Cass. civ. n. 14858/2022
L'equo indennizzo liquidato "iure hereditatis" va riconosciuto per intero all'erede istante, e non pro-quota, in osservanza del principio secondo cui i crediti del "de cuius", a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico, in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, essendo la regola della ripartizione automatica dell'art. 757 c.c. prevista solo per i debiti.
Cass. civ. n. 4831/2019
La vendita, da parte di uno dei coeredi, di un bene rientrante nella comunione ereditaria ha solo effetto obbligatorio, essendo la sua efficacia reale subordinata all'assegnazione del bene medesimo al coerede-venditore attraverso la divisione, giacché, sino a tale momento, il detto bene continua a fare parte della comunione e, finché quest'ultima perdura, il compratore non può ottenere la proprietà esclusiva di una singola parte materiale della cosa né, tantomeno, la quota ideale di uno specifico bene, in proporzione alla quota di eredità che compete al coerede alienante, essendo quest'ultimo titolare esclusivamente di una quota di eredità - intesa come "universitas" e, dunque, di per sé già alienabile - al cui interno non è certo che rientri, in occasione della divisione, la proprietà della "res" alienata. (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 04/04/2014).
Cass. civ. n. 4730/2015
L'atto di divisione, in ragione della sua natura meramente dichiarativa, non è idoneo a fornire la prova della titolarità del bene nei confronti dei terzi, mentre assume rilevanza probatoria nella controversia sulla proprietà tra i condividenti o i loro aventi causa, giacché la divisione, accertando i diritti delle parti sul presupposto di una comunione di beni indivisi, postula necessariamente il riconoscimento dell'appartenenza delle cose in comunione.
Cass. civ. n. 406/2014
In tema di comunione ereditaria, il principio della natura dichiarativa della sentenza di divisione opera esclusivamente in riferimento all'effetto distributivo, per cui ciascun condividente è considerato titolare, sin dal momento dell'apertura della successione, dei soli beni concretamente assegnatigli e a condizione che si abbia una distribuzione dei beni comuni tra i condividenti e le porzioni a ciascuno attribuite siano proporzionali alle rispettive quote; esso non opera, invece, e la sentenza produce effetti costitutivi, quando ad un condividente sono assegnati beni in eccedenza rispetto alla sua quota, in quanto rientranti nell'altrui quota. Ne consegue che gli interessi compensativi sul conguaglio decorrono soltanto dal passaggio in giudicato della sentenza costitutiva che fa cessare lo stato di indivisione mediante attribuzione ad un condividente di un bene eccedente la sua quota.
Cass. civ. n. 737/2012
Ai sensi dell'art. 757 c.c., la vendita da parte di un coerede dei diritti allo stesso spettanti su alcuni beni facenti parte della comunione ereditaria, avendo effetti puramente obbligatori, non fa subentrare l'acquirente nella comunione stessa, a meno che non risulti, anche attraverso il comportamento delle parti (rappresentato, ad esempio, dall'inserimento dell'acquirente nella gestione della comunione), l'intenzione delle stesse, pur attraverso la menzione dei soli beni economicamente più significativi, di trasferire l'intera quota spettante all'alienante.
Cass. civ. n. 21013/2011
Il principio della dichiaratività della divisione, di cui all'art. 757 c.c., opera inderogabilmente con riguardo unicamente alla retroattività dell'effetto distributivo, per cui ciascun condividente è reputato titolare sin dal momento della successione dei (soli) beni concretamente assegnatigli od attribuitigli e dei relativi frutti non separati. Viceversa - per quanto attiene ai frutti separati ed agli altri incrementi oggettivi dei beni ereditari verificatisi anteriormente "manente comunione" - il suddetto principio non ha ragione di operare e tali incrementi si presumono, salvo patto contrario, acquisiti alla massa e così automaticamente alla titolarità "pro quota" di ciascun coerede. Ne consegue che, all'atto di scioglimento della comunione, il possessore del cespite ereditario ha l'obbligo di rendere il conto in relazione ai frutti maturati prima della divisione.
Cass. civ. n. 7231/2006
L'effetto dichiarativo-retroattivo della divisione — che poggia in via esclusiva sull'art. 757 c.c. e che l'art. 1116 c.c. estende al rapporto fra comproprietari che non sono coeredi — comporta che ciascun condividente sia considerato titolare
ex tunc e cioè all'apertura della successione, dei beni assegnatigli, saldando l'intervallo di tempo che separa la delazione (e la conseguente accettazione dell'eredità) dalla divisione. Tale natura dichiarativa esclude che la divisione abbia anche efficacia traslativa, poiché l'atto che la dispone (consista in una sentenza o in un contratto) non comporta un effetto di trasferimento fra i condividenti nei rapporti reciproci, né fra la comunione che si scioglie ed i singoli condividenti, dal momento che il titolo di acquisto del singolo condividente è da farsi risalire non all'atto divisionale, ma all'originario titolo che ha costituito la situazione di comproprietà, sciolta poi con la divisione, senza che possa ritenersi che gli effetti dell'atto che ha dato origine alla comunione si incrementino a seguito della divisione, poiché essi si modificano soltanto sotto l'aspetto qualitativo (ovvero passando dalla quota indivisa al bene attribuito con l"`apporzionamento"), essendosi l'acquisto del coerede o del comproprietario di cose comuni già realizzato. (Nella specie, la S.C., ha confermato la sentenza impugnata con la quale, in un caso di riscatto agrario esercitato dai ricorrenti con riferimento ad un contratto di vendita del 1990 avente ad oggetto solo una quota indivisa pari alla metà del fondo dedotto in controversia, era stato correttamente ritenuto che l'oggetto dell'azione di riscatto non poteva essere più ampio di quella metà indivisa, non potendosi estendere, in particolare, alla seconda metà indivisa non oggetto della vendita stessa; poiché l'acquisto di quest'ultima era conseguita soltanto alla divisione intervenuta nel 1991, che non essendo qualificabile come atto di trasferimento a titolo oneroso, non poteva essere suscettibile di prelazione e riscatto).
Cass. civ. n. 2483/2004
In tema di divisione giudiziale, qualora al condividente sia assegnato un bene di valore superiore alla sua quota, il diritto al conguaglio dovuto agli altri comunisti sorge dal momento e per effetto del provvedimento definitivo di scioglimento della comunione, e ciò indipendentemente dalla natura — dichiarativa o costitutiva — attribuita alla relativa sentenza, posto che anche nel primo caso l'efficacia retroattiva della pronuncia è limitata, ai sensi dell'art. 757 c.c., all'effetto distributivo dei soli beni concretamente assegnati in proporzione del valore delle relative quote. Ne consegue che gli interessi sul conguaglio, che sono di natura corrispettiva, decorrono soltanto dal momento in cui, con il provvedimento definitivo, è cessato lo stato di indivisione delle cose comuni, in pendenza del quale i frutti maturati fino al momento della divisione spettano ai comunisti in proporzione delle rispettive quote di partecipazione. Pertanto non è configurabile a favore del condividente non assegnatario il diritto agli interessi compensativi sul capitale — la cui corresponsione postula il mancato godimento dei frutti della cosa propria — atteso che anche nel caso in cui il bene sia assegnato a colui che durante la comunione ne aveva il possesso, gli altri condividenti — in quanto esclusi dal godimento — avranno diritto, per il periodo precedente il provvedimento di scioglimento della concessione, soltanto al rendiconto della gestione e alla corresponsione degli interessi corrispettivi sulle somme loro eventualmente dovute in relazione ai frutti maturati e non percepiti.
Cass. civ. n. 9659/2000
Il principio della natura dichiarativa della sentenza di divisione opera esclusivamente in riferimento all'effetto distributivo, per cui ciascun condividente è considerato titolare, sin dal momento dell'apertura della successione, dei soli beni concretamente assegnatigli e a condizione che si abbia una distribuzione dei beni comuni tra i condividenti e le porzioni a ciascuno attribuite siano proporzionali alle rispettive quote; non opera invece, e la sentenza produce effetti costitutivi, quando ad un condividente sono assegnati beni in eccedenza rispetto alla sua quota, in quanto rientranti nell'altrui quota.
Cass. civ. n. 8259/1993
Con riguardo alla promessa di vendita da parte di un coerede della propria quota ideale di comproprietà di un bene ereditario indiviso (e non, quindi di una quota materiale concretamente individuata del bene medesimo), che costituisca l'unico bene dell'eredità, l'effetto traslativo dell'alienazione non resta subordinato alla condizione sospensiva dell'assegnazione in sede di divisione della quota del bene al coerede promittente, essendo quest'ultimo, al momento della conclusione del contratto, proprietario esclusivo della quota promessa in vendita e potendo di questa liberamente disporre ai sensi dell'art. 1103 c.c., immettendo così il promissario acquirente nella comproprietà del bene.
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Per stabilire, ai fini del diritto di prelazione e retratto del coerede (art. 732 c.c.), se la promessa di vendita da parte di altro coerede della propria quota di comproprietà di un bene ereditario abbia ad oggetto una quota di un bene determinato o la quota ereditaria del promittente, la circostanza che l'immobile, la cui quota è oggetto del preliminare, costituisca l'unico bene dell'eredità giustifica la presunzione (iuris tantum) dell'alienazione della quota di eredità, che può tuttavia essere vinta da altri elementi sintomatici di una diversa volontà delle parti desunti dal tenore letterale della convenzione, quali la mancanza di ogni riferimento alla consistenza del compendio ereditario o all'accollo di eventuali passività.
Cass. civ. n. 2975/1991
In tema di divisione ereditaria i frutti naturali della cosa comune già separati al momento della divisione sono di proprietà di tutti i partecipanti, in conformità del disposto degli artt. 820, 821, c.c. e non possono quindi, sulla diversa volontà delle parti, diventare di proprietà esclusiva del condividente cui sia stato assegnato il bene che li ha prodotti. Invece, nell'ipotesi in cui i frutti stessi non siano stati ancora separati al momento della divisione, è operante l'efficacia retroattiva dell'art. 757 c.c., con la conseguenza che il condividente assegnatario ha il diritto di percepire per l'intero i frutti stessi anche se riferibili al periodo in cui il bene che li ha prodotti era comune.