La volontà delle parti e le norme integrative
Già abbiamo visto che la disciplina contrattuale è costituita non soltanto dalla volontà delle parti, ma altresì dalle norme di legge che a tale volontà imprimono giuridica rilevanza. Senonché tale disciplina è anche più multiforme, in quanto talvolta la legge, per completarla, chiama a soccorso gli usi e l'equità. Il concorso di queste molteplici fonti normative è sempre opera esciusiva del legislatore, ma come esse fra di loro concorrano, è ciò che l'art. 1374 intende stabilire.
a) La prima fonte è data dalla volonta delle parti, la quale, in quanto sia ammessa dalla legge a spiegare effetti, viene anzitutto in considerazione per stabilire gli obblighi contrattuali. La stessa configurazione del contratto, dalla quale dipende l'intervento di queste o di quelle norme di legge suppletive, si desume dalla volontà delle parti e non da altro e, generalmente parlando, tutto quello che le parti hanno pattuito, si sostituisce senz'altro alle norme di legge suppletive.
b) La seconda fonte, che è la più importante, è predisposta dal legislatore, in quanto inserisce i patti stipulati, in un complesso di regole legali, alle quali le parti, per effetto della stipulazione, sono sottoposte. Le parti, se ignare del diritto, non conoscono sovente gli obblighi che da queste regole legali discendono, ed anche i giurisperiti talvolta ne ignorano alcuni. Si noti poi che l'art. 1374 menziona tutte le conseguenze che dal contratto derivano secondo la legge, riferendosi non solo alle conseguenze immediate, ma anche a quelle mediate. E’ a chiedersi se tale articolo si riferisca anche agli effetti dei rapporti messi in vita dal contratto, effetti che non sono contrattuali in senso stretto, secondo i cenni da noi fatti sopra. Noi propendiamo ad escludere che tale sia il senso dell'art. 1374 e pensiamo che le conseguenze legali ivi menzionate siano soltanto quelle che completano la disciplina contrattuale propriamente detta. Ma essa abbraccia altresì gli effetti mediati della stipulazione, vale a dire quelli che derivano dal concorso della stipulazione con atti ulteriori. Tale disciplina legislativa, lo si noti, è bensì attivata dal contratto, ma riceve norma dalla legge; così chi stipula un contratto di società, attinge poi direttamente dal codice civile le norme sui suoi doveri e sulle sue responsabilità, quale socio.
Usi ed equità
c) La pratica ha messo in evidenza come talvolta nemmeno la trama legislativa non basti ad indicare alle parti stipulatrici la condotta dovuta, in ogni caso; senonché innumerevoli contratti simili, concludendosi quotidianamente in ogni luogo, danno luogo ad usi generali che sorgono per il comportamento degl'interessati. Qui si tratta di usi legislativi, non interpretativi. Si tratta dunque di ciò che praticano, non già i contraenti, ma il complesso di persone diverse dai contraenti in relazione a contratti dello stesso genere. Questo rilievo che è analogo a quello già fatto a proposito dell'art. 1368, consiglia di insistere sulla differenza fra la portata degli usi in quel caso e nel caso nostro. Nel caso dell'art. 1368 gli usi servono per renderci conto di ciò che le parti hanno voluto. Nel caso nostro, invece, gli usi servono per renderci conto di ciò che le parti debbono compiere, in base a quello che esse hanno voluto. Non si creda che il dovere e l'adempimento coincidano per contenuto. Il dovere concerne la condotta prevista, l'esecuzione concerne quel che si deve fare per mettere in pratica, in concreto, le previsioni. La diligenza, gli accorgimenti, le modalità esecutive per mettere in pratica tale condotta nel caso concreto, non si riferiscono alla previsione che è d'indole generale, ma proprio e soltanto alla esecuzione, che si urta coi contrasti contingenti e con le difficoltà della vita quotidiana.
d) Neanche con gli usi, talvolta, non si riesce a sopperire sufficientemente al bisogno di precisare ogni caso la condotta delle parti. Vi possono essere ostacoli esecutivi suscettibili di essere rimossi col concorso del debitore e del creditore, ovvero con una non prevista condotta dell'uno o dell'altro, senza che la legge né l'uso, ci indichino la strada. In questo caso il legislatore chiama a soccorso l'equità, che è in sostanza la composizione degli interessi in conflitto, secondo criteri di giustizia. Ora, l'equità rammentata nell'art. 1374 non si pone in contrasto con la legge ma, al contrario, intende integrarne la disciplina, quando la legge non soccorra.
La gerarchia dei criteri nel vecchio e nel nuovo codice
L'art. 1374 coincide sostanzialmente coll'art. #1124# del codice del 1865. La forma però è diversa perché, mentre l'art. #1124# menziona prima l'equità poi l'uso e poi la legge, il contrario accade per l'art. 1374 che menziona prima la legge poi gli usi e poi l'equità. Non è tuttavia a credere che la gerarchia dei criteri sia mutata. Tanto nel vecchio quanto nel nuovo sistema, gli usi non vengono in considerazione se non in quanto faccia faccia difetto la norma di legge, ed anzi hanno efficacia in quanto sono espressamente richiamati dal legislatore. Il richiamo si ha rispettivamente negli articoli #1124# del 1865 e 1374 nel testo del 1942. L'equità, che è menzionata per ultima, per ambo i codici deve assistere in ogni applicazione di norme giuridiche, ma la sola equità non può venire in campo, se non quando le altre fonti facciano difetto.