L’accertamento di conformità disciplinato in passato dall'art. 13, L. n. 47/1985, e oggi previsto dall’articolo in commento costituisce lo strumento tipico per ordinariamente ricondurre alla legalità gli
abusi edilizi di natura formale, ossia dovuti alla mera carenza del titolo abilitativo.
Infatti, la caratteristica fondamentale di tale sanatoria consiste nel fatto che essa può essere chiesta ed ottenuta soltanto qualora sussista il requisito della
doppia conformità dell’opera sia alla normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della realizzazione, sia a quella in vigore al momento della presentazione dell’istanza ai sensi dell’articolo 36.
Nella vigenza dell'art. 13, L. n. 47/1985, si era sviluppato un filone di decisioni del Giudice Amministrativo che ammettevano la cosiddetta
“sanatoria giurisprudenziale”, ritenendo sufficiente la sussistenza della conformità al momento in cui la P.A. provveda sulla relativa domanda.
Infatti, si riteneva contrastante con il principio di economicità negare la regolarizzazione ad interventi edilizi realizzati senza titolo ma che, al momento dell’esame della richiesta di sanatoria, fossero conformi agli strumenti urbanistici e che, dunque, dopo essere stati demoliti avrebbero potuto essere ricostruiti tal quali.
Tale orientamento, tuttavia, è stato abbandonato dalla giurisprudenza prevalente, sulla considerazione che esso si traduce in un sostanziale incentivo alla commissione di abusi edilizi, nella speranza di una successiva modifica in senso favorevole degli strumenti di pianificazione, con il risultato di far condizionare dal fatto compiuto il potere di governo del territorio che spetta all’Amministrazione, con evidente pregiudizio anche al principio del buon andamento.
Peraltro, il requisito della doppia conformità è ritenuto dalla giurisprudenza costituzionale come un
principio fondamentale della materia del
governo del territorio, come tale non derogabile ad opera della legislazione regionale.
Il procedimento non può essere avviato d’ufficio dalla P.A. , ma è necessaria la domanda da parte dei soggetti legittimati, che sono gli stessi soggetti destinatari dell’ordine di demolizione e rimessione in pristino, ossia il
responsabile dell’abuso e
il proprietario dell’immobile.
Per le opere di cui all’art.
31 del Testo Unico, l’istanza deve essere promossa entro
90 giorni dall’ingiunzione a demolire, mentre per le opere di cui agli artt.
33 e
34 del Testo Unico, bisogna avere riguardo al termine fissato discrezionalmente nell’ordinanza di demolizione e rimessione in pristino.
Quanto agli effetti della richiesta di accertamento di conformità sui provvedimenti sanzionatori già emessi dal Comune, la giurisprudenza più recente ritiene che la domanda non determini alcuna inefficacia sopravvenuta, o caducazione, ovvero invalidità dell'ingiunzione di demolire, bensì esclusivamente uno stato di quiescenza e di temporanea non esecutività del provvedimento, finché perduri il termine di decisione previsto dalla legge e non si sia formato l’eventuale atto tacito di diniego.
L'eventuale conclusione, in senso sfavorevole al richiedente, del procedimento di sanatoria provoca, quindi, l'automatica riespansione dell'efficacia dell'ordine di demolizione, senza che la P.A. possa dirsi tenuta a rinnovare il potere sanzionatorio.
In tal caso, il calcolo del termine concesso per l'esecuzione spontanea del ripristino dello stato dei luoghi decorre dal momento in cui il diniego perviene a conoscenza dell'interessato, anche nella forma del silenzio rigetto previsto dalla normativa richiamata.
Si registrano, in ogni caso, varie decisioni che ritengono invece necessario che l’Amministrazione provveda ad emettere una nuova ordinanza di demolizione delle opere abusive.
Ai fini del rilascio del permesso in sanatoria, comunque, è richiesto all’istante il pagamento di un’oblazione, calcolata secondo i criteri sanciti dal comma 2 della norma in esame.