Le norme di cui al presente capo sono destinata a tutelare lo stato di
famiglia, ovvero l'interesse statale a che i neonati trovino immediata ed efficace tutela contro le condotte atte ad alterarne la soggettività giuridica.
Nel secondo comma l'interesse tutelato è altresì quello a che il
neonato non acquisti uno stato civile difforme da quello a lui spettante in conformità dei dati costitutivi reali o in conformità della disciplina dell'ordinamento stato civile.
Mentre il primo comma punisce la condotta di chi, ad esempio, denunci come proprio il figlio altrui, la fattispecie di cui al secondo comma si realizza ogni volta che, in un
atto di nascita, venga attribuito ad un infante lo stato di figlio di una persona che non lo abbia realmente generato, per mezzo di un
quid pluris rispetto alla mera falsa dichiarazione, che si caratterizzi a sua volta per l'idoneità a creare una falsa attestazione, con attribuzione al figlio di una diversa discendenza.
Va precisato che le due diverse fattispecie rappresentano
due autonome figure di reato, e dunque non sono applicabili le regole sul concorso di circostanze.
Per quanto riguarda l'elemento soggettivo, la norma richiede il
dolo generico, ovvero la coscienza e volontà di rendere una dichiarazione contraria alla realtà, tale da attribuire al neonato uno stato civile diverso da quello a lui spettante.
Da ultimo, il reato in esame si differenzia da quello di cui all'articolo
495 per l'elemento specializzante della perdita del vero stato civile da parte del neonato, in aggiunta all'elemento comune del falso ideologico documentale.
///SPIEGAZIONE ESTESA
La norma in esame disciplina
due diverse
fattispecie criminose: al comma 1, punisce chi sostituisca, volontariamente, un neonato per mutarne lo stato civile, e, al comma 2, chi, con il medesimo fine, commetta volontariamente una falsità nella formazione di un atto di nascita.
Due sono, quindi, le
condotte criminose che integrano il reato di alterazione di stato. Nell'ipotesi di cui al primo comma, la condotta tipica consiste nel compimento di atti materiali con cui un
neonato, già iscritto nei registri di stato civile, venga
scambiato con un altro, anch'esso iscritto nei medesimi registri, così da mutare lo stato civile di entrambi. Ciò significa che, qualora un neonato non ancora iscritto nei registri di stato civile venisse occultato per sostituirlo con uno che, invece, vi fosse già stato iscritto, il delitto di alterazione di stato risulterebbe perfezionato solo nei confronti di quest'ultimo; nei confronti del primo sarebbe, invece, commesso il reato di soppressione di stato, di cui all'art.
566, comma 2, c.p., il quale andrebbe a concorrere con quello in esame.
Nell'ipotesi disciplinata, invece, al comma 2, la condotta tipica è rappresentata dagli atti di
falsa certificazione, di falsa
attestazione, o di ogni altro tipo di
falsità, che siano commessi nel momento in cui l'ufficiale di stato civile compili l'atto in nascita. Per "attestazione" si intende la dichiarazione di nascita resa all'ufficiale di stato civile, mentre con "certificazione" ci si riferisce alla dichiarazione di nascita resa dal medico, la quale deve essere riferita a quella scritta dall'ufficiale di stato civile nell'atto di nascita. Con l'espressione "altra falsità" si intende, infine, fare riferimento ad ogni falsità diversa dalle precedenti, attraverso cui si possa alterare lo stato civile di un neonato.
È, comunque, opportuno precisare che i reati di falsità commessi per realizzare quello in esame sono assorbiti da quest'ultimo, costituendo i mezzi indispensabili per la sua verificazione.
Per quanto riguarda il
tempo in cui deve aver luogo la condotta criminosa, nella prima ipotesi essa deve essere posta in essere nel momento successivo all'iscrizione di uno o di entrambi i neonati nei
registri dello stato civile. Affinché si possa dire perfezionata la seconda ipotesi, invece, la condotta criminosa deve avvenire nel momento in cui venga formato l'originale dell'atto di nascita. Qualora essa avesse luogo in un momento successivo, risulterebbe perfezionato un diverso delitto di
falsità documentale.
Anche l'
oggetto materiale del reato varia nelle due ipotesi di alterazione di stato. Nella prima esso è costituito dai
neonati, o dal neonato, di cui venga alterato lo stato attraverso la condotta criminosa. Nell'ipotesi di cui al secondo comma, invece, l'oggetto del reato è, in via immediata, il
documento su cui abbia luogo concretamente la condotta criminosa e, in via mediata, il
neonato di cui risulti alterato lo stato.
In entrambi i casi l'
evento tipico è rappresentato dalla
modificazione dello
stato del neonato o dei neonati, in conseguenza della condotta criminosa, e con esso coincide il momento consumativo della fattispecie. È configurabile il
tentativo nel caso in cui, nonostante la sostituzione o la falsità, non si verifichi l'alterazione dello stato per circostanze indipendenti dalla volontà dell'agente.
Ai fini della configurazione del reato in esame, in entrambe le sue forme, è richiesta la sussistenza, in capo al soggetto agente, del
dolo specifico, quale volontà di sostituire un neonato con un altro o di commettere una falsità, perseguendo il fine di alterare lo stato civile di un neonato.
L'errore sulla legge, anche non penale, non scusa.
Ai sensi dell'art.
569 c.p., qualora ad essere condannato per il delitto in esame sia il genitore, trova applicazione la
pena accessoria della perdita della
responsabilità genitoriale.
È necessario evidenziare, da ultimo, come l'art.
567 c.p. sia stato oggetto della sentenza n. 236/2016 della Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato l'
illegittimità costituzionale del relativo comma 2, nella parte in cui prevedeva l'applicazione di una
pena nettamente
superiore rispetto a quella prevista dal comma 1: reclusione da cinque a quindici anni nell'ipotesi di cui al comma 2, rispetto alla reclusione da tre a dieci anni prevista dal primo comma.
La Consulta ha rilevato, in tale circostanza, un chiaro contrasto tra il comma 2 della norma in esame e il
principio di proporzionalità della pena, ricavabile dal combinato disposto degli articoli
3 e
27 della Costituzione ed espressamente riconosciuto dall'art. 49, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Sulla base di tale principio, infatti, sono ritenute illegittime le incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere un fine di prevenzione, producono, attraverso la pena da esse prevista, dei danni ai diritti fondamentali dell'individuo e alla società, i quali risultano
sproporzionatamente maggiori rispetto ai vantaggi che la società stessa potrebbe ottenere da una tutela dei beni e dei valori offesi dalle stesse incriminazioni.
Detto principio, secondo la Corte Costituzionale, opera come
limite alla potestà punitiva dello Stato, rendendo necessario che la pena prevista per una certa fattispecie illecita sia non solo adeguata all'effettiva responsabilità personale, ma anche percepita come
giusta reazione all'illecito stesso, al fine di poter realizzare il fondamentale intento
rieducativo della pena.
La Consulta ha dunque ritenuto che infliggere una pena tanto elevata a chi commetta il reato previsto dal comma 2 dell'art.
567 c.p., violerebbe il principio di proporzionalità della pena, frustrandone la capacità rieducativa e facendo sorgere, nel condannato, la convinzione di essere vittima di un ingiusto sopruso; sentimento, questo, che impedirebbe l'avvio di qualsiasi efficace processo rieducativo.
///FINE SPIEGAZIONE ESTESA