i testatori si siano accordati (T. Milano 2.22.1998).

Laddove, pertanto, i testamenti dovessero essere dichiarati nulli, si aprirebbe una successione legittima e, quindi, eredi dello zio sarebbero, oltre alla moglie, anche la sorella dello zio (Sua madre).


PIERCARLO C. chiede
giovedì 23/11/2017 - Piemonte
“Donna di nascita e cittadinanza colombiana ed anche italiana (acquisita per matrimonio con marito italiano) e con residenza in Italia, senza figli né ascendenti.
1) Alla sua morte, con successione senza testamento (legittima) si applica la legge italiana e cioè i suoi beni vanno
o Per due terzi al marito ed un terzo ai fratelli e sorelle e, in loro assenza, per rappresentazione, ai figli dei fratelli e sorelle?
o In caso di premorienza del marito, i fratelli e sorelle della defunta e loro figli (per rappresentazione) si dividono l’intero patrimonio?
2) In caso di testamento, si applica la legge italiana e cioè può nominare erede universale suo marito e, in caso di sua premorienza, il fratello di questi e, in caso di premorienza di quest’ultimo, i suoi figli senza che i fratelli e le sorelle della defunta possano invalidare il testamento, in quanto non sono legittimari?”
Consulenza legale i 10/12/2017
L’art. 46 L. 218/1995 individua la legge applicabile alle successioni mortis causa di soggetti che hanno uno o più collegamenti con uno Stato estero.
In particolare la norma in parola prevede che la successione sia “regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta, al momento della morte”, si applica cioè la legge dello Stato di cui è cittadino il defunto al momento della morte.

Senonché ivi la situazione è ulteriormente complicata dalla circostanza che la defunta possiede doppia cittadinanza.
Al proposito assume rilevanza l’art. 19 della L. 218/1995 “Se la persona ha più cittadinanze, si applica la legge di quello tra gli Stati di appartenenza con il quale essa ha il collegamento più stretto. Se tra le cittadinanze vi è quella italiana, questa prevale”.
Posto che la de cuius aveva la residenza in Italia ed aveva la cittadinanza Italiana, se ne può desumere che per la successione dovrà farsi riferimento alla legge italiana ed alle disposizioni del codice civile.
Tuttavia deve evidenziarsi che le norme di diritto privato internazionale sono a tutti gli effetti delle norme nazionali che trovano applicazione quando vengono ad essere applicate dal Giudice nazionale.

Se ad esempio esistesse una norma uguale ed opposta all’art. 19 anche nell’ordinamento colombiano (preferenza della cittadinanza colombiana sulla seconda cittadinanza), si verrebbe a creare inesorabilmente un conflitto di leggi e conseguentemente un conflitto tra decisioni dei due giudici.
Quindi per un esame approfondito della questione occorrerebbe prima conoscere la legge della Colombia in materia.

Ad ogni modo, qualora dovesse trovare applicazione il diritto italiano allora troverà applicazione altresì l’art 582 c.c., nella parte in cui prevede che "Al coniuge sono devoluti due terzi dell' eredità se egli concorre con ascendenti legittimi o con fratelli e sorelle anche se unilaterali, ovvero con gli uni e con gli altri".
Al coniuge spettano 2/3 del patrimonio ed il restante 1/3 si divide in parti uguali tra fratelli ed ascendenti.

Nel caso di premorienza del coniuge, l’eredità si devolverebbe ai fratelli ed agli ascendenti del de cuius per capi, ovverosia in parti uguali.
Nel caso invece in cui i fratelli non possono accettare l’eredità, succedono i figli per rappresentazione. L’art. 467 c.c. prevede proprio che, quando un erede non possa o non voglia accettare l’eredità, i discendenti possono accettarla nel luogo e nel grado del loro ascendente.

Anche il testamento soggiace alla legge italiana, in base agli artt. 19 e 46 L. 218/1995 e salvo quanto già detto in ordine al possibile conflitto di norme.

Con riferimento alle disposizioni testamentarie, in base alla legge italiana la de cuius potrebbe disporre liberamente dei propri beni salvi i diritti dei legittimari (ovverosia dei figli, del coniuge e degli ascendenti in caso di assenza di figli), e dunque con la possibilità di estromettere completamente i fratelli e le sorelle.

Alla luce delle considerazioni innanzi svolte, è bene evidenziare che il 2° comma dell’46 L. 218/1995 prevede che “Il soggetto della cui eredità si tratta può sottoporre, con dichiarazione espressa in forma testamentaria, l'intera successione alla legge dello Stato in cui risiede. La scelta non ha effetto se al momento della morte il dichiarante non risiedeva più in tale Stato.”
Dunque qualora il soggetto con doppia cittadinanza voglia escludere dalla successione determinati soggetti e "preferisca" l'ordinamento italiano proprio in ragione della possibilità di escludere dalla successione determinati soggetti, potrà in sede testamentaria con dichiarazione espressa scegliere di sottoporre la successione alla Legge dello Stato in cui risiede, l'Italia appunto.
Tale scelta resta valida, ed evita ogni problema relativo all’applicabilità di una piuttosto che dell’altra legge, finché il testatore non modifichi nuovamente la sua residenza.

Giuseppe F. chiede
giovedì 07/09/2017 - Abruzzo
“Buongiorno,

Vorrei sottoporvi un quesito:

Mia zia diretta ( sorella di mio padre deceduto 2 anni fa),alla morte del marito si è intestata con successione il 100% dei beni mobili e immobili.
Non avevano figli, e i fratelli del coniuge erano premorti, ma avevano 5 figli che sono in vita (i nipoti diretti del marito defunto).
In assenza di testamento da parte del marito poteva intestarsi tutto?
Ed ai nipoti del coniuge premorto spettava una quota dell'asse ereditario dello zio?
Ho cercato di capirci qualcosa anche sbirciando l art.570 I Comma del c c, ma non mi è chiaro il quadro.

In attesa di una gentile risposta ringrazio

Consulenza legale i 13/09/2017
Il quesito descrive una situazione successoria nella quale da una parte abbiamo il coniuge (la moglie superstite) e dall’altra i parenti dell’altro coniuge (i figli dei fratelli del marito defunto).

La successione del coniuge è disciplinata dagli articoli 581 e seguenti del codice civile, che stabiliscono quale debba essere la quota del coniuge superstite quando egli concorra con altre categorie di successibili (coloro, cioè, che partecipano alla successione).

L’art. 582 cod. civ., in particolare, recita: “Al coniuge sono devoluti i due terzi dell’eredità se egli concorre con ascendenti o con fratelli e sorelle anche se unilaterali (…)”, il che significa che al coniuge spettano i 2/3 dell’eredità quando egli concorra:
- con i genitori del defunto (“ascendenti”),
- con i fratelli e/o sorelle del defunto (“collaterali”);
a questi, dunque (agli uni, agli altri o ad entrambi tutti insieme), spetta il residuo terzo dell’eredità.

Da quanto sopra illustrato sembrerebbe, dunque, che nel caso di specie alla moglie spettasse l’intero patrimonio ereditario, dal momento che i fratelli del coniuge sono tutti morti.
In realtà, nel caso di specie viene in considerazione l’istituto della “rappresentazione” di cui agli articoli 467-468 cod. civ..

Il primo articolo stabilisce: “La rappresentazione fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l'eredità (…)”, dove con il termine “non può” si fa riferimento, in genere, ai casi di premorienza (come quello di specie).

Il successivo articolo 468 cod. civ., poi, precisa quali sono i soggetti “rappresentanti”: “La rappresentazione ha luogo, nella linea retta, a favore dei discendenti dei figli anche adottivi, e, nella linea collaterale, a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto”.

Quindi i “rappresentati” in linea collaterale (che è l’unica che qui ci interessa) sono fratelli e sorelle del de cuius e i “rappresentanti”, ovvero coloro che partecipano della successione in luogo (al posto) del loro ascendente, sono i figli di fratelli e sorelle (i nipoti).

Tornando al quesito, i nipoti del defunto subentrano quindi per rappresentazione ai propri genitori - fratelli del primo - a partecipano dell’eredità assieme al coniuge superstite, per la quota di 1/3.

La zia, di conseguenza, ha illegittimamente intestato a sé l’intero patrimonio del marito: avrebbe, invece, più correttamente dovuto trattenere per sé solo 2/3 del medesimo, mentre l’altro terzo spettava di diritto ai nipoti del marito.

L’art. 570 cod. civ., 1° comma, citato nel quesito, recita: “A colui che muore senza lasciare prole, né genitori, né altri ascendenti, succedono i fratelli e le sorelle in parti uguali. (…)” Ciò significa semplicemente che i collaterali (fratelli e sorelle) succedono in parti uguali.
Nel caso in esame, dunque, i cinque nipoti del defunto zio avranno diritto a dividersi in parti uguali 1/3 del patrimonio ereditario.

Fabrizio M. chiede
lunedì 01/08/2016 - Lazio
“Il 12/10/2009 è morta mia sorella F. (76 anni) sposata con E. (81 anni). Non hanno figli nè genitori viventi. Con lettera datata 28/06/2016 l'Avv. B.B. comunicava che la propria assistita Fondazione Alfa quale erede testamentaria di E., voleva ottenere alla scadenza naturale (2018) alcuni buoni postali fruttiferi emessi in favore di F. ed E., di cui si disconosce l'importo. Lo scrivente, dato che abita in località lontana veniva a conoscenza del testamento e della morte del cognato solo all'atto del ricevimento della suddetta lettera. Quando è deceduta mia sorella non avendo rilasciato nessun testamento il patrimonio familiare era composto da due appartamenti con annesso appezzamento di terreno intestati a E., e altri risparmi investiti in titoli di cui si disconosce l'importo.
Mia sorella godeva soltanto di una piccola pensione. Oltre al sottoscritto il prossimo parente è un nipote dato l'altro mio fratello è deceduto.
Come ascendenti legittimi ai sensi dell'art.582 c.c. non avendo mia sorella lasciato alcun testamento, abbiamo diritto ad un terzo dell'intero patrimonio ? In caso affermativo poteva il marito rilasciare un testamento includendovi la parte spettante alla moglie o doveva aprire la successione legittima? Gli eredi di F. quali iniziative possono intraprendere in proposito?
Ringraziandovi anticipatamente si porgono distinti saluti”
Consulenza legale i 08/08/2016
Nel caso esposto, se si è ben compresa la narrazione dei fatti, è deceduta in un primo tempo la moglie, lasciando come eredi il marito, un fratello e un nipote (figlio di fratello premorto); successivamente, è deceduto anche il marito. La moglie non ha lasciato testamento, mentre il marito lo ha predisposto, includendovi, a quanto pare, beni intestati anche alla moglie (probabilmente il testamento fu redatto quando questa era ancora in vita).

Analizziamo innanzitutto la successione della signora F. (dal quesito si evince che la sua eredità era probabilmente composta solo dai buoni postali e denaro, visto che gli immobili risultavano intestati al marito): in assenza di testamento, operano le norme sulla successione legittima, e quindi, come correttamente prospettato, 2/3 dell'eredità spettavano al marito e 1/3 agli altri parenti (nel caso di specie, fratelli: il nipote succede per rappresentazione del genitore premorto).

Le azioni a tutela dei parenti della defunta presuppongono tutte la previa accettazione dell'eredità di F., con atto esplicito o implicito (accettazione che può essere compiuta entro i 10 anni dalla morte della de cuius, quindi fino al 2019). Ai sensi dell'art. 533 del c.c., l'erede può chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi. L'azione giudiziale con cui si chiede la restituzione di beni ereditari in qualità di eredi può fungere da atto tacito di accettazione dell'eredità.

Quanto alla successione del marito, non potendosi visionare il testamento, si può solo supporre che il lascito a favore della Fondazione sia qualificabile come legato. In che misura è valido il legato di buoni fruttiferi postali intestati ad entrambi i coniugi, quando uno di essi è già morto?

Da un punto di vista giuridico, i buoni cointestati tra marito e moglie, alla morte di questa, sono caduti in successione per il 50%, in favore degli eredi (coniuge all'epoca ancora vivo, fratello e nipote). Questi tre eredi (presupponendo che avessero accettato l'eredità), avrebbero potuto presentarsi alle Poste per chiedere la consegna del denaro.

Ne consegue che si dovrà interpretare il testamento del marito nel senso che il lascito dei buoni alla Fondazione sia costituito dalla sola sua quota di spettanza.
I buoni, quindi, potranno essere riscossi dal fratello di F., da suo nipote e dalla Fondazione, quest'ultima quale successore testamentario del marito (quindi essa avrà diritto al 50% dei buoni oltre alla quota che il marito ha ereditato dalla moglie sul suo 50%). Riguardo alle procedure burocratiche da espletare e ai documenti da presentare all'ufficio postale, si rimanda alla filiale competente, anche - come indicazione generale - sarà necessario quantomeno un atto notorio che dichiari quanti sono e chi sono gli eredi, corredato dalle necessarie procure, se non tutti gli eredi si presentano personalmente.
Va precisato che il rimborso di titoli caduti in totale o parziale successione va richiesto da tutti gli aventi diritto, oppure quietanzato congiuntamente: di regola, non è possibile effettuare il rimborso su richiesta di una sola parte, a meno che non intervenga un provvedimento autorizzatorio da parte dell'autorità giudiziaria competente (che potrebbe essere ottenuto da fratello e nipote che adiscano il Tribunale civile per vedere riconosciuta la propria qualità di eredi).

E' consigliabile, prima di intraprendere qualsiasi azione giudiziale, trattare con la Fondazione per giungere ad un accordo congiunto sulla riscossione dei buoni e sulla suddivisione del capitale riscosso.

ANONIMO chiede
mercoledì 25/05/2016 - Puglia
“OMISSIS, sposato con OMISSIS (in separazione di beni), muore il OMISSIS, “lasciando, con testamento olografo del OMISSIS, OMISSIS unità immobiliari, di cui era proprietario ante matrimonio (e delle quali una coincide con la casa di residenza coniugale) alla propria moglie”. Le OMISSIS unità immobiliari (del valore di circa OMISSIS euro) costituiscono l’intero patrimonio di Luigi (a parte due lotti di terreno non menzionati).
Non vi sono figli né ascendenti, ma solo OMISSIS fratelli che concorrerebbero ex lege (che nella fattispecie non opererebbe) alla successione: OMISSIS
Sennonché con atto pubblico di donazione accettata dello OMISSIS (cioè 28 giorni prima della morte), OMISSIS dona le OMISSIS unità immobiliari (compresa la casa gravata del diritto di abitazione) oggetto del testamento al proprio fratello OMISSIS, per cui il relictum sarebbe pari a zero, se non vi fossero i due lotti di terreni (di modico valore, non oggetto sia del testamento sia della donazione).
Con supporti normativi,
- Quale quota spetterebbe a OMISSIS, che per effetto della donazione è stata privata perfino del diritto di abitazione?
- È corretto che OMISSIS spieghi - ed in quali termini - un’azione di riduzione e di restituzione (e di divisione?) nei confronti di OMISSIS?
- Converrebbe usare o non il testamento (in quanto sembrerebbe che ci si trovi di fronte alla disposizione di un legato nullo, non essendo più il testatore, al momento dell’apertura della successione, proprietario - per effetto della donazione - di quanto aveva disposto?).
- Ovvero, nella fattispecie, ci sarebbe una differenza nell’avvalersi o non del testamento?
- In ogni caso, sembrerebbe che gli altri due fratelli OMISSIS non abbiano alcun diritto di concorrere.

Consulenza legale i 31/05/2016
Al fine di risolvere il problema relativo all’individuazione della quota spettante alla moglie, va preliminarmente chiarito quale tipo di successione operi nel caso di specie.
Nel quesito, infatti, si dà per scontato che, essendoci un testamento, operino esclusivamente le norme sulla successione testamentaria; in realtà, per pacifico orientamento giurisprudenziale: “La successione legittima può coesistere con la successione testamentaria nell'ipotesi in cui il de cujus non abbia disposto con il testamento della totalità del suo patrimonio ed in particolare, nel caso di testamento che senza recare istituzione di erede, contenga soltanto attribuzione di legati” (Cassazione civile, sez. II, 07 aprile 1997, n. 2968).
Nella fattispecie in esame, il defunto aveva disposto con testamento in merito solamente alle 5 unità immobiliari, attribuendone la titolarità alla moglie, mentre nulla aveva disposto in ordine ai terreni (è irrilevante che siano di modico valore rispetto agli altri immobili): in un’ipotesi come questa, l’istituzione di erede (della quale il testatore non si è occupato) viene quindi regolata dalla legge.
In forza delle norme sulla successione legittima, il coniuge concorre con i fratelli del defunto (quindi, nel caso particolare che ci occupa, partecipano alla successione anche OMISSIS), secondo le proporzioni indicate dall’art. 582 cod. civ., ovvero al coniuge spettano 2/3 dell’eredità, ed il restante terzo viene diviso tra i fratelli per capi (ovvero in parti uguali).
Tuttavia nel caso concreto in esame è intervenuta una donazione successiva, che ha modificato totalmente gli assetti ereditari, in quanto si è tradotta in una formale revoca delle disposizioni testamentarie: infatti, essendo la donazione uno dei modi di trasferimento della proprietà, quindi un atto di alienazione vero e proprio (anche se fatto con spirito di liberalità), opera la norma di cui all’art. 686 cod. civ., ovvero: “L'alienazione che il testatore faccia della cosa legata o di parte di essa, anche mediante vendita con patto di riscatto [1500], revoca il legato riguardo a ciò che è stato alienato, anche quando l'alienazione è annullabile per cause diverse dai vizi del consenso [1427], ovvero la cosa ritorna in proprietà del testatore [657]”.
Il testamento, dunque, per rispondere ad alcune delle domande specifiche poste nel quesito, non si potrà più utilizzare e considerare valido, perché – avendo disposto solo il legato delle unità immobiliari ed essendo state successivamente queste ultime tutte donate – è stato revocato in toto nel suo contenuto.
Venendo in considerazione solamente la successione legittima ed essendo stato revocato il testamento, non opereranno le regole sulla lesione di legittima e la moglie non si dovrà né si potrà porre il problema di un’eventuale azione di riduzione per lesione della propria quota di riserva.
Ugualmente non si farà luogo alle regole sulla cosiddetta “riunione fittizia”, ovvero la modalità di calcolo della quota “disponibile” del patrimonio ereditario (quella, in buona sostanza, della quale può liberamente disporre il testatore a favore di chiunque e come meglio crede), modalità che impongono di tenere in considerazione anche quanto è stato donato in vita al fine di determinare esattamente le quote spettanti per legge alle varie categorie di successibili.
L’avvenuta donazione delle OMISSIS unità immobiliari è pienamente valida ed ha sottratto i beni in questione agli altri eredi, i quali potranno ora dividersi esclusivamente i terreni, secondo le quote sopra indicate (art. 582).
Per quanto riguarda, invece, il diritto di abitazione garantito al coniuge dall’art. 540 cod. civ. (“(…) Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni”), anche se quest’ultima norma rientra nel novero di quelle relative ai diritti riservati a particolari categorie di successibili (i cosiddetti legittimari) e che normalmente si applicano esclusivamente in materia di successione testamentaria, esso sussiste anche nel caso di successione legittima (detta anche “intestata”).
La giurisprudenza pacificamente chiarisce: “Al coniuge superstite che succede quale erede legittimo spetta il diritto di abitazione sulla casa familiare e di uso dei beni mobili che la arredano di cui all'art. 540, comma 2, c.c., che pur dettato in tema di successione necessaria trova applicazione anche alla successione intestata del coniuge. Nella successione legittima i diritti di abitazione e di uso sulla casa adibita a residenza familiare riconosciuti al coniuge si configurano come prelegati ex lege, che si cumulano alla quota prevista dagli artt. 581 e 582 c.c. Ne deriva che il valore capitale di tali diritti attribuiti al coniuge viene detratto dalla massa ereditaria, che viene poi divisa tra tutti i coeredi secondo le norme sulla successione legittima non tenendo conto di tale attribuzione.” (Cassazione civile, sez. II, 10 settembre 2013, n. 20703).
La pronuncia della Cassazione chiarisce, quindi, che il valore capitale dei diritti di abitazione ed uso di cui all’art. 540 c.c. (anch’essi, infatti, sono “monetizzabili”, ovvero si possono tradurre, secondo particolari coefficienti, in un valore in denaro per poter procedere al calcolo delle quote ereditarie) va detratto dalla massa ereditaria e, successivamente, il patrimonio residuo andrà diviso in base alla succitata norma del 582 cod.civ..
Attenzione, tuttavia, che il diritto di abitazione, nel caso concreto in esame, non spetta purtroppo alla moglie, e ciò perché al momento dell’apertura della successione (che è il momento in cui si acquista automaticamente il diritto di abitazione, senza necessità di formale accettazione) la casa coniugale non era più di proprietà del coniuge defunto ma era stata trasferita – per effetto della donazione – ad un terzo.
Il diritto di abitazione sulla casa già adibita a residenza della famiglia, infatti, sorge a favore del coniuge superstite solo se ed in quanto l’immobile si trovi già in proprietà esclusiva del testatore al momento della sua morte, ovvero in comproprietà tra egli ed il coniuge superstite. Qualora invece il bene sia nella titolarità di terzi (o anche solo in comproprietà tra il testatore ed un terzo) non è pensabile una limitazione del diritto di proprietà in capo al terzo, estraneo alla vicenda successoria (l’art. 540 c.c. precisa, in effetti, “se di proprietà del defunto o comuni”).
Per tutte, in proposito, si veda Tribunale Cagliari, 05 aprile 2006, n. 928, per il quale: “Non sussistono, a favore del coniuge superstite, il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e il diritto di uso sui mobili che la corredano, qualora la casa e i beni in questione appartengano in comunione al "de cuius" e a terzi (nel caso di specie, la casa e i beni mobili appartenevano in comunione al "de cuius" e ai figli di prime nozze)”.
In conclusione, nella fattispecie concreta che ci occupa, le OMISSIS unità immobiliari rimarranno nella piena titolarità del fratello/donatario OMISSIS, compresa quella adibita un tempo a residenza familiare dei coniugi, sulla quale la moglie superstite ha perso il diritto di abitazione per effetto della donazione precedente la morte del marito; il restante patrimonio, pur esiguo, andrà diviso in tre parti, di cui 2 spetteranno alla moglie e l’ultima ai fratelli OMISSIS da dividere in parti uguali.

Donato C. chiede
domenica 31/01/2016 - Lombardia
“Buongiorno,
A gennaio è morta mia sorella L. ( anni 88) sposata con S. ( anni 91).
Non hanno figli.
Ovviamente neppure genitori.
S., il marito, ha solo parenti lontanissimi.
Le loro proprietà sono (erano)
Un appartamento in M. dal valore presunto di 400.000,00/ 450.000,00 Euro.
Mobilio e quadri di non trascurabile valore.
Una normale liquidità sul conto corrente.
Alcuni risparmi investiti in borsa od altro per un valore di cui non sono a conoscenza, come non sono a conoscenza se il conto patrimoniale è intestato al solo marito S..
Mia sorella aveva una pensione minima di cui non conosco l'importo (€. 500, 00 ?) per cui si chiederà la reversibilità.
Non sono a conoscenza ne in possesso di un testamento che probabilmente non esiste.
Non mi sembra che vi sia divisione dei beni.
I miei rapporti con il cognato sono rispettosi ma tutt'altro che idilliaci.
Sono l'unico fratello.
Altri parenti di mia sorella sono cugini di primo grado (figli di zii).
Ho letto che in base all'articolo 582, mi spetterebbe un terzo dell'eredità.
Chiedo.
Se il diritto ad un terzo è vero.
In caso positivo a quali componenti del patrimonio sopra elencati ( immobile o anche arredamento?) avrei diritto.
In quali modi e tempi posso richiedere tutto ciò.
Vi ringrazio”
Consulenza legale i 04/02/2016
Alla morte di un soggetto, in mancanza di testamento l'eredità si devolve in base alle disposizioni sulla successione legittima (art. 565 ss c.c.). Dunque, se effettivamente emergerà nel caso di specie la mancanza di un testamento, sarà necessario guardare a tali norme. Come affermato in quesito, ai sensi dell'art. 582 del c.c., se vi è concorso tra coniuge e fratello del de cuius al primo si devolvono 2/3 del patrimonio ed al fratello 1/3.
La successione legittima si basa sull'intensità del legame che vi è tra i congiunti del de cuius, per cui l'esistenza di parenti più prossimi esclude quelli di grado più lontano. Da ciò deriva che nulla spetta per legge ai cugini della defunta.

Aperta la successione del de cuius, il chiamato (per legge o testamento) diviene erede una volta che abbia accettato l'eredità. Il diritto di accettare l'eredità si prescrive in 10 anni ex art. 480 c.c..
L'accettazione può essere espressa o tacita (art. 474 ss c.c.); inoltre, in alcune ipotesi la legge prevede che al ricorrere di determinati presupposti si determini automaticamente accettazione (es. in caso di sottrazione di beni ereditari ex art. 527 c.c.). In ogni caso, l'accettazione che determini acquisto dei diritti di cui all'art. 2643 n. 1,2 e 4 c.c. (cioè di alcuni diritti, quali proprietà, usufrutto ecc., su beni immobili) è soggetta a trascrizione ex art. art. 2648 del c.c..

Quando l'eredità viene acquistata da più persone, che succedono al de cuius, si forma una comunione ereditaria che ha ad oggetto tutti i beni facenti parte dell'asse. Dunque, nel caso di specie, una volta che gli eredi della defunta avranno acquistato l'eredità sui beni di questa, entrambi diverranno titolari della quota di spettanza, quota che cadrà su tutti i beni fino a che durerà la comunione. Infatti, la comunione viene meno quando si procede a [def ref=]divisione[/def] del patrimonio tra i coeredi. Ad essa si può giungere con un accordo (divisione negoziale) ovvero, in mancanza, all'esito di un giudizio (divisione giudiziale). Di recente il legislatore ha introdotto un'ulteriore possibilità, vale a dire quella della divisione a domanda congiunta ex art. 791 bis c.p.c..
Diviso il patrimonio, ciascun erede sarà titolare (proprietario) esclusivo della parte dei beni attribuitagli con la divisione.

Lorenzo S. chiede
mercoledì 03/06/2015 - Lombardia
“Buongiorno, vi sottopongo il mio quesito: è mancata mia zia (sorella di mio padre premorto nel 2003), è rimasto il marito della zia (non hanno figli) e io sono l'unico nipote, ho diritto ad una quota? vi ringrazio anticipatamente”
Consulenza legale i 08/06/2015
Nella vicenda successoria narrata è deceduta una signora che ha un coniuge in vita, nessun figlio, e un nipote figlio del fratello, che è premorto.

Secondo la disciplina della successione legittima prevista dal codice civile (art. 582 del c.c.), in assenza di un testamento che preveda qualcosa di diverso, le quote di eredità saranno così attribuite:

- al coniuge sono devoluti i due terzi dell'eredità;

- la parte residua è devoluta ai fratelli e alle sorelle, secondo le disposizioni dell'articolo 571, che stabilisce che i fratelli e sorelle unilaterali conseguono la metà della quota che consegue ciascuno dei fratelli germani (questa norma non interessa nel nostro caso, visto che c'era un solo fratello). Se il fratello della defunta, come in questo caso, è premorto, il diritto alla quota di un terzo passa a suo figlio in virtù del diritto di rappresentazione (istituto che fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questo non possa o non voglia accettare l'eredità, vedi l'art. 467 del c.c.).

Quindi, nel caso esposto, il nipote ha diritto ad un terzo dell'eredità della zia.

Anna B. chiede
venerdì 24/04/2015 - Piemonte
“Sono coniugata con 2 figli e sorella germana di 1 solo fratello. Mio fratello è sposato in regime di separazione dei beni senza figli. In caso di suo decesso io O i miei figli abbiamo diritto a 1/3 dei beni che mio fratello ha ereditato dai nostri genitori? Solo dei beni da lui ereditati o di tutti i beni a lui intestati? In caso avesse fatto testamento con disposizioni diverse?”
Consulenza legale i 04/05/2015
Nel caso di specie dobbiamo tenere distinte l'eredità dei genitori dei due fratelli e l'eredità (ancora da aprirsi) del fratello, ad oggi in vita.

Secondo la legge, in assenza di testamento, i figli succedono ai genitori in parti uguali (art. 566 del c.c.). In ogni caso, anche se c'è un testamento che dispone a favore di altri soggetti (es. un parente lontano, un amico, ...) ai figli (quando sono due o più) è riservata la quota dei due terzi, da dividersi in parti uguali (art. 542 del c.c.): in altre parole, il genitore può disporre liberamente di un terzo del suo patrimonio, mentre i due terzi spettano per legge ai figli.
La legge specifica che in caso di concorso tra i figli (se sono più di uno) e il coniuge (es. muore il padre e sopravvivono la moglie e due figli), ai figli è complessivamente riservata la metà del patrimonio, mentre al coniuge spetta un quarto del patrimonio del defunto.

Va precisato che i beni che il fratello ha ereditato dai genitori - per la sua quota di spettanza - sono entrati a far parte del suo patrimonio personale. Quindi, morti i genitori, la loro eredità suddivisa tra i figli entra a far parte del patrimonio di questi (si dice tecnicamente che si "confondono" i patrimoni).
Dal punto di vista giuridico, ad esempio, se i genitori erano proprietari degli immobili A e B, e alla loro morte A va al primo figlio e B va alla seconda figlia, A risulterà di proprietà del figlio e B di proprietà della figlia.

Ciò chiarito, in caso di decesso del fratello, in assenza di testamento, la suddivisione del suo patrimonio - in cui, come spiegato, sono già entrati i beni dei genitori che ha ricevuto per successione ereditaria - sarebbe la seguente:
- al coniuge del fratello sarebbero devoluti i due terzi dell'eredità;
- la parte residua sarebbe devoluta alla sorella (art. 582 del c.c.). Se la sorella fosse premorta, potrebbero subentrare al suo posto i suoi due figli, per diritto di rappresentazione (art. 467 del c.c.).

Il fratello, però, ha la possibilità di fare testamento a favore di chi preferisce. Potrà escludere dall'eredità la sorella, in quanto essa non gode di alcun diritto di "legittima" ai sensi dell'art. 536 ("Le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione sono: il coniuge, i figli, gli ascendenti"); ma non potrà escludere dall'eredità la moglie, in quanto ella ha diritto ad una quota di legittima pari alla metà del patrimonio, quando non vi sono figli (art. 540 del c.c.).

Si precisa, in conclusione, che il fatto che il fratello si trovi in regime di separazione dei beni con la moglie non ha alcun effetto sulle regole successorie: la differenza rispetto alla comunione consiste solo nel fatto che, in questa ipotesi, i beni caduti in comunione durante il matrimonio (v. art. 177 del c.c.) sarebbero stati attribuiti automaticamente per metà alla moglie alla morte del coniuge.

A. F. chiede
domenica 12/05/2024
“Mio fratello Tizio è morto il 14/8/13, sua moglie ha presentato un testamento,dove era chiamata erede universale. Con sentenza della Corte d'Appello, passata in giudicato, sei mesi fa, il testamento è stato giudicato FALSO.<br />
La moglie Caia è deceduta il 30/4/24, aveva accettato l'eredità tacitamente, ma per oltre 10 anni non aveva fatto la successione di beni immobili e deposito bancario.Ha abitato nella casa coniugale, intestata solo a suo marito.<br />
I due coniugi non avevano figli, né in comune né con altri partners.<br />
Hanno entrambi fratelli viventi.<br />
I fratelli della moglie ,potenzialmente INDEGNA, cosa possono vantare, prima e poi , dopo un giudizio d' Indegnità?<br />
Io fratello del dr cuius, testatore, come mi devo comportare?<br />
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Mi avete già dato altra consulenza, prima della morte di Caia.<br />
Grazie, distinti saluti.<br />
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Consulenza legale i 23/05/2024
La sentenza della Corte d’Appello, nel confermare quella del Tribunale di primo grado, non lascia alcun dubbio sulla falsità del testamento del de cuius, mentre nulla statuisce sulla riconducibilità di quella scheda testamentaria al coniuge superstite, ovvero colei che da quel testamento ne ha tratto e ne avrebbe continuato a trarre vantaggio in qualità di erede universale.

E’ certamente corretto, dunque, usare con riferimento alla stessa l’espressione “potenzialmente indegna”, non potendosi, allo stato attuale, né addebitare alla medesima la formazione di quella scheda testamentaria né asserire che ella ne abbia fatto “scientemente” uso.
Ciò posto, occorre adesso cercare di chiarire quali possono essere gli effetti che l’accertata falsità di quel testamento è destinato a produrre a seconda che tale falsità sia da addebitare o meno alla moglie.

Ipotesi in cui sia stata la moglie a formare il testamento falso o farne scientemente uso.
Di tale ipotesi ci si è occupati nella precedente consulenza ed in quell’occasione si è detto che il soggetto o i soggetti interessati, una volta accertata la sussistenza della causa di indegnità, hanno dieci anni di tempo per promuovere l’azione volta a far valere l’indegnità (con la precisazione che la relativa sentenza ha natura costitutiva).
Fino a tale momento vale il principio, fatto proprio dalla giurisprudenza prevalente, secondo cui l’indegno potest capere sed non ritenere, il che significa che, solo a seguito del positivo esperimento dell’azione di indegnità, l’indegno sarà tenuto a restituire all’erede o agli eredi veri quanto precedentemente ricevuto (per la restituzione dei beni ereditari l’erede vero dovrà avvalersi della c.d. azione di petizione ereditaria).
Da ciò ne consegue che, una volta dichiarato nullo il testamento per falsità, se dovesse essere accertata anche la sussistenza dei presupposti per dichiarare indegna la moglie del de cuius, si aprirà la successione legittima ed il coniuge superstite alla data di apertura della successione non potrà farsi rientrare tra i chiamati all’eredità.

Si tenga presente, infatti, che l’indegnità è sancita dal codice civile a titolo di pena c.d. privata, in quanto ripugna alla coscienza sociale che si possa succedere al soggetto in danno del quale siano stati commessi fatti gravi.
Proprio perché si tratta di sanzione non avente carattere penale, non può costituire ostacolo all’esercizio della relativa azione la morte dell’indegno avvenuta successivamente all’apertura della successione.
In questo senso si esprime sia la dottrina che la giurisprudenza, ed in particolare si ritiene particolarmente pertinente al caso di specie la sentenza della Corte di Cass. Sez. II civ. n. 3096/2005, così massimata:
“La sentenza che dichiara l'indegnità ha natura costitutiva e anche carattere retroattivo, com'è testimoniato dal fatto che l'erede indegno che abbia di fatto goduto dell'eredità del de cuius deve restituire non solo l'eredità, ma anche i frutti pervenutigli dopo l'apertura della successione (art. 464 del c.c.). La circostanza che la sentenza operi ex tunc, escludendo l'indegno dalla successione, impedisce che il patrimonio del de cuius possa essere ritenuto nel patrimonio dell'indegno, per cui, salvi i casi di successione per rappresentazione, non può l'indegno lasciare ai suoi eredi ciò che non è nel suo patrimonio: è possibile procedere all'accertamento delle condizioni per applicare la sanzione dell'indegnità a succedere anche quando il soggetto asseritamente indegno non sia più in vita”.

In considerazione di quanto detto sopra, pertanto, a seguito della dichiarazione di indegnità del coniuge superstite si verranno a trovare nella posizione di chiamati all’eredità soltanto i fratelli e le sorelle del de cuius ex art. 570 del c.c., i quali potranno far valere il loro diritto alla restituzione dei beni facenti parte del patrimonio del de cuius anche nei confronti degli eredi della moglie dichiarata indegna.


Ipotesi in cui non dovesse essere accertata l’indegnità della moglie.
La nullità del testamento olografo per apocrifia della sottoscrizione del de cuius (dichiarata con sentenza del Tribunale di primo grado confermata in appello) comporta il venir meno della successione testamentaria e l’apertura della successione legittima, alla quale sono chiamati a concorrere il coniuge superstite ed i fratelli e le sorelle del de cuius.
Più precisamente, troverà applicazione l’art. 582 del c.c., il quale dispone che al coniuge sono devoluti i due terzi dell’eredità, mentre il restante terzo va diviso in parti uguali tra fratelli e sorelle.
Essendo nel frattempo intervenuta di recente anche la morte del coniuge superstite (e non essendo stata la stessa dichiarata indegna di succedere), saranno gli eredi di quest’ultima a far propri quei due terzi del patrimonio del de cuius originario, in quanto trattasi di beni entrati ormai a far parte del patrimonio della stessa.
Pertanto, i fratelli e le sorelle di Vincenzo avranno diritto a concorrere con gli eredi di Cecilia sul patrimonio dello stesso Vincenzo in ragione di un terzo indiviso.


R. T. chiede
venerdì 11/11/2022 - Toscana
“Mia moglie è morta a dicembre 2021 senza testamento e io sto compilando il modulo per la successione legittima che prevede come aventi diritto, il coniuge e 4 fratelli. Nel frattempo, a marzo 2022 è morto uno dei fratelli, lasciando un figlio.
Chi devo indicare come erede, il fratello morto ma vivo al momento della morte di mia moglie, o suo figlio?
Grazie.”
Consulenza legale i 17/11/2022
La fattispecie che qui si prospetta configura un’ipotesi di trasmissione del diritto di accettazione dell’eredità, istituto giuridico previsto e disciplinato dall’art. 479 c.c., il quale al suo primo comma dispone che se il chiamato all’eredità (per legge o per testamento) muore senza averla accettata, il diritto di accettare si trasmette ai suoi eredi.
Per comodità di esposizione si può individuare con Tizia la moglie deceduta, con Caio il fratello successivamente defunto e con Caietto il figlio di quest’ultimo.
Alla morte di Caio, il figlio Caietto subentrerà nell’intera posizione giuridica del defunto Caio, compresa l'eventuale sua posizione di chiamato ad altra eredità.
Di conseguenza, il diritto di accettare l'eredità si trasmette agli eredi del chiamato, che sono così preferiti rispetto ai chiamati ulteriori del primo defunto.
Presupposto della trasmissione della delazione è che vi sia un chiamato all'eredità che deceda prima di avere acquistato l'eredità e senza avere perduto il diritto di accettarla, ciò che si ritiene sia accaduto proprio nel caso di specie.

Come si può facilmente evincere da una semplice lettura dell’art. 479 c.c., il primo comma afferma che il beneficiario deve essere "erede" del trasmittente e non semplice chiamato, ciò che trova ulteriore specificazione all'ultimo comma della medesima norma, ove viene ribadito che la rinunzia all'eredità del trasmittente include quella all'eredità che al medesimo è devoluta.
La norma va interpretata nel senso che in ogni caso di mancato acquisto dell'eredità non si ha neppure trasmissione, mentre non è vero il contrario, e cioè che una volta acquistata l'eredità del trasmittente, è ben possibile rifiutare quella del primo defunto, senza per ciò violare il divieto di accettazione parziale, trattandosi di due distinte eredità.

Dopo aver cercato di delineare la situazione che si presenta sotto il profilo giuridico, è possibile a questo punto analizzare la medesima situazione da un punto di vista tecnico ed operativo, ai fini di una corretta presentazione della denuncia di successione.

Ora, secondo una prima tesi sarebbe possibile presentare una sola dichiarazione di successione, ossia quella di Tizia, indicando direttamente come coerede Caietto e Caio come rinunziatario ex art. 479 c.c.
Contraria a tale tesi e modalità operativa è l'Agenzia delle Entrate, la quale con Risoluzione 234/E del 2009 e Risposta n. 42 del 12 febbraio 2019) si è espressa nel seguente modo:
Chi acquisisce il patrimonio relitto in via definitiva (a seguito di plurimi e temporalmente successivi decessi di propri danti causa) dovrà soggiacere all'onere di presentare, oltre alla propria dichiarazione anche le precedenti (nel caso in cui non vi abbiano o non abbiano potuto provvedervi i precedenti chiamati) e sottoporsi a più tassazioni per effetto del meccanismo successorio, secondo cui il chiamato all'eredità, che abbia o meno manifestato la volontà di accettare, è soggetto, per l'appunto, all'obbligo di presentare la dichiarazione di successione e di corrispondere l'imposta dovuta”.

Corretta e preferibile, dunque, è la tesi secondo cui occorre presentare due dichiarazioni di successione, e precisamente:
1) la prima, quella di Tizia, indicando come erede il fratello Caio, vivo al momento della morte di Tizia;
2) la seconda, che dovrà essere presentata da Caietto, indicando nell’attivo ereditario anche il diritto di accettare l’eredità di Tizia.

Per ogni successione andranno corrisposte le relative imposte ipo-catastali, la tassa ipotecaria, l’imposta di bollo ed i tributi speciali.

Per quanto concerne la determinazione delle quote, trattandosi di successione legittima, occorrerà fare riferimento a quanto disposto dall’art. 582 del c.c., norma che disciplina, appunto, il concorso del coniuge con ascendenti, fratelli e sorelle.
In particolare, al coniuge superstite andranno i due terzi del patrimonio ereditario, mentre il restante terzo verrà diviso in parti eguali tra fratelli e sorelle.
In termini di quote si avrà che al coniuge andranno 8/12, mentre ai fratelli 1/12 ciascuno (è in ragione di tale quota che Caietto avrà il diritto di accettare l’eredità della zia Tizia).

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