Il presente articolo elenca tutti i casi tassativi in cui giudice deve essere il
Tribunale in composizione collegiale, differenziandolo dal Tribunale in composizione monocratica.
La riserva di collegialità viene pacificamente risolta in riserva di sola “decisione collegiale”, il che vuol significare che il collegio deve costituirsi almeno all’atto della decisione, essendo ben possibile che determinate funzioni siano deferite anche a magistrati singoli, fino alla
trattazione della causa.
A differenza di come l’ordinamento si esprimeva anteriormente alla vigente disciplina della materia (modificata con Legge 26.11.1990 n. 353), l’articolo in esame contiene al primo comma un elenco di “cause” e, separata, al secondo comma, la disciplina di quei “procedimenti” a cui va estesa la riserva di collegialità.
Relativamente a questi ultimi, se non può dirsi che trattasi di cause, neppure ciò può negarsi a priori, in quanto anche nel corso dei
procedimenti in camera di consiglio alcune volte si controverte del diritto sostanziale che si assume leso ed il provvedimento del Tribunale è idoneo ad acquisire stabilità di giudicato.
Secondo quanto previsto al n. 1 del primo comma, la previsione dell’intervento obbligatorio del
pubblico ministero, di regola, genera la riserva di sola decisione collegiale.
Tuttavia, al fine di evitare un appesantimento delle formalità procedurali, in controtendenza con quelli che erano gli obiettivi della riforma introdotta con D.lgs. 51/1998, è stata disposta la salvezza relativa alle ipotesi in cui già in precedenza vi era un giudice monocratico competente a decidere, essendo stato qui aggiunto l’inciso “
salvo che sia altrimenti disposto”.
Con riferimento alle cause indicate al n. 2, non è più dubitabile che il procedimento per la
dichiarazione di fallimento si svolga dinanzi al Tribunale in composizione collegiale, con le modalità del procedimento in
camera di consiglio.
I nn. 5 e 6 sono stati soppressi per effetto del D.Lgs. 10.10.2022, n. 149 (Riforma Cartabia).
Le cause di impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea e del
consiglio di amministrazione, nonché quelle di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i
direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari e i
liquidatori delle società, delle mutue assicuratrici e
società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi sono, quindi, devolute al giudice monocratico.
All’organo collegiale restano pertanto limitati i casi di oggettiva complessità giuridica e le controversie di particolare rilevanza economico-sociale.
Prima della Riforma Cartabia, invece, costituiva una novità introdotta dall’art. 56 d.lgs. n. 51/1998 l’estensione della competenza del collegio non solo alle controversie in tema di responsabilità degli organi societari, ma anche a tutti i giudizi di impugnazione delle delibere assembleari o del consiglio di amministrazione, ritenendosi che si trattasse di controversie di particolare complessità dal punto di vista giuridico e coinvolgenti rilevanti interessi di carattere patrimoniale.
Con riferimento al soppresso n. 6, invece, l’interpretazione estensiva del concetto di “
impugnazione dei testamenti” aveva portato ad includervi anche le ipotesi di nullità, annullamento e inefficacia, sia del
testamento che di singole disposizioni testamentarie. Per “
cause di riduzione per lesione di legittima” si intendevano tutte le varie forme di esercizio dell’azione disciplinata nel titolo I, Capo X, Sez. II del Libro II del codice civile; da questa rimaneva esclusa l’azione contro gli aventi causa dai donatari soggetti a riduzione, disciplinata dall’art. 563 c.c..
Per cause di cui alla Legge 117/1988, previste al n. 7, si intendono l’azione di risarcimento del danno contro lo Stato e l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato.
La cause di cui al n. 7 bis sono quelle che originano dall’esercizio della c.d. azione di classe, la cui domanda viene proposta al Tribunale con
atto di citazione notificato anche all’ufficio del
pubblico ministero e che il Tribunale tratta in composizione collegiale. Si tratta, pertanto, di una costante riserva di giudizio, anche in fase di trattazione, all’organo collegiale, e non di ipotesi in cui le sole decisioni sono riservate al collegio.
Il secondo comma attribuisce al Tribunale in composizione collegiale il potere di decidere in ordine ai procedimenti in camera di consiglio di cui agli artt.
737 e ss c.p.c., facendo tuttavia salva una diversa previsione normativa.
Infatti, i procedimenti prima decisi dal Pretore in forma camerale ed oggi passati al Tribunale, vengono attualmente decisi dal medesimo Tribunale in forma monocratica.