(massima n. 2)
Il reato di infedeltā patrimoniale di cui all'art. 2634 c.c., introdotto dal D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, ha carattere speciale rispetto al reato di appropriazione indebita previsto dall'art. 646 c.p., che, proprio per la sua natura generica, č inidoneo a tutelare il patrimonio societario dagli abusi degli amministratori, ed oggi anche dei direttori generali e dei liquidatori. Ne consegue che, per effetto dell'entrata in vigore della nuova disciplina sui reati societari, non possono ritenersi depenalizzati i fatti appropriativi commessi in precedenza (nella specie per finanziare illecitamente partiti politici) sulla base della mera aspettativa che quegli stessi fatti fossero finalizzati a procurare un vantaggio per la societā. Ed infatti, la disposizione del terzo comma del menzionato art. 2634 c.c. (secondo cui non č ingiusto il profitto della societā collegata o del gruppo se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo) trova applicazione in presenza di vantaggi compensativi - effettivamente conseguiti o Ģfondatamenteģ prevedibili, sulla base di elementi certi e non meramente aleatori - dell'appropriazione e del conseguente danno provocato alle singole societā, non essendo sufficiente la mera speranza o l'aspettativa di benefici futuri. (Nel caso di specie, la S.C. ha rigettato il ricorso delle parti private avverso la sentenza del giudice dell'esecuzione che aveva rigettato la richiesta di revoca delle sentenze di condanna per appropriazione indebita sul rilievo che il profitto ingiusto, per il quale i fatti giā giudicati erano stati commessi, sarebbe stato compensato da vantaggi derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo di societā).