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Furto: l’imputato non può essere assolto solo perché indigente

Furto: l’imputato non può essere assolto solo perché indigente
Per la Cassazione l’essere senza fissa dimora non integra di per sé la scriminante dello stato di necessità.
La IV Sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 12860/2019, si è pronunciata sul caso di una donna, condannata in secondo grado per il reato di cui agli artt. 624 e 625, comma 1, n. 7 c.p., perché, al fine di trarne profitto, si impossessava di alcune forme di formaggio sottraendole dagli scaffali di un esercizio commerciale, con l'aggravante di aver commesso il fatto su cose esposte alla pubblica fede.
L'imputata proponeva ricorso per cassazione articolando tre motivi: 1) violazione di legge in relazione agli artt. 624 e 625, comma 1, n. 7, c.p., perché non sarebbe stata ravvisabile l'aggravante della pubblica fede per essere stata posta in essere una sorveglianza specifica da parte degli addetti alla sicurezza; 2) violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all'art. 54 del c.p., poiché l'"imprescindibile esigenza di alimentarsi" dell’imputata avrebbe integrato la scriminante dello stato di necessità; 3) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 56, 624 e 625, comma 1, n. 7 c.p., in quanto il monitoraggio dell'azione furtiva, esercitato sia mediante sistemi di videosorveglianza sia attraverso la diretta osservazione da parte del personale, avrebbe escluso la consumazione del delitto di furto, che sarebbe dunque rimasto allo stadio del tentativo, come affermato peraltro dalle Sezioni Unite.
La Corte ha respinto il ricorso.
In particolare, con riferimento al secondo motivo, profilo che qui specificamente interessa, la Cassazione ha ribadito i principi più volte enunciati dalla stessa giurisprudenza di legittimità, secondo cui “la situazione di indigenza non è di per sé idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale”, a cui l'imputata avrebbe potuto, e dovuto, rivolgersi.
Per completezza, si aggiunge che la Corte ha rigettato altresì i restanti due motivi di ricorso formulati dall’imputata.
Riguardo al primo motivo, infatti, ha ricordato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui sussiste l'aggravante dell’esposizione alla pubblica fede “nel caso in cui il soggetto attivo si impossessi della merce sottratta dai banchi di un supermercato, considerato che nei supermercati - in cui la scelta delle merci avviene con il sistema del self service - la vigilanza praticata dagli addetti è priva di carattere continuativo e si connota come occasionale e/o a campione, mentre l'esclusione dell'aggravante in questione richiede che sulla cosa sia esercitata una custodia continua e diretta”, che però era mancata nel caso in esame.
Parimenti, la pronuncia in commento ha escluso la configurabilità del tentativo, di cui al terzo motivo di impugnazione, poiché, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non vi era stato il preteso monitoraggio della condotta dell’imputata, né per mezzo di appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce, né attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei suoi dipendenti.


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