Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale del riesame di Milano aveva confermato la misura cautelare della custodia cautelare in carcere, disposta nei confronti di un indagato per i delitti di “truffa” (art. 640 c.p.) e “furto” (art. 624 c.p.), aggravati dalle condizioni di “minorata difesa” della persona offesa (art. 61 c.p.).
L’indagato, in particolare, era stato accusato di tali reati in quanto egli avrebbe messo in scena un finto incidente, in danno di un anziano.
Nello specifico, l’indagato, assieme ad un complice, avrebbe suonato il clacson e usato i lampeggianti per far fermare l’auto condotta dall’anziano, invitandolo a scendere per constatare i danni immaginari che lo stesso avrebbe provocato, inducendolo così ad attraversare la strada per allontanarlo dalla propria auto, allo scopo di rubare qualcosa all’interno dell’abitacolo.
Ritenendo la decisione di confermare la misura cautelare ingiusta, l’indagato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione.
La Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, in particolare, che il Tribunale aveva del tutto correttamente osservato che i reati contestati erano stati commessi in danno un uomo di 84 anni e che tale situazione era inquadrabile nel “concetto di minorata difesa”, dal momento che un anziano ha una “minore capacità di rendersi conto di essere soggetto passivo di condotte illecite altrui e di reagire con lucidità ad esse”.
Evidenziava la Cassazione, peraltro, che il Tribunale aveva accertato che l’anziano aveva anche dato “una banconota da 50 Euro ai due per evitare rogne, temendo anche per la sua salute, essendosi agitato ed essendo soggetto cardiopatico”.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, il Tribunale aveva giustamente concluso nel senso che il comportamento dell’indagato aveva “cagionato alla vittima della truffa una situazione di debolezza e di ansia, nel che era consistita la minorata difesa, derivante (…) dalla ben visibile età avanzata del conducente dell'auto”.
In sostanza, dunque, secondo la Cassazione, dagli accertamenti effettuati era emerso con chiarezza che l’indagato aveva programmato “sia la truffa del falso sinistro stradale, sia il furto di oggetti da prelevare dalla vettura fatta abbandonare dalla persona offesa, col pretesto della constatazione dei danni”.
Ciò considerato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.