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Articolo 723 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Resa dei conti

Dispositivo dell'art. 723 Codice Civile

(1)Dopo la vendita [1470 c.c.], se ha avuto luogo, dei mobili e degli immobili [719 c.c.] si procede ai conti che i condividenti si devono rendere, alla formazione dello stato attivo e passivo dell'eredità e alla determinazione delle porzioni ereditarie e dei conguagli [728 c.c.] o rimborsi che si devono tra loro i condividenti [2817 n. 2 c.c.].

Note

(1) Il godimento separato dei beni ereditari o l'amministrazione sugli stessi possono avere determinato l'insorgenza di debiti e crediti tra eredi quali, per esempio, il rimborso per le spese e i miglioramenti sostenuti, per le imposte pagate, le restituzione dei frutti percepiti, ecc.

Ratio Legis

Attraverso la resa dei conti si definiscono i rapporti tra coeredi, in particolare i crediti e debiti reciproci.

Spiegazione dell'art. 723 Codice Civile

L’articolo in esame disciplina lo svolgimento delle operazioni divisionali propriamente dette, una prima fase delle quali ha potuto essere costituita dalla vendita dei beni mobili ed immobili.
Le operazioni previste dalla legge sono quattro:
a) Conti che i condividenti si devono rendere. Questi conti hanno per oggetto rapporti successivi all’apertura della successione ed hanno lo scopo di aggiungere al patrimonio relitto i frutti da esso prodotti, secondo la massima fructus augent hereditatem.
b) Formazione dello stato attivo e passivo. Esso è un quadro di ciò che costituisce la massa ereditaria (cose mobili ed immobili, compresi crediti e diritti in generale) e di ciò che la stessa deve: a seconda che l’una o l'altra cifra sia più alta, la eredità sarà attiva o passiva. A questa fase delle operazioni divisionali appartiene anche la determinazione delle collazioni, imputazioni e riduzioni.
c) Determinazione delle porzioni ereditarie. Per effetto delle operazioni precedenti, resta stabilita la quota astratta spettante a ciascun coerede.
d) Conguagli o rimborsi. La necessità di conguagli o rimborsi fra i coeredi nasce dall’impossibilità di far coincidere la quota reale con quella di diritto. Il rimborso è determinato dalla sussistenza di un credito, e quindi di un debito, nascente dai conti di cui alla lettera a).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 723 Codice Civile

Cass. civ. n. 27086/2021

Nella divisione ereditaria e in quella ordinaria, il giudice non può procedere al regolamento, sulla massa, dei debiti dipendenti dal rapporto di comunione senza che, in aggiunta alla domanda principale, sia stata anche proposta istanza di rendiconto, mentre, assolto tale presupposto, può autonomamente provvedere, anche in assenza di apposita domanda, alla liquidazione di tale regolamento col sistema dei prelevamenti ovvero con l'incremento della quota, costituendo questa autonoma attività giudiziale, ferma restando la possibilità di deroga pattizia delle norme sull'imputazione e sui prelevamenti, nonché di quelle che stabiliscono l'ordine delle operazioni divisionali.

Cass. civ. n. 17876/2019

Ai fini della determinazione dei frutti che uno dei condividenti deve corrispondere in relazione all'uso esclusivo di un immobile oggetto di divisione giudiziale, occorre far riferimento ai frutti civili, i quali, identificandosi nel corrispettivo del godimento dell'immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, ben possono essere liquidati con riferimento al valore figurativo del canone locativo di mercato. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANIA, 16/05/2014).

Cass. civ. n. 15182/2019

L'azione di rendiconto costituisce un'azione autonoma e distinta rispetto alla domanda di scioglimento della comunione, sicché la domanda riconvenzionale con la quale si intende chiedere il rendiconto deve essere proposta, a pena di inammissibilità, con la comparsa di risposta ai sensi dell'art. 167 c.p.c. (Nella specie, la domanda riconvenzionale di rendiconto era stata proposta, tardivamente, per la prima volta, con la memoria ex art. 183, comma 5, c.p.c., nella formulazione in vigore anteriormente alle modifiche apportate con il d.l. n. 35 del 2005, conv. in l. n. 80 del 2005, applicabile "ratione temporis"). (Rigetta, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 28/08/2014).

Cass. civ. n. 5135/2019

Il coerede che sul bene comune da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie può pretendere, in sede di divisione, non già l'applicazione dell'art. 1150 c.c. - secondo cui è dovuta un'indennità pari all'aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti - ma, quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per il suddetto bene comune, esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non di debito di valore. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 18/02/2014).

Cass. civ. n. 18857/2018

Nell'ambito dei rapporti tra coeredi, la resa dei conti di cui all'art. 723 c.c., oltre che operazione inserita nel procedimento divisorio, può anche costituire un obbligo a sé stante, fondato - così come avviene in qualsiasi situazione di comunione - sul presupposto della gestione di affari altrui condotta da uno dei partecipanti; ne consegue che l'azione di rendiconto può presentarsi anche distinta ed autonoma rispetto alla domanda di scioglimento della comunione pur se le due domande abbiano dato luogo ad un unico giudizio, sicché le medesime possono essere scisse e decise senza reciproci condizionamenti.

Cass. civ. n. 2148/2014

Il coerede che abbia goduto in via esclusiva dei beni ereditari è obbligato, agli effetti dell'art. 723 cod. civ., per il fatto oggettivo della gestione, sia al rendiconto che a corrispondere i frutti agli altri eredi a decorrere dalla data di apertura della successione (o dalla data posteriore in cui abbia acquisito il possesso dei beni stessi), senza che abbia rilievo la sua buona o mala fede (nella specie, indipendentemente dalla conoscenza della falsità del testamento), non trovando applicazione, in tal caso, gli artt. 535 e 1150 cod. civ.

La domanda di rendimento del conto (nella specie, tra coeredi) include la domanda di condanna al pagamento delle somme che risultano dovute, in quanto il rendiconto, ai sensi degli artt. 263, secondo comma, e 264, terzo comma, cod. proc. civ., è finalizzato proprio all'emissione di titoli di pagamento. Ne consegue che non viola l'art. 112 cod. proc. civ. il giudice che, pur senza un'espressa domanda al riguardo, condanni chi rende il conto alla corresponsione delle somme dovute.

Cass. civ. n. 30552/2011

In tema di divisione ereditaria, l'art. 723 c.c. prevede che dopo la vendita, se ha avuto luogo, dei mobili e degli immobili, si procede ai conti che i condividenti si devono rendere tra loro e, tra l'altro, ai relativi conguagli e rimborsi, ivi compresa la restituzione dei frutti; ne consegue che la domanda di restituzione dei frutti è da ritenere ricompresa in quella di resa dei conti.

Nell'ambito dei rapporti tra coeredi, la resa dei conti di cui all'art. 723 c.c., oltre che operazione inserita nel procedimento divisorio, può anche costituire un obbligo a sé stante, fondato - così come avviene in qualsiasi situazione di comunione - sul presupposto della gestione di affari altrui condotta da uno dei partecipanti; ne consegue che l'azione di rendiconto può presentarsi anche distinta ed autonoma rispetto alla domanda di scioglimento della comunione pur se le due domande abbiano dato luogo ad un unico giudizio, sicché le medesime possono essere scisse e decise senza reciproci condizionamenti.

Cass. civ. n. 21288/2011

L'azione di rendiconto e quella conseguente di pagamento dell'eventuale saldo - manifestando l'intento di acquisire all'asse ereditario beni ad esso spettanti - rispondono all'interesse di tutti gli eredi e possono essere esercitate da ognuno di questi singolarmente, nell'esercizio dei poteri di gestione dell'eredità e dell'interesse comune, fermo restando, ovviamente, l'obbligo di rendere il conto ai coeredi e di ripartire fra tutti l'attivo ereditario in sede di divisione, senza che siano ravvisabili, in linea di principio, gli estremi del litisconsorzio necessario, trattandosi di iniziativa che non può arrecare pregiudizio ai coeredi, salvo specifica dimostrazione in contrario da parte dell'interessato.

Cass. civ. n. 11519/2011

In tema di divisione giudiziale, qualora al condividente sia assegnato un bene di valore superiore alla sua quota (trattandosi di bene non comodamente divisibile, attribuito al titolare della quota maggiore ex art. 720 c.c.) e, sin dall'apertura della successione, il citato assegnatario si trovava nel possesso dell'intero bene, avendone percepito i frutti, oltre al diritto al conguaglio dovuto agli altri condividenti (regolato nell'ambito del giudizio di divisione), sorge a favore di questi ultimi altresì il diritto alla corresponsione degli interessi, di natura corrispettiva, sul capitale oggetto di gestione pregressa, da determinarsi nel più complesso rapporto di debito e credito relativo ai frutti - eventualmente maturati e non percepiti - prodotti dai beni costituenti la comunione ereditaria e di cui investire il giudice non già con la citata azione di divisione (che concerne il conguaglio sul capitale a tale titolo attribuito), bensì con autonoma, sia pure contestuale, azione di rendiconto, in considerazione della situazione esclusiva di godimento dei beni in comunione per il periodo precedente di indivisione.

Cass. civ. n. 6982/2009

Il coerede che sul bene comune da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie, può pretendere, in sede di divisione, non già l'applicazione dell'art. 1150, comma quinto, c.c. - secondo cui è dovuta un'indennità pari all'aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti - ma, quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per materiali e manodopera.

Cass. civ. n. 9269/2008

Il gestore di una comunione ereditaria ha diritto al rimborso delle spese necessarie od utili per la conservazione o il miglioramento dei beni comuni ma non può pretendere il pagamento dei debiti verso la massa da parte dei coeredi o legatari, in quanto l'obbligo di versamento, a loro carico, sorge al momento del giudizio di divisione e di resa nel conto e non nei confronti del gestore, privo del potere di rappresentanza della massa ereditaria.

Cass. civ. n. 1144/1995

Con riguardo ai crediti nascenti da un rapporto di comunione a favore di un comunista nei confronti di un altro (nella specie, per rimborso di spese di ricostruzione e di addizioni relative ad immobile in comunione), che non siano mai stati oggetto di accordo, né circa l'ammontare né circa la data del pagamento, la prescrizione può decorrere soltanto dal momento della divisione, cioè dal tempo in cui si è reso (o si sarebbe dovuto rendere) il conto, non essendo configurabile, con riguardo a tali crediti, un'inerzia del creditore alla quale possa riconnettersi un effetto estintivo, giacché l'obbligo della resa dei conti dal momento in cui è sorta la comunione e l'esigenza dell'imputazione alla quota di ciascun comunista delle somme di cui è debitore verso i condividendi traggano origine, appunto, dalla divisione.

Cass. civ. n. 7797/1991

In tema di divisione ereditaria, l'art. 723 c.c. prescrive che i condividenti, nel corso delle operazioni divisionali, si debbono rendere i conti, ma non stabilisce le modalità del rendiconto, né in particolare impone il ricorso a quelle degli artt. 263 e seguenti, c.p.c., la cui adozione, pertanto, è meramente facoltativa ed affidata alle scelte discrezionali del giudice del merito, il quale può preferire indagini e prove di tipo diverso (nella specie, consulenza tecnica).

Cass. civ. n. 5861/1991

Con riguardo ad una comunione la resa dei conti, così come il pagamento delle migliorie, oltre che operazioni inserite nel relativo procedimento di divisione possono costituire anche obblighi a sé stanti, sicché l'azione di rendiconto e quella di pagamento delle migliorie sono autonome e distinte rispetto alla domanda di scioglimento della comunione. Ne consegue che la domanda riconvenzionale con la quale si intende chiedere il rendiconto od il pagamento delle migliorie deve essere proposta, a pena di inammissibilità, con la comparsa di risposta ai sensi dell'art. 167 c.p.c. che ne preclude la proponibilità nell'ulteriore corso del giudizio, a meno che la controparte non abbia accettato il contraddittorio su di essa.

Cass. civ. n. 4633/1991

Nel caso di possesso esclusivo della cosa comune, esercitato da un partecipante alla comunione, il possessore ha in ogni caso l'obbligo, quale mandatario espresso o tacito degli altri partecipanti, di rendere loro il conto dei frutti, così come ha diritto alla contribuzione nelle spese sostenute per i miglioramenti apportati anche in rappresentanza degli altri partecipanti, prescindendo dalla distinzione tra possessore di buona fede o di mala fede, che, ai sensi dell'art. 1148 c.c., ha rilevanza al fine di determinare il periodo per il quale è dovuta la restituzione dei frutti maturati.

Cass. civ. n. 7716/1990

Il condividente di un bene immobile che durante il periodo di comunione abbia goduto l'intero bene da solo senza un titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri, quale ristoro per la privazione della utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti al tempo della divisione; frutti che, identificantesi con il corrispettivo del godimento dell'immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono — solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione — essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l'immobile.

Cass. civ. n. 1528/1985

Ai fini della determinazione dei frutti che uno dei condividenti deve corrispondere in relazione alla detenzione di un immobile oggetto di divisione giudiziale occorre far riferimento ai frutti civili, i quali si identificano nel corrispettivo del godimento dell'immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri ma non agli utili ricavati dall'esercizio nell'immobile di un'impresa commerciale, in quanto questi non rientrano tra i detti frutti, ma costituiscono i proventi dell'impresa, cioè il prodotto che il detentore consegue impiegando la sua complessiva organizzazione aziendale.

Cass. civ. n. 2505/1976

L'obbligo della resa dei conti tra coeredi, per quanto riguarda i frutti dei beni dall'apertura della successione, e la stessa esigenza di imputare alla quota di ciascun condividente le somme di cui egli sia debitore verso gli altri coeredi, traggono origine dalla divisione e sono collegati positivamente a tale vicenda dalla normativa vigente; nè immuta a tale disciplina il fatto che ad un certo momento la percezione dei frutti compiuta in qualità di erede cessi per dar luogo a raccolta per titolo diverso, perchè il nuovo rapporto che si instaura tra le parti ha per contenuto solo la sorte della futura raccolta dei frutti a venire. Non è perciò ipotizzabile un decorso della prescrizione dell'obbligo del rendiconto per la gestione a titolo di erede che abbia inizio dal momento in cui a tale gestione sia subentrata l'amministrazione nella qualità di mandatario, se non vi sia stata divisione dell'eredità.

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Consulenze legali
relative all'articolo 723 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Vittorio L. chiede
mercoledì 06/05/2020 - Emilia-Romagna
“Spett. Studio Legale, ecco il mio quesito: tra Nov. '19 e Feb. '20 si è aperta la Successione Legittimaria di entrambi i miei suoceri, che riguarda mia moglie e i 6 fratelli.
Il Relictum è costituito da 7 immobili, alcuni locati, amministrati da un incaricato, che periodicamente trasmette i proventi netti delle locazioni.
Il Notaio ha già fatto la Dichiarazione di Successione per mio suocero e sta iniziando quella della moglie. Non c'è accordo praticamente su nulla tra i fratelli: nemmeno sul destino degli affitti trasmessi dall'Amministratore: 4 su 7 vorrebbero governare la Comunione a colpi di maggioranza, volendo per il momento non dividere nulla, prima tentare la vendita degli immobili, procedendo poi alla divisione del ricavato (chissà quando...), accreditando tutti gli affitti su un C/C intestato a uno solo degli eredi (!), con l'intenzione di sostenere con tali proventi le spese degli altri immobili, senza praticamente distribuire nulla ai coeredi; in questo modo, tra l'altro, si pagherebbe l'IRPEF su redditi in realtà mai incassati (!).
Mia moglie e un paio di fratelli si oppongono fermamente a tutto ciò, volendo addivenire quanto prima alla divisione in lotti dei 7 immobili (essendo possibile una ripartizione più o meno equilibrata, assegnando i vari immobili a 2/3 gruppi di eredi), sciogliendo, se possibile contrattualmente, questa "impossibile" comunione.
Chiedo: 1) E' diritto di ogni erede ottenere la immediata disponibilità degli affitti riscossi, impedendo che vengano sottratti convogliandoli su un C/C amministrato dalla Comunione e intestato a uno solo dei coeredi? 2) Nel caso di persistente diniego, sarebbe opportuna una Diffida con minaccia di azione legale? (Si potrebbe parlare di "Appropriazione indebita"?) 3) Si pensava di proporre davanti al Notaio la immediata Divisione Contrattuale, minacciando il ricorso a quella Giudiziale come deterrente per convincere i coeredi ad accettare di dividere l'eredità (a tale proposito, la Divisione Giudiziale Concordata - ricorso firmato da tutti - mi sembra abbia costi e tempi - 1/2 anni - molto ridotti rispetto a quella Ordinaria; si può ipotizzare un costo in percento del valore dell'eredità da dividere, posto che quella Ordinaria sembra poter arrivare a costare un 8/10% di questo valore?).
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 12/05/2020
La situazione che viene descritta è quella di una ordinaria comunione, la quale si caratterizza soltanto per il fatto che i beni che ne costituiscono oggetto sono tutti di provenienza ereditaria.
Pertanto, le norme a cui occorre fare riferimento sono quelle dettate dal codice civile in materia di divisione ereditaria, integrate da quelle che sempre lo stesso codice detta in materia di comunione ordinaria e di amministrazione della cosa comune.
Il problema più immediato che si pone è quello della amministrazione e del necessario rispetto della trasparenza nel compimento di tale attività, ed a tal proposito risultano abbastanza chiare ed esplicite le norme che si rinvengono agli artt. 1100 e ss. c.c.

In particolare, dispone il primo comma dell’art. 1105 del c.c. che ciascuno dei partecipanti alla comunione ha il diritto di concorrere nell’amministrazione della cosa comune, dovendosi distinguere tra atti di ordinaria e atti di straordinaria amministrazione.
Così, mentre per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione occorre che la relativa decisione venga adottata dalla maggioranza dei partecipanti (calcolata secondo il valore della loro quota) ed il suo rispetto sarà obbligatorio per la minoranza, per quelli di straordinaria amministrazione e per gli atti di innovazione, invece, occorrerà rispettare la maggioranza c.d. qualificata prevista dal successivo art. 1108 del c.c., ossia si richiede la delibera della maggioranza dei partecipanti che rappresenti almeno i due terzi del valore complessivo della cosa comune.

Pertanto, se la locazione a cui si fa riferimento nel quesito è stata stipulata per un periodo inferiore a nove anni, essa va qualificata come atto di ordinaria amministrazione, per la cui adozione è sufficiente il rispetto della maggioranza semplice di cui all’art. 1105 c.c.; se, al contrario, la locazione è stata stipulata per un periodo superiore a nove anni, rientrerà nella previsione di cui al terzo comma dell’art. 1108 del c.c., il quale, al pari degli atti di alienazione e di costituzione di diritti reali, richiede il consenso di tutti i partecipanti alla comunione.

Per quanto concerne il tema relativo alle modalità di amministrazione dei beni comuni, di ciò se ne occupa espressamente l’art. 1106 c.c., secondo cui sia per il migliore godimento della cosa comune che per la delega dell’amministrazione ad uno o più dei partecipanti o anche ad un estraneo, è richiesto il rispetto della maggioranza semplice di cui all’art. 1105 c.c.
Continua la stessa norma disponendo che, nello stesso atto di nomina dell’amministratore della cosa comune, potranno essere indicati i poteri e gli obblighi dell’amministratore.
Così, a parte il generale obbligo di rendiconto che fa capo a chiunque amministri beni nell’interesse sia proprio che altrui, il suddetto obbligo di rendere conto della gestione trova fondamento anche nel disposto dell’art. 723 del c.c., risultando indispensabile al fine di poter formare lo stato attivo e passivo dell’eredità e così procedere alla determinazione delle porzioni ereditarie e degli eventuali conguagli o rimborsi che si devono i condividenti.

Qualora, poi, colui il quale amministra i beni comuni abbia intenzione di sottrarsi a tale obbligo, sarà certamente possibile diffidarlo in tal senso, intimandogli di rendere il conto della gestione e di voler far valere il disposto di cui al n. 4 dell’art. 1129 del c.c., norma inserita tra quelle che disciplinano l’amministrazione nel condominio negli edifici, ma sicuramente applicabile anche alle altre forme di comunione, ove vi sia un amministratore della cosa comune.
Ai sensi di tale norma, infatti, costituisce grave irregolarità, tale da legittimare la revoca dell’amministratore, la conduzione di una gestione che generi confusione tra il patrimonio comune ed il patrimonio personale di chi amministra o di altri comunisti.

Sotto il profilo penale, certamente integra una appropriazione indebita l’utilizzo per fini esclusivamente personali di denaro ricavato dalla gestione dei beni comuni.

Infine, per quanto concerne la divisione di quei beni, dispone espressamente l’art. 713 del c.c. che i coeredi hanno il diritto, di natura potestativa ed imprescrittibile, di chiedere in qualunque momento la divisione dei beni comuni, ottenendo in via esclusiva la titolarità di alcuni beni già comuni in misura corrispondente al valore della quota a ciascuno di essi spettante.
Nel caso di specie la divisione avrà ad oggetto c.d. masse plurime, in quanto oggetto della comunione ereditaria sono beni provenienti da titoli diversi, ossia dall’eredità paterna e da quella materna.
Pertanto, sotto il profilo giuridico, si avranno tante divisioni quante sono le masse ereditarie, ma ciò non impedisce che, con l’accordo di tutti i coeredi, ciascun condividente possa soddisfarsi nella divisione con beni dell’altra massa (in tale senso possono citarsi Cass. n. 4740/1977; Cass. n. 17576/2016; Tribunale di Verona 04.05.2019).

In mancanza di accordo, purtroppo sarà necessario procedere alla divisione giudiziale, per la quale è prevista la fase preliminare obbligatoria della mediazione, in quanto il diritto successorio rientra tra le materie per le quali la stessa è obbligatoria (così art. 5 comma 1 bis del D.lgs. 28/2010).
Indubbiamente i costi di tale forma di divisione non saranno indifferenti, potendo gli stessi variare oltre che in base al valore delle masse ereditarie da dividere, anche in relazione alle diverse fasi che si renderà necessario affrontare per giungere alla divisione (è difficile poterli preventivare).
Certamente una divisione con assegnazione in natura dei lotti sarà molto meno onerosa di una divisione con vendita dei singoli cespiti ereditari e successiva ripartizione del ricavato, così come sarà ancora meno onerosa una divisione giudiziale che si fermi alla fase della mediazione, con raggiungimento dell’accordo divisionale già in tale fase.

Si ritiene difficile poter pensare di avvalersi di una divisione a domanda congiunta, prevista dall’art. 791 bis c.p.c., in quanto trattasi di una particolare forma di divisione che ha pur sempre come suo presupposto essenziale l’accordo tra i condividenti, ciò che si desume dall’inciso iniziale della norma, ove è detto “Quando non sussiste controversia sul diritto alla divisione né sulle quote o altre questioni pregiudiziali”.

Altra soluzione che può consigliarsi, invece, è quella di procedere, ancora più semplicemente, ad uno stralcio di quota divisionale, ossia una divisione soggettivamente parziale, e ciò in considerazione del fatto che alcuni dei coeredi sembrano non avere alcuna intenzione di sciogliere quella comunione.
Trattasi di una soluzione che può realizzarsi sia consensualmente davanti al notaio (e questa sarebbe l’ipotesi auspicabile) che giudizialmente, mediante la quale i comunisti assegnano ad alcuno o più di loro taluni dei beni o dei diritti comuni, a soddisfazione integrale della quota spettante a costoro sulla totalità dei beni indivisi.
Per effetto di tale soluzione, lo scioglimento del complessivo stato di comunione opera solo con riguardo ad uno o più condividenti e ad uno o più beni, restando gli altri soggetti in comunione per gli altri residui beni comuni.

Giancarlo B. chiede
martedì 03/12/2019 - Sardegna
“Lo scorso ottobre è stata emessa sentenza per divisione ereditaria con superamento comproprietà procedimento iniziato nel 2004 per apertura collazione 1996.
La valutazione del relictum e del donatum è stata fatta al 1996 e assegnati i cespiti che sono poi stati valutati all attualità 2019 e sono state fatte le compensazioni in denaro.
Io ho avuto un locale commerciale come parte.
Il locale faceva parte del relictum e fino ad oggi lo affitto è stato riscosso e diviso tra i quattro eredi.
La domanda è la seguente.
Avendo io ricevuto come parte il locale al 1996 poi valutato al 2019 ho diritto a riavere gli affitti riscossi dagli altri tre eredi?
Se si, ne ho diritto dal 1996 o 2004 inizio causa?
Doveva essere previsto dalla sentenza o costituisce richiesta a parte con un nuovo procedimento?
Oppure non ne ho diritto che dal giorno della sentenza registrata?”
Consulenza legale i 11/12/2019
La soluzione del caso che viene prospettato è legata alla circostanza che l’immobile di cui si vorrebbero ripetere i frutti civili percepiti nel corso degli anni (dal momento dell’apertura della successione a quello della divisione definitiva) faceva parte del relictum, ossia di ciò che il de cuius ha fatto rinvenire nel suo patrimonio ereditario.

Sul relictum, infatti, una volta che si apre la successione, si viene ad instaurare tra gli eredi una situazione di comunione vera e propria, situazione che perdura finquando non si procede alla divisione, sia essa volontaria o giudiziale o, in caso di indivisibilità, si effettua la vendita dei singoli beni e si ripartisce il ricavato.

Nella qualità di comproprietari iure hereditatis, tutti gli eredi hanno il diritto, finchè dura la comunione, di far propri i frutti naturali e civili che l’immobile è in grado di produrre, essendosi il legislatore preoccupato, proprio per garantire questo pari diritto dei coeredi, di disciplinare espressamente l’ipotesi inversa a quella che qui si è verificata, ossia il caso in cui uno solo degli eredi sia in possesso del bene ereditario da dividere e ne faccia propri i frutti.

In questo particolare caso, infatti, prima dello scioglimento della comunione, il coerede che abbia goduto in via esclusiva del bene ereditario ha non soltanto l’obbligo di fornire il rendiconto della gestione, ma anche quello di corrispondere agli altri eredi i frutti maturati e riscossi dalla data di apertura della successione, senza che possa assumere alcun rilievo la sua buona o mala fede.

Tale regola la si trova espressamente sancita all’art. 723 c.c., il quale dispone che dopo la vendita dei mobili e degli immobili i condividenti si devono rendere i conti della gestione, e ciò al fine di determinare i conguagli o i rimborsi che si devono tra di loro (lo stesso vale per il caso in cui lo scioglimento della comunione avvenga a seguito di divisione).

Ha precisato a tal proposito la Corte di Cassazione (sentenze n. 21013/2011 e 2148/2014) che i frutti derivanti dai beni che cadono nella comunione ereditaria devono considerarsi come incrementi, i quali si presumono, salvo patto contrario, acquisiti alla massa e, dunque, automaticamente alla titolarità pro quota di ciascun erede.
Corretta e conforme al dettato normativo, pertanto, è stata la scelta di dividere in egual misura tra i quattro coeredi il canone di locazione percepito da quell’immobile ricadente in comunione ereditaria, e ciò fino al momento del suo scioglimento.

Altrettanto corretta e conforme a legge è stata la valutazione dei beni facenti parte del relictum e del donatum, effettuata secondo il loro valore al tempo dell’apertura della successione (anno 1996).
Infatti, dispone l'art. 556 del c.c. che, al fine di determinare la porzione disponibile (e conseguentemente la quota di riserva di ciascun legittimario) devono riunirsi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione secondo il loro valore determinato in base alle regole dettate negli artt. dal 747 al 750 c.c.
L’art. 747 del c.c., a sua volta, dispone che la collazione per imputazione (si ritiene che sia questa quella a cui si è fatto qui ricorso) si fa avendo riguardo al valore dell’immobile al tempo dell’apertura della successione, il che coincide perfettamente con la modalità seguita nel caso di specie.

Diverso discorso, invece, deve essere fatto qualora, in seguito all’esercizio dell’azione di riduzione, il donatario dovesse trovarsi costretto a restituire l’immobile donatogli, poiché in tale ipotesi dovrà applicarsi l’[[561c.c]]., norma che, al suo ultimo comma, dispone che il donatario è tenuto a restituire agli altri eredi beneficiari della riduzione i frutti percepiti da tale immobile a decorrere dal giorno della domanda giudiziale.
Probabilmente l’esistenza di tale norma ha creato un po’ di confusione in chi pone il quesito, inducendolo a ritenere che la stessa regola possa valere per quei beni che non sono mai usciti dal patrimonio del de cuius e da cui gli eredi hanno regolarmente tratto i frutti (civili o naturali) finché è durato lo status di comunione ereditaria.

Concludendo, pertanto, deve purtroppo dirsi che sul bene ricevuto a tacitazione della propria quota ereditaria non può avanzarsi alcuna pretesa volta a recuperare dagli altri eredi gli affitti riscossi e suddivisi in quote eguali, e ciò fino al momento dello scioglimento della comunione ereditaria disposto con la sentenza dell’ottobre scorso.

Si ritiene, infine, possa risultare utile aggiungere che, in ogni caso, la giurisprudenza risulta in linea di massima orientata nel senso di doversi ritenere inammissibile presentare una domanda di rendiconto dopo lo scioglimento della comunione ereditaria.
Tale orientamento è stato solo di recente contraddetto dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 18.857 del 16.07.2018, con la quale la S.C. ha aderito alla diversa tesi secondo cui l’azione di rendiconto, con la quale gli eredi definiscono i propri rapporti di debito-credito inerenti alla comunione ereditaria, può essere esperita anche autonomamente e successivamente alla divisione dell’asse ereditario, senza reciproci condizionamenti.
Si afferma, infatti, che l’azione di resa dei conti può costituire obbligo a se stante, fondato sul presupposto della gestione di affari altrui, condotta da alcuno dei partecipanti.

Pertanto, qualora si ritenga che vi siano i presupposti per reclamare dagli altri eredi dei crediti (diversi da quelli legati ai canoni di locazione per i quali è stato posto il quesito) non fatti valere al momento dello scioglimento della comunione ereditaria, si potrebbe trarre spunto da tale ultima sentenza della S.C. per esperire anche adesso l’azione di resa dei conti ex art. 723 c.c.