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Articolo 1489 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi

Dispositivo dell'art. 1489 Codice Civile

Se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali(1) [1027] o personali [1599](2) non apparenti(3) che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati nel contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo secondo la disposizione dell'articolo 1480(4).

Si osservano inoltre, in quanto applicabili, le disposizioni degli articoli 1481, 1485, 1486, 1487 e 1488.

Note

(1) Ad esempio il diritto di servitù (1027 c.c.) o di usufrutto (978 c.c.). La norma non si riferisce ai diritti reali di garanzia che ricadono nella previsione dell'art. 1482 del c.c..
(2) Ad esempio, il diritto al godimento di un immobile in qualità di locatario (1571 c.c.).
(3) Il vincolo è non apparente quando per il suo esercizio non sono necessarie opere (beni materiali o attività umane) visibili e permanenti (v. 1061 c.c.). Ciò significa che la tutela prevista dalla norma opera solo se il compratore non poteva avere contezza visiva della limitazione.
(4) La norma accomuna la c.d. evizione limitativa all'evizione parziale ma si tratta di due figure diverse: nella seconda il diritto del terzo incide sul piano quantitativo, nella prima sul piano qualitativo.

Ratio Legis

La norma è conseguenza del fatto che il compratore ha diritto ad un godimento pieno e libero del bene che acquista (1470, 1476 c.c.).

Spiegazione dell'art. 1489 Codice Civile

Diritto alla risoluzione del contratto

Poiché il venditore doveva trasferire la piena proprietà della cosa venduta, è senza dubbio inadempiente se la cosa venduta è gravata da un diritto di superficie o da uso, usufrutto o abitazione, o se il suolo venduto è gravato da servitù di non edificare o di non edificare oltre un certo limite.
In tal caso il compratore che ignorò tali oneri o diritti reali o personali non apparenti, poiché ingiustamente vede diminuito il libero godimento della cosa, atteso l'inadempimento del venditore, già per l'articolo 1453 cod. civ. ha diritto alla risoluzione del contratto.
Poiché però la risoluzione del contratto è in favore della parte adempiente e contro il venditore inadempiente, l'art. 1489 cod. civ. autorizza altresì il compratore a chiedere, invece della risoluzione, semplicemente una proporzionale riduzione del prezzo, analogamente a quanto dispone l'art. 1480 cod. civ. in caso di evizione parziale.

Attesa la frequente instabilità dei valori, e potendo il compratore avere interesse a tenere la cosa, pur mutilata com'è, in pena dell'inadempimento del venditore, lo obbliga la legge a subire la scelta del compratore.


Facoltà di scelta del compratore

La facoltà di scelta del compratore si esaurisce con la dichiarazione comunicata al venditore.
Dichiaratagli la volontà di risolvere il contratto, non può più optare in un secondo momento per la riduzione del prezzo: arg. art. 1286
cod. civ.
Veramente per l'art. 1453 cod. civ. nei contratti sinallagmatici, quando uno dei contraenti ha chiesto in giudizio l' adempimento può in un secondo momento chiedere la risoluzione: ma questa disposizione eccezionalmente favorevole al creditore, questo eccezionale prolungamento della normale facoltà di scelta non può consentirsi al compratore di cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi. Il venditore cui è stata dichiarata la richiesta di riduzione di prezzo ha ormai messo l'animo in pace e non ha più fatto quanto era in lui per trovare altro compratore. Egli si è affidato alla dichiarazione del compratore, e non deve subire ulteriori molestie. D'altra parte il caso contemplato dall'art. 1453 cod. civ. è ben diverso, poiché l'art. 1453 cod. civ. contempla l'inadempiente il quale per solo fatto di non aver adempiuto dimostra che non ne ha avuto la possibilità e la volontà e quindi in certo modo è agevolato dal mutamento di domanda della controparte che, avendolo citato per l'adempimento, in un secondo momento chieda la risoluzione. Tanto ciò è vero che quando è stata chiesta in primo momento la risoluzione non si può chiedere in un secondo momento l'adempimento: art. 1453 cod. civ.
Perciò il compratore che ha chiesto la riduzione non può successivamente domandare la risoluzione.

Per la stessa ragione, se il compratore ha chiesto la risoluzione non può, in un secondo momento optare per la riduzione.
È verosimile che il venditore convenuto in giudizio per la risoluzione avrà già provveduto a trovare altro compratore: ed avrebbe perciò ingiusto danno dal mutamento di domanda da parte del compratore.
Per la vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi si osservano, in quanto applicabili, gli articoli 1481, 1485, 1486, 1487 e 1488 cod. civ.


Sospensione del pagamento del prezzo

Il pericolo che gli si faccia valere un usufrutto o una servitù a lui ignota, autorizza il compratore a sospendere il pagamento del prezzo.
La domanda giudiziale di chi vanta l'usufrutto, la servitù od altro diritto reale o personale, obbliga il compratore a chiamare in causa il venditore.
Della vantaggiosa transazione del compratore può trarre profitto il venditore.
Venditore e compratore possono aumentare o diminuire gli effetti della garanzia, meno che per la responsabilità del venditore per il fatto proprio.

Infine, se il compratore ha acquistato a suo rischio e pericolo, non ha nemmeno diritto alla restituzione di parte del prezzo.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

343 I venditore deve garantire anche la libertà della cosa venduta da oneri o da diritti di terzi non dichiarati nel contratto (art. 373).
Questa regola è già contenuta nell'art.1494 del codice vigente ed è stata ugualmente prevista dalla Commissione reale (art. 362 del progetto del 1936); ma l'ho voluta più correttamente formulare con riferimento, in via generale, ad ogni cosa, potendosi ammettere che un peso reale gravi anche sulla cosa mobile (esempio, gli oggetti di valore artistico). Ho poi richiamato, non soltanto le servitù, ma qualsiasi onere o diritto reale o personale non apparente, che diminuisca il libero godimento della cosa e che sia opponibile al compratore.
Costui, se non ha conosciuto al momento dell'acquisto gli oneri o i diritti non dichiarati, può, quando ne scopra la esistenza, domandare la risoluzione del contratto ovvero una riduzione del prezzo.
L'ipotesi si ricollega tanto alla garanzia per evizione quanto all'inadempimento del venditore: ed infatti la norma citata estende ad essa l'art. 364 e cioè il regolamento della vendita di cosa parzialmente altrui.

Massime relative all'art. 1489 Codice Civile

Cass. civ. n. 24900/2022

In tema di compravendita, solo dopo che la parte acquirente abbia vista accertata, con sentenza definitiva, l'esistenza del peso ed onere sul bene, nella specie la non potenzialità edificatoria del terreno, scatta la garanzia contrattuale e il termine per esercitare l'azione ex art. 1489 c.c. Ne consegue che il predetto termine decorre non dalla conclusione del contratto ma dal passaggio in giudicato della sentenza.

Cass. civ. n. 21441/2022

In tema di compravendita, qualora l'acquisto abbia riguardato un immobile per l'edificazione di un fabbricato, attuabile, sotto il profilo urbanistico, in virtù di progetto ceduto dal venditore, la sopravvenuta irrealizzabilità dell'edificio, conseguente ad azioni ripristinatorie proposte da terzi per violazione delle norme sulle distanze, non costituisce violazione dell'impegno traslativo del diritto di proprietà sulla cosa venduta, né dunque consente l'applicazione della disciplina sulla garanzia per l'evizione parziale (perché non si tratta di vendita di cosa parzialmente altrui ex art 1480 c.c.) , né quella sulla garanzia per vendita di cosa gravata da oneri o da diritti reali di godimento non apparenti di terzi (la quale riguarda la diversa ipotesi di cosa venduta come libera, ma che poi risulti gravata da taluno dei pesi anzidetti ex art. 1489 c.c.), ma può piuttosto integrare il difetto di qualità promesse o essenziali ai sensi dell'art. 1497 c.c., la cui domanda rientra nella disciplina degli adempimenti contrattuali.

Cass. civ. n. 11211/2021

L'art. 1489 c.c., sulla vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di terzi, non trova applicazione con riferimento al pagamento di oneri derivanti da procedimenti di regolarizzazione urbanistico-edilizia, dei quali il venditore abbia fatto menzione nell'atto di compravendita, trattandosi di pesi che non limitano il libero godimento del bene venduto.

Cass. civ. n. 14595/2020

In tema di vendita di cosa gravata da diritti o da oneri non apparenti e non dichiarati nel contratto che ne diminuiscano il libero godimento, non può sottrarsi alla garanzia prevista dall'art. 1489 c.c. il venditore di un immobile non conforme alle norme urbanistiche che tali diritti o oneri abbia taciuti, salvo non dimostri che la controparte ne aveva effettiva conoscenza. Ai fini della condanna del detto venditore al risarcimento del danno non è necessaria la sua malafede, ma è sufficiente che questi versi in colpa.

Cass. civ. n. 26627/2019

L'acquirente di un immobile che abbia subito il vittorioso esperimento dell'"actio negatoria servitutis", quando lo stato di fatto lesivo a danno di terzi preesisteva alla vendita, è tutelato dalle azioni previste dagli artt. 1484 e 1489 c.c. che costituiscono entrambe rimedi allo squilibrio del sinallagma funzionale del contratto di compravendita, per cui al prezzo corrisponde una cosa inferiore o per quantità o per qualità a quella venduta.

Cass. civ. n. 21582/2019

Il diritto reale d'uso di aree destinate a parcheggio, quale limite legale della proprietà del bene, deriva da norme imperative assistite, come tali, da una presunzione legale di conoscenza da parte dei destinatari, sì che il vincolo da esse imposto non può legittimamente qualificarsi come onere non apparente gravante sull'immobile secondo la previsione dell'art. 1489 c.c. e non è, conseguentemente, invocabile dal compratore come fonte di responsabilità del venditore che non lo abbia dichiarato nel contratto.

Cass. civ. n. 5336/2019

Nel caso di contratto preliminare di vendita di bene gravato da usufrutto, qualora nel termine pattuito il promittente venditore non sia stato in grado di procurare l'acquisto della piena proprietà del detto bene, il promittente compratore, che non abbia avuto conoscenza, al momento della conclusione del contratto, che la cosa era gravata di uno "ius in re", può ex art. 1489 c.c. domandare, oltre alla riduzione del prezzo, la risoluzione del contratto, la quale può essere pronunciata, anche se il titolare del diritto di godimento o il beneficiario dell'onere o della limitazione non abbiano ancora fatto valere alcuna pretesa sulla "res", ove si accerti, ai sensi dell'art. 1480 c.c., che il compratore non avrebbe acquistato la cosa gravata dall'onere. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che aveva accordato al promissario acquirente la risoluzione del contratto preliminare di vendita quale conseguenza automatica del mancato consenso dell'usufruttuario, senza verificare la sussistenza dei requisiti di cui all'art. 1489 c.c.).

Cass. civ. n. 16795/2018

Nella vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi, la conoscibilità del vincolo urbanistico gravante sulla cosa, idonea ad escludere la responsabilità del venditore ex art. 1489 c.c., deve essere valutata in concreto, alla luce della natura del vincolo medesimo e della possibilità per l'acquirente di avvertire la necessità di compiere una verifica. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, in relazione a un contratto preliminare di vendita di un immobile gravato da un vincolo di destinazione urbanistica che ne prevedeva l'utilizzo come alloggio del proprietario o del custode degli adiacenti capannoni industriali - vincolo non risultante direttamente dalle previsioni del P.R.G., ma soltanto da una nota delle norme tecniche di attuazione -, non aveva ritenuto sussistente la responsabilità del promittente venditore, sebbene questi, a fronte dell'apparente ordinaria destinazione residenziale dell'edificio, avesse taciuto del tutto circa l'esistenza del vincolo).

Cass. civ. n. 14289/2018

L'espressa dichiarazione del venditore che il bene compravenduto è libero da oneri o diritti reali o personali di godimento esonera l'acquirente dal compiere qualsiasi indagine, operando a suo favore il principio dell'affidamento nell'altrui dichiarazione, con l'effetto che, se la dichiarazione è contraria al vero, il venditore è responsabile nei confronti della controparte tanto se i pesi sul bene erano dalla stessa facilmente conoscibili, quanto, a maggior ragione, se essi non erano apparenti, restando irrilevante la trascrizione del vincolo, che assume valore solo verso il terzo acquirente e non per il compratore il quale, nel rispetto del canone della buona fede, ha il diritto di stare alle dichiarazioni dell'alienante. Tale diritto, però, viene meno qualora dette dichiarazioni trovino diretta ed immediata smentita nel modo d'essere del bene percepibile attraverso i sensi, risultando gli oneri o diritti da opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio, poiché, in questo caso, non opera il principio dell'affidamento ed il compratore deve subire le conseguenze della sua negligenza.

Cass. civ. n. 22363/2017

Nella vendita di cosa gravata da onere reale, la responsabilità del venditore, ex art. 1489 c.c., è esclusa solo nel caso in cui il compratore abbia avuto effettiva conoscenza del peso gravante sulla cosa oppure si tratti di onere apparente ovvero trascritto o espressamente menzionato nell’atto di trasferimento dell’immobile al terzo, non essendo a tal fine sufficiente una clausola generica o di mero stile.

Cass. civ. n. 25357/2014

La responsabilità del venditore di un immobile affetto da irregolarità edilizia, ai sensi dell'art. 1489 cod. civ., non può essere invocata dal compratore che fosse edotto della difformità al momento dell'acquisto.

Cass. civ. n. 22343/2014

In tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, qualora il bene oggetto del contratto risulti soggetto a vincolo di inedificabilità posto da un provvedimento amministrativo di carattere generale (nella specie, vincolo idrogeologico previsto dal piano straordinario dell'Autorità di bacino nord occidentale della Regione Campania), tale vincolo, sottaciuto dal promittente venditore, rientra nel suo obbligo di garanzia ex art. 1489 cod. civ. sicché il promissario acquirente, ove emerga, alla luce di un'interpretazione dell'intero contratto condotta secondo il criterio funzionale e di buona fede e correttezza, il suo affidamento circa l'edificabilità del terreno, può richiedere la risoluzione del contratto per inadempimento del promittente venditore.

Cass. civ. n. 14324/2014

In tema di compravendita, l'evizione totale o parziale si verifica solo quando l'acquirente sia privato, in tutto o in parte, del bene alienato, mentre, nell'ipotesi in cui, inalterato il diritto nella sua estensione quantitativa, risulti inesistente la servitù attiva che il venditore abbia dichiarato nel contratto, si determina, al pari dell'ipotesi di esistenza di una servitù passiva non dichiarata, la mancanza di una "qualitas fundi", con conseguente applicazione dell'art. 1489 cod. civ., estensivamente interpretato, il quale, oltre ai rimedi sinallagmatici della risoluzione e della riduzione del prezzo, consente anche il solo risarcimento del danno.

Cass. civ. n. 8500/2013

Nella vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi, la responsabilità del venditore ai sensi dell'art. 1489 cod. civ. è esclusa tanto nel caso in cui il compratore abbia avuto effettiva conoscenza del peso gravante sulla cosa, presumendosi che egli l'abbia accettata con tale peso, quanto nel caso in cui si tratti di oneri e diritti apparenti, che risultino cioè da opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio, perché il compratore, avendo la possibilità di esaminare la cosa prima dell'acquisto, ove abbia ignorato ciò che poteva ben conoscere in quanto esteriormente visibile, deve subire le conseguenze della propria negligenza, secondo il criterio di autoresponsabilità. Ne consegue che la garanzia di cui trattasi è esclusa quando le limitazioni erano effettivamente conosciute dall'acquirente (anche solo per l'apparenza dello "jus in re aliena"), applicandosi la presunzione legale che il compratore, a conoscenza dei pesi, abbia accettato il bene con quelle limitazioni, senza che rilevi la dichiarazione del venditore della inesistenza di pesi od oneri sul bene medesimo, non operando, in tal caso, il principio dell'affidamento.

Cass. civ. n. 3464/2012

L'art. 1489 c.c., sulla vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di terzi non trova applicazione con riferimento al pagamento di oneri derivanti da procedimenti di regolarizzazione urbanistico-edilizia, dei quali il venditore abbia fatto menzione nell'atto di compravendita, trattandosi di pesi che non limitano il libero godimento del bene venduto.

Cass. civ. n. 2737/2012

I vincoli paesaggistici, inseriti nelle previsioni del piano regolatore generale, una volta approvati e pubblicati nelle forme previste hanno valore di prescrizione di ordine generale a contenuto normativo con efficacia "erga omnes", come tale assistita da una presunzione legale di conoscenza assoluta da parte dei destinatari, sicché i vincoli in tal modo imposti, a differenza di quelli inseriti con specifici provvedimenti amministrativi a carattere particolare, non possono qualificarsi come oneri non apparenti gravanti sull'immobile, secondo l'art. 1489 c.c., e non sono, conseguentemente, invocabili dal compratore come fonte di responsabilità del venditore, che non li abbia eventualmente dichiarati nel contratto.

Cass. civ. n. 24055/2008

L'evizione totale o parziale si verifica solo quando l'acquirente sia privato in tutto o in parte del bene alienato ovvero il diritto trasferito perda le sue caratteristiche qualitative o quantitative, mentre se la privazione riguardi esclusivamente limitazioni inerenti il godimento del bene o imposizioni di oneri che lascino integra l'acquisizione patrimoniale trova applicazione l'art. 1489 cod. civ riguardante i vizi della cosa venduta. (Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che la mancanza della facoltà d'uso della corte condominiale comune, come area destinata a posto macchina scoperto per i condomini, prevista espressamente nel trasferimento immobiliare, non potesse integrare l'azione di garanzia per evizione parziale).

Cass. civ. n. 4786/2007

In ipotesi di compravendita di costruzione realizzata in difformità della licenza edilizia, non è ravvisabile un vizio della cosa, non vertendosi in tema di anomalie strutturali del bene, ma trova applicazione l'art. 1489 c.c., in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa medesima, sempre che detta difformità non sia stata dichiarata nel contratto o, comunque, non sia conosciuta dal compratore al tempo dell'acquisto, ed altresì persista il potere repressivo della P.A. (adozione di sanzione pecuniaria o di ordine di demolizione), tanto da determinare deprezzamento o minore commerciabilità dell'immobile. In mancanza di tali condizioni, non è possibile riconoscere all'acquirente la facoltà di chiedere la riduzione del prezzo.

Cass. civ. n. 976/2006

L'espressa dichiarazione del venditore che il bene compravenduto è libero da oneri o diritti reali o personali di godimento esonera l'acquirente dall'onere di qualsiasi indagine, operando a suo favore il principio dell'affidamento nell'altrui dichiarazione, con l'effetto che se la dichiarazione è contraria al vero, il venditore è responsabile nei confronti della controparte tanto se i pesi sul bene erano dalla stessa facilmente conoscibili, quanto, a maggior ragione, se essi non erano apparenti.

Cass. civ. n. 21384/2005

In tema di vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi (art. 1489 c.c.) l'apparenza degli oneri e dei diritti è equiparata, ai fini dell'esclusione della responsabilità del venditore, alla conoscenza effettiva, a condizione che essa risponda a requisiti di precisione, univocità e chiarezza che possono porre l'acquirente in grado di tener conto della reale situazione dell'immobile. A tal fine per apparenza si intende la facile riconoscibilità, pertanto con riferimento a diritto personale di garanzia, è sufficiente a rendere apparente il diritto ogni indizio che lo renda facilmente conoscibile da un uomo di media diligenza. (Nella specie, relativa a vendita forzata di immobile locato, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la tutela dall'aggiudicatario in quanto l'esistenza della locazione era da questi conoscibile mediante consultazione sia della relazione di stima, sia della perizia tecnica redatta da un geometra nel corso della procedura esecutiva).

Cass. civ. n. 13496/2005

Il vincolo di (temporanea) inalienabilità di immobile di edilizia convenzionata è di carattere apparente, in quanto connaturato al bene, sicché in caso di vendita esso è conoscibile dall'acquirente anche se non dichiarato dal venditore, non trovando in tal caso applicazione l'art. 1489 c.c., che ha riguardo alla diversa ipotesi di cosa venduta gravata da oneri reali o personali non apparenti, e non è invocabile quando ad essere taciuto è un vincolo derivante da norma imperativa. (Nell'enunziare il suindicato principio la S.C. ha ritenuto infondata la doglianza del ricorrente, che lamentava l'erroneità del rigetto da parte dei giudici di merito della domanda di risoluzione del contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto la proprietà superficiaria di appartamento realizzato in regime di edilizia convenzionata, e recante clausola con la quale la promittente venditrice garantiva la libertà dell'immobile da vincoli ed oneri pregiudizievoli).

Cass. civ. n. 19812/2004

La garanzia, prevista dall'art. 1489 c.c., per gli oneri reali o personali gravanti sulla cosa venduta, è in via analogica applicabile anche al contratto preliminare di compravendita.

La presunzione assoluta di conoscenza del vincolo di inedificabilità gravante su un immobile ha efficacia erga omnes quando esso sia stato imposto dalla legge o da un atto avente portata normativa, quale il piano regolatore, nel quale il vincolo sia stato inserito. Quando invece il vincolo risulti imposto in forza di uno specifico provvedimento amministrativo, stante il carattere particolare, e non generale e normativo, dell'atto impositivo, può presumersene la conoscenza solo da parte del proprietario del bene, che, quale soggetto interessato, può venirne a conoscenza con l'ordinaria diligenza, ma non anche da parte del compratore, il quale quindi può far valere nei confronti del venditore l'obbligo di garanzia derivante dall'art. 1489 c.c.

Cass. civ. n. 7294/2003

In tema di esecuzione per espropriazione forzata, qualora l'immobile aggiudicato risulti gravato da diritti reali non apparenti né indicati negli atti della procedura, senza che l'aggiudicatario sia a conoscenza della situazione reale, deve riconoscersi a questo non il diritto a far valere la garanzia per evizione, limitata al solo diritto di proprietà, ma a far valere le garanzie di cui all'art. 1489 c.c. secondo le regole comuni, tenuto conto che tali regole incontrano una deroga nella vendita forzata solo con riguardo alla garanzia per vizi, esclusa dall'art. 2922, primo comma, c.c.

Cass. civ. n. 11867/2000

Il venditore non è tenuto a prestare la garanzia per gli oneri e i diritti di godimento dei terzi che gravano la cosa venduta, quando detti oneri e diritti, siano stati menzionati nel contratto o comunque conosciuti dall'acquirente.

Cass. civ. n. 14226/1999

Se nel contratto definitivo di compravendita il venditore abbia espressamente garantito la destinazione edificatoria del suolo compravenduto, specificando l'indice di edificabilità, il compratore, appresa l'esistenza di un vincolo urbanistico di inedificabilità che riduca la cubatura realizzabile sull'area (nella specie, parte dell'area era risultata attraversata da una strada del Piano particolareggiato), può avvalersi, essendo anche il vincolo non agevolmente riconoscibile per effetto delle asserzioni del venditore, della garanzia prevista dall'art. 1489 c.c., in materia di cosa gravata da oneri non apparenti; non ricorre, infatti, l'ipotesi del vizio redibitorio, che attiene alla materialità del bene compravenduto ed al suo modo di essere nella realtà materiale, bensì l'ipotesi di onere a favore di terzo gravante sulla res vendita, che consiste in un vincolo giuridico incidente sul godimento del proprietario e sul suo diritto.

Cass. civ. n. 2856/1995

Nella vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi la responsabilità del venditore ai sensi dell'art. 1489 c.c., è esclusa tanto nel caso in cui il compratore abbia avuto effettiva conoscenza del peso gravante sulla cosa, presumendosi che egli l'abbia accettata con tale peso, quanto nel caso in cui si tratti di oneri e diritti apparenti, che risultino cioè da opere visibili e permanenti destinate la loro esercizio, perché il compratore, avendo la possibilità di esaminare la cosa prima dell'acquisto, ove abbia ignorato ciò che poteva ben conoscere in quanto esteriormente visibile, deve subire le conseguenze della propria negligenza, secondo il criterio di autoresponsabilità. Pertanto, in tema di vendita di terreno gravato da servitù di elettrodotto, è incensurabile la decisione di merito secondo la quale la clausola con cui l'immobile viene trasferito franco e libero da pesi, così come in loco è di stile in quanto confermativa della responsabilità del venditore in relazione a quegli oneri non apparenti rilevabili solo con particolari indagini, mentre non può riferirsi a quanto risulti ictu oculi e sia a tutti visibile come la servitù di elettrodotto, sicché non è idonea a fondare alcun fondamento del compratore circa l'estensione della garanzia oltre i limiti previsti dalla legge.

Cass. civ. n. 1781/1994

La violazione, da parte del promissario alienante di un immobile, dell'obbligazione assunta col contratto preliminare di provvedere a rendere l'immobile stesso conforme alle prescrizioni di legge, ivi comprese quelle concernenti le condizioni per il rilascio del certificato di abitabilità, legittima il promissario acquirente, in applicazione analogica del disposto dell'art. 1489 c.c., a richiedere la risoluzione del detto contratto, senza che vi osti l'astratta possibilità, per quest'ultimo, di accertare presso la competente amministrazione il difetto delle prescritte autorizzazioni amministrative alla realizzazione dell'opera, in quanto essa non integra gli estremi dell'apparenza del difetto medesimo ovvero della sua concreta conoscenza o conoscibilità con l'ordinaria diligenza.

Cass. civ. n. 9147/1993

In tema di vendita, la garanzia dovuta ai sensi dell'art. 1489 c.c. nel caso in cui la cosa venduta risulti gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi non richiede che l'accertamento dell'onere promani necessariamente da una pronuncia giudiziale resa fra il terzo ed il compratore, potendosi ritenere certa l'esistenza del diritto del terzo (nella specie: diritto di affittanza agraria) qualora tale esistenza sia stata pacificamente ammessa dal venditore.

Cass. civ. n. 1469/1993

Le prescrizioni del piano regolatore generale, una volta approvate e pubblicate nelle forme previste, hanno valore di prescrizione di ordine generale di contenuto normativo, come tali assistite da una presunzione legale di conoscenza da parte dei destinatari. I vincoli da essi imposti non possono pertanto qualificarsi come oneri non apparenti gravanti sull'immobile secondo la previsione dell'art. 1489 c.c. e non sono, conseguentemente, invocabili dal compratore come fonte di responsabilità del venditore che non li abbia dichiarati nel contratto.

Cass. civ. n. 7639/1991

I limiti alle facoltà dei privati proprietari di immobili ed i vincoli di destinazione strumentali alla successiva (eventuale) espropriazione derivanti dalle prescrizioni di un piano regolatore approvato e pubblicato non sono riconducibili fra gli oneri non apparenti che, ove non dichiarati, non legittimano l'acquirente che non ne abbia avuto conoscenza a domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo, in quanto la pubblicità sia dei piani regolatori che dei relativi vincoli è disciplinata con l'imposizione di una serie di formalità proprie degli atti normativi e la loro conoscibilità erga omnes è presunta come quella di detti atti.

Cass. civ. n. 10525/1990

In tema di vendita di cosa gravata da oneri o diritti reali o personali di godimento a favore di terzi l'apparenza degli oneri e dei diritti è equiparata ai fini dell'esclusione della responsabilità del venditore alla loro conoscenza effettiva da parte dell'acquirente. Ne consegue che ove il peso gravante sul fondo acquistato sia una servitù è sufficiente ad escludere la garanzia ex art. 1489 c.c. che la servitù sia apparente, nel senso in cui l'apparenza è richiesta come requisito per l'acquisizione della servitù per usucapione e per destinazione del padre di famiglia.

Cass. civ. n. 881/1987

A norma dell'art. 1489 cod. civ., i pesi gravanti sul fondo venduto, se non dichiarati in contratto, non costituiscono causa di risoluzione, o di riduzione del prezzo, a favore del compratore, soltanto nel caso in cui siano «apparenti» o comunque conosciuti dal compratore stesso. E anche se il concetto di «apparenza» deve essere inteso non nel senso di percepibilità di tali pesi a prima vista, bensì di conoscibilità degli stessi con la diligenza normale rapportabile all'affare, non può ritenersi che tale diligenza debba estendersi fino al punto di imporre ricerche presso la P.A. in ordine ad atti di questa non generali, ma diretti al solo venditore, come nel caso di vincoli sul bene risultanti da «atti d'obbligo» sottoscritti da quest'ultimo nei confronti del sindaco del comune dove sorge la costruzione.

Cass. civ. n. 5287/1983

In tema di vendita, la garanzia prevista dall'art. 1489 c.c. concerne gli oneri e i diritti dei terzi che, non essendo apparenti, non siano stati dichiarati nel contratto, salvo che il compratore ne abbia avuto conoscenza. Ad essa non può quindi sottrarsi il venditore per il solo fatto che l'esistenza dei suddetti oneri o diritti, da lui taciuta, sia stata resa pubblica a mezzo della trascrizione, a meno che egli non provi che il compratore ne abbia, avuto l'effettiva conoscenza.

Cass. civ. n. 3433/1982

L'actio quanti minoris esperita dal compratore di un fondo, per essere lo stesso parzialmente occupato da un terzo sulla base di un contratto di affitto, va ricondotta nell'ambito dell'art. 1489 cod. civ., e non dell'evizione parziale, in quanto questa incide sulla quantità del diritto trasferito, che, per la parte evitta, non si acquista, mentre la dedotta presenza del terzo restringe soltanto il libero godimento del bene.

Cass. civ. n. 2349/1976

Per l'applicabilità dell'art. 1489 c.c., non è sufficiente rilevare che la cosa compravenduta sia, in conseguenza di oneri o diritti non apparenti, insuscettibile di tutte le possibili forme di utilizzazione che la sua consistenza materiale astrattamente consentirebbe, ma occorre accertare che le limitazioni al libero godimento concernano quelle utilità che corrispondono alla funzione economico-sociale della cosa stessa secondo l'individuazione fattane, esplicitamente od implicitamente, dalle parti contraenti nel determinare l'oggetto, in senso giuridico ed economico (non già come dato meramente fisico), del contratto. La motivazione della sentenza che accoglie l'azione quanti minoris, per rilevate limitazioni al godimento della cosa compravenduta, è viziata se non contenga detto accertamento.

Cass. civ. n. 220/1976

L'art. 1489 c.c. si limita a stabilire il contenuto della garanzia dovuta dal venditore per l'esistenza sulla cosa venduta di diritti reali che ne limitano il godimento, ma non stabilisce, altresì, a carico dello stesso venditore ed a favore del compratore, l'obbligo di accertare l'effettiva esistenza di tali diritti. Tale accertamento il venditore può, peraltro, compiere nel suo interesse, ed anche delegarlo ad un terzo, il quale sarà, in tal caso, responsabile nei suoi confronti, secondo le regole del contratto di prestazione d'opera intellettuale, per il mancato o l'erroneo compimento delle necessarie indagini. Queste ultime possono essere, infine, demandate dal venditore allo stesso compratore il quale, se le esegue in modo erroneo, incorre in autoresponsabilità, e pertanto, deve sopportare le conseguenze del proprio negligente comportamento, senza poter addossare al venditore medesimo i danni derivatigli dall'esistenza del diritto speciale sulla cosa acquistata, come, di regola, avrebbe potuto fare, in forza della garanzia dovutagli ai sensi della citata norma. Il patto di conferimento al compratore dell'incarico di eseguire le indagini necessarie ad accertare l'esistenza di diritti reali speciali su di un immobile, oggetto della compravendita, non concernendo il trasferimento di un bene immobile, ma traendo da questo soltanto occasione, non richiede l'atto scritto ad substantiam o ad probationem e può essere, quindi, provato, anche a mezzo di prova orale.

Cass. civ. n. 3504/1975

Qualora l'immobile venduto risulti costruito in violazione delle limitazioni legali della proprietà, la pretesa del proprietario del fondo contiguo, diretta ad ottenere il rispetto di tali limitazioni, va ricondotta all'ipotesi dell'evizione parziale (art. 1484 c.c.), se dall'accoglimento della pretesa derivi la parziale perdita, per demolizione, dell'immobile venduto, ovvero all'ipotesi della garanzia ex art. 1489 c.c. la quale concerne non soltanto l'aggravio della cosa con oneri o con diritti personali o reali di terzi, ma altresì la soggezione dell'acquirente alla potestà del terzo di eliminare la situazione illegale quando all'accoglimento della pretesa consegua una restrizione nel godimento dell'immobile, salva la sua identità strutturale.

Cass. civ. n. 2947/1975

Nell'ipotesi di vendita di cosa gravata da oneri o da diritti apparenti del terzo, spetta al compratore, che agisca per evizione cosiddetta qualitativa — art. 1489 c.c. — l'onere di provare la propria ignoranza incolpevole.

Cass. civ. n. 1479/1975

Per l'applicazione dell'art. 1489 c.c. non è sufficiente la pura e semplice constatazione dell'esistenza di oneri o di diritti altrui sulla loro natura, in quanto la norma anzidetta riconosce al compratore il diritto di domandare la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo solo se si tratta di oneri o di diritti che si risolvono in una limitazione del libero godimento della cosa o, quantomeno, in una diminuzione del suo valore, e, in tal caso, non richiede, perché la garanzia operi, l'iniziativa concreta ed attuale del terzo. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto correttamente ispirato al principio di cui in massima, la decisione impugnata, di rigetto della domanda di risoluzione della vendita di un appartamento costruito senza licenza edilizia, in base al rilievo che, trattandosi di costruzione non in contrasto con le prescrizioni del regolamento edilizio ed essendo rimasta inerte l'amministrazione comunale per quattordici anni, la mera eventualità di un diverso atteggiamento futuro della medesima amministrazione non integrava gli estremi voluti dall'art. 1489 c.c.).

Cass. civ. n. 3436/1974

La presenza di uno stato di fatto idoneo — pur in mancanza di altro titolo formale — a suffragare l'acquisto per usucapione di una servitù attivamente inerente all'immobile compravenduto fa sì che, ove la ipotizzabilità dell'usucapione non debba essere ragionevolmente scartata per ragioni di specie (quale la mancanza del tempo utile all'usucapione, per essere stato il fabbricato costruito da tempo inferiore a quello necessario per usucapire), la garanzia del venditore comprende anche l'esistenza del corrispondente diritto in re aliena. L'azione in garanzia, tanto nel caso dell'art. 1489 c.c., che in quello dell'evizione vera e propria, presuppone non la sola esistenza del diritto del terzo, ma l'esercizio e l'accertamento positivo di esso; di talché non può dirsi prescritto il diritto del compratore che agisca in garanzia verso il suo venditore non appena il terzo lo abbia convenuto in giudizio per sentire affermare il proprio poziore diritto sulla res vendita, non potendosi il diritto prescrivere anteriormente alla sua azionabilità.

Cass. civ. n. 3196/1973

La garanzia per evizione (artt. 1483, 1484 c.c.) e quella per l'esistenza di oneri o diritti reali o personali di terzi sulla cosa venduta (art. 1489 c.c.), si differenziano, oltre che per i distinti presupposti su cui si fondano, anche per la diversa disciplina delle relative azioni: invero, nel caso di evizione totale o parziale la responsabilità del venditore non è esclusa dal semplice fatto che al compratore fosse nota l'esistenza del diritto del terzo sulla cosa ed il conseguente pericolo di evizione e sussiste sempre per il venditore — salvo il caso di vendita convenuta a rischio e pericolo del compratore (art. 1488 c.c.) — l'obbligo di restituire il prezzo pagato e di rimborsare le spese, anche se sia stata pattuita l'esclusione dalla garanzia; nell'ipotesi prevista dall'art. 1489 c.c., invece, l'esperibilità dell'azione subordinata alla condizione che la denunciata limitazione qualitativa del diritto acquistato derivi dall'esistenza di diritti od oneri non apparenti o non dichiarati nel contratto e non altrimenti noti al compratore.

Cass. civ. n. 2440/1970

La garanzia prevista dall'art. 1489 c.c. (cosa gravata da oneri o da diritti di godimento dei terzi) tutela l'acquirente di buona fede per il caso che il diritto acquistato non sia esercitabile interamente per il concorso, a favore di terzi, di un jus re aliena, ma non incide sulla efficacia dell'acquisto; essa, sotto tale aspetto, differisce sia dalla garanzia dovuta per l'evizione totale, sia da quella dovuta per l'evizione parziale, le quali incidono sull'efficacia dell'acquisto, che viene negata in radice nel caso dell'evizione totale, mentre nel secondo caso l'acquisto viene ritenuto valido solo parzialmente. La conoscenza, da parte del compratore, del pericolo dell'evizione, non vale ad escludere l'esercizio della garanzia, ove l'evizione si verifichi dopo la vendita.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1489 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. R. F. chiede
mercoledì 22/05/2024
“Buongiorno, io abito in un condominio la cui costruzione è stata completata nel 27/06/2022. Sembrerebbe, ma al presente non lo sappiamo con certezza, perché il perito deve ancora finire lo studio su tale parcheggio, che l’interrato ad uso parcheggio richiedesse la presentazione di una SCIA al Comando dei Vigili del Fuoco, che al presente il condominio non ha.
Se effettivamente risultasse così, noi condomini dovremmo chiedere i danni al costruttore. Le mie due domande sono le seguenti:
1) La mancanza della SCIA comporta l’impossibilità di poter utilizzare il parcheggio interrato, pertanto questo è un danno di grande entità. Però questo danno rientra nella casistica dell’art. 1669 c.c. e perciò si prescrive in 10 anni o degli articoli 1667 e 1668 c.c. e perciò si prescrive in due anni?
2) L’immobile è stato completato il 27/06/2022 con la presentazione della fine lavori al Comune. Ma gli appartamenti sono stati acquistati dai vari condomini: uno in data 05/07/2022, uno in data 20/07/2022 e l’ultimo in data 04/08/2022. Da quale di queste quattro date inizia e decorrere la prescrizione per la garanzia sull’immobile? E' probabilmente il 04/08/2022 per effetto dell’art. 1310 c.c.?

Si richiede cortesemente una risposta corredata da riferimenti normativi ed orientamenti giurisprudenziali, possibilmente di legittimità.”
Consulenza legale i 31/05/2024
La normativa applicabile al caso di specie è quella riguardante la vendita immobiliare e non l’appalto.
Infatti, la figura del venditore e dell’appaltatore coincidono.
Gli immobili sono stati venduti senza che siano state eseguite le pratiche amministrative VV. FF. necessarie per regolarizzare il parcheggio interrato.
La fattispecie sembra rientrare in un caso di vendita immobiliare gravata da oneri ai sensi dell’art. 1489 del c.c..
Infatti, la giurisprudenza ha ritenuto che la compravendita di un immobile che presenti una difformità edilizia rientri nella fattispecie di immobile gravato da oneri (Cass. civ. n. 4786/2007, Cass. civ. n. 11218/1991).
L’articolo in oggetto garantisce al compratore la possibilità di chiedere in alternativa e, in ogni caso, il risarcimento del danno.

La risoluzione del contratto è ottenibile quando le difformità siano gravi a tal punto da compromettere la commerciabilità e l’utilizzo del bene immobile. L’analisi verrà quindi svolta in concreto dal giudice.
Si tenga presente che, trattandosi di difformità inerenti solo al parcheggio e non al resto dell’immobile, è dubbia la possibilità che il Giudice ritenga l’inadempimento tale da giustificare la risoluzione dell'intero contratto di compravendita.
Qualora la situazione non sia però sanabile si può ipotizzare che venga riconosciuto il diritto alla riduzione del prezzo e, in ogni caso, al risarcimento dei danni.

Per quanto riguarda il termine da cui inizia a decorrere la prescrizione, si segnala che l’art. 1310 del c.c. non si applica.
Infatti, nel caso in esame, i condomini hanno acquistato la proprietà esclusiva dell’immobile e una quota del parcheggio, parte comune, in proporzione ai propri millesimi di proprietà.
Si ritiene quindi che ciascun condomino abbia la legittimazione ad agire direttamente nei confronti del venditore/appaltatore - avendo con questo soggetto instaurato un rapporto contrattuale - per ottenere le tutele già indicate.
Inoltre la solidarietà attiva non si presume dovendo risultare dalla legge o dalla volontà delle parti.

Si consiglia, in conclusione, di rivolgersi celermente ad un legale in modo che possa analizzare tutta la documentazione e valutare come intervenire per tutelare i singoli proprietari.

E. R. chiede
giovedì 19/10/2023
“Buon pomeriggio ecco la domanda:
se dopo la sottoscrizione e accettazione da parte del PROPONENTE E VENDITORE della compravendita di un'abitazione tramite agenzia immobiliare, si dovesse verificare la non conformità tra lo stato dei luoghi e la pianta catastale (sicuramente) e, se esistente, anche la difformità con la pianta urbanistico-edilizia, cosa succede di quella proposta di acquisto immobiliare?
Il PROPONENTE l'acquisto può rivalersi su VENDIOTORE E/O AGENZIA?
Se la risposta è affermativa in che modo e per quale somma?”
Consulenza legale i 27/10/2023
Nel presente quesito sembra che l’immobile proposto in vendita presenti della difformità catastali e forse anche delle difformità urbanistiche anche se non si sa di che tipo e di quale entità.
Per le prime si suppone che l’immobile sia stato visionato e scelto in base allo stato dei luoghi.
Il fatto che la mappa catastale presenti delle differenze può dipendere da svariati motivi, come ad esempio un mancato aggiornamento del catasto dopo l’ultima ristrutturazione.
Questo fatto di per sé non rende incommerciabile il bene immobile e può essere facilmente corretto da parte di un tecnico prima della compravendita.

Diversa è la questione se sono presenti difformità urbanistiche che costituiscono abusi edilizi.

Si esaminano le disposizioni di legge sul contratto di compravendita in caso di difformità edilizie.

Il Codice civile, in relazione al contratto di compravendita, garantisce il compratore con tre forme di garanzie differenti: a) per evizione; b) per mancanza di qualità; c) se l’immobile è gravato da oneri o da diritti reali o personali non apparenti.

La giurisprudenza ha ritenuto che la compravendita di un immobile che presenti una difformità edilizia rientri nella fattispecie di immobile gravato da oneri (Cass. civ. n. 4786/2007, Cass. civ. n. 11218/1991) come stabilito dall’art. 1489 c.c.
L’articolo in oggetto garantisce al compratore la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto, la riduzione del prezzo e il risarcimento del danno.
Il medesimo articolo si applica per analogia anche in caso di preliminare di compravendita (ex plurimis Cass. civ. n. 21681/2014, 19812/2004).
Si ritiene quindi che il medesimo principio si debba applicare anche nel caso in cui sia stata accettata la proposta di acquisto e che il promissario acquirente abbia questi stessi rimedi per tutelarsi e potersi svincolare dalla proposta formulata.

È prima di tutto però necessario rivolgersi ad un tecnico per verificare la gravità delle difformità e l’eventuale sanabilità dell’abuso prima che il bene venga venduto.

Infatti il bene immobile non può essere venduto, a pena di nullità del contratto, in caso in cui manchi del tutto il permesso di costruire o la concessione edilizia.
L’atto di compravendita di un immobile è invece valido quando sono presenti gli estremi del permesso di costruire, indipendentemente dalla conformità o difformità della costruzione rispetto al titolo originario (Cass. civ. n. 8230/2019).

Nel caso però in cui le difformità siano di lieve entità e siano sanabili, le parti potranno accordarsi in sede di preliminare affinché il promittente alienante si assuma l’onere di pagare tutte le spese necessarie per sanare l’abuso edilizio prima della stipula del definitivo e tenga indenne il promissario acquirente da eventuali costi o sanzioni amministrative.

In questo caso il promissario acquirente, non potrà quindi avvalersi della garanzia prevista dalla legge e non potrà ritirare la propria proposta.

Lo potrà fare solo nel caso in cui le difformità siano di gravità tale da non poter essere facilmente sanabili e da rendere il bene completamente difforme rispetto al titolo edilizio.

Il promissario acquirente quindi, in conclusione, ha una tutela giuridica nei confronti del promittente venditore da cui potrà pretendere, in caso di impossibilità a procedere con la compravendita, la restituzione di quanto versato unitamente alla proposta ed eventualmente il risarcimento dei danni.

L’Agenzia invece non ha responsabilità nei confronti del proponente a meno che si riesca a provare che era informata dell’esistenza degli abusi e ne ha taciuto l’esistenza.


C. L. chiede
mercoledì 27/09/2023
“Buongiorno,
a Dicembre 2019 ho acquistato casa dove abito che comprende appartamento (cat. A3) al secondo piano ed una soffitta allo stato rustico (cat. C2) al terzo piano non collegate tra loro. Purtroppo al tempo ho fatto l’errore di affidarmi alle personalità che avevo intorno (ex proprietario, agenzia immobiliare, notaio, perito della banca per mutuo) e non ho incaricato un tecnico per certificare la conformità urbanistica. Quest’anno scopro, in occasione di ristrutturazioni che volevo effettuare, che l’immobile presenta non poche criticità:
1) in seguito a richiesta di accesso agli atti, l’ufficio per l’edilizia del comune risponde che è smarrita copia del titolo edilizio legittimo menzionato sull’atto notarile (sospetto una sottrazione mirata del fascicolo). Esiste invece copia di CILA (menzionata anche nell’atto notarile) per lavori interni al secondo e terzo piano, presentata un mese prima della compravendita e la sospensione della stessa per inefficaca emessa dal comune per mancanza di titolo legittimante (appunto il fascicolo smarrito indicato prima) notificata all’ex proprietaria e tecnico asseverante 7 gg prima dell’atto notarile
2) da una ricostruzione storica in base ai documenti presenti al catasto (che so non essere probatori ma indicativi) si evince che la soffitta al terzo piano era formata da un vano di 21 mq e 32 mq di terrazzo scoperto di pertinenza e che qualche mese prima della compravendita è stata fatta una variazione catastale (per variazione-ampliamento) chiudendo anche la terrazza scoperta avendo così una soffitta di due vani. Tale variazione catastale non riporta nessun riferimento a permesso a costruire da parte del comune (che sicuramente non è stato chiesto).
A questo punto è chiaro che: gli immobili che ho acquistato presentavano al terzo piano abusi edilizi. La proprietaria cosciente che il comune non possedeva fascicolo dei titolo originario di costruzione ha operato in malafede avendo come obiettivo la vendita. In particolare: a 05/2019 comunica variazioni catastali non avallate da nessun permesso a costruire del comune in modo da ottenere la conformità catastale (obbligatoria al momento dell’atto notarile); a 11/2019 comunica una CILA per lavori interni al secondo e terzo piano (del tutto falsi e mai realizzati) forse per mostrare al notaio una “pezza giustificativa” alle variazioni catastali precedenti; a 12/2019 la CILA viene sospesa non consegnando mai i documenti richiesti e mai chiusa; il 19/12 riesce a fare rogito notarile con me e vendere l’immobile.
Le mie domande sono:
- come posso far valere in giudizio i miei diritti? E’ corretto/possibile proporre al comune una SCIA per accertamento di conformità chiedendo che l’onere venga posto a carico del responsabile dell’abuso (ex proprietario)?
- che responsabilità potrebbe avere il tecnico asseverante data l’evidente sua malafede nelle pratiche presentate?

Grazie”
Consulenza legale i 11/10/2023
In merito alla domanda concernente la possibilità di chiedere al Comune di porre l’onere di versare la sanzione dovuta l’accertamento di conformità in relazione agli abusi edilizi riscontrati, si nota che la risposta è negativa, con le precisazioni che seguono.
L’accertamento di conformità è la procedura prevista dal Testo Unico Edilizia per ottenere la sanatoria degli abusi, in presenza dei seguenti presupposti:
  1. doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistico-edilizia vigente al momento della realizzazione dell’abuso e al momento della presentazione della istanza;
  2. versamento di una somma a titolo di oblazione pari contributo di costruzione in misura doppia.
I soggetti legittimati a proporre tale domanda sono il responsabile dell'abuso o l'attuale proprietario dell'immobile (art. 36 del T.U. edilizia).
Il Comune non si interessa della ripartizione delle responsabilità tra tali soggetti, né dei loro rapporti interni di tipo privatistico, con la conseguenza che chi presenta l’istanza di accertamento di conformità è anche onerato del versamento dell’oblazione (oltre a potersi giovare dell’eventuale provvedimento favorevole).
Pertanto, non sembra possibile chiedere alla P.A. di svolgere l’istruttoria sull’accertamento di conformità indicando un terzo, estraneo al procedimento, quale obbligato al pagamento dell’oblazione (soprattutto considerato il rischio che tale soggetto non paghi spontaneamente).
Tale voce di spesa che il compratore si vede costretto ad anticipare, comunque, può essere in astratto aggiunta alle voci di danno da addebitare al venditore nell’ambito delle azioni civilistiche descritte nei paragrafi che seguono.

Quanto ai restanti quesiti, nel caso di specie non sono di semplice individuazione le responsabilità civilistiche dei diversi soggetti.
Si rilevano di seguito i possibili profili di responsabilità da fare valutare dopo attenta analisi dello stato dei luoghi e della documentazione, da un legale di fiducia.
Sembra, infatti, che prima della vendita dell’immobile siano stati effettuati dei lavori che non sono stati dichiarati al Comune e che risultano quindi abusivi sebbene da un punto di vista catastale lo stato di fatto e la planimetria siano conformi.
In linea di principio, in caso di abusi edilizi sottaciuti e non conoscibili da parte dell’acquirente, il compratore è tutelato dalla garanzia prevista dall’art. 1489 del c.c..
Infatti la giurisprudenza ha ritenuto che la compravendita di un immobile che presenti una difformità edilizia rientri nella fattispecie di immobile gravato da oneri (Cass. civ. n. 4786/2007, Cass. civ. n. 11218/1991).
L’articolo in oggetto garantisce al compratore la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto, la riduzione del prezzo e il risarcimento del danno.
La risoluzione del contratto è sostenibile quando le difformità siano gravi a tal punto da compromettere la commerciabilità e l’utilizzo del bene immobile. L’analisi verrà quindi svolta in concreto dal giudice.
L’acquirente sembra trovarsi in una sfortunata situazione in cui la documentazione formale necessaria per il rogito risulta corretta.
Il Notaio, quindi, non pare avere compiuto inesattezze avendo recepito la dichiarazione di conformità fatta dal venditore.
Nemmeno sembra che si possa ipotizzare una responsabilità del tecnico che ha presentato la CILA se non eventualmente per non avere visionato l’esistenza del permesso di costruire dei lavori effettuati in precedenza.
In tal caso la responsabilità del tecnico rileverà nel rapporto contrattuale che ha instaurato con il venditore e nei confronti dell’acquirente per avergli causato un danno per colpa o dolo ai sensi dell’art. 2043 del c.c..
Sembra, infine, che nessuno dei soggetti interessati possa essere ritenuto responsabile per la mancanza del titolo edilizio di costruzione negli archivi comunali, a meno che risulti un dolo da parte del venditore o di qualche suo incaricato.
Si ritiene, in conclusione, che l’unico che possa rispondere ai sensi dell’art. 1489 c.c. nei confronti del compratore sia quindi il venditore, il quale, a meno di gravità tali da giustificare la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, dovrà sicuramente rispondere per i danni causati all’acquirente per gli abusivi edilizi non dichiarati in sede di rogito.


A. F. chiede
giovedì 01/12/2022 - Campania
“Gent.le redazione Brocardi,
Ho già usufruito dei vostri servizi e mi ritrovo con un altro dubbio.
Sono in procinto di vendere un immobile sul quale è presente un muro di sostegno (quindi esterno all’abitazione) difforme rispetto al titolo edilizio concesso per la sua costruzione. La difformità consiste nella sua posizione traslata rispetto al progetto presentato che ha causato di conseguenza nuova volumetria esterna non dichiarata.
Ho presentato SCIA per la sanatoria ma questa è stata rigettata e sono stata intimata intimata di ripristinare il muro così come dichiarato sulla concessione edilizia originaria.
Il promissario acquirente, edotto di tutta la situazione, ha deciso ugualmente di proseguire nell’acquisto assumendo tutta la responsabilità e le spese per il ripristino della costruzione.
In tale circostanza è possibile proseguire ugualmente con la firma del compromesso e del successivo atto notarile di compravendita? È possibile indicare tutto sul compromesso ed essere quindi tutelata sia nei confronti del comune che potrebbe un domani chiedermi il ripristino del muro che nei confronti dell’acquirente che può chiedermi i danni? Se il tutto viene indicato sul compromesso posso considerarmi tutelata al 100%?
Grazie”
Consulenza legale i 11/12/2022
Il quesito proposto riguarda la compravendita di un immobile che presenta delle difformità edilizie rispetto a quanto presente sulla concessione edilizia rilasciata al momento della costruzione.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha stabilito che è valido l’atto di compravendita di un immobile quando sono presenti gli estremi del permesso di costruire, indipendentemente dalla conformità o difformità della costruzione rispetto al titolo originario (Cass. civ. n. 8230/2019).

Il Codice civile, in relazione al contratto di compravendita, garantisce il compratore con tre forme di garanzie differenti: a) per evizione; b) per vizi e mancanza di qualità; c) se l’immobile è gravato da oneri o da diritti reali o personali non apparenti.

La giurisprudenza ha ritenuto che la compravendita di un immobile che presenti una difformità edilizia rientri nella fattispecie di immobile gravato da oneri (Cass. civ. n. 4786/2007, Cass. civ. n. 11218/1991) come stabilito dall’art. 1489 c.c.
Il medesimo articolo si applica per analogia anche in caso di preliminare di compravendita (ex plurimis Cass. civ. n. 21681/2014, 19812/2004).

L’articolo in oggetto garantisce al compratore la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto, la riduzione del prezzo e il risarcimento del danno.
La garanzia è esclusa quando il compratore abbia avuto conoscenza del peso gravante sulla cosa o che gli oneri o i diritti siano apparenti e risultino da opere visibili e permanenti (Cass. civ. n. 2856/1995).

Nel caso di specie, l’atto di compravendita potrà essere validamente concluso perché esiste un titolo di concessione per la costruzione dell’immobile.

Per quanto riguarda la difformità edilizia rispetto al titolo, risulta che il promissario acquirente sia stato informato della situazione e che l’abbia accettata, dichiarando anche la propria volontà di voler ripristinare la costruzione in conformità con la concessione edilizia.
In questo caso, quindi, la garanzia non si attiva e l’acquirente non potrà chiedere al venditore la risoluzione o alcuna riduzione del prezzo (Cass. civ. n. 25357/2014).
Si consiglia di dichiarare nel preliminare di compravendita, e nel successivo atto definitivo, il fatto che il compratore, informato della difformità edilizia, abbia accettato l’immobile nello stato di fatto in cui si trova e si impegni a ripristinarlo secondo il titolo di concessione originario.

Da un punto di vista civilistico, quindi, il venditore sarà al riparo da eventuali pretese da parte dell’acquirente.

Nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, invece, la situazione è più complessa.
Il committente dei lavori (si suppone che nel caso di specie corrisponda al proprietario venditore), infatti, rimane responsabile per la difformità edilizia ai sensi del art. 29 del T.U. edilizia.
L’acquirente, reso edotto della problematica, sarà responsabile in solido con il venditore (Cons. Stato n. 4134/2021).
Il venditore potrebbe però far inserire nel contratto di compravendita (o in una scrittura privata a latere) la manleva da parte del compratore per eventuali sanzioni pecuniarie erogate dall’Ente pubblico.
Si tenga presente, però, che questo accordo tra i privati ha efficacia solo tra le parti e non libera il venditore dalla responsabilità per la difformità edilizia nei confronti della Pubblica Amministrazione che potrà in ogni caso erogare la sanzione pecuniaria nei suoi confronti.


A. F. chiede
domenica 16/10/2022 - Campania
“Salve,
Sono in procinto ci mettere in vendita la mia abitazione. A tale scopo, prima di procedere con la messa in vendita, devo eliminare una piccola piscina in muratura presente in giardino in quanto costruita senza alcun titolo edilizio.
Per eliminarla vorrei riempirla totalmente di terreno così da impedirne l’utilizzo senza però demolirla in quanto anche la demolizione ha un costo davvero elevato. Ovviamente spiegherei ai potenziali acquirenti che in giardino era presente una piscina ma che ho preso la decisione di ricoprirla in quanto non dichiarata.

Se l’acquirente edotto della situazione accettasse ugualmente l’acquisto (ovviamente in un acquisto senza necessità di una perizia della banca per il rilascio di un mutuo), può considerarsi una soluzione al problema? Sarei totalmente sollevato da ogni responsabilità?

Se l’acquirente decidesse poi di ripristinarla, quali tipi di conseguenze rischierei?
Come posso tutelarmi al meglio?
Grazie”
Consulenza legale i 26/10/2022
Una risposta esaustiva al quesito necessita la distinzione tra il profilo pubblicistico dell'abuso edilizio da quello dei rapporti tra privati.
Entrambi, infatti, se non ponderati attentamente nei loro possibili sviluppi, possono dare luogo a conseguenze pregiudizievoli.

Per quanto riguarda l'aspetto pubblicistico, si nota che un intervento edilizio come quello descritto, visto il suo impatto sull'ambiente circostante, potrebbe ben rientrare tra gli abusi puniti non solo con sanzioni pecuniarie, ma anche con la rimessione in pristino.
La rimozione dell'abuso, però, per potersi dire tale deve comportare l'effettiva eliminazione di tutto quanto costruito. Tanto non può dirsi per i lavori che si intendono realizzare oggi di copertura della piscina, lasciando però intatti i manufatti sottostanti.
Un intervento di questo tipo, dunque, non può a rigore considerarsi idoneo a escludere che il Comune contesti, in futuro, la responsabilità per l'abuso compiuto.
Per quanto riguarda, invece, gli eventi successivi al passaggio di proprietà, si nota che il Testo Unico Edilizia specifica che possono essere chiamati a compiere la demolizione sia - ovviamente - il responsabile dell'abuso, sia il proprietario incolpevole, in quanto soggetto che si trova nella materiale disponibilità del bene.
La normativa, però, non si interessa delle conseguenze "interne" tra i vari corresponsabili, avendo come obiettivo principale solo quello di eliminare le conseguenze della realizzazione di interventi non autorizzati.
Posto che la soluzione più corretta rimane sempre quella di sanare o eliminare le opere, potrebbe essere opportuno valutare di specificare una pattuizione con l'altro contraente che suddivida le spese di una eventuale demolizione dell'opera, fermo restando che essa non potrà essere opposta al Comune, ma regolerà solo i rapporti interni tra venditore e compratore.

Riguardo a questi ultimi, la situazione descritta nel quesito può essere inquadrata - ad avviso di chi scrive - nella fattispecie prevista dall’art. 1489 del c.c., ai sensi del quale “se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati nel contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo”. Infatti tra gli “oneri” che diminuiscono il libero godimento della cosa si è soliti ricondurre anche le irregolarità giuridiche: consistenti, in questo caso, nel fatto che, nel terreno su cui sorge l’immobile che costituisce, propriamente, l’oggetto della vendita, si trova un manufatto realizzato in assenza di titolo edilizio; ove venisse ricoperto all’insaputa dell’acquirente si configurerebbe appunto un onere “non apparente” (se invece oggetto della compravendita fosse il manufatto totalmente abusivo, ovvero realizzato in assenza di titolo edilizio, si avrebbe nullità del contratto).
Come ha chiarito la Corte di Cassazione (Sez. II Civ., sentenza 28/11/2014, n. 25357), “la responsabilità del venditore di un immobile affetto da irregolarità edilizia, ai sensi dell'art. 1489 cod. civ., non può essere invocata dal compratore che fosse edotto della difformità al momento dell'acquisto”.
Sul punto, anche riguardo al profilo della “non apparenza”, si veda anche Cass. Civ., Sez. II, sentenza 04/01/2018, n. 57: “nella vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi, la responsabilità del venditore ex art. 1489 c.c. è esclusa, tanto nel caso in cui il compratore abbia avuto effettiva conoscenza del peso gravante sulla cosa, presumendosi che egli l'abbia accettata con tale peso, quanto nel caso in cui si tratti di oneri e diritti apparenti, che risultino cioè da opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio, senza che rilevi la dichiarazione del venditore della inesistenza di pesi od oneri sul bene medesimo, non operando, in tal caso, il principio dell'affidamento giacché il compratore, avendo la possibilità di esaminare la cosa prima dell'acquisto, ove abbia ignorato ciò che poteva ben conoscere in quanto esteriormente visibile, deve subire le conseguenze della propria negligenza, secondo il criterio di autoresponsabilità”.
Riassumendo, da quanto sopra si evince che ricoprire la piscina senza informare l’acquirente della sua esistenza esporrebbe il venditore alle conseguenze previste dal cit. art. 1489 c.c. (risoluzione del contratto o riduzione del prezzo), oltre al risarcimento del danno.
Viceversa, l’acquirente che fosse preventivamente informato dell’esistenza della piscina “sotterrata” non potrebbe far valere nei confronti del venditore i rimedi previsti dalla norma in esame (anche se, così facendo, si metterebbe al corrente un altro soggetto dell’esistenza di una situazione illegittima dal punto di vista edilizio).
Certamente, però, al di fuori della spontanea demolizione del manufatto (o di una sua sanatoria, ammesso che questa sia possibile), non vi è una soluzione che possa garantire a priori che il venditore sia totalmente “sollevato da ogni responsabilità”, quanto meno non da quelle di natura amministrativa, come evidenziato nella prima parte del presente parere. Pertanto, anche se più costosa, la rimozione dell’abuso rimane la via maggiormente consigliabile per risolvere il problema, proprio al fine di scongiurare possibili ulteriori spese e sanzioni in futuro.

D. A. chiede
domenica 09/10/2022 - Sicilia
“Buongiorno. Un mese fa abbiamo venduto un garage con inquilino dentro. L'acquirente sapeva che era affittata, ma voleva il garage a tutti i costi, dicendo che se la sarebbe sbrigata lui con l'inquilino. Noi all'affittuario, prima della vendita, abbiamo fatto firmare una scrittura privata dove si diceva che l' affittuario liberava l'immobile con rilascio immediato e con essa abbiamo disdetto l'affitto all'agenzia delle entrate.
A voce l' affittuario chiedeva qualche mese di tempo per trovare altra sistemazione con l'accordo dell'acquirente.
Abbiamo anche delle chat che testimoniano l' accordo dell'acquirente.

Sull'atto di vendita non è stato dichiarato nulla dell'inquilino, ma è stata messa solo una dicitura che recitava "La Signora ...., assumendone piena responsabilità anche per tutti i casi di evizione e molestia, vende al Signor ..... , il quale compra la piena proprietà di un unità immobiliare....."


Volevo sapere se con questa frase e soprattutto con la parola "molestia" l'acquirente possa citarmi in giudizio per danni, qualora l' inquilino perdesse più tempo ad andarsene.”
Consulenza legale i 17/10/2022
La vicenda riguarda la stipula di un contratto di compravendita di un box, già oggetto di un contratto di locazione stipulato dal venditore con un soggetto terzo.
Al momento della conclusione del contratto definitivo di compravendita, il contratto di locazione era già stato risolto con comunicazione di disdetta anche all’Agenzia delle Entrate.
L’elemento controverso riguarda il mancato e immediato rilascio da parte del conduttore del box, diversamente da come dichiarato con la scrittura privata sottoscritta dalle parti e inviata all’Agenzia delle Entrate.
La norma di riferimento per casi come quello presentato è l’art. 1489 del c.c., che stabilisce una garanzia speciale per il compratore nel caso in cui la cosa venduta sia gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi.
La garanzia interviene quando tali diritti o oneri non siano apparenti, ne diminuiscano il libero godimento e non siano stati dichiarati nel contratto.
Il compratore, in ogni caso, non deve averne avuto conoscenza.
Nel caso prospettato, l’immobile pare, però, essere stato venduto non più gravato dal contratto di locazione e il compratore sarebbe stato informato del fatto che il box non era ancora stato rilasciato dall’ex conduttore e avrebbe dato il suo consenso per una liberazione in un secondo momento.
A parere di chi scrive, quindi, l’acquirente non sarebbe garantito dalla norma suddetta.
In questo momento l’ex conduttore sta occupando l’immobile senza titolo e sarà onere del nuovo proprietario agire per poterlo liberare.
La circostanza che l’occupante del box non abbia alcun titolo per continuare a detenere l’immobile, mette al riparo anche il compratore da eventuali affermazioni di qualsiasi diritto di godimento sul bene immobile.
Ciò naturalmente se la disdetta del contratto di locazione sia stata resa conformemente a quanto stabilito contrattualmente.
Sebbene si ritiene che la detenzione senza titolo sia già elemento dirimente della vicenda, si ritiene utile affrontare l’analisi della clausola contenuta nel contratto di compravendita sulla responsabilità del venditore che così recita: “… assumendone piena responsabilità anche per tutti i casi di evizione e molestia…” .
Essa può essere interpretata come una clausola di stile perché caratterizzata da genericità e indeterminatezza e come tale senza rilevanza giuridica se, interpretata in relazione al contesto, la vaghezza e la genericità siano tali da rendere impossibile attribuire ad essa un qualsivoglia rilievo nell'ambito dell'indagine volta ad accertare la sussistenza ed il contenuto dei requisiti del contratto, ovvero sia tale da far ritenere che la pattuizione in esame non sia mai concretamente entrata nella sfera della effettiva consapevolezza e volontà dei contraenti (ex multis si veda Cass. Civ. 1120/2018).
E’ possibile, quindi, che un altro interprete, visionando la documentazione e l’atto di compravendita nel suo insieme, la valuti diversamente considerandola invece operante perché espressione della effettiva volontà delle parti.
In entrambi i casi, però, la mancanza di un titolo valido per la detenzione dell’immobile da parte del terzo e il fatto che il compratore fosse a conoscenza del mancato rilascio e abbia manifestato la propria acquiescenza, mette al sicuro il venditore da eventuali richieste di risarcimento danni.

Stefano N. chiede
lunedì 16/11/2020 - Sardegna
“Nel mese di Marzo del 1998 è stato stipulato atto di compravendita di un terreno, per edificare abitazione.
L'immobile è composto da due mappali, A e B.
Nell'Atto di Compravendita è riportata la dichiarazione di ''liberalità '' dell'immobile ( da pesi , gravami ecc..) ad eccezione del Mapp A, in cui è dichiarata la presenza di un atto di costituzione volontaria di servitù d'Acquedotto a favore del demanio regionale.
Visionato l'Atto di costituzione di servitù , è stato accertato che:
- impone importanti limitazioni , sui mappali interessati;
- il mapp.le B '' deriva '' da un Frazionamento il cui mappale originario è contenuto nel citato atto di costituzione di servitù (unitamente al mapp. A).
Tale rinvenimento (sottaciuto dai venditori ) si ritiene che comporti una ''nullità-incongruenza ''' nell'atto di compravendita, in quanto nulla è riportato.
Altresì , nel mapp. B È stata edificata l'abitazione.
Il Presente Quesito è sottoposto al fine di chiarire:
- l'effettiva e corretta statuizione dei mappali interessati nei confronti dell'atto di costituzione di servitù;
- gli ''obblighi-oneri '' in capo ai Venditori (attualmente gli eredi) di azionarsi per regolarizzare l'atto di compravendita del '98;
- l’eventuale possibilità di rettifica e/o stipulazione di un nuovo atto e/o inerenti.
Si rimane disponibile a trasmettere tutta la Documentazione d'occorrenza.

Consulenza legale i 20/12/2020
Il caso esposto nel quesito trova espressa disciplina all’art. 1489 c.c., relativo proprio all’ipotesi in cui la cosa venduta risulti gravata da oneri o diritti reali non apparenti, che ne diminuiscono il libero godimento.
Precisa tale norma che se questi non sono stati dichiarati nel contratto ed il compratore non ne ha avuto conoscenza, anche in ragione della loro non apparenza, lo stesso compratore ha diritto di chiedere la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo.

Nel caso di specie, in realtà, la compravendita ha avuto ad oggetto due distinte particelle di un unico foglio di mappa, e precisamente la particella 92 e la particella 215 (ex 200/A), e la parte venditrice, all’art. 3 del contratto di vendita, ha dichiarato e garantito che quanto oggetto di quell’atto era libero e franco da pesi, liti, ipoteche, iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli e privilegi, fatta eccezione per una trascrizione di costituzione di diritti reali a titolo oneroso relativa ad una servitù di acquedotto, gravante però sulla sola particella 92 del foglio di mappa 03, citando anche il relativo atto costitutivo.

L’esistenza di tale servitù è stata anche riportata nel quadro D della nota di trascrizione, ove viene espressamente precisato in cosa consiste tale servitù e quali sono i diritti ed i limiti che da essa ne scaturiscono rispettivamente a favore del fondo dominante ed a carico del fondo servente (tra i limiti vi è in particolare il divieto di costruzione di edifici o manufatti di qualsiasi tipo, anche provvisori).

Sembra evidente, pertanto, che nulla possa essere eccepito in ordine alla particella 92 (definita nel quesito mappale A), per la quale è stata espressamente dichiarata in atto l’esistenza della servitù.
Per quanto concerne, invece, la particella 215 (ex 200/A), a cui si ritiene che si intenda fare riferimento quando nel quesito si parla di mappale B, il fatto che tale particella derivi da frazionamento di altra particella di maggiore consistenza, a sua volta inserita nell’originario atto costitutivo di servitù, non significa che la stessa, a seguito del frazionamento, sia rimasta interessata dall’attraversamento di quella servitù di acquedotto.

Peraltro, qualora fosse come suppone chi pone il quesito, l’esistenza di tale servitù sarebbe risultata dagli stessi registri immobiliari, in quanto di essa se ne sarebbe dovuto dato atto in sede di aggiornamento della situazione catastale conseguente al frazionamento (mentre il notaio che ha rogato l’atto di compravendita, e che sicuramente avrà effettuato le dovute visure immobiliari, nulla ha rilevato al riguardo).

Con ciò vuol dirsi che, con molta probabilità, l’assenza nell’atto pubblico di ogni dichiarazione relativa all’esistenza di servitù di acquedotto a carico della particella 215, lascia presumere che la stessa sia rimasta esclusa da attraversamento di condutture di proprietà del Demanio regionale.
In ogni caso, anche qualora la suddetta particella dovesse risultare anch’essa gravata da servitù di acquedotto, è trascorso troppo tempo per avanzare eventuali pretese nei confronti dei venditori o dei loro eredi.
Infatti, sebbene sussistano i presupposti per far valere i rimedi che l’art. 1489 c.c. riconosce in favore dell’acquirente (ossia la mancata dichiarazione da parte del venditore e la non conoscibilità di tale servitù da parte dell’acquirente per mancanza di opere visibili e permanenti idonee a costituire una situazione di apparenza), l’azione prevista da tale norma è soggetta al termine ordinario di prescrizione decennale, il quale comincia a decorrere dal momento dell’inadempimento, e cioè, di regola, dalla conclusione del contratto.

Quindi, anche qualora dovesse accertarsi in maniera inconfutabile che la servitù di acquedotto interessa la particella 215 (mappale B), sarebbe vano ogni tentativo di agire contro chi ha venduto, anzi si correrebbe il rischio di incorrere in una condanna per responsabilità processuale aggravata ex art. 96 del c.p.c..


Carmine B. chiede
mercoledì 20/05/2020 - Emilia-Romagna
“Buongiorno,
a seguito della necessità attuale di vendere un appartamento acquistato nel 2007 (prima casa, cointestata con moglie in regime di separazione di beni) in procinto di rogito il Comune in cui è ubicato l'immobile sostiene che a causa delle misurazioni differenti tra quelle effettivamente riscontrate e quelle da progetto ricadono nell'ipotesi di abuso edilizio, per cui occorre la presentazione di una SCIA e il pagamento della sanatoria di euro 2000,00, in capo al sottoscritto.
In particolare la finestra della camera è stata rilevata di 144x150 e disegnata di 140x150; la finestra del bagno è stata rilevata di 66x150 e disegnata di 60x150.
Analoga problematica si riscontra nel garage: le finestre sono state rilevate di 66x60 e disegnate di 60x60.
L'ingegnere da me incaricato alla verifica chiede espressamente se per le difformità riscontrate, essendo tutte variazioni eseguite nel corso del titolo abilitativo ( facilmente dimostrabile) e non avendo incidenza sui parametri edilizi, possono essere ricondotte all'art.19bis della L.R. 23/2004 con particolare riferimento al comma 1bis lettera C in quanto Tolleranze di Cantiere dovute a “irregolarità geometrica e dimensionale di modesta entità che riguarda muratura esterna”.
"La responsabile risponde che:
- le difformità esulano il 2% pertanto non sono riconducibili alla fattispecie delle difformità in tolleranza di cui all'art 19 bis comma 1 della L.R. 23/2004
- le difformità concernono più di una finestra per prospetto pertanto non sono riconducibili alla fattispecie delle difformità in tolleranza di cui all'art 19 bis comma 1 bis della L.R. 23/2004
- si tratta di un edificio sprovvisto di agibilità con sopralluogo, pertanto le difformità non sono riconducibili alla fattispecie delle difformità in tolleranza di cui all'art 19 bis comma 1 ter della L.R. 23/2004.
Non rientrando in nessuna delle casistiche delle difformità in tolleranza occorre regolarizzare l'immobile tramite la presentazione di una SCIA a sanatoria."
Le mie questioni sono molteplici:
In primis un ingiusto esborso di denaro per un abuso a me sconosciuto, non effettuato, mai comunicatomi né fatto presente all'epoca del rogito e né successivamente;
trattasi per me subire una sanatoria per eliminare un abuso da me non voluto o provocato;
impossibilità di procedere al rogito ed unico interlocutore/abusatore con il Comune.
Vorrei una maggiore delucidazione ed informazioni in merito alla responsabilità solidale (ma io non sono e non mi sento responsabile) con costruttore/progettista e tecnico dei lavori. Posso rivalermi?
Può il Comune autonomamente chiamare in causa i fautori dei lavori?”
Consulenza legale i 26/05/2020
Il presente quesito coinvolge due profili distinti, ossia i rapporti con il venditore di un immobile rivelatosi poi abusivo e i rapporti col Comune per quanto riguarda la responsabilità per l’abuso e per la sua sanatoria.

Quanto al primo profilo, va subito sgombrato il campo dalla questione più importante, ossia la nullità degli atti di trasferimento di diritti reali relativi ad immobili privi di titolo edilizio sancita dall’art. 46, D.P.R. n. 380/2001.
Secondo la giurisprudenza, in costanza di una dichiarazione sul titolo urbanistico reale e riferibile all'immobile, il contratto di compravendita immobiliare rimane valido, a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo in esso menzionato, per la decisiva ragione che tale profilo esula dal perimetro della nullità, in quanto non è previsto dalle disposizioni che la comminano, e tenuto conto del principio generale secondo cui le norme che, ponendo limiti all'autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni, sanciscono la nullità degli atti debbono ritenersi di stretta interpretazione, sicché esse non possono essere applicate, estensivamente o per analogia, a ipotesi diverse da quelle espressamente previste recente (Cassazione civile, SS.UU., 22 marzo 2019 n. 8230; Cassazione civile, sez. III, 05 settembre 2019, n.22168).
Nel caso di specie, l’immobile non è privo di titolo edilizio, ma presenta solo parziali difformità (peraltro sanabili) rispetto ad esso e, quindi, il contratto di compravendita del 2007 non pare affetto da alcuna nullità.

Tanto chiarito, la vendita di immobili che presentino abusi edilizi viene ricondotta generalmente all’art. 1489 c.c., ai sensi del quale se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati nel contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può a sua scelta domandare al venditore la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo, nonché il risarcimento di eventuali danni (Cassazione civile, sez. II, 28 febbraio 2007, n.4786; Cassazione civile, sez. II, 23 ottobre 1991, n. 11218).
Nell’ipotesi di abusi edilizi, in particolare, l’onere gravante sulla cosa è di natura pubblicistica e si identifica con la soggezione dell’opera al potere repressivo degli abusi edilizi, che è esercitabile dal Comune in ogni tempo.

Il venditore non è responsabile sia nel caso in cui il compratore abbia avuto effettiva conoscenza del peso gravante sulla cosa, presumendosi che egli l'abbia accettata con tale peso, sia nel caso in cui si tratti di oneri e diritti apparenti, che risultino cioè da opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio, senza che rilevi, in tali ipotesi, la dichiarazione del venditore, dell'inesistenza di pesi o oneri sul bene medesimo, non operando, in tale ipotesi, il principio dell'affidamento (Cassazione civile, sez. II, 04 gennaio 2018, n.57)
In ogni caso, l'onere di diligenza del compratore di verificare l’esistenza di eventuali pesi ed oneri sul bene non può spingersi sino al punto di postulare il ricorso all'opera di esperti o l'effettuazione di indagini penetranti ad opera di tecnici del settore, al fine di individuare il vizio, ma è circoscritto alla diligenza occorrente per rilevare i difetti di facile percezione (Cassazione civile, sez. II, 27 febbraio 2012, n.2981; Cassazione civile sez. II, 18 dicembre 1999, n.14277).
Questo significa che, nella fattispecie, di fronte alla dichiarazione del venditore circa l’esistenza del titolo edilizio e la regolarità dell’immobile, il compratore non era tenuto ad incaricare un tecnico di verificare presso il Comune che l’opera realizzata fosse esattamente conforme al progetto depositato e autorizzato dal Comune.

L’azione prevista dall’art. 1489 c.c. deve essere proposta entro l’ordinario termine di prescrizione decennale, che decorre non dalla data in cui si verifica l'effetto traslativo, ma dalla manifestazione oggettiva del danno, perché solo da tale momento il danneggiato può conoscerne l'esistenza e le cause (Cassazione civile, sez. II, 15 novembre 2016, n.23236, che riguarda proprio una domanda risarcitoria derivante dall'illegittimità edilizia dell'immobile oggetto di vendita).
Nel nostro caso, dunque, il termine di dieci anni per agire nei confronti del venditore decorre non dalla conclusione del contratto di compravendita, bensì dalla data in cui il Comune ha contestato all’attuale proprietario la presenza degli abusi.

Pertanto, è opportuno contestare quanto prima per iscritto al venditore le difformità riscontrate, che rendono necessaria la sanatoria al fine di poter vendere l’immobile, chiedendo il ristoro di tutti danni subiti e la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo di vendita ex art. 1489 c.c..
Per completezza, si rileva che non sembra, invece, facilmente invocabile la responsabilità professionale nei confronti del notaio che ha steso l’atto di vendita, in quanto si tratta di un controllo che non rientra nelle competenze, né nelle possibilità materiali di accertamento del notaio. Infatti, l'ufficiale rogante deve limitarsi ad ammonire il venditore, chiedendogli di dichiarare, sotto responsabilità penale, che l'immobile non presenta irregolarità edilizie. Di conseguenza, se l'alienante non dichiara la presenza di abusi edilizi, pur conoscendoli, il notaio può procedere alla stipula dell'atto dovendo dare fede della parola del venditore e inserirne le dichiarazioni nell'atto (Corte appello Napoli, 06 settembre 2018, n.4055).

Quanto ai rapporti con il Comune, invece, si rileva che, ai sensi dell’art. 8, L.R. Emilia Romagna n. 23/2004 (che riprende sostanzialmente il testo dell’art. 29, D.P.R. n. 380/2001), il titolare del titolo abilitativo, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nella presente legge, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, alle prescrizioni e alle modalità esecutive stabilite dal titolo abilitativo. Essi sono, altresì, tenuti solidalmente al pagamento delle sanzioni pecuniarie e alle spese per l'esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell'abuso o che l'abuso sia stato realizzato dopo la consegna dell'immobile.
La norma costituisce espressione del principio secondo cui il responsabile dell'abuso edilizio è sempre tenuto a risponderne, a nulla valendo la circostanza dell'avvenuta alienazione dell'immobile in cui il suddetto abuso è stato realizzato (Consiglio di Stato, sez. VI, 20 giugno 2019, n.4251).

Sul punto, la giurisprudenza distingue tra le sanzioni pecuniarie per opere abusive, che vanno irrogate solo nei confronti del responsabile (T.A.R. Firenze, sez. III, 01 febbraio 2018, n.168; T.A.R. Firenze, sez. III, 24 gennaio 2018, n.97), e le sanzioni ripristinatorie (cioè la demolizione), che possono essere legittimamente ordinate anche al proprietario, in quanto egli è il soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l'abuso, anche se commesso prima della traslazione della proprietà (Consiglio di Stato, Ad Plen., 17 ottobre 2017, n.9; Consiglio di Stato, sez. VI, 11 dicembre 2018, n.6983; T.A.R. Milano, sez. II, 07 febbraio 2020, n.264).

Secondo la ricostruzione dei fatti illustrata nel quesito, quindi, il Comune potrebbe aver agito in modo non del tutto legittimo contestando gli abusi all'attuale proprietario e non a quello precedente; tuttavia, non è possibile allo scrivente fare una valutazione approfondita di tale profilo in quanto non è in possesso dei relativi documenti.
Si osserva, però, che il proprietario, per procedere alla vendita dell’immobile, ha la necessità di ottenere in tempi brevi la sanatoria richiesta al Comune e, sulla base di quanto sopra illustrato, ha la possibilità di recuperare nei confronti del venditore tutti i costi a tal fine sostenuti.
Pertanto, potrebbe essere opportuno valutare, anche in termini di convenienza di tempo e denaro, di soprassedere alle eventuali contestazioni sollevabili nei confronti dell’Ente, concentrando i propri sforzi nei confronti del venditore.


Carlo L. chiede
mercoledì 13/09/2017 - Toscana
“Art. 1480 cc : vorrei comprendere quali sono i criteri in base ai quali è ammessa o negata la pretesa del compratore di risolvere il contratto con il venditore.

In particolare : il compratore ha acquistato un immobile di civile abitazione in cui un ripostiglio esterno (circa 15 mq, approssimativamente l'11% della superficie totale dell'immobile) è stato demolito per ordine della P.A. perché abusivo; ragionevolmente si può ritenere che abbia diritto alla risoluzione del contratto perché non avrebbe acquistato l'immobile senza il ripostiglio ?
Quali esempi di risoluzione accordata o negata si possono ricavare dalla giurisprudenza ?”
Consulenza legale i 17/09/2017
Non tutti gli immobili costruiti in assenza o in difformità dal permesso di costruire sono incommerciabili. Infatti, la Corte di Cassazione, con la sentenza del 28 giugno 2012, n. 10947, si è pronunciata sulla irregolarità della compravendita di immobile abusivo e sui rimedi accordati al compratore; a parere della Suprema Corte acquista rilevanza determinante la conoscenza da parte del compratore dello stato urbanistico dell'immobile, tanto da non potersi egli lamentare dopo la vendita della irregolarità urbanistica qualora ne fosse stato a conoscenza. La irregolarità urbanistica va collocata nell'ambito dell'esistenza di oneri a favore di terzi ex articolo 1489 del Codice Civile. Dunque, la conoscenza da parte del compratore dello stato di irregolarità urbanistica è sufficiente a sollevare il venditore da richieste postume di garanzia.

Tuttavia, qualora le conseguenze della irregolarità possano portare alla demolizione, l'acquirente rischia di rimanere, in tutto o in parte, senza l'immobile acquistato, per cui si apre a favore del compratore la possibilità di avere la restituzione del prezzo ai sensi dell'art. 1483 c.c.; ciò a meno che il compratore non si sia assunto, nell'atto di vendita, il rischio delle conseguenze della irregolarità urbanistica dell'immobile.

Nei rapporti tra privati la non conformità della costruzione al progetto approvato dalla pubblica amministrazione non può essere ritenuta vizio della cosa, ex art. 1490 c.c., non trattandosi di una anomalia strutturale, bensì è da considerarsi quale irregolarità giuridica che assoggetta la cosa medesima al potere sanzionatorio dell'amministrazione e determina l'inquadramento della fattispecie nell'ambito dell'art. 1489 c.c., che disciplina il caso nel quale la cosa compravenduta sia gravata da oneri o da diritti reali o personali in favore di terzi, i quali ne diminuiscano non solo il libero godimento ma anche il valore e la commerciabilità.

L'ordine di demolizione della costruzione, che può essere adottato in conseguenza dell'irregolarità amministrativa, avrà, una volta intervenuto ed eseguito, gli effetti sostanziali della [evizione totale o parziale (artt. 1483 e 1484 c.c.) a seconda che ne derivi l'abbattimento totale o parziale dell'immobile, con la conseguenza che il venditore, anche se non tenuto alla garanzia per effetto della conoscenza della irregolarità da parte del compratore, è nondimeno obbligato a restituire il prezzo ed a rimborsare le spese, a meno che la vendita non sia stata convenuta a rischio e pericolo del compratore stesso ai sensi dell'art. 1483 c.c..

Pertanto, la conseguenza di quanto detto, come afferma la Corte, è che la conoscenza di essa da parte del compratore preclude la possibilità di chiedere la riduzione del prezzo, secondo quanto dispone l'art. 1480; infatti degli oneri e dei diritti altrui, gravanti sulla cosa compravenduta, il venditore risponde soltanto se essi non siano stati dichiarati nel contratto o non siano stati effettivamente conosciuti dal compratore al tempo dell'acquisto, dovendosi presumere, in caso contrario, che la cosa sia stata accettata dall'acquirente nella situazione di fatto e di diritto a lui nota.

Qualora concorrano, quindi, le condizioni della difformità non dichiarata nel contratto, o comunque non conosciuta dal compratore, ed è prevista la possibilità che l'immobile venga demolito, deve riconoscersi all’acquirente la facoltà di chiedere la riduzione del prezzo, sebbene l’amministrazione non abbia ancora esercitato detto potere repressivo; qualora, invece, la difformità non era conosciuta all'atto di acquisto e successivamente l'ordine di demolizione sia stato impartito ed eseguito, opererà quanto disposto dagli articoli 1483 e 1484 circa l’evizione totale o parziale della cosa: per l'ipotesi di evizione parziale, è prevista l'applicazione dell'art. 1480 c.c. con la sanzione della risoluzione del contratto e del risarcimento del danno.

Carlo L. chiede
lunedì 04/09/2017 - Toscana
“VENDITA DI IMMOBILE CON ABUSI EDILIZI - DISCIPLINA DELLA DECADENZA PER PRESCRIZIONE DELLE AZIONI
RISARCITORIE DEL COMPRATORE DI BUONA FEDE CONTRO IL VENDITORE.

Leggo su internet (sentenza del tribunale di Modena/Carpi del 9/8/2005) il brano che segue :
La giurisprudenza della Suprema Corte ha precisato che l'art. 1489 c.c, é applicabile anche nell'ipotesi che le sanzioni repressive, ancorché rientranti nella potestà dell'amministrazione, non siano state ancora concretamente scelte ed inflitte (vedansi sentenze 18.4.1975 n. 1479 e 11.5.1984 n.2890): ciò che rileva è l'innegabile deprezzamento e la minore commerciabilità dell'immobile rispetto ad altri similari ma regolarmente costruiti; tali difetti incidono infatti in via immediata e diretta sul sinallagma, la cui alterazione é attuale e concreta e non meramente potenziale - mentre la
successiva applicazione delle misure sanzionatorie non determina l'insorgere di detta alterazione ma influisce sulla intensità della stessa, nella misura corrispondente alla qualità della sanzione (abbattimento o pena pecuniaria).

Se non comprendo male la Cassazione stabilisce regole opposte per il caso in cui il terzo che rivendica il proprio diritto contro il compratore è la P.A. rispetto al caso in cui il terzo è un privato.

Nel caso 1 (terzo = P.A.) io compratore posso agire per il risarcimento contro il venditore un minuto dopo la firma del contratto, senza che occorra alcun accertamento giudiziale (o comunque definitivo) sul buon diritto della P.A..

Nel caso 2 (terzo = privato) se pure vengo a sapere del diritto del terzo privato un minuto dopo la firma del contratto non posso agire contro il venditore PRIMA che il diritto del terzo sia accertato e concretamente fatto valere a mio danno.

Applicando il principio generale per cui la prescrizione di un'azione risarcitoria inizia quando il danno diventa noto E l'azione è esercitabile, ne dovrebbe conseguire che nell'evizione da parte del terzo privato la prescrizione inizia quando il terzo esercita il proprio potere, mentre, AL CONTRARIO, nel caso di vendita di immobile con abusi edilizi, la prescrizione INIZIA dall'inadempimento del venditore, che coincide in pratica con la firma del contratto e, per conseguenza, SI COMPIE per inattività con il decorso decennale.

Altre conclusioni (per esempio, la premessa per cui l'abuso edilizio è ritenuto accertabile con il semplice accesso agli atti; oppure la non riliquidabilità del danno se la causa fra il compratore e il venditore è decisa quando la P.A. non ha ancora irrogato la sanzione) sembrano logiche ma non incidono sulla sostanza del quesito che segue.

IL QUESITO :
Quaranta e più anni fa Tizio ha venduto a Caio un immobile con abusi edilizi; dal momento della vendita ad oggi né Caio ha rivendicato alcunché nei confronti di Tizio, né la P.A. ha agito contro Caio.
Se ora la P.A. applicasse a Caio sanzioni anche demolitive (arrivando perfino all'evizione totale) Caio potrebbe ancora convenire Tizio con le azioni risarcitorie previste dagli art. 1489, 1483 e/o 1484 cc o con azioni risarcitorie fondate su altra normativa ?

Giova considerare che i termini temporali per il risarcimento - implicitamente conseguenti dal disposto della Cassazione - valgono anche per la previsione della sanzione demolitiva (= evizione) e che le azioni risarcitorie previste dagli art. 1483-1484 sono in sostanza le stesse previste dall'art. 1489.”
Consulenza legale i 12/09/2017
Per cominciare bisogna distinguere l’evizione stricto sensu dalla garanzia prevista a favore dell’acquirente dall’art. 1489 c.c. .
Si parla di evizione quando il compratore viene privato in tutto od in parte del diritto sul bene acquistato, in quanto un terzo ha fatto valere diritti reali sul bene stesso.
Invece, può parlarsi di evizione limitativa (art. 1489 c.c.), nel caso in cui il bene oggetto di compravendita, sia gravato da oneri e diritti reali o personali - non apparenti - che ne diminuiscano il godimento.

Detto altrimenti l’evizione attiene all’acquisto di un diritto che non è quantitativamente quello promesso, per la coesistenza sul medesimo bene di diritti reali di terzi, mentre l’evizione cd. limitativa attiene all’acquisto di un bene che non sia qualitativamente quello promesso, per l’esistenza di oneri o diritti altrui.

Va da sé che i due istituti, nei casi di evizione totale e di un ordine di demolizione totale della costruzione, si sovrappongono e si confondono: se è pur vero che l’acquirente resta comunque titolare del diritto di proprietà su quel bene, è anche vero che non può parlarsi di diminuito godimento del bene in quanto, con la demolizione, non ci sarà più alcun bene.
Ad ogni modo, in questa sede è importante solamente evidenziare che non è possibile stabilire ex ante se la violazione delle distanza tra edifici prevista dal DM 1444/68 è riconducibile all’una piuttosto che all’altra garanzia.
La Corte di Cassazione ha, a tal proposito, osservato che una violazione “può concretare un'ipotesi riconducibile, alternativamente, nel paradigma dell'evizione (artt. 1483 e 1484 cod. civ.), ovvero in quello della garanzia prevista dall'art. 1489 cod. civ., secondo che dall'accoglimento della domanda derivi in tutto o in parte la perdita della cosa venduta (totale o parziale demolizione dell'edificio costruito a distanza illegale), ovvero consegua soltanto una restrizione del godimento della cosa medesima la quale resti, però, integra nella sua identità strutturale” (Cass. 23818/2012) .


Dunque solo una volta che la sanzione verrà comminata potrà concretamente prendersi contezza del diminuito valore del bene o dell’evizione, e conseguentemente, far valere la garanzia per l’evizione o la garanzia del compratore ex art. 1489 c.c. .


Di conseguenza, riteniamo di dover dissentire rispetto alla sentenza del Tribunale di Carpi del 09.08.2005.
In quella pronuncia il giudice di merito ha affermato che il compratore può invocare la garanzia prevista dall’art. 1489 c.c., e conseguentemente chiedere la risoluzione del contratto oppure la riduzione del prezzo, a prescindere dall’effettivo intervento sanzionatorio dell’amministrazione.
La circostanza che effettivamente la P.A. ordini la demolizione dell’edificio, oppure commini sanzioni o richieda oblazioni per la sanatoria, non inciderebbe, secondo la su citata sentenza, sulla proponibilità dell’azione di garanzia.
Per agire contro il venditore basterebbe la mera possibilità che la P.A. possa esperire i propri poteri.

Argomentando a partire da questa sentenza, dovrebbe evincersi che la prescrizione dell’azione di garanzia decorra dalla conoscenza ovvero conoscibilità dei vincoli che gravano sull’immobile, momento che grossomodo dovrebbe coincidere con il momento dell’acquisto.

La giurisprudenza di legittimità, però, è di tutt’altro avviso.
Per potersi parlare di garanzia per l'evizione e di garanzia ex art. 1489 c.c. occorre invece che il provvedimento sanzionatorio della P.A. diventi attuale e non meramente potenziale, occorre che vi sia un'effettiva diminuzione del godimento dell’immobile oppure un definitivo accertamento del diritto del terzo sul medesimo bene.
Se così non fosse, l’acquirente potrebbe ottenere un’ingiusta locupletazione se poi la P.A. concedesse ad esempio una economica sanatoria oppure, e più semplicemente, perpetuerebbe nell’inerzia in assenza di un interesse alla repressione sanzionatoria della violazione.

Tali conclusioni ripercuotono le loro conseguenze anche in tema di prescrizione perché l’azione di garanzia potrà esser proposta proprio a partire dal momento in cui viene appurata l’esistenza del vincolo, dell’onere ovvero del diritto del terzo.

L’assunto è stato confermato dalla sentenza n. 23818/2012, con la quale i Giudici di Legittimità hanno affermato che il diritto dell’acquirente “resta soggetto ai correlativi termini di prescrizione con decorso non dalla conclusione del contratto bensì dal passaggio in giudicato della sentenza definitiva sull'evizione o sulla sussistenza della minore garanzia del bene venduto (Cass. 6 dicembre 1984, n. 6402; Cass. 8 aprile 1977, n. 1346; Cass. 23 ottobre 1975, n. 3504; Cass. 2 agosto 1975, n. 2947; Cass. 26 novembre 1973, n. 3196; Cass. 7 settembre 1970., n. 1240)”.

Pertanto, si ritiene che, nel caso di violazione delle distanze imposte dal DM 1444/68, la garanzia potrà essere fatta valere solo se l’Autorità amministrativa emette provvedimento sanzionatorio, momento dal quale decorre il termine di prescrizione decennale: Caio può ancora agire nei confronti del venditore Tizio.

Marco chiede
giovedì 22/05/2014 - Lazio
“Ho stipulato un preliminare di vendita per un appartamento in una villa, in corso di ristrutturazione che non prevedeva ampliamenti. A ristrutturazione avvenuta e dopo avermi concesso il possesso materiale dell'immobile (nel quale abito), ho scoperto che il proprietario (venditore) sta pianificando di presentare un piano casa sottraendo dall'immobile in cui vivo (oggetto di compravendita) la quota del 20% prevista per un eventuale ampliamento, per destinarla ad un altro appartamento della villa (sempre di sua proprietà) che deve essere ampliato e cambiato di destinazione d'uso. In questo modo io sarò privato della possibilità di ampliare in futuro. Detto ciò, tenuto conto che nel preliminare non si fa alcun riferimento a questo, che lo stesso è stato effettuato nello stato di fatto e di diritto in cui l'appartamento si trovava all'atto della stipula, vorrei sapere se ciò che sta facendo il proprietario è legittimo e se ci sono gli estremi per chiedere un abbassamento del prezzo concordato o per addirittura risolvere il contratto. Se si visto che ancora la cosa non è stata fatta, lo devo avvertire?”
Consulenza legale i 22/05/2014
L’utilizzo della volumetria rinveniente da un fondo per realizzare nuove costruzioni su un diverso fondo è possibile (qualora tra i fondi interessati, aventi una medesima destinazione urbanistica, sussista una “significativa vicinanza”) e costituisce un istituto atipico, ma ormai entrato nella prassi comune con il nome di "asservimento".

La volumetria, sulla cui natura il dibattito in dottrina e giurisprudenza è molto vivace e non ancora giunto ad una definizione univoca, si può vedere come una facoltà del diritto di proprietà, suscettibile di formare una situazione giuridica soggettiva autonoma che può essere ceduta anche a terzi. Con l'"asservimento" di un fondo ad un altro, di fatto vi è una volontaria rinuncia alle possibilità edificatorie di un lotto in favore di un altro.
Questo diritto edificatorio costituirebbe una facoltà di godimento del bene in proprietà, e per questo risulterebbe economicamente valutabile.

Nel caso di specie si può prescindere dal dibattito sopra citato circa natura e modalità operative del trasferimento di volumetria (vi è chi sostiene che si tratti di un diritto di servitù o di superficie - quindi di un diritto reale - e chi propende al contrario per la tesi della mera efficacia obbligatoria). Brevemente, si ricorda solo che, sebbene non si tratti di argomento risolutivo per dirimere la controversa questione, l' art. 5, comma 3, del D.L. 70/2011 (c.d. D.L. Sviluppo) ha inserito, all'art. 2643, primo comma, c.c., il n. 2 bis, che prevede la trascrizione dei "contratti che trasferiscono i diritti edificatori comunque denominati nelle normative regionali e nei conseguenti strumenti di pianificazione territoriale, nonché nelle convenzioni urbanistiche ad essi relative".
In ogni caso, se la volumetria "passa" da un immobile ad un altro appartenente allo stesso proprietario, non c'è alcun negozio giuridico, bensì una mera "concentrazione di volumetria", che dovrà essere oggetto di un provvedimento amministrativo.

Importante è invece considerare che il diritto edificatorio, quale facoltà del proprietario, fa naturalmente parte del diritto di piena proprietà che si va a cedere con il contratto di compravendita.
Sia che lo si consideri bene immateriale, sia che lo si ritenga un autonomo diritto reale (servitù, superficie, ...), non si può negare che il diritto edificatorio sia percepito nella società come un valore economico.
Si può quindi giungere a sostenere che il vincolo di inedificabilità assoluta o parziale, discendente dal trasferimento di volumetria da un immobile ad un altro, costituisca un onere gravante sulla proprietà e che quindi il terzo acquirente sia legittimato a chiedere la riduzione del prezzo o addirittura la risoluzione del contratto, laddove il venditore non abbia dichiarato l'esistenza della rinuncia al diritto di ampliamento o comunque l'acquirente non ne sia a conoscenza.
Ciò, sulla base della norma prevista dall'art. 1489 del c.c., che tutela l'acquirente nei casi meno gravi rispetto a quello di evizione (cioè di definitiva perdita della proprietà) sancendo che questi abbia diritto alternativamente alla riduzione del prezzo o alla risoluzione del contratto in presenza di oneri sul bene non dichiarati dal venditore ("Se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati nel contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo secondo la disposizione dell'articolo 1480").
La norma si applica per analogia anche al contratto preliminare di vendita (Cass. n. 19812/2004).

Nel caso in esame, pertanto, se il promittente venditore riuscisse ad ottenere il permesso per la concentrazione di volumetria ad insaputa del promissario acquirente, questi avrebbe diritto a chiedere una sentenza che dichiari la risoluzione del contratto preliminare oppure la congrua riduzione del prezzo pattuito.
Poiché sembra che il futuro venditore non abbia ancora attuato il suo intento, sarà bene sottolineargli che la sua condotta potrebbe essere molto svantaggiosa se attuata senza la collaborazione del promissario acquirente: questi potrà, se interessato all'esecuzione del preliminare, chiedere in via conciliativa una riduzione del prezzo dell'immobile oggetto del preliminare, in cambio del consenso a rinunciare al diritto edificatorio.
Qualora il promittente venditore non intenda giungere ad un accordo, l'unica via possibile per ottenere tutela delle proprie ragioni sarà quella giudiziale.

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