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Articolo 36 Testo unico edilizia

(D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380)

[Aggiornato al 10/10/2024]

Accertamento di conformità nelle ipotesi di assenza di titolo o totale difformità

Dispositivo dell'art. 36 Testo unico edilizia

1. In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire o in totale difformità nelle ipotesi di cui all'articolo 31 ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 23, comma 01, o in totale difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda(1).

2. Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16(1).

3. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata.

Note

(1) La rubrica e i commi 1 e 2 del presente articolo sono stati modificati dall'art. 1, comma 1, lettera g) del D.L. 29 maggio 2024, n. 69, convertito con modificazioni dalla L. 24 luglio 2024, n. 105.

Spiegazione dell'art. 36 Testo unico edilizia

L’accertamento di conformità disciplinato in passato dall'art. 13, L. n. 47/1985, e oggi previsto dall’articolo in commento costituisce lo strumento tipico per ordinariamente ricondurre alla legalità gli abusi edilizi di natura formale, ossia dovuti alla mera carenza del titolo abilitativo.
Infatti, la caratteristica fondamentale di tale sanatoria consiste nel fatto che essa può essere chiesta ed ottenuta soltanto qualora sussista il requisito della doppia conformità dell’opera sia alla normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della realizzazione, sia a quella in vigore al momento della presentazione dell’istanza ai sensi dell’articolo 36.

Nella vigenza dell'art. 13, L. n. 47/1985, si era sviluppato un filone di decisioni del Giudice Amministrativo che ammettevano la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, ritenendo sufficiente la sussistenza della conformità al momento in cui la P.A. provveda sulla relativa domanda.
Infatti, si riteneva contrastante con il principio di economicità negare la regolarizzazione ad interventi edilizi realizzati senza titolo ma che, al momento dell’esame della richiesta di sanatoria, fossero conformi agli strumenti urbanistici e che, dunque, dopo essere stati demoliti avrebbero potuto essere ricostruiti tal quali.

Tale orientamento, tuttavia, è stato abbandonato dalla giurisprudenza prevalente, sulla considerazione che esso si traduce in un sostanziale incentivo alla commissione di abusi edilizi, nella speranza di una successiva modifica in senso favorevole degli strumenti di pianificazione, con il risultato di far condizionare dal fatto compiuto il potere di governo del territorio che spetta all’Amministrazione, con evidente pregiudizio anche al principio del buon andamento.
Peraltro, il requisito della doppia conformità è ritenuto dalla giurisprudenza costituzionale come un principio fondamentale della materia del governo del territorio, come tale non derogabile ad opera della legislazione regionale.

Il procedimento non può essere avviato d’ufficio dalla P.A. , ma è necessaria la domanda da parte dei soggetti legittimati, che sono gli stessi soggetti destinatari dell’ordine di demolizione e rimessione in pristino, ossia il responsabile dell’abuso e il proprietario dell’immobile.

Per le opere di cui all’art. 31 del Testo Unico, l’istanza deve essere promossa entro 90 giorni dall’ingiunzione a demolire, mentre per le opere di cui agli artt. 33 e 34 del Testo Unico, bisogna avere riguardo al termine fissato discrezionalmente nell’ordinanza di demolizione e rimessione in pristino.

Quanto agli effetti della richiesta di accertamento di conformità sui provvedimenti sanzionatori già emessi dal Comune, la giurisprudenza più recente ritiene che la domanda non determini alcuna inefficacia sopravvenuta, o caducazione, ovvero invalidità dell'ingiunzione di demolire, bensì esclusivamente uno stato di quiescenza e di temporanea non esecutività del provvedimento, finché perduri il termine di decisione previsto dalla legge e non si sia formato l’eventuale atto tacito di diniego.

L'eventuale conclusione, in senso sfavorevole al richiedente, del procedimento di sanatoria provoca, quindi, l'automatica riespansione dell'efficacia dell'ordine di demolizione, senza che la P.A. possa dirsi tenuta a rinnovare il potere sanzionatorio.
In tal caso, il calcolo del termine concesso per l'esecuzione spontanea del ripristino dello stato dei luoghi decorre dal momento in cui il diniego perviene a conoscenza dell'interessato, anche nella forma del silenzio rigetto previsto dalla normativa richiamata.

Si registrano, in ogni caso, varie decisioni che ritengono invece necessario che l’Amministrazione provveda ad emettere una nuova ordinanza di demolizione delle opere abusive.

Ai fini del rilascio del permesso in sanatoria, comunque, è richiesto all’istante il pagamento di un’oblazione, calcolata secondo i criteri sanciti dal comma 2 della norma in esame.

Massime relative all'art. 36 Testo unico edilizia

Cons. Stato n. 3696/2019

L'onere della prova dell'ultimazione entro una certa data di un'opera edilizia abusiva, allo scopo di dimostrare che essa rientra fra quelle per le quali si può ottenere una sanatoria speciale ovvero fra quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis, perché realizzate legittimamente senza titolo, incombe sul privato a ciò interessato, unico soggetto ad essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto. (Conferma Tar Lazio Latina, 10 febbraio 2012, n. 105).

A carico dell'amministrazione comunale raggiunta dall'istanza di condono edilizio l'art. 31, comma 2, L. n. 47/1985 pone una indagine istruttoria per la verifica del requisito dell'ultimazione, rilevante ai fini del rilascio del condono, che si sviluppa attraverso due criteri alternativi: il criterio "strutturale", che vale nei casi di nuova costruzione e del criterio "funzionale", che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti. Quanto al criterio strutturale del completamento del rustico, per edifici "ultimati", si intendono quelli completi almeno al "rustico". Per edificio al rustico si intende un'opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili ed esattamente calcolabili. La nozione di completamento funzionale implica invece uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione. In altri termini, l'organismo edilizio non soltanto deve aver assunto una sua forma stabile nella consistenza pianovolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione "al rustico", ossia intelaiatura, copertura e muri di tompagno) sebbene una sua riconoscibile e inequivoca identità funzionale, che ne connoti con assoluta chiarezza la destinazione d'uso. (Conferma T.a.r. Lazio Latina, 10 febbraio 2012, n. 105).

Cass. pen. n. 54707/2018

In tema di reati edilizi, il conseguimento del permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, comporta l'estinzione dei reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti, ma non di quelli disciplinati dalla normativa antisismica e sulle opere in conglomerato cementizio. (Fattispecie in cui la Corte, in applicazione di tale principio, ha escluso che il deposito "in sanatoria" degli elaborati progettuali estingua la contravvenzione in materia di costruzioni in cemento armato, che punisce l'omesso deposito preventivo degli stessi). (Annulla senza rinvio, TRIBUNALE MACERATA, 28 novembre 2017).

Cass. pen. n. 11254/2017

In tema di violazioni paesaggistiche, l'estinzione di reati contravvenzionali prevista dalle norme urbanistiche vigenti per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non si applica al reato di cui all'art. 181, comma 1, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, atteso che l'art. 45, comma 3, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, si riferisce ai soli reati contravvenzionali previsti dal medesimo D.P.R. n. 380 del 2001 in cui sono contemplate le ipotesi suscettibili di sanatoria, quali gli interventi in assenza di permesso di costruire o in difformità da esso. (Annulla senza rinvio, App. Potenza, 12 gennaio 2017).

Cons. Stato n. 2784/2015

La "sanatoria giurisprudenziale" non costituisce un autonomo istituto giuridico liberamente utilizzabile dall'amministrazione comunale quasi fosse una normale via di ordinaria gestione degli interventi sul territorio (una sorta di pagamento di un onere concessorio particolarmente rilevante, ma pur comunque ordinariamente legittimante); ma di un mero effetto eccezionale a fronte di quello che comunque è e resta un abuso edilizio, per di più ammesso solo da una parte della giurisprudenza: che deroga alla tassatività dell'accertamento di conformità dell'art. 36, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ("Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia") e la cui ragione viene di solito ricercata nell'eccessività, rispetto all'interesse alla tutela dell'ordine urbanistico sostanziale, dell'imporre la demolizione (o l'acquisizione gratuita) di un'opera che è senza titolo ma che è al contempo conforme alla disciplina urbanistica e dunque avrebbe potuto essere autorizzata su regolare istanza: la finalità è di evitare un'inutile dissipazione di mezzi e risorse.

Cass. pen. n. 29733/2013

È illegittima la sanatoria dell'abuso edilizio condizionata caratterizzata dal fatto che i suoi effetti vengono subordinati alla esecuzione di specifici interventi aventi lo scopo di far acquisire alle opere il requisito della conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia che non posseggono, in quanto l'art. 36 T.U. 6 giugno 2001 n. 380 si riferisce esplicitamente ad interventi già ultimati e stabilisce come la doppia conformità debba sussistere sia al momento della realizzazione dell'opera sia al momento della presentazione della domanda in sanatoria.

Corte cost. n. 101/2013

È incostituzionale l'art. 5 commi 1, 2 e 3, 6 e 7 L. Reg. Toscana 31 gennaio 2012 n. 4 che, segnatamente con riferimento agli interventi edilizi abusivi realizzati nelle zone sismiche e nelle zone a bassa sismicità, contrastano col principio della doppia conformità previsto dall'art. 36 T.U. 6 giugno 2001 n. 380, tenendo presente che la verifica in parola riguarda anche il rispetto delle norme sismiche, da comprendersi nelle norme per l'edilizia, sia al momento della realizzazione dell'intervento che al momento di presentazione della domanda di sanatoria.

Cass. pen. n. 38408/2008

Il rilascio del permesso in sanatoria da parte dell'autorità amministrativa non impone l'automatica declaratoria di estinzione del reato perché spetta al giudice penale accertare la sussistenza delle condizioni per l'estinzione, che nella fattispecie non si è verificata perché l'immobile non poteva essere condonato posto che esso inequivocabilmente non era completo neppure al rustico alla data fissata dalla legge, ossia al 31 marzo del 2003. Secondo l'orientamento di questa Corte, in tema di condono edilizio, compete al giudice penale il potere di accertamento di tutti gli elementi della fattispecie estintiva, fra i quali vi è l'osservanza del limite temporale e di quello volumetrico costituenti parametri stabiliti dal legislatore per la definizione dell'ambito di operatività del condono medesimo. Il controllo sulla loro ricorrenza non costituisce esercizio di una potestà riservata alla P.A. (alla quale competono tutti gli accertamenti relativi alla sanatoria "amministrativa"), spettando al giudice penale il potere-dovere di espletare ogni accertamento per stabilire l'applicabilità della causa di estinzione del reato (cfr. Cass. n. 5031 del 2000; n. 5376 del 1998: n. 9680 del 1996). D'altra parte il provvedimento concessorio potrebbe fondarsi anche su un'errata attestazione della parte in ordine alla data di ultimazione delle opere. Nel provvedimento amministrativo non si dà atto di alcun accertamento in ordine alla data dì ultimazione del manufatto al rustico.

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Consulenze legali
relative all'articolo 36 Testo unico edilizia

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G. B. chiede
domenica 03/03/2024
“Premessa:
Con mia sorella, per successione ereditaria, abbiamo acquisito un terreno agricolo di 10.000 mq circa, sito nel comune di Napoli, con accesso al numero civico xx di YYY.
Il terreno ed i fabbricati rurali su di esso insistenti sono riportati al Catasto Fabbricati del Comune di Napoli al figlio XXX, particelle XXX. Il fabbricato insistente sulla particella XXX e una parte di quello insistente sulla particella XXX sono ritenuti abusivi in quanto costruiti senza titolo prima del 1948, ma dopo il 1939 e mai sanati dai precedenti proprietari.
Il 7 ottobre 2016 mia sorella ed io abbiamo sciolto la comunione con atto di divisione del Notaio in Napoli, reso possibile dall’origine di successione ereditaria, pur essendo le due parti di superficie inferiore si 10.000 mq.
Pur essendo state accatastate le due parti divise ed intestate separatamente a mia sorella ed a me, il Comune di Napoli non riconosce il frazionamento a causa della presenza dei fabbricati abusivi.

Domanda:
Chiedo di sapere se gli immobili sopra descritti possano essere oggetto di condono o sanatoria in base alla normativa vigente o se, in subordine, sia in fase di discussione in parlamento una nuova normativa che lo consentirebbe nel prossimo futuro.”
Consulenza legale i 08/03/2024
Per rispondere al quesito, è necessaria una breve premessa generale relativa alla necessità del titolo edilizio per la realizzazione degli immobili più risalenti.
La legge n. 1150/1942 ha previsto l’obbligo del titolo abilitativo per la costruzione di edifici all’interno dei centri abitati e nei Comuni dotati di piano regolatore generale comunale.
Tale obbligo è stato generalizzato soltanto con l’entrata in vigore della L. n. 765/1967, che l’ha reso operante in relazione a tutto il territorio nazionale.
Tuttavia, ferme tali norme nazionali, gli immobili all’interno del Comune di Napoli si trovano in una situazione diversa, in quanto “per tutto il territorio del Comune di Napoli, la necessità del titolo abilitativo edilizio risale al 1935 in forza del regolamento edilizio. Il Comune di Napoli, difatti, già prima del 1942, pur in assenza di una norma primaria che imponga ai proprietari di munirsi di titolo abilitativo per effettuare interventi edificatori, aveva adottato un regolamento edilizio, approvato nel 1935, con cui aveva previsto l'obbligo di munirsi di licenza edilizia per gli interventi da effettuarsi sull'intero territorio comunale” (T.A.R. Napoli, sez. IV, 07/07/2017, n. 3669, v. anche, in termini, T.A.R. Napoli, sez. IV, 14/04/2016, n. 1823).
L’immobile in questione, pertanto, pur essendo un fabbricato rurale costruito prima del 1967, avrebbe dovuto comunque essere edificato previo rilascio della licenza edilizia, in quanto sicuramente realizzato dopo l’entrata in vigore del Regolamento Edilizio comunale.
Tanto chiarito, ad oggi l’unica possibilità di sanatoria prevista dalla normativa attualmente in vigore è l’accertamento di conformità (art. 36, T.U. Edilizia), che presuppone la conformità dell'intervento che si intende sanare alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie vigenti sia al momento della sua realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda.
In sostanza, sono sanabili sono le opere formalmente abusive, perché prive di titolo, ma sostanzialmente conformi alla normativa edilizia-urbanistica (in entrambi i momenti sopra indicati).
La circostanza che l’immobile oggetto del quesito presenti tali caratteristiche e sia quindi suscettibile di essere sanato, tuttavia, deve essere accertata da un tecnico, che potrà svolgere tutti gli approfondimenti del caso.
Quanto a un possibile un nuovo condono (cioè una sanatoria straordinaria, con presupposti più ampi rispetto a quella prevista dal T.U. Edilizia), si nota che si tratta di un argomento che ciclicamente viene discusso a livello politico, ma allo stato non vi sono elementi concreti che facciano prevedere una sua imminente approvazione.


M. S. chiede
sabato 03/02/2024
“Buonasera,
A novembre 2023 ho acquistato un negozio con soppalco di 70 mq, di cui una parte - circa 50 mq- ricade sul mio negozio ed è tutto in regola, ma c’è anche una parte - circa 20 mq - che ricade su una proprietà di terzi e non esiste catastalmente e ho appurato che è un abuso, non esiste neanche in comune. La planimetria del rogito in effetti comprende solo i 50 mq. Il vicino, anch’egli ha acquistato di recente, si è accorto del soppalco e ha mandato a me pec per rimuovere occupazione abusiva. Ho chiesto a precedente proprietario, dice che quell’abuso esiste da oltre 20 anni (del resto come si fa a costruire senza consenso o di nascosto nella proprietà altrui), volevo sapere cosa si potrebbe fare. È possibile usucapire? Chi dovrebbe usucapire? Il vecchio proprietario oppure io? Usucapire che cosa? È un’area non censita e senza autorizzazione comunale, probabilmente realizzata negli anni 90 quando il proprietario dei due negozi era lo stesso. Spero di essere stato chiaro, cordiali saluti”
Consulenza legale i 16/02/2024
Dalla descrizione presentata nel quesito sembra che il magazzino abusivo costituito da un soppalco che sovrasta due proprietà differenti, sia stato costruito dall’originario proprietario di tutto il lotto poi frazionato e venduto a due soggetti differenti.
Il magazzino, quindi, è sempre stato annesso al negozio diventato di proprietà di colui a cui ora è stato richiesto di rimuovere l’abuso.

Si ritiene, quindi, che sia pacifica la proprietà in capo a quest’ultimo in forza della compravendita.

In ogni caso, qualora venissero sollevate questioni dalla P.A. sulla titolarità della proprietà, è evidente che il diritto è stato acquistato per usucapione da parte di colui che ne ha avuto il possesso ininterrotto per 20 anni ai sensi dell’art. 1158 del c.c., sembra il venditore del negozio e del soppalco.
All’ultimo acquirente, quindi, è stato trasferito il diritto di proprietà del negozio e del soppalco abusivo.

Per quanto riguarda gli aspetti sanzionatori legati alla presenza di un abuso edilizio realizzato dal precedente proprietario, si segnala che il complesso delle sanzioni previste dal Testo Unico Edilizia, è rivolto al responsabile dell’abuso.
Tuttavia, ciò non significa che il proprietario incolpevole sia liberato da qualsiasi responsabilità, in quanto si tratta comunque del soggetto che si trova nella materiale disponibilità del bene.
In particolare, l’attuale proprietario è destinatario delle sanzioni di tipo reale, sostanzialmente l’ordine di demolizione, che ha carattere oggettivo in quanto è diretto a reintegrare immediatamente l'ordine urbanistico (T.A.R. Bari, sez. III, 23/01/2023, n. 154; T.A.R. Brescia, sez. II, 15/07/2022, n. 702).
Pertanto, chiarita la questione a livello civilistico secondo le indicazioni sopra illustrate è opportuno verificare con un tecnico di fiducia la sanabilità dell’opera, e nel caso presentare apposita istanza ex art.36 T.U. Edilizia, oppure prendere contatti con gli uffici comunali al fine di eliminare le opere abusive.

N. I. chiede
martedì 13/06/2023
“Con la presente Vi chiedo un supporto legale, in funzione di ciò che mi è capitato tra le mani.
Il mio cliente nel 2011 con allora un altro tecnico, che per sanare delle tettoie, presenta al comune una sanatoria art. 36 del Dpr 6 giugno 2001/380, di cui il Comune nei 60 giorni ha rilasciato parere favorevole, con rilascio previo, invio di marca da bollo, pagamento oblazione dell'importo richiesto, relazione attestante la staticità, diritti di segreteria. Di tutto ciò non è stato fatto nulla per inadempienza del tecnico ingegnere. A distanza di tempo e precisamente nel 2023, per una denuncia di un vicino, scatta il sequestro preventivo sia urbanistico che ambientale, visto che le tettoie fanno parte di un'azienda di lavorazione alluminio, in oltre le tettoie alcune necessarie per garantire la copertura dell'impianto di depurazione del processo produttivo. Il mio quesito è il seguente ha una scadenza giuridica un parere favorevole per permesso a costruire in sanatoria art 36 D.P.R. 380/01, con adempimento alla documentazione richiesta ? Inoltre sulla richiesta di adempimento era posta la dicitura che se non veniva trasmessa la documentazione richiesta sarebbe stata archiviata. Oggi ci sono i presupposti per riprendere tale parere favorevole di sanatoria, visto che anche il comune ha commesso una dimenticanza a seguito della mancata trasmissione della documentazione da parte del cliente, non avendosi attivato ad inviare istanza di demolizione delle opere oggetto di sanatoria.”
Consulenza legale i 26/06/2023
Da quanto ci è stato detto e come risulta anche dalla lettura del provvedimento comunale del 17 maggio 2012, in seguito alla presentazione di una richiesta di accertamento di conformità di opere edilizie abusive, presentata in data 18 novembre 2011, il Comune, visto l’esito positivo dell’istruttoria, ha comunicato all’interessato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria previo adempimento, entro sei mesi, degli obblighi indicati nel provvedimento, tra i quali il pagamento di una somma a titolo di oblazione, come previsto dalla norma di legge. In assenza di detti adempimenti inoltre, precisa il provvedimento, il procedimento volto al rilascio dovrà considerarsi archiviato.
Sempre sulla base di quanto ci è stato indicato, l’interessato, nel termine sopra indicato, non ha adempiuto alle richieste del Comune e dunque, allo stato, il procedimento iniziato nel 2011 è da intendersi come archiviato.
In seguito, a distanza di anni, è intervenuta la notifica di un decreto avente ad oggetto l’applicazione di una misura cautelare da parte del G.I.P. con il quale le opere abusive sono state sottoposte a sequestro preventivo.

Chiarito il contesto fattuale della vicenda, in risposta al suo quesito relativo alla possibilità di riprendere il precedente parere favorevole al rilascio del permesso di costruire in sanatoria ed ottenere oggi il titolo sanante gli abusi, si svolgono le seguenti considerazioni.

Innanzitutto, occorre premettere che la possibilità di sanare un abuso edilizio, ai sensi dell’art. 36 del T.U. Edilizia, è soggetta alla c.d. “doppia conformità”. Infatti, il predetto articolo subordina il rilascio della sanatoria alla presenza di una duplice condizione: l’opera, infatti, deve essere conforme non solo alla disciplina edilizia vigente al momento in cui è stato realizzato l’abuso ma, anche, alla disciplina in vigore al momento della presentazione della domanda di sanatoria.
Nel caso in esame, quindi, appare innanzitutto evidente che il parere favorevole – rilasciato nel 2011 – potrebbe non essere più attuale per la semplice circostanza che, tenuto conto del lasso di tempo trascorso, la disciplina edilizia, sulla quale si era basata la precedente valutazione del tecnico comunale, nel mentre, potrebbe essere mutata e potrebbe non ammettere più quella tipologia di intervento edilizio facendo venire meno, quindi, il secondo presupposto previsto dall’art. 36 T.U. Edilizia.

Inoltre, si deve tener conto, da un lato, dell’eventualità che il proprietario abbia modificato lo stato di fatto dell’immobile che potrebbe non corrispondere più a quello dichiarato e rappresentato nella domanda del 2011.
Dall’altro, che l’importo dell’oblazione dovuta non sia più corretto in quanto potrebbe essere cambiato il valore dell’immobile in ragione degli eventuali interventi realizzati successivamente.

Tutti questi elementi, quindi, inducono a ritenere che non sia possibile adottare un permesso in sanatoria rilasciandolo sulla base di un parere formatosi su un’istruttoria che potrebbe non essere più attuale.

Pertanto, anche solo per valutare l’attualità di detto parere è necessaria l’apertura di una nuova istruttoria su impulso di parte.
Inoltre, a ciò si aggiunga che l’archiviazione del precedente procedimento, avvenuta a causa degli inadempimenti dell’interessato, ha determinato una preclusione alla riapertura della precedente istruttoria.

Infatti, quanto alla natura dell’archiviazione, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che l’archiviazione costituisce un provvedimento di accertamento (negativo o positivo) sui presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento finale con cui l’amministrazione si limita a verificare, in relazione al caso concreto, che non sussistano le ragioni per adottare l’atto conclusivo oppure che tali ragioni, pur presenti, siano comunque venute meno, lasciando l’interessato nella posizione in cui si trovava prima dell’avvio del procedimento. (Tar Lazio – Roma, sez. II, 28 gennaio 2022, n.1009).

Per tali ragioni quindi, si può affermare che in presenza di un’archiviazione, l’istruttoria precedente sia ormai conclusa e per poter ottenere il nuovo rilascio sia necessario non solo un’istanza di parte ma anche un nuovo procedimento.

In conclusione, si ritiene che non vi siano i presupposti per poter far rivivere il precedente parere favorevole da parte del Comune al rilascio del permesso di costruire in sanatoria ma ciò non toglie che il privato interessato possa ripresentare una nuova domanda di sanatoria alla quale seguirà una nuova istruttoria.
In disparte, si noti che il mancato esercizio del potere sanzionatorio – repressivo da parte del Comune, che non ha ingiunto la demolizione delle opere abusive anche in assenza della sanatoria, non aggiunge nulla a quanto sopra esposto.

Infatti, gli abusi edilizi non sono soggetti a prescrizione e neppure il lasso di tempo trascrorso ingenera nel privato alcun legittimo affidamento sulla regolarità dell’opera e/o sulla circostanza che il Comune non interverrà, potendo l’Amministrazione ripristinare la situazione di legittimità e dunque sanzionare il privato, senza limiti di tempo.


C. B. chiede
giovedì 27/10/2022 - Calabria
“L'art. 36 D.p.r. 380/2001 ammette la sanabilità di opere abusive quando esiste la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto che alla presentazione della domanda; orbene, l'utente ha chiuso una veranda abusivamente quando era in vigore il "Piano Casa" senza aderirvi, attualmente il Piano Casa è ancora in vigore, si chiede se è possibile inoltrare sanatoria riferendomi al Piano Casa giacchè è la disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione che all'attualità, oppure devo assolutamente fare riferimento al PRG ?”
Consulenza legale i 07/11/2022
La questione posta nel quesito è molto interessante e dibattuta, avendo dato luogo a vari ed eterogenei filoni interpretativi.
Per inquadrare la fattispecie, è opportuno ricordare che il cosiddetto “Piano casa” trova in realtà la propria disciplina di dettaglio in una varietà di leggi regionali, con la conseguenza che è comunque sempre necessario fare riferimento alla specifica legislazione della “propria” Regione, che potrebbe non corrispondere esattamente a quanto previsto dalle altre (per la Calabria si deve avere ad oggi riguardo alla L.R. n. 21/2010, recante “Misure straordinarie a sostegno dell'attività edilizia finalizzata al miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale”, che è stato prorogato fino al 31 dicembre 2022 e che è destinato ad essere superato dalla L.R. n. 25/2022).
In ogni caso, va notato che in generale con l’espressione Piano casa ci si riferisce alla possibilità di attuare un aumento volumetrico delle abitazioni in deroga alle ordinarie regole urbanistico-edilizie, con tutto ciò che ne consegue in termini di interpretazione restrittiva delle relative norme.

Riguardo lo specifico aspetto oggetto del quesito, la recente giurisprudenza ha affermato che la normativa sul Piano Casa, riflettendo l'esigenza di promuovere gli investimenti privati nel settore dell'edilizia, reca, nell'intenzione dell'intesa raggiunta in Conferenza Stato — Regioni — E.E.L.L. da cui ha tratto origine, una disciplina di natura eccezionale in relazione a specifici interventi, destinata ad operare per un arco temporalmente limitato, sempre dietro presentazione di un'istanza che deve precedere la loro esecuzione e da cui deve, peraltro, emergere la rispondenza degli interventi medesimi agli specifici obiettivi di ottimizzazione del patrimonio edilizio e di sviluppo delle attività insediate sul territorio, perseguiti dal legislatore regionale. Sicché, l'estensione delle deroghe dalla stessa previste anche al procedimento di accertamento di conformità non può, in alcun modo, portare ad ammettere «benefici » ulteriori rispetto a quelli già eccezionalmente accordati, ma soprattutto deve rispettare rigorosamente anche i limiti previsti dalla specifica disciplina (T.A.R. Trieste, sez. I, 13 dicembre 2021, n. 371; T.A.R. Napoli, sez. II, 18 gennaio 2021, n. 394; T.A.R. Genova, sez. I, 20 giugno 2017, n. 538).
Ancora, è stato chiarito che quella sul Piano Casa non è una normativa di condono o di sanatoria ma, riflettendo l'esigenza di promuovere gli investimenti privati nel settore dell'edilizia, è una disciplina di natura eccezionale in relazione a specifici interventi, destinata ad operare per un arco temporalmente limitato, sempre dietro presentazione di un'istanza che deve precedere la loro esecuzione (Consiglio di Stato, sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 335, riferita alla normativa regionale della Campania).
Non sono mancati, tuttavia, i commentatori che sostengono la tesi opposta, argomentando sulla base della sentenza della corte costituzionale n. 107/2017, nonché le decisioni contrastanti con la giurisprudenza sopra ricordata (TAR Lecce, sez. III, 29 dicembre 2012, n. 1979).

L’art. 6, L.R. Calabria n. 21/2010, comunque, per quanto qui ci occupa stabilisce che gli interventi edilizi previsti nel Piano Casa non possono essere realizzati su immobili realizzati in assenza o in difformità dal titolo abilitativo.
È prevista una deroga solo per gli edifici abusivi che abbiano ottenuto il condono edilizio, a condizione che il titolo abilitativo in sanatoria sia stato rilasciato prima che venga presentata la SCIA o il permesso di costruire per accedere alle agevolazioni della detta legge regionale.
Il tenore di tali disposizioni, oltre ai principi espressi dalla più recente giurisprudenza, portano quindi a concludere per la non percorribilità della soluzione proposta nella richiesta di parere.

I. S. chiede
venerdì 26/08/2022 - Piemonte
“Buon giorno! premessa: (quesito per pratica edilizia in sanatoria, di unità immobiliare).
Informazioni generali: Fabbricato condominiale costruito in più lotti negli anni 1956-1963.
Il costruttore "come spesso succedeva" non esegue variante delle opere come realmente realizzate. L'unità al piano secondo (terzo fuori terra), era desumibile graficamente come da progetto approvato e depositato, un unico appartamento, poi in fase lavori e precedentemente la Fine lavori (nonché comprovanti nelle vendite succ. alla Fine Lav.) l'appartamento viene frazionato in due unità (già presente nell'agibilità/abitabilità...).
I problemi legati alla presente Sanatoria sono:
a) Le due unità immobiliari sono state separate già all'origine della costruzione chiaramente da un tramezzo interno che divide i due appartamenti,(oggetto di sanatoria) le aperture presenti “verso l’esterno” per sopperire alle areazioni aero-illuminanti del locale (come da norme igienico sanitarie) di cui nel progetto originario poste in un solo vano, in fase di costruzione sono state realizzate, una in un appartamento l’altra nel secondo appartamento confinante ed adiacente,(quindi una per ogni proprietà prospettanti sulla corte) che si affacciano su allineamento del muro perimetrale di facciata, Inoltre si precisa per maggior dettaglio, che sempre in fase di esecuzione della costruzione una di queste due aperture viene spostata .....migliorando la lontananza da quella del vicino. Purtroppo "non sufficientemente" (oggetto di sanatoria) perché oltremodo senza scendere nel merito della “tipologia di apertura” in quanto NON OGGETTO DI PARERE, si conviene ad oggi che la nostra finestra non rispetta la distanza dal vicino pertanto < ai 75 cm. (servitù di veduta, reciproca tra i confinanti)
Si richiede vs. parere:

1) Visto l’attuale orientamento degli uffici Comunali del nostro Comune, risulta necessario un vs. “Parere Legale” per “il mantenimento della stessa/e” ed a chiusura della ns. pratica edilizia.
considerato che: essendo un'opera ormai "consolidata nel tempo” ultra ventennale, in cui gli alloggi sono stati resi abitabili dal 01/Ottobre 1956, in cui sono intercorsi varie vendite sino ai giorni nostri (una delle prime vendite risulterebbe da planimetria allegata a Rogito Notarile n°10.546 Rep. Notaio Dott. XY del 31/10/1956...ecc.)
Essendo le due aperture ed altre sporgenze preesistenti (a distanza < 1,5 m) facenti parte del condominio, “vicine” e non a distanza, preso atto che le unità immobiliari sono state negli anni più volte trasferite con titolo di proprietà (vendite), che ad oggi non sono mai sorti problemi tra le proprietà, vista l’impossibilità di spostare le aperture (per simmetria verticale di prospetto, essendo un condominio) è possibile "derogare" agli art. 905-906 questa distanza tra vicini confinanti con scrittura privata, nonché sostenere “con Vs. parere” come atteso l’orientamento civilistico (sollevato completamente il nostro Comune da ogni responsabilità), in cui decorsi i tempi e nella fattispecie si possa applicare art. 1061 c.c. ?
Qualsivoglia Vs. aggiunta e/o rif. atta a sostenere la ns. ipotesi, risulta ben gradita
Porgo cordiali saluti”
Consulenza legale i 06/10/2022
In primo luogo, si nota che l’edificio in questione potrebbe anche appartenere alla categoria dei cosiddetti immobili ante ’67, cioè degli edifici che – se realizzati al di fuori del centro abitato e in porzioni di territorio non interessate da regolamenti edilizi o da piani regolatori – potevano essere costruiti legittimamente senza la necessità di un titolo edilizio.
Dato che non sembrano esservi dubbi sulla data dell’edificazione, potrebbe essere di aiuto verificare – qualora non sia stato già fatto - se l’immobile rientri in tale casistica, poiché ciò ridimensionerebbe la fattispecie dell’abuso.
Inoltre, si osserva che il fabbricato – pur con le problematiche relative alle distanze tra le aperture dei confinanti – possiede sia i requisiti sostanziali, sia il certificato di agibilità: anche questa è una circostanza che semplifica in modo favorevole al privato la questione, poiché il bene è idoneo in fatto e in diritto a ospitare la permanenza di persone a fini abitativi.

Svolte tali necessarie premesse, si nota che la richiesta del Comune è formulata al fine di verificare le condizioni per il legittimo rilascio del titolo edilizio, soprattutto considerato che si tratta di un titolo in sanatoria che deve essere conforme anche alla disciplina vigente al momento del suo rilascio.
Le osservazioni dell’ufficio tecnico non appaiono peregrine, posto che in effetti la situazione di mancato rispetto delle norme sulle distanze pare essere tollerata di fatto dagli attuali (e passati) proprietari dell’immobile, ma è priva di una veste di tipo formale che sancisca ad esempio l’esistenza di una servitù.
Le servitù, infatti, costituiscono un peso sul diritto di proprietà e possono essere costituite soltanto nei modi previsti dalle norme del Codice civile, ossia ad esempio mediante un contratto, per testamento ecc..
Anche nel caso dell’usucapione, che però non è sempre agevole ammettere quando si tratta di luci o vedute, è necessaria la pronuncia di un Giudice che sancisca l’esistenza di tale diritto di godimento su bene altrui.
In sostanza, deve esistere un titolo che costituisca in uno dei modi ammessi dalla legge la servitù, non essendo possibile a tal fine invocare la mera tolleranza reciproca, anche se prolungata per molto tempo.

Esclusa per ovvi motivi di risparmio di tempo e denaro la strada giudiziale, visto che i rapporti tra vicini sembrano essere buoni, è opportuno tentare di percorrere la strada contrattuale, che ammette anche la costituzione del diritto in questione con scrittura privata o con atto pubblico.
Tale atto, che deve essere sottoscritto da entrambe le proprietà interessate, che deve delineare le posizioni reciproche e possibilmente essere trascritto, potrebbe essere allegato alla richiesta di sanatoria, in modo da superare le contestazioni avanzate dal Comune in punto mancato rispetto delle distanze.
In ogni caso, è opportuno evitare il fai da te nella stesura dell’atto, facendosi invece assistere da un legale o da un notaio che potranno verificare in modo approfondito i vari assetti proprietari che non sono noti allo scrivente, e vagliare prima della sua sottoscrizione tale soluzione con il Comune (anche ad esempio preannunciando una bozza dell'atto), in modo da essere certi che quanto fatto sia condiviso dalla P.A. e ritenuto sufficiente ai fini del rilascio del titolo edilizio.

Luigi A. chiede
lunedì 16/05/2022 - Lombardia
“nel 1990 ho costruito una villetta in zona sottoposta a vincolo paesaggistico art.36 lettera C e D dgl 42/2004 sensibilità alta.
Il progetto approvato prevedeva un'altezza di metri 5,00 la costruzione è stata realizzata con una altezza di metri 5,30 solo sul lato nord. mentre sul lato sud l'altezza è quella di progetto.
Il PGT attuale consente altezze fino a 8,00 metri.
Volendo ristrutturare come posso comportarmi nella presentazione del nuovo progetto dove risulterebbe evidente la difformità.”
Consulenza legale i 23/05/2022
Una volta accertato che la difformità rilevata costituisca effettivamente un abuso, le opzioni si riducono sostanzialmente a due, ossia la rimessione in pristino per ricondurre l’opera allo stato previsto nel progetto e la richiesta di sanatoria ex art. 36, T.U. Edilizia.

Infatti, l’art. 34 bis, T.U. Edilizia, ha recentemente ridisegnato la nozione di tolleranze costruttive (che cioè non rilevano quali abusi edilizi), fino a comprendere:
1) le difformità relative all'altezza, a distacchi, a cubatura, alla superficie coperta e a ogni altro parametro delle singole unità contenute entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo;
2) solo per gli immobili non vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l'attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l'agibilità dell'immobile.
Nel nostro caso, dunque, tale norma non è invocabile, perché la modifica dell’altezza è superiore al due per cento e perché l’immobile si trova in una zona vincolata.

Appurato che la divergenza di quanto costruito rispetto al titolo determina in effetti un abuso, la sanatoria edilizia può essere ottenuta -come sopra accennato- mediante un’istanza di accertamento di conformità.
La condizione per avere un provvedimento favorevole è la doppia conformità dell’opera alla disciplina urbanistico edilizia vigente sia al momento dell’esecuzione dei lavori e sia al momento di presentazione della richiesta.
Quanto sopra, tuttavia, nella fattispecie non basta, in quanto è necessario considerare la situazione anche dal punto di vista paesaggistico, che presenta una regolamentazione ancora più rigida di quella -già stringente- prevista in ambito edilizio.
In relazione a quanto qui ci occupa, gli artt. 142 e 167 ammettono l’autorizzazione paesaggistica “postuma” (cioè rilasciata dopo la realizzazione delle opere) solo in caso di per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati.
In proposito, la giurisprudenza ha chiarito che "nei giudizi paesistici è utile solo il volume percepibile come ingombro alla visuale o come innovazione non diluibile nell'insieme paesistico. Un volume irrilevante ai fini urbanistici potrebbe creare un ingombro intollerabile per il paesaggio, e in questo caso sarebbe senz'altro classificabile come utile in base ai parametri estetici attraverso cui viene data protezione al vincolo paesistico. Reciprocamente, un volume utile ai fini urbanistici potrebbe non avere alcun impatto sul paesaggio, e dunque, in assenza di danno per l'ambiente, non potrebbe costituire un presupposto ragionevole per l'applicazione di una misura ripristinatoria” (T.A.R. Milano, sez. II, 11 giugno 2019, n. 1319 e precedenti ivi citati).

Nel caso di specie, quindi, vi è purtroppo il rischio che la sanatoria edilizia venga preclusa dall’insanabilità delle opere sul piano paesisitico, ma una valutazione più approfondita deve essere lasciata ad un tecnico sulla base della cognizione del concreto ed attuale stato dei luoghi.
Nell’ipotesi in cui quanto realizzato rientri nella definizione di volume ex art. 167, D.Lgs. n. 42/2004, non rimane altra strada che la rimessione in pristino.

G. G. chiede
mercoledì 06/04/2022 - Veneto
“Buongiorno. Possiedo un appartamento duplex in un condominio di 7 appartamenti.
Cercando si sanare il bagno, presente nella realtà, ma non nei disegni depositati in comune, il geometra ha notato che tutto il palazzo è stato costruito 100 cm fuori terra (realtà) contro i 20 cm fuori terra dei disegni. Quindi siamo 80 cm più alti. La pianta del palazzo misura 270 metri quadri . Siamo quindi soggetti ad una sanzione di cui ancora dobbiamo capire l ammontare, ma si prevede molto alta .
Io ho acquistato tramite agenzia 9 anni fa. Posso rifarmi su chi mi ha venduto l appartamento e sull agenzia immobiliare ?
Da considerare che ero a conoscenza della difformità del bagno, ma non di quella dell altezza del palazzo.
Quale sanzione dovrà applicare il comune nei confronti del condomino?
Dato che sono passati 22 anni dalla costruzione e che nessun proprietario era a conoscenza di questo aspetto. Siamo costretti a pagare la sanzione?
Ci sono associazioni a difesa di cittadini come noi vittime di costruttori, geometri e uffici tecnici collusi e complici nell operare al di fuori delle normative, solo perché 22 anni fa non si facevano controlli?
Grazie”
Consulenza legale i 14/04/2022
La presente risposta al quesito di natura civilistica posto in merito alla possibilità di rivalersi, per le spese da affrontare in seguito all’irrogazione della sanzione amministrativa per le menzionate irregolarità edilizie, nei confronti dell’agenzia immobiliare che ha svolto l’attività di mediazione della compravendita dell’immobile nonché dell’acquirente si basa sui seguenti assunti ricavabili dalle informazioni forniteci dal Cliente:

1. la compravendita dell’immobile è stata conclusa 9 anni fa;
2. il Cliente era a conoscenza della difformità edilizia relativa al bagno
3. attivandosi per portare a compimento le attività di sanatoria della irregolarità di cui al precedente punto 2), il Cliente è stato informato dal professionista appositamente incaricato della difformità edilizia riguardante l’intero condominio di cui è parte l’appartamento di proprietà del Cliente.

Innanzitutto, è necessario specificare che l’abuso edilizio relativo ad un immobile può condurre a implicazioni di differente natura sulla relativa compravendita:
1. qualora si tratti di abuso edilizio grave - ovvero, nel caso in cui le irregolarità siano talmente gravi che se l’acquirente non l’avesse conosciute non avrebbe concluso la compravendita - il contratto di compravendita immobiliare deve considerarsi nullo;
2. qualora le irregolarità edilizie, non conoscibili dal Cliente al momento della compravendita, espongano l’acquirente al pagamento di sanzioni amministrative ovvero incidano sul prezzo di compravendita dell’immobile, il medesimo ha diritto al risarcimento del danno patito.
Possiamo affermare con ragionevole certezza che, il caso di specie non possa essere ricondotto all’ipotesi prospettata al punto 1). La difformità edilizia descritta dal cliente, infatti, all’esame dello scrivente non risulta essere tale che avrebbe dissuaso il Cliente dall’acquisto dell’Immobile qualora egli l’avesse conosciuta al momento della compravendita.

Potendosi affermare, quindi,che l’irregolarità edilizia in analisi implicherà l’irrogazione di una sanzione amministrativa nei confronti dell’acquirente, si rileva quanto segue.

Il Cliente ha la possibilità di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno nei confronti del Venditore che ha taciuto le difformità edilizie relative all’intero complesso immobiliare.
L’azione potrà essere intentata altresì nei confronti dell’agenzia immobiliare coinvolta nella compravendita, in linea di quanto affermato dalla Corte di Cassazione con Ordinanza. n. 784/2020: “il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico specifico, a svolgere nell’adempimento della sua prestazione particolari indagini di natura tecnico – giuridica (come l’accertamento della libertà da pesi dell’immobile oggetto del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali ed ipotecarie) allo scopo di individuare fatti rilevanti ai fini della conclusione dell’affare, è pur tuttavia gravato, in positivo, dall’obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che è richiesta in relazione al tipo di prestazione, nonché, in negativo, dal divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su fatti dei quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle; cosicché, qualora il mediatore infranga tali regole di condotta, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l’effetto, dal cliente.
L’azione giudiziale esperibile dal Cliente è soggetta al termine prescrizionale di dieci anni, che decorre - non dal momento della conclusione della compravendita, conclusa comunque non più di 9 anni fa - ma dal momento in cui l’irregolarità edilizia è stata conosciuta dall’acquirente o sarebbe risultata conoscibile allo stesso secondo l’ordinaria diligenza. In virtù di quanto affermato in punto di prescrizione, possiamo affermare che il diritto del Cliente ad esperire l’azione di risarcimento del danno non risulta prescritto.


Infine, è necessario precisare che la domanda giudiziale proposta del Cliente sarà probabilmente accolta nei limiti delle somme irrogate a titolo di sanzione per le difformità di cui egli non era a conoscenza, con esclusione della parte relativa a quelle riguardanti il bagno.

Passando oltre gli aspetti più strettamente civilistici, è necessario prima di tutto di inquadrare a livello giuridico l’abuso che interessa l’edificio in discorso.
Si tratta di una distinzione importante, oltre che sul piano sanzionatorio, anche per quanto concerne le somme da versare quale oblazione per la richiesta di sanatoria.
Il T.U. Edilizia prende in considerazione diversi livelli di abuso, da quello più grave degli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali (artt. 31 e 32), a quello più lieve degli interventi eseguiti in parziale difformità (art. 34).
Nel nostro caso, sulla base di quanto emerge dal quesito, si potrebbe in ipotesi ricadere o nel caso di opera con variazioni essenziali o di difformità parziale.

Le variazioni essenziali possono consistere, ad esempio, in modifiche sostanziali dei parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza, nonché nel mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito.
In questo ambito, uno spazio rilevante è stato lasciato dal Legislatore nazionale alle Regioni, che hanno il compito di definire cosa nello specifico debba intendersi per variazioni essenziali.
L’art. 92, comma 3, lettera c), L. R. Veneto n. 61/1985, qualifica come tali gli interventi “che comportino un aumento della cubatura superiore a 1/ 5 del volume utile dell’edificio o un aumento dell' altezza superiore a 1/ 3, con esclusione delle variazioni che incidono solo sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative”.
La difformità parziale, invece, è una categoria residuale che presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall'autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, quando le modificazioni si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera (Consiglio di Stato sez. VI, 06 giugno 2021, n. 6218; Consiglio di Stato sez. VI, 30 marzo 2017, n. 1484).
Per entrambe tali categorie la sanzione è quella della demolizione, con la possibilità -per il solo caso di difformità parziale- di mantenere in essere l’opera quando sia impossibile eliminare la parte abusiva senza intaccare la parte legittima mediante il pagamento di una sanzione pecuniaria pari a doppio del costo di produzione, stabilito in base alla L. n. 392/1978 (la cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso).

Ciò detto, è presumibile che il tecnico incaricato stia predisponendo la presentazione di un accertamento di conformità ex art. 36 del T.U., cioè una richiesta di sanatoria dell’abuso che consente di regolarizzare l’immobile a livello edilizio.
In questo caso, è previsto il versamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, che è a sua volta commisurato, ai sensi dell’art. 16 TU. Edilizia, all'incidenza degli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione.
Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, però, l'oblazione è calcolata con riferimento non a tutta l’opera, ma solo alla parte difforme dal permesso; di qui l’importanza di distinguere le due ipotesi di abuso.
Non è possibile, tuttavia, in questa sede determinare in modo specifico la somma da sborsare, in quanto si tratta di parametri che dipendono dalle caratteristiche dell’immobile e da tabelle approvate da ogni Comune.

Purtroppo, il fatto di non essere responsabili delle difformità, avendo acquistato l’immobile anni dopo la sua costruzione, non esime gli attuali proprietari dal fronteggiare le conseguenze pregiudizievoli dell’abuso, per vari ordini di ragioni.
Anzitutto, gli abusi edilizi possono essere perseguiti in ogni tempo dal Comune, anche a distanza di molti anni dalla realizzazione dell’attività costruttiva, con la conseguenza che non è possibile invocare alcuna sorta di prescrizione o decadenza dei poteri repressivi pubblici, né tantomeno il legittimo affidamento.
Inoltre, come chiarito dalla giurisprudenza “le sanzioni urbanistiche ed edilizie hanno natura reale, ossia attengono alla cosa e non hanno carattere personale. L'ordinanza di demolizione è, infatti, rivolta a sanzionare una situazione di fatto oggettivamente antigiuridica e può essere rivolta a chiunque si trovi ad essere proprietario dell'immobile al momento dell'emanazione del provvedimento, pur se estraneo all'illecito, per cui, pur restando ferma la possibilità di dimostrare l'estraneità rispetto all'abuso e di rivalersi nei riguardi del dante causa, le misure repressive per l'attività edilizia abusiva sono legittimamente irrogate nei confronti degli attuali proprietari degli immobili diversi dal soggetto che ha realizzato l'abuso stesso, salva la loro facoltà di agire nei confronti dei danti causa; lo stesso è a dirsi con riferimento alle sanzioni pecuniarie, la cui alternatività rispetto all'ordine di demolizione comporta che esse ne condividano il carattere reale e ripristinatorio dell'ordine giuridico violato, sicché le stesse possono essere rivolte anche nei confronti dell'attuale proprietario pure se incolpevole e in buona fede” (T.A.R. Ancona, sez. I, 04 novembre 2020, n. 637).
Infine, nell’ipotesi auspicabile in cui venga chiesto l’accertamento di conformità, gli instanti che si rapportano con la P.A. e che beneficiano della sanatoria sono gli attuali proprietari dell’immobile e sono loro quindi ad essere chiamati a sopportare i relativi oneri e costi, ferma restando la possibilità -sopra esaminata- di rivalersi in seguito sui soggetti responsabili sotto il profilo civilistico.

In merito all’ultima domanda, invece, non sono note allo scrivente associazioni specifiche che si occupino di questa tematica, ricordando comunque che la strada più sicura da seguire è quella di rivolgersi ad un legale esperto in materia, con l’incarico di predisporre le iniziative giudiziarie necessarie per recuperare almeno in parte i costi sostenuti per porre rimedio all’attuale situazione.

E. M. chiede
lunedì 21/03/2022 - Sardegna
“Anni fa’ ho chiuso il terrazzino con una veranda in alluminio a vetri. Ora dovendo il condominio accedere alla ristrutturazione col 110 %, dall’architetto mi è stato detto che la devo rimuovere non avendo a suo tempo fatto la richiesta al comune.
Cosa posso fare per tenere tale struttura ?
Grazie”
Consulenza legale i 23/03/2022
Per costante giurisprudenza, la realizzazione di una veranda con chiusura di un balcone comporta la costituzione di un nuovo volume, che va a modificare la sagoma di ingombro dell'edificio e richiede perciò il rilascio del permesso di costruire ex art. 10 T.U. Edilizia (ex multis, Consiglio di Stato sez. II, 10 dicembre 2021, n. 8227; Consiglio di Stato, sez. II, 23 ottobre 2020, n. 6432; Consiglio di Stato, sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1092).
L’opera oggetto del quesito eseguita senza il necessario titolo abilitativo costituisce, dunque, un abuso edilizio sanzionabile anche penalmente ai sensi dell’art. 44 T.U. Edilizia.

Per ottenere la sanatoria di quanto fatto ed evitare conseguenze pregiudizievoli, l’unico strumento attualmente previsto dall’ordinamento è l’accertamento di conformità di cui all’art. 36, T.U. Edilizia, che si può ottenere solo in presenza dello stringente requisito della doppia conformità.
In breve, il manufatto può essere regolarizzato solo a condizione che sia ammesso dalla disciplina urbanistico-edilizia vigente sia al momento della sua costruzione e sia al momento della richiesta di sanatoria.
Ai fini del rilascio del permesso in sanatoria è richiesto, inoltre, il pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia.

Si consiglia, dunque, di rivolgersi quanto prima a un tecnico per verificare la sussistenza nel caso di specie dei presupposti per l’esito positivo della sanatoria e per la predisposizione della domanda da inviare al Comune.
Nell’ipotesi in cui la condizione della doppia conformità non sia soddisfatta, non vi è purtroppo altra soluzione che la demolizione della veranda abusivamente realizzata.

Anonimo chiede
martedì 14/12/2021 - Lombardia
“Buongiorno,
un amico (Tizio) ha ereditato dal padre un appartamento al 100% ubicato in una piccola palazzina e una quota pari al 50% delle pertinenze (giardino, locale magazzino in corpo separato, sottotetto, locale al piano terreno adibito a ricovero auto e lavanderia); quindi l'appartamento è suo al 100% mentre le pertinenze sono in comune al 50% con altro appartamento (si tratta infatti di una palazzina con due soli appartamenti, ogni appartamento è di proprietà esclusiva di una persona, rispettivamente Tizio e Caio, mentre le pertinenze sono in comune tra i due).
Tizio vuole vendere, ed ha trovato un potenziale acquirente, ma ci sono alcune irregolarità edilizie nelle parti comuni; Tizio vorrebbe regolarizzare il tutto, ripristinando, ma Caio, l'altro comproprietario, si oppone.

Leggevo che la Cassazione (sentenza n. 3873 del 16 febbraio 2018 a Sezioni Unite) ha affermato il principio di diritto secondo cui la costruzione eseguita dal comproprietario sul suolo comune diviene per accessione, ai sensi dell'articolo 934 cc, di proprietà comune agli altri comproprietari del suolo, ai quali, tuttavia, SPETTA IL DIRITTO DI opporsi e CHIEDERNE LA DEMOLIZIONE.

Tizio può inviare una raccomandata a Caio comunicandogli che entro 30 giorni

- intraprenderà i lavori di ripristino per ciò che non fosse sanabile e

- presenterà istanza all'Ufficio Tecnico per sistemare le difformità edilizie sanabili

e, anche se Caio si opponesse, chiamare un'impresa edile e fare eseguire i lavori di ripristino (Tizio sarebbe disposto anche a farli eseguire a sue spese) e presentare da solo istanza all'Ufficio Tecnico per sistemare le difformità edilizie sanabili, oppure se Caio si opponesse dovrebbe necessariamente andare per vie legali con tempi lunghi?

Grazie

(Qualora pubblicaste il quesito chiedo di NON indicare il mio nominativo)
Consulenza legale i 21/12/2021
La normativa principale di riferimento per la presente vicenda è contenuta nel D.P.R. 380/2001 il quale all’'art. 11 comma 1 stabilisce che "il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo".
Il successivo art. 36 stabilisce altresì che in ipotesi di sanatoria di un abuso edilizio la relativa domanda possa essere presentata dal "responsabile dell'abuso", o da “l'attuale proprietario dell'immobile”.
L’art. 934 del codice civile citato nel quesito non ha alcuna attinenza al caso in esame.

Ciò posto, in caso di comproprietari la domanda in sanatoria non può essere presentata da uno soltanto.
Sul punto, la giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante.
Ad esempio, con la sentenza n.3823 del 2016 è stato affermato che: “In caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile […] la domanda di rilascio di titolo edilizio - sia esso o meno titolo in sanatoria di interventi già realizzati - dovrà necessariamente provenire congiuntamente da tutti i soggetti vantanti un diritto di proprietà sull'immobile, potendosi ritenere d'altra parte legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l'esistenza di una sorta di cd. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari”.
Il Consiglio di Stato ha ribadito tale principio anche nella più recente sentenza n.1766/2020 dove ha sottolineato che deve “ritenersi illegittimo il titolo abilitativo rilasciato in base alla richiesta di un solo comproprietario, dovendo l’Amministrazione verificare la sussistenza, in capo al richiedente stesso, di un titolo idoneo di godimento sull’immobile ed accertare, altresì, la legittimazione soggettiva di quest’ultimo, la quale presuppone il consenso, anche tacito, dell’altro proprietario in regime di comunione”.

Alla luce di quanto precede, ed in risposta al quesito, possiamo osservare quanto segue.
Tizio può sicuramente inviare una raccomandata a Caio comunicandogli che entro 30 giorni intende dare avvio alla pratica di sanatoria.
Tuttavia, laddove Caio confermi la sua opposizione non potrà presentare in autonomia la domanda ( o meglio, in astratto potrebbe anche farlo ma l’istanza poi non verrebbe accolta e, se accolta, sarebbe suscettibile di annullamento).
Tizio, dunque, di fronte all’opposizione dell’altro comproprietario potrà intraprendere un’azione di risarcimento danni nei confronti di Caio laddove a causa della sua opposizione non potrà vendere l’immobile.
Quanto alla ipotizzata autodenuncia essa non appare consigliabile a fini pratici.
Infatti, il comproprietario potrebbe impugnare l'eventuale ordinanza della PA ed in tal caso, in attesa della decisione del ricorso, i tempi si dilaterebbero ancora di più.

Paolo S. chiede
giovedì 25/02/2021 - Toscana
“Abuso: costrzione a 30 cm dal confine invece che sul confine o a 5 m come prevede il prg.
Ordine di demolizione entro 90 giorni.
Richiesta di sanatoria : per "difformità interne ed esterne" il 03/08/2015.
Sanatoria rilasciata il 14/02/2020.
Chiedo: "pronuncia entro 60 giorni, decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata", del comma 3 art.36, è un termine perentorio con conseguente impossibilità di rilasciarla in seguito?”
Consulenza legale i 01/03/2021
La previsione del terzo comma dell’art. 36, T.U. Edilizia costituisce una ipotesi tipica di silenzio rigetto, ossia un silenzio significativo al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego (Consiglio di Stato, sez. IV, 01 febbraio 2017, n. 410; T.A.R. Roma, sez. II, 11 giugno 2020, n. 6394).
In sostanza, in forza di tale norma l’inerzia della Pubblica Amministrazione nel termine di sessanta giorni dalla richiesta di accertamento di conformità equivale ad un provvedimento sfavorevole.
La funzione di tale istituto è quella di evitare che l’interessato venga lasciato in un “limbo” a causa alla mancata risposta del Comune, dandogli la possibilità di rivolgersi al competente TAR per far valere le proprie ragioni.

Nella fattispecie, tuttavia, si nota che la P.A. non è rimasta silente di fronte alla domanda di accertamento di conformità, avendo invece instaurato un lungo procedimento amministrativo.
In particolare, all’istanza dell’agosto 2015 sono seguiti il parere della Commissione Edilizia (ottobre 2015), il deposito di integrazioni documentali (febbraio 2016), la realizzazione di opere di adeguamento richieste dalla Commissione (terminate nel novembre 2017), nuove integrazioni documentali e la quantificazione e il pagamento della sanzione (dicembre 2019-gennaio 2020).
Pertanto, nel nostro caso il comma 3 dell’articolo in esame non trova applicazione e il decorso del relativo termine non ha comportato la formazione di alcun provvedimento sfavorevole, posto che non vi è stata alcuna inerzia dell’Amministrazione, ma semplicemente l’espletamento di un (seppur prolungato) iter procedimentale ed istruttorio, che si è concluso nel febbraio 2020 con l’accoglimento dell’istanza.

Infine, per completezza si rileva che il provvedimento finale è ormai divenuto definitivo in quanto è anche già trascorso il termine decadenziale di sessanta giorni per l’impugnativa di fronte al TAR da parte di altri soggetti interessati (ad es. i confinanti).
L’unico modo, dunque, in cui la sanatoria già concessa astrattamente potrebbe venire meno è un (allo stato improbabile) intervento del Comune in autotutela, che andrebbe comunque esercitato nei tempi, nei modi e con le garanzie stabiliti dall’art. 21 novies, L. n. 241/1990.

D. M. chiede
martedì 30/07/2024
“Buongiorno, vorrei una vostra consulenza tecnica riguardo ad una sanatoria effettuata per una ristrutturazione edilizia nel 2012.
Nello specifico, nel 2012 ho acquistato un vecchia casa, a seguito con una semplice comunicazione, ho informato l'ufficio tecnico comunale che avrei eseguito dei lavori di piccola entità, livellamento pavimenti, rifacimento intonaci, sistemazione tegole tetto.
Durante l'esecuzione dei lavori, ho constatato che il solaio era realizzato in legno e idem la scala che portava al primo piano e quindi ho ritenuto opportuno di realizzare un solaio in latero cemento con travi IPE e la scala in C.A.

Per qualche strano motivo, nel 2019 a distanza di 7 anni, a seguito di un controllo, il tecnico comunale a verificato ha constatato che i lavori eseguiti non corrispondevano a quelli comunicati e di conseguenza mi ha ordinato la demolizione.
Mi sono adoperato e con l'aiuto di un ingegnere abbiamo trasmesso una SCIA in sanatoria corredata di parere sismico positivo da parte della Regione Calabria ho pagato la sanzione minima di 516 euro ed il comune non si è mai espresso in merito.

Il 23/07/2024, a distanza di più di 5 anni, l'ufficio tecnico comunale mi ha notificato una sanzione di € 2 000,00 per non aver ottemperato all'ordinanza di demolizione.

Ora considerate le svariate sentenze che dicono tutto ed il contrario di tutto, gradirei una vostra consulenza in merito

Saluti”
Consulenza legale i 06/08/2024
La risposta al suo quesito attiene al significato del silenzio serbato dal Comune a fronte della SCIA in sanatoria da lei presentato.
Come da lei sottolineato, il valore di detto silenzio non è chiaro tant’è che la giurisprudenza ha elaborato diverse tesi.
Secondo un primo filone giurisprudenziale il silenzio sull'istanza di sanatoria di cui agli artt. 36 e 37, comma 4, D.P.R. n. 380 del 2001 sarebbe da qualificarsi come silenzio rigetto.
Pertanto, anche qualora la procedura dell’accertamento di conformità sia esperita in relazione a un intervento edilizio oggetto di SCIA, opererebbe il meccanismo del silenzio-rigetto previsto dall'art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001 (T.A.R. Milano, Sez. I, 21.3.2017, n.676; TAR Campania, Sez. III, 18.5.2020, n.1824; T.A.R. Campania, Sez. II, 10.6.2019, n.3146), con il relativo onere di impugnazione, da parte del privato interessato, qualora, a fronte del decorso del termine, non vi sia una pronuncia espressa della P.A. procedente, onde evitare il consolidamento della posizione lesiva a proprio sfavore.
Un altro orientamento è nel senso di ritenere che il silenzio della Pubblica Amministrazione debba qualificarsi come assenso (T.A.R. Campania, Salerno, sentenza n. 809/2022).
L’orientamento prevalente qualifica l’inerzia della Pubblica Amministrazione sulla SCIA in sanatoria come silenzio inadempimento vale a dire come una mancata risposta (si veda, ex multis, TAR Lazio n. 3851/2020; Consiglio di Stato n. 1708/2023 quest’ultimo proprio su un procedimento di SCIA in sanatoria trattato da un Comune calabrese).
Come chiarito nelle pronunce citate, l'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo DPR n. 380/2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento.
Dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio.
Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell’amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della SCIA, come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio.
Ne deriva che il Comune deve pronunciarsi, con un provvedimento espresso, sulla SCIA in sanatoria, previa verifica dei relativi presupposti di natura urbanistico-edilizia di cui al citato art. 37 DPR n. 380/2001.
Conclusivamente, quindi, si può affermare che nel suo caso, non avendo il Comune adottato alcun provvedimento espresso né essendo stata da lei era presentata un’impugnazione volta ad accertare il silenzio inadempimento, il procedimento di sanatoria non si è concluso positivamente cosicché le opere continuano a considerarsi abusivamente realizzate.


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