Questa norma delinea un istituto giuridico del tutto nuovo, ossia la consulenza tecnica preventiva la cui primaria finalità è quella di favorire la composizione della lite nella fase antecedente a quella processuale (in questo caso, infatti, la sua funzione di ausilio istruttorio nel futuro
giudizio di
merito diviene secondaria e residuale).
Tale consulenza costituisce un vero e proprio strumento di deflazione processuale, potendo essere richiesta anche al di fuori delle condizioni di cui all'
art. 696 del c.p.c., 1° co., ossia in assenza dei presupposti prettamente cautelari del
periculum in mora e del
fumus boni iuris.
Il consulente ha
ex lege la facoltà, e non l'obbligo, di tentare la conciliazione tra le parti allorché lo ritenga possibile; qualora il
tentativo di conciliazione dia esito positivo, il giudice interviene attribuendo, con
decreto, efficacia di
titolo esecutivo al
processo verbale in cui si è trasfuso l'accordo tra le parti.
Al contrario, se la conciliazione non riesce o se non sia stato possibile darvi corso, ciascuna parte può chiedere che la relazione tecnica sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito, divenendo in questo caso un
mezzo istruttorio preventivamente acquisito, anche se formato al di fuori dei casi in cui si ammette il tradizionale
accertamento tecnico preventivo.
Ovviamente, il giudice dovrà ritenerla ammissibile e rilevante dopo aver effettuato una valutazione uguale a quella che egli è chiamato a svolgere a seguito della istanza di acquisizione di una qualsiasi altra prova preventiva.
Per quanto concerne la forma della domanda, deve osservarsi che sebbene non vi sia alcun riferimento espresso al primo comma dell’
art. 696 del c.p.c., il quale a sua volta rinvia all’
art. 692 del c.p.c., non può che applicarsi l’
art. 693 del c.p.c., norma che prescrive in generale, per tutti i mezzi di istruzione preventiva, la forma del ricorso.
Ci si è chiesti se, a fronte di una richiesta di consulenza tecnica preventiva, il giudice debba compiere o meno un vaglio di ammissibilità.
Secondo la tesi preferibile più liberale, occorre soltanto che l'istante alleghi l'esistenza di un
credito per
inadempimento contrattuale o per
fatto illecito; secondo altra tesi più restrittiva, invece, il giudice dovrebbe rigettare l'istanza qualora ritenga che il designando consulente non potrebbe giungere ad una soluzione conciliativa, sulla base della opposizione della parte resistente.
Si ritiene, inoltre, che debba consentirsi alle parti di farsi assistere da consulenti di propria fiducia, e ciò al fine di permettere alle stesse, di solito prive di cognizioni tecniche specialistiche, di valutare con maggiori cognizioni di causa i contenuti dell'eventuale proposta conciliativa formulata dal consulente d’ufficio.
Considerata la natura provvisoria e strumentale del
provvedimento che ammette la consulenza tecnica preventiva, si ritiene che avverso lo stesso non siano ammissibili né il
ricorso per cassazione ex
art. 111 Cost. e neppure il
regolamento di competenza e quello di giurisdizione.
Per quanto concerne, invece, la questione della reclamabilità del provvedimento di rigetto della relativa istanza di ammissione, si propende per la tesi negativa, considerato che il procedimento previsto da questa norma non ha natura cautelare, in quanto diretto a favorire la conciliazione della lite (a prescindere dalla sussistenza di ragioni di urgenza), mentre il
reclamo di cui all'
art. 669 terdecies del c.p.c. è un rimedio previsto per i soli provvedimenti cautelari.