Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista una condomina, che era stata condannata, sia in primo che in secondo grado, per il reato di “furto”, aggravato da “violenza sulle cose” (artt. [[n624vp]] e 625 c.p.), “per essersi impossessata di energia elettrica sottraendola al condominio di cui era parte la sua abitazione, con la violenza consistita nel collegare due fili all'impianto delle luci delle scale”.
La Corte d’appello, in particolare, era giunta alla conclusione di dover condannare l’imputata in quanto la stessa “aveva ammesso l'addebito, dichiarando di avere fatto installare i fili rinvenuti da un tecnico di sua conoscenza e di averlo fatto perchè spinta dal bisogno, avendo quattro figli a carico ed il marito disoccupato”.
Ritenendo la decisione ingiusta, la condomina aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Evidenziava la ricorrente, in proposito, che non era stato dimostrato che gli altri condomini non avessero consentito l’allaccio abusivo alla rete elettrica e che, comunque, la condotta oggetto di contestazione avrebbe dovuto essere ricondotta alla fattispecie della “appropriazione indebita”, di cui all’art. 646 c.p., dal momento che l’imputata “si era appropriata di un bene, l'energia elettrica del condominio, almeno pro quota di sua proprietà e nel suo possesso”.
Secondo la ricorrente, peraltro, il reato avrebbe dovuto essere considerato solo tentato e non consumato, in quanto non era stato dimostrato che la condomina avesse effettivamente utilizzato l'energia elettrica, dopo aver effettuato l’allaccio.
A detta della ricorrente, infine, non si sarebbe verificata “alcuna violenza sulle cose non potendosi ritenere tale il collegamento dei fili al cavo condominiale”.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle considerazioni svolte dalla condomina, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Evidenziava la Corte, infatti, che, dagli accertamenti effettuati in corso di causa, era emerso che l’imputata aveva sottratto “l'energia elettrica già transitata dal contatore che registrava i consumi del condominio” e che si trattava, dunque, “di energia ad esso appartenente e pro quota di spettanza anche della ricorrente”.
Di conseguenza, secondo la Cassazione - poiché la ricorrente era nel possesso, assieme agli altri condomini, dell’energia in questione, potendo “consumarla ed utilizzarla al di fuori della stretta sorveglianza degli altri condomini” – la condotta oggetto di contestazione doveva essere ricondotta alla “appropriazione indebita”, di cui all’art. 646 c.p.
Del resto, già in un altro caso, la stessa Corte di Cassazione aveva precisato che “integra il reato di appropriazione indebita la condotta del condomino il quale, mediante allaccio abusivo a valle del contatore condominiale, si impossessi di energia elettrica destinata all'alimentazione di apparecchi ed impianti di proprietà comune” (Cass. civ., sentenza n. 13551 del 21 marzo 2002).
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dalla condomina e, dopo aver riqualificato il fatto come “appropriazione indebita” (reato perseguibile a querela di parte), annullava la sentenza impugnata “perchè l'azione penale non poteva essere esercitata per mancanza di querela”.