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Articolo 2476 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Responsabilità degli amministratori e controllo dei soci

Dispositivo dell'art. 2476 Codice Civile

Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso.

I soci che non partecipano all'amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali [2261, 2320] ed i documenti relativi all'amministrazione.

L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi. In tal caso il giudice può subordinare il provvedimento alla prestazione di apposita cauzione(1).

In caso di accoglimento della domanda la società, salvo il suo diritto di regresso nei confronti degli amministratori, rimborsa agli attori le spese di giudizio e quelle da essi sostenute per l'accertamento dei fatti.

Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'azione di responsabilità contro gli amministratori può essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società, purché vi consenta una maggioranza dei soci rappresentante almeno i due terzi del capitale sociale e purché non si oppongano tanti soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale.

Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi(2).

Le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori.

Sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.

L'approvazione del bilancio da parte dei soci non implica liberazione degli amministratori e dei sindaci per le responsabilità incorse nella gestione sociale.

Note

(1) La Corte costituzionale con sentenza 14-29 dicembre 2005, n. 481 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità degli artt. 2409, 2476, terzo comma e 2477, quarto comma c.c. in riferimento all'art. 76 e all'art. 3 Cost.
(2) Comma introdotto dal D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14.

Ratio Legis

La norma conferma i tradizionali caratteri della responsabilità sociale ascritta agli amministratori (contrattuale; solidale; per colpa) oltre a ribadire anche per gli amministratori di s.r.l. l'obbligo di adempiere ai doveri di fonte legale e statutaria con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico.

Spiegazione dell'art. 2476 Codice Civile

Nonostante la differente formulazione rispetto a quanto previsto per le s.p.a. (2393), secondo l’orientamento prevalente gli amministratori di s.r.l. sarebbero tenuti ad adempiere ai doveri imposti loro dalla legge o dall’atto costitutivo con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico. La responsabilità solidale degli amministratori è esclusa solamente nel caso in cui si dia prova che l’amministratore:
  • sia esente da colpa;
  • abbia reso noto il proprio dissenso, laddove a conoscenza dell’atto pregiudizievole da compiersi. In tal caso, il dissenso dovrà essere manifestato secondo forme diverse in base al tipo di sistema di amministrazione adottato (se si tratta di amministrazione disgiunta, ad esempio, l’amministratore dovrà esercitare il proprio potere di opposizione).
L’azione di responsabilità sociale, rispetto a quanto disposto per le s.p.a., può essere promossa direttamente dai singoli soci, i quali agiranno in veste di sostituto processuale della società. In base alla tesi maggiormente condivisa, inoltre, deve sempre ritenersi ammissibile la possibilità per la società di agire nei confronti degli amministratori, previa decisione in merito della collettività dei soci.
L’azione presuppone che dalla colpevole violazione del dovere di diligenza sia originato un danno al patrimonio sociale.
Sempre ai singoli soci, ed a prescindere dall’entità della loro partecipazione, la norma attribuisce la facoltà di richiedere al Tribunale l’emissione di un provvedimento cautelare di revoca dell’amministratore, qualora risulti provata la sussistenza di gravi irregolarità nella gestione potenzialmente pregiudizievoli per la società. In tal caso, tuttavia, non è rimessa all’autorità giudiziaria anche la possibilità di nomina di un amministratore giudiziario.

In funzione dell’esercizio dell’azione di responsabilità da parte dei singoli soci, a questi ultimi sono riconosciuti poteri di controllo sconosciuti agli azionisti, tra i quali la norma cita espressamente il diritto all’ispezione della documentazione della società e il diritto ad ottenere informazioni circa singoli atti gestori o la gestione societaria nel suo complesso.

Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza ha espressamente introdotto anche nella s.r.l. l’azione di responsabilità dei creditori sociali, la cui esperibilità era in precedenza ampiamente discussa in dottrina e giurisprudenza.
L’azione di responsabilità dei creditori presuppone in tal caso:
  • la violazione del dovere di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, ovverosia del patrimonio di garanzia sul quale possono soddisfarsi i creditori
  • l’incapienza del patrimonio sociale ai fini della soddisfazione dei creditori.

Analogamente a quanto previsto per le s.p.a., la norma riconosce in ogni caso ai soci ed ai terzi la possibilità di agire nei confronti degli amministratori per il risarcimento dei danni cagionati direttamente a questi ultimi da comportamenti degli amministratori, purché si tratti di pregiudizio prodottosi direttamente nella sfera giuridica del socio o del terzo.

Infine, considerato che nella s.r.l. la collettività dei soci o i singoli soci possono essere direttamente o indirettamente partecipi della gestione sociale, la disposizione prevede un’ipotesi di responsabilità dei soci che abbiano deciso o autorizzato un atto pregiudizievole per la società. Trattasi di responsabilità accessoria a quella degli amministratori.

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

Massime relative all'art. 2476 Codice Civile

Cass. civ. n. 7279/2023

In tema di società, il contratto concluso in conflitto di interessi integra l'illecito di cui all'art. 2476 c.c. allorché l'amministratore abbia fatto prevalere un interesse extrasociale, che oltre ad essere incompatibile con quello della società, sia per essa pregiudizievole, alla stregua di una valutazione della condotta, operata secondo un giudizio "ex ante", che tenga conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta analoga a quella adottata, nonché della diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione.

Cass. civ. n. 7272/2023

L'inadempimento contrattuale di una società di capitali non può, di per sé, implicare responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell'altro contraente ex artt. 2395 o 2476, comma 6, c.c., nella formulazione "ratione temporis" vigente, atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, postula fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi; laddove ne ricorrano tutti gli estremi può, peraltro, configurarsi un concorso tra l'inadempimento della società e l'illecito dell'amministratore.

Cass. civ. n. 25317/2021

Nel giudizio di responsabilità promosso dal socio di s.r.l. nei confronti dell'amministratore ai sensi dell'art. 2476 c.c., la società è litisconsorte necessario e l'amministratore, in quanto munito di poteri di rappresentanza dell'ente, versa in una situazione di conflitto di interessi che richiede la nomina di un curatore speciale, il quale mantiene la "legitimatio ad processum" solo fino a quando i soci non provvedono alla designazione di un nuovo legale rappresentante, spettando, poi, al giudice, acquisita la notizia, concedere un termine perentorio per la costituzione di quest'ultimo, in applicazione dell'art. 182, comma 2, c.p.c., pena la nullità degli atti processuali compiuti dopo tale designazione. (Nella specie, la S.C., riscontrata la nomina del liquidatore, nuovo legale rappresentante della società, già in pendenza del primo grado di giudizio, ha cassato la sentenza impugnata, rinviando al giudice di appello, in diversa composizione, affinché provvedesse a decidere nuovamente la causa previa rinnovazione degli atti nulli ex art. 354, ultimo comma, c.p.c., e previa eventuale rimessione in termini ex art. 294 c.p.c. della parte non correttamente costituita).

Cass. civ. n. 19745/2018

La legittimazione individuale straordinaria, di cui all'art. 2476, comma 3, c.c., che consente al socio di proporre l'azione sociale di responsabilità, essendo riconducibile alla sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c., permane anche in sede di gravame, quand'anche la società abbia omesso di impugnare la sentenza reiettiva della domanda risarcitoria, salva la sola ipotesi in cui l'azione sia stata fatta oggetto di rinuncia o transazione da parte dell'ente, nel rispetto delle prescrizioni di cui al comma 5 dell'art. 2476 c.c., in materia di maggioranza deliberativa e potere di veto.

Cass. civ. n. 17493/2018

In tema di azione individuale del socio di s.r.l., avente per oggetto l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori, sussiste litisconsorzio necessario con la società medesima in quanto l'autonoma iniziativa del socio, riconosciuta dall'art. 2476, comma 3, c.c. senza vincolo di connessione con la quota di capitale dallo stesso posseduta, non toglie che si tratta pur sempre di un'azione sociale di responsabilità, rifluendo l'eventuale condanna dell'amministratore unicamente nel patrimonio sociale e potendo solo la società (non il socio) rinunciare all'azione e transigerla.

Cass. civ. n. 2038/2018

La responsabilità solidale degli amministratori della s.r.l. per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società non costituisce una forma di responsabilità oggettiva posto che l’esonero da responsabilità previsto dall’art. 2476 c.c. non è ancorato al mero procedimento di rituale verbalizzazione del dissenso in occasione del consiglio di amministrazione deliberante, ma all’effettiva mancanza di qualsiasi profilo di colpa.

Compete anche al socio amministratore di s.r.l. il diritto, previsto dall’art. 2476, comma 2, c.c. di ricevere notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri e i documenti relativi alla gestione societaria compiuta dagli altri amministratori, cui egli non abbia in tutto o in parte partecipato.

Cass. civ. n. 12454/2016

In tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata per i danni ad essa cagionati da operazioni illegittime, il giudice ben può tenere conto, al fine di ricostruire nei limiti del possibile l'andamento degli affari sociali, e di valutare gli effetti concreti dell'operato degli amministratori medesimi, delle risultanze di scritture contabili informali, ossia non conformi alle prescrizioni di legge.

Cass. civ. n. 10936/2016

Nella società a responsabilità limitata, il singolo socio è legittimato, giusta l'art. 2476, comma 3, c.c., ad esercitare, come sostituto processuale, l'azione di responsabilità spettante alla società, nei cui confronti, pertanto, deve essere integrato il contraddittorio, quale litisconsorte necessaria.

Cass. civ. n. 12333/2012

La clausola compromissoria inserita nell'atto costitutivo di una società, che prevede la possibilità di deferire agli arbitri le controversie tra i soci, quelle tra la società e i soci nonché quelle promosse dagli amministratori e dai sindaci, in dipendenza di affari sociali o dell'interpretazione o esecuzione dello statuto sociale, non include anche l'azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. promossa dal socio nei confronti dell'amministratore, non rilevando che quest'ultimo sia anche socio della società.

Cass. civ. n. 16999/2004

L'esercizio dell'azione sociale di responsabilità va deliberato, anche nelle società a responsabilità limitata, ai sensi dell'art. 2487 in relazione art. 2393, primo comma, c.c. nel testo antecedente l'entrata in vigore del D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 3 , dall'assemblea dei soci: la mancanza di tale presupposto, incidente sulla legittimazione processuale del rappresentante della società, può anche essere rilevato d'ufficio dal giudice.

Cass. civ. n. 11057/1993

Nelle società a responsabilità limitata in cui non esiste il collegio sindacale, il diritto dei soci che rappresentano almeno un terzo del capitale di far eseguire annualmente, a proprie spese, la revisione della gestione, (art. 2489, primo comma, ult. parte, c.c.) è inderogabile (ult. comma, art. cit.) perché posto a tutela di interessi insopprimibili nella vita e nella gestione della società, mancante dell'organo di controllo. Pertanto, nel caso in cui lo statuto deroghi alla legge in senso più favorevole alla minoranza, abbassando il suddetto quorum, tale vantaggio non può essere eliminato se non con il consenso di tutti i soci, a prescindere dall'entità del valore della quota di ciascuno di essi.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2476 Codice Civile

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Cliente chiede
giovedì 02/05/2024
“Ho un quesito riguardo atti compiuti da un socio amministratore di una srl.

A causa di una diatriba con il comune di Roma l'attività alberghiera del quale l'amministratore-socio della società proprietaria dell'albergo, si vide bloccati momentaneamente i conti bancari aziendali per un certo lasso di tempo.
Nelle more di questa dinamica l'amministratore fece arrivare sul proprio conto personale alcuni importi di fatture destinati alla società da parte di agenzie turistiche straniere aventi il ruolo di clienti e che quindi pagavano i servizi alberghieri goduti per un importo intorno ai 18mila euro direttamente sul conto privato e personale adducendo come motivazione la necessità di poter pagare gli stipendi dei dipendenti e in generale per dare la continuità operativa all'albergo. Chiaramente ciò è stato possibile perchè i "clienti", in accordo con l'amministratore, avevano adempiuto a tale azione. Sono però sono sorti dubbi in quanto è sembrato (ma non ce ne sono le prove) che in realtà priorità dell'amministratore fosse completare la costruzione di una piscina nella propria dimora e solo secondariamente dare continuità operativa alla società anche se di ciò non ci sono prove ma solo deduzioni. In ogni caso i soldi sono finiti sul suo conto e non è stato possibile poter apprezzarne l'uso fatto o se siano poi stati restituiti o altro. Ulteriore sospetto è che questa pratica fosse già bene organizzata come se il fatto fosse già stato compiuto in passato pur apparentemente senza motivi "impellenti". Il sospetto di ulteriori atti simili sorgerebbe laddove ad un controllo per quanto superficiale dell'operatività dell'albergo sembrerebbero non corrispondere la presenza di clienti inviati dall'agenzia turistica straniera di cui sopra e la presenza delle relative fatture se non alcune di scarsa rilevanza economica. Ora lo scrivente è socio in piena proprietà solo del 4% e nudo proprietario del 50% delle quote della srl di gestione mentre il socio amministratore è pienamente proprietario del 50% e usufruttuario del 96% delle quote della srl gestione dell'albergo e quindi a detta dell'amministratore-socio ciò non gli conferisci i diritti di "ottenere" verifiche contabili, bancarie o di qualsiasi altra natura riguardo la gestione amministrativa della srl ma solo il diritto di "chiedere" tali azione; mentre lui ha il diritto di non adempiere a queste richieste.

le questioni quindi sono:

come si può obbligare l'amministratore-socio a fornire senza omissioni tutta la documentazione necessaria ad una approfondita verifica?
Come si possono ottenere le scritture contabili amministrative e contabili anche se c'è opposizione a ciò? bilanci estesi? richieste presso le banche? richieste di verifica verso l'amministrazione delle agenzie-straniere coinvolte?
se tali condotte fossero dimostrate dalle verifiche, la sua azione o azioni ripetute potrebbero essere giustificate in qualche modo (carattere di urgenza, di continuità operativa etc ect) tale per cui tutto si risolverebbe sul piano amministrativo/penale/civile in un "nulla di irregolare".
Come si può appurare quindi la lealtà e onestà dell'amministratore-socio?
Se tali azioni invece fossero non solo provate ma oltretutto condotte in modalità ingiustificabili, l'amministratore-socio può essere destituito "di forza"?.
Quali conseguenze ci sarebbero sul suo ruolo e sulla sua persona sul piano amministrativo, civile e penale ?
In quanto tempo tali circostanze cadono in prescrizione e quali atti possono essere compiuti per interrompere la prescrizione?”
Consulenza legale i 09/05/2024
L’art. 2476, comma 2, del c.c. conferisce ai soci che non partecipano all'amministrazione il diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione; si tratta di un vero e proprio diritto soggettivo del socio in considerazione del fatto che ad esso corrisponde un dovere di comportamento da parte della società e, per essa, da parte dell'organo amministrativo.
La legittimazione spetta ad ogni socio che non partecipa all'amministrazione della società.
L’entità della quota detenuta non rileva ai fini della facoltà di esercizio di tale diritto; nel caso che ci occupa, anche la quota del 4% posseduta in piena proprietà conferisce al socio la possibilità di attivare il suddetto controllo (a prescindere da eventuali discussioni sull’estensione del medesimo diritto al nudo proprietario, il quale si ritiene essere comunque legittimato).

Con riguardo all'estensione del diritto di controllo, esso si articola nel diritto di avere dagli amministratori informazioni sullo svolgimento degli affari sociali e nel diritto di consultare la documentazione sociale.
Quanto al primo, l'informazione resa può essere verbale o scritta e non può essere generica, ma deve essere specifica e analitica con riferimento a quanto oggetto della richiesta.
Quanto al diritto di consultazione, esso si estende a qualsiasi documento riferibile alla società la quale non potrà opporre la segretezza o la riservatezza della documentazione

Dello steso avviso è la giurisprudenza, la quale generalmente ritiene che il diritto di controllo non abbia ad oggetto soltanto i libri sociali, ma tutti i documenti e le scritture contabili, i documenti fiscali e quelli riguardanti singoli affari, poiché il riferimento normativo ai “documenti relativi all'amministrazione” appare in sé idoneo a ricomprendere ogni documento concernente la gestione della società e non consente letture riduttive volte a distinguere, ad esempio, la documentazione amministrativo-contabile da quella più prettamente commerciale (Trib. Milano, 30 novembre 2004; Trib. Bologna, 6 dicembre 2006; Trib. Napoli, 12 novembre 2015).

Il diritto del socio non amministratore di avere notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite un professionista di fiducia, i libri ed i documenti relativi all'amministrazione, ed eventualmente estrarne copia, può essere oggetto di tutela tramite azione di merito specifica o in via d'urgenza ex art. 700 del c.p.c. (Trib. Ivrea, 4 luglio 2005; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 10 giugno 2011).
Di conseguenza, l’amministratore può essere obbligato a fornire tutta la documentazione richiesta tramite apposita azione giudiziaria all’uopo instaurata.

A seguito delle verifiche su tutta la documentazione sociale, si potrà stabilire se la prassi di utilizzare il proprio conto personale quale conto operativo aziendale sia stata portata avanti in buona fede e senza distrarre fondi societari.
A tal proposito, si ritiene che competa al socio altresì il diritto a chiedere ed ottenere dall’amministratore il rendiconto delle movimentazioni relative anche a detto conto corrente, tanto in entrata quanto in uscita, a cui corrisponde simmetricamente l’obbligo per l’amministratore di fornirlo; ciò in quanto insito nel diritto del socio ad ottenere tutta la documentazione relativa ai singoli affari, come riconosciuto nella giurisprudenza sopra citata.
Allo stesso modo, si potrà pretendere un rendiconto delle presenze nella struttura alberghiera, del pagamento degli stipendi dei dipendenti e dell’utilizzo di tutti i fondi di competenza della società.

In linea generale, le verifiche condurranno agli elementi necessari per stabilire la correttezza o meno del comportamento dell’amministratore nella gestione della società, così da valutarne eventuali responsabilità.

L’art. 2476 del c.c., al comma 1, dispone che gli amministratori di una s.r.l. sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società.
L'azione di responsabilità contro gli amministratori per danni cagionati alla società può essere promossa altresì da ciascun socio (art. 2476, comma 3, del c.c.), il quale, indipendentemente dalla quota di capitale sociale posseduta, potrà agire in giudizio in veste di sostituto processuale in nome e per conto della società stessa per ottenere la condanna degli amministratori a risarcire il danno cagionato al patrimonio sociale in conseguenza dei loro atti di mala gestio.
Detta responsabilità nei confronti della società (di tipo contrattuale), ricorre in tutti quei casi in cui l’amministratore viene meno (anche solo colposamente) ai suoi doveri imposti dalla legge o dallo statuto della società.

Residua, inoltre, un’eventuale responsabilità verso il singolo socio, disciplinata dal comma 7 dell’art. 2476, che si verifica quando un atto doloso o colposo dell’amministratore causa un pregiudizio diretto al patrimonio del singolo socio, ovvero un danno che non sia solo un riflesso di quello patito dalla società.
Trattandosi di responsabilità extracontrattuale, è necessaria la prova, oltre dell’elemento soggettivo (dolo o colpa dell’amministratore), anche del nesso causale tra l’atto dell’amministratore contestato e il danno patito dal singolo socio.

Il parametro a cui rapportare la misura della diligenza richiesta agli amministratori al fine di valutarne la sussistenza di una responsabilità è quello della diligenza professionale stabilita dall’1176, 2 comma, del c.c..
L'amministratore ha il dovere di gestire la società e svolgere l’attività di impresa per la quale è stata costituita.

Da un punto di vista civilistico, nell’eventualità in cui le verifiche effettuate a seguito dell’esercizio del diritto di controllo del socio conducano ad individuare comportamenti dell’amministratore non conformi ai doveri ad esso imposti, nonché ai canoni della diligenza professionale, egli potrà essere destinatario di un’azione di responsabilità ai sensi e nei termini di cui alle norme sopra citate.
È fatto salvo, in ogni caso, il diritto al risarcimento del danno subito, tanto dalla società, quanto dal singolo socio; nonché il diritto della società alla restituzione delle somme eventualmente distratte.
In ogni caso, si ritiene integri mala gestio anche la condotta stessa di utilizzare un conto corrente personale in luogo di uno societario, salva in ogni caso la dimostrazione di un danno in capo alla società.
Il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di responsabilità avverso l’amministratore è quinquennale e decorre dalla cessazione dalla carica; può essere interrotto mediante l’invio di una diffida a mezzo PEC o raccomandata a/r, che contenga una specificazione dei fatti addebitati e del danno cagionato (tanto alla società, quanto al socio).

Le medesime condotte possono integrare giusta causa di revoca dell’amministratore dalla carica assunta.
La competenza per la revoca dell’amministratore viene posta in capo all’assemblea dei soci, pertanto nel caso di specie non si ritiene la via percorribile, poiché il socio-amministratore detiene il controllo del 50% delle quote in piena proprietà e di un ulteriore 46% quale usufruttuario.
Si ritiene più opportuno domandare la revoca nell’ambito dell’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2476 di cui sopra; la sostituzione dell’amministratore potrà essere richiesta anche in via cautelare, sui presupposti del fumus boni iuris (probabile sussistenza di gravi irregolarità nella gestione della società) e del periculum in mora (pericolo che il protrarsi della gestione in capo al soggetto comporti il rischio di un danno grave ed irreparabile).

Dal punto di vista penale valga quanto segue.

Se a valle degli accertamenti dovesse essere verificato che l’amministratore si fosse effettivamente intascato somme che avrebbero dovuto essere di spettanza dell’ente e che l’amministratore possedeva solo per il momentaneo blocco del conto corrente sociale, allora l’ipotesi di reato è quella di appropriazione indebita prevista e punita dall’art. 646 del c.p..

Il reato, come facilmente intuibile dalla semplice lettura del testo della norma, punisce la condotta di colui il quale, avendo il possesso di denaro o bene altrui, se ne appropri e si comporti da proprietario, pur non essendolo.

Il dolo tipico della fattispecie è quello generico e quindi occorre semplicemente la coscienza e volontà, da parte del reo, di impossessarsi di un bene/denaro che sa non essere suo e che possiede in via autonoma ma solo per conto di qualcun altro.

I suddetti elementi nel caso di specie sembrano sussistere tutti.

Quanto all’utilizzo uti dominus, sembra scontato che tale evenienza si sia verificata laddove si dovesse provare che l’amministratore abbia utilizzato quel denaro per scopi personali e non, come pattuito, per garantire l’operatività dell’ente.

Sul fronte del dolo, poi, è difficile ritenere che l’amministratore non fosse consapevole dell’illiceità del proprio comportamento laddove, per appropriarsi di queste somme, ha utilizzato il pretesto della continuità sociale con la consapevolezza che fosse una semplice scusa per ammantare di legittimità una condotta scientemente colpevole.

Quanto alla prescrizione, la stessa è di 7 anni e mezzo e può essere interrotta solo a seguito di attività svolta dal pubblico ministero procedente (la persona offesa dal reato non ha la possibilità di interrompere in autonomia i termini penali di prescrizione).

Quanto, infine, alle conseguenze sulla carica ricoperta, l’art. 32 bis del c.p. prevede una pena accessoria che potrebbe essere comminata in caso di condanna definitiva a seguito della quale il condannato viene interdetto temporaneamente dal ricoprire qualsiasi ufficio direttivo di persone giuridiche.
Laddove venisse comminata tale pena accessoria e la condanna dovesse passare in giudicato, il condannato decadrebbe in via immediata dalla qualifica di amministratore.


A. M. chiede
domenica 06/08/2023
“Salve, cercherò di essere il più chiaro possibile.
Ho acquistato un'automobile usata da una SRLS Unipersonale, pagata 6.600€.

Dopo circa 20 giorni dal ritiro dell'auto, causa qualche rumore del veicolo, ho deciso di effettuare un checkup completo a mie spese, presso mio meccanico di fiducia. Una volta alzata l'auto sul ponte è stata riscontrata una quantità di ruggine impressionante, ed anche parte della carrozzeria inferiore era stata riverniciata per non rendere evidente l'avanzata della ruggine. Nella perizia è riportato che tutto il sistema meccanico sotto scocca è seriamente compromesso, mi è già stato sconsigliato qualsiasi intervento da diverse officine (in primo luogo perchè le riparazioni sarebbero molto costose rispetto al volore dell'auto, ma cosa più importante, l'intervento potrebbe generare ancora pià danni). Ho fatto anche valutare la vettura da diversi siti on line (come ad esempio noicompriamoauto.it) la stima è stata simbolicamente di 1€.

Ho provveduto ad inviare pec alla srls unipersonale per notificare l' accaduto, con foto e perizia dell'auto, chiedendo la risoluzione del contratto. Ho avuto solo una risposta telefonica in cui in breve mi si diceva che dovevo tenermi il veicolo così come è. Al momento ho provveduto a far scrivere da un avvocato un invito per un percorso di mediazione assistita, sono in attesa di risposta.

Nell'ipotesi che volessi andare davanti ad un giudice, vi informo che la società in questione ha un capitale depositato di soli 500€, non ha un negozio fisico, non ha beni, nemmeno un parco auto.

Mi chiedo quindi: questo amministratore unico, per il caso descritto, potrebbe risponderne in maniera illimitata con il suo patrimonio personale? Ho letto articolo 2476 del c.c, mi chiedevo se il caso descritto rientra nella definizione di mala gestione, dato che ha arrecato danni a terzi. Se rientra nella mala gestione può rispondere ai creditori con il patrimonio personale?

Chiedo anche vostro parere e consiglio su come potermi difendere da questa truffa. Non posso credere che basti avviare una qualsiasi tipologia di SRL senza mai risponderne personalmente.

Grazie”
Consulenza legale i 08/08/2023
L'art. 2476 del c.c. disciplina la responsabilità degli amministratori verso la società, i soci ed i terzi.
In riferimento alla responsabilità verso i creditori sociali, il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (art. 378, comma 1) ha precisato (recependo l’orientamento assolutamente maggioritario in giurisprudenza) che gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale e che l'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.
Il comma 7 della norma prevede che le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori.
Anche i terzi, infatti, possono agire nei confronti degli amministratori di una s.r.l. nel caso in cui l'atto doloso o colposo da questi realizzato abbia arrecato al patrimonio del terzo un danno diretto, che non sia il mero riflesso dei danni eventualmente arrecati al patrimonio sociale, ma sia conseguenza diretta ed immediata del comportamento illecito degli amministratori (Trib. Roma, 21 novembre 2013).
In ogni caso, si tratta pur sempre di atti di gestione posti in essere degli amministratori, nell’alveo dei quali non rientra il caso di specie.

La via già intrapresa dal Suo legale di fiducia appare corretta.
L’art. 1490 del c.c. dispone che il venditore sia tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.
In presenza di un prodotto viziato secondo i canoni indicati, l’art. 1492 del c.c. accorda all’acquirente il diritto alla risoluzione del contratto, ovvero, a sua scelta, alla riduzione del prezzo.
Quando avrà ottenuto una pronuncia giudiziale in tal senso, potrà agire esecutivamente nei confronti della società, anche mediante un pignoramento del conto corrente, di cui certamente sarà dotata.

Infine, nell’eventualità in cui la condotta dell’amministratore della società, che sembra essere proprio il soggetto che Le ha venduto il mezzo viziato, integri tutti gli elementi costitutivi del delitto di truffa di cui all’art. 640 del c.p. (circostanza da valutare mediante un'analisi accurata dei concreti comportamenti posti in essere), potrà sporgere querela e, all’esito di una sentenza di condanna, agire direttamente nei suoi confronti per il risarcimento dei danni subiti.

P. P. chiede
martedì 29/11/2022 - Puglia
“Buongiorno vorrei un chiarimento:

Insieme ad altre due persone sto per costituire una societa' a responsabilita' limitata semplificata, trattasi di centro estetico.
Qualora dovessero nominarmi amministratore unico della stessa quali possoono essere i rischi cui posso andare incontro? ne rispondo penalmente e anche con il patrimonio personale oltre la quota investita per l'apertura?

Grazie

Saluti”
Consulenza legale i 06/12/2022
La società a responsabilità limitata semplificata costituisce una variante o sotto-tipo della srl ordinaria, per cui si applicano, salvo quanto previsto dall’ art. 2463 bis del c.c., le disposizioni relative alla srl ordinaria in quanto compatibili.

La srl è una società di capitali per cui gode di autonomia patrimoniale perfetta cioè i soci non hanno alcuna responsabilità per i debiti sociali, dei quali risponde soltanto la società con il proprio patrimonio. I soci sono pertanto soci a responsabilità limitata: rispondono delle obbligazioni della società esclusivamente nei limiti del capitale sottoscritto (art. 2325 del c.c.).

Per quanto riguarda la responsabilità degli amministratori questa è di natura sia civile che penale.
Nel caso di amministratore unico, a causa della mancanza di collegialità, questo assume maggiori rischi di responsabilità in quanto è il solo direttamente responsabile
  • verso la società, oltre che
  • verso ciascun socio ed
  • i terzi.

La responsabilità verso la società ha natura contrattuale. E' richiesta all'amministratore non la generica diligenza bensì quella derivante dalla natura dell’incarico e delle specifiche competenze. L’amministratore risponde con il proprio patrimonio per il risarcimento dei danni provocati.
Nei casi di gravi irregolarità nella gestione sociale a danno della società, il socio può chiedere al Tribunale, in via cautelare, la revoca dell’amministratore. Il giudice può subordinare il provvedimento al pagamento di una cauzione.

Oltre a questo, è previsto a titolo di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito (art. 2395 del codice civile) che gli amministratori rispondano del loro operato verso i soci e i terzi.
Il singolo socio o il terzo hanno diritto al risarcimento del danno qualora siano stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori.

Con l’introduzione del nuovo codice della crisi e dell’insolvenza (Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) è stata prevista anche una responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi relativi alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale (es: prosecuzione della gestione ordinaria dopo la perdita del capitale sociale). Alla responsabilità degli amministratori si affianca anche quella solidale dei soci che abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.

Oltre alla responsabilità civile, l’amministratore può incorrere anche in responsabilità penali, tra le principali vi sono: i reati societari, previsti all’ art. 2621 del c.c. e ss.; i reati fallimentari, previsti all' art. 322 del codice della crisi d'impresa e ss. ed alcuni illeciti previsti in materia di sicurezza sul lavoro, per la tutela ambientale e urbanistica ecc.

Infine, le violazioni commesse dagli amministratori possono dar luogo a sanzioni amministrative (es: impedito controllo, omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi, omessa convocazione dell’assemblea, tardivo aggiornamento libro soci, violazioni tributari).

L'assunzione della carica deve pertanto essere ben meditata.


P. D. S. chiede
venerdì 26/11/2021 - Liguria
“un amministratore può essere chiamato a rispondere attraverso un azione di responsabilità da parte dei soci, per la sua completa inerzia, e la mancanza di qualsiasi attività che ha portato la società a non generare alcun ricavo e poi di conseguenza essere liquidata, annullando quindi tutto il valore dell'avviamento societario?”
Consulenza legale i 03/12/2021
Ai sensi dell'art. 2476 del c.c., comma 1, in una s.r.l. "gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società".
La norma attribuisce, inoltre, al singolo socio sia il diritto di controllo in ordine alla gestione della società consentendogli di ottenere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare la documentazione sociale, sia il diritto di esercitare, in via concorrente con la società, l'azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori.
Il comma 3 dell'art. 2476 del c.c. dispone, inoltre, che l'azione di responsabilità contro gli amministratori può essere promossa da ciascun socio.

Detta responsabilità degli amministratori nei confronti della società, disciplinata dal comma 1 dell’art. 2476 c.c., può qualificarsi come una responsabilità contrattuale, la quale ricorre in tutti quei casi in cui l’amministratore viene meno colposamente ai suoi doveri imposti dalla legge o dallo statuto della società.
La responsabilità verso il singolo socio è, invece, disciplinata dal comma 7 dell’art. 2476, è di natura extracontrattuale; si verifica quando un atto doloso o colposo dell’amministratore causa un pregiudizio diretto al patrimonio del singolo socio, ovvero un danno che non sia solo un riflesso di quello patito dalla società.
Trattandosi di responsabilità extracontrattuale, è necessaria la prova, oltre dell’elemento soggettivo (dolo o colpa dell’amministratore), anche del nesso causale tra l’atto dell’amministratore contestato e il danno patito dal singolo socio.

Al fine di poter ravvisare la responsabilità dell’amministratore si dovrà tenere conto, quale parametro per misurare la diligenza richiesta al medesimo nell’adempimento dei propri doveri, quella professionale stabilita dall’art. 1176 del c.c., 2 comma.
Il dovere primario degli amministratori è quello di gestire la società, svolgendo l’attività d’impresa per la quale la società è stata costituita.
Si tratta di un dovere dal contenuto generico, che si concretizza a seconda delle circostanze del caso e delle caratteristiche della società.
L’amministratore di una società, tuttavia, non può esser chiamato a rispondere per aver posto in essere scelte imprenditoriali che si siano poi rivelate inopportune dal punto di vista economico, posto che la valutazione preventiva sulla opportunità della scelta attiene alla discrezionalità imprenditoriale e, sebbene possa essere posta alla base di una revoca dell’incarico, non può costituire fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società.
Questo principio generale, detto della insindacabilità delle scelte di gestione, non è assoluto, ma trova dei limiti.
L’attività di amministrazione di una società comporta sempre dei rischi, pertanto il limite della discrezionalità dell’amministratore nelle scelte gestionali incontra un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi secondo i parametri della diligenza professionale richiesta all’amministratore stesso e tenendo conto in particolare della mancata adozione delle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste, ovvero della diligenza mostrata dall’amministratore nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere.

Secondo la giurisprudenza di merito, il giudizio da seguire per vagliare eventuali responsabilità degli amministratori di s.r.l. deve basarsi non su "un giudizio a posteriori [circa] l'economicità di quelle scelte gestionali operate ovvero il mancato profitto conseguito da quella specifica scelta di amministrazione di azienda" bensì su una valutazione "che quello specifico atto gestionale contestato non avrebbe dovuto essere compiuto, con giudizio riferito al tempo della sua consumazione" (Tribunale di Milano, sentenza n. 6016/2007).

Gli amministratori non sono invece responsabili per i risultati negativi della gestione che non siano imputabili a difetto di normale diligenza nella condotta degli affari sociali o nell’adempimento degli specifici obblighi posti a loro carico.

Tanto premesso, vista la normativa esposta e la giurisprudenza citata, in linea generale l’amministratore può essere chiamato a rispondere dell’inerzia nella gestione societaria se questa ha ingenerato dei danni alla società o ai soci e se gli atti e le scelte gestionali (compiute e non compiute) possono inquadrarsi in una violazione della diligenza ad essi imposta nello svolgimento della loro attività, in base ad un giudizio che faccia riferimento al tempo in cui dette scelte avrebbero dovuto essere compiute.
Per una valutazione della responsabilità dell'amministratore e dell'opportunità di un'azione di risarcimento del danno nel caso concreto, si dovrebbero conoscere più nel dettaglio le vicende societarie.

L’azione potrà essere promossa sia dalla società, se ancora esistente, con un’azione per l’accertamento della responsabilità contrattuale dell’amministratore per i danni ad essa cagionati; sia dai singoli soci, con un’azione per l’accertamento della responsabilità extracontrattuale.
Il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione consta in 5 anni e decorre dalla cessazione dell’amministratore dalla carica.

Emiliano P. chiede
martedì 15/06/2021 - Lazio
“buongiorno sono socio di una srl al 50% il mio socio e' l'amministratore in 20 anni di attivita' abbiamo comprato un terreno edificabile per costruire una bifamiliare dopo tutto questo tempo ancora non e' riuscito a ritirare il permesso a costruire la mia domanda e' possibile citarlo per un azione di responsabilita' ? Visto che nel frattempo ci troviamo a pagare 120. 000 euro di debiti ad un consorzio dove sorge il suddetto terreno ?
Grazie”
Consulenza legale i 21/06/2021
La responsabilità degli amministratori di una s.r.l. è disciplinata dall’art. 2476 c.c., alla cui lettura si rimanda.

Detta responsabilità si inquadra nell’alveo della responsabilità di tipo contrattuale, la quale ricorre in tutti quei casi in cui l’amministratore viene meno colposamente ai suoi doveri imposti dalla legge o dallo statuto della società. Al fine di poter ravvisare la responsabilità dell’amministratore si dovrà tenere conto, quale parametro per misurare la diligenza richiesta al medesimo nell’adempimento dei propri doveri, quella professionale stabilita dall’art. 1176, 2 comma, c.c.

Così inquadrata la disciplina, si può passare all’analisi del quesito.

Secondo la giurisprudenza di merito, il giudizio da seguire per vagliare eventuali responsabilità degli amministratori di s.r.l. deve basarsi non su “un giudizio a posteriori [circa] l'economicità di quelle scelte gestionali operate ovvero il mancato profitto conseguito da quella specifica scelta di amministrazione di azienda” bensì su una valutazione “che quello specifico atto gestionale contestato non avrebbe dovuto essere compiuto, con giudizio riferito al tempo della sua consumazione” (cfr. Tribunale di Milano, sentenza n. 6016 del 2007).

Calando questi principi nel caso di specie, si rileva dunque che, se l’omessa condotta dell’amministratore (ovvero la richiesta e ritiro del permesso di costruire) abbia ingenerato quel debito (di euro 120.000 verso il consorzio) che diversamente non sarebbe sorto se il medesimo amministratore si fosse adoperato a compiere quanto richiestogli, tale condotta potrebbe essere foriera di responsabilità e di una conseguente azione verso l’amministratore.

Giorgio F. chiede
domenica 31/01/2021 - Piemonte
“Buongiorno, vorrei avere informazioni su quanto segue: l'azienda Alfa ha promosso una domanda di fallimento nell'anno 2014 contro una s.r.l. debitrice di nome Beta e questa domanda è stata dal giudice fallimentare rigettata sempre nell'arco dell'anno 2014 in quanto non vi erano i presupposti .
Nel frattempo e più precisamente nel 2017 la società debitrice Beta viene a morire per decadenza dei termini della durata come da atto costitutivo.
Nel 2021 la società Alfa che aveva promosso l'istanza di fallimento nel 2014 emette un atto di precetto in rinnovazione e lo notifica al domicilio dell'allora amministratore senza però citare in alcun modo l'istanza del rigetto emessa dal tribunale per mancanza dei requisiti.
Il titolare delle quote della società Beta è deceduto e le quote , a quanto dato sapere, non sono passate in successione a nessuno in quanto l'erede ha rinunciato all'eredità inoltre non è stato possibile mettere in liquidazione la società e neppure prorogarne la durata. L'ex amministratore (ex in quanto la società è cessata per i motivi di cui sopra nel 2017 ) come si deve comportare in questo caso?
Distinti saluti.”
Consulenza legale i 04/02/2021
In termini generali, in merito alla responsabilità degli amministratori di una s.r.l., l’art. 2476 del c.c., al comma VI stabilisce che “Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.”

Per quanto riguarda gli aspetti legati all’eventuale scioglimento e liquidazione della società, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2485 e 2484, comma 3, c.c., gli amministratori devono senza indugio accertare il verificarsi di una causa di scioglimento e iscrivere presso l’ufficio del registro delle imprese una dichiarazione con cui accertano lo scioglimento della società di capitali a causa del decorso del termine di durata previsto dall’atto costitutivo.
Ai sensi dell’art. 2487 del c.c., contestualmente all'accertamento della causa di scioglimento, gli amministratori debbono convocare l'assemblea dei soci perché deliberi in merito alla nomina dei liquidatori, oltre ad altri aspetti riguardanti la liquidazione.
Al verificarsi di una causa di scioglimento e fino al momento della consegna ai liquidatori nominati dall’assemblea dei libri sociali, l’art. 2486 del c.c. prevede che gli amministratori mantengono il potere di gestire la società esclusivamente al fine di conservare l’integrità e il valore del patrimonio sociale. Se commettono atti o omissioni in violazione di tale dovere, sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi.

La responsabilità di un amministratore, in ogni caso, deve essere accertata e dichiarata giudizialmente, a seguito di un’apposita azione di responsabilità intrapresa nei suoi confronti da uno dei soggetti per legge legittimati (tra cui i creditori sociali).

Nel merito del quesito avanzato, sarebbe opportuno valutare il titolo esecutivo fondante la notifica dell’atto di precetto, nonché visionare entrambi i documenti.
In ogni caso, se si tratta di un titolo ottenuto contro la società Beta, e quindi l’atto di precetto è ad essa rivolto (a prescindere dall’indirizzo di notifica), l’ex amministratore non si vedrà aggredire i suoi beni, in quanto non è il soggetto debitore.
Sarebbe, inoltre, opportuno sapere se, al di là del verificarsi di una causa di scioglimento della società, questa sia stata cancellata dal registro delle imprese.
Se non si è proceduto alla cancellazione con la comunicazione al registro delle imprese, la società, da un’eventuale visura, potrebbe risultare ancora attiva (salvo che l’ufficio del registro delle imprese non abbia proceduto alla cancellazione d’ufficio); in quel caso, probabilmente la notifica è stata effettuata presso l’ex amministratore, risultante dalla visura, poiché impossibile quella a mezzo PEC (sicuramente inattiva) e presso la sede della società (sicuramente chiusa).
In ogni caso, l’amministratore non sarà obbligato a fare nulla, ma si consiglia di comunicare alla società notificante lo scioglimento della società.

La citazione o meno nell’atto di precetto dell’istanza di fallimento rigettata, per le informazioni che ci ha fornito, non ha rilevanza in questa sede.
Lo stesso dicasi per le vicende legate alle quote societarie, poiché, trattandosi di s.r.l., vige il principio della separazione del patrimonio della società da quello dei soci, pertanto i creditori della società non possono soddisfarsi sui beni dei soci.

Parimenti utile sarebbe conoscere le ragioni per cui non si è potuto procedere alla liquidazione, anche per valutare eventuali profili di responsabilità fondanti un’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore, che, comunque, dalle informazioni ricevute non sembra essere in corso.


Roberto M. chiede
giovedì 17/12/2020 - Lazio
“Buonasera.
Sono socio al 33% , nonché membro del cda, di una s.r.l.,che è titolare di licenza di attività alberghiera oltre ad una parte dell'immobile dove l'attività è esercitata.
Nel corso del 2019 noi tre soci della s.r.l abbiamo deciso di mettere in vendita l'attività e l'immobile (anche gli immobili di proprietà personale). È stata ricevuta un'offerta di acquisto che il sottoscritto considerava congrua. Con decisione degli altri due soci, senza una delibera assembleare, l'offerta è stata rifiutata. La conseguenza è stata di avere un grave danno al mio patrimonio, data la cifra che avrei potuto ricavare dalla quota venduta.
QUESITO
esiste la possibilità da parte mia di iniziare un'azione di responsabilità verso l'amministratore per aver recato un consistente danno al patrimonio della società, nonché al mio personale ?
Grazie e saluti
Roberto M.”
Consulenza legale i 18/12/2020
L’ambito della responsabilità di un amministratore di una s.r.l. è definito dall’art. 2476, alla cui lettura si rimanda.

Nel quesito si chiede se il fatto descritto, ovvero il rifiuto a vendere le quote della società e l’immobile in cui veniva svolta l’attività alberghiera, possa comportare una responsabilità dell’amministratore della s.r.l. verso sia la società che il singolo socio.

Appare opportuno distinguere le due fattispecie di responsabilità dell’amministratore al fine di una migliore disamina.

La responsabilità verso il singolo socio è disciplinata dal comma 7 dell’art. 2476 ed è di natura extracontrattuale. Si verifica quando un atto doloso o colposo dell’amministratore causa un pregiudizio diretto al patrimonio del singolo socio, ovvero un danno che non sia solo un riflesso di quello patito dalla società. Trattandosi di responsabilità extracontrattuale, è necessaria la prova, oltre dell’elemento soggettivo (dolo o colpa dell’amministratore), anche del nesso causale tra l’atto dell’amministratore contestato e il danno patito dal singolo socio.

Nel caso di specie, se anche la mancata convocazione dell’assemblea per decidere sull’offerta è da ritenersi una violazione dell’amministratore ai propri doveri (atto colposo), resta il fatto che la medesima offerta era stata rifiutata da parte della maggioranza dei soci informalmente (nel quesito si menziona infatti che il socio che si duole della scelta ha una partecipazione del 33% nella s.r.l.).

Pertanto, tale offerta non avrebbe comunque passato il vaglio dell’assemblea.

Anche per l’altra fattispecie di responsabilità, ovvero quella verso la società, disciplinata dal comma 1 dell’art. 2476 c.c., di natura contrattuale, non si ritiene che possa rinvenirsi per le medesime ragioni di cui sopra una responsabilità dell’amministratore.

Antonio C. chiede
mercoledì 08/01/2020 - Lombardia
“buon giorno. il mio quesito è il seguente: società a responsabilità limitata unipersonale a socio unico, amministrata da un consiglio di amministrazione composto da due amministratori di cui il primo è socio-amministratore titolare del 100% del capitale ed il secondo è solamente amministratore non socio.In caso di responsabilità extracontrattuale per danni causati dalla società a terzi [ art. 2476 commi 6/7] si può citare la società solidalmente con i due amministratori oppure solamente il socio-amministratore titolare del 100% del capitale ?
grazie”
Consulenza legale i 14/01/2020
Prima di rispondere al quesito formulato, occorre richiamare le disposizioni di riferimento, ovvero i commi 6 e 7 dell’art. 2476 del c.c..

Il comma 6 del predetto articolo 2476 statuisce che “Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti..”.

Il comma 7 del medesimo articolo 2476 prevede, invece, che “Le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori”.

Come si può evincere dalla lettura del comma 7 della disposizione in oggetto, i terzi possono invocare una responsabilità extracontrattuale degli amministratori, qualora questi ultimi abbiano posto in essere “atti dolosi o colposi” da cui sia derivato un pregiudizio nei confronti dei medesimi terzi.
Il pregiudizio deve, tuttavia, consistere in un danno diretto al patrimonio del terzo.

Ciò premesso, e venendo alla risposta al quesito formulato, la possibilità di citare anche gli amministratori, indipendentemente dal fatto che rivestano anche la duplice veste di socio, dipende dalla circostanza sopra evidenziata, ovvero la sussistenza di un pregiudizio diretto al patrimonio del terzo in conseguenza di un comportamento dell’amministratore, che deve essere connotato dall’elemento soggettivo del dolo o, quantomeno, della colpa.

Antonio C. chiede
venerdì 27/12/2019 - Lombardia
“buon giorno.il quesito è il seguente. SRL unipersonale a socio unico amministrata da un consiglio di amministrazione composto da due amministratori di cui il primo è socio amministratore titolare del 100% del capitale ed il secondo è solo amministratore non socio.
in caso di richiesta danni con Accertamento Tecnico Preventivo già chiesto si possono citare in solido i due amministratori oppure solamente il socio amministratore titolare del 100%?
grazie”
Consulenza legale i 06/01/2020
La risposta al quesito formulato comporta il richiamo all’art. 2476, I comma, del c.c., a mente del quale “gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso”.

Come può evincersi dalla lettura della norma sopra richiamata, la responsabilità degli amministratori è di tipo contrattuale e solidale e, pertanto, potranno essere chiamati entrambi a rispondere solidamente dei danni eventualmente provocati dal loro comportamento.

Sempre come può evincersi dalla lettura del disposto di cui al predetto articolo, l’amministratore che abbia manifestato il proprio dissenso rispetto all’atto da cui è derivato il danno per la società e/o i creditori sociali e/o i soci può essere ritenuto esente da colpa e, dunque, non rispondere ai sensi dell’art. 2476 c.c. verso i soggetti sopra menzionati.

In conclusione, come sopra accennato, entrambi gli amministratori potranno essere citati avanti al Tribunale competente per rispondere solidalmente dei danni cagionati, fermo restando che, laddove sia possibile riscontrare un dissenso manifestato rispetto all’atto dannoso da parte di uno dei due amministratori, la responsabilità contrattuale non potrà estendersi a quell’amministratore a cui è riferibile l’atto di dissenso.

Anna B. chiede
mercoledì 27/11/2019 - Lombardia
“Buongiorno,
prima di sottoporvi il quesito, faccio una brevissima premessa per dare un’idea della situazione, sorvolando i dettagli tecnici:
Ad oggi esistono due società immobiliari facenti capo, in egual modo per entrambe le società, al sig. Alfa (socio al 50% nonché amministratore unico), Sig. Beta (socio al 30%) ed il Sig. Charlie (socio al 20%).
Per insanabili dissidi insorti, i soci hanno decido di fondere le due società, dando origine ad una nuova società immobiliare (con le stesse quote di partecipazione delle due precedenti e lo stesso amministratore), per poi dar seguito ad una scissione totale (quindi 3 nuove società unipersonali) dove ad ogni socio viene assegnata una parte del compendio immobiliare commisurata al valore di partecipazione della società fusa (ovviamente la società fusa cesserà di esistere al momento della scissione).
Il problema che sorge è il seguente:
1. Tutti gli immobili della società fusa sono attualmente locati.
2. L’operazione di scissione è prevista per marzo 2020.
3. Il contratto di alcuni immobili (contratti abitativi liberi 4+4, sottoscritti nel 2008) andranno in scadenza al 31 luglio e 31 agosto 2020.

Quesito:
Per evitare il tacito rinnovo dei contratti in scadenza a luglio ed agosto, è necessario che l’amministratore provveda ad inviare raccomandata di recesso ai conduttori. Egli però non intende procedere in tal senso in quanto gli immobili oggetto di tale recesso non saranno a lui assegnati (verranno assegnati ad uno dei due restanti soci ed è quindi evidente il dispetto da parte dell’amministratore!). Questo, di fatto, si trasformerà in un danno per il socio assegnatario, visto che il mancato invio della raccomandata di recesso entro i 6 mesi dalla scadenza del contratto, avrà come conseguenza il rinnovo automatico dei contratti stessi a fine luglio e agosto per ulteriori 4 anni.
Potete consigliarmi una soluzione che consenta di avviare la disdetta dei contratti entro il tempo utile dei sei mesi? Diversamente come si può agire verso l'amministratore?

Grazie e cordiali saluti”
Consulenza legale i 22/12/2019
Il mancato compimento di atti gestori da parte dell’amministratore di una s.r.l., generalmente, può essere affrontato, e superato talvolta, grazie alla facoltà riconosciuta ai soci di intervenire nella gestione della s.r.l. in forza del disposto di cui all’art. 2479, I comma, c.c.: “I soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall'atto costitutivo, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione”.

Tale norma, infatti, attribuisce al socio, che detenga almeno 1/3 del capitale, la possibilità di convocare l’assemblea per sottoporre alla decisione di soci determinate questioni su cui i soci saranno poi chiamati a decidere (è sempre consigliabile però sollecitare, prima di esercitare questo potere autonomamente, l’amministratore a convocare l’assemblea e, in caso di suo rifiuto, procedere con la convocazione direttamente da parte del socio).

Nel caso di specie, tuttavia, il 50% del capitale sociale è distribuito per un 30% al socio Beta e il restante 20% al socio Charlie; per raggiungere il 1/3 del capitale necessario ad esercitare tale potere di convocazione, pertanto, sarebbe necessario l’intervento dei due soci Beta e Charlie, altrimenti non verrebbe raggiunto il quorum richiesto dalla norma di cui sopra.

Se si riuscisse a convocare l’assemblea, in intesa tra il socio Beta e quello Charlie, si potrebbe portare all’ordine del giorno la decisione di trasmettere la comunicazione di preavviso ai conduttori.

Tuttavia, difficilmente potrà essere deliberata favorevolmente tale questione, atteso che l’altro socio detiene una partecipazione del 50%.

Ad ogni modo, potrebbe essere un modo per “fare pressione” sull’altro socio amministratore, con sollecitazione a quest’ultimo di motivare il suo dissenso alla trasmissione di dette comunicazioni.

L’organigramma societario, infatti, non lascia ampi spazi di manovra per il socio Beta e Charlie, detenendo il socio amministratore la metà del capitale sociale e, pertanto, potendone controllare, sostanzialmente, la gestione.

Neppure il tentativo di condizionare l’approvazione del progetto di scissione (se ancora non approvato) alla trasmissione delle comunicazioni di preavviso, sembra una strada percorribile, atteso che il quorum deliberativo previsto per tale approvazione è rappresentato dal voto favorevole di “almeno la metà del capitale sociale” e, pertanto, il socio amministratore potrebbe portare avanti tale operazione anche con il voto contrario degli altri due soci Beta e Charlie.

Se lo strumento persuasivo sopra proposto non dà i suoi frutti, al socio danneggiato dall’amministratore non resta che esperire l’azione di risarcimento ai sensi dell’art. 2476, VI comma, c.c.: “Le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori”.

Infatti, anche l’eventuale tentativo di ottenere un provvedimento cautelare di revoca dell’amministratore ex art. 2476, III comma, c.c., a mente del quale “ciascun socio…può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi”, non pare possa essere utile ai fini qui richiesti, atteso che, se anche si riuscisse ad ottenere la revoca in via cautelare, la successiva nomina del nuovo amministratore passerebbe di nuovo per l’assemblea, nella quale, come sopra evidenziato, l’attuale socio amministratore, per la quota di capitale detenuta, è in grado di esercitare un forte controllo.


Catia F. chiede
martedì 25/06/2019 - Lombardia
“Vorrei rispondere in modo incisivo sottolineando le conseguenze civili e penali, a una mail inviata dall'amministratore di convocazione assemblea di approvazione del bilancio di un'immobiliare s.r.l. (di cui sono socia per 1/6), in cui lo stesso propone come alternativa di evitare l'effettiva riunione e redigere un verbale finto con il consenso dei soci all'unanimità. Riporto le sue parole tratte dalla mail: "Se non fosse possibile direi di fare come abbiamo sempre fatto da 40 anni (e cioè approvazione all’unanimità con tutti presenti) fino a due anni fa." Tale pratica illegale, MAI autorizzata dalla sottoscritta, è stata da me scoperta nel 2016, ignara che sino a quel momento erano state redatte decine di verbali falsi in cui si affermava che ero presente e d'accordo su tutti i punti. Purtroppo, l'amministratore ha il consenso della parte restante dei soci, con cui è parente e probabilmente ha un tornaconto occulto. A ciò si aggiunga che nel corso degli anni a partire dal 1978, anno in cui sono entrata in possesso di tale quota, l'amministratore non mi ha mai consultato nelle decisioni collegiali prese soltanto con alcuni soci, se non dopo a fatto compiuto. Tanto per fare un esempio, nel 2016 sono venuta a conoscenza di una lauta offerta di acquisto di parte della proprietà inviata all'amministratore via fax nel 2008, offerta rifiutata dallo stesso senza consultarmi. Un'altra azione scellerata fatta dall'amministrare è stata quella di disdire quasi tutti i contratti delle aziende che erano in affitto nei capannoni, per lasciarli sfitti con l'intenzione di cambiare destinazione all'area. Un altro errore grave è l'incarico dato a due architetti ai quali ha pagato compensi assurdi a fronte del nulla, solo per dei disegni e pratiche comunali. A tutto ciò si aggiunga che nei verbali risulta che tutti i soci sono d'accordo all'unanimità nel NON distribuire gli utili. Ho già chiesto di inserire nell'Ordine del Giorno la rimozione dell'amministratore e dello studio commercialista suo complice. Naturalmente, essendo l'unica a sollevare la questione, mi è già stato risposto che si farà un'assemblea straordinaria, tanto per rimandare. In definitiva, mi ritengo gravemente danneggiata da queste iniziative dissennate dell'amministratore e dal suo reiterato ostentamento nel voler redigere verbali falsi.”
Consulenza legale i 02/07/2019
Partendo dall’ultima questione posta, la più semplice, è noto che i soci hanno pieno diritto di consultare la documentazione della società. L’art. 2476 c.c. stabilisce infatti che i soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione.
E’ irrilevante, dunque, che l’amministratore consideri offensiva la richiesta perché è previsto dalla legge che ogni socio abbia diritto di prendere visione quante volte vuole e quando vuole della documentazione inerente l’amministrazione, come libri sociali, bilanci e verbali.

Ciò detto le altre condotte descritte rilevano sia sotto il profilo civile che penale, in misura diversa.
Il medesimo articolo già citato (2476 c.c.) afferma che ogni socio può muovere un’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore per inosservanza dei suoi doveri e gravi irregolarità nella gestione della società (come avvenuto nel caso in esame), chiedendo nello specifico che sia adottato al Giudice un provvedimento cautelare di revoca dell’amministratore stesso.
La norma continua facendo salvo anche il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che siano stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori.

Pertanto, nel caso in esame, la socia pretermessa dalle assemblee e dalle decisioni adottate dagli altri soci potrà agire personalmente e da sola promuovendo due tipi di azione:
  • un’azione cautelare attraverso la quale potrà chiedere la revoca dell’amministratore per le gravi irregolarità nella gestione della società;
  • un’azione di risarcimento danni contro l’amministratore se sarà stata – attenzione – danneggiata personalmente da tale condotta. Va sempre ricordato, infatti, che qualunque richiesta di danni è subordinata alla rigorosa prova del danno stesso.
Infine, è opportuno sottolineare che l’articolo specifica che sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori per le condotte sopra descritte i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi. Pertanto, sarà possibile muovere l’azione intrapresa nei confronti dell’amministratore anche gli altri soci che abbiano intenzionalmente agito d’accordo con lui ed all’insaputa della socia esclusa.

Ora andiamo ad esaminare invece le medesime condotte sotto il profilo penale,
Partiamo dalla redazione di verbali di assemblea in cui si attesta che erano presenti tutti i soci e che la decisione è stata approvata all’unanimità, quando invece mancavano uno o più soci.

La questione è stata a lungo dibattuta.
L’articolo di riferimento è il 485 c.p., che punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni «chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio, o di recare ad altri un danno, forma in tutto o in parte, una scrittura privata falsa o altera una scrittura privata vera, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso».
E’ stato discusso se integri il reato in questione colui che, nel redigere il verbale di un’assemblea, attesti essersi verificati fatti (o essere state rese dichiarazioni) mai verificatesi (o mai rese) oppure dichiari essere avvenuti fatti (o essere state rese dichiarazioni) diversi da quelli effettivamente verificatisi (o da quelle effettivamente rese).
Ora, la Corte di Cassazione, è partita dalla premessa che l’art. 485 c.p. non prevede come reato il c.d. falso ideologico in scrittura privata ma sanziona esclusivamente le falsità materiali in scrittura privata. Ha escluso quindi che siano punibili le eventuali false attestazioni contenute nel verbale assembleare.
Il falso ideologico, ha affermato - cioè la non conformità al vero delle dichiarazioni risultanti dal documento, rilevante in materia di querela di falso - riguarda solamente la rappresentazione di fatti occorsi in presenza del verbalizzante, e non la veridicità o meno di giudizi o dichiarazioni effettivamente rese al suo cospetto (mere sviste o errori materiali) ovvero della rappresentazione di dichiarazioni effettivamente rese, della cui conformità al vero si voglia discutere.

Tuttavia, nella sentenza n. 7857 del 2018, la Corte ha stabilito invece la rilevanza penale della condotta sopra descritta, secondo il ragionamento che segue.
Il dato di partenza è che commette falsità in atti pubblici ed è perciò penalmente responsabile il privato che rilasci una falsa dichiarazione ai sensi delle norme sull’autocertificazione e sulle dichiarazioni sostitutive (artt. 46 e 47 del DPR 445/2000).
Secondo l’art. 76 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (DPR 445/2000), tali dichiarazioni sono infatti considerate come fatte a pubblico ufficiale; ciò basta a sancirne la destinazione a essere trasfuse in atto pubblico e, dunque, a rendere applicabili le sanzioni previste nell’ambito della falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, ai sensi dell’art. 483 c.p. (che punisce i casi – puniti con la reclusione fino a due anni – in cui un privato attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità).

Ciò viene ribadito dalla Cassazione nella sentenza citata, in un caso in cui l’amministratore di fatto di una s.r.l., nonché professionista incaricato della pratica di invio telematico dei verbali di assemblea alla Camera di commercio, attestava falsamente la conformità all’originale di uno di tali verbali in cui si dava atto del mutamento della persona dell’amministratore.
Nel caso di specie la Corte d’appello aveva condannato tale soggetto facendo riferimento all’art. 483 c.p., l’interpretazione maggioritaria del quale ritiene che la nozione di “atto pubblico” debba qui intendersi in senso più ampio rispetto a quello civilistico (art. 2699 c.c.), ovvero comprensivo di tutti quei documenti che vengono redatti da pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni.

Con riguardo alle dichiarazioni sostitutive di atto notorio e di certificazioni rilasciate ai sensi degli artt. 46 e 47 del DPR 445/2000, la natura pubblica dell’atto è stata desunta dalla sua naturale destinazione a provare la verità dei fatti in esso affermati, a sua volta ricavabile dalla funzione di comprovare stati, qualità personali e fatti.
A sostegno di tale interpretazione vi è anche la lettera della legge e, in particolare, l’affermazione dell’art. 76 comma 3 del DPR 445/2000 secondo cui tali dichiarazioni “sono considerate come fatte a pubblico ufficiale” e il tenore letterale dell’art. 2699 c.c., che definisce la nozione di atto pubblico in relazione al soggetto che lo emana secondo le previste formalità e al potere conferitogli di attribuire allo stesso “pubblica fede”.
Dunque secondo i giudici è la stessa legge sulla documentazione amministrativa ad attribuire alle suddette autodichiarazioni la qualità di atti pubblici ed è “evidente ed incontestabile la specifica funzione probatoria” delle stesse.
Ne deriva, pertanto, l’illiceità penale, da inquadrare in una delle fattispecie astratte previste dal codice penale in tema di falsità in atti pubblici, nel caso in cui il privato rilasci una autodichiarazione falsa, anche ove questa sia una comunicazione telematica alla Camera di commercio.

Diverso è il caso della formazione di un verbale del tutto falso, ovvero la creazione ad hoc del verbale di un’assemblea che in realtà non si è mai tenuta.
In al caso il documento non è falso, ma addirittura inesistente.
Sono stati i giudici e gli studiosi del diritto ad elaborare questa categoria giuridica per tutelare i diritti soggettivi dei singoli soci.
Inesistenti sarebbero quelle deliberazioni affette da un vizio talmente macroscopico da non poter neppure essere configurate come atti deliberativi.
L’insistenza, come l’inefficacia, comporta semplicemente quale conseguenza la mancanza di effetti. Che andrà, tuttavia - se si vuol far valere - rilevata in giudizio.

Da ultimo, si sottolinea che eventuali condotte degli amministratori lesive del patrimonio della società potrebbero essere punite anche sotto il versante del reato di infedeltà patrimoniale, di cui all'art. 2634 del cc.


GIOVANNI B. M. chiede
sabato 26/01/2019 - Sardegna
“Fatto: processo civile con rito societario, promosso dal Fallimento XXX S.r.l. Sassari contro gli ex amministratori per mala gestio.
Con sentenza di primo grado, gli ex amministratori della società fallita, A e B, entrambi cessati nel marzo 2000, e l'attuale amministratore, C, vengono condannati per mala gestio, in solido tra loro, al risarcimento del danno, quantificato in circa 840 mila euro.
Solo B propone appello, A e C restano contumaci. La Corte d'appello riforma la sentenza di primo grado, accoglie l’appello di B e dichiara inesistente il danno, B vince l’appello.
La sentenza in appello nulla dice in riferimento ai contumaci A e C. Nessuna delle parti ricorre in cassazione. Si forma il giudicato per la sentenza d'appello!
Quesito: la sentenza d'appello, che dichiara inesistente il danno, ha o può avere effetti espansivi interni e, di conseguenza, estendere i suoi effetti positivi anche ai contumaci, già coobbligati unitamente a B?

Consulenza legale i 01/02/2019
In una società di capitali (come la s.r.l.) “gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società". (art. 2476 c.c. I comma).
Tale vincolo di solidarietà è del resto espressamente indicato anche nella pronuncia di primo grado.

Ciò posto, per rispondere alla prima domanda contenuta nel quesito, occorre verificare preliminarmente se il vincolo di solidarietà passiva generi o meno un litisconsorzio necessario e cioè la necessità che il giudizio di appello debba svolgersi nei confronti di tutte le parti processuali in primo grado. Questo perché occorre verificare, ancor prima della efficacia della sentenza, se a monte sia stato regolarmente costituito il contraddittorio. La risposta fornita dalla giurisprudenza di cassazione sul punto è sicuramente positiva nel senso che non vi è alcun litisconsorzio necessario.
Infatti, a titolo di esempio, citiamo una massima pronunciata dalla Suprema Corte nella sentenza n. 17458 del 2013 secondo cui: “L'esistenza di un vincolo di solidarietà passiva [...] non genera mai un litisconsorzio necessario, avendo il creditore titolo per valersi per l'intero nei confronti di ogni debitore, con conseguente possibilità di scissione del rapporto processuale che può utilmente svolgersi anche nei riguardi di uno solo dei coobbligati, per cui non è configurabile, sul piano processuale, inscindibilità delle cause in appello neppure nell'ipotesi in cui i convenuti si siano difesi in primo grado addossandosi reciprocamente la responsabilità esclusiva del sinistro [...]. Ciò comporta che non va disposta l'integrazione del contraddittorio dell' obbligato solidale”.

Appurato dunque che la sentenza di appello nella presente vicenda è stata emessa senza alcuna violazione del contraddittorio, con riguardo alla sua efficacia nei confronti di coloro che non avevano appellato si osserva quanto segue.
In base all’art. 1306 del codice civile “la sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori. Gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore”.
Riguardo tale aspetto, la Corte di Cassazione ha statuito che: “la regola dell'art. 1306 c.c., comma 2, in base alla quale i condebitori in solido hanno facoltà di opporre al creditore la sentenza pronunciata tra questi ed uno degli altri condebitori, trova applicazione soltanto nel caso in cui la sentenza suddetta sia stata resa in un giudizio cui non abbiano partecipato i condebitori che intendano opporla. Se, invece, costoro hanno partecipato al medesimo giudizio - come si è verificato nel caso in esame - operano allora le preclusioni proprie del giudicato, con la conseguenza che la mancata impugnazione da parte di uno o di alcuni dei debitori solidali, soccombenti in un rapporto obbligatorio scindibile, qual è quello derivante dalla solidarietà, determina il passaggio in giudicato della sentenza nei loro confronti, ancorché altri condebitori solidali l'abbiano impugnata e ne abbiano ottenuto l'annullamento o la riforma” ( Corte di Cassazione n.20559 del 30.09.14).
Tale principio era stato ribadito anche da sentenze precedenti quali la n. 13722/2012 secondo cui:“la mancata impugnazione da parte di uno dei debitori solidali, soccombenti in un rapporto obbligatorio scindibile, qual è quello derivante dalla solidarietà, determina il passaggio in giudicato della sentenza nei suoi confronti, ancorché altri condebitori solidali l'abbiano impugnata e ne abbiano ottenuto l'annullamento o la riforma”.

Alla luce di tale costante interpretazione giurisprudenziale, dunque, la risposta alla prima domanda contenuta nel quesito deve intendersi negativa, per cui nessun effetto “benefico” della sentenza potrà estendersi a chi non aveva appellato la sentenza di primo grado.

Con riguardo invece alla seconda domanda relativa alla revocazione della sentenza di primo grado si osserva quanto segue.
La revocazione è un mezzo di impugnazione che può avere ad oggetto anche sentenze passate in giudicato (come nel caso di specie).
I casi tassativi in cui la revocazione può essere proposta sono elencati nell’art. 395 del codice di procedura civile secondo cui le sentenze pronunciate in grado d'appello o in un unico grado, possono essere impugnate - tra le varie ipotesi ivi elencate - se ad esempio sono l'effetto del dolo di una delle parti, se le prove su cui si è deciso sono state dichiarate false o se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario. Se la sentenza può altresì essere revocata se è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa; se è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata o se è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.

Orbene, la circostanza che in appello sia “stata disattesa la CTU posta a fondamento della quantificazione del danno” non rientra in nessuna delle predette ipotesi di revocazione previste dal legislatore. Ricordiamo, per inciso, che la consulenza tecnica è semplicemente un mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) affidato all'apprezzamento del giudice del merito, che lo utilizza per accertare i fatti quando occorrono particolari conoscenze tecniche o scientifiche.
Pertanto, anche la risposta alla seconda domanda del quesito (“se esiste la possibilità di invocare la revocazione della sentenza di 1° grado considerato che in appello è stata disattesa la CTU posta a fondamento della quantificazione del danno”) deve intendersi negativa.


Davide B. chiede
venerdì 09/12/2016 - Lazio
“Sono socio al 50% di una società immobiliare, che ha svolto un'attività molto proficua, se non fosse che l' amministratore ha sottratto l'importo di €8.500.000,00 (come da esito di un ATP) riducendo l' utile della società a pochi spicci.
Ho fatto una causa per l'azione di responsabilità all' amministratore, che è stato condannato alla restituzione di quanto illegittimamente incassato.
Tenendo presente il carattere gestorio dell'amministratore con cui è abituato a fuggire dai propri obblighi grazie a piccoli cavilli e tramite il suo usuale utilizzo di presta nome, abbiamo pensato con quale modo potrebbe sottrarsi all' esito inevitabile del tribunale civile,
abbiamo analizzato diverse ipotesi: 1) un accordo a saldo e stralcio con me 2) far fallire la società oramai vuota e liquidare il tutto con una somma irrisoria(ipotesi impossibile perché sarebbe la sua rovina per tutta la vita con le banche con le quali lavora per importanti somme) 3) un ordinaria liquidazione (ipotesi impossibile vista la partecipazione del 50% mia e 50%dell' amministratore stesso). 4) un concordato preventivo del quale non saprei niente tenendo anche presente che lo stesso amministratore ha comprato in completa malafede tramite un prestanome l' unico credito sociale del valore irrisorio rispetto al valore della causa ovvero delle somme già sottratte alla società (altrimenti se fosse stato in buona fede avrebbe fatto un finanziamento soci dello stesso importo e comunque mi avrebbe chiamato per versare il denaro insieme a lui pena il fallimento della società) e che l'amministratore è abituato a falsificare e modificare la realtà; motivo per cui potrebbe facilmente fare un assemblea falsa che mi vedrebbe presente per l'accettazione del concordato. A quel punto l'unica mia possibilità sarebbe quella di impugnare un verbale di assemblea con tutte le tempistiche e dinamiche del caso.
L'ipotesi del concordato preventivo ci pareva la più realistica per cui mi volevo ulteriormente informare presso il Vs. Sito Internet:
per un socio è possibile impedire un concordato preventivo?
o meglio, è possibile richiedere in sede di giudizio all' amministratore di versare quanto sottratto alla società direttamente ai soci per cui anche se prima della fine della causa la società fosse cancellata dal registro delle imprese rimarrebbe comunque valida ed attiva la nostra causa di responsabilità art. 2476?

Consulenza legale i 17/12/2016
Il concordato preventivo consiste – così dice la legge fallimentare – in una “proposta dell’imprenditore”, proposta da avanzare con ricorso al Tribunale.
E’ evidente, pertanto, che risulta impossibile, in una società (a maggior ragione partecipata al 50% da due soli soci), che tale strumento possa essere utilizzato dall’uno all’insaputa o comunque senza il consenso dell’altro. Oltre al fatto che, in tema di società, condizione per qualsiasi azione in giudizio è la delibera assembleare.

Per quanto riguarda invece la seconda ed effettiva domanda, un’attenta lettura dell’art. 2476 c.c., unitamente ai principi generali in materia di società, induce ad escludere, per effetto della sentenza di condanna, il versamento diretto ai soci da parte dell’amministratore di quanto egli abbia illegittimamente sottratto alla società.
La norma in questione, infatti, parla sì di azione promossa da ciascun socio, ma specifica altresì che “In caso di accoglimento della domanda la società, salvo il suo diritto di regresso nei confronti degli amministratori, rimborsa agli attori le spese di giudizio e quelle da essi sostenute per l'accertamento dei fatti.”
E’ la società, quindi – nonostante l’attore in giudizio sia il singolo socio – ad essere tenuta, in caso di condanna dell’amministratore, a dover rimborsare il socio delle spese.

Lo stesso articolo, poi, specifica oltre che “le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori”: si introduce, quindi, una sorta di “eccezione alla regola”, ovvero il caso in cui il singolo socio abbia ricevuto un danno diretto, tale da poter pretendere un risarcimento in prima persona.
Nonostante, insomma, sia la società a dover essere beneficiaria degli effetti favorevoli della condanna dell’amministratore, avranno comunque diritto al risarcimento diretto anche i singoli soci, purché abbiano subìto un danno diretto dalla condotta dell’amministratore stesso.

Afferma la giurisprudenza che trattasi, nel caso di cui all’art. 2476 c.c., di “sostituzione processuale”: “Nella società a responsabilità limitata, il singolo socio è legittimato, giusta l'art. 2476, comma 3, c.c., ad esercitare, come sostituto processuale, l'azione di responsabilità spettante alla società, nei cui confronti, pertanto, deve essere integrato il contraddittorio, quale litisconsorte necessaria” (Cassazione civile, sez. I, 26/05/2016, n. 10936).
E’ quindi comunemente e pacificamente ritenuto in giurisprudenza che la sentenza di condanna sia pronunciata a favore della società e non del singolo socio agente.

Si cita, infine, la sentenza n. 6070 del 12 marzo 2013 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che torna a pronunciarsi sulla sorte dei rapporti sostanziali e processuali pendenti al momento della cancellazione di una società dal registro delle imprese e che stabilisce che in caso di cancellazione il processo si interrompe, perché viene meno uno dei soggetti/parti del processo stesso.

I principi enunciati dalla Corte sono i seguenti:
1) Qualora all'estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, mentre la società era in vita, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato.

2) La cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l'estinzione della società cancellata dal registro interviene in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli artt. 299 e segg. c.p.c., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l'evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l'impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d'inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta.
Per rispondere, in conclusione, all’ultima domanda di cui al quesito, è possibile che l’azione di responsabilità già intrapresa resti in piedi, e prosegua nei confronti dei soci in caso di cancellazione della società dal registro delle imprese, qualora, evidentemente, siano rispettati i presupposti procedurali per la riassunzione del procedimento.

Lorenzo G. chiede
giovedì 08/12/2016 - Lazio
“Buongiorno,

vorrei sottoporvi il seguente quesito:

Una S.R.L. regolarmente operante sul mercato effettua un acquisto di un pickup del valore di 60000 € e decide di donarlo ad una ONLUS. L'amministratore della S.R.L. prende accordi col rappresentante legale della ONLUS, l'intera somma per l'acquisto del pickup verrà rimborsata alla società dalla ONLUS a rate con cadenza mensile in nero, senza alcun rilascio di fattura/ricevuta fiscale.
Non è dato sapere se il capitale messo a disposizione dalla S.R.L. per l'acquisto del bene sia di lecita natura o meno.
Cosa rischia l'amministratore della società? Cosa rischia il rappresentante legale della ONLUS?”
Consulenza legale i 15/12/2016
Il quesito non spiega il motivo dell’operazione descritta (probabilmente chi lo ha posto non ne è a conoscenza), ma si può ragionevolmente ritenere che quest’ultima sia stata posta in essere con l’intento di lucrare sull’applicazione della particolare normativa fiscale in materia di ONLUS.

Per queste ultime, infatti, com’è noto, in considerazione del loro particolare scopo, è importante, come fonte di finanziamento, la possibilità di essere destinatarie di erogazioni liberali tramite il c.d. “fundraising” cioè l’attività di raccolta di fondi. Il legislatore ha ritenuto di dover sostenere queste organizzazioni e ha previsto una serie di deduzioni e detrazioni a favore delle ONLUS.

Le agevolazioni fiscali previste per chi effettua erogazioni liberali a favore delle ONLUS, si distinguono a seconda di chi le ha effettuate (persona fisica o impresa) e in base alla natura della donazione che può riguardare denaro, beni o costi di personale per servizi.

Per quel che riguarda le imprese (società di capitali o cooperative o consorzi od enti di diverso tipo, pubblico o privato, che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali), esse possono optare alternativamente tra:
  • la deducibilità, per le liberalità in denaro o in natura, nel limite del 10% del reddito complessivo dichiarato, e comunque nella misura massima di 70.000 € annui (art. 14 comma 1 D.L. n. 35/2005 e successive modificazioni (L. n. 80/2005).
  • la deduzione dal reddito imponibile del 2% del reddito d’impresa dichiarato per un importo massimo di 30.000 euro (comma 2 lettera h, art 100 tuir).

Ora, nel caso di specie, parrebbe proprio che, al fine di agevolare la s.r.l., ovvero di far conseguire a quest’ultima del risparmi d’imposta in forza della predetta normativa, la medesima società e la ONLUS si siano accordate per far figurare formalmente (e quindi fiscalmente) una donazione che, in realtà, verrà poi di fatto posta nel nulla attraverso la restituzione della somma alla s.r.l., restituzione che non dovrà comparire in alcun modo (nel bilancio, nelle scritture contabili, ecc.).

Tale comportamento, per quel che riguarda innanzitutto gli amministratori di s.r.l., configura una precisa responsabilità, sia di natura civile che penale.

[civile]
Sotto il primo profilo, l’art. 2476 c.c., sulla “Responsabilità degli amministratori e controllo dei soci” recita:Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso.
[II]. I soci che non partecipano all'amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione.
[III]. L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi. In tal caso il giudice può subordinare il provvedimento alla prestazione di apposita cauzione.
[IV]. In caso di accoglimento della domanda la società, salvo il suo diritto di regresso nei confronti degli amministratori, rimborsa agli attori le spese di giudizio e quelle da essi sostenute per l'accertamento dei fatti.
(…) [VI]. Le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori.
[VII]. Sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.
[VIII]. L'approvazione del bilancio da parte dei soci non implica liberazione degli amministratori e dei sindaci per le responsabilità incorse nella gestione sociale”.

Come si vede, dunque, l’amministratore che agito in spregio della legge sarà soggetto ad azione di responsabilità da parte dei soci e tenuto al risarcimento del danno.

[penale]
Sotto il profilo penale, invece, potrà essere passibile di denuncia innanzitutto per il reato di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 cod. civ.: “Fuori dai casi previsti dall'art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni.”; la legge 69/2015 ha poi inserito nel codice civile due nuovi articoli:
  • il 2621 bis-bis, che riguarda il falso in bilancio delle società non quotate quando esso è di lieve entità. In tal caso la pena è la reclusione da 6 mesi a 3 anni; la medesima pena si applica alle società non soggette alla legge fallimentare. In quest'ultimo caso, il delitto è punibile a querela della società, dei soci o dei creditori.
  • il [[n2621ccter]]-ter, che riguarda invece i casi di particolare tenuità del fatto previsti dall'articolo 131-bis del codice penale e stabilisce che il giudice, per stabilire se la tenuità del fatto sussiste, deve valutare l'entità dell'eventuale danno cagionato alla società, ai soci od ai creditori.
La legge ha eliminato le soglie di non punibilità introdotte dal decreto legislativo 62/2002 (che aveva depenalizzato il falso in bilancio) e ha abolito per il reato di falso in bilancio la procedibilità a querela, tranne che per le società non soggette alla legge fallimentare.

Ancora, l’amministratore sarà perseguibile per truffa ai danni dello stato ai sensi dell’art. 640 del cod. pen.: “Truffa. Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 euro a 1.032 euro.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da 309 euro a 1.549 euro:
1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare”.

Per quanto riguarda, invece, il legale rappresentante della ONLUS, sotto il profilo civilistico non esistono in effetti nel codice civile degli articoli specifici sulla responsabilità di questi o della ONLUS stessa, analoghi a quelli dettati in materia di s.r.l., né queste ultime possono essere applicate per analogia ad altri casi.

Esiste, tuttavia, una norma speciale, ovvero l’art. 28 del D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 “Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”, il quale così recita:. “Sanzioni e responsabilità dei rappresentanti legali e degli amministratori.(…) 3. I rappresentanti legali ed i membri degli organi amministrativi delle organizzazioni che hanno indebitamente fruito dei benefici previsti dal presente decreto legislativo, conseguendo o consentendo a terzi indebiti risparmi d'imposta, sono obbligati in solido con il soggetto passivo o con il soggetto inadempiente delle imposte dovute, delle relative sanzioni e degli interessi maturati.

Per quanto riguarda il profilo penale, invece, il legale rappresentante della ONLUS sarà – al pari dell’amministratore della s.r.l. – punibile per truffa ai danni dello stato.

Infine, il comportamento di entrambi i soggetti citati nel quesito potrebbe integrare una particolare fattispecie di illecito introdotta per sanzionare l’elusione fiscale.
L’elusione fiscale, infatti, a differenza dell’evasione, può essere considerata come una forma di risparmio fiscale conforme al dato letterale della norma, ma non alla ratio della stessa.
In altri termini, il contribuente pone in essere determinate operazioni al fine di ottenere un indebito risparmio d’imposta (ad es. in ordine alla fruizione di regimi fiscali agevolati, al riconoscimento di esenzioni e di detrazioni).

L’elusione è un concetto di confine, ponendosi a metà del guado tra l’evasione ed il legittimo risparmio di imposta.
Ciò premesso, non esiste una norma antielusiva generale ma esistono alcune specifiche disposizioni antielusive che, in quanto tali, hanno lo scopo di contrastare comportamenti elusivi.

In mancanza di una norma antielusiva generale, l’interpretazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione, nel recepire un orientamento sorto in sede comunitaria, ha individuato nei principi costituzionali di capacità contributiva e progressività dell’imposizione di cui all’articolo 53 della Costituzione, la fonte di un principio generale, quello dell’abuso del diritto: “In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nel principio costituzionale di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali. Esso comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione.” (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza del 26 giugno 2009, n. 15029)

Il principio dell’abuso del diritto trova riconoscimento legislativo nell’art. 10-bis della L. n. 212 del 27/7/2000 “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”, il quale così recita: ”Disciplina dell'abuso del diritto o elusione fiscale” -1. Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.
2. Ai fini del comma 1 si considerano:
a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato;
b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario.
(…) 6. Senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, l'abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto.
(...) 9. L'amministrazione finanziaria ha l'onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d'ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2. Il contribuente ha l'onere di dimostrare l'esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3.
(…) 13. Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l'applicazione delle sanzioni amministrative tributarie”.

Da ultimo, si aggiunga come la responsabilità penale di entrambe le figure trovi conferma anche in normative speciali che richiamano il codice penale, come ad esempio l’art. 76 D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 – “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa“: “1. Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia.
2. L'esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso.
3. Le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 e le dichiarazioni rese per conto delle persone indicate nell'articolo, comma 2, sono considerate come fatte a pubblico ufficiale” nonché da varie circolari e risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate.

Anonimo chiede
domenica 17/07/2016 - Lazio
“Spett. le Brocardi,
mi chiamo (anonimo) e nel 2012 ho comprato il 50% di una srl immobiliare costituita nel 2005. Gli amministratori sono stati diversi nel tempo; nello specifico dal 2005 al 2012 sono esistiti 6 amministratori contemporaneamente tutti a firma disgiunta (che erano anche tutti i soci-sempre gli stessi dalla costituzione-) e dal 2012 al momento del mio acquisto delle quote ho preferito rimanere socio cosicché sono rimasti in carica solo 2 degli amministratori originari ad eccezione di un breve periodo di 4 mesi (marzo-luglio 2015) in cui l' amministratore unico è divenuto mio padre. A seguito della nomina di amministratore unico, gli ultimi 2 amministratori hanno impugnato il verbale e son tornati amministratori. Oggi dopo un atp sono risultati forti ammanchi economici per tutto il periodo 2005-2016 perché al ctu non è stata consegnata la documentazione dai 2 amministratori pertanto il ctu ha dovuto ricostruire la contabilità con i documenti reperiti (Ag entrate, Catasto, banche) ed ha potuto appurare forti mancanze economiche oltre al fatto che non risultano depositati i bilanci dal 2012.
Gli amministratori nel periodo in cui hanno ricevuto la notifica di atp e prima dell inizio delle operazioni peritali (hanno fatto causa a mio padre per la maggior parte della mancanza rilevata a posteriori- a questo punto è evidente che già sapevano i risultati che la ctu avrebbe rilevato e che hanno agito in mala fede-)
È bene rilevare che nel 2012 al momento di acquisto delle quote, gli amministratori-soci uscenti (solo quelli uscenti) hanno richiesto la liberazione da ogni responsabilità in merito all amministrazione che gli è stata accordata da tutti;
È possibile addebitare l' intera responsabilità ai due amministratori così come di fatto è stato? Oppure sono responsabili solo delle operazioni da loro fisicamente eseguite?
Qualora decidessero di farsi la guerra l' un l' altro, è possibile che ognuno sia responsabile in modo diverso perché l' amministrazione disgiunta ha fatto sì che solo uno ha operato a insaputa dell' altro? L' altro amministratore può dimostrare di essere stato all' oscuro di tutto nonostante il principio che l' amministratore ha legalmente completa conoscenza? Possono far eseguire una nuova ctu con il rischio che nel frattempo manomettano i documenti contabili? Come è possibile quantificare i danni nei miei confronti? Ed infine l' ultima breve domanda: a seguito della atp è possibile andare subito in decisione con l' art 702 oppure un altro?
Grazie mille per ogni aiuto (vero aiuto) che vogliate darmi,
Cordialmente”
Consulenza legale i 01/08/2016
La norma di riferimento per il caso di specie è l’art. 2476 del cod. civ., il quale così recita (per le parti che qui interessano): “Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso. (…) Le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori.”.

Come si vede, anche per le s.r.l. vale la medesima regola dettata per l’amministrazione nelle società di capitali in generale, ovvero quella della responsabilità solidale e per colpa: tutti sono cioè responsabili per l’intero salva la prova che le conseguenze dannose siano in rapporto di causalità diretta con la condotta dei medesimi.
Quando esiste, infatti, come nella fattispecie in esame, una pluralità di amministratori, ciò non significa essi siano tutti automaticamente responsabili nei confronti della società: occorre capire, in base alle circostanze del caso, se la responsabilità sia di uno solo di essi, solamente di alcuni oppure ancora di tutti.

La responsabilità dell’amministratore è personale e, in linea di principio, colpisce il solo soggetto che compie l’atto che cagiona il danno. Questo principio è ricavabile dal citato art. 2476, comma 1°.
Due quindi, in forza di quest’ultima norma, sono i presupposti che consentono a un amministratore di non rispondere solidalmente con gli altri gestori: 1) essere esente da colpa; e 2) nel caso sia a conoscenza dell’atto, fare constare il proprio dissenso.

Per quanto riguarda il fatto di essere esente da colpa, si tratta di una fattispecie che può realizzarsi ad esempio quando un amministratore subentra a un precedente gestore: caso di un consiglio di amministrazione composto di tre membri, di cui uno ad un certo momento rimette il mandato e viene sostituito da uno nuovo. Se viene esercitata un’azione di responsabilità nei confronti dei gestori per violazioni poste in essere prima dell’assunzione dell’incarico da parte del nuovo amministratore, questi deve ritenersi esente da colpa.
Occorre tuttavia accertare se l’ignoranza non dipenda dalla violazione di un dovere di vigilare, nel qual caso essa può essere ritenuta colpevole.

Il secondo elemento necessario per escludere la responsabilità di un amministratore è che questi abbia fatto constatare formalmente il proprio dissenso, il che ovviamente può avvenire solo quando l’amministratore era a conoscenza che l’atto si stava per compiere. Del resto un dissenso si può esprimere solo se si è a conoscenza di una progettata operazione.

Riassumendo, quindi (così anche rispondendo a diverse domande poste nel quesito):
1) se l’amministratore non era a conoscenza del compimento di un atto dannoso, non ne risponde;
2) se invece era a conoscenza del compimento dell’atto, ne risponde;
3) tuttavia l’amministratore va esente da responsabilità se, anche se a conoscenza dell’atto, fa constatare il proprio dissenso. Si noti bene, in ogni caso, che per la legge non è sufficiente far risultare il proprio dissenso, perché bisogna anche essere esenti da colpa e lo si è nella misura in cui non si sia adempiuto al dovere di controllare l’operato degli altri quando si aveva l’obbligo di farlo.

Nell’amministrazione disgiuntiva, ciascun socio amministratore ha sia il potere di gestione sia quello di rappresentanza: ciò significa che è legittimato a compiere tutte le operazioni che ritiene utili nell’interesse della società, da solo e di sua iniziativa, senza bisogno del consenso degli altri, non avendo alcun obbligo di informazione preventiva.
Ciascun amministratore decide da solo per la società: in una situazione del genere, pertanto, risponde esclusivamente colui che ha preso la decisione.

Una responsabilità degli altri potrebbe tuttavia essere affermata in caso di omessa opposizione a fronte di un’operazione pregiudizievole. A tal proposito l’art. 2257, comma 2°, c.c., richiamato espressamente dall’art. art. 2475 del c.c., comma 3°, c.c., stabilisce che “se l’amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, ciascun socio amministratore ha diritto di opporsi all’operazione che un altro voglia compiere, prima che sia compiuta”.
Si ponga il caso di una s.r.l. con tre amministratori e con un modello di amministrazione disgiuntiva. L’amministratore Tizio ha in mente di compiere una determinata operazione (si pensi all’acquisto di un immobile) e, essendo titolare del potere di amministrazione in via disgiuntiva, può procedervi senza il consenso degli altri. Si supponga ora che Tizio comunichi agli altri due amministratori che ha intenzione di comprare l’immobile. Se Caio e Sempronio sanno che l’operazione è dannosa per la società (ad esempio perché l’immobile viene acquistato a un prezzo più elevato del suo valore reale), essi devono esercitare il diritto di opposizione. Altrimenti, realizzatasi l’operazione e verificatosi il danno, rischiano di rispondere in via solidale con Tizio.

Infine, in caso di delega di poteri, si ritiene estensibile alle s.r.l. il principio stabilito per le s.p.a. dall’art. 2392, comma 1°, par. 2, c.c., il quale prevede che gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di doveri, “a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori”.
Ciò significa che i singoli amministratori, in caso di delega di poteri, rispondono solo per le decisioni assunte nel proprio ambito di competenza. Gli altri amministratori non sono responsabili. E tuttavia l’art. 2392, comma 2°, c.c. chiarisce che in ogni caso gli amministratori sono “solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose”.

Secondo la Corte di Cassazione, all’amministratore di una s.r.l, che si sia reso responsabile di condotta illecita, può essere imputato non ogni effetto patrimoniale dannoso che la società, cui è legato da un rapporto di mandato, sostenga di avere subito, ma solo quello che si ponga come conseguenza immediata e diretta della violazione degli obblighi incombenti sull’amministratore. La società dovrà quindi fornire la prova non solo di una condotta dell’amministratore contraria ai suoi doveri nell’esecuzione del mandato, ma anche quella della sussistenza di un danno effettivo e direttamente ricollegabile a tale condotta.

Per tornare al caso concreto, per quel che concerne le cause in corso, se si è ben compresa la domanda, è senz’altro possibile che venga eseguita – nell’ultima causa in ordine di tempo – una Ctu che abbia presumibilmente il medesimo oggetto di quella già svoltasi nel processo precedente. E’ evidente che il pericolo di – come si usa dire nell’ambito penale – inquinamento delle prove è concreto; il rischio, tuttavia, ad avviso di chi scrive, è basso, proprio a motivo del fatto che esiste una perizia precedente nella quale risultano esaminati ed allegati i medesimi documenti, per cui manometterli comporterebbe il rischio se non la certezza di venire scoperti e denunciati immediatamente.

Ancora, in forza del citato articolo 2476 c.c., il singolo socio ha diritto ai danni che siano conseguenza diretta degli atti dolosi o colposi degli amministratori. In merito alla domanda sulla quantificazione di tali danni, è difficile – anzi impossibile – dare una risposta senza esaminare i fatti ed i documenti di cui alla controversia che si descrive. Va rimarcato, tuttavia, che, per giurisprudenza consolidata ed uniforme, “L'azione individuale di risarcimento del danno attribuita ai singoli soci nei confronti degli amministratori dall'art. 2395 c.c. ovvero, quanto alle società a responsabilità limitata, dall'art. 2476 comma 6 c.c., è di natura aquiliana, ma è connotata da profili di specialità rispetto alla previsione generale dell'art. 2043 c.c., in considerazione della qualità del soggetto danneggiato e del soggetto danneggiante, e presuppone, oltre al compimento di atti gestori dolosi o colposi, la produzione di un danno direttamente incidente sul patrimonio personale del singolo socio. L'azione esige quindi che il pregiudizio non sia il mero riflesso dei danni eventualmente recati al patrimonio sociale, ma si tratti di danni direttamente causati al socio come conseguenza immediata della condotta degli amministratori e grava sull'attore fornire rigorosa prova sia del danno concretamente subito, sia della natura colposa o addirittura dolosa della condotta dell'amministratore, sia del nesso causale esistente tra condotta ed evento, dal momento che, altrimenti, qualora il danno prospettato risulti essere mera conseguenza riflessa del danno patito dalla società si esce dalla previsione invocata” (Trib. Taranto, Sez. I, 18 marzo 2016 n. 963, recentissima, che riprende l’orientamento di Cassazione).

Per quanto riguarda, infine, il tipo di azione da perseguire nei confronti degli amministratori responsabili di mala gestio, va detto che in forza dell'art. 3, comma 2, lett. a), del D.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, le cause ed i procedimenti relativi a rapporti societari, ivi compresi quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario, nonché le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo sono attribuite alla cognizione del cosiddetto “Tribunale delle imprese”.
Si tratta di una vera e propria Sezione Specializzata dei Tribunali, presente – tra l’altro – non in tutti i distretti ma solamente in alcuni. Questa natura di Giudice speciale, unitamente alla circostanza che si tratterebbe di causa avente ad oggetto la responsabilità di amministratori di società, esclude tale controversa dal novero di quelle che possono essere decise dal giudice monocratico anziché collegiale, in forza dell’art. art. 50 bis del c.p.c. bis c.p.c..

Essendo dunque il procedimento sommario di cui all’art. 702 bis bis c.p.c. citato (benché impropriamente come solo “702”, ma il riferimento è chiaro) applicabile invece solo alle cause di competenza del Giudice monocratico, non sarà possibile, nel caso in esame, farlo seguire all’ATP già svoltosi per accelerare i tempi di una decisione. Proprio in virtù, anzi, di quanto appena ricordato sulla competenza della Sezione Specializzata in materia di imprese, sarà purtroppo inevitabile procedere con un giudizio ordinario.


Gianpaolo chiede
giovedì 13/01/2011

“Vorrei cortesemente approfondire un aspetto legato alla responsabilità degli amministratori (consiglieri) di una società cooperativa a responsabilità limitata.
In buona sostanza se l'essere partecipe, in qualità di consigliere, alla conduzione della società pur non mettendo in pratica alcun atto, sono responsabile di fronte ai terzi in caso di condotta censurabile di altro consigliere amministratore.
Grazie.”

Consulenza legale i 02/02/2011

In linea di massima, se l’organo cui compete la gestione della società cooperativa a responsabilità limitata è il consiglio di amministrazione, agli amministratori consiglieri, in base alle funzioni determinate dall’atto costitutivo, è possibile applicare il primo comma dell’art. 2476 del c.c. secondo cui “Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società”. Tuttavia “la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso”.

L'art. 2392 del c.c. impone a tutti gli amministratori un fondamentale dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione, che non viene meno neppure nell'ipotesi di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di uno o più amministratori, salvo che sia stata fornita la prova dell'impossibilità di esercitare la predetta vigilanza a causa del comportamento ostativo di altri componenti del consiglio; tale principio vale a maggior ragione quando gli addebiti riscontrati a carico degli amministratori riguardano la redazione del bilancio e vanno quindi a coinvolgere inevitabilmente la responsabilità dell'intero organo collegiale (Cassazione civile, sez. I, 15 febbraio 2005, n. 3032).


L. M. P. chiede
venerdì 24/02/2023 - Piemonte
“Nonostante un conferimento di incarico per attività professionale afferente attività amministrativo/contabili della soc. XXXXXXXXX SRL, riportasse nelle premesse la sola presenza del l’Avv. Sxxxxxxxxx, Legale rappresentante quale conferente “cliente”, e ne accertasse la presenza a tale stipula del mediante “IDENTIFICAZIONE” da parte dall’acquisitore del mandato, Dott. yyyyyyyyyyy, tuttavia l’atto riporta in calce la sottoscrizione con una firma sconosciuta (poiché non riconducibile a nessuno indicto sull’atto), ripetuta ben due volte, senza che il conferitario eccepisse che tale firma non fosse quella del legale rappresentante avv. Sxxxxxxxxx, indicato in premessa quale presente, o che fosse stata apposta da un procuratore, dichiaratosi tale, ed indicato sul conferimento in sostituzione dell'Avv. Sxxxxx.
A distanza di 13 mesi, a seguito di una PEC inviata da un socio, viene convocato urgentemente dal legale rappresentante Avv.Sxxxxx il cda, per "ratificare" il conferimento.
Domanda: è possibile ratificare un atto su cui indicata come la presente una persona che non partecipa e su cui vengono apposte firme non riconducibili a soggetti generalizzati nel contratto e quindi anche senza la reale presenza di un falsus procurator condizione che permetterebbe, a mio avviso, la successiva ratifica dell'atto. E' ratificabile?
Quanto sopra descritto alla luce del fatto che il conferitario accetta passivamente la sostituzione di persona conferente nel contratto e procede, senza nulla eccepire controfirmando un atto non conforme, ha delle responsabilità penali?
Il firmatario, senza dichiararsi procuratore, che si sostituisce al soggetto indicato in premessa quale conferente, ha anch'egli delle responsabilità penali?
Il legale rappresentante della società Avv.Sxxxxxxx, nella sua qualità di presidente del cda ha svolto bene e fedelmente e con scrupolo l'attività della società dovendo ricorrere alla ratifica di un impegno economico solo dopo che un socio eccepisce la non validità del conferimento in prossimità dell'approvazione del bilancio?
Grazie l'assemblea sarà il 28 febbraio.”
Consulenza legale i 22/03/2023
Secondo quanto espressamente previsto dall’art. 1388 del c.c., gli effetti di un contratto concluso dal rappresentante (avv. SX, legale rappresentante della società X srl), nei limiti delle facoltà ad egli conferite, si determinano direttamente nella sfera giuridica del rappresentato (la società stessa).
La legge condiziona dunque la verificazione dell’effetto negoziale diretto nei confronti del rappresentato alla sussistenza della legittimazione rappresentativa in capo al rappresentante.
Al contrario, il negozio concluso da un soggetto privo del potere di rappresentanza (cd “falsus procurator”) è inefficace, salvo che non intervenga una ratifica ai sensi dell’art. 1399 cod. civ. da parte dell’interessato (cioè dal rappresentato) in modo da renderlo efficace (anche) nei suoi confronti.

Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, “il negozio concluso dal falsus procurator costituisce una fattispecie soggettivamente complessa a formazione successiva, la quale si perfeziona con la ratifica del dominus e, come negozio in itinere o in stato di pendenza, non è nullo e neppure annullabile, bensì inefficace nei confronti del dominus sino alla ratifica di questi” (Cass. Civ., 17 giugno 2010, n. 14618).
Pertanto, la ratifica è un atto unilaterale qualificato che equivale ad una sorta di procura successiva, sanando così l’accordo negoziale concluso dal falsus procurator con effetto retroattivo e facendo salvi i diritti acquistati da terzi.

Nel caso di specie, l’incarico conferito al Dott. Y, se sottoscritto da un soggetto che non aveva il potere di conferirlo, risulta inefficace; tuttavia, la ratifica successiva operata dal legale rappresentante vale a sanare il precedente conferimento dell’incarico con effetto retroattivo.
La ratifica è valida, a prescindere dal fatto che sul contratto siano indicate le generalità di soggetti differenti dai firmatari.

Per quanto riguarda eventuali profili di responsabilità nei confronti dell’Avv. SX, si deve premettere che ai sensi dell'art. 2476, comma 1, del c.c. in una s.r.l. "gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società”.
Considerando, che l’eventuale illecito non è stato perpetrato dal legale rappresentante, bensì da un soggetto terzo (che non viene identificato nel quesito); posto, inoltre, che il legale rappresentante ha provveduto a ratificare gli effetti di un negozio giuridico (il mandato al Dott. Y) utile e necessario alla società e che da tale ratifica tardiva pare non essere derivato alcun danno, non si rilevano profili di responsabilità nei confronti del legale rappresentante Avv. SX.

Quanto al fronte penale, sulla scorta degli elementi conosciuti, non sembra sussistere alcuna responsabilità a carico del dott. y.

In effetti, nel caso di specie, potrebbero essere riscontrabili diverse fattispecie di reato, dalla sostituzione di persona ex alla truffa ex ma, in entrambi i casi, le ipotesi sopra emarginate sarebbero sempre e comunque riferibili al soggetto che si è “spacciato” per il legale rappresentante della società e ciò sempre a patto che sussistano tutti i presupposti richiesti per la sussistenza di ciascuna fattispecie.

Il coinvolgimento del dott. y sarebbe ipotizzabile in caso di concorso di persone nel reato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 110 del c.p.
Anche in questo caso, tuttavia, la sussistenza di un’ipotesi concorsuale è tutt’altro che scontata.
A tal fine, invero, non solo occorre che il concorrente abbia dato un contributo agevolatore di sostanza alla commissione del fatto-reato ma, altresì, occorre che il predetto concorrente fosse perfettamente cosciente del proposito criminoso altrui.


F. A. chiede
sabato 09/04/2022 - Toscana
“Il liquidatore di srl in liquidazione, estinta di ufficio nel 2015, senza aver presentato il bilancio finale, nè iscritto a bilancio nè pagato la creditrice (circa 200.000 €), a seguito pignoramento di detta creditrice nel 2020 dell'unico cespite attivo rimasto alla ex srl, (terreni per circa 100.000 €) chiede ora al giudice revocare detto pignoramento per ripartire tra i soci - pro indiviso - i terreni ex srl estinta Chiedo se il giudice può ignorare che il liquidatore e socio possa ritenersi illimitatamente responsabile a seguito degli atti illeciti fin qui compiuti e del mancato pagamento della parte creditrice. inoltre il liquidatore nel 2019 ha taciuto nel processo di 2° grado l'avvenuta estinzione della s.r.l. prendendovi parte come detta srl in liquidazione.”
Consulenza legale i 14/04/2022
Ai sensi dell’art. 2489 del c.c., i liquidatori hanno il potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società, nonché debbono adempiere ai loro doveri con la professionalità e diligenza richieste dalla natura dell'incarico; la loro responsabilità per i danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri è disciplinata dalle medesime norme dettate in tema di responsabilità degli amministratori, di cui all’art. 2476 del c.c..
Detta disposizione stabilisce che “Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali […]”
“Sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.”


Tra i doveri del liquidatore vi rientra quello di procedere ad un’ordinata liquidazione del patrimonio sociale pagando i debiti sociali, per conto della società debitrice, secondo il principio della par condicio creditorum, pur nel rispetto dei diritti di precedenza dei creditori aventi una causa di prelazione.
In capo al medesimo liquidatore è posto, pertanto, l’obbligo di accertare la composizione dei debiti sociali prima di procedere ai relativi pagamenti; inoltre, tra gli obblighi del liquidatore si annovera anche quello di accertare l’insieme dei debiti sociali e di graduarli nel rispetto dei privilegi legali che li assistono, il pagamento dei quali, per loro natura, dovrà essere antergato rispetto a quello di crediti non assistiti da alcuna causa di prelazione. (Cass. civ., 12 giugno 2020, n. 11304).

Affinché possa sussistere una responsabilità personale del liquidatore, di natura extracontrattuale, tale da fondare l’azione di responsabilità prevista dall’art. 2395 del c.c., è richiesta la prova di una condotta dolosa o colposa del liquidatore stesso, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito; a tal proposito, la Cassazione ha più volte escluso che l’inadempimento e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano sufficienti a dare ingresso all’azione di responsabilità diretta del socio o del creditore nei confronti di amministratori o liquidatori (Cass. civ., Sez. 6-1, 12 giugno 2019, Ordinanza n. 15822).

Tanto premesso, pare potersi ravvisare una responsabilità del liquidatore, il quale non avrebbe minimamente adempiuto ai doveri di cui la legge grava la sua carica, come si può agevolmente dimostrare, avendo egli causato la cancellazione d’ufficio della società dal Registro delle Imprese per mancato deposito dei bilanci per tre anni consecutivi.
Al fine di un’azione di responsabilità nei suoi confronti sarà necessario dimostrare il danno in capo al creditore e il nesso causale tra la condotta del liquidatore e il danno stesso.

Altra questione riguarda la ripartizione dei beni residui ai soci.
A tal proposito, l’art. 2491 del c.c. dispone come segue: “I liquidatori non possono ripartire tra i soci acconti sul risultato della liquidazione, salvo che dai bilanci risulti che la ripartizione non incide sulla disponibilità di somme idonee alla integrale e tempestiva soddisfazione dei creditori sociali; i liquidatori possono condizionare la ripartizione alla prestazione da parte del socio di idonee garanzie.
I liquidatori sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni cagionati ai creditori sociali con la violazione delle disposizioni del comma precedente.”


La liquidazione, tuttavia, non vi è stata, pertanto il liquidatore non potrà essere ritenuto responsabile ai sensi della norma da ultima citata; in ogni caso, il giudice, una volta dimostrato il Suo credito, non potrà di certo autorizzare la ripartizione dell’immobile tra i soci della ex s.r.l., posto che non sono stati ancora pagati i debiti sociali.

Ciò non esclude un’eventuale responsabilità del liquidatore ai sensi del combinato disposto degli artt. 2489 e 2476 del c.c., alle condizioni sopra esposte.

Donatella P. chiede
domenica 11/04/2021 - Lombardia
“In relazione al quesito n. Q202127917, posso partecipare comunque all'assemblea della s.r.l., per sentire la discussione ma astenermi dal votare la messa in liquidazione e quindi non incorrere nella decadenza del beneficio di inventario (lo statuto a riguardo non prevede nulla) senza che gli altri soci mi possano imputare nulla? Serve autorizzazione del tribunale anche se è una messa in liquidazione per impossibilità di funzionamento comma 3 del 2484 c.c., ossia perché non si trovano amministratori/liquidatori e quindi bisogna rivolgersi al Tribunale per la nomina di un liquidatore giudiziario?”
Consulenza legale i 15/04/2021
La mera partecipazione all’assemblea dei non pone particolari problemi, in quanto non costituisce di per sé un atto di straordinaria amministrazione.

Per quanto riguarda la possibilità di astensione, occorre fare alcune precisazioni.
L’art. 2476 del c.c., comma 8, stabilisce che “Sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.”
A tal proposito si può affermare che la decisione o autorizzazione dei soci a cui la norma fa riferimento implichi una condotta commissiva dei soci e sia limitata ai soli atti dolosi, cioè le autorizzazioni e decisioni con le quali i quotisti abbiano voluto cagionare nocumento.
L’astensione a cui vorrebbe ricorrere difficilmente potrebbe essere ricondotta alla fattispecie di cui alla norma citata e, al contempo, ingenerare una qualsivoglia responsabilità; in ogni caso, nell’eventualità in cui decidesse di non richiedere l’autorizzazione del Tribunale e semplicemente astenersi, per una maggior tutela si consiglia di far verbalizzare le ragioni della Sua astensione, da rinvenire nella carenza in capo a colui che ha accettato l’eredità con beneficio di inventario di deliberare la messa in liquidazione della società.

In relazione alla seconda questione, l’impossibilità di funzionamento a cui l’art. 2484 del c.c., c. 1, n. 3, fa riferimento ad una paralisi oggettiva e assoluta dell’assemblea che precluda l'adozione di deliberazioni necessarie ed essenziali per il funzionamento della società.
Si deve rammentare che in una s.r.l., al limite, potrebbe essere la stessa assemblea a provvedere all’amministrazione della società e anche la scelta, per quanto forzata, di non nominare un amministratore costituisce comunque un’espressione di volontà dell’organo.

Pur in presenza di una delle cause di scioglimento di cui all’art. 2484 cc, nel caso di specie, sulla scorta delle informazioni che ci ha fornito, la decisione assembleare di porre in liquidazione la società e ricorrere ad un liquidatore, a prescindere dalla sussistenza di un accordo sul soggetto da nominare, costituisce comunque una deliberazione qualificabile come atto di straordinaria amministrazione, così come argomentato nella risposta al precedente quesito.
In qualità di erede che ha accettato l’eredità con beneficio di inventario, per poter deliberare in tal senso senza incorrere nella decadenza dal beneficio stesso, si consiglia di richiedere l’autorizzazione al Tribunale competente ai sensi dell’art. 747 del c.p.c., circostanza preferibile anche all’astensione.


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