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Articolo 673 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Revoca della sentenza per abolizione del reato

Dispositivo dell'art. 673 Codice di procedura penale

1. Nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale(1) dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti [193 disp. att.](2).

2. Allo stesso modo provvede quando è stata emessa sentenza di proscioglimento [529-532] o di non luogo a procedere [425] per estinzione del reato o per mancanza di imputabilità.

Note

(1) Il giudice revoca anche la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere adottata con formule dichiarative dell'estinzione del reato o della mancanza di imputabilità.
(2) Il provvedimento di revoca è annotato nella sentenza di condanna a cura della cancelleria del giudice che lo ha emesso ex art. 193 disp. att. del presente codice.

Ratio Legis

La norma in esame trova il proprio fondamento nell'inseguibilità dei provvedimenti venuti meno, cui necessariamente deve seguire il ripristino dello status quo ante, in virtù del principio di retroattività della legge più favorevole al reo.

Spiegazione dell'art. 673 Codice di procedura penale

La norma in esame disciplina, unitamente agli articoli precedenti, i compiti del giudice dell'esecuzione in caso di eventi sopravvenuti alle sentenze definitive, sia di condanna che di assoluzione.

Dunque, qualora una norma incriminatrice venga abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima, il giuidce dell'esecuzione revoca la relativa sentenza di condanna dipendente dalla norma abrogata o costituzionalmente illegittima, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato ed adottando i conseguenti provvedimenti (ad esempio disponendo la liberazione del condannato detenuto).

Allo stesso modo è tenuto a provvedere nell'ipotesi in cui le sentenze di proscioglimento o di non luogo a procedere avessero dichiarato l'estinzione del reato o la mancanza di imputabilità, posto che prevale l'abrogazione o l'illegittimità costituzionale, le quali impongono di considerare la norma incriminatrice come tamquam non esset.

Massime relative all'art. 673 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 21102/2018

Rientra tra le competenze del giudice dell'esecuzione la revoca, ai sensi dell'art. 673 cod. proc. pen., delle statuizioni civili contenute in una sentenza definitiva di assoluzione dell'imputato dal delitto ascrittogli per intervenuta abrogazione dello stesso e sua trasformazione in illecito civile ai sensi dell'art. 1 d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, essendo tali statuizioni state adottate in totale assenza di potere giurisdizionale.

Cass. pen. n. 12640/2018

La formazione progressiva del giudicato connessa all'annullamento con rinvio disposto ai soli fini della rideterminazione della pena non preclude la possibilità di far valere, o di rilevare di ufficio, nel successivo giudizio di cassazione in cui sia impugnata la sentenza emessa all'esito del giudizio di rinvio, l'estinzione del reato per prescrizione, maturata prima della pronuncia di annullamento, in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice contestata che abbia determinato la modifica del regime sanzionatorio in senso più favorevole all'imputato. (Fattispecie relativa alla dichiarazione di parziale incostituzionalità dell'art. 181, comma 1-bis, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in tema di illeciti paesaggistici, da parte della sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 2016 - intervenuta dopo la proposizione del secondo ricorso per cassazione - con conseguente riqualificazione del reato come contravvenzione ai sensi dell'art. 181, comma 1, stesso d.lgs.).

Cass. pen. n. 11076/2017

In tema di esecuzione, la sentenza di condanna passata in giudicato non può essere revocata, ai sensi dell'art. 673 cod. proc. pen., nell'ipotesi in cui, in assenza di innovazione legislativa ovvero di declaratoria di incostituzionalità, si verifichi un mutamento dell'interpretazione giurisprudenziale di una disposizione rimasta invariata, in quanto tale mutamento - anche se sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione - non determina alcun effetto abrogativo della disposizione interpretata. (Fattispecie in cui era invocata la rideterminazione "in executivis" della pena, previa esclusione dell'aggravante ex art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990, in virtù dell'arresto giurisprudenziale relativo ai presupposti applicativi di tale disposizione, rappresentato dalla pronuncia delle Sezioni Unite Penali n. 36258 del 2012).

Cass. pen. n. 5248/2017

Il giudice dell'esecuzione, richiesto di revoca della sentenza per sopravvenuta "abolitio criminis", ai sensi dell'art. 673 cod. proc. pen., pur non potendo ricostruire la vicenda per cui vi è stata condanna in termini diversi da quelli definiti con la sentenza irrevocabile, nè valutare i fatti in modo difforme da quanto ritenuto dal giudice della cognizione, deve accertare se il reato per il quale è stata pronunciata condanna sia considerato ancora tale dalla legge e, a tal fine, può effettuare una sostanziale ricognizione del quadro probatorio già acquisito ed utilizzare elementi che, irrilevanti al momento della sentenza, siano divenuti determinanti, alla luce del diritto sopravvenuto, per la decisione sull'imputazione contestata. (Nella fattispecie, la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza di rigetto della richiesta di revoca della sentenza che aveva dichiarato l'estinzione per intervenuta prescrizione del reato di cui all'art. 4, D.Lgs. n. 74 del 2000, rilevando l'omessa valutazione, da parte del giudice dell'esecuzione, del profilo relativo all'importo dell'imposta evasa, che, dagli elementi agli atti, risultava inferiore alla soglia attualmente rilevante di euro 150.000.00).

Cass. pen. n. 52242/2016

In tema di "abolitio criminis" non rilevata dal giudice della cognizione, lo strumento per ottenere la revoca della sentenza di condanna va individuato nell'incidente di esecuzione ex art. 673 cod. proc. pen. e non nel ricorso straordinario per errore di fatto ex art. 625-bis dello stesso codice. (Fattispecie in cui la S.C. ha riqualificato come incidente di esecuzione, ordinando la trasmissione degli atti al tribunale competente, il ricorso straordinario per errore di fatto proposto avverso l'ordinanza con cui era stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione contro la sentenza della corte territoriale confermativa della condanna per il reato di cui all'art. 73, comma primo-bis, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non più previsto come tale già prima dell'ordinanza stessa, giusta sentenza della C. Cost. 25 febbraio 2014, n. 32).

Cass. pen. n. 46688/2016

In caso di condanna o decreto irrevocabili, relativi ad un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice dell'esecuzione revoca il provvedimento perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, lasciando ferme le disposizioni e i capi che concernono gli interessi civili, atteso che il venir meno della condanna non può incidere sulla cristallizzazione del giudicato riguardo ai capi civili della sentenza.

Cass. pen. n. 44193/2016

Lo strumento per adeguare l'ordinamento interno ad una decisione definitiva della Corte EDU va individuato, in via principale, nella revisione introdotta dalla sentenza additiva della Corte costituzionale n. 113 del 2011, applicabile sia nelle ipotesi di vizi procedurali rilevanti ex art. 6 della Convenzione EDU, sia in quelle di violazione dell'art. 7 della stessa Convenzione che non implichino un vizio assoluto di responsabilità (per l'assenza di una norma incriminatrice al momento del fatto), ma solo un difetto di prevedibilità della sanzione - ferma restando la responsabilità penale - o che comunque lascino aperte più soluzioni del caso; lo strumento dell'incidente di esecuzione, invece, può essere utilizzato solo quando l'intervento di rimozione o modifica del giudicato sia privo di contenuto discrezionale, risolvendosi nell'applicazione di altro e ben identificato precetto senza necessità della previa declaratoria di illegittimità costituzionale di alcuna norma, fermo restando che, qualora l'incidente di esecuzione sia promosso per estendere gli effetti favorevoli della sentenza della Corte EDU ad un soggetto diverso da quello che l'aveva adita, è necessario anche che la predetta decisione (pur non adottata nelle forme della "sentenza pilota") abbia una obiettiva ed effettiva portata generale, e che la posizione dell'istante sia identica a quella del caso deciso dalla Corte di Strasburgo.

Cass. pen. n. 36079/2016

In tema di revoca per "abolitio criminis", ai sensi dell'art. 673 cod. proc. pen., la delibazione del giudice dell'esecuzione deve riguardare il confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che detto confronto permette in maniera autonoma di verificare se l'intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di reato, ovvero, non incidendo sulla struttura della stessa, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle suddette fattispecie.

Cass. pen. n. 1611/2015

La revoca della sentenza di condanna per abolizione del reato, prevista dall'art. 673 c.p.p., deve essere disposta anche in caso di giudicato formatosi successivamente al tempo dell'intervenuta abrogazione. (Fattispecie in cui la Suprema Corte, annullando senza rinvio l'ordinanza del giudice dell'esecuzione, ha revocato la sentenza di condanna per il reato di inottemperanza all'ordine di esibizione del permesso di soggiorno, commesso prima della sostituzione dell'art. 6 comma terzo, d.l.vo n. 286 del 1998 ad opera dell'art. 1, comma 22, lett. h), della legge 2009, n. 94, che ha abrogato tale fattispecie incriminatrice nei confronti degli stranieri in posizione irregolare).

Cass. pen. n. 18821/2014

L'art. 30, comma quarto, l. n. 87 del 1953, relativo alla cessazione della esecuzione e di tutti gli effetti penali di sentenza irrevocabile di condanna in applicazione di norma dichiarata incostituzionale, non è stato implicitamente abrogato dall'art. 673 cod. proc. pen., posto che quest'ultima disposizione, a differenza della prima, avente natura sostanziale, è norma processuale che detta la disciplina del procedimento di esecuzione per l'ipotesi dell'abrogazione o della declaratoria d'incostituzionalità di una previsione incriminatrice.

Non può essere ulteriormente eseguita, ma deve essere sostituita con quella di anni trenta di reclusione, la pena dell'ergastolo inflitta in applicazione dell'art. 7, comma primo, D.L. n. 341 del 2000 all'esito di giudizio abbreviato richiesto dall'interessato nella vigenza dell'art. 30, comma primo, lett. b), legge n. 479 del 1999 - il quale disponeva, per il caso di accesso al rito speciale, la sostituzione della sanzione detentiva perpetua con quella temporanea nella misura precisata -, anche se la condanna è divenuta irrevocabile prima della dichiarazione di illegittimità della disposizione più rigorosa, pronunciata per violazione dell'art. 117 Cost. in riferimento all'art. 7, par. 1, della Convenzione Edu, laddove riconosce il diritto dell'imputato a beneficiare del trattamento "intermedio" più favorevole, in quanto il divieto di dare esecuzione ad una sanzione penale contemplata da una norma dichiarata incostituzionale dal Giudice delle leggi è principio di rango sovraordinato rispetto agli interessi sottesi all'intangibilità del giudicato, che trova attuazione nell'art. 30, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Cass. pen. n. 13411/2013

In tema di esecuzione, l'art. 673 c.p.p. opera soltanto nel caso in cui, a seguito di innovazione legislativa o di declaratoria di incostituzionalità, si verifichi un'ipotesi di abrogazione esplicita o implicita di una norma, non potendo, invece, la predetta disposizione trovare applicazione, quando l'eventuale abrogazione implicita derivi da un mutamento di indirizzo giurisprudenziale, che non può costituire "ius superveniens" anche a seguito di pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione.

Cass. pen. n. 2638/2013

In tema di revoca della sentenza per "abolitio criminis", deve escludersi l'operatività dell'istituto qualora esso richieda al giudice della esecuzione non un riscontro meramente ricognitivo della perdita di efficacia della norma incriminatrice, ma una indagine valutativa in ordine alla sussistenza delle condizioni cui è subordinata la produzione dell'effetto abrogativo. ( Fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto che dalla dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 68 T.U.L.P.S. sulla necessità della licenza del questore non sia dato desumere, attraverso un percorso meramente ricognitivo, l'intervenuta abrogazione della diversa fattispecie di reato proprio prevista dall'art. 31 legge n. 110 del 1975, in materia di vigilanza sulle attività di tiro a segno).

Cass. pen. n. 4334/2012

Il giudice dell'esecuzione è tenuto a dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato anche quando quest'ultimo sia stato trasformato in illecito amministrativo dopo l'intervento di una causa estintiva, in quanto, in applicazione del principio del "favor rei", tale declaratoria fa cessare tutti gli effetti penali della condanna, con la conseguente cancellazione della relativa iscrizione nel casellario giudiziario, ex art. 5, comma secondo, lett. a) del D.P.R. n. 313 del 2002. (Fattispecie in tema di reato di guida senza patente depenalizzato).

Cass. pen. n. 24468/2009

In materia di successione di leggi penali, in caso di modifica della norma incriminatrice, per accertare se ricorra o meno "abolitio criminis" è sufficiente procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che tale confronto permette in maniera autonoma di verificare se l'intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di reato, ovvero, non incidendo sulla struttura della stessa, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle suddette fattispecie.

Cass. pen. n. 40334/2008

Il giudice dell'esecuzione che disponga la revoca di condanna per "abolitio criminis" può applicare ad altra condanna la sospensione condizionale della pena che sia stata impedita, nel giudizio di cognizione, dalla sentenza revocata, quando la concessione del beneficio sia giustificata dalla valutazione degli elementi acquisiti nel momento in cui egli stesso formula il giudizio prognostico.

Cass. pen. n. 4687/2006

Il giudice dell'esecuzione può applicare, a norma dell'art. 673 c.p.p., la sospensione condizionale della pena qualora disponga la revoca per abolitio criminis delle precedenti sentenze di condanna che abbiano impedito, nel giudizio di cognizione, l'applicazione del beneficio, e questa sia giustificata dalla valutazione degli elementi acquisiti nel momento in cui è formulato dallo stesso giudice dell'esecuzione il giudizio prognostico.

Cass. pen. n. 4266/2006

La revoca della sentenza di condanna per abolitio criminis, disposta in sede esecutiva ai sensi dell'art. 673 c.p.p., non comporta il venir meno della illiceità civile del fatto cui la condanna si riferiva, per cui è da escludere che la revoca possa investire anche le statuizioni civili contenute in detta sentenza (principio affermato, nella specie, in relazione a revoca di condanna per il reato di abuso d'ufficio, a seguito della nuova formulazione dell'art. 323 c.p. introdotta dalla legge 16 luglio 1997 n. 234).

Cass. pen. n. 23852/2004

La previsione dell'art. 673 c.p.p. è circoscritta alla revoca di sentenze di condanna e di proscioglimento o di non luogo a procedere per estinzione del reato o difetto di imputabilità, nei casi di abrogazione o declaratoria di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, e non può trovare alcuna applicazione in caso di condanna al pagamento di sanzioni pecuniarie in forza di disposizioni di natura processuale. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la decisione del giudice dell'esecuzione che aveva stabilito che le sanzioni pecuniarie inflitte dalla Corte di cassazione ex art. 616 c.p.p. non possono costituire oggetto di sindacato in sede di esecuzione alla stregua della parziale declaratoria di illegittimità costituzionale di detto articolo).

Cass. pen. n. 38110/2003

Ai sensi dell'art. 673, comma 1, c.p.p. al giudice dell'esecuzione, nel caso di abrogazione anche parziale di una norma incriminatrice, non è consentita la completa rivisitazione del giudizio di merito o meglio ancora l'esecuzione di accertamenti ulteriori, al fine di stabilire se il fatto per il quale era stata pronunciata condanna costituisca o meno reato, ma deve limitarsi ad interpretare il giudicato e, quindi, ad accertare se nella contestazione fatta all'imputato risultano anche tutti gli elementi costituenti la nuova categoria dell'illecito. (Fattispecie relativa a sentenza in tema di reato di false comunicazioni sociali passata in giudicato prima dell'entrata in vigore della riforma societaria).

Cass. pen. n. 8030/2003

Il giudice richiesto in sede di esecuzione, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., della revoca di una sentenza di condanna a seguito di abolitio criminis è tenuto ad interpretare il giudicato e a renderne esplicito il contenuto e i limiti, desumendo dalla decisione irrevocabile tutti quegli elementi, anche non chiaramente espressi, necessari all'applicazione o al diniego .della disciplina dettata dal citato art. 673 c.p.p.

Cass. pen. n. 32612/2002

Le perquisizioni e i sequestri effettuati ad iniziativa della polizia giudiziaria non comportano l'obbligo di dar luogo agli adempimenti previsti dall'art. 369 bis c.p.p. (informazione della persona sottoposta a indagini sul diritto di difesa). Ciò, manifestamente, non si pone in contrasto alcuno con la Costituzione, considerando che vi è sostanziale identità di disciplina tra gli atti anzidetti e quelli corrispondenti disposti direttamente al pubblico ministero, giacché tanto per gli uni quanto per gli altri non è previsto alcun obbligo di preavviso ma soltanto l'obbligo di avvertire la persona sottoposta alle indagini, se presente, della facoltà di farsi assistere da un difensore, con l'unica differenza - pienamente giustificata nella logica del sistema - che solo il pubblico ministero, ai sensi dell'art. 365 c.p.p., e non la polizia giudiziaria, in mancanza di un difensore di fiducia, deve designarne uno d'ufficio.

Cass. pen. n. 7667/2002

Nei casi in cui la revoca ex art. 673 c.p.p. della sentenza di condanna per un reato continuato riguardi una parte soltanto degli illeciti confluiti nella fattispecie unitaria all'esito del giudizio di cognizione, ed in particolare quello considerato più grave ai fini dell'art. 81 cpv. c.p., è richiesta al giudice della esecuzione una nuova ed autonoma determinazione della pena per i reati già ritenuti satelliti, poiché la deroga alla intangibilità del giudicato è imposta dalla necessità di osservare la regola fissata all'art. 2, comma 2, del codice penale.

Cass. pen. n. 20693/2001

Nell'ipotesi in cui vi sia stata sentenza di condanna irrevocabile per più reati unificati dalla continuazione ad una pena complessiva ostativa alla concessione della sospensione condizionale della pena, e successivamente intervenga una revoca parziale della sentenza in ordine ad alcuni dei reati unificati, per abrogazione o per dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme incriminatrici, e la pena per i reati residui venga rideterminata in una misura che consentirebbe la concessione del predetto beneficio, il giudice dell'esecuzione può concederlo previa valutazione dei presupposti ed il compimento del giudizio prognostico ex art. 164 c.p. che il giudice della cognizione non aveva avuto motivo di effettuare.

Cass. pen. n. 4968/2000

L'istituto della revoca della sentenza a seguito di abolitio criminis, a norma dell'art. 673 c.p.p., opera anche in relazione alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti prevista dall'art. 444 stesso codice, atteso che, da un lato, il rito del patteggiamento non tocca il principio di diritto sostanziale nullum crimen sine lege, operante anche retroattivamente, con conseguente cessazione delle sanzioni irrogate e dei loro effetti, in caso di abrogazione della norma incriminatrice, e, dall'altro, il giudice dell'esecuzione non deve compiere alcun accertamento di merito, ma solo la valutazione in astratto della fattispecie oggetto della sentenza rispetto al nuovo assetto del sistema penale, e ciò anche quando la norma incriminatrice non sia stata interamente abrogata, ma riscritta con una riduzione del relativo ambito di operatività. (Fattispecie concernente il reato di cui all'art. 323 c.p., commesso prima dell'entrata in vigore della legge n. 234 del 1997 e consistito nel rilascio di concessioni edilizie in contrasto con la disciplina urbanistica locale, in relazione alla quale si trattava di stabilire se tale condotta rientrasse nella nuova definizione dell'illecito come fatto compiuto «in violazione di norme di legge o di regolamento»).

Cass. pen. n. 3165/2000

L'intervenuta abrogazione, per effetto dell'art. 18 della legge 25 giugno 1999 n. 205, del reato di oltraggio a pubblico ufficiale, previsto dall'art. 341 c.p., non ha dato luogo ad un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, quale disciplinato dall'art. 2, comma terzo, c.p., ma ad una vera e propria abolitio criminis rientrante, come tale, nelle previsioni di cui al secondo comma dello stesso articolo. Ne consegue che la permanenza nell'ordinamento penale dei reati di ingiuria e di minaccia, aggravati (se commessi in danno di un pubblico ufficiale), ai sensi dell'art. 61 n. 10 c.p. e rispetto ai quali il reato di oltraggio si poneva in rapporto non di specialità ma di assorbimento, non può costituire valida ragione per negare la revoca, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., di una condanna per oltraggio inflitta con sentenza divenuta esecutiva prima dell'intervento abrogativo.

Cass. pen. n. 3137/2000

L'intervenuta abrogazione, per effetto dell'art. 18 della legge 25 giugno 1999 n. 205, dell'art. 341 c.p. ha dato luogo non ad una pura e semplice abolitio criminis, disciplinata dall'art. 2, comma secondo, c.p., ma ad un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, inquadrabile nelle previsioni di cui al successivo terzo comma dello stesso articolo; ciò in quanto la condotta già qualificata come oltraggio a pubblico ufficiale dall'abrogata norma incriminatrice sarebbe stata - ed è rimasta - punibile, sia pure meno severamente, in assenza di detta norma, a titolo di ingiuria o di minaccia aggravate ai sensi dell'art. 61 n. 10 c.p. Ne consegue che, facendosi espressamente salvi, nella disciplina dettata dal terzo comma dell'art. 2 c.p., gli effetti del giudicato, non può darsi luogo a revoca, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., della sentenza di condanna per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale divenuta esecutiva prima dell'intervento abrogativo.

Cass. pen. n. 2716/2000

L'intervenuta abrogazione, ad opera dell'art. 18 della legge 25 giugno 1999 n. 205, del reato di oltraggio a pubblico ufficiale, previsto dall'art. 341 c.p. non ha dato luogo ad un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, quale previsto o disciplinato dall'art. 2, terzo comma, c.p., ma ad una vera e propria abolitio criminis, rientrante, come tale, nelle previsioni di cui al secondo comma dello stesso art. 2 c.p. Ne consegue che non può essere negata la revoca, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., delle condanne per il suddetto reato inflitte con sentenze divenute esecutive prima dell'intervento abrogativo.

Cass. pen. n. 2748/2000

L'intervenuta abrogazione dell'art. 341 c.p. ha dato luogo non ad una pura e semplice abolitio criminis, disciplinata dall'art. 2, comma secondo, c.p., ma ad un fenomeno di successione di leggi nel tempo, inquadrabile nelle previsioni di cui al successivo terzo comma dello stesso articolo, posto che la condotta già qualificata come oltraggio a pubblico ufficiale dalla norma abrogata sarebbe stata — ed è rimasta — punibile, sia pure meno severamente, in assenza di detta norma, a titolo di ingiuria aggravata ai sensi dell'art. 61 n. 10 c.p. Ne consegue che, facendosi espressamente salvi, nella disciplina dettata dall'art. 2, comma terzo, c.p., gli effetti del giudicato, non può darsi luogo a revoca, ex art. 673 c.p.p., delle sentenze di condanna per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale divenute definitive prima dell'intervento abrogativo.

Cass. pen. n. 1805/2000

A seguito dell'entrata in vigore dell'art. 18 della L. n. 205 del 1999, il fatto costituente oltraggio deve ritenersi penalmente irrilevante, con la conseguente applicazione, ai procedimenti in corso, dell'art. 2, secondo comma, c.p., non potendo configurarsi quel fenomeno di «espansione normativa» che lo faccia sussumere in ipotesi di ingiuria e/o minaccia aggravate ai sensi dell'art. 61 n. 10 c.p., essendo, queste ultime, figure criminose dirette alla protezione di differenti beni giuridici. (Fattispecie relativa a revoca della sentenza di condanna a norma dell'art. 673 c.p.p.).

Cass. pen. n. 7211/1999

L'abrogazione della norma incriminatrice, in base alla quale la confisca è stata ordinata con sentenza irrevocabile, non può incidere sulla confisca che costituisce una misura di sicurezza patrimoniale destinata, per definizione normativa, a sopravvivere all'estinzione del reato. Ed invero dalla confisca consegue un istantaneo trasferimento a titolo originario in favore del patrimonio dello Stato del bene, del credito o della somma di denaro che ne costituisce l'oggetto, pertanto, la successiva invalidazione della norma incriminatrice per l'intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale, operando su una situazione giuridica che deve considerarsi ormai esaurita, non può comportare il venire meno di tale effetto in applicazione dell'art. 673 c.p.p. (La Corte, nella specie, ha ritenuto corretta l'ordinanza che aveva respinto la richiesta di revoca della confisca disposta con la sentenza emessa per il reato di cui all'art. 708 c.p. prima della dichiarazione di illegittimità costituzionale della predetta contravvenzione).

Cass. pen. n. 928/1998

L'istituto della revoca della sentenza per abolitio criminis derivante da abrogazione o da declaratoria di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, quale previsto dall'art. 673 c.p.p., non può trovare applicazione con riguardo all'ordinanza, divenuta definitiva, con la quale il tribunale di sorveglianza, prima della declaratoria di parziale incostituzionalità dell'art. 54, comma 3, dell'ordinamento penitenziario, di cui a sentenza della Corte costituzionale 23 maggio 1995 n. 186, abbia disposto la revoca del beneficio della liberazione anticipata a cagione dell'intervenuta condanna del soggetto per un delitto non colposo (nella specie, evasione).

Cass. pen. n. 1002/1998

La revoca della condanna, quale prevista dall'art. 673 c.p.p., presuppone l'intervenuta abolitio criminis; condizione, questa, che non può dirsi realizzata quando il fatto continui ad essere previsto come reato, sia pure meno grave, dalla norma sopravvenuta a quella in base alla quale la condanna era stata inflitta. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che potesse darsi luogo a revoca della condanna inflitta per c.d. «furto venatorio», in base alla normativa vigente prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina sulla caccia dettata dalla L. 11 febbraio 1992 n. 157, atteso che la condotta a suo tempo qualificata come furto rientra fra quelle tutt'ora penalmente sanzionate, quali contravvenzioni, dall'art. 30, comma 1, di detta legge).

Cass. pen. n. 2/1998

In tema di revoca della sentenza di condanna per abolizione del reato, qualora il reato abrogato riguardi un solo capo di condanna, legittimamente il giudice della esecuzione revoca la sentenza limitatamente a tale capo, atteso che nell'economia dell'art. 673 c.p.p. per «sentenza di condanna» deve intendersi la statuizione di condanna (o altra a essa equiparata) su ogni singolo capo della regiudicanda.

Poiché, nel momento del passaggio in giudicato della sentenza che la dispone, alla misura di sicurezza patrimoniale della confisca consegue un istantaneo trasferimento a titolo originario in favore del patrimonio dello Stato del bene che ne costituisce l'oggetto, la successiva invalidazione della norma incriminatrice per intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale, operando su una situazione giuridica che deve considerarsi ormai esaurita, non può comportare il venir meno di tale effetto in applicazione dell'art. 673 c.p.p. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice dell'esecuzione che aveva rigettato la richiesta di revoca della confisca disposta, ai sensi dell'art. 240, secondo comma, n. 2 c.p., con la sentenza dichiarativa della prescrizione della contravvenzione di cui all'art. 708 c.p., la quale era passata in giudicato precedentemente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale - Corte cost. 2 novembre 1996 n. 370 - di quest'ultima disposizione).

Cass. pen. n. 3499/1998

In tema di revoca della sentenza per abolitio criminis, non è consentito al giudice dell'esecuzione alcun apprezzamento di merito in contrasto con il precedente giudicato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non revocabile la sentenza in quanto la destinazione della droga al fine di spaccio, e non all'uso personale, aveva costituito oggetto del giudizio).

Cass. pen. n. 7058/1998

La revoca della condanna definitiva prevista dall'art. 673 c.p.p. per l'ipotesi di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice si applica anche nel caso di norma incriminatrice contenuta in un decreto-legge decaduto per mancata conversione. Ed invero, la decadenza di un decreto-legge ha effetti maggiori della abrogazione, poiché fa venir meno sin dall'origine la norma decaduta, determinando una situazione sostanzialmente assimilabile a quella dell'efficacia ex tunc della dichiarazione di incostituzionalità.

Cass. pen. n. 3922/1998

In caso di successione di decreti legge in continuità, presupposto per la revoca della sentenza emessa per fatto commesso in vigenza di previsione sanzionatoria è che la successiva abrogazione della norma incriminatrice, contenuta in uno dei detti decreti sia attuale. Per altro il decreto legge non convertito non ha effetti nella successione di leggi penali ex art. 2, secondo e terzo comma, c.p. a seguito della sentenza della Corte cost. n. 51/85, pur regolando i fatti commessi sotto la sua vigenza. La clausola di salvezza degli effetti dei decreti legge non convertiti, contenuta nella legge di conversione n. 172/1995, che chiudeva la serie di decreti legge in materia di inquinamento delle acque, ha la funzione di ripristinare un continuum normativo facendo risalire nel tempo la nuova disciplina all'originaria disposizione decaduta e consolidandola negli effetti, così da assicurare la permanenza dei medesimi senza soluzione di continuità. (Nella specie il continuum normativo traeva origine dalla legge 10 maggio 1976 n. 319, che prevedeva come reato lo scarico da insediamento produttivo con superamento dei limiti, e l'anomalia era stata introdotta dal D.L. 15 luglio 1994 n. 449, e dal successivo D.L. 17 settembre 1994 n. 577, cui avevano fatto seguito i DD.LL. 629/94, 9/95 e 79/95 nuovamente prevedenti il fatto come reato, con la previsione finale incriminatrice ex L. 17 maggio 1995 n. 172, ed il fatto era stato commesso antecedentemente alla depenalizzazione temporanea operata con il D.L. 449/94).

Cass. pen. n. 550/1997

L'istanza di revoca della sentenza per abolizione del reato prevista dall'art. 673 c.p.p. non costituisce un mezzo di impugnazione che consenta la rivisitazione del giudizio di merito, non essendo permesso, al giudice dell'esecuzione adito ai sensi del menzionato articolo 673, una nuova valutazione dei fatti processuali. Egli, invero, deve soltanto giudicare se, allo stato degli atti, il fatto per il quale è stata pronunciata la condanna sia stato oggetto di depenalizzazione, tenendo conto, nell'effettuare l'indagine, della contestazione, salvo che il fatto stesso risulti immutato o diversamente qualificato, quando tale mutamento di qualifica, abbia rilevanza.

Cass. pen. n. 4873/1996

Il principio del ius superveniens più favorevole trova nel giudicato un limite invalicabile, sì che il giudice dell'esecuzione può tenere conto di una dichiarazione di illegittimità costituzionale sopravvenuta al giudicato solo allorché essa concerna una norma incriminatrice e al solo fine di revocare la sentenza di condanna. Ne consegue che, poiché non è norma incriminatrice quella riguardante l'ambito di applicazione delle sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, non può essere invocata in executivis la sentenza n. 284 del 1995 della Corte costituzionale — che ha ammesso la sostituibilità delle pene anche in relazione a condanne inflitte per reati militari — al fine di ottenere la sostituzione della detenzione militare con la pena pecuniaria.

Cass. pen. n. 5480/1996

detta operatività nel caso in cui essa richieda, da parte del giudice dell'esecuzione, non un riscontro meramente ricognitivo dell'intervenuta perdita di efficacia della norma incriminatrice applicata nel giudizio di cognizione, ma una indagine valutativa in ordine alla sussistenza o meno delle condizioni cui è subordinata la produzione dell'effetto abrogativo. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato l'ordinanza di revoca di una sentenza di condanna per violazione della legge sugli stupefacenti, osservando che, non risultando da detta sentenza la destinazione dello stupefacente ad esclusivo uso personale del condannato, un accertamento in tal senso non avrebbe potuto essere compiuto dal giudice dell'esecuzione, avuto anche riguardo al fatto che il condannato, nel corso del giudizio di cognizione, avrebbe avuto la possibilità di prospettare l'esistenza di elementi indicativi della suddetta destinazione).

Cass. pen. n. 1397/1996

Quando nell'imputazione recepita nel dispositivo non siano indicati con chiarezza gli elementi di illiceità penale sopravvissuti all'abolitio criminis può e deve essere analizzata la sentenza revocanda nel suo complesso anche motivazionale allo scopo di verificare quali accertamenti e valutazioni del fatto storico rilevanti siano contenuti in motivazione. Ove, poi, anche gli elementi di fatto valutati e ritenuti per certi nella motivazione siano o neutri o dubbi ovvero non rilevanti al fine di delineare la condotta (e la sua conseguente liceità o illiceità a confronto col parametro normativo abolito o residuo), può il giudice dell'esecuzione passare all'esame degli atti processuali per verificare ed accertare attraverso di essi la consistenza ed i contorni della condotta. (Fattispecie in materia di vendita di sostanze stupefacenti).

Cass. pen. n. 255/1996

Il giudice dell'esecuzione, richiesto della revoca di una precedente sentenza di condanna per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti per abolitio criminis, per effetto del referendum abrogativo conclusosi con il D.P.R. 5 giugno 1993, n. 171, è tenuto ad interpretare il giudicato, anche alla luce degli atti processuali che lo sorreggono, in modo da fare emergere dal quadro probatorio già acquisito la reale fluidità della detenzione, a tale scopo ricercando e valutando tutti gli elementi di fatto e le circostanze rilevanti.

Cass. pen. n. 1321/1996

In sede di patteggiamento il giudice compie una delibazione, sia pure non approfondita, del fatto addebitato, ai fini della verifica della correttezza della qualificazione giuridica dell'eventuale applicazione d'una causa di non punibilità. Correttamente, pertanto, il giudice dell'esecuzione respinge la richiesta di revoca, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., della sentenza resa ex art. 444 c.p.p., basata su asserzioni che contrastano con l'espletato accertamento giudiziale. (Fattispecie relativa a richiesta di revoca a seguito del referendum abrogativo riguardante la detenzione per uso personale di stupefacenti. La Suprema Corte ha osservato che il giudice di merito avrebbe applicato la causa di non punibilità di cui all'art. 80 della L. 22 dicembre 1975, n. 685, ove avesse accertato la destinazione ad uso proprio (art. 73, D.P.R. n. 309/1990), anziché quella ad uso non terapeutico di terzi, in ordine alla quale era stata chiesta l'applicazione della pena).

Cass. pen. n. 4133/1996

In tema di omesso versamento di ritenute previdenziali non può invocarsi l'applicazione dell'art. 673 c.p.p. (Revoca della sentenza per abolizione sul presupposto che l'art. 2, comma 1 bis della L. 11 novembre 1993, n. 638 avrebbe implicitamente abrogato il reato di cui all'art. 1, L. 7 dicembre 1989, n. 389. E ciò in quanto non va confusa l'ipotesi dell'abolitio criminis entro il cui ambito opera l'art. 673 c.p.p., con la diversa ipotesi in cui, a certe condizioni ed entro certi limiti temporali, viene eliminata la sanzione conseguente alla violazione della norma.

Cass. pen. n. 411/1995

Nel caso in cui intervenga una abolitio criminis - nella specie depenalizzazione di reato valutario per effetto della L. n. 455 del 1988 - deve essere applicata la disposizione dell'art. 673 c.p.p. (revoca della sentenza per abolizione del reato) e non la riabilitazione richiesta ai sensi dell'art. 178 c.p. Infatti, secondo quest'ultima norma, la riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti; mentre, quando è intervenuta una abolizione del reato, la legge dispone, diversamente, giacché ai sensi dell'art. 673 c.p.p. il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza di condanna, dichiarando che il fatto non è più previsto come reato ed adottando i provvedimenti conseguenti.

Cass. pen. n. 1477/1995

L'art. 673 c.p.p. prevede la revoca della sentenza di condanna solo nei casi di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, mentre gli effetti dell'oblazione e della concessione in sanatoria — secondo quanto risulta dall'art. 38 L. 28 febbraio 1985, n. 47 (norma compresa tra quelle richiamate dal D.L. n. 468 del 1994, dai successivi D.L. n. 551 del 1994 e D.L. n. 649 del 1994 e dall'art. 39 L. 23 dicembre 1994, n. 724) — non hanno alcuna incidenza sul contenuto della norma incriminatrice e danno luogo soltanto all'estinzione del reato per intervenuta oblazione. (Fattispecie relativa a rigetto di ricorso avverso inammissibilità di richiesta di revoca di condanna formulata in seguito a domanda di concessione in sanatoria).

Cass. pen. n. 1759/1995

Il giudice dell'esecuzione, ove rigetti per motivi di merito l'istanza di revoca per sopravvenuta abolitio criminis della sentenza di condanna esecutiva, deve adottare la procedura camerale prevista dall'art. 666, comma terzo, c.p.p. e non già emettere il provvedimento de plano, adottabile solo se riguardi l'ammissibilità della richiesta. (Nella fattispecie, relativa a sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il tribunale aveva rigettato, con provvedimento de plano, l'istanza perché la detenzione dello stupefacente aveva finalità di spaccio e perché la quantità di droga non era di modesta entità).

Cass. pen. n. 1412/1995

Allorché sia stata riconosciuta, in sede di cognizione, la continuazione fra un reato, ritenuto più grave, punito con pena detentiva, e altro reato, meno grave, punito con pena pecuniaria, applicandosi, conseguentemente, un aumento della pena detentiva inflitta per il reato più grave, la successiva revoca, in sede esecutiva, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., della condanna in ordine a detto ultimo reato, per intervenuta abolitio criminis, con eliminazione della relativa pena, comporta che la residua pena detentiva a suo tempo determinata a titolo di continuazione non può più trovare esecuzione, ostandovi il principio di legalità, ma deve essere sostituita con la pena pecuniaria prevista dalla legge per il reato superstite, alle cui determinazioni in misura ritenuta congrua dovrà provvedere lo stesso giudice dell'esecuzione.

Cass. pen. n. 4730/1995

È ammissibile la richiesta di revoca di una sentenza di condanna per abolitio criminis quando, pur essendosi verificata, a seguito di rigetto di gravame, l'irrevocabilità di detta sentenza in data successiva a quella in cui il fatto ha cessato di costituire reato, tuttavia il gravame avesse ad oggetto capi e punti della decisione diversi da quelli concernenti l'affermazione della responsabilità. (Nella specie è stata, pertanto, ritenuta ammissibile — ancorché infondata — la richiesta di revoca di una condanna per detenzione a fine di spaccio di sostanza stupefacente, atteso che la pronuncia d'appello, confermativa di quella di primo grado, era intervenuta prima dell'entrata in vigore del D.P.R. 5 giugno 1993 n. 171, abrogativo, a seguito di referendum, di talune disposizioni del T.U. 9 ottobre 1990 n. 309, e il ricorso avverso la detta pronuncia, rigettato dalla Corte il 29 novembre 1993, non aveva avuto ad oggetto l'affermazione di responsabilità ma solo la denegata continuazione con altri fatti analoghi).

Cass. pen. n. 3106/1994

A norma dell'art. 673 c.p.p. — revoca della sentenza per abolizione del reato — il giudice dell'esecuzione deve procedere ad un'interpretazione del giudicato, di cui si chiede la revoca, al fine di verificare se la fattispecie, definita in sede di merito, rientri, o meno, fra quelle abolite dalla nuova normativa. Egli, invece, non può ricostruire la vicenda, per cui vi è stata condanna, in termini diversi da quelli delineati con la sentenza irrevocabile, né valutare i fatti accertati, in modo difforme da quanto ritenuto dal giudice di merito, poiché altrimenti violerebbe il principio dell'inviolabilità del giudicato, che opera in sede esecutiva. Ne consegue che, in sede di ricorso avverso l'ordinanza con la quale il giudice di esecuzione ha respinto l'istanza di revoca, il ricorrente può contestare, sotto i profili del difetto di motivazione o della violazione di legge, l'interpretazione data al giudicato, ma non prospettare una ricostruzione o una valutazione della vicenda diversa da quelle ritenute dal giudice di merito.

Cass. pen. n. 2680/1994

Concorrendo una causa estintiva della pena, quale l'indulto o la grazia, con l'intervenuta abolitio criminis, il giudice dell'esecuzione dovrà sempre procedere alla revoca della sentenza di condanna perché essa si fonda sul presupposto che il fatto non è più previsto dalla legge come reato mentre i predetti provvedimenti di clemenza incidono solo sulla pena e non sul fatto-reato.

La cosa giudicata si forma sull'intero oggetto del rapporto processuale concernente una singola imputazione, cosicché non è consentito la scissione della sentenza per punti al fine di identificare l'irrevocabilità di un punto distinguendolo da un altro. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha escluso che il giudice dell'esecuzione potesse revocare una sentenza di condanna per detenzione di sostanza stupefacente detenuta in parte per uso personale ed in parte ai fini di spaccio).

Cass. pen. n. 2079/1994

Il presupposto della revoca della sentenza per abolizione del reato, a norma dell'art. 673 c.p.p. è che l'abrogazione della norma incriminatrice sia intervenuta successivamente al passaggio in giudicato della sentenza. Infatti se detta abrogazione interviene preventivamente alla data di irrevocabilità della sentenza, compete al giudice di primo grado, o dell'impugnazione, provvedere a norma dell'art. 129 c.p.p. alla declaratoria che il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Cass. pen. n. 2076/1994

Poiché, in materia di sostanze stupefacenti, è la detenzione in sè di tali sostanze a costituire reato, indipendentemente dalla finalità di spaccio, con la sola eccezione costituita dalla destinazione ad uso personale (nel quale caso il fatto si degrada a illecito amministrativo), ne deriva che, una volta che risulti esclusa la detta destinazione, tanto basta ad impedire che si dia luogo alla revoca della sentenza di condanna per abolitio criminis, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., non essendovi, per quanto sopra detto, necessità di estendere l'indagine alla verifica della destinazione delle sostanze stesse allo spaccio.

Cass. pen. n. 1019/1994

La circostanza che nella sentenza di condanna per illecita detenzione di sostanze stupefacenti, di cui si sia richiesta la revoca a seguito del referendum popolare del 18 aprile 1993, non vi sia cenno alcuno alla destinazione delle sostanze detenute non può essere intesa come implicito riconoscimento che le stesse fossero destinate all'uso personale, specie in presenza di elementi di segno contrario quali la mancata allegazione da parte del condannato e la diversa qualità delle sostanze detenute; deve considerarsi al proposito che, anche sotto il vigore della normativa abrogata, la destinazione dello stupefacente non era elemento privo di rilevanza sì da poter essere trascurato in sede di giudizio, ricollegandosi ad esso, ove fosse risultata la ricorrenza dell'uso personale, secondo interpretazione giurisdizionale corrente, la concessione delle attenuanti generiche e della speciale tenuità del fatto: conseguentemente il mancato accenno in sentenza all'uso personale delle sostanze stupefacenti assume inequivoco significato di una sua esclusione e pertanto non può ritenersi che il fatto oggetto della pronuncia rientri nella fattispecie abrogata (detenzione ad uso personale).

Cass. pen. n. 1542/1994

L'effetto abrogativo del D.P.R. 5 giugno 1993, n. 171 — che ha concluso la procedura referendaria diretta all'abrogazione di talune norme del testo unico in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope approvato con il D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 — ha comportato, rispetto alla detenzione di sostanze stupefacenti e psicotrope per uso personale, una vera e propria abolitio criminis, quale prevista dall'art. 2, comma 2, c.p. e rilevante ai sensi dell'art. 673 c.p.p., una norma che opera non soltanto quando una fattispecie legale criminosa nel suo complesso sia eliminata dal sistema penale, ma anche quando venga resa inapplicabile la norma incriminatrice in uno dei casi che, in precedenza, rientravano nell'area dei fatti penalmente sanzionati come reati. Ove, dunque, ci si trovi in presenza di una condanna definitiva, la procedura prevista dall'art. 673 c.p.p. non può essere assimilata ad una impugnazione, per cui è da intendere precluso qualsiasi nuovo esame delle prove e degli elementi raccolti emersi nella precedente fase di cognizione, ormai del tutto esaurita; compito del giudice dell'esecuzione è, infatti, quello di interpretare il giudicato e di renderne esplicito il contenuto ed i limiti, ricavando dalla decisione irrevocabile tutti gli elementi, ancorché non chiaramente espressi, che si rendano necessari ai fini della disciplina prevista dal più volte ricordato art. 673. Quindi, pur dovendosi tenere fermo il principio che il giudicato si è formato in corrispondenza delle statuizioni racchiuse nel dispositivo della sentenza, qualora non sia possibile individuare già dal capo di imputazione contestato la finalità per la quale la sostanza stupefacente era detenuta, al fine di escludere la ipotesi della detenzione per uso personale, ben può essere utilizzata la motivazione della decisione, quando si tratti, non di modificare il dispositivo, ma di stabilire il significato e la portata di esso, nell'indiscusso presupposto che il rapporto tra parte motiva e parte dispositiva della sentenza non può che essere di integrazione.

Cass. pen. n. 1175/1994

Il giudice dell'esecuzione, cui sia richiesta la revoca della sentenza per sopravvenuta estinzione del reato, è tenuto ad interpretare il giudicato ed a renderne espliciti il contenuto e i limiti, ricavando dalla decisione irrevocabile tutti gli elementi, anche non chiaramente espressi, che siano necessari ai fini dell'applicazione dell'art. 673 c.p.p. (Applicazione in tema di sentenza di condanna per detenzione di sostanze stupefacenti: la Corte ha ritenuto che correttamente il giudice dell'esecuzione aveva affermato l'irrilevanza, ai fini della richiesta operatività dell'abolitio criminis derivante dall'esito della procedura referendaria per l'abrogazione di talune norme del testo unico in materia di sostanze stupefacenti approvato con il D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, procedura conclusasi con il D.P.R. 5 giugno 1993, n. 171, il fatto che non fosse stata contestata la finalità della detenzione: una contestazione all'epoca non necessaria per la rilevanza penale ex se della detenzione di quantitativo superiore alla dose media giornaliera.

Cass. pen. n. 953/1994

Al giudice competente per la revoca della sentenza di condanna per abolitio criminis è conferito il potere di rivisitazione del giudicato e di valutazione del quadro probatorio, al fine di rendere espliciti il contenuto ed i limiti del giudicato stesso per reperire tutti gli elementi necessari a determinare l'applicabilità dell'art. 673 c.p.p. (Applicazione in tema di revoca della sentenza di condanna per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti: la Corte ha ritenuto che, a seguito della procedura referendaria diretta all'abrogazione di talune norme del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, conclusasi con il D.P.R. 5 giugno 1993, art. 171, che ha determinato la depenalizzazione della detenzione di droga per uso personale, al giudice della esecuzione è attribuito il compito di far emergere dal quadro probatorio già acquisito la reale finalità della detenzione della sostanza stupefacente, a tale scopo ricercando e valutando tutti gli elementi di fatto e le circostanze che, irrilevanti al momento della sentenza pronunciata dal giudice della cognizione, siano divenute attendibili per la definizione del fatto reato e per la sua depenalizzazione).

Cass. pen. n. 2138/1994

Il giudice richiesto in sede di esecuzione, ai sensi dell'art. 673 c.p.p, della revoca di una precedente sentenza di condanna a seguito di abolitio criminis, è tenuto ad interpretare il giudicato ed a renderne esplicito il contenuto ed i limiti, desumendo dalla decisione irrevocabile tutti quegli elementi, anche non chiaramente espressi, necessari all'applicazione o al diniego della disciplina dettata dal suddetto art. 673.

Cass. pen. n. 1819/1994

Il giudice dell'esecuzione, per accertare se il fatto concreto per cui sia intervenuta sentenza di condanna abbia perduto rilevanza penale per abolizione del reato (art. 673 c.p.p.), deve innanzi tutto interpretare il giudicato e renderne espliciti i contenuti ed i limiti, ricavando dalla decisione tutti gli elementi, anche non chiaramente espressi, necessari per l'applicazione della citata norma. Ove poi la sentenza di condanna sia stata confermata in impugnazione con una pronuncia definitiva, eguale rilevanza deve essere attribuita alla motivazione della sentenza di secondo grado, valorizzando gli apprezzamenti formulati in ordine alla fattispecie concreta dal giudice di appello al fine di pervenire alla statuizione di conferma della precedente sentenza.

Cass. pen. n. 4273/1994

Correttamente viene esclusa la revoca per abolitio criminis, ai sensi dell'art. 673 c.p.p. della condanna per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti quando, anche dalla sola motivazione della sentenza di condanna, risulti che, secondo il giudice di cognizione, la detenzione era finalizzata anche allo spaccio; e ciò anche nel caso in cui tale affermazione sia stata riferita soltanto alla ritenuta non configurabilità, per detta ragione, dell'ipotesi attenuata di cui all'art. 73, quarto comma, D.P.R. n. 309/1990.

Cass. pen. n. 79/1994

Qualora la revoca dell'indulto, applicato ai sensi del D.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865, possa derivare da successiva condanna per il reato di cui all'art. 73, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il giudice dell'esecuzione, tenuto conto dell'esito del referendum e del successivo D.P.R. 5 giugno 1993, n. 171, che ha abrogato l'art. 75 del suddetto D.P.R. n. 309/1990 limitatamente al riferimento alla dose media giornaliera, deve interpretare il giudicato (anche sulla base degli atti di cognizione) e chiarirne il contenuto ed i limiti, al fine di stabilire se l'ultima sentenza possa essere o meno suscettibile di revoca ai sensi dell'art. 673 c.p.p. per l'abolizione del reato; una sentenza a sua volta revocabile, infatti, non può costituire causa di revoca del beneficio condizionato.

Cass. pen. n. 4602/1994

L'art. 673 c.p.p. (Revoca della sentenza per abolizione del reato), al pari degli altri articoli dello stesso capo che disciplinano specifiche materie di competenza del giudice dell'esecuzione, non contiene un espresso riferimento all'art. 666 stesso codice, ma questa norma, inserita nella parte iniziale del capo in questione, regola le forme di ogni procedimento davanti allo stesso giudice. (Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio dell'ordinanza del Gip che aveva deciso sulla richiesta de plano, senza procedere con le formalità di cui al terzo e quarto comma dell'art. 666, la Suprema Corte ha osservato che tale inosservanza si traduceva, fra l'altro, in omesso avviso all'interessato e in assenza di difensore, dando luogo a nullità assoluta dell'ordinanza medesima, né era possibile intendere tale provvedimento come decreto di inammissibilità, ex art. 666, secondo comma, considerato il contenuto di merito della decisione).

Cass. pen. n. 1995/1993

Il giudice dell'esecuzione può revocare la sentenza di condanna, ormai in giudicato, solo nel caso di abolitio criminis, previsto dall'art. 673, primo comma, c.p.p. (abrogazione o dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice). Fuori di tale ipotesi, nel caso in cui non sia stata fatta valere una causa estintiva con gli ordinari mezzi di impugnazione contro la sentenza, l'unico rimedio avverso il giudicato di condanna può, eventualmente, essere costituito dal mezzo straordinario della revisione.

Cass. pen. n. 10423/1992

L'art. 673 c.p.p. trova applicazione esclusivamente nel procedimento di esecuzione e non in quello di cognizione, essendo la revoca della sentenza (per abrogazione o dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice) un provvedimento tipico del giudice dell'esecuzione.

Cass. pen. n. 1703/1992

Il disposto di cui all'art. 673 comma primo, prima ipotesi, c.p.p., in cui si fa riferimento alla intervenuta «abrogazione della norma incriminatrice», può trovare applicazione solo nel caso di vera e propria abolitio criminis, cioè di eliminazione, oltre che del titolo del reato, anche dell'intera fattispecie di rilievo penale. (Nella specie è stata esclusa l'applicabilità del citato articolo con riguardo a condanna per reato di interesse privato in atti d'ufficio, affermandosi che la condotta già inquadrata nell'ambito di detta figura di reato sarebbe stata ancora perseguibile penalmente sulla base del nuovo testo dell'art. 323 c.p., introdotto dalla stessa L. 26 aprile 1990, n. 86 che ha cancellato la figura dell'interesse privato in atti d'ufficio).

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mercoledì 14/06/2023
“Buonasera,<br />
quali sono gli effetti e le conseguenze della revoca della condanna penale per abrogazione della norma (Art. 673 c.p.p) con particolare riferimento alla condanna per danno erariale conseguente alla condanna penale? E' possibile chiederne, dopo la pronuncia di revoca, la revoca della condanna erariale, con rimborso di quanto pagato? Grazie!”
Consulenza legale i 20/06/2023
In primo luogo, si rileva che il codice di giustizia contabile rinvia all’articolo 7, per tutto quanto non in esso disciplinato, al Codice di procedura civile.
Pertanto, si può già escludere la possibilità di una applicazione diretta dell’art. 673 c.p.c., che non rileva nel tipo di processo qui in discussione.
In secondo luogo, si nota che le sentenze possono essere annullate o con i mezzi di impugnazione ordinaria fino al momento del passaggio in giudicato, che ne sancisce la definitività, salvo casi tassativi in cui si può intervenire anche dopo la scadenza dei termini per l’impugnazione.
L’art. 177 del codice di giustizia contabile cita quali mezzi per rimuovere una sentenza emessa dalla Corte dei conti l’appello, la revocazione o il ricorso per cassazione (nel caso la sentenza non sia ancora definitiva) o la sola revocazione nel caso la decisione della corte dei conti sia già passata in giudicato.
La revocazione, in particolare, è ammessa per dolo di una delle parti in danno dell'altra; dolo del giudice accertato con sentenza passata in giudicato; giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false; ritrovamento di uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario; infine, nel caso in cui per l'esame di altri conti o per altro modo si sia riconosciuta omissione o doppio impiego ovvero errore di calcolo (art. 202 codice di giustizia contabile).
Si tratta di ipotesi tassative, che non possono essere estese fino a ricomprendervi anche il caso indicato nel quesito.
In generale, inoltre, la giurisprudenza ritiene che il giudizio penale e quello per danno erariale seguano due “binari” diversi e autonomi, con la conseguenza che nemmeno l’estinzione del giudizio penale per amnistia o prescrizione del reato ha effetti per quanto riguarda il giudicato contabile (Corte Conti, (Lazio) sez. reg. giurisd., 12 novembre 2013, n.757).
Tutto quanto sopra porta a concludere che se ancora non è scaduto il termine per l’impugnazione si potrebbe citare la revoca della condanna penale come argomento difensivo, ma senza poter invocare alcun automatismo per la riforma della sentenza contabile; se, invece, la sentenza della corte dei conti è già definitiva, tale rimane anche a fronte della revoca della sentenza penale.