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Articolo 1299 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Regresso tra condebitori

Dispositivo dell'art. 1299 Codice Civile

Il debitore in solido che ha pagato l'intero debito può ripetere dai condebitori soltanto la parte di ciascuno di essi [1203 n. 3](1).

Se uno di questi è insolvente, la perdita si ripartisce per contributo tra gli altri condebitori, compreso quello che ha fatto il pagamento.

La stessa norma si applica qualora sia insolvente il condebitore nel cui esclusivo interesse l'obbligazione era stata assunta [1298](2)(3).

Note

(1) I debitori contro cui si agisce in regresso sono obbligati parziariamente (1292 c.c.).
(2) Ciò accade, ad esempio, in caso di fideiussione.
(3) Nonostante la norma non statuisca nulla a riguardo, deve ritenersi applicabile anche al concreditore che ha ottenuto l'intera prestazione (1292 c.c.).

Ratio Legis

La norma, che contempla espressamente l'azione di regresso, è volta ad evitare che il debitore adempiente che la intraprende sopporti da solo il rischio di insolvenza degli altri debitori: perciò egli può chiedere a ciascun debitore la sua quota, fermo restando che l'insolvenza di uno grava anche su di lui perché altrimenti otterrebbe un vantaggio indebito (2041 c.c.).

Spiegazione dell'art. 1299 Codice Civile

Regresso nel diritto romano, comune e moderno. Codice napoleonico; codice del 1865; codice vigente.

Il regresso del debitore che ha pagato è regolato dall'art. 1299.

Questo diritto di regresso, non veniva ammesso nel diritto romano, in via di regola, come un normale effetto della solidarietà, ma solo accidentalmente in base alle relazioni contrattuali ed extracontrattuali, sussistenti fra i condebitori. Quindi dove queste relazioni (di società, di comunione, di mandato e così via) davano base al regresso, questo poteva venire esercitato: dove no, no.

Si allegava pure a giustificazione del diniego la considerazione che la disciplina della solidarietà si riferiva unicamente ai rapporti fra debitore e creditore; ma non concerneva appunto i rapporti fra condebitori.

Nel diritto comune prevalse per ovvie ragioni di equità i1 concetto contrario. Si ritenne cioè che proprio, in virtù della solidarietà, le quote del debito dovessero ritenersi uguali salvo prova contraria fra i condebitori e pertanto dovesse essere ammesso a favore del debitore, che aveva pagato l'intero debito, il diritto a rimborso contro gli altri per la parte, da questi rispettivamente dovuta.

Questo indirizzo fu accolto nel codice napoleonico (art. 1213), nel codice del 1865 (#1198#) ed è riprodotto nell'odierno art. 1299.

Qui appunto si dispone: il condebitore, che ha pagato, può ripetere da ciascuno dei condebitori la parte di ciascuno di essi. Quale sia questa parte è stabilito dall'art. 1298. In virtù di questo precetto, le quote si presumono uguali, ma trattasi di presunzione semplice che può essere oppugnata con prova contraria. Perciò chi assume il contrario (sia esso l'attore condebitore che ha pagato e chiede un maggiore rimborso, sia il condebitore convenuto che assume di non essere tenuto affatto a rimborso, perché l'obbligazione fu assunta nell'esclusivo interesse di un altro o di più altri condebitori od assume di essere tenuto ad un minore rimborso) deve dame la prova.


Non solvenza del condebitore

L'art. 1299 enuncia altre regole.

Si prevede cioè che uno dei condebitori, tenuto al rimborso, sia non solvente. In tal caso si dispone che questa non solvenza non colpisce solo il debitore che ha pagato, ma tutti i condebitori compreso quest'ultimo.

Pertanto la quota del non solvente si divide fra tutti i condebitori solventi: e di conseguenza ciascuno di questi è tenuto proporzionalmente ad un maggior rimborso, e il debitore che ha pagato subisce pure sovra di sè, in parte adeguata, il danno della non solvenza.

Detta regola si applica anche nel caso, in cui non solvente sia precisamente quegli nel cui interesse l'obbligo è stato assunto.

La enunciazione esplicita di questa norma è indubbiamente opportuna. Infatti, alla stregua dei principi generali, il regresso potrebbe esercitarsi solo contro i condebitori, per la parte da ciascuno dovuta, e conseguentemente, nell'ipotesi di solidarietà, assunta nell'esclusivo interesse di uno solo dei soggetti, solo contro di questo si potrebbe esercitare l'azione di regresso.

Ma quando questo, che dovrebbe in definitiva sopportare l'onere dell'obbligazione, non è solvibile, il regresso contro di lui rimarrebbe del tutto cosa vana, con la conseguenza iniqua che tutto il pregiudizio di detta insolvenza ricadrebbe sul soggetto che accidentalmente fu costretto a pagare; giustamente quindi il codice, in previsione di detto caso, riparte le conseguenze nocive dell'insolvenza tra i condebitori solventi.


Regresso in caso di insolvenza

Nella dottrina si poneva la questione se l'insolvenza che influiva sulla misura del regresso dovesse essere anteriore o contemporanea al pagamento od anche posteriore. Si reputava preferibile nella dottrina francese la prima opinione restrittiva, giacché si diceva che il diritto al rimborso nasce nel momento del pagamento, ed è determinato dalle circostanze, che in detto momento sussistono e non da altre posteriori: inoltre si aggiungeva che l'insolvenza successiva può essere l'effetto del ritardo colposo dell'esercizio del diritto al rimborso.

Su questo punto nulla dispone il codice vigente, esplicitamente, però dalla espressione usata «... è insolvibile» si deve dedurre che si debba tener presente il momento nel quale si effettua il regresso e non già il momento anteriore. E’ chiaro però che se si deduca e dimostri che il regresso è stato esercitato con indebito ritardo e che se tempestivamente e diligentemente avesse il debitore chiesto il rimborso, la successiva insolvenza non l'avrebbe danneggiato, qui si pone una condizione di colpa che, ragionevolmente alla stregua dei principi generali, dovrebbe esser tenuta presente, allo scopo di non fame cadere le conseguenze sugli altri condebitori.


Obbligazioni derivanti da fatto illecito. Limiti al diritto di regresso

In tema di regresso sorge la questione che fu variamente risolta: se cioè nelle obbligazioni nascenti da fatto illecito sussista il diritto di regresso a favore dell'autore, che ha pagato il risarcimento integrale contro il coautore del fatto stesso.

Nella dottrina prevalse la tesi affermativa, però si rilevò che la solidarietà nascente da fatto illecito è sottoposta a tutte le norme della solidarietà e fra queste vi è pure quella che ammette senza distinzioni il diritto di regresso.

Certo qualche dubbio è tuttora possibile quando il regresso possa apparire come un'azione fondata su causa turpe e come tale vietata dai principi di suprema moralità, ai quali si ispirava appunto il diritto romano, quando enunciava i1 concetto «si duo dolo malo fecerint invicem de dolo non agent», I, 36, 0. IV, 3.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1299 Codice Civile

Cass. civ. n. 5475/2023

La persona danneggiata in conseguenza di un fatto illecito imputabile a più persone legate dal vincolo della solidarietà, può pretendere la totalità della prestazione risarcitoria anche nei confronti di una sola delle persone coobbligate, mentre la diversa gravità delle rispettive colpe di costoro e la eventuale diseguale efficienza causale di esse, può avere rilevanza soltanto ai fini della ripartizione interna del peso del risarcimento fra i corresponsabili; conseguentemente il giudice del merito, adito dal danneggiato può e deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei detti condebitori abbia esercitato l'azione di regresso nei confronti degli altri, atteso che solo nel giudizio di regresso può discutersi della gravità delle rispettive colpe e delle conseguenze da esse derivanti.

Cass. civ. n. 11962/2022

Il giudice investito da una domanda di condanna del creditore verso un obbligato solidale e da una domanda di regresso proposta da quest'ultimo verso altro coobbligato ben può emettere due distinte pronunce di condanna, l'una subordinata all'altra, nel senso che la pronuncia in via di regresso può essere posta in esecuzione soltanto ove venga dimostrato, da parte del primo condebitore, l'adempimento nei confronti del creditore, atteso che l'ordinamento ammette la sentenza condizionata quando l'avvenimento futuro ed incerto cui viene subordinata l'efficacia della condanna si configuri come elemento accidentale della decisione, così formulata in omaggio al principio di economia processuale.

Cass. civ. n. 542/2020

La solidarietà passiva nel rapporto obbligatorio è prevista dal legislatore nell'interesse del creditore e serve a rafforzare il diritto di quest'ultimo, consentendogli di ottenere l'adempimento dell'intera obbligazione da uno qualsiasi dei condebitori, mentre non ha alcuna influenza nei rapporti interni tra condebitori solidali, fra i quali l'obbligazione si divide secondo quanto risulta dal titolo o, in mancanza, in parti uguali. Ne consegue che, se il creditore conviene in giudizio più debitori, sostenendo la loro responsabilità solidale, e il giudice, invece, condanna uno solo di essi, con esclusione del rapporto di solidarietà, il debitore condannato, ove non abbia proposto alcuna domanda di rivalsa nei confronti del preteso condebitore solidale e, dunque, non abbia dedotto in giudizio il rapporto interno che lo lega agli altri debitori, non ha un interesse ad impugnare tale sentenza nella parte in cui esclude la solidarietà, perché essa non aggrava la sua posizione di debitore dell'intero e non pregiudica il suo eventuale diritto di rivalsa. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 09/11/2017).

Cass. civ. n. 13505/2019

La responsabilità per il corrispettivo contrattuale preteso dall'appaltatore per l'esecuzione dei lavori inerenti parti comuni assunta dall'amministratore del condominio, o comunque, nell'interesse del condominio - nel regime antecedente alla garanzia ex art. 63, comma 2, disp. att. c.c., introdotta dalla legge n. 220 del 2012 -, è retta dal criterio della parziarietà, per cui l'obbligazione assunta nell'interesse del condominio si imputa ai singoli componenti nelle proporzioni stabilite dall'art. 1123 c.c., essendo tale norma non limitata a regolare il mero aspetto interno della ripartizione delle spese. ne consegue che al condomino, che abbia versato al terzo creditore anche la parte dovuta dai restanti condomini, allo scopo di ottenere da costoro il rimborso di quanto da lui corrisposto, non può consentirsi alcun diritto di regresso, ex art. 1299 c.c., né per l'intera somma dovuta dal condominio, né nei confronti degli altri condomini, sia pur limitatamente alla quota millesimale dovuta da ciascuno di essi, né il predetto condomino può avvalersi della surrogazione legale in forza dell'art. 1203, n. 3, c.c., giacché essa - implicando il subentrare del condebitore adempiente nell'originario diritto del creditore soddisfatto in forza di una vicenda successoria - ha luogo soltanto a vantaggio di colui che, essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito, aveva interesse a soddisfarlo. Il condomino che ha pagato quote dei lavori di riparazione delle parti comuni gravanti sugli altri rimane titolare dell'azione d'ingiustificato arricchimento, stante il vantaggio economico ricevuto dai condomini.

Cass. civ. n. 26003/2018

Il coobbligato (nella specie fideiussore) del debitore principale fallito per insinuarsi al passivo, in via di regresso o in virtù di surrogazione, dopo il pagamento effettuato successivamente alla dichiarazione di fallimento, ai sensi dell'art. 61, c.2, l.fall., deve dimostrare il carattere integralmente satisfattivo delle ragioni creditorie, non essendo rilevante un pagamento parziale pur se idoneo ad esaurire l'obbligazione del solvens. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio il decreto di ammissione al passivo del fideiussore, il quale in via transattiva aveva pagato solo una parte del credito per il quale una banca si era in precedenza insinuata nel fallimento del debitore principale).

Cass. civ. n. 21197/2018

Il condebitore solidale, sia "ex contractu" sia "ex delicto", che paga al creditore una somma maggiore rispetto a quella dovuta, ha diritto di regresso anche se non ha corrisposto l'intero, giacché anche in tal caso, come in quello del pagamento dell'intero debito, egli ha subito un depauperamento del proprio patrimonio oltre il dovuto, con corrispondente indebito arricchimento dei condebitori. (Rigetta, CORTE D'APPELLO TORINO, 26/06/2013).

Cass. civ. n. 3404/2018

In caso di parziale pagamento del debito solidale, il condebitore solvente, ove la somma pagata ecceda la sua quota nei rapporti interni, può esperire l'azione di regresso ex art. 1299 c.c. nei confronti degli altri condebitori e nei limiti di tale eccedenza, atteso che la ripartizione della somma cumulativamente azionata attiene ai rapporti interni tra condebitori e che assume rilievo, al riguardo, il depauperamento del suo patrimonio oltre il dovuto ed il corrispondente indebito arricchimento dei condebitori.

Cass. civ. n. 21686/2017

Colui che, senza esservi tenuto, adempie un'obbligazione solidale nell'interesse di uno dei coobbligati, acquista per effetto del pagamento il diritto di regresso che sarebbe spettato alla persona, nel cui interesse è eseguito il pagamento, nei confronti degli altri condebitori. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza con cui il giudice di merito aveva rigettato per carenza di interesse la domanda di un avvocato che, avendo pagato per intero l'imposta dovuta in solido dai propri assistiti per la registrazione di una sentenza, aveva agito in via di regresso nei confronti delle altre parti del giudizio).

Cass. civ. n. 20657/2009

In tema di obbligazioni solidali passive, il pagamento integrale da parte di uno dei coobbligati, ed il successivo esperimento da parte di quest'ultimo dell'azione di regresso nei confronti degli altri condebitori, determinano l'esaurimento del lato interno dell'obbligazione. Ne consegue che quando sia stata pronunciata sentenza di condanna in solido nei confronti di più debitori ed uno di questi, dopo avere rifuso la propria quota di obbligazione solidale ad altro condebitore in via di regresso, ai sensi dell'art. 1299 c.c., impugni vittoriosamente la sentenza di condanna, ove intenda ottenere la restituzione della somma pagata a titolo di regresso deve agire non nei confronti del condebitore che l'ha materialmente ricevuta, ma nei confronti del creditore, a nulla rilevando che la suddetta sentenza di condanna sia passata in giudicato nei confronti di altri coobbligati non impugnanti.

Cass. civ. n. 18406/2009

In materia di obbligazione solidale, ciascun debitore può agire in regresso nei confronti dell'altro a condizione che l'importo azionato non ecceda la parte di pertinenza del condebitore nei confronti del quale l'azione viene esercitata; ne consegue che, ove tale limite venga rispettato, l'azione di regresso può essere esercitata anche congiuntamente da più debitori che abbiano pagato l'intero debito, senza che il convenuto possa opporre che uno di costoro ha pagato meno di quanto dovuto, poiché la ripartizione della somma cumulativamente azionata attiene ai rapporti interni tra condebitori.

Cass. civ. n. 12691/2008

Il condebitore solidale, convenuto in giudizio dall'unico creditore, può promuovere l'azione di regresso di cui all'art. 1299 c.c. nei confronti degli altri coobbligati anche prima di aver pagato la propria obbligazione, fermo restando che l'eventuale sentenza di accoglimento non potrà essere messa in esecuzione se chi l'ha promossa non abbia a sua volta adempiuto nei confronti del creditore principale.

Cass. civ. n. 2469/2003

In caso di obbligazione solidale dal lato passivo, l'accertamento del debito nei riguardi di uno solo dei condebitori non richiede la necessaria partecipazione al giudizio anche dell'altro e non fa stato nei suoi confronti. Ciò non impedisce tuttavia al debitore escusso di agire in rivalsa verso il condebitore solidale, adducendo il fatto di aver dovuto soddisfare le ragioni del comune creditore, fermo restando che il convenuto in questo secondo giudizio è libero di proporre tutte le eccezioni idonee a paralizzare la pretesa dell'attore, anche in relazione a quanto già accertato nella precedente causa cui egli non ha partecipato.

Sebbene la condanna alla rivalsa presupponga il già avvenuto pagamento, ad opera di colui in favore del quale la condanna è emessa, di quanto della rivalsa medesima debba formare oggetto, tuttavia non può negarsi l'interesse della parte a richiedere tale condanna, in via condizionata, contestualmente all'accertamento del proprio diritto, fermo restando che tale diritto non sorge se non a seguito dell'avvenuto pagamento della somma di cui il solvens pretende di ottenere rivalsa da altri. Su una tale domanda di condanna il giudice è dunque tenuto a provvedere, non potendo limitarsi a considerarla assorbita in quella di mero accertamento del diritto di rivalsa, essendo quest'ultima inidonea alla formazione di un titolo esecutivo.

Cass. civ. n. 4507/2001

Nell'azione di regresso fra condebitori, prevista dall'art. 1299 c.c., il debitore che ha adempiuto il debito comune fa valere il suo diritto alla surrogazione legale a norma dell'art. 1203 n. 3 c.c., con la conseguenza che diventano a lui opponibili non solo le eccezioni relative al rapporto interno di solidarietà, ma anche quelle opponibili al creditore in solido, relative a limitazioni, decadenze e prescrizioni inerenti al diritto che ha formato oggetto di surrogazione. In tale azione, inoltre, il termine d'inizio della prescrizione coincide con quello in cui il debitore in solido abbia adempiuto l'intera obbligazione.

Cass. civ. n. 12366/1998

In tema di obbligazioni, la presunzione di solidarietà dettata con riferimento ai rapporti esterni tra creditore e pluralità di debitori non si estende ai rapporti interni tra i condebitori solidali, spiegando, per converso, efficacia, tra questi ultimi, l'opposto principio della parziarietà dell'obbligazione, con la conseguenza che, nella ipotesi di pagamento parziale del debito solidale, al condebitore adempiente spetta l'azione di regresso nei confronti degli altri condebitori soltanto se la somma da lui pagata ecceda la quota di sua spettanza, e soltanto nei limiti di tale eccedenza, previa concreta dimostrazione, in sede giudiziaria, che la prestazione da lui esecutiva risulti effettivamente superiore alla sua quota.

Cass. civ. n. 5106/1998

L'obbligazione solidale passiva non comporta, sul piano processuale, l'inscindibilità delle cause e non dà luogo a litisconsorzio necessario in quanto, avendo il creditore titolo per rivalersi per l'intero nei confronti di ogni debitore, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, il quale può utilmente svolgersi anche nei confronti di uno solo dei coobbligati. Conseguentemente, nel caso di giudizio di impugnazione proposto da uno solo dei condebitori solidali. La sentenza passa in giudicato nei confronti del condebitore non impugnante.

Cass. civ. n. 2011/1994

I condebitori, nei cui confronti il debitore che ha adempiuto fa valere il suo diritto di regresso, possono opporre i fatti estintivi, impeditivi o limitativi del debito comune solo se questi fatti, essendo precedenti alla data dell'adempimento, avrebbero potuto essere opposti al creditore nel momento dell'adempimento, e non anche se si tratta di fatti successivi, dei quali pretendano di avvantaggiarsi ai danni del coobbligato che ha pagato.

Cass. civ. n. 5619/1987

La sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce, ai sensi dell'art. 277 c.c., gli stessi effetti del riconoscimento, per cui pone a carico del genitore, fin dalla nascita del figlio, tutti i doveri inerenti al rapporto di filiazione legittima (art. 261 c.c.), compresi quelli di mantenimento, educazione e istruzione. Pertanto, il genitore che ha provveduto al mantenimento del figlio, ha diritto di ripetere la quota delle relative spese nei confronti del soggetto del quale è stata accertata la paternità o la maternità naturale, in applicazione analogica dell'art. 1299 c.c., che prevede il regresso tra condebitori solidali quando l'obbligazione sia stata adempiuta da uno solo di essi, alla stregua del principio che si trae dall'art. 148 (richiamato dall'art. 261 c.c. per la filiazione naturale) che, prevedendo l'azione giudiziaria contro il genitore inadempiente, postula il diritto di quello adempiente di agire in regresso nei confronti dell'altro.

Cass. civ. n. 1762/1982

L'azione di regresso spettante al debitore solidale che abbia effettuato il pagamento è in sostanza un'azione di surrogazione, mediante la quale egli subentra nei diritti del creditore soddisfatto nelle stesse condizioni di questo, di modo che, se il creditore non poteva più agire nei confronti di uno dei condebitori solidali (nella specie: a seguito di sentenza dichiarativa della prescrizione del credito, per la parte da lui dovuta), il medesimo, convenuto in via di regresso, ha diritto di eccepire al condebitore attore che al momento del pagamento egli non era più debitore.

Cass. civ. n. 2540/1975

Il coobbligato solidale intanto può proporre l'azione di regresso ai sensi dell'art. 1299 c.c., in quanto abbia già effettuato un pagamento valido ed efficace che, da un lato, giustifichi la richiesta di rivalsa della somma eccedente l'ammontare della propria quota e, dall'altro, assicuri ai condebitori escussi l'estinzione dell'obbligazione nei loro confronti. Pertanto, qualora si tratti di obbligazione solidale al risarcimento dei danni ai sensi dell'ars. 2055 c.c., la prescrizione dell'azione di regresso decorre dall'avvenuto pagamento e non già dal giorno dell'evento dannoso.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1299 Codice Civile

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Anonimo chiede
lunedì 01/04/2024
“Buongiorno, nel 2008 ho acquistato una casa con mio marito durante il matrimonio, attualmente è casa familiare. Io sono l'unica intestataria della casa, ma entrambi siamo cointestatari del mutuo della suddetta casa, acquistata in regime di separazione dei beni. Nel 2023 c'è stata la sentenza di separazione giudiziale dove il giudice dice:" Essendo come detto dalla donna il mutuo cointestato ed avendo entrambe le parti sostanze per provvedere al pagamento non si ritiene che debba essere resa dal giudice della separazione alcuna pronuncia in merito, trovando applicazione le regole ordinarie ". Nel 2020, c'è stata l'ordinanza presidenziale della separazione dove il giudice non si è espresso dicendo che non era di sua competenza determinare relativamente al mutuo. Da quel momento in poi il mio ex marito ha smesso di pagare il suo 50% del mutuo. La mia domanda è se esiste qualche articolo il quale afferma che gli tocca pagare la metà del mutuo e se posso richiedere le rate pregresse non pagate. Grazie mille.”
Consulenza legale i 05/04/2024
La risposta al quesito è netta: il marito deve pagare alla banca la propria quota del 50% del mutuo cointestato, stipulato insieme alla moglie, e rimborsare a quest’ultima le quote pregresse da lei anticipate.
Con il contratto di mutuo, infatti, e a prescindere dal fatto che l’immobile in questo caso sia intestato solo alla moglie, egli ha assunto precisi obblighi sia nei confronti della banca mutuante (restituzione della somma mutuata, art. 1813 c.c, nonché degli interessi), sia nei confronti della moglie coobbligata.
Infatti di regola in questi casi l’obbligazione delle parti è solidale, il che significa che la banca creditrice può pretendere da ogni mutuatario l’intera somma dovuta, ma nei rapporti interni tra debitori quello che ha pagato l’intero ha diritto di vedersi restituire la quota di competenza dell’altro (art. 1299 c.c.); in mancanza di diversa previsione, le quote si presumono uguali (art. 1298 c.c.).
Nel nostro caso non è intervenuto alcun titolo tale da modificare la situazione appena descritta: non vi è stata alcuna pronuncia di un Giudice che abbia posto il pagamento delle rate a carico della sola moglie, e neppure vi è stato - come peraltro spesso avviene in circostanze simili - un accordo tra le parti con accollo del debito residuo da parte dell’unica intestataria dell’immobile.
L'interruzione dei pagamenti da parte dell'ex coniuge è, pertanto, priva di giustificazione e legittima la ex moglie ad agire per ottenere la restituzione di quanto versato per "coprire" anche la parte di debito del marito.

A. S. chiede
sabato 03/12/2022 - Lombardia
“Buongiorno,
il mio compagno, con cui ho avuto una lunga convivenza, è deceduto dopo lunghi anni di malattia.
Circa 12 anni fa abbiamo costruito una casa che veniva intestata al 50% ciascuno. All'epoca abbiamo richiesto un mutuo di circa 150 mila euro sempre cointestato al 50% con l'immobile a garanzia.
Nel 2018, di comune accordo, abbiamo stipulato un atto di permuta con il quale lui mi cedeva il 50% della nuda proprietà e io riconoscevo a lui il diritto di usufrutto.
Il mutuo è rimasto cointestato, e ad oggi ammonta a circa 60 mila euro.
Il mio compagno è deceduto senza lasciare testamento e quindi l'unico erede risulta suo fratello, il quale ha ereditato beni immobili e mobili di proprietà esclusiva del mio compagno, liquidità, e cosi anche il 50% del residuo mutuo.
Poichè la rata del mutuo passava automaticamente su un conto cointestato con il mio compagno, che dopo la sua morte è stato chiaramente bloccato, ho aperto presso la stessa banca un conto corrente su cui transita l'intera rata di mutuo.
Questo dovuto alle resistenze manifestate dal fratello ad accollarsi il mutuo suddetto, ho preferito per il momento non andare in mora con la banca visto che a garanzia c'e l'immobile in cui abito.
Ad oggi, 6 mesi dalla morte del mio compagno, non ha ancora presentato la successione.
Il mio quesito è il seguente:
ammesso e non concesso che si proceda all'accollo da parte del fratello del 50% del mutuo in questione, come faccio a cautelarmi nel caso in cui quest'ultimo non dovesse pagare le rate a lui imputate? Rimarrei sempre obbligata in solido con lui nei confronti della banca? La casa di mia proprietà dovrà rimanere comunque il bene a garanzia per l'intero importo sino all'estinzione del mutuo?
Inoltre potrò chiedere il rimborso del 50% delle rate pagate sino al momento dell'accollo?
C'è anche la questione del conto corrente cointestato a me e al mio compagno bloccato, sul quale passano le spese e quindi è costantemente in rosso; ovviamente non lo posso chiudere, ma la banca sostiene anche che non posso "uscire" da questo conto finchè non sarà presentata la successione: è vero questo?
Ringrazio e attendo gentile riscontro.
un cordiale saluto”
Consulenza legale i 13/12/2022
Il presupposto essenziale che occorre tenere in considerazione quando si contrae un mutuo cointestato è che la banca concedente il finanziamento non si pone particolari problemi nel momento in cui uno dei cointestatari non dovesse più pagare le rate.
Tutti coloro che risultano intestatari del mutuo, infatti, assumono la posizione di debitori solidali, con la conseguenza che la banca sarà legittimata a richiedere da ciascuno di essi l’intera somma dovuta e non la sola quota di sua pertinenza.
Ovviamente, questo principio della responsabilità solidale vale soltanto nei rapporti con la banca, mentre nei rapporti interni tra i diversi debitori ciascuno ne risponde secondo la quota di sua pertinenza.

Qualora, poi, dovesse verificarsi un evento quale quello del caso in esame, ossia la morte di uno dei cointestatari, gli obblighi di pagamento derivanti dal contratto stipulato in vita con la banca si trasmetteranno ai suoi eredi.
Tale effetto devolutivo, però, non può essere automatico, in quanto per conseguire la qualità di erede, occorre che colui o coloro che si verranno a trovare nella posizione di chiamati all’eredità manifestino la volontà di accettarla.
Infatti, se il chiamato all’eredità dovesse rinunziarvi, non vi sarà più un debitore subentrante e obbligato al pagamento, con la conseguenza che, se anche l’altro debitore solidale (cointestatario del mutuo) dovesse decidere di rendersi inadempiente, la banca non esiterebbe a soddisfarsi agendo esecutivamente sull’immobile ipotecato a garanzia del mutuo stesso (ovvero su quanto si riuscirà a ricavare dalla vendita all’asta di quell’immobile).

Se, invece, il chiamato all’eredità decide di accettarla, l’erede subentrerà nella medesima posizione contrattuale che aveva il defunto, con tutti i relativi diritti ed obblighi.
In conseguenza di ciò, sarà dal momento dell’apertura della successione che la solidarietà sussisterà tra il cointestatario superstite e l’erede di quello defunto.
Qualora quest’ultimo non dovesse adempiere al debito su di lui gravante, il debitore che ha versato per intero le singole rate di mutuo alle rispettive scadenza avrà tutto il diritto di agire in regresso secondo quanto espressamente disposto dall’art. 1299 c.c.
Tale norma, infatti, consente di ridistribuire tra i condebitori l’onere economico dell’adempimento della prestazione, riequilibrando così i rapporti interni tra i condebitori.

Sebbene dal testo della norma sembra doversi desumere che l’azione di regresso possa esperirsi solo nel caso in cui il debitore abbia “pagato l’intero debito”, la dottrina è concorde nel ritenere che tale azione potrà essere esercitata anche quando il condebitore abbia adempiuto solo parzialmente all’obbligazione, purchè quanto corrisposto ecceda il valore della sua quota interna.
In tal senso anche la giurisprudenza ha posto in evidenza che, sebbene il primo comma dell’art. 1299 c.c. preveda unicamente l’ipotesi del pagamento dell'intero debito da parte di uno dei condebitori, ciò non impedisce di ritenere che l’azione di regresso possa considerarsi esperibile anche nel caso in cui sia stata pagata solo una parte del debito comune in misura superiore alla quota interna del solvens, in quanto anche in tale caso, come in quello del pagamento dell’intero debito, si ha un depauperamento del solvens ed un correlativo arricchimento dei condebitori, consistente nella parziale liberazione (cfr. Cass. Civ., sez. III, 16 marzo 2021, n. 7279; Cass., 29/1/1998, n. 884; Cass. civ., sez. I, 19 gennaio 1984, n. 459).

Per quanto concerne il problema del blocco del conto corrente cointestato, conto che era stato accesso per consentire alla banca mutuante di addebitarvi le rate di mutuo ad ogni singola scadenza, va detto che è del tutto corretto il modus operandi dell’istituto di credito che, non appena avuta notizia della morte di uno dei contitolari, ha provveduto al suo blocco.
Non si tratta, infatti, di un abuso ma di un vero e proprio obbligo imposto dalla legge; in particolare, l’articolo 48, comma 4, del Dlgs 31 ottobre 1990 n. 346 (cosiddetto Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni) dispone che i debitori del de cuius (tra cui appunto la banca) non possono pagare le somme dovute agli eredi, se prima non sia stata fornita, da almeno uno di essi, la prova della presentazione della dichiarazione di successione.

Peraltro, è bene sapere che la morte del correntista non consente alla banca di chiudere in automatico il conto corrente del defunto, essendo questa una decisione che spetta soltanto agli eredi ed a cui questi ultimi sono legittimati solo una volta che siano state ultimate le pratiche di successione e, quindi, dopo lo sblocco del conto.
Pertanto, l’unico modo per sbloccare il conto corrente del defunto è quello di presentare in banca la dichiarazione di successione, adempimento che va posto in essere entro un anno dalla morte del correntista e che assume rilevanza soltanto sotto il profilo fiscale, non implicando in alcun modo la volontà di accettare tacitamente l’eredità.
In caso di pluralità di chiamati all’eredità, a tale adempimento può provvedere anche uno solo di essi, anche senza delega da parte degli altri.
Se, anche dopo aver provveduto a ciò, la banca dovesse continuare ad opporre contestazioni non fondate, sarà ben possibile tutelarsi presentando un ricorso, anche online¸ all’ABF (Arbitro bancario finanziario).

Nel caso di specie la situazione può risultare più complicata per la circostanza che il de cuius non ha disposto per testamento dei suoi beni e che chiamato all’eredità per legge è soltanto il fratello, unico soggetto, dunque, che può adempiere all’obbligo fiscale di presentare la dichiarazione di successione, a cui è riconnesso lo sblocco del conto bancario.
In casi come questo, di fronte all’inerzia del chiamato all’eredità, vi è soltanto un modo per reagire, ovvero quello di avvalersi del disposto di cui all’art. 481 c.c., norma che consente a “chiunque vi abbia interesse” (tale è sicuramente la convivente del de cuius) di richiedere all’autorità giudiziaria (Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione), ex art. 749 c.p.c., la fissazione di un termine entro cui il chiamato potrà decidere se accettare o rinunziare all’eredità.
Il termine che il giudice va a fissare è a pena di decadenza, con la conseguenza che, se entro quel termine il chiamato non dovesse manifestare alcuna volontà, perderà definitivamente il diritto di accettare (non si tratta di una rinuncia tacita, ma soltanto di decadenza dal diritto di accettare).

Sulla scorta delle superiori considerazioni, è adesso possibile rispondere alle singole domande poste nel quesito:
1. se il fratello, unico erede, decide di accettare l’eredità, subentrando così nel contratto di mutuo, il mancato pagamento da parte dello stesso delle singole rate di muto darà diritto al coobbligato solidale che ha pagato per intero di agire in regresso nei confronti dell’erede inadempiente ex art. 1299 c.c., al fine di chiedere la ripetizione di quanto versato per suo conto;
2. dal momento dell’accettazione dell’eredità il rapporto debitorio solidale si instaura tra cointestatario superstite ed erede, il quale subentra ex lege in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi del defunto;
3. l’immobile per la cui costruzione è stato erogato il mutuo rimane l’unico bene a garanzia del finanziamento, in quanto la morte di uno dei cointestatari dà luogo soltanto ad una modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio, non potendo ciò in alcun modo influire sul regime delle garanzie;
4. si ha il diritto di chiedere il rimborso del 50% delle rate pagate dal momento della morte del de cuius al momento in cui l’erede avrà manifestato la volontà d accettare, in quanto l’accettazione produce i suoi effetti dalla data di apertura della successione;
5. è del tutto legittimo l’operato della banca che ha provveduto a bloccare il conto cointestato, avendo in tal modo agito in adempimento di un obbligo che la stessa legge impone agli istituti di credito (si veda in tal senso art. 48 comma 4, del Dlgs 31 ottobre 1990 n. 346, TU successioni e donazioni).

Umberto B. chiede
venerdì 30/10/2015 - Liguria
“Il mio primogenito, quando aveva circa 21 anni, ha avuto rapporti sessuali occasionali con una donna più grande, che è rimasta incinta di una bimba. All'epoca chiedemmo la prova del DNA per ben 2 volte, rifiutata dalla madre. A distanza di molti anni compare la figlia con una richiesta di mantenimento e arretrati delle spese sostenute dalla nascita. E' possibile che per la scellerata decisione della madre oggi si debba reperire cifre non gestibili dal nostro portafoglio? E poi, in questo caso, dove la madre ha messo per iscritto che "non ha voluto" fare il DNA per "paura di perdere la bimba", noi nonni paterni non possiamo chiedere, a nostra volta, un risarcimento danni morali per la mancata affettività di una nipotina? (ammesso che sia tale?)”
Consulenza legale i 05/11/2015
La prima questione concerne la richiesta di mantenimento avanzata dalla nipote del richiedente, in ipotesi Caietta (chiameremo Caia la madre di lei e Tizio il figlio del richiedente).

L'obbligo di mantenimento di un figlio ha come presupposto lo stato di filiazione, cioè la dimostrazione di essere figlio del genitore cui il mantenimento è richiesto. Caietta, quindi, dovrà innanzitutto provare di essere figlia di Tizio.

A riguardo si ricorda che l'azione di accertamento giudiziale della paternità o maternità è imprescrittibile riguardo al figlio (art.
270 co. 1 c.c.); e che la prova della paternità o maternità può essere data con qualsiasi mezzo (art. art. 269 del c.c.).

Per quanto poi attiene al diritto al mantenimento, è utile guardare alle pronunce della giurisprudenza. Questa, infatti, ha stabilito che esso matura in capo al figlio già con la nascita, con la conseguenza che se anche il figlio è riconosciuto da un solo genitore, l'altro è comunque tenuto al mantenimento anche per il periodo anteriore alla pronuncia di maternità o paternità giudiziale (Cass. 23596/2006).

La legittimazione a chiedere il mantenimento "arretrato", però, non spetta al figlio, perché questo ha già goduto del mantenimento del genitore che lo aveva riconosciuto. Piuttosto sussiste un diritto in capo a quest'ultimo a chiedere il rimborso delle spese versate sin dalla nascita per il figlio; si tratta di azione di regresso tra condebitori solidali ex art. 1299 del c.c. (Cass. 23596/2006). Questa azione, però, secondo la giurisprudenza dominante non può essere esercitata se non da quando [def ref=682]passa in giudicato la sentenza che accerta lo status di figlio, e questo momento segna anche il giorno da cui inizia a decorrere la prescrizione del diritto stesso (Cass. 23596/2006; v. anche Cass. 10124/2004 per il caso, analogo per quanto qui rileva, di azione di riconoscimento del figlio).
In sostanza, dice la Cassazione, "se gli effetti della sentenza di accertamento della paternità o maternità naturale retroagiscono alla data della nascita, soltanto per effetto della pronuncia si costituisce lo status di figlio legittimo, si che prima di tale momento non può neppure configurarsi la giuridica possibilità di far valere diritti che quello status ed il conseguente rapporto genitoriale presuppongano. Tale conclusione vale anche per l'azione di ripetizione pro quota, nei confronti dell'altro genitore, delle spese sostenute per il mantenimento e l'educazione del figlio naturale." (Cass. 23596/2006).

In relazione al quantum dovuto da Tizio, il diritto di regresso ex art. 1299 del c.c. presuppone che questo quantum sia accertato; sebbene possa essere poi determinato in via equitativa, esso va comunque limitato agli esborsi, concreti o presumibili, sostenuti dall'altro genitore (Cass. 22506/2010).

Ci viene poi chiesto se sia configurabile in capo ai nonni - o meglio ai soggetti che dovessero rivelarsi tali all'esito dell'azione sopraccitata - un danno per la mancanza di un rapporto affettivo con la nipote.

Il rapporto parentale è riconosciuto dalla giurisprudenza come situazione meritevole di tutela, anche sul piano della relazione tra nonni e nipote: pertanto la sua perdita è situazione idonea a generare un danno (v. Cass. Pen. 29735/2012). Tuttavia il concetto di perdita del rapporto presuppone che un rapporto ci sia stato. Lo stesso art. 317 bis del c.c., nell'attuale formulazione, riconosce in capo agli ascendenti un diritto di mantenere rapporti significativi.

Nel caso sottoposto si lamenta una diversa situazione, cioè quella di non aver mai potuto godere di questa relazione affettiva.
In tal senso alcune sentenze hanno riconosciuto il danno da "perdita del frutto del concepimento" in capo ai genitori, sofferenti per la lesione dell'integrità della propria comunità familiare, cioè del diritto alla genitorialità (Tribunale Varese, sent. 14/3/2012; Cass. 2677/1998). I nonni, quindi, dovrebbero dimostrare di aver subito questo pregiudizio: la perdita della possibilità di sviluppare un rapporto affettivo con la nipote.

Tuttavia, il danno non è risarcibile di per sé ma se conseguenza di illecito ex art. 2043 del c.c., il quale sussiste se ci sono: una condotta illecita, la sua imputabilità al danneggiante, il dolo o la colpa di questi, il danno ed il nesso causale tra fatto e danno. I nonni dovrebbero dare la prova di tutti questi elementi.
In particolare, non c'è illiceità se la condotta del danneggiante è esercizio di un diritto che l'ordinamento gli riconosce. In questo senso riteniamo che potrebbe essere difficile provare questa illiceità. Infatti il rifiuto di Caia di sottoporre Caietta alla prova del DNA potrebbe essere ritenuto espressione del suo diritto ad esercitare la potestà genitoriale quale genitore che ha riconosciuto il figlio (v. art. 317bis c.c. anteriore alla riforma).

Margherita I. chiede
domenica 15/03/2015 - Lazio
“Buona sera, volevo porre un quesito riguardo alla mia situazione. Avendo firmato come coobbligato per un finanziamento fatto da mia nipote circa due anni fa - premetto che sia io che lei abbiamo un contratto a tempo indeterminato - mi sono ritrovata a dover pagare almeno 14 rate del suddetto finanziamento perché lei non paga; per fare questo mi sono super indebitata, questo perché ho anche io dei miei finanziamenti in atto che sto pagando regolarmente con grande sacrificio, le mie entrate non mi permettono di pagare anche il suo debito. Ho anche scritto alla finanziaria esponendo la mia situazione ma la loro risposta è stata negativa, come posso fare per uscire da questa situazione? Esiste un modo per cui la finanziaria possa richiedere i pagamenti in modo primario a mia nipote, visto che e la principale richiedente del finanziamento ed a un reddito fisso anche più alto del mio? Posso recedere dal contratto esistendo questi presupposti? Vi prego di aiutarmi con il vostro consiglio perché non so più cosa fare.Vi ringrazio in anticipo per una vostra risposta.”
Consulenza legale i 23/03/2015
E' prassi che, al momento della concessione di un prestito personale, venga richiesta al soggetto che chiede il finanziamento la presentazione di garanzie reali (pegno o ipoteca) o personali (una persona che faccia da "garante" con il suo patrimonio).
La garanzia personale è di norma prestata con due modalità:
1- mediante cointestazione del finanziamento;
2- mediante fideiussione (un terzo si limita a garantire l'adempimento di un'obbligazione altrui, artt. 1936 e seguenti c.c.).

1.
Nel primo caso, si hanno due obbligati principali, ciascuno tenuto in solido a restituire il prestito: "in solido" significa che il creditore (ente erogante) può chiedere a ciascuno dei due l'intero debito. Tuttavia, nei rapporti interni tra i due debitori, essi dovranno riequilibrare la situazione, nel senso che se l'accordo tra loro è che a ciascuno spetti il 50% del pagamento, se uno dei due abbia pagato anche per l'altro, questi sarà tenuto a rimborsare l'anticipo. Ai sensi dell'art. 1298 del c.c., se i due debitori nulla hanno previsto (ad esempio, con un loro accordo), le parti di ciascuno si presumono uguali.

Naturalmente, laddove vi sia cointestazione del mutuo, va da sé che a entrambi i soggetti spetta il godimento del denaro prestato. Quindi, non è possibile che, ad esempio, - salva sempre l'esistenza di accordi di altro tipo tra le parti - vengano prestati 10.000 euro a Tizio e Caio, essi paghino ciascuno 5.000 euro, ma con i 10.000 euro Tizio acquisti una macchina per sé e Caio non riceva alcun beneficio.
Ciò premesso, nel caso di specie, se si fosse trattato di cointestazione del finanziamento, la zia che ha finora effettuato tutti i pagamenti avrà diritto di rivalersi sulla nipote per il 50%, mentre non può impedire alla finanziaria di chiedere a lei tutti i pagamenti, in virtù del rapporto di solidarietà.

2.
Trattandosi, al contrario, di fideiussione, il debitore principale rimane uno (colui, cioè, che può godere della somma finanziata ma che deve poi restituirla per intero): il fideiussore è solo un garante, il che significa che il creditore può chiedergli di saldare il debito del debitore principale, ma che poi egli potrà rivalersi interamente su quest'ultimo, in quanto si trattava di un suo debito (art. 1949, "Il fideiussore che ha pagato il debito è surrogato nei diritti che il creditore aveva contro il debitore"; art. 1950, il fideiussore che ha pagato ha regresso contro il debitore principale, comprensivo di capitale, interessi e spese che il fideiussore ha fatto dopo che ha denunziato al debitore principale le istanze proposte contro di lui; il fideiussore inoltre ha diritto agli interessi legali sulle somme pagate dal giorno del pagamento).

Purtroppo, di regola non esiste un beneficio d'escussione a favore del fideiussore: cioè, a meno che non sia stato espressamente convenuto che il garante non è tenuto a pagare prima dell'escussione del debitore principale, il creditore può rivolgersi per primo al fideiussore stesso (art. 1944 del c.c.). Nel caso di specie, dalla risposta negativa ottenuta dalla finanziaria, si evince che non vi sia un patto di preventiva escussione del debitore principale (zia): quindi, l'ente ha diritto a chiedere il pagamento prima alla zia.

Nella situazione in esame ci sembra che l'unica strada possibile sia quella di rivolgersi direttamente alla nipote: laddove si sia rilasciata una fideiussione, si potrà chiedere il rimborso dell'intera somma versata; se, invece, si sia trattato di cointestazione del finanziamento - salvo esistano accordi differenti - si potrà chiedere il rimborso del 50%.
Si deve procedere prima con raccomandata, e poi, in caso di omesso pagamento spontaneo, in via giudiziale (si può valutare il deposito di un ricorso per decreto ingiuntivo, artt. 633 e seguenti c.p.c.: esistendo documentazione scritta che attesta la situazione, si può ottenere facilmente tutela in via giudiziale).

Altra soluzione, ma più difficile da realizzare, sarebbe quella di far firmare alla nipote e all'ente un patto di preventiva escussione ai sensi dell'art. 1944 sopra citato, ma si tratta di un patto volontario, che richiede una adesione spontanea e non può quindi essere coartato.

Giovanni M. C. chiede
sabato 25/01/2014 - Sardegna
“A fronte di un debito verso Equitalia, rinveniente da un atto di compravendita e successivo atto di accertamento di valore, sono solidalmente responsabile insieme ad altra persona per l'importo di circa 13.000,00 euro. Equitalia ha notificato la cartella di pagamento soltanto al sottoscritto, essendo l'altro debitore irreperibile. Il sottoscritto ha ottenuto da Equitalia la rateizzazione del debito per sette anni. L'azione di regresso verso l'altro debitore posso esperirla soltanto dopo aver pagato l'intero debito oppure posso ottenere Decreto ingiuntivo dopo il pagamento parziale del debito? Si tenga conto che il debito è stato iscritto a ruolo a mio carico e che pertanto sarò costretto comunque a pagarlo.
Vi sarei grato se vorrete indicarmi una possibile soluzione. In attesa porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 04/02/2014
La solidarietà passiva consiste nella situazione in cui, in relazione ad una obbligazione, più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all'adempimento per la totalità e l'adempimento da parte di uno libera gli altri (art. 1292 del c.c.).
Nei rapporti esterni, quindi, la legge attribuisce al creditore la facoltà di chiedere l'adempimento dell'esatta prestazione ad uno qualunque dei condebitori: la ratio dell'istituto della solidarietà passiva è precisamente quello di rafforzare il credito.
Quanto ai rapporti interni tra condebitori, l'art. 1298 del c.c. stabilisce che l'obbligazione in solido si divide presuntivamente in parti uguali, salvo che sia contratta nell'interesse esclusivo di alcuno di essi.

Il condebitore che abbia pagato il credito anche per la quota spettante ad altri ha diritto di regresso nei confronti dell'altro debitore.
L'art. 1299 del c.c. disciplina tale azione di regresso stabilendo che "Il debitore in solido che ha pagato l'intero debito può ripetere dai condebitori soltanto la parte di ciascuno di essi".
A prescindere dalla copiosa produzione dottrinale circa i rapporti tra l'azione ex art. 1299 c.c. e l'azione di surrogazione, che in questa sede non rilevano, è importante invece stabilire il momento a partire dal quale l'azione di regresso può essere esercitata.
Il presupposto indefettibile per l'esercizio del diritto di regresso è il pagamento del debito comune da parte di uno dei coobbligati.
La giurisprudenza di legittimità e larga parte della dottrina ammettono che anche l'adempimento parziale possa giustificare l'azione di regresso, a condizione però
- che colui che ha pagato lo abbia fatto in misura "superiore" rispetto alla sua quota interna;
- che il solvens chieda all'altro debitore solo l'eccedenza pagata (per un debito di 100, ripartito internamente in 50 e 50, se un debitore paga 70, potrà agire per ottenere 20 dall'altro debitore, ma non per ottenere anche il 30 che ancora non ha pagato).
Sul punto si veda Cass. civ., 19 gennaio 1984, n. 459, che ha fondato l'ormai consolidato orientamento sopra richiamato: "Nei rapporti interni tra i condebitori solidali (nella specie per debito d'imposta) cessa di operare il vincolo della solidarietà, imposta a garanzia e nell'interesse del creditore, e torna ad avere esclusiva rilevanza il principio della parzialità dell'obbligazione, e pertanto, nel caso di parziale pagamento del debito solidale, al condebitore solvente spetta l'azione di regresso ex art. 1299 cod. civ. nei confronti degli altri condebitori, soltanto se la somma pagata ecceda la sua quota nei rapporti interni, e nei limiti di tale eccedenza".

Nel caso di specie, quindi, colui che sta pagando il debito di cui è contitolare con altri, potrà esercitare nei confronti dell'altro debitore azione di regresso anche laddove abbia pagato una parte della quota altrui; ma non potrà ottenere l'intero ristoro di quanto dovrebbe versare il condebitore, almeno non fino a che non avrà pagato al creditore l'intera quota dell'altro.

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