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Articolo 2479 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Decisioni dei soci

Dispositivo dell'art. 2479 Codice Civile

I soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall'atto costitutivo, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione.

In ogni caso sono riservate alla competenza dei soci:

  1. 1) l'approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili;
  2. 2) la nomina, se prevista nell'atto costitutivo, degli amministratori;
  3. 3) la nomina nei casi previsti dall'articolo 2477 dei sindaci e del presidente del collegio sindacale o del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti(1);
  4. 4) le modificazioni dell'atto costitutivo;
  5. 5) la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci.

L'atto costitutivo può prevedere che le decisioni dei soci siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto. In tal caso dai documenti sottoscritti dai soci devono risultare con chiarezza l'argomento oggetto della decisione ed il consenso alla stessa.

Qualora nell'atto costitutivo non vi sia la previsione di cui al terzo comma e comunque con riferimento alle materie indicate nei numeri 4) e 5) del secondo comma del presente articolo nonché nel caso previsto dal quarto comma dell'articolo 2482 bis oppure quando lo richiedono uno o più amministratori o un numero di soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale, le decisioni dei soci debbono essere adottate mediante deliberazione assembleare ai sensi dell'articolo 2479 bis.

Ogni socio ha diritto di partecipare alle decisioni previste dal presente articolo ed il suo voto vale in misura proporzionale alla sua partecipazione [2351, 2463, 2468].

Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, le decisioni dei soci sono prese con il voto favorevole di una maggioranza che rappresenti almeno la metà del capitale sociale.

Note

(1) Il D. Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 ha sostituito le parole: «del revisore» con le seguenti: «del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti».

Ratio Legis

La norma è espressione del principio della rilevanza centrale del socio e del principio di libertà delle forme organizzative, specie laddove ammette che le competenze gestorie possano essere liberamente ripartite dall'atto costitutivo tra organo amministrativo e soci.

Spiegazione dell'art. 2479 Codice Civile

A differenza della s.p.a., l’organizzazione della s.r.l. risulta maggiormente flessibile e liberamente modulabile dai soci, al fine di valorizzare il principio della rilevanza centrale del socio. Mentre nella s.p.a. la gestione della società compete esclusivamente agli amministratori, l’atto costitutivo di una s.r.l. può ripartire diversamente le competenze gestorie tra la collettività dei soci e l’organo amministrativo, fermo restando che ai soci spetterà decidere circa:
  • l’approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili;
  • la nomina, se prevista nell'atto costitutivo, degli amministratori;
  • la nomina dei membri del collegio sindacale;
  • le modificazioni dell'atto costitutivo;
  • le operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci.
La violazione delle competenze riservate ai soci, secondo l’opinione prevalente, non incide tuttavia sui poteri di rappresentanza assegnati agli amministratori e non è pertanto in grado di rendere invalidi eventuali negozi conclusi dagli amministratori in attuazione di decisioni che non avrebbero potuto assumere.

Ad ulteriore conferma della rilevanza dell’elemento personalistico, va in ogni caso osservato che, a prescindere dal tipo di competenze eventualmente assegnate dall’atto costitutivo, i soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale potranno comunque esercitare un potere di avocazione di qualsiasi decisione spettante al consiglio di amministrazione, fatto salvo si tratti di decisioni riguardanti le materie riservate al c.d.a. ai sensi dell’art. 2475.

La volontà dei soci, in assenza di diversa previsione dell’atto costitutivo, deve formarsi ed esprimersi secondo il metodo collegiale assembleare. La regola è tuttavia dispositiva ed è questo il motivo per cui la norma discute di “decisioni”, invece che di “deliberazioni”.
Nell’atto costitutivo, purché sia garantita la partecipazione di tutti i soci alla decisione e sia messa a loro disposizione la relativa documentazione, può infatti disporsi che le decisioni siano assunte mediante:
1) consultazione scritta: vi è un unico documento che circola fra i soci che lo sottoscrivono;
2) consenso espresso per iscritto: non vi è una proposta predefinita, ma ogni socio esprime il suo consenso in un diverso documento.

Salvo diversa previsione dell’atto costitutivo, le decisioni devono essere assunte con il voto favorevole di tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale. Ciò implica che, ai fini della deliberazione, è richiesto unicamente di verificare il voto favorevole della maggioranza assoluta degli intervenuti e che questi rappresentino almeno la metà del capitale sociale.
Tuttavia, per le decisioni da assumersi con metodo collegiale l’art. 2479 bis prevede un quorum costitutivo pari alla metà del capitale sociale ed un quorum deliberativo pari alla maggioranza assoluta degli intervenuti. Alla regola fanno eccezione le delibere concernenti la modificazione dell’atto costitutivo oppure le operazioni che determinino una modificazione sostanziale dell’oggetto sociale, per le quali si dispone che la maggioranza assoluta degli intervenuti in assemblea debba rappresentare almeno la metà del capitale sociale.

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

Massime relative all'art. 2479 Codice Civile

Cass. civ. n. 1095/2016

La partecipazione di una società a responsabilità limitata in una società di persone, anche di fatto, non esige il rispetto dell'art. 2361, comma 2, c.c., dettato per le società per azioni, e costituisce un atto gestorio proprio dell'organo amministrativo, il quale non richiede - almeno allorché l'assunzione della partecipazione non comporti un significativo mutamento dell'oggetto sociale (fattispecie estranea al caso di specie) - la previa decisione autorizzativa dei soci, ai sensi dell'art. 2479, comma 2, n. 5, c.c.. Pertanto, accertata l'esistenza di una società di fatto insolvente della quale uno o più soci illimitatamente responsabili siano costituiti da società a responsabilità limitata, il fallimento in estensione di queste ultime costituisce una conseguenza "ex lege" prevista dall'art. 147, comma 1, l. fall., senza necessità dell'accertamento della loro specifica insolvenza.

Cass. civ. n. 12370/2014

L'art. 2479 cod. civ., nel testo anteriore al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, non prevede un diritto di prelazione ma consente il relativo patto, così esprimendo il principio di libera trasferibilità delle quote sociali, per cui l'eventuale previsione di una prelazione ha fonte non legale, ma negoziale e solo in tale ambito trova la sua disciplina. Ne deriva che la violazione della clausola statutaria contenente un patto di prelazione comporta l'inopponibilità, nei confronti della società e dei soci titolari del diritto di prelazione, della cessione della partecipazione sociale, nonché l'obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto, alla stregua delle norme generali sull'inadempimento delle obbligazioni, e non anche il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell'acquirente, che non integra un rimedio generale in caso di violazioni di obbligazioni contrattuali, ma solo una forma di tutela specificamente apprestata dalla legge e conformativa dei diritti di prelazione, previsti per legge, spettante ai relativi titolari.

Cass. civ. n. 20265/2013

Qualora la determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell'art. 2389, primo comma cod. civ., (nel testo, applicabile "ratione temporis", anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 6 del 2003), non sia stabilita nell'atto costitutivo, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, atteso: la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall'essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall'assemblea (art. 2630, secondo comma cod. civ., abrogato dall'art. 1 del d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61); la distinta previsione della delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364 n. 1 e 3 cod. civ); la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 cod. civ.); il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, secondo comma, cod. civ.). Conseguentemente, l'approvazione in sé del bilancio, pur se contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori, non è idonea ai predetti fini, salvo che un'assemblea convocata solo per l'approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Torino, 09/02/2006).

Cass. civ. n. 21933/2008

Con riferimento alla determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell'art. 2389, primo comma c.c., (nel testo vigente prima delle modifiche, non decisive sul punto, di cui al D.L.vo n. 6 del 2003), qualora non sia stabilita nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa: la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall'essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall'assemblea (art. 2630, secondo comma c.c., abrogato dall'art. 1 del D.L.vo n. 61 del 2002); la distinta previsione delle delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364 n. 1 e 3 c.c.); la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 c.c.); il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, secondo comma, c.c.). Conseguentemente, l'approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall'art. 2389 cit., salvo che un'assemblea convocata solo per l'approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.

Cass. civ. n. 19161/2007

In tema di riconoscimento del diritto di voto nelle assemblee delle società a responsabilità limitata, la legittimazione al relativo esercizio si connette, ai sensi dell'art. 2479 c.c. nel testo previgente al D.L.vo n. 6 del 2003, al fatto in sé dell'iscrizione dell'avente diritto al libro soci, mentre già il trasferimento di quota è valido ed efficace inter partes indipendentemente dalla predetta formalità, necessaria unicamente ai fini dell'efficacia verso la società ed i terzi. (Nella fattispecie la S.C., confermando la sentenza del giudice d'appello, ha negato che la società potesse distinguere la legittimazione, quale discendente dall'iscrizione nel libro soci, dalla reale titolarità della partecipazione, non potendosi in materia fare applicazione, al fine di disconoscere i diritti sociali, della disciplina del pagamento al creditore apparente (art. 1189 c.c.) o al possessore di un titolo di credito legittimato nei modi previsti in base al regime di circolazione del titolo (art. 1992 c.c.), poiché essendo la partecipazione nella predetta società diversa dall'azione non ricorre la regola sull'adempimento della prestazione nei confronti del possessore di un titolo di credito, così che la società non può rifiutare al socio iscritto il diritto di intervento e di voto in assemblea).

Cass. civ. n. 7614/1996

Il diritto di voto nell'assemblea della società a responsabilità limitata, per le quote che siano state date in usufrutto, compete unicamente all'usufruttuario, il quale esercita al riguardo un diritto suo proprio e perciò non è obbligato ad attenersi alle eventuali istruzioni di voto che gli abbia impartito il nudo proprietario. Nell'esercitare tale diritto, però, l'usufruttuario deve astenersi da comportamenti che possano arrecare ingiusto danno al nudo proprietario ed in particolare da modi di esercizio del predetto diritto che possano compromettere la conservazione del valore economico della partecipazione in società; l'eventuale violazione di tale obbligo, tuttavia, espone il responsabile al rischio di estinzione dell'usufrutto, nonché all'azione risarcitoria del proprietario danneggiato, ma non può riflettersi sulla validità del voto espresso in assemblea, né, di conseguenza, sulla validità della deliberazione che l'assemblea abbia adottato, anche se quel voto sia risultato determinante.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2479 Codice Civile

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A. P. chiede
sabato 07/09/2024
“Una srl composta da 7 soci (quote: 47% - 40% - 8% - 2% - 1% - 1% - 1%) il 30 aprile 2023, in conseguenza dell'approvazione di bilancio 2022, ha deliberato una parziale distribuzione di utili ai soci. Ad oggi fisicamente gli utili, non sono stati ancora erogati, e la maggioranza dei soci (59% del capitale - 5 soci su 7) vorrebbe revocare la delibera di distribuzione, per motivi di bilancio negativo e sopraggiunti costi riferiti all'utile deliberato e a suo tempo non conosciuti (sanzione enasarco da verbale ispettivo), e comunicati oggi, dal cda ai soci .
E' lecita un assemblea soci (59% del capitale - 5 soci su 7) che delibera la revoca della delibera distribuzione utili del 30 aprile 2023?
I soci dissenzienti (41% del capitale - 2 su 7) possono impugnare la delibera? Se si, quali potranno essere le conseguenze e quale il comportamento corretto da assumere da parte del cda ?
Lo statuto nulla menziona in merito, rimandando al codice civile.

Grazie”
Consulenza legale i 17/09/2024
Il socio non vanta nei confronti della società un diritto alla distribuzione degli utili, poiché ogni decisione al riguardo spetta esclusivamente all’assemblea.
il diritto individuale del singolo socio a conseguire l’utile di bilancio sorge soltanto se la maggioranza assembleare ne disponga l’erogazione ai soci; prima di tale momento, vi è una semplice aspettativa, potendo l’assemblea impiegare diversamente gli utili o anche rinviarne la distribuzione nell’interesse della società (in tal senso, Cass., 28 maggio 2004, n. 10271; Cass., 11 marzo 1993, n. 2959).

L’2478 bis, comma 3, del c.c., infatti, dispone che, con la decisione che approva il bilancio, i soci decidono sulla distribuzione degli utili; si tratta di competenze riservate ai soci dall’art. 2479 del c.c..
Allo stesso modo in cui l’assemblea dei soci ha deciso di distribuire gli utili, può modificare la decisione assunta e revocarne la distribuzione.
Dette decisioni sono assunte con il voto favorevole di una maggioranza che rappresenti almeno la metà del capitale sociale, salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo; così dispone l’art. 2479 del c.c., ultimo comma.

Tanto premesso, nel caso in esame la revoca della decisione di distribuzione degli utili potrebbe essere legittimamente assunta dall’assemblea e le maggioranze esposte sono a tal fine sufficienti.

Ai sensi dell’art. 2479 ter del c.c., i soci dissenzienti hanno facoltà di impugnare le delibere assembleari a cui non hanno acconsentito entro novanta giorni dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei soci.
Possono essere impugnate: le decisioni che non conformi alla legge o all'atto costitutivo; le decisioni assunte con la partecipazione determinante di soci che hanno, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società, qualora possano arrecare danno alla società; le decisioni aventi oggetto illecito o impossibile e quelle prese in assenza assoluta di informazione (da chiunque ne abbia interesse entro tre anni dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei soci); le deliberazioni che modificano l'oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite (senza limiti di tempo).
È, altresì, annullabile la deliberazione dell’assemblea ordinaria che nega la distribuzione dei dividendi, quando si dimostri, anche per presunzioni, che essa è viziata da un abuso della regola di maggioranza. L’abuso sussiste se la decisione: non trova alcuna giustificazione nell’interesse della società; è il risultato di una intenzionale attività dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza (Trib. Milano, Sezione specializzata in materia di impresa, 24 marzo 2021, n. 2488).

Nel caso di specie, tuttavia, non appare emergere alcuna motivazione concreta all’impugnazione della delibera assembleare da parte dei soci dissenzienti e la revoca della decisione di distribuzione degli utili appare del tutto legittima, poiché giustificata da un apprezzabile interesse societario in tal senso.

A. P. chiede
lunedì 28/11/2022 - Marche
“Sono socia e consigliera di amministrazione di una srl.
Lo statuto, in materia di delibere assembleari dispone testualmente:

"le decisioni dei soci sono prese con il voto favorevole di una maggioranza che rappresenti almeno il cinquanta più uno per cento del capitale sociale."

Ci si pone il problema di come debba essere interpretata la previsione statutaria.
Cinquanta più uno per cento, così come scritto, in matematica significa 50.5 che però non è un valore percentuale.
Certamente a mio avviso non significa 51%.
L'unica interpretazione possibile, a mio avviso, è che stia a significare che per le decisioni è necessaria una percentuale superiore al 50%.
Non so se esistano casi simili.
Chiedo un vostro parere in merito.
Saluti”
Consulenza legale i 05/12/2022
Ai sensi dell’articolo 2479 del codice civile nelle società a responsabilità limitataogni socio ha diritto di partecipare alle decisioni previste dal presente articolo ed il suo voto vale in misura proporzionale alla sua partecipazione.
Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, le decisioni dei soci sono prese con il voto favorevole di una maggioranza che rappresenti almeno la metà del capitale sociale.

Nel caso di specie, lo statuto prevede che le decisioni dei soci siano prese con il voto favorevole di una maggioranza che rappresenti almeno il cinquanta più uno per cento del capitale sociale. Ciò è interpretabile come un rafforzamento di quanto già previsto dal codice civile.
A titolo esemplificativo, se il capitale sociale è pari ad euro 300.000 ed è suddiviso tra n. 3 soci:
  • socio A quota di nominali 80.000 pari a 26,67%
  • socio B quota di nominali 69.000 pari al 23%
  • socio C quota di nominali 151.000 pari al 50,33%.
Nel caso in cui tutti i soci siano presenti, affinché l’assemblea deliberi sarà necessario in ogni caso il voto favorevole del socio C. Diversamente, in caso di voto favorevole dei soci A e B il quorum deliberativo non verrà raggiunto in quanto non viene superato il 50%.