Al riguardo, infatti, potrebbero avanzarsi diverse ipotesi:
- reato di falsa attestazione a pubblico ufficiale (art. 495 c.p.), che ricorre quando un soggetto dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona;
- reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 c.p.), che ricorre quando un soggetto, per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti da provvedimento dell'autorità giudiziaria, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti (co. 1) oppure – limitatamente a quanto qui rileva – quando il debitore, invitato dall'ufficiale giudiziario a indicare le cose o i crediti pignorabili, omette di rispondere nel termine di quindici giorni o effettua una falsa dichiarazione (co. 8).
Alle indicazioni che fornisce il debitore, infatti, non è riconosciuta alcuna efficacia probatoria, sicchè eventuali dichiarazioni mendaci non possono integrare il delitto di falsa attestazione al p.u.
Deve infatti considerarsi che il verbale che il pubblico ufficiale redige durante l’accesso ai luoghi non attesta la veridicità delle dichiarazioni del debitore: nel provvedimento in esame si legge che “l’attività svolta dall’ufficiale giudiziario in sede di pignoramento mobiliare è meramente esecutiva” e che “è del tutto evidente, allora, che il verbale redatto dall’ufficiale giudiziario non è destinato a provare la verità sulla appartenenza dei beni da pignorare né tantomeno sulle dichiarazione del debitore sul proprio ruolo nella società”.
Ciò posto, la Corte ha precisato altresì che ai fini dell’integrazione del reato di sottrazione all’ordine del giudice è necessario che la falsità riguardi l’esistenza dei beni pignorabili. Qualora, invece, sia accertata una falsità che riguarda dati diversi (come, ad esempio, il ruolo del debitore nell’azienda), non sussiste nemmeno tale profilo di responsabilità penale.