Concetto di impossibilità e di notevole difficoltà a proposito della restituzione di cose diverse dal denaro. Criterio per la determinazione del valore
Un'altra parziale innovazione rispetto alla disciplina dettata dal codice del 1863 è data dall'art. 1818, in quanto stabilisce che il debitore è tenuto a pagare il valore delle cose ricevute a mutuo, anziché effettuarne la restituzione in natura, non solo nell'ipotesi di impossibilità, ma anche in quella di notevole difficoltà di effettuarne la restituzione in natura: il beneficio peraltro è ora limitato al debitore che non sia in colpa.
Si è affermato che le due ipotesi (impossibilità e notevole difficoltà) coincidono in quanto, essendo oggetto del mutuo, in ogni caso, cose fungibili e quindi facenti parte di un genus,non esisterebbero casi di vera e propria impossibilità della prestazione in online al noto principio genus non perit, ma a torto poiché la distinzione operata dalla legge, a parte ogni considerazione di carattere politico sulla sua opportunità, di cui, in questa cede, non dobbiamo occuparci e preoccuparci, non è affatto destituita di conseguenze giuridiche. Infatti, a parte il rilievo che, anche per il genere vero e proprio, possono aversi casi di impossibilità di effettuarne la prestazione (a causa, ad es., di un atto di imperio che vieti la contrattazione di determinati prodotti) non deve mai trascurarsi il fatto che, quando si pasta di genus, ci si intende sempre riferire ad un genere, in maggiore o minore misura, è limitato e quindi suscettibile di perimento. Ora, se non vi fosse la disposizione dell'art. 1818, soltanto in queste ipotesi il mutuatario sarebbe tenuto alla restituzione del valore delle cose mutuate, non in quelle di notevole difficoltà.
Ciò premesso, il problema che sorge è di stabilire in quale modo debba calcolarsi il valore delle cose da restituire nell'ipotesi di notevole difficoltà per il mutuatario di procurarsele. È evidente infatti che la legge ha riguardo prevalentemente, se non esclusivamente, al fattore prezzo: in altre parole, si è voluto contemplare il caso in cui, per circostanze non previste e non prevedibili al momento° della stipulazione del contratto, le cose fungibili, oggetto dell'obbligo di restituzione, si siano talmente rarefatte che il mutuatario non potrebbe procurarsele se non dietro forte esborso. Stando cosi le cose e tenuto inoltre conto della circostanza che la legge subordina la concessione di questo beneficio al fatto che (l'impossibilità o) la notevole difficoltà non deve comunque dipendere da causa imputabile al debitore, sembra logico concludere che, nell'accertare il valore delle cose da restituire, non solo si debba aver riguardo al tempo ed al luogo in cui la restituzione doveva avvenire (come è detto testualmente nello stesso art. 1818), ma si debba anche contemperare gli opposti interessi delle parti, quello del mutuante ad avere il tantundem od il suo equivalente in moneta e quello del mutuatario a non essere costretto a sborsare una somma di troppo superiore al valore delle cose da lui ricevute (e, naturalmente, gin consumate). D'altronde, ove non si accedesse a questa interpretazione della norma sopra riportata, bisognerebbe giungere alla conclusione che essa è superflua ed anzi addirittura assurda dal momento che fa lo stesso trattamento al debitore colpevole ed a quello incolpevole imponendo ad entrambi l'obbligo di pagare il pieno valore del tantundem. Ciò però non esclude che la norma sia infelicemente redatta sicché è da prevedere che darà luogo a forti e motivati dubbi nella sua applicazione.