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Articolo 1175 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Comportamento secondo correttezza

Dispositivo dell'art. 1175 Codice Civile

(1)Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza [1227, 1337, 1338, 1339, 1358, 1366, 1375, 1391, 1460, 1746 1, 1759, 1805 1, 1914, 2598, n. 3; 88 c.p.c.](2).

Note

(1) Art. così modificato ex art. 3, comma 2, d.lgs.lgt. 14 settembre 1944, n. 287.
(2) L'articolo fa riferimento al concetto di correttezza, a cui può affiancarsi quello di buona fede in senso oggettivo, cioè il dovere di comportarsi con lealtà ed onestà. Entrambi i concetti sono generici, privi di contenuto specifico, che deve essere loro attribuito dal giudice in sede di definizione dei casi concreti a lui sottoposti. Da tali clausole derivano: per il debitore il dovere di eseguire tutte quelle prestazioni strumentali o accessorie necessarie a soddisfare in maniera completa l'interesse del creditore; per il creditore il dovere alla cooperazione con il debitore, al fine di evitare che l'adempimento sia per quest'ultimo eccessivamente o inutilmente oneroso.

Ratio Legis

Il dovere di correttezza si fonda sul principio di solidarietà sociale, previsto dall'art. 2 Cost., che impone, in particolare, ai soggetti dell'obbligazione un dovere reciproco di collaborazione. Il principio trova importanti applicazioni anche in materia di trattative (v. 1337 c.c.), interpretazione (v. 1366 c.c.) ed esecuzione (v. 1375 c.c.) del contratto, e va distinto dalla diligenza (v. 1176 c.c.).

Spiegazione dell'art. 1175 Codice Civile

Il principio della correttezza

La disposizione è nuova nel codice, ma si potrebbe, tuttavia, ricercarne una fonte indiretta nell'art. 1224 del codice del 1865 — per il quale la diligenza che si deve impiegare nell'adempimento è sempre quella del buon padre di famiglia — opportunamente integrato con la norma di cui all'art. 1118 — secondo cui i contratti devono essere eseguiti in buona fede ed obbligano non solo a quanto è nei medesimi espresso, ma anche a tutte le conseguenze che secondo l'uso o la legge ne derivano.

L'art. 1175 equipara, ai fini della loro condotta nell'ambito del rapporto obbligatorio, il debitore al creditore, anche se di quest’ultimo non si può disconoscere la preminenza nei confronti dell’altro. Ad ambedue, infatti, l'articolo impone l'obbligo di tenere un particolare comportamento che è dato dalle regole della correttezza e che si si rivela quale dovere giuridico generale e necessario per un'ordinata convivenza sociale, lo « stile morale della persona, che indica spirito di lealtà, abito di virile fermezza, di chiarezza e di coerenza, fedeltà e rispetto a quei doveri che, secondo la coscienza generale, devono essere osservati nei rapporti tra i consociati », va, però, qualificato ancora perché deve essere in armonia al dovere della solidarietà in particolare e di socialità più in generale.

Il principio della correttezza, reclamato dal nuovo codice per i soggetti di un vincolo obbligatorio in genere (volontario o legale), trova viva corrispondenza in altri ispirati agli stessi postulati: quello del dovere della buona fede imposto ai soggetti di un rapporto contrattuale allo scopo di far valere ed osservare i propri diritti ed obblighi con riguardo all'armonia dei rispettivi interessi, e in quelli superiori della vita economica della Nazione, con cui sono organicamente collegati.

Per l'articolo in commento, quindi, mentre al debitore è imposto di considerare l'interesse del creditore, anche a costui è fatto obbligo di tenere nel dovuto riguardo l'interesse del debitore, poichè l'uno e l'altro interesse vanno considerati non come fini a se stessi ma come mezzi per assicurare il coordinamento e la collaborazione delle multiformi attività dei singoli. È questo, in astratto, il concetto della correttezza di cui parla l'art. 1175 ma, in concreto, il suo contenuto si sottrae a qualsiasi precisazione poiché lo stesso legislatore, avendone avvertito la difficoltà, ha preferito adoperare una formula ampia, così da consentirne di adattarsi ad ogni situazione di fatto sulla quale potrà essere chiamato a portare il suo equilibrato giudizio di merito.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

558 Il codice civile, pur considerando preminente la posizione del creditore, ha ritenuto, nell'art. 1175 del c.c., di imporgli un dovere di correttezza, e di parificarne la situazione, da tal riflesso, a quella fatta al debitore: il debitore, per il medesimo art. 1175 del c.c., è infatti tenuto a identico contegno. La correttezza è uno stile morale della persona che indica spirito di lealtà, abito virile di fermezza, di chiarezza e di coerenza, fedeltà e rispetto a quei doveri che, secondo la coscienza generale, devono essere osservati nei rapporti tra consociati. Ma la correttezza che impone l'art. 175 del c.c. citato non è soltanto un generico dovere di condotta morale; è un dovere giuridico qualificato dall'osservanza dei principi di solidarietà corporativa a cui il codice, nell'articolo richiamato, espressamente rinvia. Questo dovere di solidarietà nasce e deve nascere dal fatto di sentirsi membri, con pari dignità morale, di quel grande organismo che è la società nazionale; esso non è che il dovere di comportarsi in modo da non ledere l'interesse altrui fuori dei limiti della legittima tutela dell'interesse proprio, in maniera che, non soltanto l'atto di emulazione ne risulta vietato (art. 833 del c.c.), ma ogni atto che non implica il rispetto equanime dell'interesse del terzi, ogni atto di esercizio del diritto che, nell'esclusivo e incivile perseguimento dell'interesse proprio, urti contro l'interesse pubblico al coordinamento delle sfere individuali. Il conflitto tra contrastanti interessi individuali rimane risolto sul terreno di un preciso adeguamento reciproco, dominato e chiarito dalla calda luce della dottrina fascista, che lega gli interessi di tutti in unione indissolubile. Si suole parlare di solidarietà degli interessi della produzione o di solidarietà tra i fattori della produzione; ma la solidarietà tra singoli interessi individuali è un'ulteriore conseguenza della concezione unitaria della Nazione, consacrata nella dichiarazione I della Carta del lavoro. L'interesse privato, in una legge di coordinamento e di collaborazione, quale è quella che si trae dal principio corporativo, deve animarsi delle ragioni della generalità, per conciliarsi con l'interesse degli altri soggetti. Da ciò l'assunzione, nel rapporto obbligatorio, di un contenuto di solidarietà, che impone la contemporanea protezione di ogni interesse, nelle sue esigenze essenziali, in confronto ad altro fattore concorrente. Trasferito tale concetto di solidarietà nell'ambito del rapporto obbligatorio, si affievolisce in questo ogni dato egoistico, e si richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore. Quale sia in concreto il contenuto del dovere di correttezza il nuovo codice non dice, avendo preferito una formula elastica che ammette adattamenti con riferimento a singole situazioni di fatto; e così quando incide, ad esempio, nell'orbita di rapporti professionali è ovvio che la sua nozione si precisa alla stregua degli usi relativi all'attività alla quale si deve aver riguardo nell'ipotesi specifica (art. 2598 del c.c.).

Massime relative all'art. 1175 Codice Civile

Cass. civ. n. 7467/2023

Il datore di lavoro ha il potere, ma non l'obbligo, di controllare in modo continuo i propri dipendenti, contestando loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento, atteso che un simile obbligo, non previsto dalla legge né desumibile dai principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., negherebbe in radice il carattere fiduciario del lavoro subordinato, sicché la tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi dell'infrazione ove avesse controllato assiduamente l'operato del dipendente, ma con riguardo all'epoca in cui ne abbia acquisito piena conoscenza.

Cass. civ. n. 29206/2022

La nomina del Segretario generale del Consiglio regionale del Lazio non costituisce atto politico, ma amministrativo, che, seppur caratterizzato da ampia discrezionalità, deve rispettare i principi di imparzialità, buon andamento, oggettività e trasparenza dell'azione della P.A., nonché le clausole generali di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono all'Amministrazione di indicare, in via preventiva, i requisiti professionali necessari per l'affidamento dell'incarico, di adottare adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali, di comparare le posizioni dei vari candidati e di esternare le ragioni giustificatrici delle scelte; la violazione di tali oneri procedimentali integra un inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile.

Cass. civ. n. 13342/2022

In conformità ai principi di buona fede e correttezza, per consentire la liberazione del bene immobile dagli effetti pregiudizievoli del pignoramento, il creditore che è stato soddisfatto deve rinunciare agli atti esecutivi senza necessità di alcuna sollecitazione del debitore ed entro un termine ragionevolmente contenuto: ne deriva che il ritardo ingiustificato comporta la responsabilità risarcitoria del creditore nei confronti del debitore che sia stato conseguentemente danneggiato. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva disatteso la domanda di risarcimento del danno extracontrattuale avanzata dai promissari acquirenti nei confronti dei creditori procedenti, i quali - ricevuto dagli attori il pagamento del debito dell'esecutato - avevano omesso di adoperarsi per l'estinzione del processo esecutivo attraverso il deposito di regolari atti di rinuncia).

Cass. civ. n. 10524/2022

La comparazione delle diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto dei principio di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., e il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a un reparto se detti lavoratori sono idonei - per pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perchè impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative.

Cass. civ. n. 7185/2022

Il notaio incaricato della redazione di un contratto di compravendita immobiliare è tenuto a compiere le attività preparatorie e successive, necessarie per il conseguimento del risultato pratico voluto dalle parti, rientrando tra i suoi doveri anche l'obbligo di consiglio o dissuasione, la cui omissione è fonte di responsabilità per violazione delle clausole generali di buona fede oggettiva e correttezza, ex artt. 1175 e 1375 c.c., quali criteri determinativi ed integrativi della prestazione contrattuale, che impongono il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della parte. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto responsabile, per inadempimento del contratto d'opera professionale, il notaio, il quale aveva rogato quattro atti di compravendita - con previsione di pagamento rateale e clausola di rinuncia della venditrice all'iscrizione di ipoteca legale - e, lo stesso giorno e nei due giorni successivi, aveva rogato altri quattro atti di rivendita a terzi dei medesimi cespiti da parte dello stesso acquirente, spogliatosi così dei beni costituenti garanzia patrimoniale generica per il pagamento del prezzo).

Cass. civ. n. 1756/2022

Affinché la procedura di risarcimento descritta dall'art. 145 cod. ass. possa operare è indispensabile che la compagnia assicuratrice sia posta in condizione di adempiere al dovere e, cioè, di formulare un'offerta congrua, ciò che richiede sia un presupposto formale, ovvero la trasmissione di una richiesta contenente elementi sufficienti a permettere all'assicuratore di accertare le responsabilità, stimare il danno e formulare l'offerta, sia un requisito sostanziale, e ciò in quanto la collaborazione tra danneggiato e assicuratore della r.c.a., nella fase stragiudiziale, impone correttezza (art. 1175 c.c.) e buona fede (art. 1375 c.c.). Tale dovere di collaborazione non può ritenersi sussistente ove il danneggiato si sottragga all'ispezione del mezzo e pertanto all'attività utile alla ricostruzione della dinamica dell'incidente e alla formulazione di una congrua offerta risarcitoria.

Cass. civ. n. 29164/2021

Nel contratto di agenzia, l'attribuzione al preponente del potere di modificare talune clausole e, in particolare, quelle relative all'ambito territoriale ed alla misura delle provvigioni, può trovare giustificazione nella necessità di meglio adeguare il rapporto alle esigenze delle parti, così come modificatesi durante il decorso del tempo, occorrendo tuttavia -affinché non ne rimanga esclusa la forza vincolante del contratto nei confronti di una delle parti contraenti - che tale potere abbia dei limiti e, in ogni caso, sia esercitato dal titolare con l'osservanza dei principi di correttezza e buona fede. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, che aveva ravvisato nell'intervenuta riduzione unilaterale del portafoglio clienti affidato all'agente - con conseguente necessità di rimodulazione dell'attività di impresa di quest'ultima, da focalizzare esclusivamente sull'acquisizione di nuova clientela - un inadempimento colpevole e di non scarsa importanza del proponente, tale da non consentire la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto).

Cass. civ. n. 27089/2021

Salvo il giudicato interno, l'eccezione di frazionamento del credito sollevata dalla parte non soggiace a preclusioni, in quanto, attenendo alla proponibilità della domanda, è rilevabile anche di ufficio dal giudice, il quale, ove provveda in tal senso, è tenuto ad assegnare al creditore un termine a difesa, al fine di consentirgli di provare l'esistenza di un interesse alla tutela processuale. (In contrasto con tale principio, il giudice di pace, nella causa di opposizione a due decreti ingiuntivi azionati da un avvocato, aveva invece omesso di concedere all'opposto un termine per replicare all'eccezione di frazionamento del credito sollevata con memoria dall'opponente). (Cassa con rinvio, TRIBUNALE TREVISO, 19/11/2015).

Cass. civ. n. 26541/2021

L'abuso del diritto non presuppone una violazione in senso formale, ma si realizza quando nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo esercizio, ne risulti alterata la funzione obiettiva rispetto al potere che lo prevede ovvero lo schema formale del diritto sia finalizzato ad obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal legislatore. Elementi sintomatici ne sono pertanto: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrificio cui è soggetta la controparte. (In attuazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la pronuncia di merito nella parte in cui, eccepito dall'assegnataria della casa familiare l'abuso del diritto per l'ordine di rilascio da parte del terzo proprietario, la Corte d'Appello non aveva considerato che l'immobile, già di proprietà del marito e destinato ad abitazione della famiglia, in coincidenza con il manifestarsi della crisi coniugale ed all'insaputa della moglie, era stato dallo stesso venduto al padre, che, a sua volta, gliene aveva ceduto la disponibilità con contratto di comodato gratuito). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 19/03/2019).

Cass. civ. n. 7409/2021

Il creditore che introduca un giudizio di cognizione o inizi una procedura esecutiva senza altro scopo che quello di far lievitare il credito, attraverso la moltiplicazione di spese di esazione esose ed evitabili, viola l'obbligo di correttezza di cui all'art. 1175c.c. art. 1175 - Comportamento secondo correttezza c.c. che gli impone di cooperare con il debitore per facilitarne l'adempimento, di non aggravarne la posizione e di tollerare quelle minime inesattezze della prestazione che siano insuscettibili di recargli un apprezzabile sacrificio; ne consegue l'inammissibilità della domanda che presenti tali caratteristiche, integrando la detta condotta abuso del processo. (Dichiara inammissibile, TRIBUNALE ROMA, 14/03/2017).

Cass. civ. n. 3694/2020

La buona fede oggettiva, in funzione integrativa del contenuto del contratto, impone alle parti di porre in essere comportamenti comunque rientranti, secondo la legge, gli usi e l'equità, nello spettro complessivo della prestazione pattuita. Ne consegue la responsabilità professionale del notaio che, ancorché abbia autenticato le firme della dichiarazione di vendita di una vettura, non comunichi al venditore, che li abbia richiesti, i dati anagrafici dell'acquirente, pur avendo il potere di rilasciare copia ed estratti dei documenti a lui esibiti e non necessariamente depositati e nonostante venga in rilievo un atto soggetto a pubblicità mobiliare (ai sensi dell'art. 2683, n. 3, c.c.), la conservazione della cui copia, per quanto informale, rispondeva a prassi già in uso, costantemente osservata e successivamente trasfusa in atto normativo (l. n. 246 del 2005). (Cassa con rinvio, TRIBUNALE ROMA, 04/05/2017).

Cass. civ. n. 33428/2019

In base alla regola di correttezza posta dall'art. 1175 c.c., l'obbligazione del debitore si estingue a seguito della mancata tempestiva presentazione all'incasso dell'assegno bancario da parte del creditore, che in tal modo, viene meno al suo dovere di cooperare in modo leale e fattivo all'adempimento del debitore. Se, quindi, il creditore omette, violando la predetta regola di correttezza, di compiere gli adempimenti necessari affinché il titolo sia pagato, nei termini di legge, dalla banca trattaria (o da altro istituto bancario), tale comportamento omissivo deve essere equiparato a tutti gli effetti di legge all'avvenuta esecuzione della diversa prestazione, con conseguente estinzione dell'obbligazione, ex art. 1197 c.c. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ANCONA, 16/07/2015).

Cass. civ. n. 2525/2019

Il notaio che, incaricato della stipulazione di un contratto di compravendita di una quota ideale di bene in comunione ereditaria, ometta di accertarsi della sussistenza della trascrizione di una domanda di divisione, viola gli obblighi di buona fede ex art. 1175 c.c., finalizzati a garantire la più ampia tutela possibile alla libertà negoziale delle parti, incorrendo in responsabilità professionale per non aver posto l'acquirente in condizione di valutare pienamente opportunità e convenienza dell'affare all'esito della ponderazione della situazione di litigiosità della "res". (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 21/05/2014).

Cass. civ. n. 23069/2018

I doveri di correttezza e buona fede previsti dagli artt. 1175 e 1375 c.c. - essendo diretti a salvaguardare l'utilità della controparte nei limiti dell'interesse proprio, dell'accessorietà all'obbligazione pattuita e della necessità di non snaturare la causa contrattuale - non impongono al debitore di avvertire il creditore dell'imminente scadenza del termine di prescrizione del suo credito.

Cass. civ. n. 19898/2018

Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l'esecuzione del contratto ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale per ottenere l'adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale; conseguentemente, le domande giudiziali aventi ad oggetto una frazione di un unico credito sono da dichiararsi improcedibili.

Cass. civ. n. 17019/2018

In tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, il danneggiato, a fronte di un unitario fatto illecito produttivo di danni a cose e persone, non può frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente per il risarcimento dei relativi danni, neppure mediante riserva di farne valere ulteriori e diversi in altro procedimento, trattandosi di condotta che aggrava la posizione del danneggiante-debitore, ponendosi in contrasto al generale dovere di correttezza e buona fede e risolvendosi in un abuso dello strumento processuale, salvo che risulti in capo all'attore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. (In applicazione di questo principio la S.C. ha confermato la decisione impugnata che aveva ritenuto illegittima la condotta processuale dell'attore il quale, dopo aver proposto una prima azione di risarcimento per i danni materiali subiti in occasione di un sinistro stradale, ne aveva proposta una seconda per quelli alla persona, nonostante che alla data dell'esercizio della prima azione l'intero panorama delle conseguenze dannose fosse pienamente emerso).

Cass. civ. n. 15885/2018

L'abuso del diritto non è ravvisabile nel solo fatto che una parte del contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell'altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi, essendo, invece, configurabile allorché il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso configurasse un abuso il trasferimento in sedi lontane e disagiate di alcuni lavoratori, che avevano scelto di non aderire ad una proposta di conciliazione per l'accettazione della mobilità in una condizione di libera autodeterminazione e nella consapevolezza delle conseguenze di ciascuna delle opzioni esistenti).

Cass. civ. n. 3533/2018

In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, la cui ricorrenza rientra nell’onere probatorio del contribuente.(Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto elusiva l’operazione di stipula di un mutuo garantito da ipoteca su determinati immobili ed il conferimento di essi, dopo pochi giorni, in una società di capitali di cui erano soci gli stessi mutuatari, al solo scopo di beneficiare del risparmio di imposta collegato al calcolo del valore immobiliare al netto della passività accollata dalla società).

Cass. civ. n. 28964/2017

In tema di plurime obbligazioni pecuniarie relative al medesimo rapporto contrattuale di durata, non costituisce abusivo frazionamento della domanda il comportamento del lavoratore che, dopo aver già agito giudizialmente per il riconoscimento di differenze retributive e dell'indennità sostitutiva del preavviso, chieda la rideterminazione delle medesime voci per effetto del riconoscimento di un superiore inquadramento contrattuale, in considerazione dell'apprezzabile interesse a conseguire subito quanto facilmente accertabile, anche in via monitoria, con salvezza delle ulteriori ragioni creditorie all'esito del più complesso giudizio relativo alla qualifica superiore.

Cass. civ. n. 28963/2017

In tema di plurime obbligazioni pecuniarie relative al medesimo rapporto contrattuale di durata, non costituisce abusivo frazionamento della domanda il comportamento del lavoratore che, dopo aver già agito giudizialmente per il ricalcolo del TFR, assuma altra iniziativa per il pagamento del premio di risultato, in considerazione del diverso titolo costitutivo delle due pretese creditorie, il cui rispettivo accertamento non insiste nel medesimo ambito oggettivo del giudicato e richiede comunque differenti attività istruttorie.

Cass. civ. n. 4090/2017

Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benchè relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183, c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c..

Cass. civ. n. 929/2017

In tema di risarcimento dei danni derivanti da fatto illecito costituente reato, il danneggiato che abbia chiesto il risarcimento dei danni alla persona con l’atto di costituzione di parte civile nel giudizio penale ed abbia contestualmente introdotto un autonomo giudizio civile per il risarcimento dei danni alle cose, non viola il principio di infrazionabilità della domanda qualora, a seguito della definizione del giudizio penale con sentenza di patteggiamento, introduca una nuova domanda innanzi al giudice civile per i medesimi danni già richiesti in sede penale, stante il carattere necessitato della riproposizione dell’azione risarcitoria, giacché imposto dalla disposizione dell’art. 444, comma 2, c.p.p..

La proposizione di separate azioni risarcitorie per danni diversi nascenti dallo stesso fatto illecito, avvenuta anteriormente all’arresto delle Sezioni Unite che ha affermato il principio dell’infrazionabilità della domanda giudiziale per crediti derivanti da un unico rapporto, si sottrae all’applicazione del “prospective overruling”, secondo cui restano salvi gli effetti degli atti processuali compiuti dalla parte che abbia fatto incolpevole affidamento sulla stabilità di una previgente interpretazione giurisprudenziale, atteso che quella decisione non ha comportato il mutamento dell’interpretazione di una regola del processo che preveda una preclusione o una decadenza, ma ha sancito l’improponibilità delle domande successive alla prima in ragione del difetto di una situazione giuridica sostanziale tutelabile, per contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che non consente di accordare protezione ad una pretesa caratterizzata dall’uso strumentale del diritto di azione.

Cass. civ. n. 26464/2016

Qualora il lavoratore agisca in via monitoria per ottenere il pagamento di crediti retributivi e, con separato ricorso, per impugnare il licenziamento intimatogli, non sussiste un illegittimo frazionamento del credito, in quanto, benchè all'interno di un unico rapporto, si è in presenza di crediti autonomi e distinti, scaturenti da diversi fatti costitutivi, aventi differenti regimi probatori e prescrizionali; peraltro, l’imposizione di un’unica azione impedirebbe al creditore l’uso della tutela monitoria, praticabile per i soli crediti assistiti da prova scritta, né è conferente il richiamo alla ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., da valutarsi in relazione alla durata del singolo processo e non dei molteplici possibili processi fra le stesse parti.

Cass. civ. n. 22574/2016

L'attore che, a tutela di un credito nascente da un unico rapporto obbligatorio (nella specie per il pagamento di compensi professionali), agisce, dapprima, con ricorso monitorio, per la somma già documentalmente provata, e, poi, in via ordinaria, per il residuo, non viola il divieto di frazionamento di quel credito in plurime domande giudiziali, e non incorre, pertanto, in abuso del processo, - quale sviamento dell'atto processuale dal suo scopo tipico, in favore di uno diverso ed estraneo al primo - stante il diritto del creditore a ricorrere ad una tutela accelerata, mediante decreto ingiuntivo, per la parte di credito assistita dai requisiti per la relativa emanazione.

Cass. civ. n. 22503/2016

La violazione del divieto di promuovere separati giudizi per domandare il risarcimento di danni differenti causati dal medesimo fatto illecito ha per conseguenza l'inammissibilità della sola domanda di risarcimento proposta per seconda, mentre è sempre ammissibile la domanda di risarcimento proposta per prima, anche se abbia ad oggetto una parte soltanto del pregiudizio patito dalla vittima, in quanto è sempre facoltà del creditore chiedere l'adempimento parziale dell'obbligazione.

Cass. civ. n. 22037/2016

È contrario al principio di correttezza e buona fede, e si risolve in un abuso del processo, il frazionamento giudiziale di un credito qualora quest'ultimo derivi da un unico rapporto obbligatorio; tuttavia, tale ipotesi non ricorre quando il credito fatto valere si riferisca ad un rapporto contrattuale annuale, al quale hanno fatto seguito ulteriori contratti, per annualità successive, idonei a determinare l'insorgenza di rapporti obbligatori distinti anche se omologhi. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto insussistente l'abuso del processo nel caso del pagamento di prestazioni socio-assistenziali annuali dovute dalla Regione Calabria al medesimo soggetto, avendo quest'ultima stipulato più contratti annuali che davano vita a distinti rapporti obbligatori).

Cass. civ. n. 4867/2016

In tema di licenziamento non è consentito di frazionare la tutela giurisdizionale mediante la proposizione di due distinti giudizi lamentando, in uno, solo vizi formali e, nell'altro, vizi di merito, con conseguente disarticolazione dell'unitario rapporto sostanziale nascente dallo stesso fatto, trattandosi di una condotta lesiva del generale dovere di correttezza e buona fede, che si risolve in un abuso dello strumento processuale e si pone in contrasto con i principi del giusto processo.

Cass. civ. n. 4016/2016

Sussiste indebito frazionamento di pretese, dovute in forza di un unico rapporto obbligatorio, anche nel caso di unico rapporto di lavoro, fonte di crediti di natura contrattuale e legale, con collegamento ancora più stretto se i giudizi siano promossi quando le obbligazioni sono note e consolidate per essersi il suddetto rapporto già concluso, con conseguente necessità di evitare l'aggravamento della posizione del debitore nel rispetto degli obblighi di correttezza e buona fede contrattuali e in coerenza con il principio anche sovranazionale del giusto processo, volto alla razionalizzazione del sistema giudiziario, che non tollera frammentazioni del contenzioso con pericolo di giudicati contrastanti. (Omissis).

Cass. civ. n. 18230/2014

Colui il quale assume volontariamente un obbligo, ovvero inizia volontariamente l'esecuzione di una prestazione, ha il dovere di adempiere il primo o di eseguire la seconda con la correttezza e la diligenza prescritte dagli artt. 1175 e 1176 cod. civ., a nulla rilevando che la prestazione sia eseguita volontariamente ed a titolo gratuito.(Principio enunciato con riferimento alla responsabilità di un medico anestesista, fattosi carico volontariamente anche della gestione di un paziente nella fase del ricovero e della sua assistenza a domicilio nella fase post-operatoria).

Cass. civ. n. 10568/2013

L'abuso del diritto non è ravvisabile nel solo fatto che una parte del contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell'altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi, essendo, invece, configurabile allorché il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti. Ne consegue, pertanto, che, nel contratto di agenzia, l'abuso del diritto è da escludere, allorché il recesso non motivato dal contratto sia consentito dalla legge, la sua comunicazione sia avvenuta secondo buona fede e correttezza e l'avviso ai clienti si prospetti come doveroso

Cass. civ. n. 10383/2011

Le agevolazioni tributarie previste per gli stabilimenti industriali che si impiantino nei territori del Mezzogiorno e la relativa riduzione decennale dell'IRPEG e dell'ILOR per le imprese che si costituiscano in forma societaria nei territori medesimi, integrano benefici direttamente accordati dalla legge, non potendo tali iniziative imprenditoriali di per sé costituire alcun abuso del diritto, nemmeno nei confronti dei soggetti che intrattengono rapporti economici con l'impresa beneficiata, in quanto i detti risparmi fiscali - che competono indipendentemente da apposite istanze del contribuente - rappresentano la contropartita fissata dallo stesso legislatore ad incentivazione di tale costituzione e non una finalità antigiuridica.

Cass. civ. n. 20029/2010

In materia tributaria, integra gli estremi del comportamento abusivo quell'operazione economica che, tenuto conto sia della volontà delle parti implicate, che del contesto fattuale e giuridico, ponga quale elemento predominante ed assorbente della transazione lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta. La prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull'Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l'onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate. (Fattispecie in cui l'Ufficio aveva contestato alla società contribuente di aver simulato la conclusione di contratti di soccida con diversi allevatori per eludere le limitazioni imposte dalla normativa comunitaria in tema di "quote latte" e la S.C., pur condividendo il rilievo della deviazione dallo schema tradizionale dalla soccida, quale contratto associativo agrario, non ha ritenuto configurabile l'"abuso del diritto" in quanto non era stato provato dall'ufficio il vantaggio fiscale che sarebbe derivato alla società accertata dalla manipolazione degli schemi contrattuali classici).

Cass. civ. n. 20684/2009

La vittima di un fatto illecito ha l'obbligo giuridico di attivarsi, in adempimento del dovere di correttezza di cui all'art. 1175 c.c., per ridurne od eliderne le conseguenze dannose e tale obbligo sussiste anche quando l'attività necessaria per ridurre le conseguenze del danno possa portare all'eliminazione della prova di esso, venendo meno soltanto dinanzi ad attività gravose, eccezionali o che comportano notevoli rischi.

Cass. civ. n. 20106/2009

Si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti. Ricorrendo tali presupposti, è consentito al giudice di merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale, a prescindere dall'esistenza di una specifica volontà di nuocere, senza che ciò costituisca una ingerenza nelle scelte economiche dell'individuo o dell'imprenditore, giacché ciò che è censurato in tal caso non è l'atto di autonomia negoziale, ma l'abuso di esso (in applicazione di tale principio, è stata cassata la decisione di merito la quale aveva ritenuto insindacabile la decisione del concedente di recedere ad nutum dal contratto di concessione di vendita, sul presupposto che tale diritto gli era espressamente riconosciuto dal contratto).

Cass. civ. n. 28056/2008

Il principio di correttezza e buona fede - il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, «richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore» - deve essere inteso in senso oggettivo ed enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull'art. 2 della Costituzione, che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell'imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva condannato il Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR al pagamento, in favore di un proprio dipendente, della somma corrispondente agli interessi maturati sulle quote annualmente accantonate di trattamento di fine rapporto a causa degli investimenti delle stesse in buoni postali fruttiferi, effettuati tardivamente rispetto alle scadenze fissate da delibere della Giunta amministrativa dello stesso CNR). L'effetto della compensatio lucri cum damno che si riconnette al criterio di determinazione del risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1223 c.c., si verifica esclusivamente allorché il vantaggio ed il danno siano entrambi conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, quali suoi effetti contrapposti, e non quando il fatto generatore del pregiudizio patrimoniale subito dal creditore sia diverso da quello che invece gli abbia procurato un vantaggio. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva escluso che il danno patito da un dipendente del Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR per il ritardato investimento in buoni postali fruttiferi di alcune delle quote annualmente accantonate del trattamento di fine rapporto potesse compensarsi con il guadagno ottenuto dal medesimo dipendente in ragione dell'anticipato investimento di analoghe quote relative ad altre annualità).

Cass. civ. n. 23726/2007

Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l'esecuzione del contratto ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale per ottenere l'adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale.

Cass. civ. n. 264/2006

La buona fede nell'esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell'interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell'interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato la correttezza della sentenza impugnata che aveva escluso, in tema di credito fondiario, la sussistenza di un obbligo specifico dell'istituto mutuante di procedere al frazionamento nei confronti del terzo acquirente e, quindi, la violazione, da parte dello stesso istituto, di un non meglio precisato dovere di buona fede).

Cass. civ. n. 2252/2000

Il rispetto delle regole della correttezza, prescritto dall'art. 1175 c.c., non comporta che il creditore debba agevolare l'esecuzione della prestazione del debitore o comunque renderla meno onerosa di quella pattuita, ma lo obbliga soltanto a non renderla più disagevole o gravosa di quanto secondo buona fede possa attendersi.

Cass. civ. n. 12310/1999

Il principio di correttezza e buona fede, il quale secondo la Relazione ministeriale al Codice Civile, «richiama alla sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore», operando, quindi, come un criterio di reciprocità, una volta collocato nel quadro di valori introdotto dalla Carta Costituzionale, deve essere inteso come una specificazione degli «inderogabili doveri di solidarietà sociale» imposti dall'art. 2 della Costituzione. La sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge.

Cass. civ. n. 5947/1999

Il factor che si limiti a notificare al debitore ceduto l'avvenuta cessione, in proprio favore, dei crediti vantati verso quest'ultimo dal cedente, omettendo (negligentemente) di informarsi presso il debitore ceduto circa l'esistenza dei crediti, non può poi pretendere il risarcimento dei danni dal ceduto stesso per pretesa violazione di un (inesistente) obbligo di informazione, giacché il comportamento passivo o inerte del debitore ceduto, a fronte della mera comunicazione dell'avvenuta cessione, non viola il principio di correttezza e buona fede, non essendo detto debitore obbligato a porre in essere uno specifico comportamento nei confronti del cessionario tale da implicare un aggravamento della sua posizione.

Cass. civ. n. 5502/1984

Il principio sancito dall'art. 1175 c.c., che impone alle parti del rapporto obbligatorio di comportarsi secondo le regole della correttezza, trova applicazione con il conseguente potere-dovere del giudice ordinario di verificare se vi sia stata violazione o meno di tale norma — anche nei confronti di un'azienda municipalizzata che, autolimitando il suo potere di organizzazione, si obblighi, mediante l'inserimento di apposita clausola in un proprio bando di concorso, ad utilizzare i concorrenti risultati idonei in tale concorso per la futura copertura dei posti resisi vacanti entro un anno dalla nomina dei vincitori.

Cass. civ. n. 3250/1977

La violazione dei doveri di correttezza e di buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) ove non siano considerati in forma primaria ed autonoma da una norma — come nell'ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c. — costituisce solo un criterio di qualificazione e di valutazione del comportamento dei contraenti. Pertanto, un comportamento ad essi contrario non può essere reputato illegittimo e, quindi, fonte di responsabilità ove al contempo non concreti la violazione di un diritto altrui, già direttamente riconosciuto da una norma giuridica.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1175 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Gabriele S. chiede
sabato 13/02/2021 - Veneto
“Buongiorno, la questione che vi vorrei sottoporre è questa: sono proprietario di metà dei "muri" di un immobile commerciale che ho affittato da molto tempo alla sig.ra Grazia per 1.000 euro al mese. Grazia è proprietaria dell'altra metà dei "muri" più anche della licenza commerciale. Grazia ha recentemente affittato l'intera azienda (muri + licenza) al sig. Pietro a 2.800 euro. Considerate le notevoli difficoltà di questo momento, Pietro è disposto a pagare a Grazia il 50% del canone tra loro pattuito, ovvero 1.400 euro.
In seguito a ciò, Grazia pretende di pagare anche a me il 50% di quanto tra noi stabilito, ovvero 500 euro. Premesso che, anche incassando solo il 50% del canone (1.400), Grazia potrebbe comunque pagarmi l'intero canone (1.000), io le ho proposto di pagarmi la metà di quanto riceve effettivamente, ovvero 700 euro. Grazia non vuole saperne. Il mio ragionamento è corretto e sostenibile? In caso affermativo, ho qualche possibilità di vedere soddisfatta la mia richiesta? Distinti saluti e grazie, Gabriele S.

p.s. Le parti si equivalgono. La mia parte ha una rendita catastale lievemente superiore a quella di Grazia e quindi pago un' IMU superiore.”
Consulenza legale i 17/02/2021
Sotto il profilo legislativo, a seguito dell’emergenza da coronavirus, a parte alcune agevolazioni fiscali (introdotte dall’art. 65, D.L. n. 18/2020 poi ribadite anche nel recente D.L. n. 137/2020), non sono state previste delle misure per la rideterminazione del quantum delle obbligazioni, compresi i contratti di locazione.
E’ stato soltanto previsto il principio (comma 6-bis nell’art. 3, D.L. 23 febbraio 2020, n. 6) secondo cui “il rispetto delle misure di contenimento è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.

In altre parole il legislatore non ha previsto alcun obbligo di rinegoziazione del canone di locazione a seguito della pandemia.

Sul punto però è intervenuta la Corte di Cassazione con la relazione n. 56 dell’8 luglio 2020 la quale ha evidenziato un dovere giuridico di avviare le trattative di rinegoziazione del canone sulla base del principio della buona fede contrattuale (art. 1175 c.c. e art. 1375 c.c.).
Più precisamente, la Corte nella predetta relazione ha sottolineato che: “ L'obbligo di rinegoziare impone di intavolare nuove trattative e di condurle correttamente, ma non anche di concludere il contratto modificativo. Pertanto, la parte tenuta alla rinegoziazione è adempiente se, in presenza dei presupposti che richiedono la revisione del contratto, promuove una trattativa o raccoglie positivamente l'invito di rinegoziare rivoltole dalla controparte e se propone soluzioni riequilibrative che possano ritenersi eque e accettabili alla luce dell'economia del contratto; di sicuro non può esserle richiesto di acconsentire ad ogni pretesa della parte svantaggiata o di addivenire in ogni caso alla conclusione del contratto, che, è evidente, presuppone valutazioni personali di convenienza economica e giuridica che non possono essere sottratte né all'uno, né all'altro contraente”.
E la stessa Cassazione conclude affermando che: “Qualora si ravvisi in capo alle parti l’obbligo di rinegoziare il rapporto squilibrato, si potrebbe ipotizzare che il mancato adempimento di esso non comporti solo il ristoro del danno, ma si esponga all'esecuzione specifica ex art. 2932 c.c.. Al giudice potrebbe essere ascritto il potere di sostituirsi alle parti pronunciando una sentenza che tenga luogo dell'accordo di rinegoziazione non concluso, determinando in tal modo la modifica del contratto originario”.
In sostanza dunque la Corte ritiene che la parte contrattuale svantaggiata di fronte al rifiuto ingiustificato dell’altro contraente di rinegoziare il canone, possa rivolgersi a un giudice per ottenere non solo un eventuale risarcimento danni ma anche una sentenza che produca gli effetti dell’accordo non concluso.
Chiaramente tale relazione dell’Ufficio del Massimario non può avere l’efficacia vincolante di una sentenza ma costituisce indubbiamente una importante linea guida per gli operatori del diritto, i giudici in primis, in mancanza di un adeguato intervento legislativo in materia.

Ciò posto, nella presente vicenda da parte Sua non c’è stato un rifiuto di rinegoziare il canone.
Anzi, ha proposto alla conduttrice di pagare comunque un importo inferiore di euro trecento rispetto a quello del contratto originario, importo superiore di euro duecento rispetto a quello proposto dalla locataria.
Il principio di buona fede e di solidarietà contrattuale ci appare dunque pienamente rispettato da parte Sua.
Anche perché, come ha appunto osservato la Suprema Corte, non vi è un obbligo di acconsentire ad ogni pretesa della controparte contrattuale ma semplicemente di intavolare delle serie e concrete trattative, cosa che appare avvenuta nel caso di specie.
Alla luce di quanto precede ed in risposta al quesito riteniamo dunque condivisibile il Suo ragionamento e con buone probabilità di accoglimento anche in una ipotetica controversia giudiziale.

Stefano P. chiede
sabato 05/09/2020 - Veneto
“Al rapporto di lavoro subordinato in corso si aggiunse, successivamente al contratto, un servizio accessorio x accordo verbale pattuendo l'iscrizione all'ordine dei chimici con spese a carico dell'azienda e con l'uso del sigillo professionale a titolo gratuito per il lavoratore, senza alcuna garanzia di durata fino alla conclusione del contratto di lavoro.
In seguito l'azienda si rifiutò ripetutamente, per tacita omissione, di fornire l'accesso a documentazione integrante il contratto stesso: ultimo contratto aziendale pattuito con la RSU e lettera di disdetta dello stesso con cui la controparte non corrispose il premio di produzione (debito ancora in essere ed esigibile). Tale documentazione venne poi consegnata dal sindacato dei lavoratori.
A causa del danno subìto con perdita di fiducia nell'azienda è mia intenzione rifiutare il rinnovo dell'iscrizione all'ordine; si chiede parere sulla legittimità della mia posizione e in caso affermativo redazione di documento da presentare al datore di lavoro per motivare il rifiuto.
Saluti

Consulenza legale i 15/09/2020
È diritto del lavoratore richiedere, all’azienda presso cui lavora, copia del contratto di lavoro.

Più in generale, sussiste il diritto soggettivo del lavoratore di accedere al proprio fascicolo personale e tale diritto è tutelabile in quanto tale perché si tratta di una posizione giuridica soggettiva che trae la sua fonte dal rapporto di lavoro (in tal senso si è espressa Cass. S.U. 4 febbraio 2014, n. 2397).

Secondo la Corte di Cassazione, sez. lav., sentenza n. 6775/2016, l'obbligo del datore di lavoro di consentirne il pieno esercizio deriva, innanzitutto, dal rispetto dei canoni di buona fede e correttezza che incombe sulle parti del rapporto di lavoro ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c.

Il danno subito a causa del comportamento dell’azienda può essere oggetto di una trattativa con l’azienda o di una causa per ottenere quanto dovuto. La perdita di fiducia nell’azienda potrebbe sfociare nelle dimissioni del dipendente e costituirne una giusta causa.

Tuttavia, non c’è alcuna correlazione tra il danno subito con relativa perdita di fiducia nell’azienda e il rifiuto di rinnovare l’iscrizione all’Ordine dei Chimici.

Per quanto riguarda l’accordo orale intervenuto con l’azienda, in mancanza di ulteriori informazioni circa le motivazioni della necessità di tale iscrizione richiesta dall’azienda, si rileva che l’iscrizione all’Ordine potrebbe costituire un requisito necessario per lo svolgimento delle mansioni assegnate al lavoratore.
L’iscrizione all’Ordine dei Chimici può essere necessaria per svolgere determinati incarichi di responsabilità all’interno delle aziende private.

Pertanto, il rifiuto di rinnovare tale iscrizione potrebbe comportare il licenziamento per sopravvenuta mancanza dei titoli e/o requisiti necessari all’espletamento delle mansioni assegnate.

Diversamente, l’eventuale rifiuto di iscriversi sembrerebbe legittimo e pur tuttavia non si vede in che modo possa costituire una sorta di rivalsa per il danno subito.

Si consiglia di valutare attentamente la situazione ed eventualmente concordare con l’azienda la decisione di non rinnovare l’iscrizione all’Ordine.


Dario G. chiede
domenica 26/10/2014 - Lombardia
“Buongiorno. Ho questo grandissimo problema con la banca: ho aperto un fido ipotecario per un finanziamento predisposto per la costruzione di un immobile e quindi con importi notevoli con atto notarile su un c/c bancario normale già' in essere aperto 4 mesi prima. Il notaio nell'atto non ha allegato nessun documento di sintesi del c/c bancario già aperto, facendomi dichiarare che ne ero a conoscenza. Nel momento della firma dell'atto in cui vi era presente anche il direttore della banca non mi ricordavo più gli estremi dei tassi allegati al c/c già aperto. Purtroppo me ne sono accorto molto più tardi dell'importanza della frase "che ne ero a conoscenza" . Vorrei sapere se tale atto è annullabile o quale altra forma secondo voi è possibile adottare per risolvere il mio problema.
In attesa vi porgo cordiali saluti”
Consulenza legale i 05/11/2014
L'annullamento di un contratto è possibile solo nei casi predeterminati per legge. In particolare, possiamo individuare un annullamento per incapacità delle parti (es. contratto concluso da minore), in generale per vizi del consenso (errore, violenza o dolo) o in altre ipotesi specificamente previste dalla legge.

Nel quesito si parla di un fido bancario (si tratta qui di un prefinanziamento, concesso di regola quando il mutuo non è stato ancora erogato), cioè di un prestito a breve termine, solitamente meno garantito del mutuo, che come noto costa sensibilmente di più di quest'ultimo in termini di interessi, commissioni e spese.
Il prefinanziamento può essere richiesto ed utilizzato per vari motivi (per esempio per anticipare le somme necessarie all'acquisto di un immobile che va comprato velocemente) ma, visti i suoi costi elevati, dovrebbe essere prontamente estinto non appena l’importo concesso a mutuo sia effettivamente disponibile, ed anzi, assai spesso, è la stessa banca a pretenderlo.

Nel caso sottoposto al nostro esame, il cliente della banca, nell'aprire il fido, non ha preventivamente prestato attenzione ai tassi praticati dalla banca.
Si deve allora comprendere se egli, nonostante la dichiarazione fatta nell'atto notarile, non fosse a conoscenza di tali tassi; e, se li conosceva, si dovrà tentare di individuare una eventuale negligenza o dolo della banca.

Quanto al primo punto, va sottolineato che prima di firmare il contratto di conto corrente, il cliente ha il diritto di consultare la Guida predisposta da Banca d’Italia, per ricevere tutte le informazioni relative al contratto, comprese quelle sui costi del servizio, sia verbalmente dal personale bancario che tramite la documentazione di trasparenza. Tale documentazione si compone di Foglio Informativo (prima di concludere il contratto) e di Documento di Sintesi, che si trova di norma nella prima pagina del contratto ed elenca riassuntivamente tutte le condizioni economiche.
Il cliente, sempre prima di firmare per l'apertura del conto, deve avere la possibilità non solo di visionare tali documenti, ma anche di prenderne una copia, gratuitamente.
Se tutto ciò è stato rispettato (e ormai le banche - bene attente - seguono procedure standard nel fornire tale informativa), si deve presumere che il cliente fosse a conoscenza dei tassi relativi all'apertura di fido presso l'istituto di credito.
Se così fosse, la firma del rogito notarile non potrebbe essere impugnata per la mancata conoscenza dei tassi, in quanto il non averli consultati prima della sottoscrizione del contratto di conto corrente bancario sarebbe stata una "leggerezza" da parte del cliente.

Se partiamo quindi dal presupposto che il cliente aveva la conoscenza legale (anche se non di fatto) dei tassi, non resta che cercare di individuare un altro tipo di responsabilità nella banca.
Si può ipotizzare (si faranno ora delle mere supposizioni), che la banca abbia agito con dolo applicando nel contratto del cliente dei tassi superiori a quelli contenuti nei documenti informativi messi a disposizione del correntista prima che questo aprisse il conto; oppure, che siano state date informazioni false al cliente al momento del rogito per rassicurarlo e convincerlo a firmare (es. il direttore della banca presente potrebbe aver detto al cliente che i tassi erano di un certo tenore, mentre in realtà erano molto più alti).
In entrambi i casi, che tratteggiano ipotesi molto gravi e, naturalmente, sono tutte da provare a carico del correntista, si può configurare il dolo della banca e quindi l'annullabilità sia del contratto di conto corrente che del fido. Diversamente, non si ravvisa altro modo di impugnare il contratto, anche se una risposta precisa potrebbe essere data solo dopo aver studiato tutta la documentazione del caso.