Cass. civ. n. 2156/2015
Colui che agisce in giudizio per l'accertamento della responsabilità degli amministratori di una società di capitali, ex art. 2449 cod. civ. (nel testo utilizzabile "ratione temporis", antecedente alle modifiche apportate con il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), deve fornire la prova soltanto della novità dell'operazione, dimostrando il compimento di atti negoziali in epoca successiva all'accadimento di un fatto che determini lo scioglimento della società, mentre spetta agli amministratori convenuti provare i fatti estintivi o modificativi del diritto azionato, mediante dimostrazione che quegli atti erano giustificati dalla finalità liquidatoria, in quanto non connessi alla normale attività produttiva dell'azienda, non comportanti un nuovo rischio d'impresa o necessari per portare a compimento attività già iniziate. Nella valutazione di tale prova occorre, peraltro, considerare che gli amministratori non sono solo tenuti all'ordinario (e non anomalo) adempimento delle obbligazioni assunte in epoca antecedente allo scioglimento della società (art. 2449, secondo comma, testo previgente, e attuale art. 2486, secondo comma, cod. civ.), ma hanno anche il potere-dovere di compiere, in epoca successiva al menzionato scioglimento, quegli atti negoziali di gestione della società necessari al fine di preservarne l'integrità del patrimonio (art. 2486, primo comma, cod. civ., nuovo testo).
Cass. civ. n. 3694/2007
Ai sensi dell'art. 2449 c.c. (nel testo previgente al D.L.vo n. 6 del 2003), costituiscono nuove operazioni vietate tutti gli atti gestori diretti non a fini liquidatori, e quindi alla trasformazione delle attività societarie in denaro destinato al soddisfacimento dei creditori e, nei limiti del residuo, dei soci, ma al conseguimento di fini diversi, essendo invece lecito il completamento di attività in corso destinate al miglior esito della liquidazione.
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La violazione del divieto di nuove operazioni costituisce a carico degli amministratori una fattispecie tipica di obbligazione
ex lege che pur avendo natura extracontrattuale, non può perciò solo essere ricondotta allo schema generale dell'art. 2043 c.c. in quanto - agendo gli amministratori nel compimento di dette operazioni non in proprio ma pur sempre in qualità di organi investiti della rappresentanza della società - non si verte in tema di «fatto illecito» nel senso voluto dal citato art. 2043 c.c., nè conseguentemente di risarcimento del danno. Pertanto, nessun rilievo ai fini probatori assume l'accertamento del danno ne, sotto il profilo soggettivo, quello del dolo o della colpa, essendo sufficiente la consapevolezza da parte degli amministratori dell'evento comportante lo scioglimento della società.
Cass. civ. n. 15770/2004
L'azione
ex art. 2449, comma primo, c.c., spettante al terzo creditore per il compimento da parte degli amministratori di nuove operazioni dopo la verificazione di un fatto che determina lo scioglimento della società si distingue, per la diversità della causa petendi e del petitum sia dall'azione sociale di responsabilità (art. 2394 c.c.) sia dall'azione dei creditori sociali prevista dall'art. 2394 c.c. Se la violazione del divieto di compiere nuove operazioni, oltre a dar luogo a responsabilità diretta degli amministratori verso il terzo, può integrare il presupposto tanto dell'azione sociale di responsabilità (per violazione dei doveri imposti dalla legge) quanto dell'azione di responsabilità dei creditori sociali (per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale), qualora (come nella specie) ad agire contro gli amministratori della società legalmente disciolta non sono, genericamente, i creditori della società, ma precisamente i creditori per le operazioni nuove compiute dopo lo scioglimento, essi vantano nei confronti degli amministratori un titolo diretto, fondato appunto sull'art. 2449, primo comma, c.c. (giustificato dalla non riferibilità allo scopo sociale degli atti, compiuti dalla società ormai disciolta), che, per espressa previsione della norma si aggiunge alla perdurante responsabilità della società.
Cass. civ. n. 5275/1997
L'art. 2449 c.c. esprime sul piano normativo la coerente conseguenza del fatto che, dopo il verificarsi della causa di scioglimento, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato, qual era in precedenza, alla realizzazione dello scopo sociale, onde gli amministratori non possono più utilizzarlo a tal fine, ma sono abilitati a compiere soltanto quegli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando ad essi inibito il compimento di nuovi atti d'impresa suscettibili di porre a rischio il diritto dei creditori e degli stessi soci.