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Articolo 2473 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Recesso del socio

Dispositivo dell'art. 2473 Codice Civile

L'atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità. In ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell'oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione [[...]] alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall'atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto della società determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'articolo 2468, quarto comma. Restano salve le disposizioni in materia di recesso per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento(1).

Nel caso di società contratta a tempo indeterminato il diritto di recesso compete al socio in ogni momento e può essere esercitato con un preavviso di almeno centottanta giorni; l'atto costitutivo può prevedere un periodo di preavviso di durata maggiore purché non superiore ad un anno.

I soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale. Esso a tal fine è determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso; in caso di disaccordo la determinazione è compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente; si applica in tal caso il primo comma dell'articolo 1349.

Il rimborso delle partecipazioni per cui è stato esercitato il diritto di recesso deve essere eseguito entro centottanta giorni dalla comunicazione del medesimo fatta alla società. Esso può avvenire anche mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni oppure da parte di un terzo concordemente individuato da soci medesimi. Qualora ciò non avvenga, il rimborso è effettuato utilizzando riserve disponibilio, in mancanza, corrispondentemente riducendo il capitale sociale; in quest'ultimo caso si applica l'articolo 2482 e, qualora sulla base di esso non risulti possibile il rimborso della partecipazione del socio receduto, la società viene posta in liquidazione.

Il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società.

Note

(1) Comma modificato dal D. Lgs. 2 marzo 2023, n. 19.

Ratio Legis

Sul piano funzionale il recesso può essere configurato quale strumento volto da una parte a tutelare le minoranze innanzi a decisioni della maggioranza in grado di alterare sensibilmente le originarie condizioni di rischio dell'investimento (exit), dall'altra a rafforzare e promuovere la dialettica endosocietaria (voice).
La norma assegna anzitutto all'autonomia statutaria il compito di determinare le ipotesi che legittimano l'esercizio del diritto di recesso da parte del socio (cause convenzionali), salvo individuare delle specifiche fattispecie che attribuiscono inderogabilmente al socio il diritto di recedere (cause legali).

Spiegazione dell'art. 2473 Codice Civile

Nella s.r.l. le cause di recesso possono essere suddivise in cause inderogabili e cause convenzionali, fermo restando che la norma in esame attribuisce in primo luogo all’atto costitutivo il compito di individuare le fattispecie che legittimano il recesso, nonché di regolarne le modalità di esercizio.

Nello specifico, il diritto di recesso spetta inderogabilmente ai soci dissenzienti, assenti o astenuti in caso di:
- modificazione della clausola relativa all’oggetto sociale;
- cambiamento del tipo societario (trasformazione);
- deliberazione di fusione, scissione;
- revoca dello stato di liquidazione;
- trasferimento della sede sociale all’estero;
- eliminazione di una o più cause di recesso di tipo convenzionale;
- compimento di operazioni che determinano un radicale mutamento dell’oggetto sociale o una radicale modificazione dei diritti particolari attribuiti al socio ai sensi dell’art. 2468.

Anche ai soci di s.r.l. è inoltre attribuito il diritto di recesso ad nutum (con preavviso di almeno 180 giorni) qualora la società sia contratta a tempo indeterminato. Di recente, tuttavia, ci si è chiesti se possa applicarsi alla s.r.l. l’art. 2285, che prevede il recesso ad nutum anche in caso di società con durata particolarmente lunga. Tale ultima possibilità è stata tuttavia di recente esclusa dalla giurisprudenza di legittimità.

Rispetto alla disciplina della s.p.a., la disciplina della s.r.l. non contempla delle norme che fissino i criteri di liquidazione, né impongano agli amministratori l’obbligo di preventiva comunicazione del valore della quota.

In ogni caso, il valore di liquidazione della quota è determinato tenendo in considerazione il valore di mercato. Per valore di mercato deve tuttavia intendersi il valore reale del patrimonio sociale, posto che non esiste un mercato delle partecipazioni di s.r.l.

Il rimborso delle partecipazioni per cui è stato esercitato il recesso deve essere eseguito entro 180 giorni. Si tratta di termine inderogabile.

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

Massime relative all'art. 2473 Codice Civile

Cass. civ. n. 8962/2019

Non è consentito il recesso "ad nutum" del socio di una società a responsabilità limitata contratta a tempo determinato, in considerazione sia della previsione letterale di cui all'art. 2473 c.c., che limita la possibilità di recedere al solo caso di società contratta a tempo indeterminato, sia della valutazione sistematica dipendente dalla diversa disposizione dettata per le società di persone, sia, infine, in relazione all'esigenza di tutela dei creditori che, facendo affidamento sul patrimonio sociale, hanno interesse al mantenimento della sua integrità.

Cass. civ. n. 28987/2018

In caso di recesso del socio di s.r.l. esercitato successivamente alla trasformazione in s.p.a., in considerazione del rafforzamento della tutela del diritto al disinvestimento dei soci di minoranza, rispetto a quella della stabilità del vincolo associativo, dovuto alle nuove caratteristiche personalistiche del tipo societario della s.r.l. configurato dalla riforma del 2003, la disciplina del diritto di recesso è quella dettata per le s.r.l. dall'art. 2473, comma 2, c.c. che non prevede termini di decadenza, essendo contrario alla lettera del comma 1 della citata norma, nonché alla "ratio legis" e alla buona fede, assoggettare il socio dissenziente ai ridotti termini di esercizio del recesso fissati per le s.p.a. dall'art. 2437 bis c.c., da ritenersi non applicabile analogicamente per la diversità di presupposti del recesso nei due tipi societari; pertanto, in detta ipotesi, il diritto di recesso del socio va esercitato nel termine previsto nello statuto della s.r.l., prima della sua trasformazione in s.p.a., e, in mancanza di detto termine, secondo buona fede e correttezza, quali fonti di integrazione della regolamentazione contrattuale, dovendo il giudice del merito valutare di volta in volta le modalità concrete di esercizio del diritto di recesso e, in particolare, la congruità del termine entro il quale il recesso è stato esercitato, tenuto conto della pluralità degli interessi coinvolti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il recesso dei soci della s.r.l. trasformata in s.p.a., il cui statuto sociale era stato approvato nel 1987 senza previsione delle modalità di recesso, comunicato, in concreto non entro il termine di 15 giorni previsto per le s.p.a. dall'art. 2437 bis c.c. ma poco oltre i 60 giorni).

Cass. civ. n. 22349/2015

La pretesa lesione del diritto di sottoscrizione dell'aumento di capitale sociale, spettante a tutti i soci proporzionalmente alle partecipazioni da essi possedute, non può legittimare il recesso del socio alla stregua del combinato disposto degli artt. 2473, comma 1, e 2468, comma 4, c.c., riferendosi questi ultimi alla sola ipotesi in cui vengano attribuiti a singoli soci, dall'atto costitutivo, «particolari diritti in materia di amministrazione della società o distribuzione degli utili», ovverosia diritti diversi, quantitativamente o qualitativamente, da quelli normalmente spettanti a ciascun socio sulla base della partecipazione detenuta.

Cass. civ. n. 9662/2013

In tema di società a responsabilità limitata, la previsione statutaria di una durata della società per un termine particolarmente lungo (nella specie, l'anno 2100), tale da superare qualsiasi orizzonte previsionale anche per un soggetto collettivo, ne determina l'assimilabilità ad una società a tempo indeterminato; ne consegue che, in base all'art. 2473, comma secondo, cod. civ., compete al socio in ogni momento il diritto di recesso, sussistendo la medesima esigenza di tutelare l'affidamento del socio circa la possibilità di disinvestimento della quota da una società sostanzialmente a tempo indeterminato.

Cass. civ. n. 13760/2009

È inammissibile il ricorso straordinario per cassazione di cui all'art. 111, settimo comma, Cost. avverso il decreto pronunciato dal giudice designato dal presidente del tribunale, ai sensi dell'art. 28 del D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 5, con il quale sia stato nominato, su istanza del socio, l'esperto per la valutazione della sua partecipazione sociale, ai sensi dell'art. 2473, terzo comma, c.c., essendo tale decreto un atto di volontaria giurisdizione privo dei caratteri della decisorietà e della definitività, da un lato perchè la stima operata dall'esperto non ha valore decisorio fra le parti ed è sindacabile dal giudice ove sia manifestamente erronea od iniqua (art. 1349 c.c., richiamato dall'art. 2473 c.c.), dall'altro perchè il decreto può essere revocato o modificato in presenza di nuove circostanze, ai sensi dell'art. 26 del D.L.vo citato; né la conclusione muta ove il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressione del diritto di azione, atteso che la pronuncia sull'osservanza delle norme sul processo ha la medesima natura dell'atto giurisdizionale cui il processo è preordinato, e non può dunque avere autonoma valenza di provvedimento decisorio e definitivo.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2473 Codice Civile

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L. O. chiede
domenica 08/09/2024
“Una SRL, costituitasi nel 1983, con compagine sociale: socio A nato nel 1970 con quota pari al 50% del C.S.; socio B nato nel 1957 con quota pari al 0,50% del C.S. e socio C nato nel 1995 con quota pari al 49,50% del C.S.; e con durata originariamente fissata al 31.12.2050, nel cui statuto:
- non è stata prevista la possibilità di recesso del socio e le relative modalità;
- è previsto il solo patto di opzione del diritto di prelazione da parte dei soci nell’ipotesi in cui un socio intenda vendere la propria quota sociale…;
- qualsiasi controversia …tra la società e i soci, e i soci tra i soci stessi …. È deferita al giudizio di un Collegio Arbitrale che giudica senza formalità di rito, ed il suo giudizio è inappellabile;
il socio A, ha intenzione di recedere dalla società (art. 2473 C.C.):
a) privilegiando il recesso “ATIPICO” cessione della partecipazione ai soci superstiti, e con maggiore libertà di valutazione della quota, sua possibile rivalutazione, generando reddito diverso (art. 67 tuir);
b) e solo in subordine, se ne ricorrano le condizioni (norme statutarie, durata della società ecc.) con recesso “TIPICO” rimborso del valore della quota con utilizzo di risorse della società (generando reddito di capitale art. 47/tuir);
nell’ipotesi in cui non si trovi una intesa (tra i soci) sulla valutazione della quota del socio A, quale sarà il destino della società e della compagine sociale?”
Consulenza legale i 17/09/2024
In una società contratta a tempo determinato, quale quella in discussione, la facoltà di recesso del socio di una s.r.l. è limitata ad alcune occasioni e momenti della vita associativa: infatti, secondo l’art. 2473 del c.c., primo comma, il diritto di recesso compete in ogni caso ai soci che non hanno acconsentito al cambiamento dell'oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione al trasferimento della sede all'estero alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall'atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto della società determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'art. 2468 del c.c., quarto comma.

L’atto costitutivo/statuto può determinare quando il socio possa recedere dalla società e le relative modalità; nel caso di specie non vengono previste ulteriori ipotesi di recesso.

A riguardo, tuttavia, va considerato che la giurisprudenza maggioritaria tende parificare nella sostanza una società a tempo indeterminato con una con termine di durata molto lungo, tanto da considerarsi, appunto, sostanzialmente contratta per tutta la vita del socio.

Si segnalano sul punto alcune pronunce della giurisprudenza di merito: “La ratio sottesa al disposto dell’art. 2473, comma 2, c.c. induce a ritenere che il recesso ad nutum del socio ivi contemplato possa essere utilmente esercitato non solo nelle ipotesi di società contratta “formalmente” a tempo indeterminato, ma anche nei casi di previsione di un termine di durata talmente lungo da far ritenere la società come costituita sine die. Se è vero infatti che la ratio della norma è ravvisabile nella esigenza di salvaguardia del principio privatistico - ritenuto di ordine pubblico - della inammissibilità di vincoli perpetui, sussiste certamente l’eadem ratio allorché la società, in via di fatto, risulti “sostanzialmente” a tempo indeterminato, dacché contratta per un termine eccedente le ragionevoli aspettative di vita di uno dei soci (nel caso di specie, il termine statutario era fissato al 31/12/2050)". (Trib. Roma, sez. spec. in materia di imprese, 28/11/2017; dello stesso tenore: Trib. Roma, sez. spec. in materia di imprese, 22/10/2015).
Si segnala un'ulteriore pronuncia significativa nel senso sopra espresso: “Ai sensi dell’art. 2473, comma 2, c.c., il socio di società a responsabilità limitata costituita a tempo indeterminato può recedere dalla stessa in ogni momento, con un preavviso di centottanta giorni, salvo che l'atto costitutivo non preveda un preavviso maggiore, comunque non superiore all’anno. Le s.r.l. costituite per un termine particolarmente lungo, tale per cui sia superato l’orizzonte temporale ragionevolmente ricollegabile al raggiungimento dello scopo della società, sono assimilabili alle s.r.l. a tempo indeterminato. Si considera, altresì, a tempo indeterminato, la società che preveda un termine di durata superiore alla normale vita umana.” (Trib. Torino, sez. I, 05/05/2017).

La stessa Corte di Cassazione si è espressa sul punto, statuendo che: “Nella società a responsabilità limitata in cui la durata è fissata in epoca lontana, tale da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale, non solo della persona fisica ma anche di un soggetto collettivo, il socio ha diritto di recedere, sussistendo le stesse ragioni che hanno indotto il legislatore ad attribuire il diritto di recesso nelle società contratte a tempo indeterminato.” (Cass. civ., 22 aprile 2013, n. 9662)

Venendo al caso esposto, si deve considerare che la società veniva costituita nel 1983, con termine di durata già all’epoca fissato al 2050.
La durata estremamente lunga (“tale da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale, non solo della persona fisica ma anche di un soggetto collettivo”), anche superiore all’aspettativa di vita dei soci dell’epoca (di cui si suppone il socio B sia l’unico superstite), porta a ritenere sussistente il diritto di recesso dei soci stessi con semplice preavviso.
Questo aspetto viene, però, mitigato da un eventuale subentro successivo del socio A che ha intenzione di recedere; in altri termini, il socio A, se subentrato in epoca recente, avrebbe avuto modo di valutare ed accettare la durata della società, non più irragionevolmente lunga se comparata all’epoca del suo subingresso (se recente).
In favore della sussistenza di un diritto di recesso anche in capo al socio A, tuttavia, consta comunque la durata della stessa anche paragonata alla sua aspettativa di vita; se è vero che la durata della società non la supera, è altrettanto vero che il termine scadrebbe quando il socio A avrà 80 anni, quindi comunque un’età molto avanzata, ben al di là delle normali prospettive lavorative.

Pur dovendo segnalare la presenza di pronunce più restrittive sul punto, che rendono la strada del recesso con preavviso non connotata da assoluta certezza, a causa delle particolarità che il caso in esame presenta; tutte le suesposte considerazioni ci portano ad affermare che possa ragionevolmente essere consentito al socio A di recedere con preavviso.

Per quanto concerne le modalità di liquidazione della quota del socio uscente, il quale ha esercitato legittimamente il diritto di recesso, sono definite dall’art. 2473 del c.c..
Il terzo comma dispone che i soci che recedono dalla società hanno diritto ad ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione al patrimonio sociale, determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso; per determinarlo il socio recedente e la società, generalmente, incaricano dei professionisti di propria fiducia per redigere delle perizie di parte, così da discutere su dei valori per giungere ad un accordo sulla liquidazione.
Nell’eventualità in cui dovesse sorgere disaccordo in merito, la determinazione sarà compiuta mediante una perizia giurata redatta da un esperto nominato dal tribunale.

Il rimborso del valore della quota deve essere eseguito entro 180 giorni; l’acquisto della quota da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni oppure da parte di un terzo concordemente individuato costituiscono soltanto due vie perseguibili per la liquidazione dell’importo dovuto al socio uscente (che corrisponde ad una somma di denaro corrispondente al valore della quota).
Qualora ciò non avvenga, infatti, il quarto comma prevede la possibilità di rimborsare la quota utilizzando riserve disponibili o, in mancanza, corrispondentemente riducendo il capitale sociale, nel rispetto dei limiti di legge imposti dall’art. 2482 del c.c.; se non è possibile il rimborso con le modalità descritte, la società deve essere posta in liquidazione

Di certo la cessione della quota ai soci superstiti non incontra problematiche di sorta, salvo la quantificazione, lasciata necessariamente al solo accordo delle parti.

G. P. chiede
venerdì 22/03/2024
“Buongiorno
Facendo seguito alla problematica trattata nel quesito postovi N . Q202335036 ( società Ambulatorio polispecialistico XXX srl , 3 soci con quote 33-33-34%, statuto che obbliga prelazione … )
Come da voi concluso , dopo nostra richiesta ( soci con diritto di prelazione versus socio che dona con stima arbitraria ) il tribunale delle imprese ha dato incarico ad un esperto per redigere una relazione per la stima delle quote oggetto . Siamo stati convocati tutti i soci è abbiamo confermato l’incarico al professionista indicato dal tribunale ( il quale a sua volta aveva accettato l’incarico dallo stesso ).
La domanda è questa : come si svolgerà adesso la controversia ? Il professionista si comporterà come un ctu e farà una bozza da inviare alle parti per eventuali controdeduzioni ( lui all’atto dell’incarico ha rimarcato di non essere un ctu e non ci ha dato nessun’altra indicazione, tranne poi mandare una richiesta formale alla società di documentazione da consultare , naturalmente ) , oppure depositerà sic et simpliciter la sua perizia in tribunale la quale avrà valore insindacabile e pertanto il tribunale ci comunicherà che il valore è quello ? Sarà eventualmente appellabile da una o altra parte ?
In attesa del vostro parere
Porgo distinti saluti


Consulenza legale i 27/03/2024
Come già espresso nella risposta al quesito citato, in caso di disaccordo sull’attribuzione del valore alla quota del socio uscente, la determinazione è compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, così come disposto dall’art. 2473, comma III, del c.c..
Questi, una volta adempiuto il compito affidatogli, provvederà a depositare la sua valutazione, che verrà poi comunicata alle parti.

Si rammenti che il professionista nominato non è un CTU, ma un “arbitratore”, il cui ruolo è quello di quantificare il valore della quota sulla scorta del valore di mercato; nel concreto, le parti si accordano affinché la determinazione del valore della quota venga rimessa al giudizio di un soggetto terzo.
La determinazione dell’esperto/terzo arbitratore, compiuta ai sensi dell'1349, comma I, c.c. richiamato dall'art. 2473, comma III, c.c., costituisce proprio il contenuto del negozio con il quale il socio recedente e la società si accordano in ordine alla liquidazione della quota.

La stima del valore della partecipazione societaria è immediatamente vincolante per le parti ed è suscettibile di impugnazione ai sensi dell'1349cc, comma I, c.c. esclusivamente laddove manifestamente iniqua e/o erronea.

Anonimo chiede
venerdì 12/01/2024
“Buongiorno
in una s.r.l. con tre soci, un socio decide di attuare il diritto di recesso per mancato gradimento degli altri soci ad una sua alienazione delle quote ( donazione ). Come da statuto ha già dato modo ai soci di accettare o meno la prelazione ( oggetto della precedente consulenza richiesta , rif. Q202335036 , che , cogliendo l'occasione, sta andano come suggerito da voi e cioè con richiesta in tribunale delle imprese di nomina di perito per stima valore quote , attesa I udienza ) . Ma torniamo al punto, nel caso si arrivi al recesso non accettando i soci l'acquisto delle quote e successivamente negando il gradimento sulla donazione, come da statuo il socio esercita il recesso. In quel caso esiste una gerarchia all'eventuale liquidazione delle quote : cioè, per prima la società con le proprie riserve , poi i soci o terzi , giusto ?
Ma il quesito finale è : la liquidazione del socio può essere fatta parte dalla società e parte dai soci rimanenti ?
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 19/01/2024
Le modalità di liquidazione della quota del socio uscente, il quale ha esercitato legittimamente il diritto di recesso, sono definite dall’art. 2473 del c.c..
Il terzo comma dispone che i soci che recedono dalla società hanno diritto ad ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione al patrimonio sociale, determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso; per determinarlo il socio recedente e la società, generalmente, incaricano dei professionisti di propria fiducia per redigere delle perizie di parte, così da discutere su dei valori per giungere ad un accordo sulla liquidazione.
Nell’eventualità in cui dovesse sorgere disaccordo in merito, la determinazione sarà compiuta mediante una perizia giurata redatta da un esperto nominato dal tribunale.

L’acquisto della quota da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni (ipotesi che nel caso in esame è già stata respinta) oppure da parte di un terzo concordemente individuato costituiscono soltanto due vie perseguibili per la liquidazione dell’importo dovuto al socio uscente (cioè una somma di denaro corrispondente al valore della quota).
Qualora ciò non avvenga, infatti, il quarto comma prevede la possibilità di rimborsare la quota utilizzando riserve disponibili o, in mancanza, corrispondentemente riducendo il capitale sociale, nel rispetto dei limiti di legge imposti dall’art. 2482 del c.c.; seguendo dette modalità, la quota del socio uscente andrà ad accrescere proporzionalmente quella degli altri soci.

In ogni caso, la liquidazione della quota deve essere eseguita entro centottanta giorni dalla comunicazione del recesso fatta alla società (ciò non esclude un diverso accordo in merito).
Qualora non risulti possibile il rimborso con le modalità descritte, la società deve essere posta in liquidazione.
Le riserve disponibili sono quelle che possono essere destinate a qualunque finalità.

In definitiva, se i soci hanno già espresso la volontà di non acquistare le quote del socio uscente (a cui comunque non sono obbligati) e non è stato individuato un terzo di comune accordo per l’acquisto, sarà la società a doversi far carico di liquidare la quota, utilizzando le riserve disponibili o riducendo il capitale sociale; se ciò non fosse possibile, dovrà essere posta in liquidazione.

Anonimo chiede
mercoledì 19/07/2023
“in tema di diritto di recesso del socio il questo posto è se possa esistere per le SRL il diritto di recesso "per giusta causa" da parte del socio, assimilabile a quello che esiste per le società di persone di cui all'art. 2285 c.c. e se esiste giurisprudenza in merito su quale possa essere questa giusta causa.”
Consulenza legale i 25/07/2023
In caso di società contratta a tempo determinato, la facoltà di recesso del socio di una s.r.l. è limitata ad alcune occasioni e momenti della vita associativa: infatti, secondo l’art. 2473, primo comma, del c.c. il diritto di recesso compete in ogni caso ai soci che non hanno acconsentito al cambiamento dell'oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione, alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall'atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto della società determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'art. 2468 del c.c., quarto comma.

Il secondo comma permette il recesso del socio in ogni momento esclusivamente nelle società contratte a tempo indeterminato, comunque con un preavviso di almeno centottanta giorni (termine innalzabile dallo statuto fino a un anno).

Il diritto di recesso spetta, altresì, quando l’autonomia privata altera le posizioni dei soci e precisamente nei seguenti casi:
  • modifica decisa a maggioranza dei diritti concernenti l’amministrazione o la distribuzione degli utili ex art. 2468 del c.c., comma 4;
  • se l’atto costitutivo dispone limitazioni alla circolazione per atto tra vivi o mortis causa alle partecipazioni sociali. A differenza di quanto previsto per le società per azioni, l’atto costitutivo può vietare il trasferimento (anche mortis causa) (cfr. art. 2469 del c.c., comma 1) delle quote sociali accentuando in tal modo il carattere personalistico della società a responsabilità limitata; tuttavia, a differenza delle società di persone ove è richiesto il consenso di tutti i soci, il “costo” immediato e diretto della piena libertà delle parti in ordine alla limitazione (anche assoluta) della circolazione delle quote è costituito dal diritto di recesso attribuito a ciascun socio;
  • nel caso di aumento di capitale a pagamento ai soci che dissentono dalla decisione di offrire a terzi le quote di nuova emissione (cfr. art. 2481 bis del c.c.);
  • modifiche dell’atto costitutivo che introducono o sopprimono clausole compromissorie e attribuiscono ai soci assenti o dissenzienti (ma anche astenuti) il diritto di recesso da esercitarsi entro i successivi 90 giorni (art. 34, comma 6, D.Lgs. 17/01/2003, n. 5).
La medesima norma, tuttavia, lascia all’atto costitutivo la possibilità di determinare quando il socio possa recedere dalla società e le relative modalità.

A differenza di quanto previsto per le società di persone dall’art. 2285 del c.c., non è contemplata per le s.r.l. una generale facoltà del socio di recedere per giusta causa, bensì detto diritto dovrà necessariamente essere attribuito mediante l’inserimento di un’apposita clausola all’interno dell’atto costitutivo.
È dibattuto se le clausole di recesso per giusta causa possono essere generali, senza prevedere la casistica nel quale la giusta causa debba essere contenuta, ovvero debbano essere indicate le specifiche ipotesi di giusta causa.
A differenza dell’esclusione del socio ex art. 2473 bis del c.c., ove la norma contiene espressamente il riferimento a specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa, nulla è disposto in merito al recesso, pertanto sembra che non sia necessario che le clausole di recesso per giusta causa indichino specificamente la casistica a cui applicare la disciplina.

In ogni caso, spesso le clausole statutarie, quando prevedono la facoltà di recedere per giusta causa, fanno riferimento a casi specifici, quali: il dissidio insanabile insorto fra i soci, o altri fatti soggettivi come la trascuratezza o l’incapacità degli amministratori, la condotta immorale dei soci, la mancata esclusione di un socio al verificarsi dei presupposti previsti nell’atto costitutivo, o il verificarsi di situazioni che portino ad escludere la possibilità di una proficua prosecuzione dell’attività sociale, come l’uscita dalla compagine sociale di determinati soci con perdita in misura notevole dei conferimenti.

T. M. chiede
giovedì 25/05/2023
“Buongiorno,
Desidererei ricevere un parere legale.
Questo il quesito:
E' possibile per una SRL liquidare la quota del socio, utilizzando le proprie riserve, qualora le opzioni di <acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni oppure da parte di un terzo concordemente individuato da soci medesimi>, non fossero praticabili?
Nello specifico parliamo di una "piccola impresa" così come definita nella Raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione Europea del 6 maggio 2003.
La srl ha due soci, entrambi titolare del 50%.
Quali i divieti, se esistenti e le limitazioni (ad esclusione di quelli Statutari).
Infine qualora la via della liquidazione della quota del socio recedente tramite l'utilizzo di riserve disponibili fosse praticabile, potreste confermare che la quota dell'altro socio si
accrescerà nella misura corrispondente alla partecipazione del socio receduto?
Potreste inoltre accennare agli obblighi riguardanti la trasformazione della società da srl a srl con socio unico?
Ringrazio in anticipo e resto in attesa di un vostro preventivo.”
Consulenza legale i 05/06/2023
L’art. 2474 del c.c. vieta alle società a responsabilità limitata di acquistare o accettare in garanzia partecipazioni proprie, così come accordare prestiti o fornire garanzia per il loro acquisto.

Nell’eventualità in cui sia stato esercitato il diritto di recesso ai sensi dell’art. 2473 del c.c., l’acquisto della quota da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni oppure da parte di un terzo concordemente individuato costituiscono soltanto due vie perseguibili per la liquidazione dell’importo dovuto al socio uscente (che corrisponde ad una somma di denaro corrispondente al valore della quota).
Qualora ciò non avvenga, infatti, il quarto comma prevede la possibilità di rimborsare la quota utilizzando riserve disponibili o, in mancanza, corrispondentemente riducendo il capitale sociale, nel rispetto dei limiti di legge imposti dall’art. 2482 del c.c.; se non è possibile il rimborso con le modalità descritte, la società deve essere posta in liquidazione.
Le riserve disponibili sono quelle che possono essere destinate a qualunque finalità.
Non sussistono divieti nel caso in cui la società sia composta soltanto da due soci.

Tanto premesso, in caso di recesso del socio è astrattamente possibile liquidare la quota utilizzando le riserve disponibili; in tal caso la quota del socio uscente andrà ad accrescere proporzionalmente quella degli altri soci (nel caso di specie l’unico rimasto).
La società, tuttavia, non può acquistare, diventandone titolare, una propria partecipazione.

Per quanto riguarda la riduzione della compagine sociale ad un unico socio, si segnala che una S.r.l. costituita come pluripersonale può diventare unipersonale semplicemente quando tutte le quote sociali si concentrano in capo ad unico soggetto.

In tal caso è necessario, in primo luogo, portare a compimento gli adempimenti pubblicitari di cui all’art. 2470 del c.c., pertanto l’amministratore dovrà depositare per l’iscrizione nel registro delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e nome, della data, del luogo di nascita e cittadinanza dell'unico socio entro 30 giorni dall’iscrizione della modificazione della compagine sociale nel libro dei soci.
In caso di inadempimento, ai sensi dell’art. 2462, secondo comma, del c.c., il socio unico perderà il beneficio della responsabilità limitata e, al verificarsi dell'insolvenza della società, diventerà illimitatamente responsabile per le obbligazioni sorte fin quando non verrà effettuata la pubblicità relativa all'unico azionista, con l'iscrizione nel registro delle imprese.

In secondo luogo, se viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti dovranno essere effettuati entro 90 giorni, come disposto dall’art. 2464, comma 7, del c.c..
Anche in questo caso, l’art. 2462, secondo comma, del c.c. dispone che se l’unico socio non provvede, oltre alla responsabilità in qualità di amministratore che vi era obbligato, perderà il beneficio della responsabilità limitata per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui la partecipazione è appartenuta ad una sola persona.

Infine, va rammentato che l’art. 2250, comma 4, del c.c. impone di indicare se vi sia socio unico negli atti (principalmente i contratti di cui è parte la società) e nella corrispondenza (le comunicazioni della società con i terzi) della società.

M. S. chiede
martedì 17/05/2022 - Sardegna
“Salve,
faccio parte, in quanto socia di una Srl dal 2015.

Ho collaborato alla stessa in modo continuativo al disbrigo della parte amministrativa e contabile, fino a settembre 2021.

In accordo con un' altro socio (in due deteniamo il 40% delle quote) e con l'amministratore (che detiene il 60% delle quote) a settembre scorso è stato deciso che al termine di alcuni lavori già contrattati, si chiuda la Società.

Ora, visto che i tempi si stanno allungando e non esiste quasi più collaborazione con l'amministratore (che sta portando avanti i cantieri) e che dai rendiconti che sto compilando, risulterebbe che si sono accumulati dei debiti negli ultimi mesi, io e l'altro socio, vorremmo recedere dalla Società, immediatamente e irrevocabilmente.
Io vorrei uscire da questa in modo veloce e perciò vorrei utilizzare la seguente formula nella comunicazione di recesso:

"la presente per comunicare, a norma dell’art. 2473 c.c. e dell’art. 11 dello statuto sociale, di recedere dalla Società, come in effetti recede, a seguito di motivazioni strettamente personali che determinano l’impossibilità di contribuire al conseguimento dell’oggetto sociale"

Il mio socio mi suggerisce di puntualizzare il comportamento dell'amministratore e di attribuirgli almeno l'incomunicabilità che ha deciso di esercitare nei miei confronti (alla quale comunque chiede resoconti, emissione di fatture, disposizione dei bonifici e tenuta contabilità e alla quale non risponde all'inoltro di documenti da firmare, comunicazioni varie ecc) e mi suggerisce di usare questa formula:

"la presente per comunicare, a norma dell’art. 2473 c.c. e dell’art. 11 dello statuto sociale, di recedere dalla Società, come in effetti recede, a seguito dell'impossibilità di interloquire con l'amministratore e dunque di raggiungere lo scopo sociale"

Io ovviamente, vorrei usare i modi e le forme più veloci e immediate, senza provocare lungaggini e contestazioni.


Resto in attesa di un Vostro parere.”
Consulenza legale i 05/07/2022
In caso di società contratta a tempo determinato, la facoltà di recesso del socio di una s.r.l. è limitata ad alcune occasioni e momenti della vita associativa: infatti, secondo l’art. 2473 del c.c., primo comma, il diritto di recesso compete in ogni caso ai soci che non hanno acconsentito al cambiamento dell'oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione al trasferimento della sede all'estero alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall'atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto della società determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'art. 2468 del c.c., quarto comma.

La medesima norma, tuttavia, lascia all’atto costitutivo la facoltà di determinare quando il socio possa recedere dalla società e le relative modalità.

L’art. 11 dello statuto della società, così come prodotto, in tema di diritto di recesso dispone quanto segue:
“A ciascuno dei soci compete il diritto di recesso:
- nelle ipotesi previste dall'articolo 2473 del Codice civile;
- in caso di aumento del capitale sociale mediante offerta di quote di nuova emissione a terzi ovvero con liberazione del predetto aumento mediante conferimenti in natura;
- in caso di soppressione o modifica della clausola compromissoria.
Il diritto di recesso spetta altresì in tutti gli altri casi previsti dalla legge o dal presente statuto.
Per l'esercizio del diritto di recesso, nei limiti della compatibilità, si applica l'articolo 2437 bis, primo comma del Codice civile.”


Nessuna delle ipotesi disciplinate dallo statuto, né dall’art. 2473 del c.c. a cui il punto 1 rimanda, sono applicabili al caso concreto esposto, in quanto nessuno degli eventi a cui fanno riferimento sembrano essersi verificati.
Neppure è prevista nello statuto una clausola che permetta l’esercizio del diritto di recesso per giusta causa, in ipotesi che dovrebbero essere in esso specificate.

A riguardo, tuttavia, va considerato che la giurisprudenza maggioritaria è concorde nel senso di parificare nella sostanza una società a tempo indeterminato con una con termine di durata molto lungo, tanto da considerarsi, appunto, sostanzialmente contratta per tutta la vita del socio.

Si segnalano sul punto alcune pronunce della giurisprudenza di merito: “La ratio sottesa al disposto dell’art. 2473, comma 2, c.c. induce a ritenere che il recesso ad nutum del socio ivi contemplato possa essere utilmente esercitato non solo nelle ipotesi di società contratta “formalmente” a tempo indeterminato, ma anche nei casi di previsione di un termine di durata talmente lungo da far ritenere la società come costituita sine die. Se è vero infatti che la ratio della norma è ravvisabile nella esigenza di salvaguardia del principio privatistico - ritenuto di ordine pubblico - della inammissibilità di vincoli perpetui, sussiste certamente l’eadem ratio allorché la società, in via di fatto, risulti “sostanzialmente” a tempo indeterminato, dacché contratta per un termine eccedente le ragionevoli aspettative di vita di uno dei soci (nel caso di specie, il termine statutario era fissato al 31/12/2050)". (Trib. Roma, sez. spec. in materia di imprese, 28/11/2017; dello stesso tenore: Trib. Roma, sez. spec. in materia di imprese, 22/10/2015).
Si segnala un'ulteriore pronuncia significativa nel senso sopra espresso: “Ai sensi dell’art. 2473, comma 2, c.c., il socio di società a responsabilità limitata costituita a tempo indeterminato può recedere dalla stessa in ogni momento, con un preavviso di centottanta giorni, salvo che l'atto costitutivo non preveda un preavviso maggiore, comunque non superiore all’anno. Le s.r.l. costituite per un termine particolarmente lungo, tale per cui sia superato l’orizzonte temporale ragionevolmente ricollegabile al raggiungimento dello scopo della società, sono assimilabili alle s.r.l. a tempo indeterminato. Si considera, altresì, a tempo indeterminato, la società che preveda un termine di durata superiore alla normale vita umana.” (Trib. Torino, sez. I, 05/05/2017).

La stessa Corte di Cassazione si è espressa sul punto, statuendo che: “Nella società a responsabilità limitata in cui la durata è fissata in epoca lontana, tale da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale, non solo della persona fisica ma anche di un soggetto collettivo, il socio ha diritto di recedere, sussistendo le stesse ragioni che hanno indotto il legislatore ad attribuire il diritto di recesso nelle società contratte a tempo indeterminato.” (Cass. civ., 22 aprile 2013, n. 9662)

Tanto premesso, considerando la Sua età (che ricaviamo dalla visura della società) e il termine di durata della società, che dovrà protrarsi sino al 2050, presupponendo una durata media della vita umana per le donne in Italia pari a circa 84 anni, mentre per gli uomini a circa 80 anni, si ritiene legittimo un Suo recesso dalla società, con il preavviso di legge di 180 giorni; la durata della società, infatti, si protrarrebbe sino al limite di durata media della vita umana.
Per poter esercitare il Suo diritto di recesso dovrà inviare una comunicazione alla società e all'amministratore, informandoli che sta esercitando il Suo diritto di recesso, con il dovuto preavviso pari a 180 giorni.

In ogni caso, posto che sussistono arresti giurisprudenziali contrari a quelli esposti, seppur costituenti un indirizzo minoritario, non si possono escludere contestazioni relative ad un suo esercizio del diritto di recesso; tuttavia, si tenga presente che le argomentazioni ivi fornite si ritengono convincenti anche in un'eventuale sede giudiziale, essendo mutuate dall'opinione prevalente.

V. D. V. chiede
giovedì 24/02/2022 - Marche
“Buongiorno,
sono un socio di minoranza di una società a responsabilità limitata capitale sociale € 40.000,00 io possiedo il 3% delle quote sociali.
Nello statuto la società ha una durata a tempo determinato fino al 31/12/2030.
Vorrei recedere in qualità di socio per giusta causa oppure un recesso, previsto dalla legge, a favore delle minoranze.
Le motivazioni che mi spingono al recesso sono:
-mancata presentazione bilanci dal 2016 fino al 2020
-inattività dell'assemblea dei soci
-la società all'indirizzo della sede legale non ritira nessuna raccomandata, la pec non è più attiva.
-la società nella sede legale non esiste più materialmente ,la visura camerale presenta sempre lo stesso indirizzo, non è stata fatta nessuna comunicazione alla CCIAA
-l'amministratore non adempie agli obblighi amministrativi e contabili.
Allego copia statuto art.11 recesso.
Gentilmente attendo un Vs/cortese riscontro se ho qualche possibilità di recesso.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 04/03/2022
L’art. 2473 del c.c., al secondo comma permette il recesso del socio in ogni momento esclusivamente nelle società contratte a tempo indeterminato, comunque con un preavviso di almeno centottanta giorni (termine innalzabile dallo statuto fino a un anno).

Se, al contrario, la società è contratta a tempo determinato, la facoltà di recesso del socio è limitata ad alcune occasioni e momenti della vita associativa: infatti, secondo l’art. 2473 del c.c., primo comma, il diritto di recesso compete in ogni caso ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell'oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione al trasferimento della sede all'estero alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall'atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto della società determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'art. 2468 del c.c., quarto comma.

La ratio sottesa al disposto dell’art. 2473, comma 2, c.c. induce a ritenere che il recesso ad nutum del socio ivi contemplato possa essere utilmente esercitato non solo nelle ipotesi di società contratta “formalmente” a tempo indeterminato, ma anche nei casi di previsione di un termine di durata talmente lungo da far ritenere la società come costituita sine die. Se è vero infatti che la ratio della norma è ravvisabile nella esigenza di salvaguardia del principio privatistico - ritenuto di ordine pubblico - della inammissibilità di vincoli perpetui, sussiste certamente l’eadem ratio allorché la società, in via di fatto, risulti “sostanzialmente” a tempo indeterminato, dacché contratta per un termine eccedente le ragionevoli aspettative di vita di uno dei soci. (Trib. Roma, sez. spec. in materia di imprese, 28/11/2017).
Nel caso esposto, tuttavia, la società è contratta fino al 31.12.2030, pertanto non rientra in questa casistica e il diritto di recesso non può essere riconosciuto per dette ragioni.

Il diritto di recesso spetta, altresì, quando l’autonomia privata altera le posizioni dei soci e precisamente nei seguenti casi:
  • modifica decisa a maggioranza dei diritti concernenti l’amministrazione o la distribuzione degli utili ex art. 2468 del c.c., comma 4;
  • eliminazione di una o più cause di recesso prevista nell’atto costitutivo;
  • se l’atto costitutivo dispone limitazioni alla circolazione per atto tra vivi o mortis causa alle partecipazioni sociali. A differenza di quanto previsto per le società per azioni, l’atto costitutivo può vietare il trasferimento (anche mortis causa) (cfr. art. 2469 del c.c., comma 1) delle quote sociali accentuando in tal modo il carattere personalistico della società a responsabilità limitata; tuttavia, a differenza delle società di persone ove è richiesto il consenso di tutti i soci, il “costo” immediato e diretto della piena libertà delle parti in ordine alla limitazione (anche assoluta) della circolazione delle quote è costituito dal diritto di recesso attribuito a ciascun socio;
  • ai soci in ogni momento per le società contratte a tempo indeterminato;
  • nel caso di aumento di capitale a pagamento ai soci che dissentono dalla decisione di offrire a terzi le quote di nuova emissione (cfr. art. 2481 bis del c.c.);
  • modifiche dell’atto costitutivo che introducono o sopprimono clausole compromissorie e attribuiscono ai soci assenti o dissenzienti (ma anche astenuti) il diritto di recesso da esercitarsi entro i successivi 90 giorni (art. 34, comma 6, D.Lgs. 17/01/2003, n. 5).

La medesima norma, tuttavia, lascia all’atto costitutivo la facoltà di determinare quando il socio possa recedere dalla società e le relative modalità.
Nel caso di specie, purtroppo, lo statuto non prevede la possibilità per il socio di recedere al verificarsi delle circostanze descritte, pertanto il diritto non potrà essere validamente esercitato.

In tali casi, tuttavia, pare possibile procedere alla revoca degli amministratori per giusta causa ai sensi dell'art. 2383 del c.c., nonché all’eventuale azione di responsabilità nei loro confronti ai sensi dell'art. 2476 del c.c..


M.R. chiede
martedì 02/11/2021 - Emilia-Romagna
“Buon giorno. Sono socio al 16.67% e amministratore delegato di una società SRL con sede a Piacenza e costituita nel 2010.
Per ragioni personali che riguardano differenti visioni con gli altri soci, sono intenzionato ad uscire dalla società cercando una liquidazione totale delle mie quote, senza rimanere nel cda e interrompendo poi quindi ogni rapporto di collaborazione, naturalmente in maniera bonaria.
I miei soci non sanno della mia decisione e vorrei arrivare quindi preparato al dialogo.
Vorrei quindi sapere se posso chiedere di essere liquidato, anche in assenza di particolari motivi legali, e se i soci possono rifiutarsi e obbligarmi a rimanere socio di una società senza poterne mai uscire.
In caso sia possibile chiedere la liquidazione in modo volontario, poi si aprirà il problema del valore delle quote, ma credo ci si debba basare su una perizia per determinare il valore.
Se serve una visura camerale e lo statuto posso fornirlo, basta che mi indichiate dove inviarlo.
In sunto quindi vorrei essere liquidato ed andarmene, non rinnovando il mio mandato che scade ad aprile in corrispondenza del bilancio 2022. Come devo fare?
Grazie”
Consulenza legale i 10/11/2021
Ai sensi dell’art. 2385 del c.c., l'amministratore può rinunciare alla carica in qualsiasi momento dandone comunicazione scritta al consiglio di amministrazione e al presidente del collegio sindacale a mezzo raccomandata a/r o PEC.
L’amministratore di una s.r.l., infatti, non è vincolato da un contratto di lavoro e può, in qualsiasi momento, rinunciare al proprio incarico.
Per farlo non ha neppure la necessità di attendere aprile 2022, mese di scadenza del Suo mandato, ma può farlo anche immediatamente.
Nel caso di specie, poiché il consiglio di amministrazione è composto di soli due membri, con le Sue dimissioni si intenderà decaduto l’intero consiglio, con la conseguenza che il presidente dovrà chiedere ai soci la nomina del nuovo organo amministrativo, come previsto dall’art. 15 dello statuto.

Altra questione, invece, è quella inerente alla volontà di recedere dalla società.
L’art. 2473 del c.c., al secondo comma permette il recesso del socio in ogni momento esclusivamente nelle società contratte a tempo indeterminato, comunque con un preavviso di almeno centottanta giorni (termine innalzabile dallo statuto fino a un anno).

Se, al contrario, la società è contratta a tempo determinato, la facoltà di recesso del socio è limitata ad alcune occasioni e momenti della vita associativa: infatti, secondo l’art. 2473 del c.c., primo comma, il diritto di recesso compete in ogni caso ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell'oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione al trasferimento della sede all'estero alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall'atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto della società determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'art. 2468 del c.c., quarto comma.

La medesima norma, tuttavia, lascia all’atto costitutivo la facoltà di determinare quando il socio possa recedere dalla società e le relative modalità.
L’atto costitutivo, tuttavia, non disciplina nello specifico alcunché in merito, anzi all’art. 6 rimanda in relazione al recesso del socio alle norme di legge.
Ciò rende applicabile in toto la disciplina di cui all’art. 2473 del c.c. sopra esposta.

A riguardo, tuttavia, va considerato che la giurisprudenza maggioritaria è concorde nel senso di parificare nella sostanza una società a tempo indeterminato con una con termine di durata molto lungo, tanto da considerarsi, appunto, sostanzialmente contratta per tutta la vita del socio.
Si segnalano sul punto alcune pronunce della giurisprudenza di merito: “La ratio sottesa al disposto dell’art. 2473, comma 2, c.c. induce a ritenere che il recesso ad nutum del socio ivi contemplato possa essere utilmente esercitato non solo nelle ipotesi di società contratta “formalmente” a tempo indeterminato, ma anche nei casi di previsione di un termine di durata talmente lungo da far ritenere la società come costituita sine die. Se è vero infatti che la ratio della norma è ravvisabile nella esigenza di salvaguardia del principio privatistico - ritenuto di ordine pubblico - della inammissibilità di vincoli perpetui, sussiste certamente l’eadem ratio allorché la società, in via di fatto, risulti “sostanzialmente” a tempo indeterminato, dacché contratta per un termine eccedente le ragionevoli aspettative di vita di uno dei soci (nel caso di specie, il termine statutario era fissato al 31/12/2050). Trib. Roma, sez. spec. in materia di imprese, 28/11/2017; dello stesso tenore: Trib. Roma, sez. spec. in materia di imprese, 22/10/2015).
Si segnala un'ulteriore pronuncia significativa nel senso sopra espresso: “Ai sensi dell’art. 2473, comma 2, c.c., il socio di società a responsabilità limitata costituita a tempo indeterminato può recedere dalla stessa in ogni momento, con un preavviso di centottanta giorni, salvo che l'atto costitutivo non preveda un preavviso maggiore, comunque non superiore all’anno. Le s.r.l. costituite per un termine particolarmente lungo, tale per cui sia superato l’orizzonte temporale ragionevolmente ricollegabile al raggiungimento dello scopo della società, sono assimilabili alle s.r.l. a tempo indeterminato. Si considera, altresì, a tempo indeterminato, la società che preveda un termine di durata superiore alla normale vita umana.” Trib. Torino, sez. I, 05/05/2017.

La stessa Corte di Cassazione si è espressa sul punto, statuendo che: “Nella società a responsabilità limitata in cui la durata è fissata in epoca lontana, tale da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale, non solo della persona fisica ma anche di un soggetto collettivo, il socio ha diritto di recedere, sussistendo le stesse ragioni che hanno indotto il legislatore ad attribuire il diritto di recesso nelle società contratte a tempo indeterminato.” (Cass. civ., 22 aprile 2013, n. 9662)

Tanto premesso, considerando la Sua età (che ricaviamo dalla visura della società) e il termine di durata della società, che dovrà protrarsi sino al 2060, presupponendo una durata media della vita umana per gli uomini in Italia pari a circa 80 anni, si ritiene legittimo un Suo recesso dalla società, con il preavviso di legge di 180 giorni.
Anche in questo caso, potrà procedere immediatamente, senza attendere la scadenza del proprio mandato.
Per poter esercitare il Suo diritto di recesso dovrà inviare una comunicazione alla società e al presidente del consiglio di amministrazione, informandoli che sta esercitando il Suo diritto di recesso, con il dovuto preavviso.
Si tenga presente che tale atto potrà essere contestato dalla società, adducendo argomentazioni contrarie a quelle ivi esposte, mutuate dall'opinione prevalente.

Le modalità di liquidazione della quota sono definite dal medesimo art. 2473 del c.c..
Il terzo comma dispone che i soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale, determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso; per determinarlo il socio recedente e la società, generalmente, incaricano dei professionisti di propria fiducia per redigere delle perizie di parte, così da discutere su dei valori per giungere ad un accordo sulla liquidazione. Nell’eventualità in cui dovesse sorgere disaccordo in merito, la determinazione sarà compiuta mediante una perizia giurata redatta da un esperto nominato dal tribunale.

A norma del quarto comma, la liquidazione della quota deve essere eseguita entro centottanta giorni dalla comunicazione del recesso fatta alla società (ciò non esclude un diverso accordo in merito). Può avvenire anche mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni oppure da parte di un terzo concordemente individuato da soci medesimi. Qualora ciò non avvenga, il rimborso è effettuato utilizzando riserve disponibili o, in mancanza, corrispondentemente riducendo il capitale sociale; in quest'ultimo caso si procede alla riduzione del capitale sociale ai sensi dell’art. 2482 del c.c.. Qualora sulla base di esso non risulti possibile il rimborso della partecipazione del socio receduto, la società viene posta in liquidazione.


Stefano T. chiede
sabato 24/10/2020 - Toscana
“Questa seconda richiesta di consulenza, fa riferimento alla mia prima consulenza Q202026450 di Stefano T. del 3/10/20.
Riassumo brevemente la situazione già in parte descritta in quel primo ticket.
All'inizio della mia vicenda, possedevo una quota pari al 46% del capitale sociale di una società di tipo s.r.l. e recentemente ho concluso la mia richiesta di "recesso parziale" per una parte della mia quota (25%) rimanendo socio per la parte restante (21%). Con il Consiglio di Amministrazione della Società, siamo arrivati ad un accordo bonario per la liquidazione rateizzata della quota recessa, ricorrendo alle riserve patrimoniali della Società, senza dunque intaccare il capitale sociale. Dall’ultima visura in Camera di Commercio, ho visto però che il CdA ha rimodulato la partecipazione sociale dei soci suddividendo la quota da me recessa in misura proporzionale tra tutti gli altri soci ad eccezione del sottoscritto, che rimaneva pur sempre socio al 21%. Le quote di tutti gli altri soci sono così salite proporzionalmente grazie alla mia parte recessa, mentre la mia partecipazione sociale è rimasta ferma al 21%.
CHIEDO SE QUESTA SUDDIVISIONE SIA STATA CORRETTA O SE INVECE ANCHE IL SOTTOSCRITTO, PUR CEDENDO UNA PARTE DELLA SUA QUOTA, RIMANEVA TUTTAVIA SOCIO A TUTTI GLI EFFETTI PER LA QUOTA RESTANTE E DUNQUE MANTENEVA IL DIRITTO A PARTECIPARE, IN MISURA PROPORZIONALE AL 21%, ALLA REDISTRIBUZIONE DELLA QUOTA RECESSA.
Poiché prevedo una possibile controversia con il CdA della Società, chiedo inoltre di conoscere i riferimenti giuridici, le sentenze o quant’altro possa formalizzare senza incertezze la riposta al mio quesito. Domando infine, in caso di contesa legale, se il Vs. Studio fornisce, oltre alla consulenza on line, anche eventuale assistenza legale.”
Consulenza legale i 27/10/2020
Ai fini della risposta al quesito occorre, prima di tutto, inquadrare la cornice normativa applicabile al caso di specie.

In caso di recesso (anche parziale) delle quote di una srl, il quarto comma dell’art. 2473 c.c., alla cui lettura si rimanda, si occupa di disciplinare le singole modalità con le quali procedere alla liquidazione della quota.

In particolare, dall’analisi di detta disposizione si evince che in capo agli altri soci diversi da quello che recede viene riconosciuto un diritto di opzione all’acquisto della quota del socio recedente proporzionalmente alla loro partecipazione. Gli amministratori della srl, infatti, dovranno, in caso di esercizio di recesso da parte di un socio, interpellare, prima di tutto, gli altri soci al fine di permettergli di poter esercitare il diritto d’opzione d’acquisto della quota del socio recedente proporzionalmente alle rispettive partecipazioni nella srl.

Pertanto, non si rinvengono nell’operato di suddivisione proporzionale tra gli altri soci alcun motivo di illegittimità, atteso che, ovviamente, il socio che recede non partecipa a questa riassegnazione proporzionale delle quote del socio recedente in forza dell'esercizio del diritto d’opzione da parte degli altri soci.

ROBERTO M. chiede
lunedì 18/02/2019 - Lazio
“Argomento : RECESSO DEL SOCIO DI SRL ART.2473 COD. CIV

Dalla sentenza di cassazione civ. n. 9662/2013 si evince che il diritto di recesso di un socio compete anche nel caso di durata della società per un periodo particolarmente lungo ( nella specie fino all'anno 2100).

La domanda è : E' SUFFICIENTE QUESTA SOLA CONDIZIONE PER ESERCITARE IL DIRITTO DI RECESSO ?

Cordiali saluti

Roberto”
Consulenza legale i 23/02/2019
La sentenza n. 9662/2013 della Corte di Cassazione, a cui si fa riferimento nel quesito, sembra essere molto chiara in ordine a ciò che viene chiesto: nella s.r.l. la previsione statutaria di una durata della società per un termine particolarmente lungo, tale da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale, non solo per la persona fisica ma anche per un soggetto collettivo, ne determina l'assimilabilità ad una società a tempo indeterminato, con la conseguenza che dovrà trovare applicazione il secondo comma dell'art. 2473 c.c., con attribuzione al socio di esercitare in ogni momento, e sulla base di tale sola ragione, il diritto di recesso.

Precisa la Suprema Corte, infatti, che in entrambi i casi (tempo indeterminato e termine particolarmente lungo) si pone l’esigenza di far sì che il socio non diventi prigioniero della società e di dover così tutelare il suo affidamento circa la possibilità di disinvestimento della quota da una società sostanzialmente a tempo indeterminato.

Già con altre e ben più remote sentenze la giurisprudenza si era espressa in tal senso, argomentando dall’art. 2285 del c.c., dettato in materia di società di persone, il quale, a differenza dell’art. 2473 c.c. e dell'art. 2437 del c.c. (quest’ultimo per le Spa), riconosce al socio di società personale il diritto di recesso sia nel caso in cui una società risulti contratta a tempo indeterminato sia nel caso in cui venga contratta per tutta la vita di uno dei soci.
E’ stato così osservato che se il legislatore ha voluto equiparare, accomunandole nella medesima norma, l’assenza di termine alla previsione di un termine vitalizio, tale equiparazione deve per forza di cose estendersi anche all’ipotesi in cui il termine previsto superi statisticamente l’aspettativa di vita dei soci (così in giurisprudenza App. Bologna, 5 aprile 1997; App. Napoli, 17 gennaio 1997; Trib. Milano, 13 novembre 1989; Trib. Milano, 30 ottobre 1986); da tale considerazione si è poi giunti ad una applicazione analogica dell’art. 2285 c.c. anche alle società di capitali, ed in particolare alle s.r.l., caratterizzate rispetto alle S.p.a. da un maggiore aspetto personalistico.

Quest’ultimo concetto, peraltro, viene anche ripreso dalla sentenza della S.C. n. 9662/2013, nella parte in cui è detto che i dati distintivi della s.r.l. possono frequentemente rinvenirsi nella ristrettezza della compagine societaria e nel carattere familiare dell’investimento e della gestione. Tali caratteri non consentono di ascrivere la s.r.l. al modello della società aperta, come può essere una Spa, ove l’investimento effettuato dai soci può risultare facilmente trasferibile a terzi.

Infatti, solo la prospettiva di poter alienare in qualsiasi momento ad un terzo la propria quota, potrebbe costituire un ostacolo all’esercizio ad nutum del diritto di recesso in una srl avente come durata un termine particolarmente lungo anziché indeterminato, ed è proprio l’argomento su cui ha fondato la propria tesi quella corrente di pensiero che, escludendo un’applicazione analogica dell’art. 2258 c.c. alle srl, ritiene che la formulazione dell’art. 2473 c.c. debba considerarsi tassativa, e dunque che il diritto di recesso possa esercitarsi solo se la società è contratta a tempo indeterminato.
Anche tale argomento, però, è stato sconfessato dalla S.C. nella sentenza richiamata, né si rinvengono, almeno per il momento, successive sentenze di segno contrario alla stessa.

In conclusione, dunque, secondo la tesi accolta dalla Corte di Cassazione del 2013, se nel caso di specie il termine di durata della società è così lungo da superare le concrete aspettative di vita dei soci che vi fanno parte o comunque da mettere in dubbio che una data così lontana possa essere effettivamente necessaria per il conseguimento dell’oggetto sociale, si ritiene che non sussista alcun ostacolo all’esercizio ad nutum del diritto di recesso da parte di ciascuno dei soci.

A questo punto, tuttavia, non ci si può esimere da alcune considerazioni di carattere prettamente personale: malgrado l’indiscussa correttezza e linearità logica delle argomentazioni addotte dalla S.C., vi sono tuttavia anche altri aspetti che non dovrebbero essere trascurati nel valutare se al socio spetti o meno il diritto di recesso ad nutum in una società che abbia come durata un termine “abnorme”.
Innanzitutto potrebbe non essere così scontato applicare sistematicamente l’art. 2285 c.c. alle s.r.l. pensando che sia stata una svista del legislatore non riprodurre all’art. 2473 cc il contenuto della prima norma, e precisamente nella parte in cui una durata indeterminata viene equiparata ad una durata vitalizia.

In secondo luogo, ammettere il recesso ad nutum in ipotesi non testualmente previste lederebbe di fatto la certezza del diritto e potrebbe costituire fonte di pregiudizio per l’interesse dei creditori, i quali non possono che fare affidamento su quel patrimonio sociale che, in ipotesi di recesso, verrebbe inevitabilmente indebolito a causa dell’esborso di denaro che la società deve fare in favore del socio recedente.

Con ciò vuol dirsi che, qualora l’esercizio del diritto di recesso dovesse essere in qualche modo contestato e sfociare in un giudizio civile, il giudice a cui la controversia verrebbe sottoposta potrebbe anche tener conto di tali argomenti, sicuramente da non sottovalutare, per negare il legittimo esercizio del recesso.
Forse la soluzione più equa sarebbe quella di riconoscerlo in quelle srl in cui non solo come durata venga indicato un termine eccessivamente lungo, ma in cui lo statuto ponga anche dei limiti alla circolazione delle quote.

Si tiene a precisare, comunque, che queste ultime sono valutazioni di carattere personale, volte semplicemente a mettere in guardia in ordine agli effetti che potrebbero conseguire dall’esercizio del recesso per il caso esaminato, ma che tuttavia, almeno fin quando la S.C. non interverrà con un orientamento di segno opposto, non precludono in alcun modo il libero esercizio del recesso secondo l’orientamento giurisprudenziale attualmente vigente.


Luigi B. chiede
giovedì 07/12/2017 - Veneto
“Una SRL con tre soci - quote sociali 1/3 ciascuno. Tutti e tre i soci che rappresentano l'intero capitale sociale eseguono il recesso ad nutum nel mese di giugno 2017, in quanto la società è a tempo indeterminato.
Viene convocata dal notaio l'Assemblea dei soci nel mese di Dicembre (entro i sei mesi dal recesso) per la messa in liquidazione della società ai sensi art. 2473 c.c.
DOMANDA: Il notaio insiste che i soci devono votare la messa in liquidazione. Personalmente credo che il notaio, una volta preso atto dei vari recessi, che rappresentano l'intero capitale sociale, debba chiudere l'Assemblea deliberando la messa in liquidazione, senza ricorrere alla votazione.
Chi ha ragione?”
Consulenza legale i 18/12/2017
Va in primo luogo messo in evidenza che l’art. 2473, che disciplina il recesso del socio nella s.r.l., nulla dice circa il momento in cui si scioglie il rapporto sociale per effetto del recesso (e dunque quando il recesso diventa definitivo ed irrevocabile).
Secondo alcuni studiosi, il rapporto cesserebbe solo con l’acquisto della quota da parte dei consoci o del terzo oppure ancora con l’annullamento della stessa, per cui il recedente avrebbe diritto di partecipare alle assemblee e di sottoscrivere, addirittura, aumenti di capitale.
Secondo altri, invece, la perdita della qualità di socio si avrebbe nel momento del ricevimento della comunicazione di recesso, con la precisazione che le partecipazioni per le quali è stato esercitato il recesso – pendente il termine per la loro liquidazione – non vanno computate nei quorum costitutivi e deliberativi previsti per le decisioni dei soci.

Per quanto concerne la (poca e solo di merito: non c’è alcuna Cassazione che aiuti a chiarire la questione) giurisprudenza sul punto, tuttavia, parrebbe doversi preferire questa seconda tesi.

Si cita in primo luogo il recente Tribunale Roma, Sez. spec. Impresa, 25/01/2017, il quale afferma chiaramente: “La dichiarazione di recesso del socio da una società a responsabilità limitata deve ritenersi immediatamente produttiva di effetti, non appena ricevuta dalla società, e comporta l’immediato scioglimento del rapporto sociale, con riferimento al socio receduto. Questi diventa, dal momento in cui la società ha ricevuto la comunicazione, titolare del diritto alla liquidazione delle azioni per le quali ha esercitato il recesso.”
Ancora, il Tribunale di Catanzaro, nella pronuncia del 26/02/2014, statuisce: “Il recesso è atto unilaterale recettizio giuridicamente efficace dal momento in cui, con qualsiasi mezzo, la società prende atto della volontà del socio, con la conseguenza che da tale momento il socio perde il relativo status e la legittimazione ad esercitare i diritti sociali”.
Infine, sempre il Tribunale di Roma, in una sentenza del 24/05/2010, così precisa: “Sebbene il recesso del socio da una società a responsabilità limitata sia negozio unilaterale recettizio, i suoi effetti sono destinati a prodursi alla scadenza del termine di preavviso, giusta le previsioni dello statuto, dettate dalle esigenze proprie del settore in cui la società opera.
Da ultimo, si cita Tribunale Arezzo, 16/11/2004, secondo il quale: “L'esercizio del diritto di recesso da parte del socio di una s.r.l. è atto unilaterale recettizio e pertanto il socio recedente non può esercitare il diritto di controllo di cui all'art. 2476 comma 2, c.c. poiché ad egli spetta esclusivamente il rimborso della partecipazione come previsto dall'art. 2473 comma 3 c.c.”.

Ciò detto, tuttavia, la citata norma va necessariamente coordinata con le altre relative alla messa in liquidazione della società: nel caso particolare che ci occupa, infatti, il recesso riguarda tutti i soci e quindi determina il venir meno del capitale sociale.
L’art. [n2484cc]] c.c., che concerne la cause di scioglimento della società, ne prevede – tra le altre – tre che possono riguardare il caso in esame: oltre al caso specifico del 2473 c.c., infatti, si potrebbe anche parlare di sopravvenuta impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale (2484 c.c., 1° comma n. 2) oppure di impossibilità di funzionamento della società (2484 c.c., 1° comma n. 3).
In tutti i casi, però, la legge comunque stabilisce (art. 2484, 3° comma) che “Gli effetti dello scioglimento si determinano (…) dalla data di iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori ne accertano la causa (…)”.
Ebbene, l’iscrizione nel registro delle imprese ha efficacia costitutiva, vale a dire che gli effetti dello scioglimento non si possono produrre fino a che non venga eseguita tale formalità pubblicitaria.

Gli amministratori hanno l’obbligo di verificare senza indugio le cause di scioglimento e di procedere con la messa in liquidazione (art. 2485 c.c.) altrimenti sono personalmente responsabili, in via solidale, dei danni subìti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi.
Infine, l’art. 2486 c.c. specifica che, quando si verifica una causa di scioglimento, gli amministratori comunque conservano il potere di gestire la società, e se ne assumono le medesima responsabilità di cui sopra.

Alla luce di quanto appena detto, occorre capire che alternative vi sono alla delibera di messa in liquidazione.
In primo luogo, nel quesito non è specificato se, nel caso in esame, l’amministrazione sia affidata dallo statuto ai soci oppure a qualcuno esterno alla compagine sociale.
Nel caso in cui l’amministratore o gli amministratori siano degli esterni, ad avviso di chi scrive la risposta al quesito che ci occupa diventa forse più semplice: l’organo amministrativo prende atto della causa di scioglimento, lo dichiara e provvede agli adempimenti pubblicitari di cui sopra, senza che sia necessaria una delibera dei soci receduti.

Nel caso, al contrario, in cui gli amministratori siano tutti o alcuni dei soci receduti (ed è legittimo presumere che sia questo il nostro caso) allora la questione si fa complessa e, ad avviso di chi scrive, la soluzione deve individuarsi a livello interpretativo.
Si ritiene nel caso ipotizzato (anche a maggior tutela degli stessi soci coinvolti) che il ruolo di amministratore debba prevalere su quello di socio e che quindi essi debbano dichiarare lo scioglimento e provvedere come per legge agli adempimenti pubblicitari. Rimane comunque il fatto, in ogni caso, che anche in tale eventualità la delibera dei soci non sarebbe necessaria, come pretende il notaio.
Se i soci, eventualmente, non intendessero esercitare il proprio ruolo di amministratori dichiarando l’intervenuta causa di scioglimento, potrebbe venire in aiuto il comma secondo del 2485 c.c., secondo il quale: “Quando gli amministratori omettono gli adempimenti di cui al precedente comma, il tribunale, su istanza di singoli soci o amministratori ovvero dei sindaci, accerta il verificarsi della causa di scioglimento, con decreto che deve essere iscritto a norma del terzo comma dell’articolo 2484”.
La legge prevede quindi un’ipotesi di intervento esterno, da parte dell’Autorità Giudiziaria, qualora gli organi deputati alla dichiarazione (soci o amministratori) rimangano inerti: attenzione, però, che l’istanza – se non proveniente da questi ultimi – dovrebbe provenire dai sindaci.
Dalla lettura del quesito non si comprende se nella fattispecie in esame sia presente un organo di controllo: pertanto, in caso affermativo, i sindaci potrebbero rivolgersi al Giudice, mentre in caso contrario, si ritiene che – nel silenzio della legge sull’ipotesi qui prospettata - i soci, qualora non ritengano di svolgere il proprio ruolo di amministratori, come già detto (e si consiglia di procedere così, viste le responsabilità sottese) debbano seguire il consiglio del notaio e mettere formalmente in liquidazione la società.

PAOLA G. chiede
lunedì 16/10/2017 - Calabria
“Oggetto: Recesso socio da una S.R.L. ex art. 2473 c.c. -
Il socio della S.r.l. "Beta" esercitava per giusta causa, il diritto di recesso ex art. 2473 c.c., comunicando con Racc A/R tale sua volontà alla predetta società in data 10 Aprile 2012, giorno in cui è pervenuta la missiva alla società destinataria.
Il 12 Aprile 2012, la società "Beta" replicava con Racc A/R dichiarando, sulla scorta di pretestuosi motivi, di "non dovere accettare il recesso difettandone i presupposti".
Nel riscontrare tale replica, con Racc A/R pervenuta alla predetta società il 20 Aprile 2012, il socio recedente confermava e ribadiva gli stessi motivi di recesso riportati nella prima raccomandata (10 Aprile 2012), senza ricevere più alcun riscontro o rilievo da parte della società "Beta".
Decorsi abbondantemente 180 giorni dalla predetta comunicazione ex art. 2473, comma 4°, c.c. e viste le infruttuose richieste di liquidazione della quota sociale, il socio recedente, al fine di scongiurare il rischio della prescrizione dei propri diritti ex art. 2949 c.c., adiva, come da Statuto sociale, in data 20 Gennaio 2017 il Collegio arbitrale.
Detto Organo, regolarmente costituitosi, convocava le parti in causa (attore e convenuto) il giorno 8 Giugno 2017, per la presentazione delle proprie memorie.
In tale data (8 Giugno 2017), la società "Beta" si costituiva eccependo "l'invalidità e l'inefficacia del recesso esercitato".
DOMANDE: E' legittima l'eccezione sollevata dalla S.r.l. "Beta" sulla invalidità ed inefficacia del recesso, a distanza di oltre 5 ani dall'avvenuta comunicazione del recesso stesso (10 Aprile 2012), stanti i termini di cui all'art. 2949 c.c.?
Per far valere tale eccezione, la società "Beta" non avrebbe dovuto adire nei termini di legge (5 anni) l'Organo giurisdizionale competente (Collegio arbitrale)?
Per ultimo, si evidenzia che lo Statuto sociale prevede che il recesso si intende esercitato nel giorno in cui la comunicazione è pervenuta alla sede sociale.”
Consulenza legale i 23/10/2017
In primo luogo va osservato che, come previsto dal primo comma dell'art. 2473 c.c., è l'atto costitutivo della società a stabilire quando il socio possa legittimamente recedere dalla società e le relative modalità.

Di conseguenza, per accertare se lei abbia esercitato legittimamente il diritto di recesso, occorerebbe esaminare l'atto costitutivo della società in questione.

Passando al quesito da lei posto, occorre evidenziare che l'art. 2949 c.c. stabilisce che si prescrivono in 5 anni i "diritti che derivano dai rapporti sociali".

Nel caso di specie - oltre a rilevarsi che la società, già in data 12.04.2012 ha contestato la legittimità del recesso da lei esercitato - va osservato come non appaia applicabile alla società il suddetto termine prescrizionale, dal momento che essa non ha fatto valere un "diritto che deriva dai rapporti sociali", essendosi la stessa limitata a contestare la legittimità di un diritto esercitato da un socio.

Di conseguenza era lei, in quanto socio, a dover adire (come, peraltro, ha fatto) il Collegio arbitrale, al fine di dirimere la vertenza insorta con la società.



Mario G. chiede
sabato 08/10/2016 - Toscana
“Siamo 4 soci di una SRL commerciale di articoli tecnici che vive da sempre con i flussi di cassa, non abbiamo capitali o riserve patrimoniali di altra natura se non il magazzino e le attrezzature necessarie allo svolgimento dell'attività(scaffali, pc, ecc) Oltre a noi soci ci sono altri 5 dipendenti, abbiamo un capannone abbastanza piccolo (250mq) di proprietà, che non riusciamo a vendere e attualmente lavoriamo in un altro(500mq) sul quale abbiamo un mutuo che scadrà alla fine del 2017. Un socio con il 23% delle quote vuole recedere ed essere liquidato al valore di mercato in virtù del fatto che lo statuto prevede la durata della società fino al 2060 ed avendo lui 67 anni, in base all'art.2473 c.2 chiede il recesso e la liquidazione al valore di mercato, ossia da stabilire mediante perizia legale entro 180 gg. Pur avendogli già comunicato l'intenzione di acquistare le sue quote, crediamo voglia con questo porsi nella trattativa in una posizione di vantaggio tale per cui, se non arriviamo alle sue pretese, potrebbe obbligare la società alla liquidazione e forse al fallimento. Noi soci di controparte, che abbiamo oltre i 2/3 delle quote, abbiamo pensato di indire una convocazione dei soci per cambiare la durata della società al 2025(quando lui avrà 78 anni) al fine di opporsi al suo recesso, aggiungo la nota che il socio in questione è il fondatore della società ed ha sempre lavorato come amministratore e anche presidente del cda, vorrei anche sottolineare che lui, come tutti noi del cda percepisce un compenso lordo di oltre 60.000 euro/anno più benefit. Aggiungo anche che avendo lui manifestato più volte l'intenzione di ritirarsi in pensione(che già percepisce) abbiamo assunto ben 2 persone da due anni per sostituirlo nelle sue mansioni, ma lui anno dopo anno ha rinviato le sue dimissioni da amministratore e ora addirittura ci ha detto che non intende lasciare fino a quando non verrà liquidato. Tengo a ripetere che abbiamo intenzione di acquistare le sue quote allo stesso valore e alle stesse modalità (5 anni) già pattuito in passato (nel 2004) con un altro socio fondatore che è andato in pensione e con il quale ci siamo trovati subito d'accordo.
In sostanza vorrei sapere se quanto abbiamo deciso è coerente allo scopo di resistere alle sue pretese e salvare l'azienda, tuttavia resta il dubbio di cosa potrebbe succedere allo scadere della durata della società.
Grazie per la risposta”
Consulenza legale i 12/10/2016
Il socio di s.r.l. può recedere dalla società nei casi espressamente previsti per legge o nell’atto costitutivo. La dichiarazione di recesso ha natura di atto unilaterale recettizio, che deve comunque essere legittimato da una delibera dell’assemblea della società: in caso di mancata legittima o di revoca della delibera de quo o, ancora, di messa in liquidazione della società, il recesso non ha effetto.

Nella s.r.l. il socio che recede ha diritto al rimborso del valore della propria partecipazione, determinato in proporzione al valore di mercato del patrimonio sociale al momento della dichiarazione di recesso.

Ai sensi dell’art.2473 c.c. è l’atto costitutivo della s.r.l. che deve indicare le possibilità del diritto di recesso del socio, informazione che nel suo quesito manca.

Ai sensi del secondo comma dell’articolo in commento, il recesso compete al socio in ogni momento (salvo un preavviso di 180 giorni – o maggiore, ove previsto un diverso termine nell’atto costitutivo) solo quando la società sia stata contratta a tempo indeterminato: non è così il vostro caso, posto che la scadenza della s.r.l. è fissata per il 2060; per ciò che concerne la pretesa della liquidazione della quota, è il terzo comma dell’art. 2473 che la stabilisce.
Interessante è l’ultimo comma dell’art. 2473 c.c., il quale prevede che “il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società”.
Naturalmente, lo scioglimento della società non è auspicabile, in quanto la stessa è comunque titolare di rapporti attivi. Una delle cause di scioglimento (si vedrà oltre) è proprio la data di scadenza della stessa.

Ciò che possiamo consigliare di fare è di formalizzare la proposta di acquisto delle quote del socio che ha intenzione di recedere, con un’eventuale liquidazione a 5 anni (portando l’esempio già seguito nel 2004: il socio che intende recedere era firmatario della delibera in questione? È presente una statuizione in tal senso nell’atto costitutivo o nello statuto?), lasciando in sospeso la delibera di legittimazione del recesso stesso. Anche perché la proposta di acquisto delle quote equivale – di fatto – al rimborso della quota sociale che spetta al socio in caso di recesso.

Nel caso in cui non si trovasse un accordo in tal senso (che naturalmente sarebbe auspicabile), ben si potrebbe convocare un’assemblea dei soci con cui chiedere l’anticipazione della scadenza della società.

Alla data di scadenza, salvo proroga da comunicarsi secondo gli iter di legge alla Camera di Commercio, la società sarà posta in liquidazione, con conseguente divisione degli utili e delle partecipazioni tra i vari soci. La scadenza della società è infatti una delle cause di scioglimento della stessa.

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