Qui la legge pone un limite alla regola generale della dispensa dall’uso di determinate forme per la conclusione dei negozi giuridici; infatti si richiede l’atto pubblico quale requisito per l’esistenza di qualsiasi donazione; un’eccezione è solo prevista dal successivo art.
783.
Su questo punto il codice non ha accolto l’innovazione proposta dal Progetto preliminare, che, mantenendo la necessità dell’atto pubblico per le donazioni immobiliari, non richiedeva alcuna formalità per le donazioni aventi come oggetto cose mobili per natura e titoli al portatore, purché alla dichiarazione fosse seguita l’effettiva tradizione; in tal modo si escludeva anche la necessità di una particolare disciplina per le donazioni manuali la cui regolamentazione giuridica era stata sempre motivo di vive dispute dottrinali e giurisprudenziali. Non accolta tale riforma, il sistema resta quello degli articoli #1056# e #1070# del vecchio codice del 1865: necessario è, perciò, l’atto pubblico per ogni specie di donazione, sia di immobili che di mobili; solo di quest’ultima - qualunque sia la natura dei mobili, tanto se cose mobili singole, guanto se universitates o collezioni - la validità è subordinata, oltre che alla redazione dell'atto pubblico, anche all’indicazione, nell’atto stesso o in una nota a parte sottoscritta dal donante, dal donatario e dal notaio, delle cose e del loro valore.
Scopo di tale formalità, che deve essere dettagliata (quindi va indicato ciascun quadro, ciascun libro, etc., non essendo sufficiente un'elencazione generica o per specie, è, duplice: a) salvaguardare gli eventuali diritti dei creditori del donante e dei legittimari che hanno un interesse ad impugnare l'atto di liberalità se, in seguito, dalla valutazione delle cose donate al momento della morte del donante risultino lese le loro ragioni; b) tutelare lo stesso donante, il che può, ad esempio, avvenire nel caso in cui la donazione sia revocata per ingratitudine o per sopravvenienza di figli, essendo, allora, necessario stabilire il valore delle cose donate che, per ipotesi, siano state distrutte o alienate dal donatario, che è tenuto a restituirle.
La nozione di
atto pubblico è nota al pari di quello di
pubblico ufficiale; quest'ultima qualifica non si restringe, sempre agli effetti della competenza a ricevere donazioni, al solo notaio; oltre che da questo, gli atti di donazione possono essere validamente ricevuti dai consoli per le donazioni all’estero, dai funzionari dell'Amministrazione statale, debitamente delegati a redigere i contratti nell'interesse dello Stato; i funzionari degli enti pubblici e privati quando risultano autorizzati, purché, però, agiscano in materia di loro competenza, la quale sta alla validità della donazione come alla validità della medesima sta la competenza territoriale del notaio. Lo stesso criterio della competenza funzionale conduce all'inesistenza della donazione ricevuta dal presidente del Tribunale e dal cancelliere nel verbale di separazione personale dei coniugi o inserita in un verbale di risposta ad interrogatorio.
L’inosservanza della forma prescritta per la donazione porta all'
inesistenza dell’atto, rilevabile da qualsiasi interessato o d’ufficio dal giudice. Questa soluzione, pacifica se si tratti di mancanza dell’atto pubblico, varrà pur se, trattandosi di
beni mobili,
manchi l’atto estimativo. Qui il donante può rifiutarsi di eseguire la donazione; una differenza, però, esiste tra le due ipotesi: mentre in caso di mancanza dell’atto pubblico si ha inesistenza della donazione, in caso di mancanza della nota estimativa, per il principio
utile per inutile non vitiatur, si verifica la nullità della donazione solo relativamente alle cose non specificate o stimate.
Nei riguardi di una donazione inesistente per inosservanza della forma non si può parlare di conferma; il donante deve rinnovare l’atto nei modi voluti dalla legge: ma è ovvio che, in tal caso, non è quella prima donazione che ha vita ma è la successiva, con efficacia dalla data della sua accettazione.
Alla formalità dell’atto pubblico sfuggono le
donazioni indirette, le quali sono pienamente
valide, sempre che siano state adempiute le formalità necessarie per la validità dell’atto da cui esse risultano.
Riconosciuto alla donazione il carattere d’un contratto, deriva che si applicano ad essa le regole che disciplinano la formazione dei contratti: così per quanto riguarda la proposta, come quella che costituisce la base del futuro negozio; così per l’accettazione, che segna, dal momento in cui è notificata all’altra parte, l’efficacia della donazione; essa, con la proposta, attua quella che può definirsi la collaborazione o cooperazione delle parti, estrinsecantesi nel reciproco concorso di attività e di voleri. All’accettazione, perciò, non può attribuirsi un mero carattere di adesione; la volontà che esprime il donatario con l’accettazione non ha diverso valore giuridico dal consenso che manifesta qualsiasi altro contraente. Il prevalente potere di iniziativa che esplica il donante di fronte al donatario si spiega per la natura del contratto e per il suo carattere di liberalità. Del resto, in ben altri casi questo potere di iniziativa del contratto è riservato ad uno solo dei contraenti senza che l’altro possa modificare l’offerta; eppure nessuno ha mai pensato di disconoscerne la natura contrattuale (c.d. contratti di adesione).
Della capacità di accettare la donazione il codice non si occupa espressamente (diversamente faceva, invece, il precedente codice all'art. #1059#) e non senza motivo: infatti, una volta definita la donazione un contratto, una particolare regolamentazione di quella sarebbe stata superflua; ne consegue che tutti coloro i quali hanno la piena capacità d’agire possono accettare.
Particolari deroghe a questo principio, riguardanti sia le persone fisiche incapaci che le persone giuridiche, sono dettate dal libro I, ed alle medesime è necessario far ricorso. Così, nel caso di una donazione fatta ad un minore, questa sarà accettata dal genitore che esercita su di lui la responsabilità genitoriale o dal tutore: non occorre neppure una preventiva autorizzazione del giudice tutelare, poiché questa è dalla legge imposta solo se la donazione sia soggetta a pesi o a condizioni: il che si comprende potendo l’atto di liberalità, per il modus o per la condizione che vi ineriscono, arrecare un pregiudizio, anziché un vantaggio, all'incapace.
Nel caso in cui chi doveva accettare in luogo del donatario incapace non abbia accettato, quale rimedio avrà l’incapace? Il diritto romano accordava a costui la restitutio in integrum, che anche l’antico diritto riteneva spettasse al donatario. Ma, riproducendo la contraria disposizione dell’art. 942 del codice napoleonico, l’art. #1063# del vecchio codice del 1865 aveva stabilito che nei confronti dei minori, degli interdetti e di qualsivoglia altro donatario non fosse prevista la restituzione per la mancanza di accettazione delle donazioni, salvo il regresso contro chi aveva l’obbligo dell'accettazione. Questa disposizione non è stata accolta dal codice attuale, e molto opportunamente, data la sua superfluità; infatti, nella prima parte, essa ricordava il rimedio della restitutio in integrum per escluderlo e nella seconda non conteneva che un richiamo all’azione di risarcimento di danni, alla quale è tenuto qualsiasi amministratore o rappresentante che colposamente rechi pregiudizio agli interessi del suo amministrato.
La donazione deve essere accettata direttamente dal beneficiario, oppure può esserlo anche da altri in sua vece? Non si discute sulla possibilità che il donatario faccia conoscere la sua accettazione per mezzo di un terzo che partecipa, perciò, solo naturalmente all’atto; la sua figura è, in sostanza, quella del nuncius che tantum modo praestat ministerium e sotto questo lato la sua funzione è paragonabile a quella di una lettera. Ma, messa da parte questa ipotesi, ci si domanda se l’accettazione può essere compiuta a mezzo di mandatario. L’art. #1058# del codice precedente, risolvendo ogni dubbio e prevenendo le controversie sorte nel diritto consuetudinario francese sulla validità di un'accettazione compiuta dal mandatario, consentiva che questa potesse essere fatta in nome del donatario maggiorenne, da persona munita di procura per atto autentico esprimente la facoltà di accettare la donazione fattagli o la facoltà, in generale, di accettare donazioni; per quell’articolo, dunque, il donatario poteva far accettare non solo una determinata donazione, ma anche tutte le donazioni che gli fossero state fatte da una persona munita di un mandato speciale ad hoc.
Questa norma non è stata ripetuta dal codice attuale; ma da ciò non si deve dedurre la sua soppressione, perché la sua espressa regolamentazione appariva superflua, richiedendo l’art. #1741# del vecchio codice del 1865 che l’accettazione di una donazione dovesse essere fatta per mandato espresso. È il caso di rilevare che un mandato può ammettersi solo per accettare una determinata donazione; quindi va decisamente esclusa la validità di un mandato ad accettare donazioni in generale. L’inopportunità e l’erroneità di un siffatto potere appare evidente se si riflette sul fatto che è impossibile delegare ad altri il proprio animo con un mandato ad accettare donazioni in generale, senza specificare l’oggetto e la persona che dona. L’accettare una donazione non equivale a gerire un affare qualsiasi; anche per tale atto è necessario l’animus accipiendi donationis causa, il quale può non sussistere da parte del beneficato nei confronti di un donante, il quale potrebbe essersi spinto alla liberalità per farsi ripromettere dal donatario un vantaggio, oppure per altri motivi, più o meno leciti, l’apprezzamento dei quali deve essere lasciato all’esclusivo giudizio di chi è chiamato ad accettare la donazione.
La donazione è la sintesi di una proposta (atto di donazione) e della relativa accettazione; della prima la legge non si occupa: non così della seconda.
L’accettazione può essere fatta nello stesso atto pubblico in cui il donante pone in essere la sua offerta di donare, oppure con atto pubblico posteriore. Questa possibile non contestualità dell’incontro delle dichiarazioni costituisce un carattere particolare della donazione, poiché, mentre per i contratti per i quali sia sufficiente solo la scrittura privata non occorre che la forma scritta risulti da un unico contesto, invece, per i contratti per i quali è richiesto l’atto pubblico, la regola è che esso non può constare di due atti pubblici, separati e successivi, di offerta e di accettazione.
Stabilita la forma con cui questa deve esser fatta, la legge non dice quando debba compiersi: fino a quando il donante è tenuto ad attendere l’accettazione del donatario? Se questi non interviene all'atto, il donante può prefiggergli un termine entro cui decidersi; in caso contrario, il donatario sarà libero di determinarsi nel momento che ritenga opportuno.
Ma, avvenga nell’atto stesso o successivamente, la validità dell'accettazione è subordinata alle seguenti tre condizioni: 1) che il donante sia ancora in vita; 2) che egli persista nella sua determinazione di voler donare; 3) che egli conservi la capacità necessaria per donare: che, cioè, sia nelle stesse condizioni giuridiche in cui era al momento della proposta. Scaturiscono da queste premesse alcune conseguenze: se, nell’intervallo fra la proposta e l’accettazione, il donante muore, l’accettazione non può essere fatta dai suoi eredi; se, nell’intervallo, il donante abbia revocato la donazione, perché l’accettazione sia possibile deve essere rinnovata la proposta.
In quale modo vada fatta l’accettazione, se, cioè, sia necessaria una formale manifestazione espressa di volontà o se sia sufficiente anche una manifestazione implicita di voler accettare, la legge nulla dice: di qui la disputa nella dottrina. È noto che il codice napoleonico richiedeva che l’accettazione si compisse in termini espressi, ma, nel nostro ordinamento, sembra che, pur escludendo l'idoneità di una qualsiasi forma, trattandosi di atto solenne, si possa, tuttavia, qualificare accettazione la firma ad esempio apposta dal donatario all’atto pubblico alla presenza del notaio; qui non si può dubitare che si tratti di una manifestazione non tacita ma espressa di volontà, anzi, di una delle più tipiche forme di manifestazione della volontà; le stesse considerazioni non potrebbero ripetersi, ad esempio, nell’ipotesi in cui si abbia solo l’intervento del donatario all’atto e la presa di possesso da parte sua della cosa donata.
Per l’accettazione contenuta in atto separato non occorre l'assistenza di testimoni.
L'accettazione determina il sorgere della donazione nel momento in cui essa è dichiarata, se ciò avviene contestualmente; ma se, invece, essa è fatta con un posteriore atto pubblico (non sarebbe perciò valida una scrittura privata), allora la donazione non è perfetta che dal momento in cui l’atto di accettazione è notificato al donante a mezzo di ufficiale giudiziario; è così risolta la disputa che si faceva dalla dottrina vigente sotto il vecchio codice del 1865, che nell’art. #1057# richiedeva la notifica al donante dell’atto separato di accettazione, ma non specificava in qual modo quella doveva essere effettuata. Fino a che non riceve la notifica dell’accettazione, il donante non è vincolato dalla sua disposizione e può revocare l’offerta o espressamente o tacitamente, disponendo, ad esempio, della cosa donata; se il donante muore o diviene incapace prima del compimento di tale formalità, la donazione non può più perfezionarsi essendo inattuabile l’incontro delle volontà; per la stessa ragione, la notifica dell’accettazione non può essere fatta dagli eredi del donatario dopo la morte di questo, né dai suoi rappresentanti legali dopo che egli è divenuto incapace, occorrendo, in quest’ultimo caso, che l’accettazione sia rinnovata dai legali rappresentanti nelle dovute forme.
La facoltà di accettare la donazione non si trasmette agli eredi, né si può esercitare dai creditori del donatario a mezzo dell’azione surrogatoria: l'animus accipiendi donationis causa non consente alcuna delega né sostituzione; neppure i creditori possono impugnarla, perché non costituisce rinuncia l’omissio adquirendi di un diritto patrimoniale.