Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 1815 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Interessi

Dispositivo dell'art. 1815 Codice Civile

Salvo diversa volontà delle parti(1), il mutuatario deve corrispondere gli interessi(2) al mutuante(3). Per la determinazione degli interessi si osservano le disposizioni dell'articolo 1284.

Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi(4)(5)(6).

Note

(1) La presunzione legale è nel senso di un mutuo oneroso, definito anche mutuo feneratizio.
(2) Il corrispettivo può anche non consistere nel pagamento di interessi ma, ad esempio, in un fare o in un dare. Inoltre, le parti possono anche stipulare un mutuo c.d. quotativo, nel quale il corrispettivo consiste in una partecipazione agli utili.
(3) Secondo alcuni il contratto è unilaterale (1333 c.c.) in quanto prevede solo l'obbligo restitutorio a carico del mutuatario, essendo la consegna del denaro momento di perfezione del contratto e non obbligazione posta a carico del mutuante. La tesi non è condivisa nè da chi ritiene si tratti di un contratto consensuale nè da chi ritiene che, comunque, il mutuante sia gravato dall'obbligazione di non pretendere la restituzione del bene o del denaro prima della scadenza.
(4) Comma così sostituito dall'art. 4, L. 7 marzo 1996, n. 108.
(5) La precedente disciplina stabiliva che in caso di interessi usurari essi si riducevano, automaticamente, al tasso legale, in deroga al disposto dell'art. 1343 c.c.. Con la nuova formulazione il legislatore adotta una linea più severa, stabilendo una sorta di sanzione che converte il mutuo a tassi usurari in mutuo gratuito. Si noti che non si è scelto di estendere la nullità della clausola all'intera pattuizione (1419, 1 c.c.) in quanto ciò avrebbe significato, di regola, il sacrificio dell'interesse della parte debole del rapporto, il mutuatario.
(6) Ai sensi dell'art. 1 del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito, con modifiche, nella L. 28 febbraio 2001, n. 24, "si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento de loro pagamento".

Ratio Legis

L'onerosità del mutuo si giustifica in considerazione del fatto che il mutuatario ha il godimento di un certo bene e, di regola, di un bene fruttifero (si pensi al denaro). Pertanto, il mutuante si priva di tali frutti dei quali ha però, diritto alla restituzione.
La nullità del comma 2 è, invece, prevista a protezione del mutuatario e quale deterrente all'intenzione di fissare interessi usurari.

Spiegazione dell'art. 1815 Codice Civile

L'obbligo degli interessi

L'innovazione più importante introdotta dal nuovo codice e quella sancita dall'art. 1815 che unifica il regime del mutuo civile e del mutuo commerciale nel senso di porre a carico del mutuatario, salva diversa volontà delle parti, l'obbligo di corrispondere gli interessi.

Gli interessi dovuti sono quelli legali quando per iscritto interessi sia stato convenuto un tasso superiore (art. 1284 del c.c.). Se però gli interessi sono usurari, il loro importo viene ridotto alla misura legale senza che sia necessario indagare, come dovrebbe farsi in base all' art. 1419 del c.c., se il mutuante si sarebbe ugualmente determinato a stipulare il contratto ove la controparte, a sua volta, fosse stata disposta a corrispondere solo l’ interesse legale.

Con questo sistema, come si osserva giustamente nella Relazione Ministeriale, da una parte si è colpito il mutuante impedendogli di godere del vantaggio usurario che si era fatto promettere dal mutuatario, dall'altra non si e danneggiato il mutuatario il quale, se si fosse dichiarato nullo il contratto, sarebbe rimasto obbligato all'immediata restituzione del capitale ricevuto. Al tempo stesso non si e permesso al mutuatario di arricchirsi indebitamente continuando a godere la somma ricevuta senza corrispondere alcun interesse come invece consentiva il codice del 1865 (art. 1831 ult. comma) nell'ipotesi in cui facesse difetto una scrittura dalla quale resultasse l'interesse ultralegale.


Uno sguardo d'assieme alle obbligazioni nascenti dal mutuo e loro rilevanza ai fini della classificazione di questo contratto

Ciò premesso, siamo in grado di enucleare e sistemare definitivamente le obbligazioni sorgenti hinc et inde dalla stipulazione del contratto di mutuo.

A) Obbligazioni del mutuatario:
- restituzione del tantundem (o del valore delle cose fungibili ricevute nell'ipotesi di impossibilità o notevole difficolta di restituzione in natura) : obbligazione principale ;
- pagamento degli interessi (se questi non siano stati espressamente o tacitamente esclusi): obbligazione accessoria.

B) Obbligazioni del mutuante:
- Risarcimento dei danni cagionati al mutuatario per i vizi delle cose date a prestito (se non provi di avere ignorato detti vizi senza sua colpa se, trattandosi di mutuo gratuito, non ne abbia avvertito il mutuata rio nel caso in cui ne fosse a conoscenza) : obbligazione eveventuale.

Da ciò deriva che il mutuo appartiene :
1) alla categoria dei contratti con prestazioni a carico di una sola parte. Ora, se è esatto dire che perché si abbia la figura del contratto con prestazioni corrispettive è necessario che le due obbligazioni e prestazioni contrapposte coesistano e non seguano l'una dopo l'altra nel tempo per causa di un fatto posteriore, non è meno vero che alcune disposizioni proprie di quest'ultima categoria di contratti si applicano anche ai contratti con prestazioni a carico di una sola parte quando l'altra, quella che normalmente non sarebbe tenuta ad alcuna prestazione, si trovi ad essere obbligata verso la prima per causa dipendente dallo stesso contratto : in altre parole e per riferirsi al nostro istituto, si ritiene che se, ad esempio, per un vizio della cosa data a prestito il mutuante sia tenuto a risarcire il danno subito dal mutuatario, questi possa, nel frattempo, sospendere la corresponsione degli interessi o addirittura la restituzione del tantundem avvalendosi cioè di una disposizione dettata principalmente (ma non esclusivamente) per i contratti a prestazioni corrispettive (art. 1463 del c.c.) ;

2) alla categoria dei contratti onerosi qualora siano dovuti gli interessi, a quella dei contratti gratuiti se gli interessi siano stati esclusi.

È a tutti nota la annosa disputa che si agitò sotto la vigenza del codice del 1865 per stabilire se il mutuo ad interesse fosse o meno un contratto a prestazioni corrispettive (allora dicevasi, meno propriamente, bilaterale) e ciò al fine dell'applicabilità, ad esso della c. d. condizione risolutiva tacita nel caso di mancato pagamento degli interessi.

La questione era evidentemente mal poster in quanto la corresponsione di interessi determina, come abbiamo visto, il sorgere di una ulteriore obbligazione a carico del mutuatario, già tenuto, in via principale, alla restituzione del tantundem, mentre nessuna obbligazione, salva quella eventuale per vizi delle cose date a prestito, grava sul mutuante una volta che egli, con la consegna del danaro o delle altre cose fungibili, abbia dato vita al contratto di mutuo ; il mutuo insomma, tanto che siano dovuti, quanto che siano esclusi gli interessi, è un contratto a prestazioni da una sola parte e quindi non potrebbe ad esso applicarsi, in linea di principio, l'istituto della risoluzione per inadempimento.

Tuttavia, se il mutuo ad interessi ha, come il mutuo gratuito, la forma del contratto con prestazioni da una sola parte (dato che, come più volte abbiamo detto, la consegna rappresenta elemento costitutivo per la formazione del rapporto e non atto di esecuzione o presupposto per il sorgere dell'obbligazione di restituzione) e anche vero che la sua anima e quella di un contratto a prestazioni corrispettive, come conferma anche l'art. 1816 secondo cui il termine per la restituzione si presume stipulato a favore di entrambe le parti ed a favore del solo mutuatario nell'ipotesi di mutuo gratuito. Opportunamente perciò è stato stabilito che, mancando il mutuatario all'obbligo del pagamento degli interessi, il mutuante può chiedere la risoluzione del contratto (art. 1820 del c.c.) : e ciò opportunamente, perché, venendo incontro ad an bisogno vivamente sentito nella prassi, come dimostrava il ricorso alla clausola risolutiva espressa, si è eliminata anche la più grave incongruenza che derivava dall'essere il mutuo un contratto reale, cioè perfezionantesi solo con la consegna del danaro o delle altre cose fungibili.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1815 Codice Civile

Cass. civ. n. 4033/2021

In tema di interessi usurari, il cd. "tasso di sostituzione", previso dall' art.1, comma 3, del d.l. n. 394 del 2000 (conv., con modif., dalla l. n.24 del 2001), di interpretazione autentica della disciplina contenuta nella l. n. 108 del 1996, si applica, a norma del comma 2 del medesimo articolo, ai mutui a tasso fisso "in essere" alla data della sua entrata in vigore; pertanto esso non può essere invocato in relazione ai contratti precedentemente risolti o receduti, in cui residuano soltanto obbligazioni restitutorie immediatamente esigibili, rispetto alle quali non vi è spazio per interventi manutentivi del regolamento contrattuale, quale quello costituito dal predetto "tasso di sostituzione". (Fattispecie relativa a contratto di mutuo fondiario risolto prima dell'entrata in vigore del d.l. n. 394 del 2000, in seguito ad avvalimento di clausola risolutiva espressa, ex art. 1456 c.c., da parte del mutuante, con residuo obbligo del mutuatario di restituire il capitale ancora dovuto, maggiorato degli interessi moratori).

Cass. civ. n. 1818/2021

In tema di mutuo, la parte mutuataria non ha interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi moratori, allorché manchino i presupposti della mora per avere l'obbligato adempiuto al pagamento di tutti i ratei, di modo che possa escludersi che possano trovare applicazione detti interessi.

Cass. civ. n. 19597/2020

La disciplina antiusura, essendo volta a sanzionare la promessa di qualsivoglia somma usuraria dovuta in relazione al contratto, si applica anche agli interessi moratori, la cui mancata ricomprensione nell'ambito del Tasso effettivo globale medio (T.e.g.m.) non preclude l'applicazione dei decreti ministeriali di cui all'art. 2, comma 1, della l. n. 108 del 1996, ove questi contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali; ne consegue che, in quest'ultimo caso, il tasso-soglia sarà dato dal T.e.g.m., incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l'aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dal quarto comma dell'art. 2 sopra citato, mentre invece, laddove i decreti ministeriali non rechino l'indicazione della suddetta maggiorazione media, la comparazione andrà effettuata tra il Tasso effettivo globale (T.e.g.) del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori, e il T.e.g.m. così come rilevato nei suddetti decreti. Dall'accertamento dell'usurarietà discende l'applicazione dell'art. 1815, comma 2, c.c., di modo che gli interessi moratori non sono dovuti nella misura (usuraria) pattuita, bensì in quella dei corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell'art. 1224, comma 1, c.c.; nei contratti conclusi con i consumatori è altresì applicabile la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del d.lgs. n. 206 del 2005 (codice del consumo), essendo rimessa all'interessato la scelta di far valere l'uno o l'altro rimedio. (Dichiara procedibile il ricorso e rimette alla sezione semplice).

Cass. civ. n. 16303/2018

In tema di contratti bancari, con riferimento ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all'entrata in vigore (il 1 gennaio 2010) delle disposizioni di cui all'art. 2 bis del d.l. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell'usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale (TEG) degli interessi praticati in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata, rispettivamente con il "tasso soglia" - ricavato dal tasso effettivo globale medio (TEGM) indicato nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell'art. 2, comma 1, della predetta l. n. 108 del 1996 - e con la "CMS soglia" - calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media pure registrata nei ridetti decreti ministeriali -, compensandosi, poi, l'importo dell'eccedenza della CMS applicata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con l'eventuale "margine" residuo degli interessi, risultante dalla differenza tra l'importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati.

In tema di contratti bancari, l'art. 2 bis del d.l. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, in forza del quale, a partire dal 1 gennaio 2010, la commissione di massimo scoperto (CMS) entra nel calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM) rilevato dai decreti ministeriali emanati ai sensi dell'art. 2, comma 1, della l. n. 108 del 1996, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell'usura presunta, non è norma di interpretazione autentica dell'art. 644, comma 4, c.p., ma disposizione con portata innovativa dell'ordinamento, intervenuta a modificare - per il futuro - la complessa normativa, anche regolamentare, tesa a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono presuntivamente sempre usurari, come si evince sia dall'espressa previsione, al comma 2 del detto art. 2 bis, di una disciplina transitoria da emanarsi in sede amministrativa (in attesa della quale i criteri di determinazione del tasso soglia restano regolati dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della ridetta disposizione), sia dalla norma contenuta nel comma 3 del ridetto art. 2 bis (poi abrogato dall'art. 27 del d.l. n. 1 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 27 del 2012), a tenore della quale "i contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data".

Cass. civ. n. 24675/2017

Nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto.

Cass. civ. n. 21461/2017

La disciplina di cui all’art. 1, comma 2, d.l. n. 394 del 2000, conv. con modif. in l. n. 24 del 2001, poiché non reca alcuna distinzione al riguardo, si applica a tutti i mutui a tasso fisso anche se non assistiti da garanzia reale.

Cass. civ. n. 9405/2017

Qualora l’usurarietà del tasso d’interessi di un mutuo, originariamente pattuito in misura legittima, sia sopravvenuta nel corso dell’esecuzione del contratto e sia stata tempestivamente contestatarisultando applicabile, “ratione temporis”, la norma d’interpretazione autentica di cui all’art. 1 del d.l. n. 394 del 2000 (conv., con modif., dalla l. n. 24 del 2001)il giudice del merito è comunque tenuto ad accertare l’usurarietà e, per la frazione temporale nella quale il superamento del tasso soglia sia effettivamente intervenuto, deve applicare il tasso previsto in via normativa, secondo la rilevazione trimestrale eseguita ai sensi dell’ art. 2 della l. n. 108 del 1996; non devono, però, applicarsi le sanzioni civili e penali stabilite dagli art. 644 c.p. e 1815, comma 2, c.c

Cass. civ. n. 8806/2017

Ai fini della valutazione dell'eventuale natura usuraria di un contratto di mutuo, devono essere conteggiate anche le spese di assicurazione sostenute dal debitore per ottenere il credito, in conformità con quanto previsto dall’art. 644, comma 4, c.p., essendo, all'uopo, sufficiente che le stesse risultino collegate alla concessione del credito. La sussistenza del collegamento può essere dimostrata con qualunque mezzo di prova ed è presunta nel caso di contestualità tra la spesa di assicurazione e l’erogazione del mutuo.

Cass. civ. n. 5598/2017

In tema di contratto di mutuo, l'art. 1 della l. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in sede di opposizione allo stato al passivo e con riferimento al credito insinuato da una banca, aveva escluso la possibilità di ritenere usurari gli interessi relativi a due contratti di mutuo in ragione della non cumulabilità degli interessi corrispettivi e di quelli moratori).

Cass. civ. n. 22270/2016

In tema di contratti bancari, l'art. 2 bis, comma 2, del d.l. n. 185 del 2008 (convertito dalla l. n. 2 del 2009), che attribuisce rilevanza, ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 c.c., dell'art. 644 c.p. e degli artt. 2 e 3 della l. n. 108 del 1996, agli interessi, alle commissioni e alle provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'uso dei fondi da parte del cliente, non ha carattere interpretativo ma innovativo, e non trova pertanto applicazione ai rapporti esauritisi in data anteriore all'entrata in vigore della legge di conversione, con la conseguenza che, in riferimento a tali rapporti, la determinazione del tasso effettivo globale, ai fini della valutazione del carattere usurario degli interessi applicati, deve aver luogo senza tener conto della commissione di massimo scoperto.

Cass. civ. n. 12965/2016

Il divieto di pattuire interessi usurari, previsto per il mutuo dall'art. 1815, comma 2, c.c., è applicabile a tutti i contratti che prevedono la messa a disposizione di denaro dietro remunerazione, compresa l'apertura di credito in conto corrente, sicché è nulla per contrarietà a norme imperative la clausola, ivi contenuta, che preveda l'applicazione di un tasso sugli interessi con fluttuazione tendenzialmente aperta con la correzione dell'automatica riduzione in caso di superamento del cd. tasso soglia usurario, ossia mediante la sola astratta affermazione del diritto alla restituzione del supero in capo al correntista

Cass. civ. n. 801/2016

I criteri fissati dalla legge n. 108 del 1996, per la determinazione del carattere usurario degli interessi, non si applicano alle pattuizioni di questi ultimi anteriori all'entrata in vigore di quella legge, siano esse contenute in mutui a tasso fisso o variabile, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell'art. 1, comma 1, del d.l. n. 394 del 2000 (conv., con modif., dalla l. n. 24 del 2001), che non reca una tale distinzione.

Cass. civ. n. 25205/2014

In tema di contratto di mutuo, affinché una clausola di determinazione degli interessi corrispettivi sulle rate di ammortamento scadute sia validamente stipulata ai sensi dell'art. 1346 cod. civ., è sufficiente che la stessa - nel regime anteriore all'entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 154 - contenga un richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse. A tal fine occorre che quest'ultimo sia desumibile dal contratto con l'ordinaria diligenza, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all'istituto mutuante, non rilevando la difficoltà del calcolo necessario per pervenire al risultato finale, né la perizia richiesta per la sua esecuzione.

Cass. civ. n. 19282/2014

Nel contratto di mutuo, quando non risulta superato il cosiddetto tasso soglia, la nullità ex art. 1815, secondo comma, cod. civ. della clausola di previsione degli interessi, richiede la prova del loro carattere usurario ai sensi dell'art. 644, terzo comma, secondo periodo, cod. pen., ossia la dimostrazione della sproporzione degli interessi convenuti (con uno squilibrio contrattuale, per i vantaggi conseguiti da una sola delle parti, che alteri il sinallagma negoziale e per il cui apprezzamento il parametro di riferimento è dato dal superamento del tasso medio praticato per operazioni similari), nonché della condizione di difficoltà economica di colui che promette gli interessi (desumibile non dai soli debiti pregressi, ma dalla impossibilità di ottenere, pur fuori dallo stato di bisogno, condizioni migliori per la prestazione di denaro che richiede). La prova di entrambi i presupposti grava su colui che afferma la natura usuraria degli interessi, senza che, accertato lo stato di difficoltà economica, la sproporzione possa ritenersi "in re ipsa", dovendo comunque dimostrarsi il vantaggio unilaterale conseguito dalla banca.

Cass. civ. n. 19698/2008

Nel regime anteriore alla legge n. 108 del 1996 il negozio di mutuo era da considerarsi illecito per pattuizione di interessi a tasso elevato solo nel caso di sussistenza degli estremi del delitto di usura ai sensi dell'art. 644 cod. pen. (nella previgente formulazione). In particolare, lo stato di bisogno preso in considerazione dal detto precetto penale poteva essere indifferentemente determinato da cause incolpevoli oppure da vizi, prodigalità o altre cause inescusabili, poiché la norma perseguiva la finalità di colpire l'usurario quale persona socialmente nociva, che non cessava di essere tale, quale che fosse la natura o la causa del bisogno del debitore, e sussisteva quand'anche l'offeso avesse inteso insistere negli affari al di fuori di ogni razionale criterio imprenditoriale. Ne consegue che lo stato di bisogno nel reato di usura ricorreva tutte le volte in cui la persona offesa non era in grado di ottenere altrove e a condizioni migliori la prestazione di denaro o altra cosa occorrente anche ai fini della sua attività d'impresa e doveva, invece, sottostare alle esose condizioni imposte per il prestito; deve, pertanto, escludersi che quella privazione o grave limitazione della libertà di scelta del mutuatario, che qualifica l'usura, fosse incompatibile con il carattere commerciale dell'attività lucrativa in cui l'usura venga ad inserirsi. (In applicazione del riportato principio la S.C. ha cassato la sentenza dei giudici di merito secondo cui - offrendone un'interpretazione riduttiva - lo stato di bisogno doveva essere escluso nel caso in cui il mutuatario si fosse ripromesso dal prestito uno scopo di lucro, sotto il profilo dell'investimento del denaro ricevuto, soltanto o anche per intraprendere o incrementare affari commerciali).

Cass. civ. n. 2317/2007

In tema di contratti di mutuo, perché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell'art. 1284, terzo comma, c.c., che è norma imperativa, la stessa deve avere un contenuto assolutamente univoco e contenere la puntuale specificazione del tasso di interesse; ove il tasso convenuto sia variabile, è idoneo ai fini della sua precisa individuazione il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti generici riferimenti, dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione. (Nella specie, relativa ad un contratto concluso nel 1981, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato la nullità della pattuizione degli interessi convenzionali, perché essa non consentiva di individuare univocamente la banca o il gruppo bancario cui fare riferimento e neppure se quello preso in considerazione dagli stipulanti fosse il tasso applicato per i mutui, il tasso di sconto o il tasso praticato per i conti correnti bancari, ed in questo caso se dovesse farsi riferimento ai tassi praticati ai clienti ordinari o invece al «prime rate»).

Cass. civ. n. 5324/2003

In tema di contratto di mutuo, l'art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che gli interessi moratori, ma non si applica ai contratti contenenti tassi usurari stipulati prima della sua entrata in vigore se relativi a rapporti completamente esauriti al momento della entrata in vigore della legge

Cass. civ. n. 14899/2000

In tema di contratto di mutuo, la pattuizione di interessi moratori a tasso divenuto usurario a seguito della L. n. 108 del 1996 è illegittima anche se convenuta in epoca antecedente all'entrata in vigore di detta legge e comporta la sostituzione di un tasso diverso a quello divenuto ormai usurario, limitatamente alla parte di rapporto a quella data non ancora esaurito.

Notizie giuridiche correlate all'articolo

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

SEI UN AVVOCATO?
AFFIDA A NOI LE TUE RICERCHE!

Sei un professionista e necessiti di una ricerca giuridica su questo articolo? Un cliente ti ha chiesto un parere su questo argomento o devi redigere un atto riguardante la materia?
Inviaci la tua richiesta e ottieni in tempi brevissimi quanto ti serve per lo svolgimento della tua attività professionale!

Consulenze legali
relative all'articolo 1815 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G. A. chiede
venerdì 19/05/2023
“La nostra società è titolare di un credito derivante da decreto ingiuntivo (non opposto) emesso nell'anno 1984 a carico di un soggetto. Tale decreto ingiuntivo era stato emesso originariamente in favore di un istituto di credito in forza di fido bancario non rispettato e successivamente nel 2003 il credito è stato ceduto per atto notarile alla nostra società. Si precisa che nel ricorso per decreto ingiuntivo del 1984 venivano richiesti esplicitamente interessi convenzionali con capitalizzazione trimestrale e che nel provvedimento di ingiunzione emesso dal Tribunale venivano liquidati interessi "come da domanda". Specifico, inoltre, che ci sono stati atti interruttivi della prescrizione nei seguenti anni: 1993 - 2001 - 2009 - 2016. Inoltre nel corso degli anni gli interessi convenzionali sono divenuti superiori al tasso soglia. La nostra società ha pertanto principalmente tre dubbi:
A) La clausola anatocistica inserita nel provvedimento ingiuntivo è nulla? Da quanto ci risulta il problema potrebbe essere superato in quanto dovrebbe essere principio della Cassazione che "il debitore può contestare la presenza di interessi calcolati con l'anatocismo solo con la citazione in opposizione al decreto ingiuntivo della banca e non con l'opposizione all'esecuzione forzata e al pignoramento" (Cass. Sent. n. 9389 del 10/05/2016). Pertanto nel caso di specie si è formato il giudicato, che dovrebbe coprire il dedotto e il deducibile;
B) Gli interessi, divenuti in corso di rapporto superiori al tasso soglia ma pattuiti antecedentemente all'entrata in vigore della legge antiusura, sono comunque legittimi in quanto non ha nessuna rilevanza l'usura sopravvenuta? (come da Sezioni Unite sent. N. 24675 del 19/10/2017);
C) Gli interessi liquidati in decreto ingiuntivo hanno prescrizione quinquennale o decennale? Ci risulta che ai sensi dell'art. 2953 c.c. dovrebbero avere prescrizione decennale essendo oggetto di un titolo giudiziale passato in giudicato superando la prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c.
Grazie in anticipo,
Cordialmente”
Consulenza legale i 29/05/2023
A) L'orientamento della Suprema Corte in merito al novero delle questioni che possono esser fatte valere in sede di opposizione all’esecuzione è piuttosto restrittivo e legittima soltanto l’allegazione di fatti modificativi ed estintivi del rapporto sostanziale di cui al decreto ingiuntivo divenuto irrevocabile a seguito di mancata opposizione e sorti successivamente al passaggio in giudicato del titolo.
Per tali ragioni, il giudice dell’opposizione all’esecuzione non può affrontare questioni relative a fatti anteriori al passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto, i quali avrebbero dovuto esser dedotti con l’opposizione decreto ingiuntivo (Cass. Civ., 19.03.2014, n. 6337; Cass. Civ., 19.12.2006, n. 27159).

La giurisprudenza di merito, tuttavia, ha da più parti sostenuto che l’unico profilo ancora deducibile in presenza di un decreto ingiuntivo passato in giudicato è quello relativo alla lamentata pretesa di interessi usurari, sulla motivazione che “la rilevanza penale della condotta consente di ritenere proprio del nostro ordinamento un principio assoluto che impone di non dar corso alla dazione di interessi usurari, neppure sulla base di un titolo passato in giudicato”. (Trib. di Pordenone, sent. 07.03.2012).
In questo modo, la clausola contrattuale continuerà a produrre i propri effetti, generando interessi, ma se questi nel corso del tempo dovessero superare il tasso soglia, allora non potranno giustificare l’esecuzione forzata e il creditore non avrà diritto ad eseguire il titolo, anche se limitatamente alla quota che oltrepassa il limite legale.
Ciò significa che nel caso di interessi usurari che sopravvengono nel corso del rapporto contrattuale e che non sussistono ab origine (cioè alla sottoscrizione), il contratto non viene travolto integralmente dalla nullità; di conseguenza, il decreto ingiuntivo passato in giudicato non sarà nullo ma continuerà ad essere eseguibile nel limite del tasso soglia via via individuato.

Sul punto si segnala una pronuncia del Tribunale di Macerata, il quale, uniformandosi ad un diffuso orientamento della giurisprudenza di merito, statuisce che non possa essere coperta dal giudicato formatosi su un d.i. non opposto nei termini l’eccezione di usurarietà degli interessi; l’unico profilo ancora deducibile è proprio quello della presenza di interessi usurari, posto che “la rilevanza penale della condotta consente di ritenere proprio nel nostro ordinamento un principio assoluto che impone di non dar corso alla dazione di interessi usurari, neppure sulla base di un titolo passato in giudicato”, pertanto “gli interessi non potranno comunque essere pretesi, in particolare in sede esecutiva, se non in misura coincidente (al massimo) con la soglia prevista; si verifica, in conclusione, una inesigibilità parziale (e conseguente inesecutabilità parziale) degli interessi, nella parte (e solo nella parte) in cui vi è superamento della soglia”; al contempo, tuttavia, ritiene che in presenza di un decreto ingiuntivo non opposto, in sede di opposizione ad esecuzione forzata “non possono essere esaminate questioni relative alla nullità dei contratti o di clausole dei medesimi”, come, in particolare, “l’applicazione della commissione di massimo scoperto e la capitalizzazione trimestrale degli interessi”, e ciò “per la preclusione che deriva dal giudicato”. (Tribunale di Macerata, 01.03.2019).
In rapporto al caso di specie, pertanto, la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi non potrà più essere contestata in sede eventuale opposizione all'esecuzione, poiché coperta dal giudicato.

B) In merito all’usurarietà sopravvenuta, la Suprema Corte, risolvendo in una pronuncia a Sezioni unite un contrasto giurisprudenziale formatosi sul tema ed in relazione ad un contratto di mutuo, ha affermato che sono interessi usurari esclusivamente quelli la cui pattuizione superi i limiti della soglia di usura ex Legge n.108/96.
Al contrario, “allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso di svolgimento del rapporto, la soglia d’usura [..] non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula [..]”. (Cass., SS.UU., 19 ottobre 2017, 24675)
In definitiva, viene esclusa la configurabilità dell’usurarietà sopravvenuta nel contratto di mutuo, affermando che l’usura bancaria può verificarsi solamente nel momento “genetico” del rapporto contrattuale, cioè quando vengono pattuiti gli interessi da applicare, a nulla rilevando che, durante l’esecuzione del contratto, il tasso di interesse applicato superi il valore soglia.
L’usurarietà sopravvenuta non comporta l’inefficacia o la nullità sopravvenuta delle pattuizioni contrattuali, ne può comportare la riduzione degli interessi rispetto alle previsioni contrattuali originarie, come era originariamente previsto dall’art. 1815 c.c.

C) Per quanto concerne il termine di prescrizione, dovrà applicarsi l’art. 2953 del c.c., in base alla quale i diritti prescrittibili in un tempo più breve del decennio, ovvero anche ai diritti soggetti a prescrizione presuntiva ed a quelli soggetti a prescrizione breve stabilita disposizioni codicistiche o leggi speciali, diventano soggetti alla prescrizione decennale dal momento in cui sono riconosciuti con un giudicato di condanna (alla quale è parificato il decreto ingiuntivo), con la precisazione che secondo la giurisprudenza di legittimità non decorre né dal giorno in cui sia possibile l'esecuzione della sentenza né da quello della sua pubblicazione, ma dal momento del suo passaggio in giudicato (Cass. Civ., Sez. III, n. 15765/2014).

Paolo M. chiede
sabato 18/04/2015 - Lombardia
“Breve premessa
Premesso che mio padre è stato vittima di richieste estorsive per prestito personale, con un tasso di interesse applicato dal creditore, pari al 30,28% risultante da una Perizia tecnica, per un credito iniziale di Lire 44.569,00 arrivati alla somma Lire 68.608,599 nel lasso di tempo di circa due anni.
A danno di mio padre e mia madre pendono 2 procedure esecutive di pignoramento, iniziate dal creditore procedente/usuraio, ora deceduto, e a tale riguardo è stata fatta al Procuratore della repubblica richiesta di parere per la sospensione dei termini (Art. 20 Legge N. 44/99) di cui il Procuratore della repubblica concedeva i benefici dei termini di scadenza previsti dall’Art. 20 Legge N. 44/99.
I termini di cui sopra sono in scadenza, pendono 2 procedure esecutive di pignoramento presso il tribunale.
Abbiamo chiesto la proroga della sospensione dei termini, ma da un colloquio verbale con il Procuratore ci veniva comunicato che la nostra richiesta non sarebbe stata accolta in quanto seconda richiesta di proroga. In questa procedura avviata dal creditore procedente si è aggiunto un creditore legittimo, per un credito maturato in seguito ad una scrittura privata attraverso la quale i miei genitori gli trasferivano un terreno edificatorio poi annullata per inadempienza del comune

Di seguito alcuni elementi e possibili soluzioni da me apprese da altre fonti, di cui chiedo la Vs. conferma sull’esattezza.

Premetto che non è in corso alcun processo penale ma solo un’indagine del magistrato verso il figlio, per verificare se vi è un coinvolgimento dello stesso, perché il creditore procedente è deceduto.

Essendo in scadenza i termini di sospensione amministrativa che non verranno prorogati, l’esecuzione riprenderà e i beni che sono stati pignorati andranno all’asta e potranno essere venduti. È possibile proporre al giudice dell’esecuzione un’istanza di sospensione dell’esecuzione forzata ai sensi degli articoli 295, 623 e 624 del Codice di procedura civile, con la motivazione che sussiste in danno del creditore procedente un reato di usura per l’applicazione di tassi usurari relativamente ad un prestito concesso a mio padre, risultante da una Perizia tecnica e dall’accertamento fatto dal magistrato in seguito alla denuncia? oppure l’accertamento del reato di usura avviene attraverso un processo penale? e in questo caso lo deve iniziare?

- Abbiamo chiesto la proroga della sospensione dei termini, ma da un colloquio verbale con il Procuratore ci veniva comunicato verbalmente che la nostra richiesta non sarebbe stata accolta perché 2° richiesta di proroga, in quando una sentenza del 2015 diceva che non si potevano dare ulteriori proroghe. È così me lo conferma?

Poi il magistrato ipotizzava che se c’era un parente coinvolto poteva chiedere la proroga che sarebbe stata concessa, solo che erano scaduti i termini di scadenza (10 aprile) e non è stato possibile farlo in tempo. E’ cosi?

- Avendo il magistrato accertato, il reato di usura, risultante anche da una Perizia tecnica, questo ha come conseguenza la certezza dell’applicabilità di ciò che stabilisce l’articolo 1815, 2° comma, del Codice civile, secondo il quale: “Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.? Oppure anche in questo caso ci deve essere un processo penale che accerta che il creditore di mio padre ha praticato tassi usurari nel prestito concesso?

- Nella nostra situazione é fattibile usare ciò che è stabilito dalla Legge 3 del 2012 sulla crisi da sovra indebitamento? Se fosse fattibile contribuirebbe alla sospensione dell’esecuzione forzata? Mi hanno detto che per azionare la legge 3 del 2012, si deve riconoscere la legittimità dell'intero debito (nel nostro caso una parte del debito non sarebbe legittima essendoci il reato di usura). Mi confermate se è così oppure posso accettare l’intero debito con riserva per via degli interessi usurai? In base all’articolo 1815, 2° comma, del Codice civile, secondo il quale: “Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”

Come detto nella premessa in questa procedura avviata dal creditore procedente (usuraio) si è aggiunto un creditore legittimo

- Tra i beni che risultano dagli atti di pignoramento immobiliare sottoposti all’esecuzione forzata a favore del creditore (usuraio),ci sono 2 beni, che non sono stati pignorati dal creditore intervenuto.
In questo caso, avendo il magistrato accertato il reato di usura in seguito alla denuncia e risultante anche da una Perizia tecnica, l’esecuzione forzata sui due beni che non risultano in capo al creditore intervenuto, rendono non proseguibile l’esecuzione sui due beni? invalidano il procedimento?

- Su uno dei beni pignorati ci sono delle procedure legali quali:
1) Occupazione usurpativa da parte del comune di ... .
2) Danno precontrattuale.

Per i citati motivi si può chiedere al Giudice di sospendere la procedura esecutiva?”
Consulenza legale i 22/04/2015
Va innanzitutto premesso che il quesito è estremamente complesso e che pertanto in questa sede si procederà solo ad un esame delle questioni più rilevanti.

- È possibile proporre al giudice dell’esecuzione un’istanza di sospensione dell’esecuzione forzata ai sensi degli articoli 295, 623 e 624 del Codice di procedura civile, con la motivazione che sussiste in danno del creditore procedente un reato di usura per l’applicazione di tassi usurari relativamente ad un prestito?

Purtroppo non ci consta che tale motivazione possa costituire una ragione alla base di una istanza di sospensione della procedura, al di là, ovviamente, della fattispecie specifica prevista per la tutela delle vittime di usura, che nel caso di specie è già stata sfruttata.
L'art. 295 riguarda il processo di cognizione, quindi non è applicabile nel nostro caso.
Gli artt. 623 e 624 parlano, il primo, di sospensione per legge o ad opera del giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo; il secondo, della sospensione che consegue all'opposizione all'esecuzione ai sensi degli artt. 615 e 619.

Si potrebbe, quindi, ipotizzare solamente la proposizione di una opposizione all'esecuzione ai sensi del secondo comma dell'art. 615 c.p.c., motivata sull'assenza del diritto del creditore a procedere forzatamente, quantomeno per la cifra relativa di interessi usurari. Nell'ambito di tale opposizione, si potrebbe chiedere la sospensione dell'esecuzione.
In merito agli interessi usurari, la riforma operata dalla legge 7 marzo 1996 n. 108 (che ha modificato l’1815 e l’644) comporta la nullità della clausola relativa agli interessi usurari, ferma la validità del contratto di mutuo: gli interessi sono sempre usurari quando superano il tasso-soglia corrispondente al tasso medio, aumentato della metà, degli interessi praticati dalle banche secondo le rilevazioni effettuate trimestralmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (TEGM – Tasso Effettivo Globale Medio); gli interessi sono usurari anche quando, pur inferiori al detto limite, risultino sproporzionati rispetto alla prestazione ricevuta, avuto riguardo alle modalità dell’operazione, se chi li ha dati versava in condizioni di difficoltà economica/finanziaria.
Quindi, se la vittima dell'usura è in grado di dimostrare al giudice civile l'usurarietà del tasso degli interessi (nel nostro caso, mediante la perizia), sarebbe ipotizzabile un accoglimento dell'opposizione all'esecuzione, che però andrebbe solo a ridurre l'importo per cui si procede.

- Abbiamo chiesto la proroga della sospensione dei termini, ma da un colloquio verbale con il Procuratore ci veniva comunicato verbalmente che la nostra richiesta non sarebbe stata accolta perché 2° richiesta di proroga, in quando una sentenza del 2015 diceva che non si potevano dare ulteriori proroghe. È così me lo conferma?

Sì, è esatto. La sospensione dei termini relativi a processi esecutivi mobiliari ed immobiliari prevista in favore delle vittime dell'usura ai sensi dell'art. 20 della legge n. 44/1999 non è prorogabile, trattandosi di una disposizione a carattere eccezionale di deroga alla normativa sulla decorrenza dei termini legali relativi alle procedure espropriative e all'attuazione dell'art. 2740 (cfr. Corte d'appello di Ancona, 27.6.2009; nello stesso senso, Trib. Vicenza, 3.1.2009).

- Poi il magistrato ipotizzava che se c’era un parente coinvolto poteva chiedere la proroga che sarebbe stata concessa, solo che erano scaduti i termini di scadenza (10 aprile) e non è stato possibile farlo in tempo. E’ cosi?

Non conoscendo i dettagli della questione, non è possibile rispondere.

- Nella nostra situazione è fattibile usare ciò che è stabilito dalla Legge 3 del 2012 sulla crisi da sovra indebitamento?

La nuova normativa consente anche ai consumatori di raggiungere un accordo di ristrutturazione dei debiti con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti; oppure, di predisporre un piano del consumatore; infine, di accedere a una procedura alternativa di liquidazione dei beni della durata di quattro anni.
Si tratta in ogni caso di procedimenti che implicano l'accordo con i creditori, ai quali si fa infatti divieto, sino alla omologazione del piano, di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali o azioni cautelari, come anche il divieto sull'acquisto dei diritti di prelazione sul patrimonio del debitore. E' evidente che tale disciplina non "invoglia" il creditore a prestare il proprio consenso. Tuttavia, in astratto, essa potrebbe essere applicabile, anche se si dovrà vagliare con attenzione la complessiva situazione patrimoniale del debitore. Ovviamente, il debitore che chiede l'ammissione a una tale soluzione deve riconoscere i suoi debiti.
Nel caso di specie, se lo scopo è solo quello di fermare l'esecuzione in atto, tale soluzione non sembra quella più agevole da perseguire.

- Tra i beni che risultano dagli atti di pignoramento immobiliare sottoposti all’esecuzione forzata a favore del creditore-usuraio, ci sono 2 beni, che non sono stati pignorati dal creditore intervenuto...

Il fatto che l'intervenuto non abbia pignorato parte dei beni pignorati dal procedente non invalida affatto il procedimento. Se - per ipotesi - si ottenesse una sospensione del procedimento esecutivo, tale sospensione avrebbe effetto anche nei confronti dell'intervenuto. Quando la sospensione verrà meno (si ricordi: la sospensione non significa estinzione del processo! essa è sempre temporanea), i creditori potranno continuare l'esecuzione.
Non ci sembra quindi che sulla base di questi argomenti si possa ottenere una sospensione dell'espropriazione forzata in corso.