Con questa norma si apre il titolo IV del Libro IV del codice di procedura civile, dedicato ai procedimenti speciali relativi all'apertura delle successioni.
Si tratta di una serie di disposizioni di diversa natura, che vanno a loro volta integrate con le norme del codice civile.
Secondo la tesi che si ritiene preferibile, i procedimenti disciplinati da questo titolo rientrano tra quelli di
volontaria giurisdizione, salvo alcuni casi di procedimenti di giurisdizione contenziosa, tra cui quello di cui all'
art. 778 del c.p.c., relativo ai reclami contro lo stato di graduazione.
Per effetto del rinvio di cui all’
art. 742 bis del c.p.c., ai procedimenti in esame si applicano le "disposizioni comuni ai
procedimenti in camera di consiglio" contenute nel Capo VI del titolo II.
La presente norma si occupa in particolare di disciplinare la
competenza ed il procedimento in materia di alienazione dei beni ereditari per tutti i casi in cui le norme di diritto sostanziale prescrivono la necessità dell'
autorizzazione del giudice al fine di poter provvedere alla loro vendita.
La finalità di questa disposizione si rinviene ovviamente nella necessità di garantire l'integrità del patrimonio ereditario, facendo sì che l'attività di amministrazione dei beni ereditari da parte di chi non è ancora erede (o le è con beneficio di
inventario) non sia compiuta in maniera tale da pregiudicare la posizione di altri soggetti, quali i creditori ereditari, gli altri chiamati e i legatari.
Essa si applica non soltanto nei casi di vendita dei beni ereditari, ma anche in tutte quelle altre ipotesi in cui debbano compiersi atti di straordinaria amministrazione relativi a beni ereditari.
In tal senso può argomentarsi dal disposto dell’
art. 493 del c.c., norma che, sebbene rubricata "
Alienazione dei beni ereditari senza autorizzazione", elenca una serie di altri
atti di alienazione (quali ipoteche, pegni, transazioni), il che consente di dedurre che entrambe le norme comprendono ogni atto che eccede l'ordinaria amministrazione.
In particolare, la norma in esame trova applicazione con riferimento a chi, chiamato a succedere in una eredità, amministri i beni ereditari ex artt.
460 e
485 c.c. (si tratta del chiamato all'eredità che non ha ancora accettato), ovvero con riferimento a colui il quale, avendo accettato con beneficio di inventario, assume responsabilità limitata nei confronti dei creditori ereditari, rispondendo delle obbligazioni nei limiti della capienza del patrimonio del de cuius (in tal senso
art. 490 del c.c.).
Nel caso di nomina del curatore all'
eredità giacente, spetterà a questi richiedere l'autorizzazione (così
art. 783 del c.c.).
Secondo quanto disposto al primo comma, competente territorialmente a rilasciare l’autorizzazione è il tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, che, ex
art. 456 del c.c., coincide con il luogo dell'ultimo domicilio del defunto (è questa un’ipotesi di competenza funzionale e inderogabile).
Il secondo comma, invece, disciplina la specifica ipotesi in cui l’autorizzazione riguardi beni ereditari appartenenti a minori soggetti alla potestà dei genitori, prescrivendo che in questo caso debba essere acquisito il parere del giudice tutelare, fermo restando che l'autorizzazione compete al Tribunale.
Si è posto il problema del raccordo tra la norma in esame e quella dettata dall’
art. 320 del c.c., il quale dispone che sia il giudice tutelare ad autorizzare l'alienazione di beni ereditari pervenuti ad un
minore soggetto alla potestà genitoriale.
E’ stato al riguardo evidenziato che il problema del coordinamento tra le due norme si pone soltanto con riferimento al caso in cui sia intervenuta accettazione dell'eredità con beneficio di inventario, e si debba procedere al compimento di un atto di straordinaria amministrazione da parte di un minore soggetto alla potestà dei genitori relativo a beni compresi nell'
asse ereditario.
In tali casi, infatti, si pone la necessità di tutelare sia i creditori ereditari e i legatari (tutela a cui è rivolto l'art. 747 c.p.c.) sia il minore (della cui tutela si occupa l’art. 320 c.c.).
Ebbene, per risolvere tale problema si è giunti alla conclusione che mentre l’art. 320 c.c. (norma che fa riferimento ai beni pervenuti al minore) sia destinato ad operare in tutti i casi in cui il bene sia definitivamente entrato nel patrimonio del minore per essersi esaurito il procedimento relativo al beneficio di inventario (in questo caso viene meno l’esigenza di tutelare altri soggetti, quali sono i creditori ereditari, gli altri chiamati ed i legatari), al contrario, nel caso di beni non ancora definitivamente entrati nel patrimonio del minore, sussiste la competenza del tribunale ai sensi dell'art. 747 c.p.c., giustificata dall'esigenza di tutelare sia gli interessi del minore che di soggetti terzi.
Per effetto del richiamo operato dall’
art. 742 bis del c.p.c., al procedimento in esame si applicano le regole dei procedimenti in camera di consiglio contenute negli artt.
737 e ss. c.p.c.
L'atto introduttivo assume la forma del ricorso e dovrà avere i requisiti di cui all'
art. 125 del c.p.c.; qualora il ricorso faccia riferimento ad un bene oggetto di
legato di specie, dovrà essere notificato anche al legatario secondo quanto disposto al terzo comma, ma ciò non fa venir meno il carattere camerale della procedura.
Sul ricorso il giudice provvede con decreto, il quale sarà secondo le norme sui procedimenti in camera di consiglio.
E’ ammissibile la
revoca del
decreto ex
art. 742 del c.p.c., anche successivamente alla vendita, salvi i diritti acquistati in
buona fede dai terzi in forza di convenzioni ad essa anteriori (il
terzo acquirente non è legittimato a partecipare al giudizio).