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Articolo 2485 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Obblighi degli amministratori

Dispositivo dell'art. 2485 Codice Civile

Gli amministratori devono senza indugio accertare il verificarsi di una causa di scioglimento e procedere agli adempimenti previsti dal terzo comma dell'articolo 2484. Essi, in caso di ritardo od omissione, sono personalmente e solidalmente responsabili [1292] per i danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi.

Quando gli amministratori omettono gli adempimenti di cui al precedente comma, il tribunale, su istanza di singoli soci o amministratori ovvero dei sindaci, accerta il verificarsi della causa di scioglimento, con decreto che deve essere iscritto a norma del terzo comma dell'articolo 2484.

Ratio Legis

La norma impone agli amministratori l'obbligo e la responsabilità di accertare tempestivamente il verificarsi di una causa di scioglimento della società, ammettendo che in caso di inerzia dell'organo amministrativo, lo scioglimento potrà essere dichiarato dal Tribunale su istanza dei soci, dei sindaci o dei singoli amministratori.

Spiegazione dell'art. 2485 Codice Civile

Sugli amministratori grava l’obbligo di accertare senza ritardo la sussistenza delle cause di scioglimento di cui all’art. 2484. In caso di inerzia o di ritardo, gli amministratori saranno personalmente ed illimitatamente responsabili verso la società, i soci, i creditori ed i terzi.
Al fine di addebitare la responsabilità agli amministratori, la norma impone di verificare se gli amministratori si siano attivati “senza indugio”, ciò implicando che la valutazione in ordine all’adempimento di tale dovere dovrà essere svolta in concreto da parte dell’autorità giudiziaria, considerando anche il momento in cui l’evento è divenuto oggettivamente conoscibile da parte di un amministratore diligente. Ad esempio, si ritiene che le perdite di esercizio diventino generalmente conoscibili agli occhi degli amministratori sono in seguito alla redazione ed approvazione del bilancio di esercizio.
L’inerzia, di per sé, non è tuttavia sufficiente a configurare la responsabilità degli amministratori, dovendosi provare anche la sussistenza del danno, del nesso di causalità tra inerzia e danno, nonché dell’elemento soggettivo della colpa.

A prescindere dalla tutela risarcitoria, in caso di ritardo o di inerzia degli amministratori, il secondo comma della norma in esame conferisce agli amministratori, ai soci o ai sindaci la possibilità di adire il Tribunale affinché accerti la causa di scioglimento e provveda all’iscrizione del decreto nel registro delle imprese.
In tal caso, si applica il procedimento di cui agli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile.
Legittimati a proporre istanza al tribunale sono i singoli soci e amministratori, mentre, per quanto riguarda i sindaci, si ritiene necessaria una deliberazione del collegio sindacale.

Massime relative all'art. 2485 Codice Civile

Cass. civ. n. 2156/2015

Colui che agisce in giudizio per l'accertamento della responsabilità degli amministratori di una società di capitali, ex art. 2449 cod. civ. (nel testo utilizzabile "ratione temporis", antecedente alle modifiche apportate con il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), deve fornire la prova soltanto della novità dell'operazione, dimostrando il compimento di atti negoziali in epoca successiva all'accadimento di un fatto che determini lo scioglimento della società, mentre spetta agli amministratori convenuti provare i fatti estintivi o modificativi del diritto azionato, mediante dimostrazione che quegli atti erano giustificati dalla finalità liquidatoria, in quanto non connessi alla normale attività produttiva dell'azienda, non comportanti un nuovo rischio d'impresa o necessari per portare a compimento attività già iniziate. Nella valutazione di tale prova occorre, peraltro, considerare che gli amministratori non sono solo tenuti all'ordinario (e non anomalo) adempimento delle obbligazioni assunte in epoca antecedente allo scioglimento della società (art. 2449, secondo comma, testo previgente, e attuale art. 2486, secondo comma, cod. civ.), ma hanno anche il potere-dovere di compiere, in epoca successiva al menzionato scioglimento, quegli atti negoziali di gestione della società necessari al fine di preservarne l'integrità del patrimonio (art. 2486, primo comma, cod. civ., nuovo testo).

Cass. civ. n. 3694/2007

Ai sensi dell'art. 2449 c.c. (nel testo previgente al D.L.vo n. 6 del 2003), costituiscono nuove operazioni vietate tutti gli atti gestori diretti non a fini liquidatori, e quindi alla trasformazione delle attività societarie in denaro destinato al soddisfacimento dei creditori e, nei limiti del residuo, dei soci, ma al conseguimento di fini diversi, essendo invece lecito il completamento di attività in corso destinate al miglior esito della liquidazione.

La violazione del divieto di nuove operazioni costituisce a carico degli amministratori una fattispecie tipica di obbligazione ex lege che pur avendo natura extracontrattuale, non può perciò solo essere ricondotta allo schema generale dell'art. 2043 c.c. in quanto - agendo gli amministratori nel compimento di dette operazioni non in proprio ma pur sempre in qualità di organi investiti della rappresentanza della società - non si verte in tema di «fatto illecito» nel senso voluto dal citato art. 2043 c.c., nè conseguentemente di risarcimento del danno. Pertanto, nessun rilievo ai fini probatori assume l'accertamento del danno ne, sotto il profilo soggettivo, quello del dolo o della colpa, essendo sufficiente la consapevolezza da parte degli amministratori dell'evento comportante lo scioglimento della società.

Cass. civ. n. 15770/2004

L'azione ex art. 2449, comma primo, c.c., spettante al terzo creditore per il compimento da parte degli amministratori di nuove operazioni dopo la verificazione di un fatto che determina lo scioglimento della società si distingue, per la diversità della causa petendi e del petitum sia dall'azione sociale di responsabilità (art. 2394 c.c.) sia dall'azione dei creditori sociali prevista dall'art. 2394 c.c. Se la violazione del divieto di compiere nuove operazioni, oltre a dar luogo a responsabilità diretta degli amministratori verso il terzo, può integrare il presupposto tanto dell'azione sociale di responsabilità (per violazione dei doveri imposti dalla legge) quanto dell'azione di responsabilità dei creditori sociali (per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale), qualora (come nella specie) ad agire contro gli amministratori della società legalmente disciolta non sono, genericamente, i creditori della società, ma precisamente i creditori per le operazioni nuove compiute dopo lo scioglimento, essi vantano nei confronti degli amministratori un titolo diretto, fondato appunto sull'art. 2449, primo comma, c.c. (giustificato dalla non riferibilità allo scopo sociale degli atti, compiuti dalla società ormai disciolta), che, per espressa previsione della norma si aggiunge alla perdurante responsabilità della società.

Cass. civ. n. 5275/1997

L'art. 2449 c.c. esprime sul piano normativo la coerente conseguenza del fatto che, dopo il verificarsi della causa di scioglimento, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato, qual era in precedenza, alla realizzazione dello scopo sociale, onde gli amministratori non possono più utilizzarlo a tal fine, ma sono abilitati a compiere soltanto quegli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando ad essi inibito il compimento di nuovi atti d'impresa suscettibili di porre a rischio il diritto dei creditori e degli stessi soci.

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