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Articolo 1470 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Nozione

Dispositivo dell'art. 1470 Codice Civile

La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto(1) verso il corrispettivo di un prezzo [1376, 1465](2).

Note

(1) La vendita è un contratto consensuale (1376 c.c.) e traslativo, con il quale, cioè, si attua il trasferimento o la costituzione di un diritto; non è, per sua natura, aleatoria (1469 c.c.). Oggetto del trasferimento possono essere anche beni complessi come, ad esempio, un'eredità (1542 c.c.); il codice prevede, dopo una disciplina generale e valevole per ogni tipo di vendita (1470 ss. c.c.), una serie di norme specifiche a seconda dell'oggetto del contratto (v. 1510 ss. c.c.).
(2) Il prezzo è elemento essenziale della fattispecie e, di regola, consiste in una somma di denaro. Esso distingue la fattispecie dalla permuta (1552 c.c.) in cui vengono scambiati due beni. Inoltre, esso non deve essere meramente simbolico, poiché altrimenti si avrebbe una fattispecie definita dai romani come vendita nummo uno che, secondo l'inquadramento odierno, costituisce un'ipotesi di donazione (769 c.c.).

Ratio Legis

Il legislatore del 1942 pone l'accento sul momento reale del contratto di vendita, che ne costituisce il contenuto essenziale. Ciò produce una marcata distinzione rispetto alla definizione dell'istituto di cui al codice civile del 1865, il cui art. 1447 recitava: "La vendita è un contratto, per cui uno si obbliga a dare una cosa e l'altro a pagarne il prezzo".

Brocardi

Addictio in diem
Adversus hostem aeterna auctoritas
Emptio consensu peragitur
Nummo uno
Pactum addictionis in diem
Pactum de retroemendo
Pretium
Sine pretio nulla venditio

Spiegazione dell'art. 1470 Codice Civile

Innovazioni

La vendita — dice l'articolo in esame — è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo.
Rispetto al codice del 1865 le due più importanti innovazioni dell'art. 1470 sono la definizione del contratto di vendita come contratto traslativo della proprietà di una cosa o di un altro diritto; e il considerarsi come vendita anche il trasferimento di altri diritti.
Però la cessione dei crediti essendo regolata a parte dagli articoli 1260 a 1267 cod. civ., il capo primo della vendita comprende sostanzialmente la vendita di cose mobili ed immobili e la vendita di eredità.


Vendita di diritti assoluti

Anche la vendita di azienda può considerarsi disciplinata dalle norme scritte per la vendita: ugualmente (salvo pere le disposizioni delle leggi speciali) la vendita di altri diritti assoluti, analoghi al diritto di proprietà, quali la vendita di diritti d'autore, di insegna, di marchio, di attestati di privativa o di modelli di fabbrica, ecc.


Trasferimento della proprietà della cosa venduta

La formulazione dell'art. 1470 cod. civ. (diversamente da quella dell'art 1447 codice del 1865: "la vendita è un contratto per cui uno si obbliga a dare una cosa e l'altro a pagarne il prezzo") toglie ogni dubbio: per l'art.1470 cod. civ. il venditore deve trasferire la proprietà della cosa che vende.

Sotto l'impero del codice del 1865 taluni scrittori consideravano come elemento naturale, ma non essenziale della vendita, il trasferimento della proprietà. E generalmente non mancano lodi al sistema romano nel quale per la vendita non sempre si richiede che il venditore trasferisca la proprietà al compratore, bastando che questi abbia la cosa.
Anche sotto l'impero del codice del 1865 doveva il venditore trasferire la proprietà al compratore. Il compratore in buona fede di cose mobili non aveva di che dolersi se era immune da rivendicazione (art. 707 a 709 codice del 1865) come oggi il compratore in buona fede di cosa mobile non soggetta ad iscrizione in pubblici registri non ha interesse ad agire contro il venditore: il compratore impossessato in buona fede al momento della consegna, ed acquirente in virtù di titolo idoneo al trasferimento della proprietà, ne acquista la proprietà, (art. 1153 codice del 1942) e quindi non ha interesse a chiamare in giudizio il venditore che gli abbia venduto cosa altrui.
Se il compratore di cosa mobile ignorava che non era del venditore può pretendere che il venditore gliene acquisti la proprietà, e può agire in garanzia se evitto.
Ma anche per il codice del 1865 — benché non vi fosse esplicitamente scritto l'obbligo del venditore di trasferire al compratore la proprietà della cosa venduta - il venditore vi era obbligato, né il compratore doveva aspettare di essere evitto per poter agire contro il venditore. Infatti la vendita civile di cosa altrui era dichiarata nella e il compratore ignaro che la cosa non era del venditore poteva averne risarcimento del danno: art. 1459 codice del 1865. Anche nella vendita commerciale di cosa altrui il venditore doveva acquistare e trasferire la cosa sotto pena del risarcimento dei danni: art. 59 cod. di commercio del 1882, come oggi, sotto l'impero del cod. civ. del '42, se al momento del contratto la cosa venduta non era di proprietà del venditore, questi è obbligato a procurarne l'acquisto al compratore; e se il compratore al tempo del contratto ignora non essere la cosa del venditore può chiedere la risoluzione del contratto se il venditore non gliene ha fatto acquistare la proprietà.
Per cosa parzialmente altrui il compratore può chiedere talora la risoluzione del contratto, talora una riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno. Inoltre il compratore può sospendere il pagamento del prezzo se ha ragione di temere che la cosa o una parte di essa possa essere rivendicata da terzi, salvo che il venditore presti idonea garanzia: solo se il pericolo era noto al compratore al tempo della vendita il pagamento non può essere sospeso : art. 1478 a 1481 cod. civ..


Vendita di cosa altrui

Dunque non il fatto del pericolo attuale dell'evizione, ma il semplice fatto che la cosa non era del venditore e perciò può essere rivendicata, autorizza il compratore ad agire contro il venditore. Il compratore non è tutelato solo contro il pericolo attuale dell'evizione, ma è tutelato per il solo fatto che non gli ha trasferito la proprietà il venditore. Che è quanto dire che oggetto della vendita è il trasferimento della proprietà al compratore.

Il più delle volte il compratore non ignora di avere acquistato cosa in tutto o in parte non di proprietà del venditore: caso non infrequente nell'acquisto d'immobili indivisi, di proprietà in parte di assenti o di emigrati. Il compratore corre l'alea dell'evizione e non ha a dolersi finché non ve ne è pericolo. Ma fuori di questo caso ha ben ragione di dolersi se non gli è stata trasferita la proprietà. Solo quando stesse per compiersi l'usucapione e da circostanze sicure risultasse inverosimile il pericolo dell'evizione, potrebbe respingersi per mancanza d'interesse l'azione del compratore.


Contratto obbligatorio

Poiché il contratto di vendita ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa, il consenso delle parti è sufficiente a trasferire la proprietà come già stabilisce l'art. 1376 cod. civ. che così disciplina i contratti con effetti reali: nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata (species) la costituzione o il trasferimento di un diritto reale o il trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato.
Ugualmente dispone l'art. 1377 cod. civ. (concernente il trasferimento di una massa di cose) quando oggetto del trasferimento è una determinata massa di cose, anche se omogenee: in tal caso la proprietà si trasmette per effetto del consenso ancorché per determinati effetti (ad es. per la determinazione del prezzo stabilito unitariamente) le cose devono essere numerate, pesate o misurate. È la vendita in massa nella quale le cose fungibili, per essere individuate dalla massa medesima, non hanno più bisogno di ulteriore determinazione o individuazione e si considerano non già come genus ma come species.

Quando invece il contratto ha per oggetto il trasferimento di genus, cioè di cose determinate solo nel genere, non è materialmente possibile che il consenso delle parti trasferisca la proprietà. La volontà delle parti non ha potuto avere per oggetto singole cose individuate e deter­minate nella mente dei contraenti.
Perciò non basta il consenso a trasferire la proprietà: occorre un atto ulteriore che è l'individuazione fatta d'accordo fra le parti o nei modi da esse stabiliti. La specificazione, cioè la determinazione delle cose di genere, la loro individuazione, la loro separazione dalle restanti cose del venditore non ha nulla a che fare con la consegna al compratore. Benché specificate, le cose vendute possono ancora restare nei magazzini del venditore o di un terzo perché ad es. saranno consegnate al compratore solo quando questi ne pagherà il prezzo.
Ma con la specificazione il contratto si è veramente perfezionato e da obbligatorio è diventato contratto con effetto reale. La proprietà e con essa i rischi e pericoli sono ormai passati al compratore.

Il carattere distintivo tra la semplice promessa di vendita e la vendita perfetta risiede in ciò: che in questa la prestazione del consenso dei paciscenti e diretta al trasferimento della proprietà, mentre nella promessa di vendita è diretta ad obbligare le parti ad una ulteriore manifestazione di volontà per dar vita alla effettiva traslazione del dominio.


Acquisto di buona fede

Le cose mobili una volta individuate (se, non trattandosi di species, ma di genus, occorre la specificazione) e consegnate diventano proprietà dell'acquirente di buona fede anche se prima che a lui sono state vendute ad altri. Fra più aventi causa dallo stesso alienante è preferito chi primo, in buona fede (non sapendo cioè di far torto ad altri) conseguì il possesso (1380 cod. civ.) come chi primo trascrive è preferito a chiunque altro assume aver acquistato diritti confliggenti, pur se abbia acquistato anteriormente: 2644 cod. civ. Il possesso di buona fede di cose mobili, la trascrizione o la pubblicazione di diritti reali immobiliari sono assunti dalla legge come criterio di preferenza.
Non v'e altro mezzo più sicuro di dirimere conflitti altrimenti di impossibile soluzione: l'apparenza del possesso di buona fede, la pubblicità ipotecaria mettono chiunque in condizione di evitare sgradevoli sorprese, per poco che l'acquirente sia accorto nelle indagini.


Individuazione della cosa

L'art. 1378 cod. civ., nel disciplinare la specificazione precisa (come era già pacifico) stabilisce che trattandosi di cose che devono essere trasportate da un luogo ad un altro l'individuazione avviene anche mediante la consegna al vettore o allo spedizioniere.
E non potrebbe essere diversamente. La cosa è evidente se la consegna e stata fatta allo spedizioniere abituale del compratore che può considerarsi come la persona proprio da lui indicata per ricevere la cosa comprata : art. 1188 cod. civ.
Lo stesso accade anche se la consegna è fatta ad altro spedizioniere o ad un qualsiasi vettore per essere consegnata al compratore: perché l'individuazione in tal caso ha luogo in maniera inequivocabile e cioè secondo forme abituali in commercio.


Prezzo

La caratteristica della vendita di cose o di altri diritti e il corrispettivo del prezzo: la prestazione del compratore tenuto a dare normalmente moneta nazionale.


Pagamento da parte di terzo

Quando un istituto diverso dal venditore paga per il compratore e da questi poi riscuote il prezzo e gli interessi a rate, si hanno due negozi distinti: il pagamento da parte di un terzo, ed il suo credito (a titolo di mutuo) verso il compratore. Credito che può essere munito di garanzie quali il privilegio da pubblicarsi ad es.: nel pubblico registro automobilistico od anche una riserva di proprietà a favore del mutuante: figura non abnorme se all'atto del pagamento chi paga intende surrogarsi in tutti i diritti del venditore.


Vendita all'incanto

Le norme sulla vendita si applicano integralmente - salvo rare eccezioni volta per volta stabilite dalla legge - anche alle vendite all'incanto, ad iniziative di case a ciò autorizzate (ad. es.: vendite di mobili o di oggetti d'arte, specie per conto di terzi) ovvero a vendite all'incanto in mercati pubblici, disciplinate da appositi regolamenti annonari.


Valore venale

La determinazione quantitativa del prezzo di contratto non fa stato rispetto all'amministrazione finanziaria autorizzata a determinare essa con le forme e con la procedura amministrativa prescritta dalle leggi di registro il valore venale, comunque sia incontestabilmente vero il prezzo dichiarato dalle parti. Solo per gli immobili venduti ai pubblici incanti non può la finanza accertare un valore venale diverso dal prezzo di aggiudicazione.

Distinzione da appalto e somministrazione

La giurisprudenza ha posto in rilievo la differenza che intercorre tra vendita, appalto e somministrazione e tale nozione merita essere sottolineata perché non sempre è facile distinguere un contratto dall'altro. Si ha vendita quando oggetto del contratto sia una semplice obbligazione di dare in modo che il contratto venga ad esaurirsi con la consegna della cosa; si ha appalto quando il contratto abbia per oggetto una prestazione complessa di dare e di fare e l'appaltatore assuma, con organizzazione dei mezzi necessari o con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio; si ha contratto per somministrazioni periodiche quando una parte si obblighi ad eseguire, in favore dell'altra, prestazioni periodiche o continuative di cose.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1470 Codice Civile

Cass. civ. n. 17123/2020

Nella vendita di immobili destinati ad abitazione, pur costituendo il certificato di abitabilità un requisito giuridico essenziale ai fini del legittimo godimento e della normale commerciabilità del bene, la mancata consegna di detto certificato costituisce un inadempimento del venditore che non incide necessariamente in modo dirimente sull'equilibrio delle reciproche prestazioni, sicché il successivo rilascio del certificato di abitabilità esclude la possibilità stessa di configurare l'ipotesi di vendita di "aliud pro alio". (Cassa con rinvio, TRIBUNALE BUSTO ARSIZIO, 07/11/2014).

Cass. civ. n. 21940/2018

In tema di azione di rivendicazione, ai fini della "probatio diabolica" gravante sull'attore, tenuto a provare la proprietà risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino all'acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell'usucapione, non è sufficiente produrre l'atto di accettazione ereditaria, che non prova il possesso del dante causa, né il contratto di acquisto del bene, che non prova l'immissione in possesso dell'acquirente.

Cass. civ. n. 15215/2018

Il contratto preliminare di vendita di un immobile non produce effetti traslativi e, conseguentemente, non è configurabile quale atto di disposizione del patrimonio, assoggettabile all'azione revocatoria ordinaria, che può, invece, avere ad oggetto l'eventuale contratto definitivo di compravendita successivamente stipulato; pertanto, la sussistenza del presupposto dell' "eventus damni" per il creditore va accertata con riferimento alla stipula del contratto definitivo, mentre l'elemento soggettivo richiesto dall'art. 2901 c.c. in capo all'acquirente va valutato con riguardo al momento della conclusione del contratto preliminare, momento in cui si consuma la libera scelta delle parti.

Cass. civ. n. 7853/2018

Non è nullo il contratto di compravendita di un immobile sul quale il venditore abbia esercitato il possesso per un tempo sufficiente al compimento dell'usucapione, ancorché l'acquisto della proprietà da parte sua non sia stato giudizialmente accertato in contraddittorio con il precedente proprietario.

Cass. civ. n. 5935/2018

Ai fini della differenziazione tra vendita ed appalto, quando alla prestazione di fare, caratterizzante l'appalto, si affianchi quella di dare, tipica della vendita, deve aversi riguardo alla prevalenza o meno del lavoro sulla materia, con riguardo alla volontà dei contraenti oltre che al senso oggettivo del negozio, al fine di accertare se la somministrazione della materia sia un semplice mezzo per la produzione dell'opera ed il lavoro lo scopo del contratto (appalto), oppure se il lavoro sia il mezzo per la trasformazione della materia ed il conseguimento della cosa l'effettiva finalità del contratto (vendita).

Cass. civ. n. 15751/2017

Nell'ipotesi in cui più venditori trasferiscano, con il medesimo atto, una pluralità di immobili, l'indicazione del prezzo di ciascuno di essi è necessaria, a pena di nullità dell'atto, solo ove i contraenti non intesero dare vita ad una vendita cumulativa con pluralità di oggetti ovvero ad una cd. vendita in blocco, ma a tanti singoli contratti conclusi contestualmente, sebbene strutturalmente distinti in ragione degli oggetti alienati; tale valutazione, che si risolve in una "quaestio voluntatis" risolubile solo con riferimento al caso concreto, integra un apprezzamento di fatto del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato.

Cass. civ. n. 1332/2017

L'accettazione della proposta contrattuale di compravendita, anche ove quest'ultima sia irrevocabile in forza di un patto d'opzione, è idonea a segnare il perfezionamento del contratto, e quindi a spiegare effetto traslativo della proprietà della cosa venduta, non soltanto quando il prezzo sia stabilito in detta proposta o in quel patto d'opzione, ma anche quando sia determinabile alla stregua di criteri, riferimenti o parametri precostituiti, così che la sua successiva concreta quantificazione sia ricollegabile ad un'attività delle parti di tipo meramente attuativo e ricognitivo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto perfezionata la vendita di un’azienda il cui prezzo era stato contrattualmente determinato in ragione dei canoni che l’affittuario della stessa avrebbe dovuto versare dalla data di esercizio dell'opzione al termine del contratto di affitto).

Cass. civ. n. 1761/2012

Quando le parti, nel concludere un contratto di compravendita, abbiano inteso determinare il prezzo rinviando alla misura stabilita da una norma, anche secondaria, è riservato al giudice del merito accertare, attraverso le regole legali di ermeneutica, se tale rinvio debba ritenersi fisso (nel qual caso le modifiche sopravvenute dell'atto normativo richiamato sono senza effetto sui patti contrattuali) ovvero mobile (nel qual caso le modifiche sopravvenute dell'atto normativo producono automaticamente effetti sui patti contrattuali). (Nella specie, la C.S. ha reputato corretto l'operato del giudice di merito, il quale aveva attribuito preminente rilievo alla lettera del contratto, nel quale si stabiliva di ancorare il prezzo della fornitura di energia elettrica a quello fissato da una delibera dell'AEGG "e successive modifiche ed integrazioni").

Cass. civ. n. 2485/2007

Non è nullo il contratto di compravendita con cui viene trasferito il diritto di proprietà di un immobile sul quale il venditore abbia esercitato il possesso per un tempo sufficiente al compimento dell'usucapione, ancorché l'acquisto della proprietà da parte sua non sia stato giudizialmente accertato in contraddittorio con il precedente proprietario.

Cass. civ. n. 8810/2003

In tema di contratto di compravendita immobiliare, nel caso in cui il venditore dichiari in sede di stipulazione del negozio che il prezzo è stato pagato non si configura nullità per mancanza del requisito essenziale del prezzo, giacché l'esigenza della determinatezza o determinabilità di quest'ultimo è soddisfatta da tale dichiarazione, essendo in essa necessariamente implicito che l'oggetto dell'obbligazione assunta dal compratore è stato determinato, per accordi intercorsi tra le parti, non potendosi concepire il pagamento di un prezzo che non sia stato in concreto esattamente definito. In tale ipotesi, nemmeno qualora — per accordi inter partes — la dichiarazione d'avvenuto pagamento non sia rispondente al vero, può escludersi che sia stato comunque pattuito un prezzo, il cui effettivo pagamento attiene al diverso piano dell'esecuzione del contratto.

Cass. civ. n. 11256/1999

Qualora le parti della vendita di un bene mobile stabiliscano di sostituire al prezzo una cosa da dare in solutum, il relativo accordo deve intendersi non come una risoluzione consensuale del precedente rapporto, ma come una datio in solutum rivolta ad estinguere il residuo debito mediante trasferimento di res pro pecunia, senza che venga meno l'originario contratto di compravendita.

Cass. civ. n. 7693/1998

La compravendita di azioni di una spa non è priva di oggetto, né ha un oggetto impossibile, per il solo fatto che la società risulti in condizione di dissesto finanziario tale da elidere, di fatto, l'intero capitale sociale, poiché la perdurante esistenza in vita dell'ente conferisce, di per se, natura di beni commerciabili ai relativi titoli di partecipazione, mentre il rischio o la probabilità di un insuccesso economico possono spiegare influenza sotto profili diversi da quelli della validità dell'atto (aleatorietà dell'operazione, sproporzione del prezzo, eventuale annullabilità per errore o rescindibilità per lesione), senza che la dichiarata consapevolezza delle parti contraenti in ordine a quella condizione di crisi ponga, inoltre, detta alienazione in una posizione di incompatibilità con le norme imperative dettate dal codice a presidio dell'integrità del capitale, in quanto le relative disposizioni si traducono in un coacervo di doveri per gli organi sociali e, quindi, non risultano violate o eluse da un negozio il cui unico effetto è quello di operare una sostituzione di un soggetto ad un altro nella qualità di socio.

Cass. civ. n. 9884/1996

Oggetto di un contratto di compravendita può essere solo il trasferimento della proprietà di una cosa o di un altro diritto; con la conseguenza che detto contratto non può avere ad oggetto il trasferimento del possesso di un immobile in sé e per sé (non collegato, cioè, alla cessazione della proprietà dello stesso) e da esso, ove comunque posto in essere dalle parti, non possono derivare gli effetti dell'accessione del possesso di cui all'art. 1146, secondo comma, c.c., in quanto il possesso «unibile» ai sensi di detta norma è esclusivamente quello del precedente titolare del diritto trasferito. L'acquisto della proprietà di un immobile per effetto dell'usucapione, affinché possa esser fatto valere e formare oggetto di un contratto di vendita, deve essere dapprima accertato e dichiarato nei modi di legge.

Cass. civ. n. 9144/1993

Il prezzo della compravendita deve ritenersi inesistente, con conseguente nullità del contratto per mancanza di un elemento essenziale (artt. 1418 e 1470 c.c.), non nell'ipotesi di pattuizione di prezzo tenue, vile ed irrisorio, ma quando risulti concordato un prezzo obiettivamente non serio, o perché privo di valore reale e perciò meramente apparente e simbolico, o perché programmaticamente destinato nella comune intenzione delle parti a non essere pagato. La pattuizione di un prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa compravenduta, ma non privo del tutto di valore intrinseco, può rilevare sotto il profilo dell'individuazione del reale intento negoziale delle parti e della effettiva configurazione ed operatività della causa del contratto, ma non può determinare la nullità del medesimo per la mancanza di un requisito essenziale. Del pari, non può incidere sulla validità del contratto la circostanza che il prezzo, pur in origine seriamente pattuito, non sia stato poi in concreto pagato.

Cass. civ. n. 4180/1976

Nel contratto di compravendita stipulato, come compratore, da una persona nella dichiarata qualità di unico titolare di una ditta che, in realtà, si riferisce ad un'impresa collettiva con soci occulti, l'espressione secondo cui la vendita del bene, destinato all'esercizio dell'impresa, viene effettuata a tale ditta non si risolve in una formula di stile, ma costituisce modo idoneo a trasferire il bene direttamente al patrimonio comune anziché a quello personale del sedicente unico titolare. In tale ipotesi è sufficiente un'attività meramente dichiarativa per l'individuazione dei soci occulti e per riconoscere ad essi la contitolarità del bene acquistato per l'azienda comune, non occorrendo un successivo atto di trasferimento dal singolo socio stipulante al gruppo.

Cass. civ. n. 2438/1975

Qualora dalla intestazione e dalla sottoscrizione del contratto di compravendita risulti un unico soggetto come acquirente, la dichiarazione con cui questi, in calce al contratto, affermi di aver comprato anche in nome e per conto di un terzo, non è idonea ad inserire, nel rapporto già definito fra i contraenti sottoscrittori, il soggetto che si assume rappresentato, né a conferire al medesimo il potere di estendere nei suoi confronti gli effetti della vendita, mediante ratifica dell'operato del compratore; detta dichiarazione, infatti, non essendo sottoscritta dal venditore, rimane estranea al negozio, e può avere efficacia solo nei rapporti interni fra il compratore ed il destinatario della dichiarazione stessa.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1470 Codice Civile

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Francesco V. chiede
domenica 10/05/2020 - Abruzzo
“Appartamento di proprietà di A e B al 50% cadauno.
Ci vive A , mentre B è solo proprietario non residente.
Contratto di acquisto , registrato riporta questi dati.
Nel caso che A voglia vendere la sua parte 50% ad un terzo , B viene informato dal notaio che effettua il passaggio della variazione ? Può fare questa operazione autonomamente ? Con quale documento a mio favore ?
Spero di aver chiarito la mia richiesta.
Attendo Vs. notizie , grazie e saluti”
Consulenza legale i 11/05/2020
Prima di dare risposta a ciò che viene espressamente chiesto nel quesito, occorre fare una precisazione: il fatto che l’appartamento appartenga in proprietà sia ad A che a B, in ragione di ½ ciascuno, non significa che soltanto A possa esercitare su quell’immobile il diritto di uso e di abitazione, trattandosi di facoltà rientrante nel più generale contenuto del diritto di proprietà e che ciascun comproprietario può liberamente esercitare.
Ciò lo si ricava esplicitamente dall’art. 832 del c.c., nella parte in cui dispone che il proprietario ha il diritto di godere della cosa in modo pieno ed esclusivo, norma che, in caso di comproprietà, deve essere a sua volta coordinata con l’art. 1102 del c.c., il quale consente a ciascun partecipante di servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne pari uso.

Pertanto, a meno che nel contratto di acquisto registrato (a cui si fa cenno nel quesito) non risulti una diversa volontà delle parti, dalla quale poter desumere che soltanto A ha il diritto di abitare e di servirsi dell’immobile, la situazione che di fatto si è instaurata e che vede soltanto A abitare l’immobile non esclude la sussistenza di un pari diritto in capo a B, pur se quest’ultimo non vi ha residenza.

Fatta questa premessa, vediamo adesso com’è possibile effettuare l’operazione negoziale richiesta.
Quando si è contitolari con altri di un immobile, affinché lo stesso possa essere venduto nel suo intero è necessario che tutti i comproprietari si rechino dal notaio e manifestino la propria volontà di alienare, sottoscrivendo il relativo contratto di vendita.
Inoltre, prima di giungere alla stipula definitiva di tale atto, il notaio ha il compito di verificare, eseguendo le visure ipotecarie e catastali, l’esatta intestazione dell’immobile, e ciò al fine di garantire che la parte compratrice effettui l’ acquisto senza il rischio che lo stesso possa essere in un successivo momento invalidato perché venduto a non domino.

Diversa, invece, è la situazione nel caso in cui uno dei comproprietari decida di vendere ad un terzo estraneo la sua quota indivisa sull’immobile, essendo tale vendita legittimamente consentita e potendosi in questo caso prescindere dal consenso dell’altro o degli altri comproprietari, i quali rimangono del tutto estranei alle operazioni di vendita.
La liceità della vendita della quota indivisa si fa sempre discendere dalla norma menzionata all’inizio di questa consulenza, ossia dall’art. 832 c.c., il quale attribuisce al proprietario sia il diritto di godere che quello di disporre del bene, ovviamente sempre nei limiti della quota di cui è titolare.
E’ chiaro che l’acquirente, finché non vi sarà una divisione, non potrà mai diventare proprietario esclusivo di una singola parte ben determinata dell’immobile, il quale potrà essere utilizzato promiscuamente da tutti i comproprietari, nel rispetto del pari uso che tutti avranno il diritto di farne.

Proprio per tale ragione, è molto difficile che nella prassi quotidiana si possa riuscire a trovare un terzo con cui concludere un contratto di cessione di quota, da cui ne conseguirebbe l’acquisto di un bene non ancora diviso.
In ogni caso, nel portare avanti un’operazione negoziale di tale tipo, il notaio avrà, come per qualsiasi altro contratto di compravendita, soltanto l’onere di accertarsi della proprietà in capo al venditore della quota che intende trasferire (ciò che farà esaminando i titoli di provenienza), mentre nessuna norma, né del codice civile né della Legge notarile, gli impone di notificare all’altro comproprietario l’avvenuto trasferimento di quella quota di proprietà (o di rendere edotto, anche informalmente, l’altro comproprietario dell’avvenuto trasferimento).
Il contratto che verrà stipulato sarà un normale contratto di compravendita, il cui oggetto sarà costituito dalla quota indivisa di proprietà dell’immobile, e che il notaio avrà cura di trascrivere presso la Conservatoria dei Registri immobiliari a favore dell’acquirente e contro il venditore.
Contestualmente, sempre il notaio si occuperà di effettuare le relative volture catastali, in modo tale che da quel momento anche l’intestazione catastale risulterà, in ragione di ½ indiviso ciascuno, a favore di B e del nuovo acquirente (avente causa da A).

Esistono, tuttavia, dei casi in cui il comproprietario deve essere informato che si sta procedendo alla vendita del bene in comproprietà, e sono i seguenti:
  1. in materia di pignoramento immobiliare: dispone l’art. 599 del c.p.c. che se il creditore pignorante intende aggredire un bene indiviso per giungere alla sua vendita forzata, il medesimo dovrà notificare un avviso del pignoramento eseguito anche agli altri comproprietari che non sono suoi debitori;
  2. in tema di prelazione, ossia nei casi in cui sussista, per legge o per volontà delle parti, un diritto del comproprietario ad essere preferito nella stipula del contratto di vendita.

Anche in questo caso, però, nessun obbligo di comunicazione sussiste in capo al notaio, in quanto incomberà soltanto sul soggetto tenuto alla prelazione l’obbligo di inviare al beneficiario un’offerta formale relativa alla conclusione del contratto a cui si riferisce la prestazione.



Luigi D. P. chiede
venerdì 17/02/2017 - Lombardia
“fattispecie . acquisto 1a casa successiva cessione e nuovo acquisto 1a casa.
fatto :
soggetto privato acquista da società immobile 1a casa con iva al 4% + imposte ipotecarie e catastali fisse.
Successivamente cede l'immobile .
Procede ( dopo oltre i 5 anni) ad nuovo acquisto di immobile 1a casa da PRIVATO con imp, registro agevolata.

Premessa
Trattandosi di ( acquisto 1a casa sia prima che dopo ) la legge prevede di compensare le imposte di registro ( quella pagata sul primo acquisto con quella da pagare sul secondo acquisto)
Domanda : È altrettanto compensabile l'iva del primo acquisto con l'imposta di registro del secondo acquisto??
Non fosse possibile ci sarebbe una illegittima disparità di trattamento fiscale perché fra una compensazione verticale (consentita) ed una compensazione orizzontale ( non consentita).
Grazie
ANONIMO”
Consulenza legale i 18/02/2017
Il quesito è un po’ impreciso sulla tempistica dell’operazione di acquisto e di successiva cessione del primo immobile. Probabilmente ci si riferisce al caso in cui il primo immobile sia venduto dopo cinque anni dall’acquisto e sia acquistato un nuovo immobile entro un anno dalla cessione del primo.
In caso contrario (cessione del primo immobile prima dei cinque anni dall’acquisto e acquisto del secondo oltre un anno dalla cessione del primo), infatti, si decadrebbe dall’agevolazione prima casa e, quindi, non si porrebbe il problema della compensazione (si veda Nota II-bis dell’articolo 1 della Tariffa parte I allegata al DPR 26 aprile 1986, n. 131).

Ciò premesso, con riferimento al caso di cessione oltre i 5 anni e riacquisto entro l’anno dalla cessione (onerosa o gratuita), l’articolo 7, commi 1 e 2, della legge n. 448 del 1998, prevede l’attribuzione di un credito d’imposta, che riveste carattere personale, pari al minore tra l’ammontare dell’IVA o dell’imposta di registro assolta sul primo acquisto e quello dell’IVA o dell’imposta di registro dovuta sul secondo acquisto agevolato; infatti, come precisato nella Circolare AE n. 18 del 29.05.2013, il credito di imposta in ogni caso non può essere superiore all’imposta di registro o all’IVA dovuta in relazione al successivo acquisto.

Per fruire del credito d’imposta è necessario che il contribuente manifesti la propria volontà con apposita dichiarazione nell’atto di acquisto del nuovo immobile, specificando se intende utilizzarlo in detrazione dell’imposta di registro dovuta per lo stipulando atto.
In particolare, con Circolare n. 19 del 1° marzo 2001, è stato precisato che l’atto di acquisto dell’immobile dovrà contenere, oltre alle dichiarazioni previste dalla nota II -bis) all’articolo 1 della Tariffa, parte Prima, allegata al TUR approvato con d.P.R. n. 131/86, l’espressa richiesta del beneficio in argomento e dovrà indicare gli elementi necessari per la determinazione del credito. Sarà, pertanto, necessario:
  • indicare gli estremi dell’atto di acquisto dell’immobile sul quale era stata corrisposta, nel caso di specie, l’IVA in misura agevolata nonché l’ammontare della stessa;
  • indicare gli estremi dell’atto di alienazione dell’immobile.
Come precisato nella citata Circolare n. 18/2013, il credito d’imposta può essere utilizzato alternativamente:
  1. in diminuzione dell’imposta di registro dovuta in relazione al nuovo acquisto;
  2. per l’intero importo in diminuzione delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni dovute sugli atti e sulle denunce presentati dopo la data di acquisizione del credito;
  3. in diminuzione dell’IRPEF dovuta in base alla prima dichiarazione successiva al nuovo acquisto ovvero alla dichiarazione da presentare nell’anno in cui è stato effettuato il riacquisto stesso;
  4. in compensazione con altri tributi e contributi dovuti ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, tramite il modello F24.
Il credito d’imposta, invece, non può dare luogo a rimborsi per espressa previsione normativa.
Per quanto attiene all’ipotesi sub b), il legislatore, con la dizione “intero importo” ha voluto escludere la possibilità di utilizzare il credito parzialmente e, quindi, portarlo in detrazione dalle imposte dovute su più atti o denunce di successione, presentati all’ufficio competente per la registrazione dopo la data di acquisizione del credito.

Con Circolare AE n. 17 del 24.04.2015 è stato, però, precisato che, nel caso in cui il credito di imposta sia stato utilizzato solo parzialmente per il pagamento dell’imposta di registro dovuta per l’atto in cui il credito stesso è maturato, l’importo residuo potrà essere utilizzato dal contribuente in diminuzione dalle imposte sui redditi delle persone fisiche ovvero in compensazione delle somme dovute ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (precedenti lettere c e d).
Detto importo residuo non potrà, invece, essere utilizzato in diminuzione delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, e dell’imposta sulle successioni e donazioni per gli atti presentati successivamente alla data di acquisizione del credito. La previsione normativa in argomento stabilisce, infatti, che in relazione alle imposte dovute per tali atti e denunce, il credito deve essere utilizzato per l’intero importo (precedente lettera b).

Il credito di imposta si prescrive in 10 anni; la prescrizione comincia a decorrere dalla data in cui sorge il credito di imposta, che viene individuata nella data di stipula dell’atto relativo al nuovo acquisto agevolato.
Il credito non spetta:
  1. se il contribuente è decaduto dall’agevolazione “prima casa” in relazione al precedente acquisto (in quanto ciò comporta automaticamente, oltre al recupero delle imposte ordinarie e delle sanzioni, anche il recupero del credito eventualmente fruito);
  2. se il contribuente ha acquistato il precedente immobile con aliquota ordinaria, senza cioè usufruire del beneficio “prima casa” (è il caso dei soggetti che hanno acquistato l’abitazione da imprese costruttrici prima del 22 maggio 1993, quando si applicava l’IVA al 2% o al 4% indipendentemente dall’agevolazione prima casa. Questi soggetti, per avere diritto al credito di imposta, devono dimostrare che, alla data del predetto acquisto, erano comunque in possesso dei requisiti per l’agevolazione prima casa);
  3. se il nuovo immobile acquistato non abbia i requisiti richiesti per godere delle agevolazioni “prima casa”;
  4. se venga ceduto un immobile acquistato con le agevolazioni “prima casa” e sia riacquistato, non a titolo oneroso, un altro fabbricato avente i requisiti per fruire del beneficio in parola.
Nel caso prospettato, quindi, se ci si riferisce all’ipotesi in cui il primo immobile sia venduto dopo cinque anni dall’acquisto e sia acquistato a titolo oneroso un nuovo immobile entro un anno dalla cessione del primo, l'iva ad aliquota agevolata corrisposta sul primo acquisto potrà essere riconosciuta quale credito di imposta da utilizzare in compensazione dell'imposta di registro dovuta sul secondo acquisto, nei limiti della stessa imposta di registro ed alle condizioni prima indicate.

Marco chiede
lunedì 29/02/2016 - Marche
“Buon pomeriggio e complimenti per il Vs. servizio di cui mi sono già avvalso in passato.
Vengo al mio quesito:
Ho acquistato nel 2014 un terreno in comproprietà con la mia compagna (non eravamo sposati nè conviventi) al 50% per un prezzo totale (al netto di tutte le spese) di 40.000 euro. In base alle rispettive disponibilità finanziarie, 30.000 euro furono versati da me e i restanti 10.000 dalla mia compagna. Poiché ora il nostro rapporto si è concluso e lei al momento non ha la disponibilità finanziaria per restituirmi quanto da me versato, volevo sapere se posso procedere con la vendita ai vicini della mia quota (indivisa) senza che la mia ex compagna possa avvalersi di una qualche prelazione agraria.

Devo notificare prima a lei la mia intenzione di vendere? Vorrei sapere quali sono le azioni che devo intraprendere per evitare contenziosi. Grazie mille.”
Consulenza legale i 03/03/2016
Il diritto di prelazione agraria consiste nel diritto di essere preferiti ad altri per l’acquisto di un fondo agricolo, a parità di prezzo, quando il proprietario decide di venderlo. Ciò fa sorgere dei precisi obblighi in capo al venditore, che, se non rispettati, possono portata all'inefficacia della eventuale vendita fatta.

Il diritto di prelazione agraria è riconosciuto solo in presenza di determinate condizioni, soggettive e oggettive.
Nella definizione di prelazione agraria rientrano invero due distinti diritti di prelazione, soggetti a regole in parte diverse e rispondenti a differenti finalità.
Innanzitutto la prelazione è riconosciuta a chi ha un rapporto di lavoro con il terreno, perché, a vario titolo, lo coltiva. Scopo della prelazione agraria sarebbe quello di collegare la proprietà del fondo agricolo con il soggetto che con la sua opera ne determina lo sfruttamento del suolo. In particolare si vorrebbe favorire, nel superiore interesse dell'agricoltura, la riunione in uno stesso soggetto della qualifica di proprietario del fondo e di lavoratore della terra del fondo stesso. Il legislatore ha individuato nelle seguenti categorie di soggetti i titolari del diritto: affittuario coltivatore diretto, mezzadro, colono parziario o compartecipante che abbia coltivato il fondo da almeno due anni (legge n. 590 del 26 maggio 1965). In seguito il diritto è stato esteso (legge n. 817/1971) anche alle cooperative agricole ed anche - e questa è stata una rilevante novità - al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita (purché sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti, giacché, in questo caso, sono questi a prevalere). Ancor più recentemente (legge n. 203/1982), il legislatore ha stabilito poi che sono legittimati ad avvalersi della prelazione su un fondo agrario in vendita anche le famiglie coltivatrici, titolari dell’impresa familiare che ha coltivato il fondo.

La prelazione del confinante coltivatore diretto ha, evidentemente, una ratio assai diversa da quella dell'affittuario e similari, avendo a che fare con ragioni di opportunità legate alla volontà di evitare la eccessiva frammentazione fondiaria, favorendo l’accorpamento dei fondi in modo che vengano a costituire unità produttive economicamente più ampie ed efficienti.

Nel caso sottoposto alla nostra attenzione, il comproprietario del fondo, volendo vendere la sua quota di proprietà indivisa a terzi, dovrà rispettare il diritto di prelazione unicamente in riferimento ai predetti soggetti.

Peraltro, l'ultimo comma dell'art. 8 della legge 590/1965, introduce una eccezione e dichiara: “Ai soggetti di cui al primo comma sono preferiti, se coltivatori diretti, i coeredi del venditore”.
La prelazione agricola, quindi, non trova applicazione (o meglio, trova un'applicazione particolare) quando vi è l’ipotesi prevista dall’art. 732 c.c., ossia di vendita da parte di un coerede del bene ereditato.

Vi è una pronuncia della Suprema Corte di Cassazione che sul punto ha statuito con cristallina chiarezza (va letta al contrario). Si cita la massima: "Il trasferimento a titolo oneroso di una quota indivisa di un fondo rustico in comunione, da parte del titolare di essa, non comporta la spettanza del diritto di prelazione agraria all'altro comproprietario del fondo stesso ove egli non si trovi nelle condizioni specificatamente e tassativamente contemplate dal terzo e dall'ultimo comma dell'art.8 della legge n. 590 del 1965 e cioè componente della famiglia coltivatrice del fondo ovvero coerede del venditore oltre che coltivatore diretto" (Cass. 10218/2001).

A ben vedere, però, nel caso sottoposto all'esame, non c'è una comunione ereditaria, poiché il terreno non è pervenuto ai comproprietari per successione ereditaria ma per comune acquisto fatto con atto tra vivi. E a questo punto poco interessa anche indagare sulla qualifica, eventuale, di coltivatrice diretta della comproprietaria.

In conclusione, se si ha intenzione di procedere alla vendita della propria quota si può procedere tranquillamente con l’offerta ai vicini, non riscontrandosi nel caso di specie alcun diritto di prelazione agraria in capo all’altra comproprietaria. Tutt’al più, la si potrebbe informare delle proprie intenzioni per mera cortesia, ma non sussiste, giuridicamente, alcun obbligo in tal senso.

Si mette solo sull'attenti in riferimento al vicinato: se più sono i confinanti, occorre capire chi ha diritto con preferenza sugli altri, ovviamente nel caso si abbia a che fare con coltivatori diretti.


Giovanni C. chiede
lunedì 15/06/2015 - Piemonte
“Un lavoratore agricolo aveva aderito al bando di concorso del 30.09.2967, indetto in base alla legge 30.12.1960 nr. 1676, per l’assegnazione di nr. 9 alloggi per lavoratori agricoli dipendenti, costruiti nel comune di F.
A conclusione delle operazioni previste dal concorso l’Op.Agr. si aggiudicava il primo dei nove posti disponibili. Tale esito positivo gli veniva notificato dalla Prefettura di ... con lettera datata 05 giugno 1968. L’op. Agr., accettava l’assegnazione dell’alloggio con l’invio di dichiarazione di accettazione, come richiesto nella comunicazione predetta.
Il giorno 15 gennaio 1969, con apposito “Verbale di Consegna Provvisoria di Alloggio da Assegnare a Riscatto”, redatto dal rappresentante dell’Istituto Autonomo per le Case Popolari di ...– Ente amministratore designato dalla legge 1676/1960 - l’immobile veniva messo nella materiale disponibilità dell’assegnatario.
Dallo stesso mese di gennaio 1969 e per i successivi 25 anni l’Op. Agr. ha sempre corrisposto, a titolo di acconto, la somma mensile determinata dall’Ente amministratore, il cui ammontare complessivo è stato ammesso a conguaglio in sede di determinazione del definitivo prezzo di acquisto.
Nell’estate 2008, presso l’ATERP di ... il funzionario incaricato esaminava personalmente tutte le ricevute dei pagamenti eseguiti in parte dall’Op. Agr. e in parte dagli eredi, determinando il prezzo definitivo da versare per l’acquisto in proprietà dell’immobile.
In data 05.08.2008, veniva eseguito il versamento della somma stabilita sul c/c postale intestato a: ATERP …. con la seguente causale: pagamento quota a saldo cessione in proprietà alloggio - pos. 20263.
Dopo la presentazione della ricevuta del versamento l’ATERP emetteva la “Deliberazione del Commissario Regionale Straordinario nr. ... in data 18 nov.2008 – Ufficio Proponente: Patrimonio.
OGGETTO: Cessione in proprietà a favore degli eredi ……. dell’alloggio per lavoratori agricoli sito nel comune di F. alla via ... e contraddistinto alla posizione contabile nr. ...
Gli atti venivano trasmessi dall’ATERP di ... al Notaio con nota datata 27.11.2008, per stipula contratto di acquisto.
Dopo alcuni anni, non avendo ricevuto alcuna comunicazione in merito alla stipula del contratto, veniva contattato l’ufficio notarile e la segretaria riferiva che il notaio era andato in pensione, che tutta la documentazione era stata predisposta e mancava solo la firma delle parti per il compimento dell’atto, ma non ricordava il motivo della mancata definizione.
Nonostante sia stato incaricato altro studio notarile per la definizione della vicenda, l’ATERP non ha inteso concludere.
La negazione di tale diritto starebbe nel fatto che nessuno degli eredi, figli, sia residente nell’unità abitativa in questione, pertanto si dovrebbe pagare una somma considerevole ad integrazione di quella già versata come sopra detto.
In effetti, nessuno è residente nell’immobile, ma il contesto attuale è analogo al 2008, quando è stato determinato da parte dell’ATERP il prezzo di acquisto della struttura ed emesso il provvedimento di cessione da parte del Commissario Straordinario, consapevole di tale situazione.
Domando se è regolare il comportamento dell’ATERP e cosa bisogna fare per venire in possesso legalmente dell’immobile.
Ringrazio e porgo Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 22/06/2015
Ai sensi della legge del 30.12.1960 n. 1676, il lavoratore assegnatario deve avere la propria residenza nell'immobile assegnato.
L'art. 11, in particolare, sancisce che nel caso in cui l'assegnatario di un appartamento (o meglio, il suo intero nucleo familiare) a riscatto sia in condizioni di doversi trasferire dalla località in cui risiede, egli può trasferire l'alloggio ad un proprio ascendente o discendente o collaterale di 2° grado avente titolo alla assegnazione a norma della medesima legge.
In questo caso, il subentrante mantiene nei confronti della gestione ogni obbligo e diritto e con atto di acquisto dall'assegnatario precedente subentra nella proprietà dell'immobile, corrispondendo un valore massimo del 40 per cento della quota di riscatto.
L'unica altra alternativa, in caso di cambio di residenza dell'assegnatario, è quella di rinunciare all'abitazione restituendola alla gestione che rimborserà il valore corrispondente alla differenza tra la quota di riscatto e la quota di affitto dell'appartamento.

La legge esclude altresì che sia ammesso l'affitto a terzi, neppure se componenti dello stesso nucleo familiare, di un immobile che sia già stato assegnato a riscatto ad un lavoratore.

Infine, viene stabilito che nel caso di morte del titolare, la vedova, i figli o i familiari eredi conviventi di qualsiasi grado subentrano nei diritti e negli obblighi dell'assegnatario. Tra i doveri rientra quello di risiedere nell'immobile.

In base a tale normativa, appare legittimo il rifiuto dell'ATERP di procedere al trasferimento della proprietà in capo agli eredi, laddove questi non risiedano nell'immobile, in quanto la norma stabilisce subentrano nei diritti/doveri dell'assegnatario solo gli eredi "conviventi".

Il fatto che sia stato emesso in precedenza un provvedimento di cessione appare discordante con la normativa in esame, se già nel 2008 gli eredi non vivevano più nell'immobile.

Tuttavia, il provvedimento già emesso potrebbe fungere, secondo una parte della giurisprudenza che appare condivisibile, da base per una richiesta coattiva di trasferimento dell'immobile in base al meccanismo dell'art. 2932 del c.c., che consente di ottenere una sentenza che tenga luogo del contratto definitivo in qualsiasi caso in cui sorga l'obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto, sia in relazione ad un negozio unilaterale, sia in relazione ad un atto o ad un fatto dai quali detto obbligo possa sorgere ex lege. Si tratterebbe di spostare la questione sul piano squisitamente civilistico, configurando la condotta dell'ente pubblico come inadempimento a un impegno alla cessione del bene formalmente assunto. In particolare, quanto ai rapporti tra privato e P.A.: "Qualora un ente pubblico, con riguardo ad un bene del proprio patrimonio disponibile, stipuli, iure privatorum, un preliminare di vendita, le correlative posizione di diritto soggettivo del promissario acquirente non sono degradabili, per carenza del relativo potere, in base ad un provvedimento di revoca della deliberazione a contrattare sul presupposto della svantaggiosità del contratto (revoca rilevante solo come pretesa civilistica di recesso o impugnazione del negozio), e, pertanto, restano tutelabili davanti al giudice ordinario, anche con domanda di esecuzione in forma specifica ai sensi dell'art. 2932 cod. civ. non indicendo la sentenza, che tenga luogo del contratto non concluso, su attività pubblicistiche
dell'amministrazione
” (Cass. civ. ,Sez. Un., 29.3.1989, n. 1540").

E' consigliabile rivolgersi ad un legale (possibilmente esperto di diritto amministrativo) che possa esaminare compiutamente l'ultima possibilità prospettata e utilizzarla eventualmente come base di trattativa con l'ente pubblico per ottenere una composizione bonaria della controversia e la cessione del bene al prezzo già pattuito.

Fabio C. chiede
sabato 02/08/2014 - Emilia-Romagna
“Buonasera,
a maggio dell'anno scorso ho rogitato e acquistato una casa costruita 15 anni fa.
Verificando la certificazione energetica e la mappa comunale ho notato le seguenti differenze:
Muro sud differenza cm spessore muro perimetrale 10cm (chiaramente in meno)
Muro nord differenza cm spessore muro perimetrale 15cm (chiaramente in meno)
3 porte di larghezza inferiori di 10 cm(2 porte bagno e cucina 60cm circa)
Certificazione energetica sbagliata (sempre classe c ma con valori chiaramente peggiori e dati inseriti diversi da quelli reali)
Devo eseguire sanatorie?
Posso in un qualche modo ripartire il danno economico della sanatoria o del ripristino alla situazione della piantina comunale?
Grazie
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 06/08/2014
Nel caso di specie vanno distinti due aspetti, il primo attinente alla certificazione energetica errata, l'altro alla incongruenza della situazione reale rispetto alla mappa comunale.
Quanto alla certificazione energetica, l'art. 15 del d.lgs. 192/2005 prevede le sanzioni per il mancato rispetto delle norme e criteri stabiliti per una corretta certificazione (ad esempio, il progettista che rilascia la relazione di cui all'articolo 8 o un attestato di certificazione energetica non veritieri, è punito con la sanzione amministrativa pari al 70 per cento della parcella calcolata secondo la vigente tariffa professionale; in questo caso l'autorità che applica la sanzione deve darne comunicazione all'ordine o al collegio professionale competente per i provvedimenti disciplinari conseguenti). Inoltre, il certificatore può essere accusato del reato di cui all'art. 481 del c.p. (falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità).
Quel che, però, può interessare maggiormente l'acquirente è la possibilità di agire contro il venditore per inesatto adempimento del contratto di compravendita: difatti, se l'immobile è stato venduto con dichiarazione che ne attesta la classe energetica C, ma questa è in realtà peggiore, il venditore non ha correttamente adempiuto la propria prestazione, fornendo un immobile che non presenta le caratteristiche pattuite. Ciò fa sorgere in capo al venditore una responsabilità che può configurarsi come responsabilità per vizi, la quale può verosimilmente comportare per il compratore il diritto ad esigere una congrua diminuzione di prezzo: al contrario, sembra difficile poter chiedere la risoluzione del contratto, posto che il discostamento della valutazione energetica certificata da quella reale sembra troppo leggero per poter affermare che l'immobile è del tutto diverso da quello promesso. Naturalmente, in questa sede è possibile fornire solo indicazioni generiche, in quanto solo un tecnico incaricato dal Tribunale (un C.T.U.) potrebbe accertare in contraddittorio (cioè con valore per entrambe le parti in lite) qual è la reale certificazione energetica dell'immobile e quanto essa si discosti da quella rilasciata al momento della vendita.
La garanzia per i vizi va escussa entro i termini previsti dall'art. 1495 del c.c.: deve essere fatta denunzia del vizio entro 8 giorni dalla scoperta (per scoperta si intende il momento in cui il compratore ha avuto piena consapevolezza del vizio della certificazione, ad esempio a seguito di una perizia commissionata sul bene) ed entro un anno dalla consegna (non dalla stipulazione del contratto, ma dal materiale impossessamento da parte dell'acquirente) va esperita l'azione con cui si chiede la riduzione del prezzo. E' bene ricordare che la denunzia non è necessaria se il venditore ha occultato l'esistenza del vizio.
Il venditore non sarà tenuto a rifondere i danni al compratore, invece, se prova che non era a conoscenza del difetto (art. 1494 del c.c.), ad esempio perché diligentemente aveva affidato la certificazione ad un professionista regolarmente iscritto all’elenco dei certificatori. In tal caso, il venditore può rivalersi sul certificatore se dimostra la colposità dell’errore nella certificazione.
Per quanto riguarda l'incongruenza della situazione reale con la mappa comunale, dal primo luglio del 2010 per vendere una casa è necessaria la conformità catastale dell’immobile. Il decreto legge 78/2010 prevede infatti che quanto contenuto nell'atto notarile sia conforme a quanto presente nei registri del catasto urbano, pena la nullità dell'atto stesso.
Circa il concetto di conformità, va evidenziato l’inciso, inserito in sede di conversione del D.L. 78/10, secondo il quale la conformità deve essere valutata “sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale”. La normativa catastale impone la dichiarazione di variazione al Catasto solo in caso di modifiche che avvengano “[...] b) nello stato dei beni, per quanto riguarda la consistenza e l’attribuzione della categoria e della classe” (art. 17, R.D.L. 652/39). L’Agenzia del territorio, con Circolare n. 2 del 9.07.2010, ha chiarito che la mutazione, per avere rilevanza catastale, deve incidere “sullo stato, la consistenza l’attribuzione della categoria e della classe, a seguito di interventi edilizi di ristrutturazione, ampliamento, frazionamento, oppure per effetto di annessioni, cessioni o acquisizioni di dipendenze esclusive o comuni, cambio di destinazione d’uso, etc.".
Di conseguenza, lievi modifiche interne come quelle segnalate nel quesito (es. spostamento di una porta o di un tramezzo), anche se variano la superficie utile dei vani interessati, non determinano la variazione del numero di vani e la loro destinazione funzionale. Naturalmente, solo un tecnico incaricato, che possa effettuare ogni opportuna indagine e sopralluogo, potrà stabilire se lo scostamento catastale è davvero significativo.
In queste sede è solo opportuno sottolineare che se l'incongruenza catastale sarà rilevante, il contratto di compravendita sarebbe addirittura nullo; se lo scostamento sarà valutato come irrilevante, la vendita è valida, ma sussiste pur sempre la possibilità di chiedere un risarcimento del danno al venditore, se la ridistribuzione dei vani risulta sufficientemente diversa da quella promessa nel contratto.
Cosa deve fare nel frattempo il proprietario dell'immobile?
Se la situazione catastale è profondamente diversa da quella reale (nei termini sopra chiariti), sarà necessaria la presentazione di una nuova planimetria in catasto (per le pratiche ci si deve rivolgere ad un professionista di fiducia, come un geometra).
Quanto alla certificazione energetica, una volta appurato che essa è errata, l'ACE va ripresentata da un professionista agli enti competenti (si deve vedere la normativa regionale vigente sul territorio), restando ferme tutte le eventuali responsabilità amministrative e civili sopra precisate.

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