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Articolo 64 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Regole generali per l'interrogatorio

Dispositivo dell'art. 64 Codice di procedura penale

1. La persona sottoposta alle indagini, anche se in stato di custodia cautelare [284, 285, 286 c.p.p.] o se detenuta per altra causa, interviene libera all'interrogatorio(1) [294, 375, 388, 391 c.p.p.], salve le cautele necessarie per prevenire il pericolo di fuga o di violenze [188, 474 c.p.p., 22 disp. att.].

2. Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interrogata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti(2).

3. Prima che abbia inizio l'interrogatorio, la persona deve essere avvertita che:

  1. a) le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti;
  2. b) salvo quanto disposto dall'articolo 66, comma 1, ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso;
  3. c) se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall'articolo 197 e le garanzie di cui all'articolo 197 bis(3)(4).

3-bis. L'inosservanza delle disposizioni di cui al comma 3, lettere a) e b), rende inutilizzabili le dichiarazioni rese dalla persona interrogata. In mancanza dell'avvertimento di cui al comma 3, lettera c), le dichiarazioni eventualmente rese dalla persona interrogata su fatti che concernono la responsabilità di altri non sono utilizzabili nei loro confronti e la persona interrogata non potrà assumere, in ordine a detti fatti, l'ufficio di testimone(3).

Note

(1) Dell'interrogatorio deve esserne dato avviso al difensore e, ove l'imputato ne fosse sprovvisto, si dovrà provvedere a nominarne uno iscritto nelle apposite liste dei difensori d'ufficio. Essendo un atto richiesto dal pubblico ministero, entra a far parte del fascicolo delle indagini preliminari. In taluni casi però può esservene data lettura durante il giudizio ovvero in caso di imputato contumace, assente o che si sia rifiutato di sottoporsi all'esame delle parti di cui all'art. 208 c.p.p. A seguito della legge sul c.d. giusto processo n. 63/2001, le dichiarazioni lette possono essere utilizzate entro determinati limiti: possono essere utilizzate solo nei confronti l'imputato che le ha rese; non possono essere utilizzate contro altri senza il loro consenso; possono essere utilizzate contro altri, anche senza che questi vi acconsentano, se risulta che l'imputato è stato sottoposto a violenza, minaccia od offerta di denaro, perché non deponga. Circa le dichiarazioni rese inerenti l'imputato in un procedimento connesso, si veda l'art. 513 c.p.p.
(2) Quanto previsto dal comma 2 esprime il principio della libertà morale e di autodeterminazione: non si può ricorrere all'ipnosi o alla narcoanalisi anche prescindendo dal consenso dell'imputato. Lo scopo è quello di evitare di ricorrere a modalità incompatibili con l'interrogatorio quale mezzo di difesa.
(3) L'originario comma 3, ex art. 2, l. 1 marzo 2001, n. 63 sul giusto processo è stato sostituito dal comma 3 e 3-bis. Il testo previgente recitava: «3. Prima che abbia inizio l'interrogatorio, la persona deve essere avvertita che, salvo quanto disposto dall'articolo 66 comma 1, ha facoltà di non rispondere e che, se anche non risponde, il procedimento seguirà il suo corso.». Si veda l'art. 26, l. 63/2001 cit.
(4) La Corte Costituzionale, con sentenza 6 aprile - 5 giugno 2023 n. 111 (in G.U. 1ª s.s. 07/06/2023 n. 23), ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 64, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che gli avvertimenti ivi indicati siano rivolti alla persona sottoposta alle indagini o all'imputato prima che vengano loro richieste le informazioni di cui all'art. 21 delle Norme di attuazione del codice di procedura penale".

Ratio Legis

Scopo principale della norma è quello di porre l'imputato nella piena consapevolezza degli effetti dell'interrogatorio: questo viene inquadrato dal legislatore come mezzo di difesa poichè volto ad assicurare la libertà morale e il diritto al silenzio, nonchè l'integrità della personalità del soggetto sottoposto ad interrogatorio.

Spiegazione dell'art. 64 Codice di procedura penale

L'interrogatorio è uno strumento a cui ricorre generalmente nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero, personalmente o tramite delega alla p.g.; talvolta vi ricorre anche il giudice per le indagini preliminari in fase di convalida dell'arresto o infine, il giudice dell'udienza preliminare. L'interrogatorio tutela l'imputato/persona sottoposta ad indagini preliminari poichè può anche decidere di non rispondere
.
Il legislatore ha distinto nettamente la disciplina dell'esame dell'imputato dall'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini e dell'imputato stesso. L'esame è infatti un mezzo di prova, mentre il secondo enuclea più una disciplina generale cui attenersi nel corso delle indagini.

Per quanto riguarda le regole generali dell'interrogatorio, la norma in commento stabilisce innanzitutto che la persona in custodia cautelare o detenuta per qualsiasi causa interviene libera all'interrogatorio, salve le cautele necessarie per prevenire il pericolo di fuga o di violenza, in una chiara ottica di tutela della dignità della persona.

Il coma 2 si occupa invece di precisare che nel corso dell'interrogatorio non possono essere utilizzati, nemmeno con il consenso della persona cui sono rivolte, tecniche o metodi idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare o valutare i fatti, ove per tecniche ci si riferisce all'uso di macchine scientifiche (quali il lie detector, narconanalisi ecc., mentre per metodi si intende una nozione omnicomprensive di tutti quegli atteggiamenti dell'autorità giudiziaria in grado di coartare psicologicamente l'interrogato (minacce, intimidazioni ecc.).

Posto che la persona sottoposta ad interrogatorio (al contrario del testimone o delle persona in grado di riferire sui fatti) è tutelata dal diritto al silenzio, il comma 3 si occupa di prevedere un triplice avvertimento che gli deve essere fatto dall'autorità procedente prima dell'inizio dell'interrogatorio, a pena di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese.

Dunque, prima dell'interrogatorio, la persona deve essere avvertita che:

  • le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti;

  • ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, tranne per quanto riguarda gli elementi utili ad identificarlo;

  • se renderà dichiarazioni sulla responsabilità di altri, potrà assumere l'ufficio di testimone in relazione ai fatti contenuti nelle dichiarazioni.

La lettera c) del III comma di tale articolo ha lo scopo di avvertire l'imputato di cosa accadrà in caso dovesse rendere dichiarazioni che comportano la responsabilità di terzi. Il novellato comma ha quindi lo scopo di porre il soggetto di effettuare una scelta perchè qualora, dalle sue dichiarazioni dovesse emergere la responsabilità penale di terzi, circa tali fatti assumerà la veste di testimone.

Peraltro, il legislatore ha voluto specificare che tale qualifica varrà non solo per procedimenti già esistenti, ma anche futuri: non a caso ha utilizzato i verbi al futuro ("renderà,..., assumerà"); inoltre, dette dichiarazioni assumono rilievo non solo in fase dibattimentale ma anche il fase di indagini. Si tratta poi di individuare l'ampiezza del concetto di dichiarazioni rese erga alios: vi rientrano non solo quelle di pertinenza diretta ma anche quelle di pertinenza indiretta ove la responsabilità della condotta altrui circa un determinato fatto il fatto è anche solamente deducibile.

Il legislatore ha comunque voluto inserire delle limitazioni all'ufficio di testimone riconoscendo le incompatibilità di cui all'art. 197 c.p.p. e le garanzie di cui all'art. 197 bisc.p.p.

Massime relative all'art. 64 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 21315/2018

In tema di prova testimoniale, le dichiarazioni rese dall'imputato a carico di altro imputato nel medesimo procedimento non devono essere precedute dall'avviso ex art. 64, comma 3, lett. c) cod. proc. pen., quando i reati per cui si procede nei confronti del primo non sono connessi ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., o probatoriamente collegati a norma dell'art. 371, comma 2, lett. b) cod. proc. pen. con i reati per cui si procede a carico del secondo.

Cass. pen. n. 1517/2014

L'imputato concorrente nel medesimo reato ascritto al soggetto cui si riferiscono le sue dichiarazioni accusatorie non deve ricevere l'avvertimento previsto dall'art. 64, comma terzo, lett. c), c.p.p., non potendo assumere, prima della definizione del procedimento pendente nei suoi confronti, la veste di testimone assistito. E ciò in quanto la proposizione "fatti concernenti la responsabilità altrui" contenuta nella lettera dell'art. 64, comma terzo, lett. c), c.p.p., deve essere interpretata nel senso di fatto che è soltanto altrui" in quanto afferente a reato connesso ai sensi dell'art. 12, comma primo, lett. c) o collegato ai sensi dell'art. 371, comma secondo, lett. b) c.p.p..

Cass. pen. n. 41886/2013

In caso di esame dibattimentale in qualità di testimone assistito, ex art. 197 bis, comma secondo, cod. proc. pen., di indagati per lo stesso reato, la mancanza dell'avviso previsto dall'art. 64, comma terzo, cod. proc. pen. non rende le dichiarazioni inutilizzabili. (In motivazione, la Corte ha precisato che la disposizione contenuta nell'art. 64, comma terzo cod. proc. pen., si riferisce all'interrogatorio dell'indagato e, quindi, ad una fase di assenza di contraddittorio tra le parti che impone maggior rigore a garanzia del dichiarante e dei terzi coinvolti dalle dichiarazioni).

Cass. pen. n. 41118/2013

Le dichiarazioni rese da persona indagata sono validamente assunte senza il rispetto delle garanzie difensive quando riguardano fatti di reato attinenti a terzi, in relazione ai quali non sussiste alcuna connessione o collegamento probatorio con quelli ad essa addebitati, assumendo la medesima, con riguardo a dette vicende, la veste di testimone e, prima del giudizio, di persona informata dei fatti. (Fattispecie in cui il dichiarante, detenuto in custodia cautelare per reati contro il patrimonio, era stato escusso, come persona informata sui fatti, sull'identificazione dei soggetti i cui numeri erano stati scoperti nella memoria del suo cellulare e aveva indicato uno di essi come la persona da cui acquistava stupefacenti per uso personale)

Cass. pen. n. 12976/2012

In caso di esame dbattimentale in qualità di testimone assistito ex art. 197 bis, comma secondo cod. proc. pen., di imputato di reato connesso o interprobatoriamente collegato allo stesso non deve essere dato l'avviso di cui all'art. 64, comma terzo, lett. c) cod. proc. pen. (In motivazione la Corte ha precisato che l'omissione dell'avviso non determinerebbe l'inutilizzabilità delle dichiarazioni assunte nemmeno qualora si ritenesse invece necessario l'avviso in questione, atteso che tale sanzione è prevista dal comma terzo bis del citato art. 64 non richiamato nell'art. 197 bis).

Cass. pen. n. 2653/2012

La negazione o il mancato chiarimento, da parte dell'imputato, di circostanze valutabili a suo carico nonchè la menzogna o il semplice silenzio su queste ultime possono fornire al giudice argomenti di prova solo con carattere residuale e complementare ed in presenza di univoci elementi probatori di accusa, non potendo determinare alcun sovvertimento dell'onere probatorio.

Cass. pen. n. 22497/2011

Non sono utilizzabili, nemmeno nel giudizio abbreviato, le dichiarazioni auto -accusatorie rese nel corso dell'interrogatorio dinanzi al pubblico ministero prima dell'entrata in vigore della L. n. 63 del 2001 e non rinnovate ex art. 26, comma secondo, L. n. 63 del 2001.

Cass. pen. n. 16556/2010

È legittima la rinnovazione dell'esame del collaboratore di giustizia ai sensi dell'art. 26, comma secondo, della legge 1 marzo 2001 n. 63, preceduta dagli avvertimenti di cui all'art. 64, comma secondo, c.p.p. e svolta attraverso la conferma "per relationem" delle precedenti dichiarazioni, di cui il collaboratore sia consapevole per esserne stato edotto.

Cass. pen. n. 4977/2010

Sono utilizzabili le dichiarazioni eteroaccusatorie rese nella fase delle indagini preliminari da collaboratore di giustizia, il quale, ricevuti, in sede di rinnovazione dell'interrogatorio, gli avvisi prescritti dall'art. 64, comma terzo, c.p.p., non si sia avvalso della facoltà di non rispondere, ma abbia ritrattato, sotto la pressione di intimidazioni, quanto sino ad allora dichiarato. (Nella specie, la Corte ha ritenuto congrua la motivazione del giudice di merito circa la sussistenza di minacce, rivolte peraltro alla moglie del collaboratore, perché desumibili sia da numerosi elementi documentali provenienti dal dichiarante, sia da dichiarazioni rese da altri collaboratori che avevano essi stessi esercitato quelle pressioni illecite).

Cass. pen. n. 21602/2009

Le dichiarazioni eteroaccusatorie rese dal coimputato nell'interrogatorio svoltosi prima dell'entrata in vigore della L. 1 marzo 2001, n. 63, e, quindi, non precedute dall'avvertimento previsto dalla nuova formulazione dell'art. 64 comma terzo lett. c) c.p.p., sono pienamente utilizzabili anche nel giudizio abbreviato, senza rinnovazione ex art. 26 della stessa legge, in quanto il concorrente nel medesimo reato non può mai assumere la veste di testimone.

Cass. pen. n. 10099/2009

Sono utilizzabili nel giudizio abbreviato le dichiarazioni etero-accusatorie del coimputato, rese nel corso dell'interrogatorio dinanzi al pubblico ministero, e non rinnovate ex art. 26 L. n. 63 del 2001.

Cass. pen. n. 36685/2008

L'imputato concorrente nel medesimo reato ascritto al soggetto cui si riferiscono le sue dichiarazioni accusatorie non deve ricevere, l'avvertimento previsto dall'art. 64, comma terzo, lett. c ), c.p.p., non potendo assumere, prima della definizione del procedimento pendente nei suoi confronti, la veste di testimone «assistito » (In motivazione, la S.C. ha precisato che la proposizione «fatti concernenti la responsabilità altrui » contenuta nella lettera dell'art. 64, comma terzo, lett. c ), c.p.p. deve essere interpretata nel senso di fatto che è soltanto «altrui » in quanto afferente a reato connesso ai sensi dell'art. 12, comma primo, lett. c ) o collegato ai sensi dell'art. 371, comma secondo, lett. b ) c.p.p. ).

Cass. pen. n. 34843/2008

L'ufficio di testimone assistito può essere assunto da persone indagate in procedimento connesso o collegato anche se sia stata disposta nei loro confronti l'archiviazione per i fatti riguardanti la responsabilità di altri, sempre che la persona sia stata avvertita ex art. 64, comma terzo lett.c ) c.p.p., e non abbia ritenuto di avvalersi della facoltà di non rispondere, con la conseguenza che, in mancanza dell'avvertimento indicato, le dichiarazioni eventualmente rese dalla persona interrogata su fatti che concernono la responsabilità di altri non sono utilizzabili nei loro confronti e la persona interrogata non potrà assumere, in ordine a detti fatti, l'ufficio di testimone (vedi comma Cost. nn. 76 del 2003, 265 del 2004, 381 del 2006 ).

Cass. pen. n. 34171/2008

L'inutilizzabilità, per inosservanza della disposizione sul previo avvertimento ex art. 64, terzo comma, lett. c ), c.p.p., delle dichiarazioni rese come persona informata sui fatti dal soggetto che invece avrebbe dovuto essere imputato di reato connesso, non determina l'impossibilità di procedere a nuovo rituale esame del soggetto medesimo a norma dell'art. 210, comma sesto, c.p.p., e dunque di utilizzare le dichiarazione così legittimamente rese. (Nella specie, la Corte ha rilevato che l'inutilizzabilità non colpisce il fatto rappresentativo della realtà ma soltanto la regolare modalità di impiego del mezzo attraverso il quale il fatto viene documentato ).

Cass. pen. n. 34560/2007

Sono utilizzabili le dichiarazioni accusatorie nei confronti del coimputato — fatte in sede di esame dibattimentale dall'imputato del medesimo reato nell'ambito dello stesso procedimento, pure in assenza degli avvertimenti prescritti dall'art. 64, comma terzo, c.p.p., in quanto tali avvertimenti riguardano l'interrogatorio della persona sottoposta ad indagini, garantendone il diritto al silenzio, e non si applicano all'esame dell'imputato nel dibattimento, in cui il contraddittorio tra le parti è pieno e il diritto di difesa può esplicarsi nella massima ampiezza. (La S.C. ha precisato che, nella specie, detti avvertimenti sarebbero stati inoltre superflui in quanto l'imputato non poteva assumere la veste di testimone per l'incompatibilità sancita dall'art. 197, comma primo, lett. a) in virtù della sussistenza della connessione di cui all'art. 12, comma primo, lett. a), e non essendosi verificate le condizioni di cui all'art. 197 bis, comma primo, c.p.p.).

Cass. pen. n. 1603/2005

L'avvertimento di cui all'art. 64, comma 3, lett. c), c.p.p. circa l'assunzione, da parte della persona interrogata, dell'ufficio di testimone se renderà dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri soggetti, non è dovuto nel caso di persone che, avendo veste di concorrenti nel medesimo reato, non possono comunque assumere veste di testimoni (ostandovi il disposto di cui all'art. 197, comma 1, lett. a, c.p.p.), e neppure rientrano nell'ambito di applicabilità dell'art. 210, comma 6, c.p.p. (riguardante soltanto le ipotesi di connessione ex art. 12, lett. B, stesso codice), per cui ad esse è dovuto soltanto l'avviso che hanno facoltà di astenersi dal deporre, previsto dal comma 4 del citato art. 210 c.p.p. (Mass. redaz.).

Cass. pen. n. 14501/2004

In tema di prova dichiarativa, l'art. 26, comma secondo, della legge 1 marzo 2001, n. 63 obbliga il pubblico ministero a rinnovare, secondo le forme previste dagli artt. 64 e 197 bis c.p.p., l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni eteroaccusatorie ai fini della loro utilizzazione anche con riferimento alla materia delle misure cautelari personali (sempre che il procedimento penda ancora nella fase delle indagini preliminari), sicché, ai fini della valutazione della gravità del quadro indiziario, le dichiarazioni di quei soggetti conservano validità solo se la loro assunzione sia stata effettuata con l'osservanza delle formalità previste a pena di inammissibilità dalla normativa sopravvenuta.

Cass. pen. n. 5052/2004

La L. n. 63/2001, è stata resa applicabile, anche alla fase delle indagini preliminari e anche ai procedimenti de libertate, dalla regola di cui al comma 1 dell'art. 26, con la conseguenza che, dopo l'entrata in vigore della legge, un interrogatorio, assunto ai sensi dell'art. 64 nella formulazione anteriore all'intervento delle modifiche introdotte dalla legge n. 63/2001, è inutilizzabile sia, ovviamente, nel successivo dibattimento, sia nel corso delle indagini preliminari e, in particolare, nell'ambito delle decisioni de libertate.

Cass. pen. n. 34981/2003

Le dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, rese da un coimputato, nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto, prima dell'entrata in vigore della legge 1 marzo 2001, n. 63 sul «giusto processo» e, quindi, non precedute dall'avvertimento previsto dalla nuova formulazione dell'art. 64 comma 3 lett. c) c.p.p., sono pienamente utilizzabili nel giudizio abbreviato, senza necessità della loro rinnovazione ai sensi dell'art. 26 comma 3 della legge citata, in quanto tali dichiarazioni non erano affette da alcuna patologia inficiante né al momento in cui sono state rese, né quando è stata formulata la richiesta del giudizio abbreviato da parte dell'imputato, in seguito alla quale il giudice ha deciso sulla base di tutti gli atti confluiti legittimamente nel fascicolo del pubblico ministero.

Cass. pen. n. 32366/2003

In tema di giusto processo, la rinnovazione da parte del P.M., a norma dell'art. 26 comma 2 legge 1 marzo 2001, n. 63, dell'esame dei soggetti indicati negli artt. 64 e 197 bis c.p.p., - il primo modificativo ed il secondo introdotto dalla stessa legge n. 63 del 2001 - è possibile fino a che il procedimento si trovi ancora nella fase delle indagini preliminari e la sua effettuazione non deve necessariamente precedere l'adozione dell'ordinanza applicativa di misura cautelare basata sulle dichiarazioni dei soggetti anzidetti, le quali conservano la loro validità per tutta la durata della medesima fase.

Cass. pen. n. 2318/2003

In sede di rinnovazione dell'esame di cd. collaboratori di giustizia ai sensi dell'art. 26, comma 2, della legge 1 marzo 2001 n. 63, la conferma globale delle dichiarazioni già rese, se preceduta dagli avvertimenti di cui all'art. 64, comma 2, c.p.p., non comporta alcuna lesione dei diritti di difesa del dichiarante o di terzi eventualmente accusati e alcun pregiudizio circa la genuinità dei riferimenti, nulla impedendo al dichiarante medesimo, ritualmente avvisato delle conseguenze delle proprie dichiarazioni, di limitare la conferma ad alcuni fatti o di differenziare i contenuti delle dichiarazioni stesse.

Cass. pen. n. 41160/2002

L'art. 64 c.p.p., nel prevedere, a pena di inutilizzabilità, che l'interrogatorio venga preceduto dalle avvertenze indicate nel comma 3, non prescrive, per tali avvertenze, alcuna formula sacramentale, per cui nulla esclude che esse possano essere date anche in forma sintetica, purché sufficientemente chiara.

Le avvertenze che l'art. 64, comma 3, c.p.p. prescrive siano eseguite prima dell'inizio dell'interrogatorio nei confronti della persona che deve renderlo possono essere validamente date in qualunque forma, anche sintetica, purché sufficientemente chiara, non essendo prescritta dalla legge alcuna formula sacramentale. (Nella specie, in cui risultavano difformità tra il testo del verbale stenotipico e quello del verbale riassuntivo redatto manualmente, la Corte, pur escludendo una attendibilità prevalente del primo sul secondo, ha ritenuto soddisfatta la prescrizione della norma citata con la preventiva assicurazione fornita dal P.M. all'interrogato che egli avrebbe avuto le «garanzie» e che sarebbero valse nei suoi confronti le incompatibilità degli artt. 197 e 197 bis c.p.p.).

Cass. pen. n. 41028/2002

L'art. 13, comma 15, del D.L. 15 gennaio 1991 n. 8, conv., con modif. in legge 15 marzo 1991 n. 82, e successive modificazioni, nel prevedere l'inutilizzabilità in dibattimento delle dichiarazioni di «collaboranti» in caso di inosservanza delle prescrizioni di cui al precedente comma 14, non esclude che tali dichiarazioni possano essere invece utilizzate a fini cautelari.

La rinnovazione dell'esame dei soggetti indicati negli artt. 64 e 197 bis c.p.p., prevista dall'art. 26, comma 2, della legge 1 marzo 2001 n. 63, non richiede una più o meno pedissequa ripetizione delle precedenti dichiarazioni, essendo, al contrario, sufficiente la conferma, sic et simpliciter, del loro contenuto, sempre che non vi sia ragione di dubitare della piena consapevolezza, da parte del dichiarante, della natura e degli effetti di detta conferma. L'adempimento in questione, inoltre, può essere validamente effettuato anche dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari, sempre che queste siano tuttora in corso, fermo restando che la sua mancanza produce inutilizzabilità delle dichiarazioni precedentemente acquisite.

Le dichiarazioni rese da c.d. «collaboratore di giustizia» in occasione del rinnovato esame prescritto dall'art. 26, comma 2, della legge 1 marzo 2001 n. 63 sul c.d. «giusto processo» sono utilizzabili anche se le avvertenze previste dall'art. 64, comma 3, c.p.p. risultano a lui rivolte non in quella sede, bensì nel corso della redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione, in quanto la legge, nell'imporre il rinnovo dell'esame, non obbliga a formalizzarlo in un atto distinto dal citato verbale illustrativo.

Cass. pen. n. 40199/2002

In tema di «collaboratori di giustizia», l'obbligo di redazione del verbale illustrativo della collaborazione, previsto dalle disposizioni transitorie contenute nell'art. 25 della legge 13 febbraio 2001 n. 45, riguarda soltanto coloro che, prima dell'entrata in vigore di tale legge, si erano limitati a «manifestare la volontà di collaborare», rimanendo invece escluso nel caso di soggetti i quali avevano già iniziato la effettiva collaborazione.

L'art. 26, comma 2, della legge 1 marzo 2001 n. 63, nello stabilire l'obbligo (o meglio, l'onere), per il pubblico ministero, di procedere alla rinnovazione, nelle forme di cui agli artt. 64 e 197 bis c.p.p., delle dichiarazioni precedentemente rese dai soggetti ivi indicati, non postula affatto che dette dichiarazioni fossero state fin dall'origine rese nell'ambito del medesimo procedimento, ben potendo, invece, trattarsi di dichiarazioni risultanti da verbali tratti di altri procedimenti, già legittimamente acquisiti agli atti del diverso procedimento nel quale si intende utilizzarli.

Cass. pen. n. 17900/2002

L'art. 26 comma 2 della legge 1 marzo 2001, n. 63, condiziona la conservazione dell'efficacia alle dichiarazioni rese dai soggetti indicati dagli artt. 64 e 197 bis c.p.p. alla loro rinnovazione da parte del pubblico ministero, purché il procedimento si trovi ancora nella fase delle indagini preliminari, restando del tutto ininfluente, a questi fini, che i termini di durata massima delle indagini siano scaduti, con la conseguenza che la rinnovazione è sempre consentita fino a quando non venga esercitata l'azione penale.

Cass. pen. n. 15685/2002

La rinnovazione dell'interrogatorio del collaboratore di giustizia che abbia reso dichiarazioni sulla responsabilità di altri può essere effettuata dal pubblico ministero, a norma dell'art. 26 comma 2 della legge 1 marzo 2001, n. 63 (sul c.d. ½giusto processo»), anche successivamente alla scadenza dei termini di durata delle indagini preliminari, a condizione che il procedimento si trovi ancora in fase di indagine preliminare (la Corte ha escluso che in tale ipotesi operi la causa di non inutilizzabilità prevista dall'art. 407 comma 3 c.p.p., in quanto la anzidetta disposizione si riferisce ai nuovi atti di indagine, non alla mera ripetizione di quelli già effettuati).

Cass. pen. n. 13192/2002

In tema di «giusto processo», la rinnovazione da parte del pubblico ministero, a norma dell'art. 26, comma 2, della L. 1 marzo 2001, n. 63, dell'esame dei soggetti indicati negli artt. 64 e 197 bis c.p.p. - il primo modificato ed il secondo introdotto dalla stessa L. n. 63 del 2001 - è possibile fino a che il procedimento si trovi ancora nella fase delle indagini preliminari e la sua effettuazione non deve necessariamente precedere l'adozione dell'ordinanza applicativa di misura cautelare basata sulle dichiarazioni dei soggetti anzidetti, le quali conservano la loro validità per tutta la durata della medesima fase. (In applicazione di tale principio, la Corte ha respinto il ricorso con il quale si denunciava la pretesa inutilizzabilità, a fini cautelari, di dichiarazioni assunte prima dell'entrata in vigore della L. n. 63 del 2001, alla cui rinnovazione si era proceduto dopo l'adozione dell'ordinanza cautelare ma prima della chiusura delle indagini preliminari, con produzione dei relativi verbali all'udienza di riesame).

Cass. pen. n. 28435/2001

La norma di cui all'art. 26, comma 5, della legge 1 marzo 2001 n. 63, in base alla quale in materia di valutazione della prova, nel giudizio di legittimità, si applicano le norme vigenti al momento della decisione, deve ritenersi applicabile non solo alle dichiarazioni valutate in sede dibattimentale ai fini del giudizio di colpevolezza dell'imputato, ma anche alle dichiarazioni valutate ai fini dell'applicazione di misure cautelari. (Nella specie la Corte ha ritenuto che le dichiarazioni rese dai soggetti indicati dall'art. 64 c.p.p., come modificato dalla legge n. 63 del 2001, utilizzate per l'emissione di una misura cautelare personale prima dell'entrata in vigore della detta legge, possono essere ritenute ugualmente utilizzabili nel giudizio incidentale de libertate in cassazione).

Cass. pen. n. 2154/2001

In caso di richiesta di riparazione per l'ingiusta detenzione, il giudice deve tenere conto anche della condotta del ricorrente successiva all'esecuzione del provvedimento restrittivo e, pur nel rispetto del diritto di costui a non rendere dichiarazioni, può legittimamente ritenere che la circostanza di non avere il ricorrente risposto in sede di interrogatorio e non fornito spiegazioni su circostanze obiettivamente indizianti abbia contribuito alla formazione del quadro indiziario che ha indotto i giudici della libertà all'applicazione e alla protrazione della custodia. (Fattispecie in cui, nell'ambito di un più ampio quadro di collegamenti con le persone arrestate a seguito di rapina, il ricorrente non aveva fornito spiegazioni circa il contenuto, correttamente ritenuto significativo dai giudici di merito, di una conversazione intercettata poco dopo la commissione del fatto).

Cass. pen. n. 4242/1997

L'art. 64, comma 3, c.p.p., il quale prescrive che la persona da interrogare debba essere previamente avvertita della facoltà di non rispondere, è da considerare disposizione normativa attinente all'«intervento» dell'imputato, cui si riferisce l'art. 178, lett. c), c.p.p., inteso, detto intervento, non come mera presenza fisica, ma come partecipazione attiva e cosciente alla vicenda processuale da parte del reale protagonista della medesima, cui deve garantirsi l'effettivo esercizio dei diritti e facoltà dei quali egli è titolare e, in particolare, del diritto di difesa, di cui costituisce precipua manifestazione la facoltà di non rispondere. Conseguentemente l'omissione dell'avvertimento anzidetto dà luogo a nullità, da qualificare, peraltro, non assoluta ma a regime «intermedio» e soggetta, pertanto, alla disciplina di cui agli artt. 180 e 182 c.p.p.

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