Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede(1)(2).
Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede(1)(2).
(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)
Cass. civ. n. 7467/2023
Il datore di lavoro ha il potere, ma non l'obbligo, di controllare in modo continuo i propri dipendenti, contestando loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento, atteso che un simile obbligo, non previsto dalla legge né desumibile dai principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., negherebbe in radice il carattere fiduciario del lavoro subordinato, sicché la tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi dell'infrazione ove avesse controllato assiduamente l'operato del dipendente, ma con riguardo all'epoca in cui ne abbia acquisito piena conoscenza.Cass. civ. n. 7185/2022
Il notaio incaricato della redazione di un contratto di compravendita immobiliare è tenuto a compiere le attività preparatorie e successive, necessarie per il conseguimento del risultato pratico voluto dalle parti, rientrando tra i suoi doveri anche l'obbligo di consiglio o dissuasione, la cui omissione è fonte di responsabilità per violazione delle clausole generali di buona fede oggettiva e correttezza, ex artt. 1175 e 1375 c.c., quali criteri determinativi ed integrativi della prestazione contrattuale, che impongono il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della parte. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto responsabile, per inadempimento del contratto d'opera professionale, il notaio, il quale aveva rogato quattro atti di compravendita - con previsione di pagamento rateale e clausola di rinuncia della venditrice all'iscrizione di ipoteca legale - e, lo stesso giorno e nei due giorni successivi, aveva rogato altri quattro atti di rivendita a terzi dei medesimi cespiti da parte dello stesso acquirente, spogliatosi così dei beni costituenti garanzia patrimoniale generica per il pagamento del prezzo).Cass. civ. n. 16743/2021
Il principio di buona fede nell'esecuzione del contratto di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. legittima in punto di diritto l'insorgenza in ciascuna parte dell'affidamento che, anche nell'esecuzione di un contratto a prestazioni corrispettive ed esecuzione continuata, ciascuna parte si comporti nell'esecuzione in buona fede, e dunque rispettando il correlato generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, anche a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere generale del "neminem laedere". Di talché, in un contratto di locazione di immobile ad uso abitativo l'assoluta inerzia del locatore nell'escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del corrispettivo sino ad allora maturato, protrattasi per un periodo di tempo assai considerevole in rapporto alla durata del contratto, e suffragata da elementi circostanziali oggettivamente idonei ad ingenerare nel conduttore un affidamento nella remissione del diritto di credito da parte del locatore per facta concludentia, l'improvvisa richiesta di integrale pagamento costituisce esercizio abusivo del diritto.Cass. civ. n. 15077/2021
Si ha abuso del processo quando lo strumento processuale viene utilizzato per fini diversi ed ulteriori da quelli suoi propri, ed illegittimi, non, dunque, per tutelare diritti conculcati, ma per crearne di nuovi (ed ingiustificati) ad arte, ovvero per nuocere con intenti emulativi alla controparte. Sul piano soggettivo si ha abuso del processo quando la condotta di cui sopra venga tenuta in violazione del generale dovere di correttezza (art. 1175 c.c.) e buona fede (art. 1375 c.c.).Cass. civ. n. 9200/2021
Il principio di correttezza e buona fede - il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore" - deve essere inteso in senso oggettivo in quanto enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull'art. 2 della Costituzione, che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell'imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ravvisato una condotta contraria a buona fede e correttezza nel mancato ripristino della fornitura di energia elettrica in favore dell'utente, nonostante l'istanza di quest'ultimo, in quanto il somministrante aveva rilevato che l'utenza risultava a nome di altro soggetto, anche se un sopralluogo o una richiesta di chiarimenti, sebbene non previsti dal contratto, avrebbero potuto dimostrare che si trattava della medesima utenza, semplicemente volturata a un terzo).Cass. civ. n. 3694/2020
La buona fede oggettiva, in funzione integrativa del contenuto del contratto, impone alle parti di porre in essere comportamenti comunque rientranti, secondo la legge, gli usi e l'equità, nello spettro complessivo della prestazione pattuita. Ne consegue la responsabilità professionale del notaio che, ancorché abbia autenticato le firme della dichiarazione di vendita di una vettura, non comunichi al venditore, che li abbia richiesti, i dati anagrafici dell'acquirente, pur avendo il potere di rilasciare copia ed estratti dei documenti a lui esibiti e non necessariamente depositati e nonostante venga in rilievo un atto soggetto a pubblicità mobiliare (ai sensi dell'art. 2683, n. 3, c.c.), la conservazione della cui copia, per quanto informale, rispondeva a prassi già in uso, costantemente osservata e successivamente trasfusa in atto normativo (l. n. 246 del 2005). (Cassa con rinvio, TRIBUNALE ROMA, 04/05/2017).Cass. civ. n. 13208/2010
In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase; pertanto, l'apprezzamento della slealtà del comportamento della parte che invochi la risoluzione del contratto per inadempimento si ripercuote sulla valutazione della gravità dell'inadempimento stesso, nel caso in cui tale soggetto abusi del suo diritto potendo comunque realizzare il suo interesse senza ricorrere al mezzo estremo dell'ablazione del vincolo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva dichiarato risolto per morosità un contratto di locazione, senza tener conto che il locatore avrebbe potuto compensare il suo credito con il maggior debito esistente nei confronti del conduttore).Cass. civ. n. 25047/2009
I principi di buona fede e correttezza sono previsti dal codice civile, come tali, in riferimento alla fase dello svolgimento delle trattative contrattuali (art. 1337), a quella dell'interpretazione del contratto (art. 1366) ed a quella della sua esecuzione (art. 1375), sicché la violazione dell'obbligo di attenervisi, sebbene possa esser fonte di responsabilità risarcitoria, non inficia però il contenuto del contratto con il quale le parti abbiano composto i rispettivi interessi, nel senso che, ove non venga in rilievo una causa di nullità o di annullabilità del contratto medesimo specificamente stabilita dal legislatore, tali vizi invalidanti non sono invocabili a fronte della inadeguatezza delle clausole pattuite a garantire l'equilibrio delle prestazioni o le aspettative economiche di uno dei contraenti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, una volta esclusa la sussistenza della violazione dei principi di buona fede e correttezza nella fase delle trattative contrattuali, aveva poi ritenuto di per sé non conferente l'evocazione dei medesimi principi rispetto alla pattuizione della condizione risolutiva del contratto preliminare di compravendita di un terreno in caso di mancata approvazione del piano di lottizzazione entro un certo termine, con l'obbligo di restituzione del solo prezzo anticipatamente corrisposto, maggiorato degli interessi a partire da una data determinata).Cass. civ. n. 20106/2009
I princìpi di correttezza e buona fede nell'esecuzione e nell'interpretazione dei contratti, di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 c.c., rilevano sia sul piano dell'individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti. Sotto il primo profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia necessario per preservare gli interessi della controparte; sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto.Cass. civ. n. 9924/2009
Il comportamento - interpretato alla luce dei principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. - del contraente titolare di una situazione creditoria o potestativa, che per lungo tempo trascuri di esercitarla e generi così un affidamento della controparte nell'abbandono della relativa pretesa, è idoneo come tale (essendo irrilevante qualificarlo come rinuncia tacita ovvero oggettivamente contrastante con gli anzidetti principi) a determinare la perdita della medesima situazione soggettiva. (Nella specie, i lavoratori, abbandonato il posto di lavoro e conseguita la pensione, non avevano offerto le prestazioni lavorative per oltre tre anni successivi alla pronuncia della Corte costituzionale n. 226 del 1990, dalla quale derivava la fondatezza della loro pretesa relativa alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino al limite del sessantacinquesimo anno di età o del raggiungimento della contribuzione previdenziale massima; la S.C., nell'affermare il principio su esteso, ha cassato la sentenza impugnata, che, nell'accogliere la domanda di trattenimento in servizio proposta dagli anzidetti lavoratori soltanto nel 1993, non aveva considerato l'incidenza del descritto comportamento sulla persistenza del loro diritto a proseguire il rapporto di lavoro).Cass. civ. n. 5348/2009
L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, che, nell'ambito contrattuale, implica un obbligo di reciproca lealtà di condotta che deve presiedere sia all'esecuzione del contratto che alla sua formazione ed interpretazione, accompagnandolo, in definitiva, in ogni sua fase. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, in virtù della quale non era stata interpretata secondo il predetto canone della buona fede oggettiva la clausola di un contratto di mediazione, con cui si era stabilito che non era dovuto alcun compenso al mediatore "ad incarico scaduto in caso di mancata vendita", malgrado il preliminare fosse stato stipulato per l'effettivo ed idoneo intervento del mediatore e il contratto definitivo di vendita non fosse stato concluso per esigenze riconducibili esclusivamente alle parti).Cass. civ. n. 28056/2008
Il principio di correttezza e buona fede - il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, «richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore» - deve essere inteso in senso oggettivo ed enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull'art. 2 della Costituzione, che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell'imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva condannato il Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR al pagamento, in favore di un proprio dipendente, della somma corrispondente agli interessi maturati sulle quote annualmente accantonate di trattamento di fine rapporto a causa degli investimenti delle stesse in buoni postali fruttiferi, effettuati tardivamente rispetto alle scadenze fissate da delibere della Giunta amministrativa dello stesso CNR). L'effetto della compensatio lucri cum damno che si riconnette al criterio di determinazione del risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1223 c.c., si verifica esclusivamente allorché il vantaggio ed il danno siano entrambi conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, quali suoi effetti contrapposti, e non quando il fatto generatore del pregiudizio patrimoniale subito dal creditore sia diverso da quello che invece gli abbia procurato un vantaggio. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva escluso che il danno patito da un dipendente del Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR per il ritardato investimento in buoni postali fruttiferi di alcune delle quote annualmente accantonate del trattamento di fine rapporto potesse compensarsi con il guadagno ottenuto dal medesimo dipendente in ragione dell'anticipato investimento di analoghe quote relative ad altre annualità).Cass. civ. n. 3462/2007
L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, applicabile in ambito contrattuale ed extracontrattuale, che impone di mantenere, nei rapporti della vita di relazione, un comportamento leale (specificantesi in obblighi di informazione e di avviso) nonché volto alla salvaguardia dell'utilità altrui, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio (Nell'affermare il suindicato principio la S.C., con riferimento a contratto di trasporto marittimo di persone ha ritenuto violato l'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza dal comportamento del vettore professionale il quale, nell'impossibilità di affrontare il viaggio di ritorno per le avverse condizioni meteorologiche, aveva mancato di accordarsi con altro vettore «pur di non pagare qualche soldo in più rispetto al costo del biglietto pagato dai passeggeri», non consentendo conseguentemente ai medesimi di rientrare in serata sul continente e di evitare il pernottamento di fortuna nel luogo di destinazione, privo di alberghi).Cass. civ. n. 24274/2006
In tema di rapporti contrattuali di durata, l'esercizio di diritti potestativi attribuiti dalla legge o dal contratto ad una delle parti produce immediatamente la modificazione della sfera giuridica dell'altra parte, senza che sia configurabile, neppure in base al principio di correttezza e buona fede, un obbligo di preavviso, in difetto di limitazioni in tal senso previste dalla fonte attributiva del potere. (Nella specie, relativa ad una pattuizione, intervenuta nel caso dello svolgimento di un rapporto di agenzia, che aveva comportato l'affidamento all'agente dell'incarico aggiuntivo di supervisore dell'attività di altri agenti, riservando alla proponente la titolarità del potere sia di conferimento sia di revoca del detto incarico, la S.C: ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto la liceità della revoca immediata dell'incarico stesso, senza che un obbligo di preavviso potesse scaturire dai precetti di correttezza e buona fede).Cass. civ. n. 13345/2006
In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà: di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, cosa come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase, sicché la clausola generale di buona fede e correttezza è operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 c.c.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione di un contratto (art. 1375 c.c.), concretizzandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell'interesse della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando così integrativamente il contenuto e gli effetti del contratto. La buona fede, pertanto, si atteggia come un impegno od obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del neminem laedere senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte. (Nella specie, relativa al rilascio di immobile locato e alla detrazione dell'Iva sulle spese legali rimborsate dall'una all'altra parte, la S.C. ha precisato che pur non esistendo, dal punto di vista fiscale, alcun obbligo a carico del conduttore di dedurre quanto pagato a titolo di Iva per prestazioni professionali legali, lo stesso era tenuto a operare la deduzione de qua ex art. 1175 c.c., al fine di non pregiudicare la posizione di controparte ed ha pertanto confermato il rigetto della domanda di recupero dell'Iva su dette spese avanzata dal conduttore).Cass. civ. n. 10127/2006
Il semplice fatto di ritardare l'esercizio di un proprio diritto (nel caso di specie, di agire in giudizio per far valere l'inadempimento contrattuale), se non finalizzato a produrre un danno alla controparte e senza un apprezzabile interesse per il titolare, non dà luogo a una violazione del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto, qualunque convinzione possa essersi fatta del ritardo il debitore, e non è causa per escludere la tutela giudiziaria, salvo che sia intervenuta un'inequivoca rinuncia tacita al diritto. (La S.C. ha affermato tale principio con riferimento a una fattispecie in cui il creditore aveva chiesto la risoluzione del contratto in via riconvenzionale dopo due anni dalla scadenza del termine per l'adempimento in un giudizio in cui era stato convenuto per il pagamento del corrispettivo della prestazione adempiuta in ritardo).Cass. civ. n. 5140/2005
In tema di qualifiche dei prestatori di lavoro e di concorsi interni, la violazione delle regole della correttezza (art. 1175 c.c.) e della buona fede (art. 1375 c.c.) si configura solo nell'ipotesi che vengano lesi diritti soggettivi già riconosciuti in base a norme di legge, riguardando le modalità di adempimento degli obblighi a tali diritti correlati. Le stesse regole non valgono, invece, a configurare obblighi aggiuntivi che non trovino ex art. 1173 c.c. la loro fonte nel contratto, nel fatto illecito o in ogni altro atto o fatto idoneo a produrlo in conformità dell'ordinamento giuridico. (Nella specie, la Corte Cass. ha confermato la sentenza impugnata che, con adeguata motivazione priva di vizi logici, aveva ritenuto che il comportamento aziendale, nella operazione di non facile espletamento concorsuale, dell'adeguamento della fascia dirigenziale a seguito di consistente modifica dell'intera struttura imprenditoriale per effetto della trasformazione dell'Ente Poste in società per azioni, fosse stato del tutto rispettoso degli impegni assunti in sede contrattuale e del tutto legittimo, in quanto espressione della insindacabile discrezionalità e della necessaria autonomia connaturata all'esercizio dell'attività di impresa).Cass. civ. n. 23226/2004
Quando un accordo sindacale di conformazione del potere direttivo del datore di lavoro riservi al potere discrezionale dello stesso la valutazione della professionalità del dipendente secondo specifici criteri, analiticamente catalogati, per l'ammissione a corsi di addestramento finalizzati all'attribuzione di una qualifica superiore, l'obbligo del datore di esercitare detto potere secondo i principi di correttezza e buona fede stabiliti dagli art. 1175 e 1375 c.c. — con il correlativo diritto soggettivo dei lavoratori all'adempimento di questo obbligo strumentale, tutelabile in sede giurisdizionale — comporta la necessaria indicazione (sia pure in modo sommario) dei parametri che si assumono violati in riferimento ai candidati ingiustificatamente valutati in modo più favorevole.Cass. civ. n. 5240/2004
La clausola generale di buona fede nell'esecuzione del contratto impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali e da quanto espressamente stabilito da singole norme di legge; in virtù di tale principio ciascuna parte è tenuta da un lato ad adeguare il proprio comportamento in modo da salvaguardare l'utilità della controparte, e, dall'altro, a tollerare anche l'inadempimento della controparte che non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse. Ad un tale riguardo il semplice ritardo di una parte nell'esercizio di un diritto (nel caso di specie, diritto di agire per far valere l'inadempimento della controparte) può dar luogo ad una violazione del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto soltanto se, non rispondendo esso ad alcun interesse del suo titolare, correlato ai limiti e alle finalità del contratto, si traduca in un danno per la controparte.Cass. civ. n. 4462/2004
In tema di procedure concorsuali per gli avanzamenti di carriera del personale nell'ambito del rapporto di lavoro privato, qualora il datore di lavoro stabilisca attraverso un bando di concorso i criteri di selezione, assume l'obbligo di procedere secondo tali criteri e comunque secondo i principi di correttezza e buona fede, che si specificano nei doveri di imparzialità e di trasparenza. Ne consegue il sorgere, in capo a ciascun candidato, di una posizione soggettiva, oltreché di credito, di interesse legittimo di diritto privato, e non di soggezione; pertanto incombe sull'imprenditore debitore di provare di aver eseguito le operazioni di valutazione concorsuale attenendosi al suddetto dovere di imparzialità e in caso di inadempimento il prestatore di lavoro — creditore ben può esercitare l'azione di esatto adempimento, al fine di ottenere la ripetizione delle operazioni concorsuali e della valutazione, nonché l'azione di risarcimento del danno, danno consistente nella perdita della possibilità di un esito favorevole della valutazione e determinabile dal giudice di merito anche in via equitativa.Cass. civ. n. 15482/2003
In relazione a una pluralità di rapporti contrattuali tra loro collegati per la realizzazione di un'unica operazione economica - nella specie, la regolamentazione della concorrenza attraverso la creazione di una nuova società rispetto a quella precedente e la previsione, a carico delle parti, dell'obbligo di rifornire detta società in misura predeterminata - la corrispondenza a buona fede dell'esercizio del diritto di recesso, contrattualmente stabilito - nella specie, in relazione ad un contratto di fornitura - deve essere valutata nel complessivo contesto dei rapporti intercorrenti tra le parti, onde accertare se detto recesso sia stato o meno esercitato secondo modalità e tempi che non rispondono ad un interesse del titolare meritevole di tutela, ma soltanto allo scopo di arrecare danno all'altra parte, incidendo sulla condotta sostanziale che le parti sono obbligate a tenere per preservare il reciproco interesse all'esatto adempimento delle rispettive prestazioni.Cass. civ. n. 15150/2003
Il principio di buona fede contrattuale, sancito dall'art. 1375 c.c., ha la portata di ampliare (ovvero di restringere) gli obblighi letteralmente assunti con il contratto nei casi, e nella misura in cui, farli valere nel loro tenore letterale contrasterebbe con detto principio, il quale opera essenzialmente come un criterio di reciprocità che deve essere osservato vicendevolmente dalle parti del rapporto obbligatorio.Cass. civ. n. 6763/2002
L'esercizio dello ius variandi rientra nella discrezionalità del datore di lavoro, che non è di per sé sottratta — in linea generale — all'osservanza dei doveri di correttezza e buona fede e, per il caso di violazione, al rimedio del risarcimento dei danni. Tuttavia, le clausole generali di correttezza e buona fede non introducono nei rapporti giuridici diritti e obblighi diversi da quelli legislativamente o contrattualmente previsti, ma sono destinate ad operare all'interno dei rapporti medesimi, in funzione integrativa di altre fonti; esse, pertanto, rilevano soltanto come modalità di comportamento delle parti, al fine della concreta realizzazione delle rispettive posizioni di diritto o di obbligo e, in quanto attengono alle modalità comportamentali ed esecutive del contratto, quale esso è stato stipulato dalle parti, si pongono nel sistema come limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva, attiva o passiva, contrattualmente assunta o legislativamente imposta, così concorrendo alla relativa conformazione in senso (eventualmente) ampliativo o restrittivo rispetto alla fisionomia apparente e consentendo al giudice di verificarne la coerenza con i valori espressi dal rapporto, garantendo in tal modo l'apertura del sistema giuridico a un rapporto dialettico costante con il contesto socio-economico e culturale di riferimento. Ne consegue che dalle clausole generali di correttezza e buona fede non può derivare per il datore di lavoro l'obbligo, non previsto dalla legge o da altra fonte, di giustificare e motivare il concreto esercizio dello ius variandi, ma se tale esercizio dà luogo a una discriminazione o a una vessazione o comunque ad un arbitrio nei confronti del lavoratore, egli è tenuto a risarcire i danni che ne derivano.Cass. civ. n. 206/2001
Le valutazioni del datore di lavoro concernenti le note di qualifica dei dipendenti non sono insindacabili in giudizio, poiché il datore di lavoro è soggetto ai limiti posti da eventuali criteri obiettivi previsti dal contratto collettivo e agli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., nonché all'onere di motivare le note stesse al fine di consentire la verifica del rispetto tali criteri e obblighi e della inerente necessaria trasparenza; nel caso, poi, in cui ad una determinata valutazione sia collegata l'attribuzione di un beneficio retributivo, il lavoratore ha l'onere di dedurre che la valutazione corretta avrebbe comportato l'attribuzione del beneficio, mentre la prova dell'esistenza di cause ostative ricade sul datore di lavoro. (Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che, in relazione all'incentivo economico previsto dall'accordo 29 dicembre 1988 a favore del personale direttivo del Banco di Napoli riportante la qualifica di ottimo, aveva rigettato la contestazione del lavoratore, valorizzando il carattere discrezionale del giudizio del datore di lavoro).Cass. civ. n. 1078/1999
La clausola generale di buona fede e correttezza è operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 c.c.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione di un contratto (art. 1375 c.c.), specificandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell'interesse della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando così integrativamente il contenuto e gli effetti del contratto. (Nella specie, la ditta mandante, ricevuto un ordine di rilevante importo acquisito da un agente sulla base di una lunga attività promozionale, aveva accelerato la pur prevista conclusione di un contratto di esclusiva con un altro soggetto — a cui era collegata la possibile cessazione del rapporto di agenzia — e, nel quadro di un comportamento elusivo nei confronti dell'agente, aveva invitato l'acquirente a reiterare l'ordine tramite il nuovo concessionario; il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla S.C., aveva riconosciuto il diritto dell'agente alla provvigione sulla base del riportato principio e di quello secondo cui l'agente ha diritto alla provvigione anche per gli affari che non hanno avuto esecuzione per causa imputabile al preponente).Cass. civ. n. 10514/1998
Gli obblighi di correttezza e buona fede che, nel rapporto di lavoro, hanno la funzione di salvaguardare l'interesse della controparte alla prestazione dovuta e all'utilità che la stessa le assicura, imponendo una serie di comportamenti di contenuto atipico, vengono individuati mediante un giudizio applicativo di norme elastiche e soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge; infatti gli obblighi stessi vanno individuati con il rispetto del complesso di regole in cui si sostanzia la civiltà del lavoro in un certo contesto storico-sociale, vale a dire dell'assieme dei principi giuridici puntualizzati dalla giurisdizione di legittimità, e vengono quindi ad assumere la consistenza di «standard» che rispetto a detti principi sono in rapporto essenziale ed integrativo. (Nella specie, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza impugnata che, in relazione a un licenziamento disciplinare, aveva ritenuto giustificabile il comportamento del lavoratore il quale, a seguito di un'assenza di un giorno — la cui mattinata sarebbe stata impiegata per la raccolta di funghi — aveva taciuto al datore di lavoro che il certificato medico prodotto gli era stato rilasciato nel pomeriggio e pertanto non copriva l'assenza ingiustificata del mattino; e che altresì aveva dato rilievo alla mancanza di recidiva, senza tenere presente la non decisività dell'assenza di precedenti, poiché la gravità delle mancanze va valutata in relazione ad ogni aspetto del caso concreto).Cass. civ. n. 13131/1997
I principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. sono stati codificati dal legislatore come regulae iuris di carattere generale con esclusivo riferimento ai rapporti precontrattuali ed all'interpretazione ed esecuzione del negozio, e non anche con riguardo al contenuto del negozio medesimo, nel senso che (eccezion fatta per l'eventualità che la violazione di detti doveri si trovi ad integrare anche una delle specifiche ipotesi previste in tema di nullità o annullabilità dei contratti) i contraenti possono comporre i loro contrapposti interessi concordando del tutto liberamente il predetto contenuto negoziale, senza poi potere, proprio in ragione di tale libertà, invocare, a stipulazione avvenuta, l'asserita contrarietà di una o più delle clausole convenute ai doveri in questione (salvo che nei casi esplicitamente previsti dal legislatore).Cass. civ. n. 9501/1995
In tema di condotta antisindacale, l'intenzionalità del comportamento del datore di lavoro, mentre è irrilevante nel caso di comportamento contrastante con norma imperativa, può assumere rilevanza quando la condotta del medesimo, pur se lecita nella sua obiettività, presenti i caratteri dell'abuso del diritto, giacché in questo caso l'esercizio del diritto da parte del titolare si esplicita attraverso l'uso abnorme delle relative facoltà ed è indirizzato a fine diverso da quello tutelato dalla norma, assumendo quindi (in coerenza con la norma dettata dall'art. 833 c.c. in materia di proprietà) nel campo delle obbligazioni, e del rapporto di lavoro in particolare, carattere di illiceità per contrasto con i principi di correttezza e di buona fede, i quali assurgono a norma integrativa del contratto di lavoro in relazione all'obbligo di solidarietà imposto alle parti contraenti dalla comunione di scopo che entrambe, sia pure in diversa e talora opposta posizione, perseguono.Cass. civ. n. 2503/1991
In tema di esecuzione del contratto (o del rapporto obbligatorio) la buona fede si atteggia come un impegno od obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici del merito, i quali avevano ritenuto non conforme a buona fede la mancata cooperazione del promittente venditore in favore del promesso acquirente al fine di far conseguire a quest'ultimo un mutuo per il pagamento del prezzo).Cass. civ. n. 7987/1990
Nei contratti con prestazioni corrispettive, il contraente che abbia adempiuto la propria prestazione non è tenuto, nel caso di inadempimento totale o parziale dell'altro contraente, a svolgere attività per conseguire aliunde la controprestazione, dato che gli artt. 1175, 1227 e 1375, pur prevedendo per entrambi i contraenti un dovere di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, sono dettati allo scopo di vietare comportamenti vessatori ed ostruzionistici, ma non possono essere intesi nel senso di trasferire a carico del creditore le obbligazione specifiche del debitore, o le conseguenze dell'inadempimento a lui imputabile.Cass. civ. n. 3250/1977
La violazione dei doveri di correttezza e di buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) ove non siano considerati in forma primaria ed autonoma da una norma — come nell'ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c. — costituisce solo un criterio di qualificazione e di valutazione del comportamento dei contraenti. Pertanto, un comportamento ad essi contrario non può essere reputato illegittimo e, quindi, fonte di responsabilità ove al contempo non concreti la violazione di un diritto altrui, già direttamente riconosciuto da una norma giuridica.Cass. civ. n. 1460/1973
La buona fede, intesa in senso etico, come requisito della condotta, costituisce uno dei cardini della disciplina legale delle obbligazioni, e forma oggetto di un vero e proprio dovere giuridico, che viene violato non solo nel caso in cui una delle parti abbia agito con il proposito doloso di recare pregiudizio all'altra, ma anche se il comportamento da essa tenuto non sia stato, comunque, improntato alla schiettezza, alla diligente correttezza ed al senso di solidarietà sociale che integrano, appunto, il contenuto della buona fede.
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